Il Cammino Iacopeo d'Anaunia

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Il Cammino Iacopeo d’Anaunia, tra arte, storia e montagna. Ed un altro Cammino se n'è andato, diventando ricordo, esperienza e, forse, promessa. Mettere i propri passi gli uni davanti agli altri è sempre stato, per l'uomo, oltre che necessità per le esigenze della vita di tutti i giorni, anche motivo di gioia, raccoglimento in sé, nella natura e nella storia scritta in ciò che lo circonda, molto spesso invisibile agli occhi del Passator fuggente, l'Inseguitore del record e della prestazione, chi fa del tempo non impiegato la ragione della propria vita e chi ritiene adrenalinico solo ed unicamente il confronto e la sfida alle leggi della fisica e dell'anatomia. Io, e come me molti altri, cerchiamo nel camminare un piacere centellinato con lentezza attraverso la nostra giornata ed il territorio che ci circonda. Nell'ottica del “camminare Lento” e sulle tracce storiche degli antichi viandanti sono nati, in questi ultimi anni, vari Cammini, Vie, Strade che, più o meno, si rifanno, per quanto possibile, ai tracciati originari percorsi dai Pellegrini. Le mete sono da sempre i grandi Santuari, le città simbolo della fede (ogni religione ha avuto comunque un suo modo di camminare, un suo cerimoniale, un suo “durante”) e quelle che sono state la culla dei grandi Santi, nel caso del Cristianesimo Santiago de Compostela, Assisi, Loreto, Gerusalemme, Roma. Le motivazioni che spingevano gli antichi “deambulanti del Sacro” erano molteplici. Gente di ogni ceto, d'ogni età sfogava la propria religiosità o la voglia di essa incamminandosi verso le lontanissime mete pellegrine, per l'epoca realmente dall'altra parte del mondo, fuori del tempo e dello spazio. Il pellegrinaggio è comunque una forma di religiosità vecchia come l'uomo. Le componenti principali, come se il cammino verso il Dio che è in ognuno di noi fosse la ricetta di una minestra, sono essenzialmente tre: la strada, la meta sacra e la ricerca di un pezzo mancante dentro, raggiungibile tramite il perdono od una grazia. Nelle grotte di Lascaux e Rouffignac orme di adolescenti di 20 mila anni fa tracciavano marce d'iniziazione addirittura preistoriche. Anche tra gli indiani d'America e in molte tribù africane molto spesso la maggiore età coincideva con l'obbligo di un viaggio-pellegrinaggio nella savana, nella foresta o sui pendii di qualche montagna sacra, a ricercare visioni o trofei che dimostravano il valore del tuo spirito interiore. Così quando nel Medioevo il fenomeno esplose, l'identikit del pellegrino diventò un simbolo. Di uomini e donne che rischiavano la vita per riagguantarsi. Di “viaggi” così intensi da meritare le virgolette (e si che il “fumo” non era stato ancora importato). Perché da che mondo è mondo “per belli divenire bisogna soffrire”. A maggior ragione, se l'avvenenza agognata è quella interiore. Il pellegrinaggio verso Santiago de Compostela cominciò nel IX sec. con la scoperta del sepolcro di San Giacomo Maggiore, evangelizzatore della Spagna. L'apostolo morì in Palestina ma secondo la leggenda arrivò coi suoi fidi in barca nella terra che aveva evangelizzato e ivi fu tumulato. L'immane afflusso sulla sua tomba conseguente a quella scoperta trasformò il capoluogo galiziano in un sinonimo di pellegrinaggio. Anche Dante vi contribuì. Nella Divina Commedia san Giacomo era “il barone per cui...si visita Galizia” (Par. XXV, 18) e “non s'intende peregrino se non chi va verso la casa di San Jacopo” (Vita Nuova). I pellegrini giacobini (o iacopei) si distinguevano dalla conchiglia, la panciuta capasanta a pettine di Venere tipica dell'Atlantico, ancora oggi utilizzata come vessillo per coloro che intraprendono il “sacro cammino”. Nel 2007 un gruppo di pellegrini reduci dal Cammino di Santiago decide di fondare l'AACS ossia l'Associazione Anaune amici del Cammino di Santiago, un gruppo di persone di diversa estrazione sociale, provenienti da varie zone non solo del Trentino ma d’Italia, sensibili alla cultura del camminare ed alla riscoperta della storia, dell’arte e delle tradizioni del territorio. Lo scopo dell’Associazione, fissato nello statuto della stessa, è quello di portare anche altri a fare la stessa esperienza e, a livello locale, di favorire la cultura del camminare riscoprendo il proprio territorio, la propria storia, la propria cultura. Nasce così il Cammino Iacopeo d'Anaunia. La devozione verso San Giacomo è di antica memoria da queste parti. Già nel 1208 è documentato un pellegrinaggio di un pievano clesiano e, dopo di lui altri cristiani della valle e del Tirolo partirono affrontando i mille pericoli del viaggio fino alla Galizia. E partendo dai luoghi più remoti cercavano nei monasteri, negli ospitali, negli eremi che trovavano lungo il cammino un attimo di ristoro fisico e spirituale alle loro fatiche. Anche per riscoprire questi luoghi è nato il Cammino. La gente della Val di Non ha sempre dato prova di una spiccata fede e quindi il materiale ancora esistente sul territorio anaune non mancava di certo. Occorreva solo un filo conduttore, una ""via" che unisse i gioielli sacri antichi e moderni sfruttando, quanto più possibile, vie secolari o comunque secondarie. Lavoro non facile visto che la moderna viabilità e la spiccata tendenza del contadino (non solo quello noneso) a diffidare di chi passa tangente i propri campi e coltivi ha fagocitato l'idea della strada di tutti usata solo per i piedi a favore di una mobilità votata alla corsa verso le mete della vita di tutti i giorni e la proprietà privata. Attenti studi storici poi riportati sul territorio hanno tracciato alfine otto tappe (sette più una per un giro più breve). Partendo da Sanzeno, ove nei primi anni del cristianesimo ha avuto luogo (IV sec.) l'eccidio dei protomartiri Sisinio, Martirio (nomen omen) ed Alessandro e dove, nella bella Basilica a loro dedicata, sono custoditi i resti, il Cammino prosegue verso l'Alta Valle, di lingua tedesca, fino a fermare la prima tappa al


Santuario di S.Maria di Senale (Unsere Liebe Frau in Walde). Via via le stupende chiesette, Pievi ed eremi dedicate a S.Bartolomeo, San Biagio, San Giacomo (naturalmente), Sant'Antonio, S.Pancrazio etc. sciorinano le testimonianze di una fede viva seppur discreta, con pregevolissimi affreschi medievali, altari di pietra antica e pregevoli manifatture sacre. Tutto questo perfettamente conservato quasi che il tempo avesse tenuti nascosti alla storia quei tesori, per mostrarli agli occhi dei pellegrini del terzo millennio. Alcune di queste piccole chiese sembrano solamente curiosità architettoniche che però non sfigurano assolutamente davanti alle moderne linee delle costruzioni sacre dell’ultimo mezzo secolo. Il Cammino, sforando con una tappa in Val di Sole, si conclude idealmente al Santuario di S.Romedio, il pellegrino che divenne eremita forse più famoso della Val di Non e del Trentino, la cui storia terrena si confonde nelle nebbie del tempo e della leggenda. La sua figura è legata all'animale che da sempre lo accompagna in ogni ritratto, l'orso, ora più che mai in auge grazie al controverso programma di ripopolamento che ha portato i plantigradi presenti in Trentino a numeri che non tarderanno, se il ritmo resterà quello degli ultimi anni, a raggiungere le tre cifre. Uno dei plantigradi è ospitato nel recinto sotto il Santuario, per la gioia di grandi e bambini che preferiscono vederlo qui in cattività che trovarselo davanti sulle strade ed i sentieri delle montagne. Attorno al fervore artistico-architettonico il calore (si avete letto bene, calore) dei panorami e della gente d'Anaunia che spesso attonita osserva questo via vai di gente con le scarpe impolverate e la faccia sudata, con la conchiglia sullo zaino che invece di pesare, rende più leggero il cammino, quasi fosse vessillo d’appartenenza. Presentato presso gli enti turistici e imprenditoriali competenti sia Anauni che Provinciali è stato a tutta prima snobbato, ma sta ora cominciando a fare proseliti e numeri che stanno interessando gli enti suddetti. Se volessimo metterla in termini scolastici il Cammino coinvolge una pluralità di materie: dalla ginnastica in primis, alla storia, alla religione, alla geografia passando per l'etnografia, la sociologia, l’arte (gli amici dell’Associazione Anastasia sono a disposizione per gruppi e su prenotazione ad aprire gli scrigni dell’arte d’Anaunia a chi lo volesse) e perché no, alla gastronomia, assaporabile nelle molte strutture familiari 1 della valle. Cultura a tutto tondo quindi. Il modo migliore per affrontare la fatica è, ovviamente, in compagnia di chi tutto questo ha ideato (l’Associazione appunto) e che sicuramente farà apprezzare al neofita, il piacere “dell'andar scoprendo” e del “camminare lento”. Negli ultimi tempi, complice forse la crisi, la costante perdita dei valori tradizionalmente accettati che portano ad un disorientamento nella generazione dei cosiddetti post-sessantottini (a cui credo a buon diritto di appartenere) e ad un generale aumento dei ritmi di lavoro e del conseguente stress, c’è la riscoperta, oltre che della dimensione rurale e della riappropriazione del proprio tempo anche di una spiritualità che porti l’anima ad interagire maggiormente con il proprio corpo. I Cammini quindi prendono vita lungo le strade che appartenevano al mondo antico, divenuto moderno a volte inconsapevolmente. Gli amici del Cammino d’Anaunia (Paolo, Donato, Remo, Italina, Guglielmo, Aldo, Marta tanto per citarne qualcuno) organizzano, ormai da qualche anno ed in collaborazione con l’Agenzia Etli di Fondo, l’uscita sui percorsi, di solito articolata su tre giorni rubati alla pausa che di solito accompagna il “maggio odoroso”, praticamente inserita tra la prima domenica del mese e il primo maggio. Quest’anno, complice la festa del lavoro che si è reimpossessata del dì di festa (il primo maggio cadeva di domenica) l’appuntamento è stato spostato tra il 6 e l’8 maggio. Avendo partecipato alla tre giorni dell’anno scorso (le prime due tappe più la scorciatoia) ed avendo completato poi per mio conto il cammino durante l’anno 2015, ho voluto partecipare alla tre giorni di quest’anno (le ultime tre tappe), ripercorrendo il cammino percorso da solo l’anno prima accompagnato stavolta dagli amici (tali ormai li considero) del Cammino che hanno accompagnato (e continueranno a farlo sono sicuro con immutato entusiasmo) i “turisti dell'anima” nelle loro peregrinazioni sulle tracce di San Giacomo e delle proprie interiorità in terra d'Anaunia. Ho voluto trarne un breve racconto che troverà qui sotto chi vorrà continuare a leggere le mie elucubrazioni. Ci si trova, come d'obbligo, all'arrivo, cioè al parcheggio davanti il Museo Retico di San Zeno dove è ancora possibile parcheggiare e lasciare le auto incustodite per alcuni giorni per poterle poi riprendere al ritorno da


2 San Romedio. Il gruppo si forma subito, ci si studia, non come avversari ma come potenziali amici o perlomeno compagni di cammino. Oltre a qualche faccia nota, la cui conoscenza risale all'esperienza del precedente anno o a qualche vagabondata satina, si trova gente di Folgarida, del Primiero, della Vallagarina ma soprattutto, ed è questa che rende la tre giorni quasi “nazionale”, gente della Toscana, da Novara e dal Veneto. Possiamo chiamarli pellegrini? In tutto una trentina di persone che riempiono la corriera che scende verso Cles come forse neanche in piena stagione (forse sono gli zaini che ingannano). A Cles la prima tappa, da copione, è la Chiesa Parrocchiale dedicata a S.Maria Assunta, dove ci aspetta la benedizione del parroco. Buon Cammino è il saluto di prassi che si rivolge al pellegrino. Ed il cammino inizia portandoci subito alla chiesetta di Pez, piccolo gioiello risalente al XII° sec. contenente rari affreschi che purtroppo non possiamo vedere. Da qui si digrada verso il lago ma risalendo subito nell'abitato di Maiano, con superba vista sul lago di S.Giustina. Qui altra chiesetta (chiusa) dedicata ai SS.Pietro e Paolo. Si cominciano, ed è inevitabile specie in questa stagione, le riviste dei meleti. Alcuni di questi ancora mostrano superbi i fiori, future “delizie dorate”, altri invece sono già avanti con il lavoro di inizio fruttificazione. Ed il pellegrino, camminando alla ricerca della conchiglia o del cartello in legno pitturato di nero e rosso, deve dribblare macchine e trattori, abbastanza pazienti in verità, quasi abituati allo spettacolo di pedestri itineranti senza apparente meta. Sosta in quel di Nanno dopo aver vagabondato (tra i meleti) sotto il caldo sole di maggio, precursore di una (si spera) calda ma non troppo, estate. Nel frattempo una signora dell’Associazione Anastasia ci illustra (con competente quanto entusiastico eloquio) la chiesetta, anche questa piena di affreschi di valore, di S.Vigilio. Questi capolavori sono visibili solo, purtroppo, in queste occasioni ma sul sito dell’Associazione vi sono chiaramente indicate le modalità di un’eventuale fruizione passeggera. Si passa altresì davanti (complice una speciale dispensa del proprietario) a Castel Valer, privato, altrimenti visibile solo da lontano. Dopo la sosta nella piazza di Nanno, dove il supporto del vicino bar è quanto mai importante, si riparte verso il castello omonimo e la frazione di Pavillo, con un’altra chiesetta di mirabile fattura. Da qui scavalliamo per dirigerci verso Tuenno, dove arriviamo attraversando la SP., proprio davanti la chiesa parrocchiale dedicata a S.Orsola (la visita delle chiese, nei giorni assolati, è doppiamente rinfrescante, per lo spirito e per il corpo). Ulteriore sosta per sorbire un ottimo gelato (ricordate la “materia” gastronomia?) e poi ancora una particolare chiesetta, a pianta ottagonale, nella parte alta del paese. Si risale, con non poca fatica (il caldo e la strada cominciano a farsi sentire), fino a percorrere un tratto della strada che porta al lago di Tovel fino all’amena chiesetta di S.Emerenziana, posta su un colle poco fuori il paese. Qui, naturalmente, foto di gruppo e poi discesa dapprima verso la vecchia centrale, e poi verso gli ultimi chilometri. (Forse) Unico neo dell’itinerario odierno è proprio la risalita della SP. 73 fino a Terres dapprima (chiesa dei SS.Filippo e Giacomo e, sovrastante questa, la chiesetta del XIII sec. dedicata a s.Giorgio) e la vicina Flavon poi, ora legate nello stesso sodalizio comunale di nuova fattura (ed antico nome) del Contà. Facile rilevare come la presenza di due chiese a distanza ravvicinata sia indicativa della crescita demografica ed economica. Chiudendo la tappa (i km sono 22 ca.) ci fermiamo all’Agritur all’inizio dell’ormai località. Cena al vicino albergo Centrale. Per la seconda giornata, un fresco ma soleggiato sabato, si parte dopo un’abbondante colazione all’Agritur che ci ha ospitati per la notte. Purtroppo non è possibile entrare nella chiesa di S.Giovanni Battista di Flavon (chi doveva portare la chiave si sarà addormentato) ed il pellegrino è quindi costretto a rinunciare al primo“timbro” di giornata. Risaliamo quindi il paese verso il campo sportivo e la pineta (grotta della Madonna), posti nella parte alta del paese e poi sempre in altura passiamo il bel laghetto Corona, nel folto bosco. Qualcuno (pochi in verità) si dichiara dispiaciuto di non aver potuto dormire, pur nel silenzio quasi


assoluto. Io, in verità, ho letto fino a tardi ed ho iniziato a buttar giù questo resoconto col mio inseparabile computer che mi segue sempre. E' vero, devo fare il “mea culpa”: non mi so staccare più dal mondo della chincaglieria digitale. Smartphone, computer, tablet e quant'altro costituiscono, insieme all'andar per monti, la mia tentazione ed il mio peccato, in cui indulgo molto (troppo) spesso. Peccato conclamato del quale tuttavia non mi so pentire. Forse per questo mi sono avvicinato al Cammino, per un bisogno inconscio di perdono che spero mi sarà concesso. Continuando sul nostro percorso passando sopra l'abitato di Cunèvo ne raggiungiamo le due chiese, l'una nuova l'altra di stampo gotico. Si sale al Castel La Santa, vecchio romitorio dei Cavalieri Teutonici ed ora possedimento della Curia ma sede d'azienda agricola. Sui monti davanti, anche se non visibili dallo spiazzo antistante il castello, i ruderi di un altro maniero: Castel Corona. Proseguiamo tra le reti che delimitano la proprietà e scendiamo, quasi, fino a Termon per risalire immediatamente verso la “Cima Coppi” del nostro giro, il suggestivo eremo di S.Pancrazio, intorno a quota 750. Nell'ampio spiazzo anche una fontana che sgorga acqua 3 non benedetta ma sicuramente molto apprezzata per le assetate gole dei pellegrini. Per una erta stradina nel bosco si scende restando comunque sopra il paese di Campodenno, e poi ci dirigiamo, stavolta per il desinare, verso Lover per un'antica strada romana. Qui l'unico bar-negozio del paesino tiene appositamente aperte le sue porte per noi pellegrini, dandoci la possibilità di usufruire dei servizi e del caffè di fine pasto, che ognuno si è procurato la mattina stessa prima della partenza. Dalla chiesa ottocentesca scendiamo ancora, senza però visitare Castel Belasi, la cui mole è molto più imponente da lontano che non da vicino, essendo in ristrutturazione. Raggiungiamo il Maso Cova e la stazioncina di Crescino, posta aldilà della SS.43 (ma c'è il sottopasso, da dove si può giungere anche al biotopo La Rocchetta, piccola area protetta posta proprio all'imbocco della Valle). Saliamo tutti sul Treno della mitica “Vaca Nonesa”, come era chiamata dai nostri padri di cui ormai resta solo l'ardito tracciato, che collega tuttora Trento, la Val di Non e le piste da sci di Marilleva. Se memoria non mi inganna la ferrovia fu costruita ancora dall'Impero Asburgico agli inizi del secolo scorso (mi piace questa espressione, definire il XX° secolo il “secolo scorso”, anche se mi fa sentire più anziano di ciò che sono, poiché vi appartengo). Di recente acquisita da Trentino Trasporti è stata dotata di nuovi treni “Minuetto”, comode ed ergonomiche vetture che i pendolari delle grandi città del nord ci invidiano. Pochi minuti (forse secondi) per attraversare il Noce e scendere alla fermata successiva di Masi di Vigo, per risalire la china verso la meta di giornata. Attraversiamo la vecchia statale ed imbocchiamo la SP. in loc. Castelletto, continuando a salire, sotto il sole che continua ad accompagnare il nostro cammino. Le case dei Masi, a metà tra modernità e classica architettura rurale, ed i loro abitanti vedono passare e sostare alle loro fontane strane immagini di uomini e donne con lo zaino, i bastoncini ed il sudore sulla fronte. Nei volti dei pellegrini, comunque, oltre la fatica si può leggere una pace interiore che rende i passi meno pesanti ed i sorrisi “dell’altro”più accoglienti. Davanti alle piccole chiesette ed ai panorami della natura che si presentano dall'alto, ognuno è solo quello che sembra, un pellegrino che porta le sue stanche ossa verso una meta sconosciuta, oppure conosciuta ma sempre nuova. Dopo una visita alla panoramica chiesa dei Masi (settecentesca) un tratto nel bosco, ancora in salita, sulle tracce dei “Percorsi d'Anaunia”. Poi piano piano digradiamo verso Vigo di Ton dove tutti, prima di separarsi per recarsi ai luoghi di sosta notturna, sparpagliati per il paese, fanno scorta al negozio di alimentari ed io e pochi altri ci rechiamo alla Pieve di S.Maria Assunta, la chiesa del paese. Qui abbiamo la fortuna di trovare la custode (credo) che ci racconta qualche storia a proposito della chiesa e del Castello e ci stacca l'allarme per permetterci di vedere, nella sacrestia altrimenti inaccessibile, tre lunette di Francesco Guardi, rinomato pittore noneso del '700, di scuola veneziana, fratello di Gianantonio (anch'esso pittore e


titolare di bottega in Laguna) e di Maria Cecilia, moglie di G.B. Tiepolo. Dopo l'inatteso regalo artistico andiamo a riposare le ossa nell'Agritur assegnatoci (nel mio caso Al Castello, proprio sotto Castel Thun, nel piccolo borgo di Nosino). La sera, dopo una doccia ed un cambio d'abito, cena “di gala” al Castello. Terza giornata, domenica, dedicata ai Cammini Francigeni e che si avvale della partecipazione di molte altre persone che vogliono condividere con i Pellegrini le ultime tratte del Cammino fino a S.Romedio. Io, che avrei la possibilità d’attendere il gruppo ai piedi del Castello insieme ai miei coinquilini dell’Agritur omonimo (l’ospitalità Anaune che ho avuto modo di apprezzare, è assolutamente di prim’ordine) scendo invece in paese per accogliere mia moglie, mio figlio ed i suoceri che ho convinto a condividere quest’ultimo atto della mia personale, anche se condivisa, Via Crucis. Ma qual dolce è il cammino, con a fianco chi si ama. E così, lasciando Vigo di Ton alle prese con una specie di Magnalonga (Tondando con gusto) risaliamo (circa 70 le persone partecipanti) verso il castello, la piccola chiesetta si S.Antonio (sempre purtroppo chiusa) e la stradina che ci porta, attraverso la valle amena solcata dal Rio Pongaiola, verso Dardine e la piccola ma stupenda (per i suoi affreschi coloratissimi) chiesa di S.Marcello. Qui ancora l’Associazione Anastasia fa partecipe il gruppo della storia e dei significati delle stupende immagini. La chiesa è comunque sempre aperta e raggiungibile. Di nuovo sulla strada dopo la sosta e di nuovo, purtroppo su asfalto, che con la sua piattezza mette a dura prova la pianta dei piedi di chi, calzando magari scarponi da montagna, è abituato al terreno sconnesso ed irregolare dei sentieri alpestri. Dopo Mollaro attraversiamo la valletta del Rio Maggiore dirigendoci dapprima al centro sportivo di Tuenetto e poi, con breve risalita sulla SP, fino a Torrà con la Pieve di S.Eusebio, aperta per l’occasione assieme alla foresteria dell’ex convento, per affidare al gruppo i servizi necessari alla sosta del pranzo. Da Torrà si scende poi attraverso Segno dalla cui piazza la statua torreggiante di Padre Eusebio Chini saluta il gruppo. Purtroppo quasi sempre su asfalto si sale e si scende fino alla quasi castellana mole di Maso Castello, preludio al Castello vero e proprio poco più in là, Castel Bragher, appunto che ha davanti una piccola chiesetta sulle cui mura esterne ancora si vedono lacerti di affreschi, immerso in una abetaia dove (mi dicono) vi sono parecchi esemplari di abeti centenari. Ancora una lunga anche se relativamente lieve salita (alcuni cambi di pendenza la rendono tuttavia assai faticosa) fino a trovarsi di fronte le ancor lontane case di Coredo. Nell’antico paese (bei palazzi di nobiltà rurale, le strette vie, la sagoma della vecchia chiesa nella parte alta e l’antico castello ne dimostrano l’età) troviamo alfin sollievo delle fatiche con una sosta all’affollato bar sottostante lo spiazzo ecclesiale. Ripreso il cammino per l’ultima asperità della giornata, la salita ai laghi gemelli (artificiali ma suggestivi) di Tavon e Coredo, divenuti con le prime giornate di sole meta di un folto stuolo di turisti. Finito il paesaggio lacustre scendiamo per la ripida erta che in pochi minuti ci porta alle porte, letteralmente, di San Romedio, stupendo esempio di monastero nato da un eremitaggio sulla roccia che si è ampliato poi fino a diventare il Santuario che è attualmente, gestito dai monaci francescani. Qui, alla fine del cammino, Padre Mario, priore del convento, ci accoglie con il rito dell’incenso, breve ma intensa immersione nella sacralità del luogo e delle nostre stanche membra. Le dure e scomode panche danno inaspettato sollievo dopo la silenziosa salita alla cappella più alta del Santuario. Qui benedizione finale e poi altrettanto silenziosa discesa fino 4 all’atrio dove, un po’ rumorosamente in verità, il gruppo espleta la foto di rito e si commiata, dopo naturalmente una breve visita al sottostante recinto dell’orso, intento alla pennichella pomeridiana incurante dei richiami dei molti bambini fin lì giunti per ammirarne in sicurezza la pelosa mole. Ultime considerazioni Ho vagato molto, spesso a vuoto. E lo farò ancora perché credo sia insito nell’uomo quel masochismo latente che lo costringe a peregrinare in cerca di qualcosa che nemmeno lui conosce, forse di sé stesso, anzi sicuramente di sé stesso. Siamo tutti psicologi autodidatti che cercano il proprio “io” più nascosto tra le pieghe del mondo e non sdraiati su una chaise longue da psichiatra. Ho percorso il Cammino Iacopeo d’Anaunia cercando vicino a casa quello che, per motivi di tempo e di lavoro, non ho potuto cercare altrove, nei luoghi reputati al Pellegrinaggio vero e proprio. Cosa ho trovato? E soprattutto, ho trovato? Ho trovato la montagna, ho trovato la gente, ho trovato la storia, ho trovato mani gentili e parole buone, ho trovato vecchie credenze e storie, ho trovato sorrisi e sguardi sospettosi insieme a sudore e polvere. Ho trovato ciò che


cercavo? Credo di sì, soprattutto mi sono reso conto che ciò che cercavo era già in mio possesso o comodato d’uso. Ho trovato l’uomo che è in me e il Dio che è negli altri. E forse ambedue le cose contemporaneamente. Abbiamo demandato la formulazione di domande e la ricerca di risposte a psichiatri, sacerdoti, politici quando bastava guardarsi attorno e mettersi per un momento negli occhi di chi ci stà davanti, del prossimo. Non voglio fare della filosofia spicciola, anche perché non ne ho le basi culturali quindi chiudo in fretta, anche per non annoiare ulteriormente chi mi stà leggendo. Il Cammino, come tutti i cammini (leggi anche Vite) è mutevole e costante, lungo e breve, utile o inutile, veloce o lento, dolce o salato, doloroso o appagante ma comunque vale la pena di affrontarlo sempre perché, come diceva un noto poeta romano “La vita è adesso, il sogno è sempre”. Enrico Menestrina

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7 Lista delle foto 1. La conchiglia che indica il Cammino 2. Il laghetto Corona, tra Flavon e Cunèvo 3. Interno della chiesa di S. Marcello, a Dardine 4. S.Romedio 5. L’orso nel recinto dell’Eremo 6. Castel Bragher, nei pressi di Coredo 7. Il lago di S.Giustina da Cagnò


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