Vincenzo Caruso. La fortificazione permanente in Europa e in Italia nella seconda metà dell'800

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• Vincenzo Caruso

La

fortificazione permanente in

L’evoLuzione

europa

deLLe artigLierie e La difesa degLi

e in itaLia neLLa seconda metà deLL’ottocento

stati

l 27 aprile 1846, ad opera del giovane capitano pie-

imontese giovanni cavalli , iniziarono ufficialmente gli

metri), stabilità di direzione e forza di penetrazione, consentendo di colpire e oltrepassare le cinte murarie da una distanza praticamente doppia di quella fino ad allora possibile con le artiglierie ad anima liscia. La cadenza di tiro, con l'adozione della retrocarica, divenne inoltre assai più celere.

La rigatura interna della canna, introdotta dal cavalli, modificò la forma del proietto, abbandonando la tipica palla sferica con i problemi legati alla fuoruscita laterale dei gas e alla perdita di potenza della gittata del tiro. La nuova forma ogivale del proiettile, perfettamente adattata all'anima della canna, consentiva invece di accrescerne il peso e la forza iniziale, mentre la rigatura imprimeva ad esso una rotazione intorno al proprio asse. il tiro poteva così disporre di una maggiore potenza di lancio, con un considerevole aumento della gittata (fino a 6000

grazie al generale giovanni cavalli, la storia dell'artiglieria registrò un'epoca in cui l'artiglieria del

1. Il Generale Giovanni Cavalli (1808 - 1879), inventore del cannone rigato a retrocarica.

2. Granata cilindro-conica per obice 3. Cannone “Cavalli” utilizzato nell'assedio di Gaeta e Messina 18601861. Museo dell'Artiglieria di Torino

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esperimenti di un'invenzione che avrebbe stravolto in modo radicale i sistemi di attacco, e conseguentemente quelli difensivi, nella guerra d'assedio: le artiglierie rigate a retrocarica2.

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piccolo piemonte figurò fra le prime in europa dato che egli segnò incontestabilmente la via di tutti gli studi ed i perfezionamenti che l'artiglieria ha poi conseguito; fu, come scriveva il generale petitti di roreto negli ultimi anni dell'ottocento, "il precursore ed in parte l'autore della grande rivoluzione che si operò nella seconda metà di questo secolo, nell'armamento delle nazioni". Le artiglierie rigate, che fecero ufficialmente la loro prima comparsa nella campagna d'italia del 1859 e negli assedi di gaeta e messina del 1860/613 non tardarono ad essere adottate da tutte la nazioni. La loro evoluzione, ad

opera dei proiettili “scoppianti”, produsse effetti sempre più devastanti sui materiali colpiti e consentì inoltre, la possibilità di effettuare tiri diretti e indiretti. i perfezionamenti nelle armi da fuoco portarono conseguentemente ad una drastica revisione delle strutture fortificate: la possibilità di colpire con una forza maggiore bersagli visibili con tiri diretti o arcati e di conseguire anche ottimi risultati col tiro indiretto, quando il bersaglio non era visibile, rese più vulnerabili tutte le opere fortificate costruite in pietra. a differenza dei castelli costruiti con alte mura sulla cima delle montagne, le nuove opere si abbassarono sempre più in altezza al fine di esporre al fuoco nemico superfici sempre minori. L'ingegneria militare si preoccupò quasi esclusivamente del rafforzamento degli ostacoli e delle masse di protezione. tutti gli studi furono rivolti a sottrarre le murature dall'urto dei proiettili, abbassando i cigli dei muri di scarpa in modo che questi non potessero essere colpiti sotto l'inclinazione di 1/4 o di 3/10, ritenuta superiore al massimo angolo di cadutae e ad aumentare la grossezza delle masse coprenti, perchè potessero resistere alla penetrazione dei proiettili oblunghi. si ritenne inoltre indispensabile, interporre sui rampari alti, fra i pezzi, delle grosse traverse per proteggere le artiglierie e le truppe dai temuti effetti dei tiri ficcanti e di erigere, nello spazio interno delle opere, dei traversoni, dei paradorsi ecc., sia per ricavare sotto queste grosse masse degli ampi ricoveri e dei magazzini alla prova, sia per limitare gli effetti di scoppio delle granate lanciate con grandi angoli di proiezione4. malgrado queste considerazioni, sino alla fine dell'ottocento si continuò a pensare erroneamente che le guerre si sarebbero combattute secondo la vecchia tecnica dell'assedio. poiché l'aumento della gittata delle bocche da fuoco rese inutili le cinte murarie intorno ai nuclei abitati, si pensò inizialmente di realizzare una seconda cinta di mura esterna alla prima, con un perimetro tale da tenere lontano i tiri dell'artiglieria nemiche e sottrarre le città ai bombardamenti sempre più devastanti. ma poiché l'estensione di tale cinta sarebbe risultata troppo estesa, si preferì ricorrere ad anelli di forti (campi trincerati)5 posizionati attorno ai nuclei da difendere. tutte le nazioni europee, tra cui il Belgio e la francia, che divennero modelli da imitare, adottarono questi sistemi difensivi capaci di garantire un effetto deterrente contro qualunque esercito invasore che avesse voluto minare la sicurezza di uno stato. ma nel 1870 la guerra franco-prussiana dimostrò l'inefficacia e l'inutilità delle fortificazioni francesi contro le artiglierie prussiane, compromettendo la teoria, sino ad allora mai messa in discussione, della assoluta validità della fortificazione permanente.

4. Il Campo Trincerato di Colonia da M. Borgatti, Fortificazione permanente, cit., tav. XXIV, part. 5. Il Campo Trincerato di Mestre da Venezia Fortificata, itinerari storico-naturalistici, Venezia Azienda di promozione turistica, s.d.

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i forti francesi erano considerati al tempo, un esempio di alta ingegneria militare; erano ritenuti imprendibili e tra i più solidi d'europa. Le artiglierie rigate prussiane riuscirono invece ad avere la meglio sulle distanze e a bombardare città e popolazione civile. in quell'occasione si potè notare che batterie improvvisate, nascoste in trincee o a ridosso di ripari di fortuna, essendo difficilmente indi-


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viduabili, rimanevano praticamente intatte6. La guerra franco-prussiana aprì un lungo dibattito fra gli specialisti dell'arte militare, ma tutti infine concordarono che aumentando il diametro dei campi trincerati fino a portare i forti a distanze dall'antica cinta muraria variabili tra 4000 e 6000 metri, avrebbe potuto garantire al nucleo abitato di trovarsi in una zona di sicurezza lontana dal tiro dei cannoni nemici. grazie a questa considerazione gli anni settanta del XiX secolo videro l'europa riempirsi di opere fortificate. La costruzione di nuovi campi trincerati interessò in particolare la francia, la germania e il Belgio. agli inizi degli anni ottanta nuovi esperimenti sugli esplosivi portarono alla realizzazione di proiettili dirompenti a scoppio ritardato. dopo essere penetrati nel bersaglio, l'esplosione riusciva a mandare in frantumi costruzioni ricoperte da 4 metri di terra, mentre le distanze di lancio dei cannoni francesi e tedeschi potevano ormai arrivare fino a 10.000 metri. presi dal panico, nell'inutile tentativo di non ammettere che l'era della fortificazione si era ormai conclusa, gli ingegneri militari, puntarono su soluzioni orientate all'aumento delle masse coprenti, ad interrare sempre più le costruzioni e a proteggerle con cupole corazzate o di calcestruzzo per via del fatto che era stato notato che i proiettili dirompenti venivano deviati dalle superfici sferiche, prima di esplodere. c'è da aggiungere poi che il generale alexis Brialmont artefice della costruzione del campo trincerato di anversa in Belgio, considerato all'epoca un'autorità in campo di fortificazioni e il numero uno tra gli ingegneri militari, si rivelò con le sue autorevoli teorie, un punto di riferimento per gli stati maggiori degli stati europei in merito alla convinzione che la fortificazione permanente continuava ad essere l'unico strumento da opporre alle offese nemiche. in sintesi egli continuò a suggerire modifiche al sistema difensivo tradizionale per adattarlo all'evoluzione tecnologica delle artiglierie, affermando che qualunque esplosivo e proiettile sarebbe stato contrastato da un opportuno rafforzamento delle murature dei forti perché non c'era forza prodotta dall'uomo che non potesse essere neutralizzata da una forza uguale e contraria. ma fu solo pura demagogia; gli enormi capitali investiti dalle nazioni europee, nell'ultimo ventennio dell'ottocento, non sarebbero bastati a negare, durante la i guerra mondiale, che l'era della fortificazione permanente apparteneva ormai al passato. La politica del riarmo in Italia negli anni Ottanta all'inizio di quel decennio nicola marselli, un autorevole protagonista delle vicende militari nazionali, prendendo in esame lo stato delle relazioni internazionali europee del tempo e riflettendo sul ruolo e sull'atteggiamento che l'italia doveva assumere di fronte a quelle, scriveva a questo proposito7: “Il lungo studio della storia ha ingenerato in me la convinzione che gli antagonismi nazionali, simili a quelli che oggi esistono, non si risolvono che con la lotta armata (...) . Io credo (...) che sia indispensabile l'essere preparatissimi alla guerra, anzi

2. a prendere altresì l'iniziativa, se i maneggi e gli apparecchi delle potenze avverse acquistassero un carattere minaccioso. Non basta essere desiderosi di conquistare la pace: bisogna infondere nelle altre potenze la convinzione che non si ha paura di affrontare la guerra, e si è risoluti a prendere l'offensiva sul suolo nemico, quando la guerra fosse divenuta inevitabile”8.

in queste poche frasi è percepibile, nell'ambiente militare italiano, l'imminenza di una guerra annunciata e l'italia non doveva arrivarvi impreparata. proprio a cavallo tra gli anni settanta e gli anni ottanta, le riviste tecniche militari e le commissioni segrete dei generali avevano discusso di come aumentare la forza della prima linea dell'esercito. nel 1881 infatti, il ministro della guerra, generale emilio ferrero, presentò alla camera un disegno di legge in cui proponeva di ingrandire l'esercito portando da 20 a 24 le divisioni permanenti di fanteria e da 480.000 a 610.000 gli uomini di prima e seconda linea schierabili in caso di guerra9. anche le riunioni della commissione suprema per la difesa dello stato, che furono numerose ed importanti tra il 1881 ed il 1883, pur finalizzate alla compilazione di un piano nazionale delle fortificazioni permanenti, presumevano un aumento di forza dell'esercito. e non a caso si animavano in modo particolare quando, tralasciando l'esame del sistema fortificatorio, si passava a studiare la possibilità di fare dell'esercito, reso più forte e più numeroso, uno strumento offensivo10. negli anni ottanta, invece, affermazioni perentorie come quella di marselli poco prima citata si trovavano ormai in tutte le gazzette militari; le riviste tecniche vi facevano un ricorso diffusissimo; gli stessi regolamenti ufficiali iniziavano a recepirne i principi essenziali; i piani di guerra preparati dallo stato maggiore concedevano uno spazio concreto alla possibilità di operazioni offensive. poiché negli anni ottanta, le forze armate, si sentivano depositarie di un ruolo e di una funzione nello stato, nella società, nel paese, sempre più grandi ed importanti, si esigevano aumenti notevolissimi nelle spese militari e li si ottenevano. nel campo della cultura e dell'istruzione, si spingeva perché i convitti nazionali (statali) venissero militarizzati e, sia pure nell' ossequio della cultura umanistica, venisse introdotto lo studio di materie specificatamente militari, nonché l'osservanza della più stretta disciplina militare. attraverso la creazione di «società di tiro a segno nazionale» direttamente dipendenti dal ministero della guerra si cercava di raggiungere, organizzare e mobilitare fasce di popolazione e di giovani talvolta ancora lontani dai miti militari. aumentava il numero dei deputati militari in parlamento, e cresceva in essa la percentuale dei più alti ufficiali11. tutto, insomma, nell'italia degli anni ottanta, doveva essere militare. La politica militare italiana degli anni ottanta aveva come obiettivo principale, quello di far assumere all'italia il ruolo di “'grande potenza” politica e militare e di porla, a livello europeo, al pari degli stati del vecchio continente. in questo contesto le argomentazioni sostenute da auto-

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Qualche anno più tardi, a queste affermazioni, si aggiungevano quelle del tenente colonnello di stato maggiore giuseppe perrucchetti che nel volume La difesa dello Stato. Considerazioni, pubblicato a torino nel 1884, elencava i principali argomenti degli oppositori alla fortificazione permanente: 1. Le fortificazioni ormai sono inutili, perché non resistono agli odierni mezzi d'attacco; 2. esse possono dar luogo a false manovre, esercitando un'attrazione dannosa sui generali ed impacciando la libertà di chi comanda l'esercito; 3. esse assorbono troppe forze distraendole dall'esercito, il quale, solo con l'impiego delle sue grandi masse riunite, può e deve decidere sull'esito della lotta; 4. per le odierne esigenze esse riescono troppo costose. 6. Il Generale Luigi Mezzacapo

revoli figure dello stato maggiore dell'esercito. si contrapponevano alle deboli opposizioni dei parlamentari, preoccupati delle ingenti somme da investire, e delle giovani generazioni di ufficiali, consapevoli dell'enorme progresso in termini di potenza che le artiglierie continuavano ad avere. tali critiche, trovarono come antagonisti importanti figure dell'esercito. primo fra tutti il tenente generale Luigi mezzacapo che nel volume Armi e Politica edito nel 1881, affermava che, data l'urgenza del compito, occorreva spendere per i piani di fortificazione almeno un miliardo di lire e non le poche centinaia di milioni spesi fino ad allora. riportiamo di seguito alcune sue affermazioni che consentono di comprendere il pensiero di chi non poteva assolutamente pensare di dover mettere in dubbio la validità di un esercito e di una difesa che avrebbe garantito la pace ad un giovane stato desideroso di farsi annoverare in europa tra le grandi potenze europee. “Alcuno afferma le fortificazioni nella guerra del 1870 non avere salvato la Francia, essere perciò inutili. Si può rispondere con analogo ragionamento: l'esercito francese non ha salvato la Francia, dunque è inutile avere esercito. Pur tuttavia credo non esservi uomo, che conservi ombra di senno, il quale accetti questa ultima proposizione” “Se si vuole che l'Italia abbia il diritto ed il dovere di essere annoverata, e di farsi valere come una grande potenza”, è tempo di “seguire una politica virile. Se ciò non si fa, avremo un'Italia linfatica, e malaticcia, destinata a morire di consunzione”.

infine, mezzacapo garantiva che un esteso sistema difensivo, unito a una politica di riarmo, avrebbe assicurato la pace e impedito qualsiasi rischio di guerra; avrebbe cioè avuto un sicuro effetto deterrente: “…e maggiormente saremo pegni di pace, essendo forti; poiché in tal caso se qualche velleità vi fosse in alcuno di avvantaggiarsi a nostre spese, questa andrebbe in fumo, eliminando anche una possibilità di guerra. Imperocché ricordiamoci sempre che nei conflitti d'interessi i forti si fanno la parte del leone a spese di coloro che stimano deboli, e credono potere facilmente vincere, se non si sottomettono”.

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a tali osservazioni, perrucchetti ribatteva che si trattava di critiche infondate perché provenivano “soprattutto da parte di giovani poco versati nella storia degli assedi”: erano questi a gettare discredito e confusione tra il pubblico affermando “che le nuove opere non avrebbero potuto resistere che pochi giorni ed al più qualche settimana”. in altre parole essi avevano torto perché le affermazioni dei giovani non valgono davanti a un ufficiale esperto di cose militari12. malgrado si riconoscesse velatamente l'inutilità delle fortificazioni e la loro scarsa efficacia contro i moderni sistemi di offesa che negli anni settanta avevano dato prova di grande potenza, lo stato italiano scelse di investire enormi somme per la difesa dei propri confini e delle coste secondo quanto venne indicato dagli studi intrapresi nel 1871 e portati avanti dalla commissione permanente per la difesa dello stato negli anni ottanta13. La difesa territoriaLe d'itaLia dopo l'unificazione, l'italia, si preoccupò di definire le difese dei propri confini al fine di garantire la pace e scoraggiare qualunque tentativo di invasione da parte degli stati confinanti. in particolare le scarse risorse finanziarie del tempo furono impiegate per assicurare la difesa periferica e, solo in un secondo momento, si passò all'ordinamento della difesa interna mediante fortificazioni e comunicazioni stradali e ferroviarie. nell'ordinamento della difesa territoriale di uno stato, sono da considerarsi: la difesa periferica con la quale si accentuano le difficoltà naturali che si oppongono all'invasore e la difesa interna con la quale si rinforzano le linee di difesa naturali atte ad impedire l'avanzamento del nemico e si favorisce l'impiego delle forze mobili. negli studi relativi alla difesa della frontiera terrestre, prevalse dapprima il concetto di limitare lo sviluppo delle fortificazioni a quel livello che si reputava necessario per guadagnare il tempo occorrente alla mobilitazione, adunata e schieramento strategico agli sbocchi nella pianura, dove, secondo le opinioni diffuse nell'ambiente militare, avrebbero dovuto effettuarsi le operazioni di guerra più importanti o decisive. contemporaneamente avveniva pure un essenziale stra-


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volgimento di opinioni in merito alla difesa delle coste. mentre infatti, nei primordi, la difesa costiera era fondata principalmente sull'impiego delle forze mobili, delle fortificazioni costiere e interne, finalizzate a favorire l'azione rapida contro le truppe sbarcate, sul finire dell'ottocento, a causa del rapido incremento del naviglio da guerra, si passò al concetto di fondare la difesa costiera sull'azione della flotta e degli altri mezzi di difesa e di offesa che dipendevano da essa, sussidiandola naturalmente con altri elementi difensivi, quali approdi per il rifornimento, porti per rifugiarsi e da cui manovrare contro quella avversaria. in quanto alla difesa interna bisognava tener conto del fatto che le operazioni più importanti si sarebbero necessariamente svolte nell'italia settentrionale; che esse sarebbero state supportate, tanto per l'invasore quanto per il difensore, coi mezzi forniti dalle flotte; che le isole sarebbero state difese contro facili occupazioni. conseguentemente, l'ordinamento della difesa interna avrebbe compreso: a) per iL teatro d'operazioni continentaLe: 1) L'organizzazione di piazze permanenti di rifugio e perni di manovra in ciascuno degli scacchieri settentrionali.

2. indecisioni sulla direzione degli attacchi probabili da parte di un nemico in possesso di grandi risorse navali. una delle principali preoccupazioni del governo del nuovo stato, fu infatti quello di assicurare l'intervento delle forze mobili mediante un ben ordinato sistema di fortificazioni e di comunicazioni. con r. decreto del 23 gennaio 1862 venne nominata una commissione permanente di difesa, presieduta dal principe di garignano e composta dalle più elevate personalità dell'esercito e dell'armata, incaricata di compilare il progetto di difesa. il lavoro si rivelò lungo e complesso, avendo dovuto procedere allo studio del territorio, ed essendo cambiate successivamente le estensioni territoriali per le annessioni del veneto (1866) e di roma (1870). L’undici luglio 1871 la commissione presentò il piano generale di difesa che prevedeva nuove piazzeforti e punti fortificati conseguenti all’allargamento territoriale del regno, ma anche il contenimento della spesa di certi lavori. per le sole fortificazioni, esclusi cioè i magazzini, gli stabilimenti e gli armamenti, si preventivò una spesa di circa 307 milioni. avendo però il governo trovato

2) L'organizzazione potentissima dello scacchiere meridionale contro attacchi di fronte e da tergo, per costituirne il ridotto generale della difesa dell'italia continentale. B) per

iL teatro d'operazioni peninsuLare:

1) La sistemazione con difese permanenti di pochi punti strategicamente o politicamente importanti, fra i quali la capitale, che avrebbero potuto costituire l'obbiettivo principale di una invasione speciale; 2) il rafforzamento con fortificazioni provvisorie delle varie linee di difesa naturali trasversali da prepararsi in previsione dei bisogni eventuali. c) per

iL teatro d'operazioni insuLare:

La costituzione di centri di difesa territoriale mediante una o più piazze forti, per ognuna delle due grandi isole, affidando quella delle loro coste all'azione della flotta Criteri Generali del Piano di Difesa Nazionale Cenno sommario sulle condizioni geografiche dell'Italia relativamente alla difesa militare; divisione in teatri di operazione ed in scacchieri. L'italia, per la sua configurazione geografica si era sempre trovata in condizioni piuttosto sfavorevoli per ciò che riguardava la difesa tanto territoriale quanto mobile, dato che la sua forma allungata non si prestava né all'ordinamento concentrico delle difese successive, né al facile accorrere delle forze mobili dalle parti centrali alle periferiche e viceversa, né ad una conformazione di rete stradale capace di favorire tali movimenti. L'elevata estensione delle sue coste, a causa della sua natura peninsulare, comportava il problema di difendere le frontiere marittime, di gran lunga superiori a quelle terrestri, da possibili sbarchi con conseguente origine di

7 e 8. Forte Alberoni, e Foto austriaca del Forte Quattro Fontane, 1866, da: C. Zanlorenzi, i forti di mestre, cit.

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eccessivi i costi ed il tempo necessario per realizzare le difese, fu ordinato alla commissione di compilare un piano ridotto, che venne presentato verso la fine di quello stesso anno e che limitava la spesa a 142 milioni; dopo di che la commissione fu sciolta. in base a quelle conclusioni, il ministero concretizzò il progetto da sottoporre al parlamento per il relativo stanziamento di fondi. se non che, per divergenze fra il governo e le commissioni parlamentari e per sopravvenute crisi ministeriali, solo nel 1875 che vennero accordate le prime somme per intraprendere i lavori di difesa dichiarati di maggiore urgenza14. nel frattempo, le questioni più importanti e discutibili, riferite alla difesa territoriale, vennero trattate e dibattute da autorevoli personalità del mondo politico e militare che portarono gran luce sull'argomento e consigliarono al governo di affidare nuovi studi di massima ad un comitato di stato maggiore generale, il quale presentò le sue conclusioni verso la fine del 1883. nella discussione sul disegno di Legge presentato dal ministro della guerra ferrero per autorizzazione di spese

straordinarie militari da iscriversi per gli esercizi finanziari da 1884-85 al 1891-92, l'onorevole mattei, presidente della commissione parlamentare, nella seduta del 23 giugno 1884, fece riferimento ai due piani di difesa che la commissione militare aveva presentato: il primo, quello generale, era riferito alla difesa interna e periferica, con un preventivo di spesa di 900 milioni di lire; il secondo, ridotto, prevedeva un piano di fortificazioni più urgenti, la cui attuazione sarebbe costata 450 milioni di lire. in quella stessa sede, poiché la commissione, nella certezza di esprimere l'unanime opinione del paese e della camera, si dichiarava pronta ad ammettere qualunque sacrificio inteso a difendere l'onore nazionale, l'indipendenza e l'integrità del territorio, l'onorevole mattei fece appello alla responsabilità e all'oculatezza che bisognava osservare nell'investimento di somme ingenti che avrebbero richiesto enormi sacrifici agli italiani: “ogni milione di spesa deve produrre un milione di potenza e non un soldo di meno. Questo è quanto il ministero della guerra deve prometterci e mantenere!”15. il nuovo piano generale di difesa trovò la sua concretizzazione dopo un lungo percorso che camminò parallelamente agli stanziamenti dei fondi occorrenti, ai tagli in bilancio e alle diatribe tra le varie commissioni parlamentari e i membri della commissione permanente dello stato, incaricata di promuovere studi di fattibilità e di calcolare i relativi preventivi di spesa. in riferimento alla difesa territoriale, la commissione di difesa dello stato prese in esame le tre regioni: la continentale, la peninsulare e la insulare. La regione continentale incassata fra la francia, la svizzera e l'austria, era stata nei tempi passati, militarmente, la più importante, essendo a contatto con gli stati dai quali erano sempre giunte le invasioni e dove le grandi potenze si erano sempre disputate le contese di predominio politico e di possesso del territorio italiano. La barriera delle alpi, malgrado fosse attraversata da un grande numero di comunicazioni stradali, rappresentava la principale difesa contro le invasioni continentali. di contro le frontiere marittime, che rappresentavano punti deboli nei confronti di una potenza fornita di grandi mezzi navali, obbligavano indiscutibilmente a dare grande sviluppo alla difesa costiera ed alla flotta. per quanto grandi fossero le risorse navali delle principali potenze marittime, non era plausibile sostenere che un'invasione potesse essere tentata per la sola via del mare. una spedizione marittima, per esempio, dalla parte della francia, avrebbe potuto avere come obiettivo quello di sostenere l'invasione attraverso la frontiera terrestre e di far divergere dal teatro d'operazione principale, una parte delle forze della difesa o di raggiungere obbiettivi di occupazioni speciali o di minacciare le linee di difesa interne.

9. Copertina della rivista “La Grande Guerra”, 30.01.1916, II Serie n. 11

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Le isole in particolare, avrebbero potuto costituire un obbiettivo di attacco o di occupazione per le seguenti ragioni: farne base per operazioni di sbarco contro la penisola o per la lotta contro la flotta della difesa; utilizzarne le risorse o formarne oggetto di possesso per influire sulle trattative di pace. si rendeva quindi necessario


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che le più importanti fra esse fossero strutturate a difesa.

re ed insulare.

premesso ciò, si convenne che gli stati contro cui era possibile che l'italia sarebbe stata impegnata in un conflitto, non potevano essere che la francia e l'austria.

in riferimento a questi ultimi, molti scrittori militari avevano in passato asserito che le sorti dell'italia si sarebbero decise nella valle del po. ma questa opinione doveva tener conto anche del fatto che una valorosa e tenace difesa, avrebbe potuto trovare occasioni di contrattacco e di vittoria se avesse potuto contare sul possesso della metà del territorio dello stato.

La prima, potenza militare e marittima di primo ordine, poteva minacciare l'italia da terra e dal mare; per la seconda si poteva ammettere o almeno sperare, che non avrebbe tentato con probabilità di successo la via del mare, essendo il suo naviglio da guerra inferiore a quello italiano. per l'una e per l'altra non era da escludersi l'ipotesi che fra le linee d'operazioni terrestri non rinunciassero a valersi delle più eccentriche, violando la neutralità svizzera, al fine di superare più facilmente l'ostacolo delle alpi e di disporre di più svariate combinazioni strategiche16. si considerò quindi l'ipotesi che l'italia, trovandosi in guerra con una delle due grandi potenze confinanti, sarebbe stata, con ogni probabilità, alleata con l'altra, o almeno avrebbe potuto contare, riguardo ad essa, su una sicura neutralità o sul suo appoggio in caso di sfortuna. ma fra i casi possibili vi era anche quello che, per particolari circostanze politiche, essa si sarebbe potuta trovare nelle condizioni sfavorevoli di dover lottare contemporaneamente contro austria e francia. partendo comunque dalla ipotesi più razionale, cioè di una guerra con una sola delle potenze vicine, era evidente come le operazioni principali si sarebbero iniziate nella regione continentale ad est o ad ovest, secondo i due casi, e che avrebbero avuto, in caso di avversità, certamente sbocco nella penisola. nello studio della difesa territoriale, l'italia venne così divisa in tre teatri d'operazione relativi alle tre regioni continentale, peninsulare e insulare. il primo teatro, in riferimento alle due principali ipotesi di guerra ed allo sviluppo probabile delle operazioni, venne a sua volta suddiviso in tre scacchieri: occidentale, orientale e meridionale; il secondo formava un solo scacchiere; il terzo, in numero pari alle grandi isole. Le delimitazioni fra il teatro continentale ed il peninsulare e quelle fra gli scacchieri, in cui si suppone diviso il primo, non che le ragioni dei limiti, verranno di seguito descritti. nelle due ipotesi di una guerra difensiva contro la francia e contro l'austria, vennero prese in esame le vie di comunicazione principali, con strade carreggiabili e ferroviarie, che il nemico avrebbe potuto utilizzare per penetrare attraverso la frontiera terrestre continentale occidentale ed orientale. in particolare, vennero considerate le comunicazioni fra la francia ed il bacino del po, quelle attraverso il confine svizzero favorevoli all'invasione francese, le comunicazioni con la riviera ligure e da questa col bacino del po, le comunicazioni per i passi delle alpi giulie, quelle attraverso la frontiera aperta lungo l'isonzo e nella valle del tagliamento17. approntato l'esame difensivo dello scacchiere continentale, l'azione difensiva si sarebbe concentrata nello scacchiere meridionale e quindi spostata in quello peninsula-

a tal proposito, la storia romana offre molti esempi. in cui la sorte delle armi, sfavorevole sul po, si era ripresa positivamente nel resto della penisola e, a maggior ragione, ciò sarebbe potuto ancora accadere grazie alle molte vie di comunicazioni, ferrate e stradali, e all'impiego del telegrafo che avrebbe consentito concentramenti e rapidità di movimenti d'ogni genere. i contrafforti ed i corsi d'acqua, che dalle due parti dell'appennino si spingevano verso il mare, costituivano altrettante buone linee di difesa e potevano dare occasione a strategiche manovre con cui prolungare la resistenza e poter cambiare le sorti della guerra contro un nemico affievolito dalla lontananza dalla propria base di operazione e dai distaccamenti che sarebbe stato obbligato a lasciare per impossessarsi delle piazzeforti o per difendersi da insurrezioni. Lungo la catena principale dell'appennino, i cui contrafforti e le linee fluviali costituivano linee di difesa naturali e facilmente rinforzabili, sarebbe stato possibile trattenere, con pochi mezzi, forze ragguardevoli che, sbarcate in un punto qualsiasi della costa, avessero tentato importanti occupazioni di territorio e una possibile risalita della penisola per giungere alle spalle del difensore, impegnato contro l'invasione principale nel nord d'italia. La natura montagnosa delle nostre grandi isole e lo spirito fiero dei loro abitanti facevano infine sperare nella possibilità di difenderle accanitamente, per contrastare all'invasore il raggiungimento degli obbiettivi di conquista e occupazione. Le opere fortificate dopo l'Unità d'Italia Forti - Batterie - Caserme difensive - Strade militari Interruzioni stradali. dopo che roma fu proclamata capitale i provvedimenti difensivi ebbero un grande sviluppo e le nuove fortificazioni andarono ad integrare quelle costruite nei decenni precedenti, che a loro volta vennero ammordernizzate per far fronte ai nuovi sistema d'attacco e all'inarrestabile evoluzione delle artiglierie. Le opere furono e sono della maggior varietà tecnica, dovuta al fatto che molte furono costruite nei primi anni della costituzione del regno, quando i mezzi di attacco ed anche quelli della difesa permettevano costruzioni abbastanza semplici, mentre altre sorsero in seguito con processi, elementi e mezzi proporzionati ai nuovi procedimenti di attacco, fino a giungere ad opere corazzate. contemporaneamente alla costruzione delle opere di fortifìcazione propriamente dettesi provvedette in larga misura alle strade e ai ponti per l'accesso alle opere stes-

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se ed alle comunicazioni fra opera ed opera quando esse costituivano un complesso fortificato, come un gruppo forte, un campo trincerato e simili; e, quasi a complemento di questi provvedimenti, furono predisposti opportuni mezzi per distruggere tali comunicazioni al fine di rendere impossibile o difficile l'accesso od il transito ad un nemico che avesse invaso il territorio difeso; provvedimenti questi che si raggruppano sotto il nome di «interruzioni stradali». elencare in modo particolareggiato tutte queste opere sarebbe compito imponente, per cui ci limiteremo a fare una semplice enumerazione di quelle principali o dei gruppi di opere, seguendo l'ordinamento territoriale dal nord dell'italia, al sud ed alle isole, secondo un censimento pubblicato in Storia dell'Arma del Genio, dalle origini al 1914 di mariano Borgatti, pubblicato nel 1930. susa - forte giaglione. deposito esplosivi couvert. moncenisio - Batterie e forti diversi. Bardonecchia - forte Bramafam. cesana - Batteria chaberton e teleferica. ouLX - Batteria pramand. eXiLLes - molti lavori all'opera principale e batt. fenile. aLessandria - grandi polveriere di casalbagliano. genova - molte opere, come le batterie: cava, scuola, strega, molo vecchio, sul piazzale della caserma s. Benigno, concezione, forte tenaglia, coronata, Belvedere, casale erselli, forte s. giuliano, forte monte guano, forte richelieu, batteria s. martino, forte tucci, cascinotto, monte Burot, batteria madonetta ecc. e strade di accesso e di collegamento fra le opere; magazzini da polvere; osservatori ecc.. giovo Ligure - forti Bruciato, moglie, scarato, Landrino inferiore, tagliata. nava - forti: centrale, Bellarasco, monte escia, batt. zuccarello, caserme difensive sul poggio pozzanghi e sul monte richelmo; strade ecc. meLogno - forti: centrale, settepani e tortagna; strade; baraccamenti ecc.. vado Ligure - forti: m. ciuto, s. elena; batterie: capo vado, madonna del monte, madonna degli angeli. zuccareLLo - forti: zuccarello, m. arena; batterie: poggio grande, rocca Livernà; baraccamenti; strade ecc.. turchino - opera sul Bric geremia; strade; cisterne ecc. vinadio - opera principale (fondata nel 1835) ebbe lavori continui di adattamento, fra i quali un fronte corazzato; poi, opere: nighino, serziera; batteria piroat; caserme difensive: Les sources, cima ciarnier, testa rimà; ricoveri; baraccamenti; strade ecc.. sampeyre - (sbarramento). Batterie colletto e Becetto e strade di accesso; caserme-ricoveri al pian dell'agnello e alla Bicocca. coLLe di tenda - forti: colle alto, marghera, teborda, peppino, pernante, giauro; baraccamenti: centrale, panico; . ecc.; ricoveri e caserme difensive; funicolari e strade ecc.. saronno - grandioso deposito di polveri ed altri

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esplosivi a ceriano Laghetto, consistente in molteplici fabbricati piccoli e leggieri, separati fra di loro da robuste traverse di terra. coLico - opera corazzata a 4 cupole per cannoni da 149. rocca d'anfo. grandi lavori d'ampliamento dal 1885 al 1895 con spesa di £. 2.500.000 circa. vestone - forte valledrana e strada di accesso (19021912) spesa £. 2.300.000,00 circa). È un'opera a cupole per cannoni da 149, come ne furono costrutte parecchie altre sui confini di nord-ovest e di nord-est. ponte di Legno - forte di corno d'aola e strada di accesso (1907-1914; £. 1.800.000,00 circa). Bormio - opera dossaccio e strada di accesso (19081913; £. 1.400.000); appostamento e ricovero monte dello scalo e strada d'accesso. tirano - forte canale e strada di accesso (1911-1914; £. 1.500.000); batteria croce dei morti. vagoLino - forte cima dell'ora e strada (1912-1915; £. 1.900.000). asiago - forte verona e strade adiacenti (£. 3.500.000 circa). verona (dintorni) - opere varie di fortificazione (m. tesoro, santa viola, masna di melane, casa ratti, p. cerbin, coste alte, campolongo, monte enna ecc.) per quasi 10 milioni di lire. zona di BeLLuno - tagliata del covolo di s. antonio, forte di monte ricco e batteria castello; forte di col vaccher; batt. Lestolade; forte tagliata sasso di s. martino; forte col piccolo; forte di cima campo; forte di cima Lan; forte di pian dell'antro; forte di monte tudajo; forte di col vidal ; forte di monte ritto; ricoveri; baraccamenti; stazioni radio-telegrafìche; ma-gazzini di polvere; magazzini derrate e materiali; strade militari ecc.. zona di udine - forte col Badia (chiusaforte), f. monte festa (Bordano); f. monte ercole (ospedaletto); osoppo batt. sud; f. monte Bernadia (tarcento), f. tricessimo, opera santa. margherita, opera di pagagna, opera di col roncon (s. daniele); batt. nord e sud di ragogna; polveriere di portogruaro, casarsa, fossamerlo, osoppo, colleredo. testa di ponte di codroipo - Batt. di s. martino e di sedegliano; opere di Beano e di rivolto. testa di ponte di Latisan - Batt. di: varmo, ca' modeano,. titiano, perdegata; opere di: rivarotta, precenicco. venezia - opere treporti e cavallino; Batt.: carlo alberto, radaelli, s. marco, vittor pisani. Laguna nord: forte mazzorbo. Lido alberoni: Batt.: sebastiano veniero, marcantonio Bragadino; angelo (già casabianca); francesco morosini (già s. Leonardo); alberoni. LitoraLe s. pietro peLLestrini - batt. enrico dandolo (già s. pietro); forte daniele manin (già s. stefano). LitoraLe sottomarina chioggia - batt. vincenzo penzo; forti: Brondolo, s. michele. LitoraLe daL piave aL Brenta - opere varie, casotti telemetrici ecc. spesa di £. 800.000 circa.


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LitoraLi vari - batt. amalfì; forte s. nicolò di Lido; forte s. pietro spignon; forte marco polo; forte agostino Barbarigo; forte s. felice; e polveriere annesse. campo trincerato venezia e mestre - forte marghera (costruito all'epoca napoleonica ora monumento nazionale perchè ossario ai caduti del 1848-'49); forte manin (ora polveriera); forti: carpenedo; gazzera (già Bendole); tron; gugliemo pepe; cesare rossarol; enrico cosenz; carlo mezzacapo; giuseppe sirtori; alessandro poerio. polveriere: ca' vio, isola s. spirito, Bazzera e rana (mestre). ancona - modificazioni alla cittadella ed alle numerose opere dei fronti di mare e di terra, costruite precedentemente al 1875. spezia - diga subacquea attraverso il golfo. torre corazzata umberto i a batterie cavour e samaro all'isola palmaria. Batterie: pezzino, mazzerone e castellana al pezzino. Batterie: gen. cascino, gen. montanari, parodi, macè, castellazzo (opera mista), monte albano, Buonviaggio. dintorni di spezia - forte Bastia; batt.: fresonara, valdilochi, pianelloni, s. teresa alta; forti: canarbino, rocchetta, monte Bastione; batt. gen. chiodo. porto argentario (grosseto) - Batt. pozzarello. orBeteLLo (grosseto) - Batt. talamone. roma - cinta fortificata sulla destra del tevere, dal tevere (monte mario) alla via aurelia; forti: monte mario (ora caserma radiotelegrafìsti), Braschi, Boccea, aurelia antica, Bravetta (con polveriera in caverna), portuense, appia antica, ardeatina, prenestina, casilina, tiburtino, trionfale (ora caserma ulivelli), ostiense, pietra Lata, porta furba, monte antenne. Batterie: nomentana (ora caserma 8° genio), appia pignatelli. i forti del campo trincerato di roma nel 1930 risultavano disarmati. estuario di La maddaLena - opere: poggio resu superiore; poggio resu inferiore; garibaldi; guardia vecchia; colmi; punta villa; fabbri; trinità; pes di villamarina; monte astura; Baragge; capo d'orso; tramonti. per tutte le opere strade di accesso ed in tutte, oltre l'opera, fabbricato per alloggi, baraccamenti ecc.. taranto - Batterie: s. vito, rondinella, s. paolo, s. pietro; saint Bon. Brindisi - Batterie: carafa, ruggiero Lauria, evangelista manga. reggio caLaBria - Batterie: torre telegrafo; matiniti superiore; matiniti inferiore; poggio pignatelli; catona; arghillà; pentimele nord; pentimele sud; sbarre e strade di accesso, depositi polveri ecc.. messina - Batterie: menaja, polveriera, ogliastri, pietrazza, mangialupi, serra la croce, monte dei centri, s. Jachiddu, monte gallo, monte giulitta, monte campone, puntal ferraro, antennamare; strade di accesso, depositi polveri ecc...

2. La difesa costiera neLLa seconda metà deLL'800 compiuta l'unità nazionale diveniva primario obiettivo, provvedere alla difesa territoriale del nuovo stato con particolare riferimento alla notevole estensione delle coste, aperte ad ogni specie di offesa marittima. a quei tempi, la difesa costiera aveva come primaria finalità quella di contrapporsi agli attacchi navali e a provvedere alla protezione dei punti più vitali seguendo il concetto che, in ogni azione di guerra, la migliore difesa fosse la controffensiva. conseguentemente si riteneva mezzo migliore per la difesa della costa l'impiego di una potente flotta; e poiché questa non poteva essere sempre e dovunque pronta, efficiente e sufficiente, la difesa costiera vi provvedeva con la costituzione e la protezione di basi di operazioni navali, distinte in centri difensivi e strategici. una base navale era protetta da molte batterie di obici di grosso calibro scoperte e defilate dal tiro delle navi poste dietro a degli ostacoli se basse, scoperte e a puntamento diretto se alte; da poche batterie di cannoni da costa e da marina di grosso calibro, basse e protette, destinate ad agire alle medie e piccole distanze poste a difesa degli accessi sussidiate da sbarramenti di mine, ed alte per agire con tiri di sfondo alle distanze non raggiungibili dagli obici; ed infine da alcune batterie di medio calibro a tiro rapido con scopi analoghi per battere le soprastrutture delle navi piccole e grandi. alle basi navali erano assegnate squadriglie di torpediniere per tenere lontane le navi nemiche, ostacolare le sorprese ed impedire i bombardamenti effettuati da specchi d'acqua, fuori del tiro delle artiglierie. La difesa verso terra era poi completata da una linea di opere staccate, organizzate a campo trincerato (fronte a terra), che si saldavano agli estremi col fronte a mare18. Evoluzione dell'armamento navale fino al 1865, la concezione tattica del combattimento navale, aveva determinato la disposizione delle artiglierie per fiancata, per lo più sotto il ponte di coperta al fine di una migliore protezione dei pezzi e del munizionamento dagli agenti atmosferici e dal mare. per lungo tempo, lo scontro navale fu concepito per linee di fila in cui le due navi sparavano, posizionate una accanto all'altra, le bordate dei cannoni che stavano su uno dei due fianchi della nave. pertanto, di tutti i pesanti cannoni imbarcati, solo la metà poteva essere impiegata nello scontro, quella cioè installata sulla fiancata che fronteggiava il nemico. inoltre, a causa degli angusti spazi a disposizione per il sistema di caricamento prevalentemente ad avancarica, l'elevazione dei cannoni ne era fortemente limitata e, conseguentemente, anche la gittata. Lo scontro avveniva a poche centinaia di metri di distanza con il tiro “a bordata” concentrato su una sola nave nemica.

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in seguito, con la robustezza strutturale dei ponti, derivata dall'introduzione delle leghe metalliche e dai progressi della metallurgia, fu possibile sistemare i cannoni più pesanti in coperta, proteggendoli in torri corazzate girevoli, così da battere un campo di tiro sempre più ampio. i sistemi di rinculo perfezionati, permisero poi di aumentare l'elevazione dei pezzi, non più limitata dalla dimensione delle feritoie di fiancata. con l'introduzione delle torri girevoli, pur potendo utilizzare indifferentemente da un lato o dall'altro l'armamento principale al completo, l'impostazione tattica non subì variazioni. Le corazzate “a torri” duilio e dandolo della marina italiana, costruite tra il 1873 e il 1880 e considerate allora le più potenti navi da guerra del mondo, avevano ancora l'armamento disposto per essere utilizzato al completo solo per fiancata, malgrado la possibilità limitata di utilizzarlo anche in caccia (verso prua) e in ritirata (verso poppa). il diffondersi della torpediniera e l'aumentare della velocità delle navi che passò da 11-12 nodi del 1850 ai 1518 del 1880, presupposero ad un certo punto nuovi schemi tattici più elastici in conseguenza della difficoltà di evitare i siluri delle torpediniere e di poter sopravanzare il nemico in modo da colpirlo senza essere colpiti, data la superiore velocità e gittata dei cannoni. si impose così la necessità di utilizzare la maggior quantità di artiglierie di grosso calibro in tutte le direzioni, disponendole in modo opportuno su tutta la nave, col particolare accorgimento di non aumentare a livelli insostenibili il peso complessivo. dal 1885 in poi vennero così introdotte nuove soluzioni nella disposizione dell'armamento principale. L'aumento delle gittate e degli angoli di tiro introdusse, di conseguenza, nuove problematiche negli schemi tattici non solo delle battaglie navali, ma soprattutto in quelli di attacco e difesa delle coste. Adeguamento dei sistemi difensivi delle coste se è pur vero che le navi delle flotte militari erano fatte per combattere con altre navi, era anche vero che qualunque azione in prossimità di una costa avrebbe incontrato l'ostacolo e l'impedimento da parte di fortificazioni

delle quali si dovette tener conto nei nuovi armamenti navali. L'applicazione del vapore consentì alle navi maggiore libertà e celerità di movimenti mettendole nelle condizioni di dare, accettare o rifiutare il combattimento; ma ciò che determinò la superiorità delle navi sulle fortificazioni, obbligando queste ultime a trasformarsi, fu l'applicazione delle corazzature, l'adozione dei grossi calibri nelle artiglierie e la maggiore elevazione (misurata in gradi) delle bocche da fuoco navali. in particolare, le corazzature aumentarono la resistenza al tiro delle opere costiere fino a poterlo sfidare e sopportare per un tempo maggiore che in passato; l'uso di grossi calibri nelle artiglierie adottate a bordo e la loro maggiore elevazione compensò il difetto dell'imprecisione con la grandissima efficacia dei tiri e risolse il problema dell'instabilità di posizione delle navi grazie al grande peso delle corazze e dell'armamento; l'invulnerabilità venne infine aumentata poiché, mediante le potenti artiglierie, riuscivano a colpire bersagli posizionati anche a quote elevate, da distanze nettamente superiori che in passato. infatti, i primi studi della difesa di messina e dello stretto eseguiti dopo l'unificazione fino agli ultimi anni '70, furono orientati a progettare batterie da costa a livello del mare o a quote relativamente basse. gli studi dei primi anni '80, prendendo in considerazione le evoluzioni degli armamenti navali, spostarono le posizioni delle batterie in posizioni più elevate prevedendo, per colpire con tiri curvi i ponti delle navi, l'impiego di potenti obici posizionati dietro parapetti radenti al terrapieno, al fine di rendere invisibili le opere e le artiglierie del fronte a mare. L'invenzione dell'aereo e del suo impiego durante la prima guerra mondiale, vanificò però tali strategie difensive. Caratteri generali delle opere costiere: forti e batterie da costa Le opere costiere dovevano evidentemente presentare caratteri diversi da quelle terrestri, perchè: 1° risultavano esposte ad artiglierie navali più potenti; 2° dovevano essere armate di artiglierie di grosso calibro; 3° dovevano sviluppare la loro azione celermente contro bersagli poco vulnerabili e dotati di grande mobilità. Le opere costiere dovevano quindi essere: a) avanzate verso il mare, o meglio, non lasciare indifesa nessuna parte dello specchio d'acqua che fosse praticabile dalle navi e da cui queste potessero offendere; b) avere settori orizzontali di tiro molto estesi che consentissero il concentramento dei tiri in qualsiasi punto dello specchio d'acqua nel quale si sarebbero potuti svolgere le operazioni di attacco;

10, Incrociatore Breslau della marina germanica. Presente nel porto di Messina nel 1914. Da Storia della Marina Militare, Fabbri Ed.

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c) incrociare i loro fuochi in modo da poter sempre colpire le navi nelle parti più vulnerabili, qualunque fosse la loro posizione di marcia o di stazionamento;


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d) presentare potenza complessiva di fuoco in grado di gareggiare, per numero e grandezza di bocche da fuoco, con quella delle navi; ed ancora,. contenere armamento adatto al genere delle offese che erano destinate ad esplicare contro le navi stesse; e) permettere azione celere delle proprie artiglierie; g) offrire resistenza proporzionata all'entità delle offese alle quali potessero essere esposte, variabile a seconda della loro altitudine; h) essere al sicuro contro attacchi di viva forza dalla parte di terra, tentati dall'attaccante con truppe di sbarco ed artiglierie leggere o truppe di invasione19. gran parte di queste condizioni, nell'ordinamento difensivo di una località, era possibile attuarle mediante una serie di opere aventi carattere di batterie, caratterizzate dal loro principale compito, determinato dalle artiglierie colle quali venivano armate. solo in punti molto esposti, dove fosse esistita la possibilità per l'avversario di eseguire un attacco di sorpresa con molte forze, l'organizzazione delle opere sarebbe stata prevista di grande potenza anche per la lotta a breve distanza; in questo particolare caso, le opere avrebbero allora assunto il carattere di veri forti staccati, designati col nome di forti da costa. sebbene non si possa stabilire una separazione ben netta fra batterie e forti da costa, dato che anche le prime erano spesso organizzate per la difesa vicina e per battere il terreno circostante, vengono pure definite con il nome di forti quelle opere che per la loro posizione esposta, sporgente, o isolata, dovevano poter contare sulle proprie forze per la difesa, che, in conseguenza, doveva avere una organizzazione molto più potente. i forti avevano anche di solito (a causa della loro posizione su un promontorio, o su un'isola) un più ampio campo di tiro e perciò erano esposti ad un attacco dal mare su tutti i lati, e conseguentemente dovevano avere due, tre, o più fronti a mare, a differenza delle batterie costiere che erano in generale costituite da un solo fronte rettilineo o spezzato.

2. essere studiate in base alla configurazione dello specchio d'acqua d'attacco, alle rotte percorribili dalla flotta avversaria per giungervi, schierarsi o per ritirarsi, in modo. che le singole batterie si potessero appoggiare nel tiro tra loro e fossero capaci di battere quelle zone dalle quali le navi avrebbero potuto danneggiare le altre. Batterie basse e alte il concorso delle varie opere in un'azione simultanea era assicurato, oltre che dalla loro postazione planimetrica, anche e soprattutto dalle differenti loro altitudini sul livello del mare dato che, in funzione di esse, variava la natura delle offese contro le navi e la resistenza contro i tiri di queste. per quanto riguardava l'azione avversaria, le posizioni alte erano indubbiamente da preferirsi a quelle basse ed il vantaggio cresceva con l'altezza poiché, contro opere posizionate fra i 400 e i 500 m. sul livello del mare, le navi non potevano impegnare lotta con probabilità di buoni risultati; a 500 m. di altezza e a 2000 m. di distanza dalla costa, l'angolo di sito era di 14° e quindi i proiettili dei moderni cannoni avrebbero incontrato il bersaglio con un angolo di incidenza minimo (2,5 gradi circa)20. Batterie di cannoni così posizionate, avrebbero avuto il difetto di non potere eseguire tiri di lancio molto precisi, i quali sarebbero stati resi ancora più difficili nel caso di errori nella stima della distanza. d'altra parte, al crescere dell'altezza, era possibile misurare le distanze in modo più esatto e rendere pericolosissima, per le navi, l'azione dei tiri ficcanti delle batterie, potendo i proiettili perforare i robusti ponti corazzati. tali posizioni erano quindi particolarmente adatte per obici e mortai.

per tali ragioni i forti venivano armati più sovente, con torri o cupole corazzate, aventi un settore di tiro di 360° e la protezione uniforme esistente su tutti i lati.

invece, per quelle batterie che avevano il compito di proteggere gli sbarramenti, di tener sgombro di notte un dato specchio d'acqua, di impedire il passaggio a viva forza di uno stretto, si imponeva la necessità di poter contare su efficaci tiri radenti che, anche in circostanze tali da non potere misurare con grande precisione le distanze, a causa di repentini attacchi o azioni in combattimento, potevano in ogni caso ottenere buoni effetti grazie alla radenza delle traiettorie e alla grande velocità dei proiettili.

Organizzazioni difensive delle località costiere

da tutto ciò emergeva l'opportunità, in ordinamenti complessi, di realizzare batterie alte e batterie basse.

come fu accennato, gli attacchi alle opere di difesa di un litorale potevano venire solamente dal mare o contemporaneamente dal mare e da terra (per effetto di truppe sbarcate, o col concorso combinato di truppe terrestri che avessero invaso il territorio avversario) o solamente da terra, al fine di preparare poi l'attacco della flotta o promuovere la caduta della piazzaforte senza il concorso di questa. da ciò, risultava che le difese complesse costiere o litoranee di una località dovessero, quasi sempre, prevedere una difesa anche dalla parte di terra. Le posizioni delle opere costiere risultavano determinate, in linea di massima, dalla configurazione topografica delle coste, dalle alture che le circondavano e dovevano

si consideravano come Basse quelle batterie poste al disotto della massima elevazione delle torri di comando delle navi, che poteva ritenersi inferiore ai 20 metri. Le batterie basse era bene non posizionarle al di sotto di 8-10 metri sul mare, affinché il puntamento non venisse influenzato dal movimento dell'acqua e dalle basse nebbie. Le batterie alte a loro volta si distinguevano in medie, quelle posizionate a quote comprese tra 20 e 100 metri, ed alte quelle poste a quote comprese tra 100 e 700 metri circa, limite d'altezza per batterie costiere. Le batterie basse dovevano opporre grandissima resistenza, perchè erano esposte ai tiri di lancio delle potenti artiglierie delle navi e conseguentemente, dovevano essere armate di cannoni del maggior calibro perché,

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con tiri di lancio radenti, potessero colpire i fianchi delle navi e perforarne le corazze.

tamento diretto, o di obici a puntamento diretto (eccezionalmente a puntamento indiretto).

Le navi, per lottare con probabilitĂ di successo contro di esse, erano obbligate a fermarsi ad una distanza ritenuta non superiore ai 3 km. in queste condizioni le navi stesse si sarebbero trovate esposte ai tiri curvi delle batterie alte, i cui proiettili scoppianti, cadendo sulle tolde, ne avrebbero perforato la corazzatura producendo effetti di distruzione micidiali.

per ogni batteria la distanza del bersaglio si rilevava con apparecchi speciali detti telemetri e telogoniometri, i quali ultimi erano spesso impiantati fuori dalla batteria, in apposite stazioni telogoniometriche.

Le batterie alte, tanto meno facilmente colpibili dalle navi quanto piĂš elevate, si prevedeva che potessero avere minor robustezza di quelle basse, con conseguente diminuzione della spesa, che avrebbe potuto invece essere devoluta alla costruzione di un numero maggiore di opere capaci di compensare, con l'abbondanza dei tiri, la loro poca precisione. e chiaro che le batterie basse, armate di cannoni per il tiro di lancio, sarebbero state a puntamento diretto al fine di per poter seguire il bersaglio appena esso si fosse presentato nel campo di tiro e di colpirlo nell'istante opportuno. nel caso di impiego di obici, questi erano impiegati a puntamento indiretto. Le batterie medie impiegavano obici a puntamento indiretto e cannoni a puntamento diretto. Le batterie alte potevano essere armate di cannoni a pun-

11. M. Borgatti, La fortificazione permanente..., cit. Tav. XV

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riepilogando si avranno dunque: Batterie sempre di cannoni (a puntamento diretto); basse , raramente di obici (a puntamento indiretto, eccezionalmente a puntamento diretto); medie, di obici (piĂš spesso a puntamento indiretto); raramente di cannoni (a puntamento diretto); alte, di obici (a puntamento diretto; eccezionalmente a puntamento indiretto).


• Vi n c e n z o C a r u s o

2. 18 accademia militare di art. e genio, Lezioni di Fortificazione Permanente, parte v, La fortificazione costiera, 1925. 19

mariano Borgatti, Fortificazione Permanente..., op.cit.

20 si riteneva che l'azione navale conservasse sufficiente efficacia contro un bersaglio posto nel limite di 250 m di altezza, per distanze dal litorale compreso fra 2500 e 3000 m e che al di fuori di tali limiti, l'azione offensiva diminuisse rapidamente divenendo presto impossibile. - rocchi, Difesa delle Coste - rivista d'art. e genio, 1896.

Note 1

giovanni cavalli (novara, 28 luglio 1808 - torino 23 dicembre 1879). ingegnere e scienziato a cui si devono i più grandi progressi nell'evoluzione delle artiglierie nel mondo. entrato a soli dieci anni nella regia accademia militare, per il suo ingegno nell'arte della tecnologia militare, si guadagnò, nella sua lunga carriera onori e riconoscimenti da tutti i capi di stato europei divenendo, col grado di tenente generale, deputato e senatore del regno. 2 “nei tempi antichi dell'artiglieria in effetti erano già stati usati cannoni con l'anima solcata da righe; ma tali righe erano dritte e pare non avessero altro scopo che di raccogliere le fecce delle polveri bruciate, allora molto imperfette. più tardi si ebbero anche esempi di cannoni con righe a spira con lo scopo, e la speranza, di comunicare al proiettile un movimento di rotazione attorno al proprio asse parallelo a quello di propagazione; ma l'idea era incompleta e non diede i risultati attesi perché i proiettili erano sferici”, in Celebrazione del Generale Giovanni Cavalli, associazione nazionale artiglieri d'italia, novara, 1955 3 vedi, in appendice, “L’assedio della cittadella di messina”. 4

m. Borgatti, Fortificazione Permanente Contemporanea, torino 1898. 5

Campi trincerati, corona di forti intorno ad una piazzaforte (nucleo); così chiamati perché le truppe si trinceravano e si accampavano fra il nucleo e i forti staccati. il concetto del campo trincerato venne enunciato già nel sec. Xvi dal matematico bresciano nicolò tartaglia. 6 p. Brunello, La deterrenza impossibile, in I forti di Mestre, Storia di un Campo Trincerato, verona 1997. 7

n. Labanca, Il Generale Cesare Ricotti e la politica militare italiana dal 1884 al 1887, sme, ufficio storico, roma 1886. 8

n. marselli, La politica dello stato italiano, napoli 1882.

9 f. minniti, Politica militare e politica estera nella triplice alleanza, ussme, roma 1982. 10

n. Labanca, Il Generale Cesare Ricotti..., op. cit.

11 rochat-massobrio, Breve storia dell'esercito italiano dal 1861 al 1943, pp. 111-115. 12

p. Brunello, La deterrenza impossibile..., op. cit.

13 f. minniti, Il secondo piano generale delle fortificazioni, Studi e progetti (1880-1885), memorie storiche militari, ussme, roma 1980. 14

m. Borgatti, Fortificazione Permanente..., op. cit.

15 atti parLamentari, camera, Legislatura Xv - 1° sessione 1882-85, n° 182 a, discussioni - tornata del 23 giugno 1884. 16

per proteggere il fronte svizzero si costruì il forte di colico.

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m. Borgatti, Fortificazione Permanente..., op. cit.

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