Sat Lavis Piazza Loreto, 3
Febbraio 2016 Numero 1
Lavis
2016, l’anno del Congresso E’ fisiologico. Niente resta immutato. Nemmeno il tempo che, inesorabilmente, passa. In questa nuova veste ci presentiamo a Voi, nostri ci auguriamo anche per l’anno appena cominciato, Soci ed Amici. Forse leggerete questa “rivista” o “newsletter, come dicono quelli bravi, ad assemblea già avvenuta (credo che la data ad oggi sia stata fissata ai primi giorni di febbraio addirittura ma essa vede la luce, seppur abbozzata, negli ultimi scampoli del 2015. Vorrei sapere che cosa ne pensate, se è di Vostro gradimento
e soprattutto se ciò che si scrive qui sopra, mondato dalle convinzioni e pensieri miei personali che inevitabilmente affiorano, è di Vostro interesse.
Buon 2016! Itinerante, come sempre! Naturalmente , come si evince dal titolo quasi apocalittico, l’anno appena iniziato sarà una grande sfida per Lavis e la sua Sat. Una sfida resa, se possibile, ancora più ardua dal sodalizio, sicuramente non comune nei borghi del nostro bel Trentino specie quelli confinanti, tra ben tre sezioni SAT : la nostra, quella del vicino Pressano e della poco distante Zambana. Una sfida che, seppure ancora in corso d’opera, ha buonissime prospettive di essere vinta. Il lavoro preparatorio, tutt’ora in corso e che non sarà finito fino al termine della manifestazione, ha occupato (ed occupa) molte ore delle giornate e delle serate dei membri del Comitato direttivo (non si chiama così ma il nome fa capire il contenuto) tra cui i Presidenti delle tre sezioni
ed altri tre membri, due per ogni sezione quindi. Quando si partecipa ad un evento sicuramente i più non pensano a tutto il lavoro di contatti, profferte, rifiuti, contrattazioni sfibranti (specie quando si deve badare al budget) e quant’altro quelle poche ore di evento nascondono dietro le quinte. E’ come una commedia che si deve cominciare a provare molto prima della sua messa in scena e, fino alla fine, non si sa se sarà apprezzata o se ci sarà l’immancabile granellino di sabbia che farà ingrippare l’intero ingranaggio. Un risultato comunque importante si è ottenuto: pur nella propria indipendenza ogni sezione ha riscoperto il piacere della collaborazione, della litigata che finisce dietro le spalle con una risata, del contare sugli altri sapendo di trovarsi di fronte persone con un obbiettivo comune.. E, senza nulla togliere a Stefano Fava Presidente di Pressano (che ha comunque caldeggiato l’avvio del progetto), molto si è fatto grazie alle due infaticabili Presidenti rispettivamente di Lavis e Zambana: Clara Rossatti e Adriana Moser. E se la donna, intesa come lavoratrice e asse portante della montagna Alpinistica e Mediatica è il tema del Congresso SAT 2016 che si svolgerà a Lavis-Pressano-Zambana sarà un caso? Per dirla come nei trailer cinematografici dunque, “Montagne al Femminile” da ottobre 2016!
"El canef s’el somena sul colmo de luna de april” (da “Antica saggezza dei nostri nonni” di Umberto Raffaelli-2015 Ed. Programma)
Dall’Enciclopedia delle Dolomiti –Protagonisti Erich Abram, dall’A.Adige al K2 (Vipiteno 1922) Iniziò ad arrampicare giovanissimo, durante gli studi a Innsbruck fece vie molto difficili nel Kaisergebirge. Arruolato nelle truppe alpine nella seconda guerra mondiale fu nel Caucaso, poi in Grecia ed in Cecoslovacchia. Dopo la prigionia in Russia tornò a Bolzano nel 1948. Ricominciò ad arrampicare in Dolomiti con un gruppo scelto dell’AVS; si distinse ripetendo le grandi vie in
Marmolada. Aprì itinerari di notevole impegno come, nel Gruppo di Sella, lo spigolo SE del Piz Ciavazes (1953 con Gombocz) e la parete NO del Sass Pordoi (1953, con Osio e Pertl). Guida alpina dal 1954, nello stesso anno fu l’unico alpinista altoatesino invitato nella spedizione italiana al K2. Con Bonatti e lo hunza Mahdi portò le bombole di (continua a pag.3)
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Considerazioni Camminando per sentieri con gruppi più o meno eterogenei, spesso si chiacchiera di un po' di tutto, dal cibo, alle vacanze, alla famiglia e ovviamente di montagna. Talvolta si intercettano discorsi del tipo: "L'andare in montagna costa fatica e chi ci va è più 'bravo' di chi non ci va" (bravo nel senso di onesto, disponibile, rispettoso). L'andar per monti come marchio di rispettabilità dunque. E' vero che andare per monti costa più fatica che andare a far shopping in un mega-centro (in realtà per alcuni, fra cui il sottoscritto vale proprio il contrario, ma si sa che io non sono certo un buon rappresentante della popolazione media), ma siamo proprio sicuri della validità dell'equazione montagna=brave persone?? Vi posso raccontare la mia esperienza personale, non solo di assiduo montanaro, ma soprattutto di compagno di sentiero di centinaia di persone. Ho visto rubare scarponi e bastoncini nei rifugi (non materialmente ma mi sono trovato di fronte al fatto compiuto, inequivocabile). Talvolta erano solo degli sbagli, delle sbadataggini da parte di qualcuno, ma talvolta non era andata proprio così. Ho sentito raccontare di due persone salite sulla Presolana, che hanno lasciato gli zaini nella sottostante grotta dei Pagani, per poi ridiscendere e non trovare più nulla. E questo è un furto vero e proprio, compiuto ben lontano dalla strada. Sul rispetto della natura è meglio calare non uno ma 1000 veli pietosi. Basta vedere le cartacce che incontriamo lungo i sentieri, le paline dei sentieri addobbate come se fossero dei pali pubblicitari o addirittura prese di mira da ignoti (ed idioti)
Continua da pag. 2 Ossigeno all’ultimo campo, per consentire l’attacco finale di Compagnoni e Lacedelli. Negli anni successivi continuò ad arrampicare; preso il brevetto di volo, partecipò come pilota di Piper e di elicottero a molte spedizioni di soccorso alpino.
Passo Falzarego, inverno 2015
Considerazioni 2° parte vandali. E' vero non sono 100 casi e neanche 10, ma ragazzi miei che rabbia nel vedere estirpare fiori e piante per giunta protette. E come la mettiamo con il rispetto delle persone? Di casi poco edificanti ne ho visti tanti! Dal peccato veniale di fregarsene del gruppo, "perché ho voglia di farmi una sgroppata" (domanda: ma perché andare con un gruppo?? Non si potrebbe andare per i cavoli propri?), al peccato decisamente più condannabile di chi si irrita perché gli altri non vanno al suo passo (nonostante fosse una tranquillissima escursione di difficoltà T). Non apro la decennale polemica sul "gioco delle fatture": il barista che ci deve dare lo scontrino e non lo fa, il dentista e l'elettrauto che devono farci la fattura (ma quando mai?). In montagna la musica non cambia poi così tanto. Io dico sempre che chi va in montagna per diletto e passione (me compreso) è in realtà un prodotto della città e della pianura e quindi percentualmente porta con sé gli stress e "le brutte cose" che vediamo ogni giorno nelle nostre città. Noi che frequentiamo la montagna non siamo diversi da "gli altri" e non abbiamo medaglie da appuntare sulla nostra maglietta. Inconsciamente, molto spesso, ci portiamo le nostre paranoie, i nostri vizi ed egoismi nello zaino, insomma la città in altura. Ma c'è da dire che in montagna ho visto anche bellissimi esempi di solidarietà: chi tende una mano al vicino di cammino, chi divide il pranzo già magro di suo, chi condivide consigli e lo fa con il sorriso sulle labbra. Anche questa è la montagna e chi la ama. Bicio, di “Zaino in Spalla”, Accompagnatore di Media Montagna
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Dalla nostra biblioteca “Gli uomini mettono in scena delle tragedie perché non credono nella realtà della tragedia rappresentata nel mondo civile.” Josè Ortega Y Gasset A cavalcioni del tetto del mondo, con un piede in Cina e l’altro in Nepal, ripuliì la maschera dell’ossigeno dal ghiaccio che vi si era condensato sopra e, sollevando una spalla per ripararmi dal vento, abbassai lo sguardo inebetito sull’immensa distesa del Tibet. A un certo livello, con distacco, comprendevo che la curvatura dell’orizzonte terrestre che s’inarcava ai miei piedi era uno spettacolo eccezionale . Avevo fantasticato tanto, per mesi e mesi, su quel momento e sull’ondata di emozioni che lo avrebbe accompagnato; e ora che finalmente ero lì, in piedi sulla cima del monte Everest, semplicemente non riuscivo a radunare energie sufficienti per concentrarmi. Erano le cinque del pomeriggio del 10 maggio 1996 e non dormivo da cinquantasette ore. L’unico cibo che ero riuscito a mandare giù nei tre giorni precedenti era una ciotola di minestra e una manciata di M&M’s. settimane e settimane di tosse violenta mi avevano lasciato lo strascico di due costole incrinate, che trasformavano in una tortura il semplice atto di respirare. A ottomila metri di quota nella troposfera, la quantità di ossigeno che giungeva al mio cervello era così ridotta che la mia capacità mentale era diventata quella di un bambino ritardato. In quelle circostanze, ero incapace di provare granché, tranne freddo e stanchezza. Ero arrivato sulla cima qualche minuto dopo Anatoli Boukreev, una guida russa che lavorava per una spedizione commerciale americana, e poco prima di Andy Harris, una guida della squadra neozelandese a cui appartenevo. Mentre conoscevo appena Boukreev, avevo finito col conoscere bene ed apprezzare Harris durante le sei settimane precedenti. Scattai in fretta quattro fotografie a Harris e Boukreev in pose eroiche sulla vetta, poi mi voltai per iniziare la discesa. L’orologio indicava l’una e diciassette del pomeriggio. Tutto compreso, avevo trascorso meno di cinque minuti sul tetto del mondo. Un istante dopo mi fermai a scattare un’altra fotografia, questa volta guardando in basso lungo la Cresta Sud-Est, la via da cui eravamo saliti. Puntando l’obiettivo su un paio di scalatori che si avvicinavano alla vetta, notai qualcosa che fino a quel momento era sfuggito alla mia attenzione. A sud, là dove il cielo fino a un’ora prima era perfettamente limpido, una coltre di nubi nascondeva ora il Pumori, l’Ama Dablam e tutte le altre vette minori che circondano l’Everest. In seguito—dopo che erano stati localizzati sei cadaveri, dopo che erano state sospese le ricerche di altri due scalatori, dopo che i chirurghi avevano amputato la mano destra del mio compagno di squadra Beck Weathers, attaccata dalla cancrena—tutti si sarebbero chiesti come mai, quando le condizioni meteorologiche avevano cominciato a peggiorare, gli alpinisti sulla parte superiore del tracciato non avessero badato a quei segnali. Per quale motivo guide alpine veterane dell’Himalaya avevano continuato a salire, sospingendo in avanti una banda di dilettanti relativamente inesperti, ciascuno dei quali aveva pagato fino a sessantacinquemila dollari per essere portato sano e salvo in cima all’Everest, cacciandoli in una trappola mortale così evidente? Nessuno può parlare a nome delle guide dei due gruppi in que
stione, perché sono morte entrambe: ma io posso testimoniare che nulla di ciò che avevo visto nelle prime ore del pomeriggio di quel 10 maggio suggeriva che si stesse addensando una tormenta micidiale. Alla mia mente deprivata di ossigeno, le nuvole che aleggiavano lungo la grande vallata di ghiaccio nota come Western Cwm *o Cwm occidentale sembravano innocue, soffici e inconsistenti. Sfavillanti al sole intenso di mezzogiorno, somigliavano in tutto e per tutto a quegli innocui sbuffi di condensa causati dalla convenzione che s’innalzavano dalla valle quasi tutti i pomeriggi. Mentre cominciavo la discesa ero molto in ansia, ma la mia preoccupazione aveva poco a che fare con le condizioni atmosferiche: il controllo della valvola della mia bombola di ossigeno mi aveva rivelato che era quasi vuota e dovevo scendere al più presto. Il tratto superiore della cresta Sud-est dell’Everest è una sottile pinna di roccia e neve battuta dal vento, percorsa da una massiccia cornice, che serpeggia per quattrocento metri tra la sommità e un’anticima più in basso nota col nome di Cima Sud. Percorrere questa stretta cresta non presenta gravi problemi tecnici, ma si tratta di un percorso pericolosamente esposto. Dopo aver abbandonato la vetta, quindici minuti di cauta discesa sul ciglio di un abisso profondo oltre duemila metri mi consentirono di raggiungere il famigerato Hillary Step, un risalto piuttosto marcato nella cresta che richiede qualche manovra tecnica. Mentre mi agganciavo a una corda fissa, preparandomi a calarmi dallo spuntone di roccia con la tecnica della corda doppia, notai uno spettacolo allarmante. Una decina di metri più in basso, c’era oltre una dozzina di persone in fila alla base del risalto. Tre scalatori si stavano già issando in cima alla corda lungo la quale mi preparavo a scendere. L’unica scelta che mi restava era sganciarmi dalla corda di sicurezza comune e farmi da parte. Quell’ingorgo comprendeva scalatori che appartenevano a tre spedizioni diverse: la squadra della quale facevo parte io, cioè un gruppo di clienti paganti sotto il comando della celebre guida neozelandese Rob Hall: un altro gruppo organizzato , guidato dall’americano Scott Fisher, e una spedizione non commerciale di Taiwan. Salendo a passo di lumaca, l’andatura normale al di sopra dei 7900 metri, i numerosi scalatori risalirono uno alla volta lo Hillary Step, mentre io aspettavo in ansia.
*Il western Cwm (pronuncia kuum) fu battezzato così da George Leigh Mallory, che fu il primo a vederlo durante l’esplorazione iniziale dell’Everest organizzata nel 1921 e partita dal Lho La, un passo elevato sul confine tra Nepal e Tibet. Cwm è una parola celtica che significa “valle” o “circo morenico”. Ben presto Harris, che aveva lasciato la vetta poco dopo di me, mi raggiunse. Desideroso di conservare tutto l’ossigeno che mi restava nella bombola, lo pregai di infilare la mano nel mio zaino per chiudere la valvola del regolatore, e lui obbedì. Nei dieci minuti seguenti mi sentii straordinariamente bene; la testa mi si era schiarita e avevo l’impressione di essere meno stanco di quando avevo respirato l’ossigeno della bombola, Poi all’improvviso mi parve di soffocare; la vista mi si oscurò e fui assalito dalle vertigini. Ero sul punto di perdere i sensi. Invece di spegnere la valvola dell’ossigeno, Harris, anch’egli danneggiato dallo stato di
*Il western Cwm (pronuncia kuum) fu battezzato così da George Leigh Mallory, che fu il primo a vederlo durante l’esplorazione iniziale dell’Everest organizzata nel 1921 e partita dal Lho La, un passo elevato sul confine tra Nepal e Tibet. Cwm è una parola celtica che significa “valle” o “circo morenico”. Ben presto Harris, che aveva lasciato la vetta poco dopo di me, mi raggiunse. Desideroso di conservare tutto l’ossigeno che mi restava nella bombola, lo pregai di infilare la mano nel mio zaino per chiudere la valvola del regolatore, e lui obbedì. Nei dieci minuti seguenti mi sentii straordinariamente bene; la testa mi si era schiarita e avevo l’impressione di essere meno stanco di quando avevo respirato l’ossigeno della bombola, Poi all’improvviso mi parve di soffocare; la vista mi si oscurò e fui assalito dalle vertigini. Ero sul punto di perdere i sensi. Invece di spegnere la valvola dell’ossigeno, Harris, anch’egli danneggiato dallo stato di ipossia, aveva per errore aperto la valvola al massimo, vuotando del tutto la bombola. Avevo appena sprecato l’ultima riserva di ossigeno che mi restava. C’era un’altra bombola che mi aspettava alla Cima Sud, cento metri più in basso, ma per arrivarci sarei dovuto scendere attraversando il tratto di terreno più scoperto di tutto il percorso senza il beneficio dell’ossigeno supplementare. E prima dovevo aspettare che la folla si disperdesse. Mi tolsi la maschera ormai inutile e, piantando la piccozza nel fianco ghiacciato della montagna, mi accovacciai sulla cresta. Mentre scambiavo banali congratulazioni con gli scalatori che mi sfilavano davanti, dentro di me ero frenetico: “Presto, fate presto!” pregavo in silenzio. “Mentre voi altri vi gingillate quassù, io perdo neuroni a palate!” Quasi tutti quelli che mi passavano davanti appartenevano al gruppo di Fischer, ma verso la fine comparvero due dei miei compagni, Rob Hall e Yasuko Namba. Timida e riservata, la quarantasettenne Namba sarebbe diventata fra quaranta minuti la donna più vecchia che avesse mai conquistato l’Everest e la seconda giapponese che avesse scalato le cime più alte di tutti i continenti, le cosiddette Sette Sorelle. Benché pesasse appena quarantacinque chili, le sue proporzioni fragili nascondevano una forza di volontà formidabile; era impressionante vedere come Yasuko fosse stata sospinta verso la vetta dall’incredibile intensità del suo desiderio. Ancora più tardi, arrivò in cima allo Step anche Doug Hansen, un altro membro della nostra spedizione. Doug era un impiegato postale proveniente da un sobborgo di Seattle, che era diventato il mio migliore amico su quella montagna. “Ce l’hai fatta!” gridai nel vento, cercando di mostrarmi più entusiasta di quanto non fossi. Doug, esausto, mormorò qualcosa che non afferrai dietro la maschera a ossigeno, mi strinse la mano con un gesto fiacco e riprese ad avanzare faticosamente. In fondo alla corda c’era Scott Fischer, che conoscevo perché vivevamo entrambi a Seattle. La forza e l’energia di Fischer erano leggendarie, tanto che nel 1994 aveva scalato l’Everest senza usare le bombole a ossigeno; per questo rimasi sorpreso vedendo che si muoveva al rallentatore e accorgendomi di quanto fosse sfinito quando si scostò la maschera per salutarmi. “Bruuuuuce!” ansimò con allegria forzata, scambiando con me il suo caratteristico saluto fanciullesco. Quando gli domandai come stava, Fischer insistette che si sentiva magnificamente . “Solo che batto un po’ la fiacca, non so perché. Niente di particolare”. Ora che lo Hillary Step era finalmente libero, mi agganciai alla corda color arancio, aggirai in fretta Fischer mentre si chinava sulla piccozza e mi calai oltre il ciglio della roccia con la corda doppia. Quando raggiunsi la Cima Sud erano le tre appena passate. Ormai tentacoli di nebbia si allungavano oltre la cima del Lhotse, alto 8516 metri, lambendo la piramide superiore dell’Everest. Il tempo non aveva più un aspetto così benevolo. Afferrai una bombola ad ossigeno nuova, vi applicai il regolatore e mi affrettai a scendere, addentrandomi nella nube che si addensava. Pochi istanti dopo essermi calato dalla Cima Sud, cominciò a nevicare leggermente e la visibilità si ridusse quasi a zero. Un centinaio di metri più in alto, dove la cima era ancora inondata dalla luce intensa del sole sotto un cielo color cobalto senza un’ombra, i miei compagni indugiavano per immortalare il loro arrivo sul punto più alto del pianeta, svolgendo bandiere e scattando foto, sprecando secondi preziosi. Nessuno di loro immaginava quale terribile prova si stesse avvicinando; nessuno sospettava che alla fine di quella lunga giornata ogni minuto sarebbe stato vitale.
Proposte di cammino... In collaborazione con “Itinerari e Luoghi” una proposta per la visita (a piedi) di un luogo particolare. Abbiamo pensato di cominciare con la non certo decaduta Vienna, di cui troverete l’articolo qui, al link qui sotto VIENNA
Scialpinistica 13 febbraio CIMON DI BUSA GRANA (2510 M.) Gr. Lagorai Sostituita l’anno scorso per “impraticabilità di campo”, come direbbero quelli che di calcio ne capiscono, riproponiamo quest’anno l’interessante CIMON DI BUSA GRANA. Da Masi di Cavalese saliamo fino alla loc. Tabià. Ivi calzati gli sci percorreremo la strada forestale della Val Forame sulla sx. idrografica del Rio omonimo. Fino a q. 1550. Proseguendo sulla sx. supereremo la bella piana del Mugon dei Manzi per dirigerci verso dx. fino a giungere al Lago Forame. In seguito punteremo alla sella di fronte a noi dove lasceremo gli sci per proseguire a piedi lungo la cresta fino alla croce di vetta.
Difficoltà: BSA Attendendo la neve……..
Qui sotto-una sosta durante una SA dello scorso anno
Partenza: Loc. Tabià Tempo: 5.30 ore complessive Dislivello positivo: 1398 m.
Alpinismo Giovanile 14 febbraio Odle San Valentino con la SAT Giovanile. La meta della nostra gita è il Rifugio Odle, in Val di Funes, situato a q. 2000. Lo raggiungeremo dalla Malga Zannes (dove è possibile noleggiare gli slittini per la discesa) in circa 1 ora e mezza. Presso il Rifugio abbiamo la possibilità di mangiare qualcosina di caldo (la cucina è ottima). Se il manto nevoso lo permette effettueremo la discesa fino al paese di S.Maddalena. Obbligatorio il casco per la discesa con slitta e/o bob. Speriamo, naturalmente, nella neve.
Qui sotto: in cima ad un pendio innevato, con gli sci o le ciaspole ai piedi. Cosa volete di più dalla vita? Chi risponde “un lucano” credo si debba regolare un pochino! (o guardare meno tv)
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Ciaspolata 7 febbraio Forca Grande (2575 m.) - Gr. Putia Interessante cima che si eleva al di sopra della cittadina di Bressanone. E’ un monte per tutte le stagioni ma soprattutto d’inverno, quando i suoi candidi pendii, colorati del cangiante bianco accompagnantesi alla neve, diventano percorso e metà per sorridenti ciaspolate. Partenza—Ski Hutte Tempo — 5 ore complessive Dislivello positivo — 675 m. Difficoltà — EAIF (Escursione in Ambiente innevato Facile)
"Se se varda tute le nugole no se se mette mai en viagio” (da “Antica saggezza dei nostri nonni” di Umberto Raffaelli-2015 Ed. Programma)
Angolo della Poesia Perché a volte i bambini
Da lì in poi, quasi vecchi,
Perché a volte i bambini
Quando si fa neve l’attesa
Hanno occhi di novembre
Minacciando l’inverno
Bocca di foglie, ginocchia
Il fianco del cuore
Insanguinate, e sanno e non sanno
E forse per sempre.
Che questo tornerà, una notte O forse il primo giorno
Giancarlo Sissa
Di lavoro, come un salto
Di là dal muro—o il giorno Del matrimonio—non ci penseranno Per molto tempo, se avranno Tempo, se a volte
Cappella di Maranza (Marzola )
Sanno e non sanno che i baci E gli insulti e l’estasi immobile Del ricordo che spalanca La bocca sarà più loro,
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Altre proposte della sezione: 28 febbraio, luogo da destinarsi Gara di sci nordico per le Sezioni SAT Trofeo “Caduti della Montagna”. Come diceva qualcuno “Libertà è partecipazione!” Vi aspettiamo! Proposte di Stagione—Da “Escursioni con le ciaspole nelle Dolomiti” (Stimpfl-Oberrauch)
Pala di Santa/Zanggenberg Si parte dal parcheggio del Passo di Lavazè (1825), tra le valli d’Ega e di
punto di arrivo dello skilift( sempre tenendosi leggermente a dx.) restano
Fiemme, una delle zone più note per lo sci di fondo. Percorriamo la strada da coprire gli ultimi 20’ di strada che separano dalla lignea croce di vetta verso BZ per circa 200 m. in direzione bolzano finoa incontrare sulla de-
(2488), con libro su cui lasciare la propria firma. Tempo di percorrenza dal
stra, in prossimità del cartello P.Pampeago. Il sentiero n°9 diretto ad est.
Passo di Pampeago 1.30 ore. In vetta si è ripagati da un grandioso panora-
La via pianeggiante ai piedi del fianco nord della Pala di Santa traversa
ma circolare sulle cime dolomitiche vicine e lontane., fino al crinale alpino
prima un prato e poi, restringendosi, un magnifico bosco d’alto fusto.
principale: a sud della V. di Fiemme si scorgono i profili piramidali del
Dopo un tratto in leggera salita, si restringe ancora per scendere con
Lagorai; verso il Garda svetta il Gruppo Adamello-Brenta, dietro di esso
pendenza moderata lungo una pendice boschiva. I pinnacoli del Latemar
l’Ortles, a est di quest’ultimo le Breonie di Ponente e le alpi Venoste e
occhieggiano ripetutamente tra le chiome degli alberi. In questo tratto, il
Passirie; davanti e tra queste spuntano la Mendola, le Alpi Sarentine e lo
paesaggio finora ameno muta all’improvviso rivelando un bosco devasta-
Sciliar. Attenzione a non avvicinarsi troppo al bordo del crinale, poiché il
to dal bostrico (insetto parassita). Dopo un’ora si affrontano ancora 15
versante sud cade a picco ed il vento può formare pericolose cornici di
minuti di salita (sempre s. n°9), fino al P.Pampeago. Dal passo si piega a
neve. Il ritorno segue le tracce della risalita. Suggeriamo una puntatina
dx. e, attraversato un bosco di cirmolo, si sbocca sulla pista da sci che
alla Malga Ganischger (2010), presso la stazione SE e in 15’ di comodo
scende dalla Pala di Santa e che va seguita all’insù tenendosi sul lato
sentiero pianeggiante si giunge alla Malga frequentata dagli sciatori.
destro al limitare del bosco. Superato un gradone naturale si arriva sul crinale di vetta, pianeggiante e privo di vegetazione arborea. Raggiunto il
Tempo 5 ore totale
Dislivello 670 m.
Diff. MD
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