Roma West

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'ROMA WEST' ANDANTE VOLENDO USCIRE PAURA DI ESSERE INERMI SCUDI FINITI SOLO LO SGUARDO

Arti Civiche 2015



NOI: Marina Amaral, Lorenzo Annibale, Lorenzo Balestra, Julia Bieler, Daniele Bobbio, Lucia Bordone, Luca Camello, Emanuele Caporrella, Francesco Careri, Micaela Costa, Francesca Duca, Ane Elizegi, Stefania Falso, Elisa Garrafa, Matteo Giammuso, Ludovico Grantaliano, Gloria LapeĂąa, Giovanni Longobardi, Giulia Losito, Leticia Lyra, Cristina Marguerita, Camilla Martino, Fernando Moleta, Coste Montenegro, Enzo Nico, Gina OĹˆa, Giacomo Orondini, Fernanda Pacheco, Lorenzo Pagliara, Camila Pagnoncelli, Giulia Panadisi, Marilisa Parrella, Rodrigo Pereira, Enrico Perini, Elia Torrecilla, Patricia Torres, Benedetta Vittozzi.


1. Il 908, dopo un affollato attraversamento dell’Urbe Vaticana ci lascia sulla sponda interna del Fiume GRA. L’autista silenzioso guarda dritto. Niente domande ai passeggeri. Il suo mestiere. Passiamo di la’ nel Tunnel ‘4 febbraio’ a piedi, secondo legge. Camminiamo su prati di macerie. Ogni passaggio ne lascia. Anche noi. Fondi di un primo caffè rituale. In cerchio, i pensieri si accavallano. Chi sa e chi no. Chi non ha visto ancora e chi e’ ancora legato a quel che ha visto. Anziani abitanti di confine ci indicano la direzione. Coltivatori e allevatori di cani da guerra. Sulla via, campi di calcio, molti palloni, nessun bambino. All’ingresso di Casalotti un fontanile ci rinfresca. Ci dirigiamo verso la Foresta di Cellulosa. Qui una grande struttura abbandonata. Divieto di accesso. Vigilanza armata. Entriamo tra i vetri rotti delle serre. Muffe, funghi, carte e provette. Porta spazio/tempo. Il trasferimento e’ incompleto. Un filo di musica ci tiene in contatto con il fuori. Pesante il nostro passo. Il guardiano ci ha sentito. Usciamo. Ultima ora di sole. Cerchiamo contatti umani. Ci si disperde. Voci e gesti ancora confusi e indipendenti. Si va via, storditi.


2. Piazza Casalotti, partenza lenta, direzione Sud Est. Praterie, canyon, foreste. I cancelli si aprono al nostro passaggio. Compaiono varchi nelle recinzioni. Oggi ci siamo, di piu’, pare. Si lascia una porta lungo la via, per chi ci voglia seguire. Costeggiando un confine d’acqua, Rio Galeria ? Lo valichiamo con le nostre voci. Ancora pascoli, pecore, cavalli, recinti, nuovi cancelli. In fila indiana procediamo, finalmente un corpo, o quasi. Millepiedi attraverso il maggese. E a questo punto ci appare, luogo sacro, dopo tanto cercare, l’Aula del Muschio. Entriamo. Statue sospese, galleggiamo, ranocchie in uno stagno. Tutto e’ verde, anche le parole, umide nella nostra bocca. Densi i raggi di luce. Il sempre e il mai si confondono. Le paure svaniscono, di colpo. Si va via sicuri. Dietro la collina. Selva Nera.


3. E’ Viky l’Indiano a darci la direzione oggi. Venuto dalla citta’ sacra agli Architetti. Chandigarh. Si va. Pigramente. Selva Nera non esiste più. I suoi alberi, nelle segherie a valle, diventati parquet della cittadella nuova. Fortificata. Con piscina. Scendiamo dai bastioni. Lasciamo labili tracce. Qualcuno tenta il volo. Castelli, corti, santuari. I Giovenale, il guardiano della Porcareccia. Santi, santini. Abitanti del vecchio mondo, quando si scendeva in bici in città. Le terre di Francesco, coltivate a suoni e odori. Dietro la Quercia i cavalli del Far West. La cattedrale del loro fiato sudato. Stivali e speroni. Molti gli indizi, ma noi non li vediamo. Scarpe, impronte. A nulla serve il periscopio arancio.Tante le voci, ma noi non ascoltiamo. Non chiediamo abbastanza. Le parole ci sono già, esistono, indipendenti. Vanno solo trovate e messe insieme. Quelle giuste, quelle che aprono le porte. Magiche. Oggi no. Passiamo distratti. Discrepati. Siamo altrove. Confusi ci fermiamo. Sotto la casa azzurra dei pescatori. Attendiamo un vento favorevole, tra bandierine di preghiera in plastica e un caffè propiziatorio.



4. Selva Candida. Bonaccia. Abbiamo falciato il prato. Rossella ringrazia. Ci invita nella sua dimora. Antica. Da quarant’anni Nave Teatro. Viaggiava giornalmente verso Sud, Monte Cucco e Pomezia. Ora no.Piccolo Eden all’ormeggio. Niente derive. Il vecchio equipaggio fuso in una sola persona. Capitan Alessandro. Ci racconta la sua storia. Lo ascoltiamo. Espone sul ponte centrale. Meravigliosi macchinari e forme inverse. Cantiere di idee. Ammaliati. Dobbiamo andare.Proprio di fronte, un’altra nave, da crociera sanitaria. Bianca. Multideck. la Borgo Salute. Con lo stesso numeretto di lunghe code, mini golf in terrazza, solarium, divani ergonomici, parco giochi, shopping naturopata. Approda qui il giovedì. Dalle 7 alle 19.00. Gli altri giorni alle fermate del bus 904. Usciti ci dirigiamo al confine. Lo mangiamo per poter passare. Di nuovo sull’altra sponda. Passeggiata a Palmarola. Isola sul Fiume. Qui si va solo avanti e indietro ci spiega Desiderio. Parallelismi nel piano e nello spazio, orizzontali e verticali, niente trasversalità. Mi raccomando. Ognuno per la sua strada. Dritta. Splendido il Belvedere. Affacciati sulla cascata, di auto. I pensieri si perdono. Andiamo via. La Madonna ci regala una carta della Fortuna. Poi bus. Stazione. Treni fantasma.


5. Barricate e forze armate a Oriente mi hanno fermato. Impedito di raggiungere i miei esploratori. Li ho seguiti col pensiero. Nelle intercapedini dell’agro urbano. Attraversando allevamenti di calcestruzzi. Riposando all’ombra di pilastri. Spero non gli sia mancata la sacra polvere di caffè. Ci Vincontreremo nuovamente.


6. E le porte le troviamo, poi. Pellegrini di S. Cartone. Oggi. Una parola dopo l’altra. Cede il muro della Signora Paola alla gentilezza di suo marito Fabio. Camomilla, porci e montoni. Si apre un varco alla Tenuta Cantagallo dell’Acqua Paola. Di là, Pier Paolo Pasolini nei nostri palpiti. Tra giardini tropicali passeggiano donne tutte uguali. Volpi al guinzaglio. Poi giu’, caliamo tra gli alberi da zucchero filato. Vola nell’aria. Si posa, sulle sabbie quaternarie della sua antica via carovaniera. Lungo il Fosso a ‘ T ‘ dell’acqua traversa. Appunto. Due Fauni di Ermes ci indicano il cammino. Qui Daniel il nero. Un incantesimo. Dal 97 intrappolato. Fino a che non raccolga 100.000 coleotteri. A guardia tre vigili cani. Ci teniamo la mano. In cerchio. Invochiamo la Madonna Inzuccherata. Un chiosco ci serve sciroppo di glucosio. Sulla via una dimora indiana. Parenti lontani di Viky. Quattro fratelli. Uno adottivo. Domatori di cavalli. Secondo tradizione. Foto di gruppo. Ultima visita al museo del Polline. Risaliamo stanchi tra le colline. Sguardo sulla città. All’angolo una vecchia residenza di ricchi mercanti. Volgendoci al futuro saltiamo sull’autobus.



7. Monte del Mare. Che non c’è più. Prosciugato da piscine azzurre. Carcere di massima sicurezza. Vista mondo. Gli abitanti, ricchi mercanti di schiavi. Tanto ossessionati dal Mio, si sono imprigionati da soli. Senza più forze. stremati da ripide salite non sanno più camminare. E girano vorticosamente. Galeotti su potenti mezzi a motore. Strade circolari. Vicoli ciechi. Bisogni vietati. Si esce solo per andare nei luoghi di lavoro, sorvegliati da navigatore satellitare. Ora libera certamente in palestra, ad allenare falsi muscoli. Galleggianti in acqua ferma. Pelli sottili e glabre che mai hanno superato gli alti muraglioni coperti di rovi. Corona spinata cresciuta sui fossi. Arcaica via nomade. Inaccessibile. E noi qui. Tenacemente cerchiamo un varco. Telecamere e cancelli automatici. Ci infiliamo ovunque. Poche le persone a cui chiedere. Un raro giovane, sfuggito alla sterilità voluta e dovuta di senili homo riabilitati, Giovanni. Ci aiuta. Messaggio sferico alla Corea. Invano. Neanche la Bulgaria fa passare. L’inferno è caldo, davvero. Chiaramente è Pietro ad avere le chiavi. Tunnel nella foresta a galleria. E giù. Con le corde. Tra bambù, liane e rose. Si lacerano i vestiti. Restiamo nudi. Niente possono milioni di insetti sulle nostre carni pelose. Cacciatori raccoglitori. Urliamo. Di gioia. Costruiamo ponti per passare. Dila’. Primi da secoli. Una diversa barriera ci attende. Sonora. Allarme allarme! Echeggia la voce di Renatone nazionale. Salvi. In strada un coffee break con Francesco, il guardiano. Poi un battito di cuore su Roma. Dall’alto. E ancora a capofitto ‘no mato’. Salti nel vuoto. Variegati. Sfioriamo cime d’albero. Abbaiano cani. Insistenti. Paure e piccoli drammi interiori. Tutto finisce. Birre e patatine.



8. Onde di sbarre blu sulla battigia di Balduina Beach. Spiaggia libera. Fossile. Galleria Metruscopolitana C. Chiusa per crolli radicali. Strano. Roma Nord West si rivela. Ottusa. Automunita. Autoriprodotta. Acqua . Energia. Frutteti. Uliveti. Si scavalca qui e là. Un vizio. TheVice. Ci guardano. Tanto dove credi di andare. Rimbalziamo. Barriere in parallelo. Alta resistenza. Basta. Vogliamo fare Outing da qui. Unica possibilità. Percorso precotto. In linea. Bello che puoi anche non pensare. Che fa sempre Zen. Tapisroulant. Ti porta lui. Son tutti là. Sorridono. Regimentati. Nessun pericolo. Se cadi. Di sbucciarti i ginocchi. Niente ricordi cicatrizzati. Goffamente camminiamo. Inadatti. Ma arriviamo. Finalmente al nostro posto. Giardino delle follie proibite. Qui la via di fuga. Passaggio a Zagarolo. Decisamente. A Sud.



9. Zagarolo. Venti/venticinque passi. Sulla Via della Viscosa. Giusto il lancio di una boccia, di volo o di raffa. A indicare la meta. Oriente. Buddha compreso. Nuvole di polvere. Giallo Caldo. Albicocche. Locanda a cinque stelle. Fuoricittà. Camminando sul Grande Cardo. Ultime barriere. A maglie larghe. Cani guardiani. Abbaiano il nostro arrivo dalle vie lastricate. Alla Città delle arti. Dopo tanto andare. Dopo tante prove. Sediamo. I maestri al fianco. Sotto la grande tenda dell’iniziazione. In Sinfonia. Condividiamo i sensi. Suono, ricordo, tempo. Spazio, tratto, luce. Ognuno con la sua teknè. Acquisita lungo la strada. Due giorni e due notti. Tessiamo la tovaglia dei festeggiamenti. Infinita. Per apparecchiare il Mondo. Sono in tanti. Ambasciatori della Città nomade. E ora anche noi.



articiviche2015.wordpress.com testi: francesca duca mappa: elia torrecilla - micaela costa foto di tutti


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