Euposia 84 full

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CHI AMA IL VINO E PER CHI VUOLE CONOSCERLO

Anno XIII - n. 84 - Euro 5 - Novembre-Dicembre 2015

L A R IVISTA DEL V INO E DEL B UON B ERE

www.euposia.it www.italianwinejournal.com

Amarone Rinaldi pura passione Ca’ del Bosco

Fuoriclasse in Franciacorta Paternoster

Anima del Sud Casa Doble

La tequila di Carlos Santana Roberto Cipresso racconta il “suo” Brasile - Citra, spumanti d’Abruzzo Libano, vendemmia contro il terrore - Lamole, il polo toscano di Santa Margherita - Giacobazzi, sfida generazionale - Beretta, sbarco negli Usa Mantova riscopre il vigneto - Alajmo, ricetta per Natale - Hoeggarden BIMESTRALE - "Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 NE/VR"




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s o m m a r i o

PRIMO PIANO 8

8-9 Roberto Cipresso Brasile, nuovo Eldorado 22-26 Cà del Bosco Abbiamo degustato le nuove annate

DEGUSTAZIONI 28

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Lamole Il Chianti classico di Santa Margherita

32-36 Paternoster La “verticale” del Rotondo, Aglianico del Vulture doc 85 Birra Hoegaarden La belga al grano

TERRITORI E FOCUS 32 58

58-63 Modena e Reggio Emilia La rivincita del Lambrusco 90-93 Tequila Casa Noble Lo “spirit” di Carlos Santana

76-79 Massimo Alajmo Ricetta di Natale

76 I NOSTRI RIFERIMENTI Tel. - Fax 045 591342 - redazione@euposia.it Per inviare cartelle stampa o materiale informativo: Nicoletta Fattori: fattori@euposia.it Per inviare bottiglie da inserire nelle degustazioni cieche: Redazione Euposia - Via Prati 18 37124 Verona (Vr)


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APPASSIONATAMENTE MEDITERRANEO

12a edizione

2016

IL SALONE INTERNAZIONALE DEI VINI E DEI LIQUORI MEDITERRANEI

15.16.17 FEB MONTPELLIER FRANCIA www.vinisud.com


News SIMONIT & SIRCH, ORA LA FRANCIA CHIEDE IL KNOW HOW DEL TICKET FRIULANO imonit&Sirch Preparatori d'Uva a Château Latour e da Moët & Chandon. Dopo Château d'Yquem (il bianco più prezioso al mondo, leggendario Sauternes, unico vino in assoluto ad avere la qualifica di Premier Cru Supérieur), Marco Simonit e il suo gruppo di specialisti sono stati chiamati per salvaguardare la salute dei vigneti di altre due mitiche Maisons francesi: Château Latour, Premier Gran Cru Classé, uno dei più prestigiosi e preziosi vini al mondo (una bottiglia da 6 litri del 1961 è stata battuta all'asta da Christie's per 135.000 £) e Moët&Chandon, la casa di Champagne più glamour e conosciuta al mondo. Château Latour è per i Bordeaux quello che Chateau d'Yquem è per i Sauternes: la perfezione, il modello verso cui tendere. Si trova in una delle più gloriose denominazioni della zona del Médoc, ovvero il Pauillac AOC: la sua storia ha origine verso il 1670 circa, anche se la coltivazione della vite attorno alla torre di vedetta da cui prende il nome, costruita dagli inglesi nel XIV secolo, risale probabilmente ancor più indietro nel tempo. La fama dello Chateau Latour crebbe esponenzialmente nel 1700 con le esportazioni in Inghilterra e il successo presso la corte reale. Attualmente è di proprietà del finanziere Francois Pinault. Moët & Chandon, da parte sua, ha una lunga tradizione fatta di conquiste, primati e innovazioni pionieristiche e leggendarie, che l'hanno resa sinonimo del più amato Champagne al mondo. Fondata nel 1743, la maison di Epernay possiede oggi oltre circa 1200 ettari di vigneti e produce annualmente oltre 32 milioni di bottiglie di Champagne. Fa parte del Gruppo LVMH, leader mondiale nel Lusso. Queste cantine da mito - come pure gli altri Châteaux e i colossi francesi del vino di qualità quali Roederer di cui sono consulenti da tempo i Preparatori d'Uva - hanno l'esigenza di salvaguardare il loro patrimonio più prezioso, ovvero i vigneti minacciati da deperimento e mortalità precoce dovuti alle malattie del legno. «Nella zona di Bordeaux - racconta Marco Simonitil deperimento dei vigneti è un problema endemico,

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gravissimo, che falcidia oltre il 10% delle piante di Cabernet Sauvignon all'anno. Non avendo cure efficaci contro le malattie del legno (mal d'esca ed altre), Château Latour ha deciso di puntare deciso sulla prevenzione e ci ha chiamati come consulenti, dal momento che il Metodo Simonit&Sirch (che abbiamo messo a punto in anni di lavoro e sperimentazione) è volto rendere le viti meno vulnerabili, con una struttura legnosa più integra ed efficiente, grazie a una potatura mirata che riduce l'impatto devastante che hanno i tagli sul sistema linfatico delle piante. Abbiamo studiato il loro tradizionale modo di allevamento del Cabernet Sauvignon (Guyot del Médoc), abbiamo cercato di capirne i punti deboli e quindi abbiamo individuato tecniche di potatura meno invasive che lo stanno evolvendo, pur nel rispetto della tradizione. Il tutto, ovviamente, viene condiviso con la direzione e i tecnici dell'azienda. Lavoriamo soprattutto sui vigneti giovani e su quelli adulti non compromessi e formiamo le squadre dei potatori. La prospettiva è che in 5 anni si codifichi un sistema di potatura innovativo, che stiamo studiando specificamente per Château Latour. Valuteremo via via con loro le eventuali modifiche da effettuare, sempre nel rispetto della tradizione». La medesima filosofia viene applicata dai Preparatori d'Uva anche nei vigneti di Moët&Chandon, dove stanno studiando delle tecniche di potatura che evolvano quelle tradizionali dello Champagne (il Sistema Chablis per lo Chardonnay e il Cordone speronato dello Champagne per il Pinot Nero) con l'obiettivo di allungare la vita dei vigneti, che - con il 4/5 per cento di mortalità - sono meno vulnerabili di quelli di Bordeaux. «Avere delle piante più longeve possibile è infatti un'esigenza prioritaria per le grandi Maisons, dato che garantisce la continuità qualitativa e la riconoscibilità dei loro vini- spiega Marco Simonit Abbiamo iniziato a lavorare da Moët & Chandon nel 2013 in tre aree: Valle della Marna, Montagna di Reims, Côte de Blanc».


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BRASILE, LA MIA “NUOVA FRONTIERA” di Roberto Cipresso

l Brasile è nel nostro immaginario un posto già di per sé molto suggestivo: i panorami di Rio De Janeiro, con l'alternanza di profili collinari e spiagge mozzafiato; i colori ed i rumori del Carnevale, che richiamano quelli della sua allegrissima fauna; il verde acceso, sfumato e brillante della foresta amazzonica; gli spazi infiniti fino alle grandi pianure. Nella realtà delle cose, il Brasile contiene tutto ciò, ma ha anche molto di più. E' un Paese enorme, con aree dalle peculiarità climatiche anche molto interessanti ai fini della viticoltura: si tratta certamente delle zone che si distinguono per l'altitudine, oppure di quelle a sud, con le condizioni mitigate dalle brezze marine. Fin dai miei primissimi viaggi in Brasile però, sono stato attratto da un fattore per me molto curioso: preciso subito che sono originario di Bassano del Grappa; per tutti coloro che si troveranno a leggere questo articolo e che siano delle mie parti, sarà semplicissimo capire come sia da subito rimasto molto stupito di leggere nomi di paesi come Monte Belo, Garibaldi, Caxias Do Sul, Nova Bassano; e lo stupore è aumentato ulteriormente sentendo che, nei paraggi di Bento Gonçalves, sia le persone più anziane che le nuove generazioni portano ancora con sé il “Talian”, un dialetto molto simile a quello che nel vicentino veniva parlato alla fine del 1.800. Sinceramente, non avrei mai pensato - parlando molto bene lo Spagnolo ma non ancora altrettanto bene il Portoghese - che in questo contesto la mia terra di origine sarebbe tornata così utile! E non solo per scambiare opinioni, ma anche per scrivere i protocolli di lavoro! E' proprio per questo che con Città del Vino abbiamo deciso di destinare le poche bottiglie

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rimaste de Il Taglio dell'Unità - il vino che abbiamo creato insieme per celebrare i 150 anni dell'Unità d'Italia - proprio ad omaggiare il Sindaco di Garibaldi e quelli dei paesi vicini; in questa occasione, organizzeremo - magari proprio in dialetto - anche una conferenza sul vino italiano, e su come il modo di far vino proprio delle diverse zone viticole del nostro paese si sia coniugato con i flussi migratori degli Italiani. Nella zona di Bento Gonçalves, la tradizione che ha maggiormente attecchito è quella del vino spumante; e ciò, sia in richiamo ancora alla tradizione veneta, sia per un motivo di altra natura: i terroir non hanno in quest'area una potenza espressiva degna di una nota particolare; si è data quindi priorità ad un vino le cui uve devono essere raccolte in leggero anticipo, per mantenere freschezza e tonicità, e mettere in primo piano le scelte ed il ruolo dell'uomo piuttosto che quelli del territorio di coltivazione. Nelle zone viticole più a sud invece, come sopra accennato, il quadro è diverso, e lo sono anche le scelte di coltivazione. Ma il racconto della mia personale esperienza in Brasile non può prescindere da Galvao Bueno, la


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persona straordinaria che mi ha coinvolto nel suo progetto vinicolo nel sud del Brasile, nell'area di Bagé, al confine con l'Uruguay. Galvao è un noto giornalista sportivo, che nel corso della sua carriera si è occupato soprattutto di calcio e di Formula Uno, e che è parte integrante della storia di Globo; nella sua proprietà, coltiva il classico mix di varietà bordolesi - Merlot, Cabernet Franc, Petit Verdot -, abbinato al Pinot Nero da declinare nella versione “bollicine”; il suo progetto vede la produzione del Parallelo 31 (appunto blend di Petit Verdot, Merlot e Cabernet Franc), della Cuvée Prestige ottenuta con metodo Champenoise, e di uno Charmat Rosé da uve raccolte nel corso del diradamento nella fase di invaiatura. Sempre in merito a questo pro-

getto, è in cantiere un nuovo vino molto speciale, che sarà un Merlot in purezza, e che avrà come nome una data - 1836 molto importante per l'area del Rio Grande Do Sul; questa zona infatti - attualmente uno stato del Brasile - dal 1836 al 1845, a seguito di una rivolta contro l'Impero Brasiliano, diede vita alla indipendente Repubblica Riograndense per la quale combattè Giuseppe Garibaldi che lì vi trovò anche l’amata Anita.. Ad ospitare i vigneti di Galvao, abbiamo terroir dalla personalità molto marcata, specie per ciò che riguarda l'intensità luminosa; a questo proposito, abbiamo anche studiato insieme la capacità di questo fattore, delle sue sfumature e delle sue possibili variabili, di riflettersi nel prodotto finale, attraverso l'attuazione di diversi test calibrati con l'impiego nei

vigneti di teli bianchi in grado di riflettere la luce. Le uve ottenute con differenti gradi di intensità luminosa hanno dato prova di avere diversi tenori in acido malico ed in acidità in generale, e soprattutto differente qualità della propria dotazione in polifenoli - un processo fotosintetico più attivo permette un arricchimento delle bucce in elementi complessanti -. Con il passare del tempo, tra le altre idee in cantiere, valuteremo anche la possibilità di impiantare varietà diverse da quelle attualmente presenti. Con Galvao condivido infine anche un progetto italiano molto suggestivo oltre che di altissima qualità: un bellissimo vigneto di Brunello di Montalcino immerso tra i boschi, proprio a fianco della splendida Abbazia Romanica di Sant'Antimo.

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PRIMO PIANO

RINALDO RINALDI, L'AMARONE SECONDO ME Eccezionale apertura dell'archivio storico della maison scaligera per una degustazione unica. Il racconto della emozionante verticale che ha visto come protagonista l'Amarone di Villa Rinaldi dei primi anni di questo secolo. di Carlo Rossi

< Selezione e blend con le migliori uve presenti nella zona classica dei comuni di Negrar, Fumane, Marano, ovvero zona Classica e cuore della best selection delle uve dell'Amarone; appassimento naturale delle uve per 120 giorni circa; cernita e pulizia manuale dei singoli grappoli sino a dicembre, tradizionalmente prima di Santa Lucia. Poi pigiatura e diraspatura delle uve a bassa temperatura e in presenza di gas inerti. Una lenta fermentazione con lieviti indigeni per favorire la nascita di un amarone che presenta ancora zuc-

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cheri residui. Quindi contatto prolungato delle bucce per ulteriori tre settimane con rimontaggio quotidiano. Una svinatura e successiva pressatura soffice delle vinacce per non estrarre tannini indesiderati, ancora trasferimento del vino amarone in barrique nuove da 225 litri e proseguimento di una lenta seconda fermentazione degli zuccheri residui. Infine maturazione per 4 anni nelle medesime barrique. CosĂŹ nasce nella Boutique winery di Via San Lorenzo a Soave uno degli Amarone piĂš nobili, il


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PRIMO PIANO

Rinaldo Rinaldi con la moglie Irma Rancan ed i figli Alberto, Teresa, Paolo e Cinzia tutti impegnati nell’attività di una delle maison negociant-manipulant più prestigiose d’Italia le cui origini risalgono a due generazioni

Corpus, di un “negociant manipulant” di razza come Rinaldo Rinaldi. Dopo un lungo “corteggiamento” la famiglia Rinaldi ci invita ad una degustazione speciale, voluta per far vedere come l'Amarone “giusto”, quello capace di dare sicuramente molte soddisfazioni alla beva, sia quello con diversi anni alle spalle. Una degustazione del Corpus annate 2000, 2002, 2003 e 2008, che definire mitica non è sbagliato, perché avvenuta nel momento top di questi prodotti, a testimoniare che il tempo sovente dà giustizia e mitiga annate difficili, almeno per l'Amarone, se si è capaci di lavorare con passione, dedizione e considerazione per una variabile strategica per la creazione di un grande vino: la durata. Una limitata quantità di bottiglie prodotte da questa Maison, conosciutissima come una delle più creative per lo spumante metodo classico, fa ancor più apprezzare questa versione, anch'essa di grande equilibrio ed eccellenza realizzativa. Quindicimila bottiglie di Amarone prodotte con uve appassite fino a gennaio, poi diraspate lentamente e, dopo la fermentazione, pressate sofficemente rispettando i tempi e gli adagi come nel passato. per produrre un Corpus Amarone della Valpolicella Docg davvero eccezionale e sorprendente, che non ti fa mai

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orsono. Gli Amarone affinati a Villa Rinaldi, a Soave, provengono da alcuni dei terroir più belli della zona classica della Docg: Negrar, Fumane e Marano da vigneti che sono da anni sotto lo stretto controllo della famiglia.

pesare i suoi 16 gradi alcolici. Anzi. E il sogno di Rinaldo si concretizza negli inverni dove le sue uve appassiscono mantenendo intatte fragranze che poi ritorneranno al vino, evidenziando le caratteristiche di ogni zona. Per un artigianale produttore, per Villa Rinaldi, l’Amarone non è soltanto un business, ma un sistema che coinvolge l'intera famiglia nella trasmissione di valori e conoscenza che si tramanda di generazione in generazione. Per un negociant manipulant , uno degli ultimi, rimasti di grande qualità, il vino è soprattutto passione, motivo di orgoglio e senso di responsabilità. Cosa aspettarsi da un Amarone artigianale? Un Amarone artigianale descrive esattamente le caratteristiche del terroir da cui proviene: le espressioni uniche che derivano da specifiche particelle coltivate a vigna con basse rese per ettaro. I negociant indipendenti preferiscono preservare la tipicità dei propri vini, la loro specificità, e sono meno obbligati dalla prevedibilità di un gusto convenzionale, tenendo duro ed aspettando il momento migliore per collocare la loro produzione. In questo diventano così un veicolo del passato, dato che di fatto il vino è probabilmente l'unico archivio sensoriale piacevolmente fruibile della produzione


L’AMARONE SECONDO ME.

agricola mondiale. Se voglio consumare un prodotto della terra ad esempio del 2000 o del secolo scorso, soltanto una bottiglia di vino oggi posso bere. E questo è il miracolo. Questo il principio che sta anche alla base dell'aumento di valore nel tempo del vino. Oggi sono moltissime le bottiglie in commercio delle annate recenti, poche, rarissime, perciò di grande e crescente valore, gli esemplari fruibili in modo ancora piacevole di annate vieppiù antiche. Il vino con il tempo vede quindi rivalutato - come è giusto - il suo valore economico: ogni anno che passa l'esistenza in vita di una annata, ancor più se buona, è fatto sempre più raro, perciò più prezioso. LA DEGUSTAZIONE: CORPUS AMARONE DELLA VALPOLICELLA CLASSICO DOC 2000 La prima cosa che colpisce di questa cantina è la continuità di stile che caratterizza le annate: sono tutti vini eleganti ed estremamente longevi, caratterizzati da lunghi periodi di invecchiamento altrove impensabili come per i quindici anni dell'annata 2000, la prima in assaggio rivela intatta la vitalità dell'infanzia. Colore rubino con unghia brillante, molto importante. Al naso è intenso, fresco, pulito, con note prorompenti di amarena e ciliegia in confettura che sfumano in piacevoli sensazioni erbacee, fieno e foglia di tè, miste a sentori di cacao e tabacco. I profumi sono complessi ma non ancora definitivamente evoluti. Nonostante i quindici anni. In bocca è fresco, esuberante, persistente, coi tannini appena un po' aggressivi che scalpitano per poi sciogliersi in dolcezza. E' un vino potente, piacevole, molto intrigante, sicuramente un cavallo di razza, ma ancora lontano dal traguardo che solo il tempo gli faranno raggiungere. Ancora promette magie. Naso austero, con Euposia Novembre-Dicembre 2015

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PRIMO PIANO

netto. Vini spesso di grande concentrazione, polposi, e con tannini non facili. E dalle note di degustazione si avverte come la longevità abbia fatto premio, la capacità di aspettare il momento giusto per assaggiare l'acidità il fattore che ha deciso la sorte dei vini, salvandoli dal destino al quale li condannava l'annata, ossia un profilo gustativo squilibrato e una difficoltà di beva delle volte insostenibile. Infatti anche qui emerge l'abilità composizione del blend da parte di Villa Rinaldi nel mantenere le caratteristiche di nobiltà.

prorompenti richiami di amarene, ciliegie sotto spirito e confettura di prugne, poi terziari dell'affinamento, di cacao e speziati di tabacco dolce. Palato caldo e morbido con finale ammandorlato. Struttura possente e vibrante, per questo sfarzoso e grande Amarone. Compagno perfetto di piatti a base di selvaggina contornati da formaggi ben stagionati. In maggioranza sono le uve provenienti da Negrar, che conferiscono questo grande ed integro frutto, ciliegia. CORPUS AMARONE DELLA VALPOLICELLA CLASSICO DOC 2002 Lussuoso con prorompenti richiami di amarene, ciliegie sotto spirito,confettura di prugne, cacao e spezie. Ammandorlato e gradevolmente amarognolo, quasi asciutto. Puro, leale e franco, rievoca emozioni autentiche e ricordi di un

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tempo passato. Dopo 13 anni da un risultato molto buono, nonostante in generale la vendemmia poco favorevole, che testimonia l'importante lavoro di selezione fatto da Villa Rinaldi CORPUS AMARONE DELLA VALPOLICELLA CLASSICO DOC 2003 Come in quasi tutto il resto d'Italia, la vendemmia 2003 non è stata facile. Nel caso dell'Amarone, le elevate concentrazioni zuccherine di partenza hanno reso necessario l'anticipo del periodo di pigiatura ai primi di dicembre; i vini ottenuti nelle zone più fresche hanno raggiunto più facilmente una ordinata maturazione fenolica, ed il riassunto degli Amarone annata 2003 potrebbe essere il seguente: elevata alcolicità, bassa acidità totale, pH leggermente elevato e un buon estratto secco

CORPUS AMARONE DELLA VALPOLICELLA CLASSICO DOC 2008 L'annata 2008 ha visto un Amarone stilisticamente più evoluto, in cui il terroir diventa sempre piu' protagonista di concerto con la tecnica dell'appassimento; un Amarone più equilibrato. I sei terroir distintivi della DOC Valpolicella hanno lasciato la loro impronta sul prodotto finito in maniera netta e tangibile in particolare : la vallata di Fumane in particolare ha dato vita ad un vino di struttura, potenzialmente molto longevo, dalla vallata di Negrar il Corpus ha raccolto l'opulenza, tannino molto morbido e dolce e un frutto ben maturo, infine la vallata Marano ha conferito una gran finezza e eleganza, spiccate note floreali e balsamiche, di speziati. Risultato di un'annata più fresca del solito, che ha dato dei vini di maggior finezza, strutturati ma senza essere corpulenti. Un Amarone notevolmente più territoriale e riuscito solo a chi ha saputo fare bene la sua parte nel vigneto e nella selezione. Come Villa Rinaldi. >



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SPUMANTI ABRUZZO DOP: NUOVE BOLLICINE ALLA CONQUISTA DEL MONDO dal 1973 che Codice Citra raccoglie attorno a sé nove cantine sociali, il meglio della vitivinicoltura d'Abruzzo, terra vocata alla coltivazione di diversi vitigni, quali il Montepulciano, il Trebbiano, il Passerina e il Pecorino, e alla produzione di molte tipologie di vino. Da allora sono passati oltre quarant'anni, l'Azienda si è ingrandita facendosi conoscere, sia in Italia sia all'estero, conquistando milioni di consumatori. Quali sono state le dinamiche che hanno portato il Gruppo ai vertici dell'enologia? Ne parliamo con il Presidente, Valentino Di Campli: quante bottiglie escono dalla cantina? «Di circa un milione di ettolitri di vino conferiti dalle cantine socie, Codice Citra ne seleziona solo una parte, per una produzione complessiva di 20 milioni di bottiglie l'anno». Quante tipologie di vino sono prodotte? «Le referenze Citra sono al momento 41, un numero destinato a crescere ulteriormente». La presenza di Citra all'estero: quali mercati? «Codice Citra è presente con i propri marchi in 40 Paesi: i principali mercati sono Usa, Canada, Germania, Regno Unito, Giappone e Cina». Quante bottiglie sono esportate? E quali sono i vini più gettonati? «Il 65% del fatturato deriva dalle esportazioni con un trend in crescita negli ultimi anni. Sicuramente i vini destinati al canale Horeca, quindi il Laus Vitae e il Caroso Montepulciano d'Abruzzo, e le bottiglie della linea Selezione composta dai nostri straordinari vitigni autoctoni Pecorino, Passerina e Cococciola».

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Oggi Citra è la più importante realtà dell'Abruzzo, punto di riferimento per la qualità dei vini che escono dalla cantina, tra autoctoni e internazionali, e da un po' di tempo state allargando i vostri orizzonti con un progetto ambizioso legato al mondo degli spumanti: fare delle super bollicine, Metodo Classico e Metodo Charmat, con vitigni autoctoni. Lino Olivastri, lei è l'enologo dell'azienda che si occupa di ricerca e sviluppo relativamente a questo nuovo progetto, sempre alla ricerca dell'alta qualità, segue e controlla tutta la filiera produttiva per ottenere il massimo dalle uve e dalle loro potenzialità ancora inespresse, ci vuole parlare e illustrare come nasce questo progetto e quali sono gli obiettivi? «Il progetto nasce cogliendo l'opportunità che ci si è presentata con l'istituzione nel 2010 della DOP Abruzzo, nell'ambito della quale sono previste la tipologia "Metodo Classico" e "Metodo Charmat" (o, per meglio dire, "Metodo Martinotti": diamo a Cesare quel che è di Cesare!). L'intento del legislatore è stato quello di recepire l'esigenza del mondo vitivinicolo abruzzese che, sensibile alle richieste del mercato, ha spinto per l'inserimento nella DOP di varietà autoctone come Pecorino, Montonico, Cococciola, Passerina, oltre alle più blasonate Montepulciano e Trebbiano. Sfruttando il PSR 2007/2013, Misura 124, abbiamo operato una sperimentazione dalla vigna fino al consumatore dedicata esclusivamente al Metodo Classico, mentre in parallelo abbiamo condotto una sperimentazione autonoma relativamente alla presa di spuma in autoclave.


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Inoltre il territorio è particolarmente vocato alla viticoltura di qualità: con le sue peculiarità tra escursioni termiche favorevoli, brezze marine mitiganti, pedo-morfologia variabile dalla costa ai monti, offre una serie di opportunità uniche per la coltivazione della vite, ma soprattutto ne esalta le caratteristiche di biotipicità». «La valorizzazione di questa biotipicità e quindi delle varietà autoctone - aggiunge Lino Olivastri (nella foto in alto a sinistra) - , che fanno sicuramente la differenza in una base ampelografica, è la via per acquisire nuovi mercati. Le sperimentazioni in merito hanno inoltre dimostrato come i nostri vitigni autoctoni, sia quelli a bacca bianca sia il Montepulciano, diano ottime uve per vini base spumante da ottenere sia con il Metodo Classico che con il Metodo Martinotti. Il Pecorino. con le sue note tenui di erbe officinali e fruttate, grazie anche alla sua struttura ed eleganza, è da reputare un ottimo vitigno da metodo Classico. Il Montonico, caratterizzato da bassa alcolicità potenziale, alta acidità e tardiva epoca di maturazione, ci indica le sue attitudini verso la presa di spuma classica, da solo o in concorrenza con altri autoctoni. Il Cococciola, che ha dimostrato di essere più incline al Metodo Martinotti, utilizzato da solo o in uvaggio, non disdegna acidità e freschezza. II Passerina, floreale per eccellenza, con finale di frutta a pasta gialla, sapido, è un'ottima base spumante per presa di spuma in autoclave. Il Montepulciano si conferma un'ottima uva da base spumante: spumantizzato con il Metodo Classico, dà un “blanc de noirs” molto interessante (come verificato dalla sperimentazione PSR); nella versione rosé, la base è preparata con un leggerissimo contatto con le bucce, per avere una colorazione rosa tenue. Il metodo Classico mette in evidenza l'eleganza delle note floreali di rosa e di quelle fruttate di fragola e nocciola, conservando, nel rosé, la corposità tipica di una grande matrice. Con la sua struttura e corposità, il “blanc de noirs” concorre sicuramente al completamento di cuvée con altri autoctoni, conservando tutta la sua potenza e promettendo ottimo affinamento in bottiglia, Le nostre ambizioni sono quelle di un territorio, particolarmente vocato, che ha le potenzialità per assurgere ad alti palcoscenici, anche a quelli riservati all'élite enologica internazionale». Euposia Novembre - Dicembre 2015

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PRIMO PIANO

CONTRO

< Il cielo terso come un bicchiere di cristallo, le costellazioni che brillano a giorno nel loro splendore, l'orsa maggiore, il grande e piccolo carro... E lei Venere, ribattezzata Vespero o Lucifero, due nomi, due visi, due stelle in una. E poi quel sentimento che aggroviglia le viscere, che sussultano sino a toccare il cuore. Il canto del muezzin scandisce i movimenti del cielo, ogni villaggio ha il suo muezzin, più o meno intonato. Forse qualcuno si è fatto furbo e ha messo

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TERRORE

un cd. E poi rumori lontani, ad oriente, oltre l’Antilibano, dalla bella Damasco, abitata dal secondo millennio a.C. Damasco non c’è più, al suo posto rumori sordi, boati che trafiggono il cuore. Ad occidente il Monte Libano, oltre questo l’immortale Beirut, la fenice che continua incessantemente a rinascere dalle proprie ceneri. Al di sotto dell’orizzonte una distesa immensa di vigneti. E’ la valle della Bekaa, fertile e rigogliosa, dove scorrono vino e miele. Conosciuta più per le


Cronaca della vendemmia 2015 in Libano, dove la guerra in Siria è il “convitato di pietra”. Ma dove non si rinuncia al vino... e all’Arak Testo e foto di Magda Beverari

coltivazioni di hashish che di vite costituisce oggi il più grande vigneto del Libano, ma non il solo. Ogni anno il Libano produce circa 8 milioni di bottiglie, i vigneti oltre che in questa fertile valle, sono situati anche al nord, nella regione di Batroun, e a sud, verso Jezzine… a pochi

km da Saida. La produzione vinicola è quasi interamente consumata all’interno del Paese, sebbene i produttori più importanti siano fieri di esportare in tutto il mondo. E’ agosto, tempo di vendemmia, che inizia con i bianchi come il viognier, lo chardonnay

e il muscat petits grains, per poi continuare con le altre varietà. Quest’anno la vendemmia dei grappoli a bacca bianca si è svolta un po’ in ritardo rispetto al solito, infatti i primi grappoli sono stati raccolti attorno al 20 agosto, invece che attorno al15 come è accaduto nelle annate precedenti, complici le abbon-

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Valle della Bekaa, Libano, al confine con la Siria: immagini della vendemmia 2015

danti piogge primaverili e le temperature per certi versi sotto la media. «L’ondata di freddo proveniente dalla Russia e che è passata per la Turchia si è abbattuta sul Libano nel mese di Aprile, le temperature sono scese sotto lo zero nella valle della Beqaa, al punto che molti ulivi non sono sopravvissuti all’inverno, e i vitigni a bacca bianca già in fiore hanno subito le conseguenze di questa gelata primaverile, quest’anno si è registrato un calo piuttosto consistente del rendimento di questi ultimi» ci dice Fabrice Guiberteau, direttore tecnico di Château Kefraya. Ma la natura, come solo lei sa fare, si è presto ripresa, anche se con un rendimento più basso. Come ogni anno la vendemmia diventa il palcoscenico per alcune comunità di Badawi, ovvero tribù di beduini perlopiù siriani che ormai da nomadi sono diventati stanziali. Il loro accampamento lo si vede sulla strada, poco dopo l’agglomerato urbano di Kab Elias, nei pressi di Château Saint Thomas. Château Saint Thomas è una piccola proprietà a conduzione familiare, ci sono due vini che spiccano nella loro produzione, uno è il Pinot Noir, che viene coltivato a 1300 metri sulle alture dell’Antilibano, a pochi km dal confine siriano, e l’altro è l’Obeidy, l’unico vitigno bianco autoctono ad oggi vinificato in purezza. Entrambi sono strani, il Pinot Nero somiglia ad un giovane uomo di bell’aspetto che non si rade da qual-

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che settimana, emerge un Pinot Nero un po’ rude, a tratti brusco, ma estramente generoso. L’Obeidy sorprende per il suo carattere secco, sapido e neutro, il naso e’ decisamente vinoso, e la bocca è piena con una leggera nota amarognola in chiusura. A Château Saint Thomas la vendemmia è un rito che da molti anni è praticato da una famiglia siriana di un accampamento vicino, sono molto numerosi ed il lavoro in vigna costituisce un momento di condivisione tra parenti dove non di rado si vedono bambini di età scolare bazzicare tra i filari coltivati a guyot. Se da Beirut imbocchiamo la «rue de Damas» ci inerpichiamo tra le alture del Monte Libano e arrivando nella «pleine de la Bekaa» ci ritroviamo a Zahle, la più grande città della valle della Bekaa, a soli 30 km da Damasco. Oggi accoglie oggi uno dei più grandi accampamenti di profughi siriani dall’inizio della guerra. In totale il Libano ne ospita quasi un milione e mezzo, la maggior parte di essi non ha un lavoro nè condizioni di vita che possano somigliare alla normalità. La valle della Bekaa vive per perlopiù di agricoltura, di conseguenza il lavoro nei campi non manca, e la manodopera siriana costa meno di quella libanese. In tutti i vigneti vige la pratica tanto cara a Durkheim della divisione del lavoro. Le donne raccolgono l’uva e la mettono ordinatamente nelle casse, gli uomini trasportano le casse sino ai


VENDEMMIA

CONTRO IL

TERRORE

carri. La raccolta inizia al mattino alle 6, per poter sfruttare le ore più fresche, e generalmente alle 9, quando il sole inizia già a scaldare la terra, il lavoro è terminato. Al mattino la temperatura è piuttosto bassa, intorno ai 18 gradi, la rugiada è ancora visibile sull’erba, sulle foglie delle vigne e sui grappoli… poi a poco a poco una foschia dai tratti incantati si eleva dal fondo della valle e la rugiada evapora, il panorama è mozzafiato, da togliere il respiro. «Quest’anno - ci dice uno dei responsabili della raccolta in alcuni vigneti ad Anjar appartenenti a Coteaux du Liban - su 150 raccoglitrici che abitualmente venivano da Damasco e dintorni ne sono arrivate solo 30… le altre non mai partite perché Daesh lo ha proibito - il vino e’ haram, ovvero proebito per l’Islam, in particolare l’Islam fondamentalista di matrice sunnita, come quello praticato dal Califfato». «Anche produrre Arak, la bevanda alcolica nazionale è diventato complicato. Prima della guerra acquistare la migliore anice dalla Siria era una pratica normale - ci dice il miglior produttore di Arak del Paese andare e tornare da Damasco per i produttori di vino era pratica quasi quotidiana, e produrre birra in Siria anche. Ora non lo è più, e l’approvigionamento di anice e di uva Obeidy per la produzione dell’Arak è subordinato ad accordi verbali presi direttamente in loco, quindi in Siria. E’ necessario essere disposti a pagare cash e a versare un contributo ad Hezbollah perché garantisca l’arrivo della merce oltre il confine siriano. E chi prima arriva meglio alloggia... L’anice e l’uva per l’Arak vengono trasportate con dei pick-up… il partito di Dio chiede sino a 1000 dollari per prendersene cura e farli giungere sani e salvi in distilleria». E non è il solo problema. Un tempo il popolo siriano era un grande consumatore di Arak, ma oggi, a causa del Califfato preferiscono la vodka, perchè non lascia odore a differenza dell’Arak... > Euposia Novembre-Dicembre 2015

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Uno strepitoso Dosage Zero Noir 2006, la conferma del millesimo 2011 della Vintage Collection, il Carmenero e il taglio bordolese Maurizio Zanella sino all’Anna Maria Clementi 2006, vera e propria icona del vino italiano: Euposia li ha provati per voi di Giulio Bendfeldt

< Cà del Bosco è un’icona del vino italiano e anche se il suo mercato di riferimento resta essenzialmente quello nazionale, il ruolo cui viene chiamata la maison di Erbusco al di fuori dei confini patrii è sempre più quello di ambasciatrice di una qualità senza compromessi e senza timori revenziali. E’ di pochi mesi fa - ad esempio - l’inserimento della testimonianza di Maurizio Zanella - fondatore e oggi co-owner della maison franciacortina - fra i cinque

protagonisti del metodo classico chiamati in Champagne per parlare degli obiettivi qualitativi e strategici che si debbono dare le bollicine da rifermentazione in bottiglia. Ora un Italiano, uno Spagnolo (Pepe Raventòs, che ha abbandonato la DO Cava per una ancora più stringente e rigida così da recuperare gli errori catalani degli ultimi trent’anni), un Inglese (Andrew Weeber di Gusbourne, uno degli interpreti del più imprevedibile

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Maurizio Zanella, patron di Cà del Bosco, presidente del Consorzio di tutela del Franciacorta: ha guidato le cantine del metodo classico bresciano durante gli ultimi anni e la entusiasmante stagione dell’Expo. Nella doppia pagina

successo degli ultimi anni, la spumantistica d’OltreManica) e due Francesi (Henri Giraud e Jacky Blot) che parlano di Champagne, in Champagne, suona così strano da far sembrare l’incipit una barzelletta, ma la dice lunga sullo stato dell’arte raggiunto di Cà del Bosco, il riconoscimento raggiunto fra i professionisti più severi del settore e le prospettive che, di conseguenza, si aprono per tutto il metodo classico italiano di alta qualità. Una autorevolezza cresciuta giorno dopo giorno, con tanta fatica in vigna ed in cantina, ma anche con quell’orgogliosa sicurezza che è necessaria per affermarsi in un mondo dominato da due blockbuster opposti: i 300 anni ed i 300 milioni di bottiglie dello Champagne («E noi abbiamo bisogno che la Champagne torni ad essere la locomotiva delle bollicine di alta qualità nel mondo puntando alla qualità vera più che al marketing» ribadisce Maurizio Zanella nel film-documento “A path to humilty” frutto delle riflessioni d’Oltralpe) e i 20 anni e i 300 milioni di bottiglie del Prosecco che hanno rivoluzionato i consumi e l’approccio globale ai vini spumante. Quale la “terza via” , allora? Per Cà del Bosco una costante innovazione tecnologica finalizzata a preservare il frutto, abbinata a regole rigorose in coltivazione ed in cantina dove nulla viene

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precedente uno dei tanti gioielli tecnologici della cantina di Erbusco: il tank per la Cuvée Prestige, il Franciacorta più amato della maison, realizzata in una singola vasca d’acciaio.

lasciato al caso. A partire dalla rigida selezione dei grappoli appena vendemmiati, al “metodo CdB” con tre vasche di lavaggio degli stessi e quindi di asciugatura in modo da togliere ogni impurità senza portare acqua in pigiatura; la pigiatura in assenza di ossigeno, la fermentazione in piccole botti di rovere, il travaso dei vini per gravità così da evitare ogni possibile “contaminazione” sino ad arrivare al degorgément in assenza di ossigeno (brevetto interno della maison) e quindi asenza di shock ossidativi e di aggiunte di solfiti. Come ogni autunno, Euposia degusta le nuove annate in commercio di Cà del Bosco affiancando ai Franciacorta Docg ed al simbolo della maison - la cuvée Annamaria Clementi - anche due dei suoi vini fermi, un forte segnale di attenzione verso la tradizione del territorio. LA DEGUSTAZIONE VINTAGE COLLECTION BRUT 2011 La Vintage Collection si posiziona al “centro” della gamma CdB, dopo le Cuvée Prestige, notoriamente un non vintage, ovvero un blend anche di più annate e non soltanto di più vini. Qui in gioco entra il millesimo, in questo caso il 2011, ed ogni annata è frutto delle condizioni uniche di quelle stagioni contraddi-


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BOSCO, LE NUOVE ANNATE

stinte da non poche anomalie meteorogiche. Il blend vede chardonnay, pinot bianco e una robusta presenza di pinot nero (almeno il 30%) provenienti da venti vini base. La fermentazione in botte non dura più di cinque mesi, la cuvée viene preparata a otto mesi dalla vendemmia. Olfatto potente, immediato, con note aggrumate e speziate, con un palato vibrante, verticale, dove tornano le note fruttate e le sensazioni più calde legate ai lieviti. Di grande persistenza, è molto appagante. Come tutti i Cà del Bosco, il “metodo” della maison permette di uscire con un terzo dei solfiti ammessi per legge: 60 milligrammi/litro contro i 185 previsti. Niente mal di testa, e soprattutto una maggiore longevità naturale del vino. VINTAGE COLLECTION SATÈN 2011 Il Satèn è una di quelle innovazioni che piacciono o non piacciono, senza possibilità di grandi mediazioni. E’ indubbio che abbia reso il Franciacorta Docg più “facile” per il largo pubblico, andando a conquistare quello femminile che nel vino conta sempre di più. La maggiore cremosità e setosità lo rendono più accessibile, ma il rischio di sbagliare tutto e farlo diventare stucchevole è proprio dietro l’angolo. Esce di scena il pinot nero, e cresce lo chardonnay sino all’85% dell’uvaggio. 2 grammi/litro di zuccheri aggiunti. Satèn, ma non un mollaccione. C’è nerbo, struttura, piacevolezza unita a sostanza. Mai stucchevole, mai noioso. Il Satèn giusto per ricredersi o per confermarsi nella propria passione. VINTAGE COLLECTION DOSAGE ZERO 2011 Venti parcelle diverse, pinot nero al 22%. Nessuna aggiunta di liquore alla sboccatura. L’essenza della Franciacorta. Un vino che non delude mai, annata dopo annata. Un olfatto pieno, ricco di profumi, invitante, che gioca a mostrarti le sue mille sfaccettature. Un palato molto coerente, diretto, dalla superba acidità che lascia presagire un grande potenziale di invecchiamento anche se, onestamente, perchè farlo? MAURIZIO ZANELLA 2010 La Francia è stata la “rivelazione” per Maurizio Zanella, anzi più probabilmente la sua vera “alma mater” e quindi questo taglio bordolese - il classico blend di cabernet sauvignon, merlot e cabernet franc - vuole essere un tributo a quella scuola e, conoscendolo, anche la dimostrazione che gli allievi debbono battere i maestri se si vuol mantenere viva, e rafforzare, la stessa tradizione. Anche qui, una maniacale cura in cantina di grappoli d’uva che già han dovuto sopportare una brutale decimazione per essere ammessi alla vinificazione. Con l’ausilio della forza di gravità le lavorazioni, i rimontaggi, e le svinature avvengono senza sballottare il vino, permettendogli di maturare in assenza di stress. Malolattica in piccole boti di rovere, dopo l’assemblaggio il vino matura altri 17 Euposia Novembre-Dicembre 2015

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mesi in legno. Il risultato è un vino potente, maschio, dall’eccezionale facilità di beva al contempo, che mantiene tutto quello che promette al naso. Col Pinot nero in purezza - il “Pinero” - rende tangibile l’orgoglio del suo fondatore. Chapeaux bàs! CARMENERO 2008 Lo premettiamo subito, ogni volta che Euposia incontra un carmenere difficilmente viene delusa. Sarà per la sua storia di vitigno “trafugato” e per ignoranza identificato per decenni col cabernet franc, sarà per questo destino che da reietto oggi lo porta ad essere scelto dal top delle cantine...sarà per mille ragioni, ma il suo colore intenso, cupo, le sue note speziate, ci affascinano sempre. Anche in Cà del Bosco fa la sua figura, e sì, l’etichetta è sincera: sembra davvero un lupo travestito da agnello...un vecchio brigante nel bicchiere, il compagno ideale insomma. FRANCIACORTA DOCG RISERVA VINTAGE COLLECTION DOSAGE ZÉRO NOIR 2006 Una scommessa ma possiamo davvero chiamarla così? - giunta alla sua seconda etichetta, al suo

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secondo millesimo in bottiglia. Un cru che abbraccia la Tenuta Belvedere che dall’alto di quasi 500 metri sul livello del mare si confronta con le coste meridionali del Lago di Iseo, chiudendolo nei suoi confini attuali, ma beneficiando di tutti i suoi effetti. 62 quintali di resa per ettaro, pinot nero in purezza, senza aggiunta di liquer d’expedition e con appena 4, quattro (lo scriviamo per esteso, neppure fosse un assegno, ma di certo rilevante lo è altrettanto!), milligrammi/litro di solfiti (ricordate, per la legge si può arrivare sino a 185!). Cinque mesi di fermentazione in piccole botti prima del tiraggio, e poi altri 8 anni e mezzo sui lieviti. Il risultato? uno dei migliori blanc de noirs in assoluto, un metodo classico che non può mancare nella cantina privata di un vero intenditore. Profondo e complesso, ricco e così maledettamente intrigante da bere. FRANCIACORTA DOCG RISERVA CUVÉE ANNAMARIA CLEMENTI 2006 In 36 annate, ovvero dal 1979 ad oggi, è stato prodotto soltanto in 21 millesimi, le annate migliori, le uniche da dedicare ad un nome che è nel cuore di Maurizio Zanella, la madre cofondatrice della maison di Erbusco, scomparsa nel 2014, ed anche nella mente di ogni winelover italiano. In questi 36 anni, questa Cuvée franciacortina ha modificato di poco il proprio uvaggio, con la crescita del pinot nero a scapito dello chardonnay, ma ha trovato lungo la strada una nuova piacevolezza, lontana dalla forza possente di qualche anno fa. Certamente, nel tempo ha creato un proprio pubblico ed ha “diviso” gli appassionati di Franciacorta, simbolo di una via molto identitaria. Ma è l’Annamaria Clementi ed oggi è l’icona, il simbolo, di quello che può diventare il Franciacorta. Un simbolo che vale per tutti i vigneron e tutti i winelover. Andare a scoprire le nuance, provare a raccontare le sensazioni che suscita risulta più che velleitario, inutile. Oggi è lo stato dell’arte. Il punto di riferimento. Altro da dire, non c’è. >



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LAMOLE, BARICENTRO TOSCANO A Greti prende vita il nuovo polo produttivo Santa Margherita in Toscana al servizio di una realtà che oggi conta oltre 200 ettari di proprietà fra Chianti classico e Maremma

< L’anima toscana di Santa Margherita - certamente più conosciuta per i suoi vini bianchi, dal Pinot grigio al Prosecco - ha acquisito dal 1993 ad oggi un ruolo sempre più rilevante. Da un lato è il naturale “bilanciamento” di una realtà che si è sempre posizionata a Nordest (dall’Alto Adige, alla Franciacorta, al Veneto sia collinare che sulla gronda lagunare), dall’altro la Toscana resta nell’immaginario globale come “la meta” di qualsiasi tour si voglia fare in Italia. Un’attenzione che si riflette - di conseguenza - sulle scelte dei winelover di tutto il mondo. E il peso, che nelle ultime due decadi ha acquisito questo polo, non è da poco: 215 ettari di proprietà complessivi, 87 a vigneto e 4 di uliveto. Una presenza focalizzata su due aree molto particolari: la “terrazza” di Lamole, che domina tutto il Chianti classico, e la

Maremma, l’ultimo angolo selvaggio del nostro Paese. Il “peso” sta anche nella qualità degli investimenti che sono stati fatti per portare queste due realtà all’eccellenza: a Lamole si è partiti dalla ricostruzione dei vigneti salvaguardando gli antichi terrazzamenti, recuperando cloni di sangiovese, e lavorando sulla biodiversità autoctona valorizzando nel bosco uno strumento di difesa naturale del vigneto. Puntando alla piena sostenibilità - dal 2017, volendo, si potrà ottenere la certificazione bio - si sono azzerati gli apporti della chimica di sintesi e si è tornati ad alimentare il suolo col compost derivato dalle potature. Un insieme di attenzioni che, però, non trovavano “fisicamente” un proprio baricentro, una realtà unica che presentasse la globalità di questa realtà e, soprattutto, servisse a far esplodere tutte le sue potenzialità. Quel baricentro oggi c’è e sta a Greti, nel Comune di

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Il vigneto di Campolungo, a valle del centro storico di Lamole, a circa 500 metri sul livello del mare, una balconata che domina il Chianti classico citata sin nei secoli scorsi come una delle aree più indicate per la

Greve in Chianti, dove dalla ristrutturazione di una vecchia distilleria di grappa è nato il nuovo centro di lavorazione del gruppo: una nuova e moderna linea di imbottigliamento e di stoccaggio, l'affinamento in legno e in acciaio, una sezione sperimentale dedicata all'affinamento in cemento e a quello in bottiglia (che varia da un minimo di 6 a un massimo di 12 mesi) per Riserve e Gran Selezione. A questa nuova realtà resta affiancata la “cantina storica” che, ubicata in un vecchio magazzino risalente al XV° secolo del castello di Lamole (dove è presente un sistema di produzione del vino a caduta, attraverso il torchio), mantiene la sua funzione di “area di maturazione” del vino: al piano superiore sono collocate le botti medio/grandi (30 hl) di affinamento del mosto, in particolare, quello prodotto con le uve del Vigneto di Campolungo dell'ultima annata in maturazione e la botte "a uovo" di Taransaud che tramite il moto convettivo al suo interno ottimizza l’affinamento del vino. Al piano inferiore della cantina storica, si trovano le barrique utilizzate principalmente per Cabernet Sauvignon, Merlot e una parte di Sangiovese. Qui inoltre sono conservate le bottiglie storiche dell'Azienda, l'etichetta più vecchia riportante il nome

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produzione di Chianti di qualità. Protetto a nord dal monte San Michele è rivolto a sud-ovest; la ristrutturazione dei vigneti ha comportato la ricostruzione di tutti i muretti a secco originari.

di Lamole di Lamole è del 1966, la prima con dizione Vigneto di Campolungo è datata 1985. Alla componente tecnica a Greti si è voluta affiancare anche la parte riservata all’accoglienza dei winelover: un ristorante/bistrot, il wineshop e tutte le informazioni per raggiungere ed apprezzare i vigneti. Uno sforzo non da poco per il gruppo Santa Margherita che però ha visto anche nei numeri crescere il valore dei tenimenti toscani: è cresciuto il fatturato in Centro Italia (oltre il 50% dal 2011 ad oggi), il suo peso all’interno di quello più generale di Santa Margherita ed è ulteriormente migliorata la già forte propensione all’export con Stati Uniti e Nord Europa mercati di riferimento. LA DEGUSTAZIONE CHIANTI CLASSICO DOCG “ETICHETTA BIANCA” 2012 Facile sarebbe partire dal vigneto di Campolungo, il cru di Lamole, e farla finita lì; più difficile è fare un grande Chianti classico base, quello che fa più numeri, che ha sei mesi in acciaio e quindici in botte grande come affinamento . Dovrebbe essere quello “da battaglia”, invece, è quello


LAMOLE, BARICENTRO TOSCANO

che sorprende ogni volta per l’estrema pulizia, la finezza all’olfatto e la coerenza al palato. Dalla grandissima bevibilità. CHIANTI CLASSICO DOCG “ETICHETTA BLU” 2012 Il Sangiovese viene ingentilito da un innesto di merlot e cabernet sauvignon. Un ulteriore affinamento in barrique (12 mesi, in legni di diversi passaggi) completa la maturazione del vino dopo il l’elevazione in acciaio e quello nelle botti grandi. Più rotondo dell’etichetta bianca, ha un olfatto ricco e potente: la ciliegia rossa vira decisamente verso l’amarena e la prugna e i frutti di bosco. Palato caldo e pieno, con un finale dominato dalle spezie e una leggera nota di pietra focaia. CHIANTI CLASSICO RISERVA DOCG 2010 Al sangiovese si aggiunge una piccola percentuale di canaiolo; trenta mesi di affinamento in botte grande. Si ritorna ad una interpretazione più austera del Chianti classico, di grande fascino. Il colore nel bicchiere vira più verso il granato, i profumi sono intensi con note di terra e pietra, su un frutto oramai ben maturo. Palato secco, asciutto. Caldo. Note più speziate. Minerale il finale. CHIANTI CLASSICO GRAN SELEZIONE “VIGNETO DI CAMPOLUNGO” 2010 Vigneto di Campolungo è il “cru” di Lamole: un corpo unico di poco più di nove ettari, ubicato immediatamente a valle del centro storico di Lamole perfettamente esposto al sole. Grande attenzione nella selezione dei grappoli mentre il blend vede affiancare al sangiovese il cabernet sauvignon, sebbene per un’aliquota molto piccola (il 5%). Il sangiovese affina il botti grandi, per il cabernet sauvignon ci sono barrique e tonneaux, per complessivi 30 mesi. E’ il vino di punta, quello premiato coi “Tre Bicchieri”, quello delle occasioni importanti. Olfatto di grande pulizia e ricchezza; palato molto fresco e vellutato, con note floreali e fruttate ben marcate. Un vino di grande piacevolezza, capace di entusiasmare e dalla perfetta abbinabilità coi piatti della tradzione italiana. > Euposia Novembre-Dicembre 2015

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PATERNOSTER, LA DINASTIA

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Strepitosa verticale del “capofila” dell’Aglianico del Vulture: dal 1998 al 2011, così evolve nel tempo uno dei più grandi vini italiani in assoluto

< Novanta vendemmie non sono proprio poche e permettono di attraversare la grande Storia portandola ad una dimensione più umana, più gestibile. Anselmo Paternoster, un ragazzo del ‘98, Cavaliere di Vittorio Veneto (ovvero, la più giovane classe di leva mandata sul Piave a vent’anni per chiudere a qualunque costo la Prima Guerra Mondiale) certamente non avrebbe immaginato la lunga strada percorsa dalla sua cantina. Avviata nel 1925, in un Sud davvero profon-

do ma - allora - ancora “povero ma intonso” alle pendici di un vulcano che affascina le genti sin dai tempi dei Greci. Mai avrebbe immaginato che suo figlio Giuseppe, nato nel 1919, primo frutto della pace ritrovata, pochi anni dopo avrebbe risalito l’Italia per andare a studiare enologia a Conogliano, a pochi chilometri da quel Piave... Novant’anni - soprattutto - all’insegna del vino “di casa”: quell’Aglianico che dalla Magna Grecia in avanti

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Nella doppia pagina precedente, Pino e Vito Paternoster nel vigneto Rotondo dove nascono gli Aglianico al centro della degustazione di Euposia; in queste pagine la nuova cantina (sempre in Contrada Rotondo), lo staff attuale

della Paternoster ed alcune immagini degli interni della nuova cantina di vinficazione. L’affinamento del Don Alfonso e del Rotondo avvengono ancora nella cantina storica di Barile.

così tante stagioni ha attraversato, incontrando sempre un vasto favore, sulle tavole dei potenti di turno, dagli Svevi agli Aragonesi, ma facendo parte integrante della vita, del sudore, della fatica dei suoi contadini. Don Alfonso, non avrebbe immaginato probabilmente che la tenacia impressa alla propria discendenza, la voglia di emergere senza lasciare la propria casa, la fiducia nel proprio territorio e tradizione, avrebbe visto Paternoster, l’azienda vitivincola di Barile, guidata oggi da Vito, la terza generazione, in prima linea nella costruzione della piramide della qualità, della crescita dell’Aglianico, del suo imporsi sulla scena mondiale attraverso l’avvio di regole, la costruzione di una Denominazione per uscire dal circuito vizioso del “taglio”. Una tenacia, una voglia di emergere, che ha portato Paternoster a risalire, nel 1966 (l’Autostrada del Sole era arrivata a Napoli soltanto quattro anni prima e da Barile a Napoli più che un viaggio era un’aventura) nuovamente la Penisola per partecipare alle Prime giornate del vino italiano di Verona, l’odierno Vinitaly. Se oggi l’Aglianico del Vulture, così come il Taurasi e gli altri grandi vini del Sud, godono di un riconoscimento pieno è merito di più generazioni di ostinati

contadini della montagna lucana, ancorati alla terra come naufraghi, capaci di rispettarne ogni momento, ogni fase. Euposia ha “messo le mani” su una eccezionale verticale, sei annate di “Rotondo” - il “cadetto” del più celebrato e noto “Don Alfonso” - un Aglianico che nasce nella tenuta di proprietà (Rotondo, appunto) dove oggi è stata avviata anche la nuova cantina destinata a proiettare Paternoster in una dimenzione ancora più grande ed importante. Sei annate - dal 2011 al 1998 - per dimostrare come questo vino - possiamo accostarlo al Barolo, ai Borgogna senza che nessuno possa arricciare il naso abbia carattere, classe, forza ed eleganza che non temono il tempo.

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LA DEGUSTAZIONE ROTONDO AGLIANICO DEL VULTURE DOC 2011 Contrada Rotondo, a Barile, 500 metri sul livello del mare, nel cuore della fascia ottimale di coltivazione dell’Aglianico (i vigneti possono risalire il fianco del vulcano sino a 800 metri), è non soltanto uno dei luoghi più suggestivi della zona, ma anche il cuore della


PATERNOSTER,

LA

VERTICALE

famiglia Paternoster. E’ il più “giovane” vino della batteria, ha svolto la malolattica in barrique dove è rimasto per 14 mesi, cui hanno fatto seguito altri dodici in bottiglia prima della commercializzazione. Al naso è immediata e potente l’impronta alcolica cui seguono note di marasca, note verdi silvestri, sentore di humus e pietra focaia. Il palato è caldo, secco, con note di ciliegia nera e frutti di bosco. Grande spalla acida, di grande freschezza e potenza. ROTONDO AGLIANICO DEL VULTURE DOC 2008 Il colore, nel bicchiera diventa legggermente più cupo, ma è l’unica concessione che fa al tempo. Per il resto è vivo e brillante. All’olfatto mette in evidenza note immediate di spezie, pepe bianco, the. Al palato presenta un ingresso di inaspettata dolcezza, è molto avvolgente, emergono le note più fruttate, sul finale ancora note di terra e minerale. Di grande bevibilità, davvero appagante. ROTONDO AGLIANICO DEL VULTURE DOC 2006 Nel bicchiere è ancora molto brillante, con un’unghia viva che non vira assolutamente su colori e note più granate. Al naso emergono con prontezza le note speziate, quelle minerali, tornano note vegetali più mature, di macchia mediterranea. Al palato mostra una vitalità eccezionale, è fresco, diretto, una grande spalla acida che fa emergere note fruttate molto ben marcate. I tannini asciugaEuposia Novembre-Dicembre 2015

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PATERNOSTER,

LA

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no perfettamente la bocca, sul finale note più terrose, sin polverose, che vengono coperte da una prorompente ciliegia sotto spirito. Retrogusto ampio, di frutta e spezie. ROTONDO AGLIANICO DEL VULTURE DOC 2004 Nel bicchiere si palesa scuro, denso, quasi cremoso e un po’ torbido. Ma al naso è perfetto, con note silvestri e minerali. Il palato ha un ingresso “dolce” e appare quasi cremoso tanto sono setosi i tannini. Ciliega e frutti di bosco, avvolgenti e quasi marmellata. ROTONDO AGLIANICO DEL VULTURE DOC 2001 E’ l’anno delle Torri gemelle, lo spartiacque che ha chiuso con le nostre certezze da Guerra Fredda; fosse nato un bambino oggi sarebbe un ragazzo al primo anno delle Superiori. Bè, anche qui siamo in presenza di un “ragazzo” che ha tutto il suo potenziale intatto. E sono passate quattordici vendemmie! All’olfatto si evidenzia una grande pulizia, i profumi sono netti e ben marcati: c’è il tabacco, il the nero ad accompagnare note ancora floreali e fruttate. Il palato è importante, ancora molto fresco, con una bella acidità; emergono note di prugna e frutti di bosco neri, goudron. Entusiasmante a dir poco. ROTONDO AGLIANICO DEL VULTURE DOC 1998 Sono passati ben diciassette anni, sarebbe naturale e per nulla disdicevole presentare qualche segno di cedimento. Ma questa è “razza lucana” tenace ed arroccata sulla propria terra tanto e quanto la “razza Piave”. A entrambe, nessuno ha mai regalato niente. E c’è soltanto un modo per dimostrare questa forza: non cedere mai. Così, nel bicchiere questo Aglianico non cede che minimamente a note più aranciate, ma palesa tutta la sua forza e vitalità. All’olfatto i profumi sono più liquorosi, le note di tabacco virano verso la dolcezza delle miscele inglesi da pipa, frutta sotto spirito, fiori rossi scottati dal sole. Il palato mostra ancora una buona acidità con un finale leggermente fumoso, di frutta nera sotto spirito. Ha ancora tutto un potenziale da sfruttare...>



MERCATI

SFIDA GENERAZIONALE Alberto e Giovanni Giacobazzi: tocca ai quarantenni portare avanti il blasone di famiglia. Un risultato ottenuto attraverso migliaia di ore in aereo lottando su ogni mercato. Contro i concorrenti internazionali e i “furbetti” che non mancano mai di Enzo Russo

< Incontriamo Alberto e Giovanni Giacobazzi a Modena nella sede della Donelli Vini, la holding di famiglia che comprende la Cantina Gavioli e la Giacobazzi, tre importanti realtà vitivinicole che operano sui mercati mondiali. I due fratelli con la sorella Angela, il quarto Jonathan lavora con la Ferrari, sono il futuro dell'Azienda. Il papà Antonio Giacobazzi, che li ha “allenati”, trasmettendogli tutto il suo sapere, la passione per il vino e le esperienze vissute, ne va fiero.

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Oggi sono professionalmente preparati, sono i protagonisti in un mercato, quello vinicolo, dove la concorrenza si è allargata e fatta più agguerrita in mercato globalizzato, dove spesso non si rispettano le regole più elementari. Alberto, 40 anni, laurea in Economia e Commercio, si occupa del mercato italiano Grandi clienti, dell'amministrazione e degli acquisti di tutto quanto è necessario per “confezionare” il vino, ci fa accomodare nel suo ufficio scusandosi del poco tempo a disposizione per


l'intervista, perché altri appuntamenti l'attendono fuori Modena. Come sta andando il mercato italiano? «In questi ultimi anni il mercato italiano ha subito una forte flessione dal punto di vista dei consumi di vino. Un dato su tutti, negli anni '50 il consumo medio pro capite di vino a persona era di 140 litri l'anno, oggi siamo attorno ai 35 lt. Come si vede i consumi sono calati notevolmente perché sono cambiati i modi di vivere e le abitudini. Mi ricordo quando andavo a scuola e si ritornava a casa tutti per pranzo, sul tavolo c'era una bottiglia di vino. Oggi le cose sono cambiate, c'è un break al bar per un panino con l'acqua minerale o si va in palestra, per cui mancano le

occasioni di consumo se non a sera con gli happy hour dove si bevono le bollicine o vini bianchi fermi oppure alla sera a cena con gli amici, ma anche questo è un bere moderato, perché bisogna stare attenti quando si torna a casa in macchina». Quindi si beve meno, ma meglio secondo lei? «Certamente, guardo tutte le cantine di Lambrusco, hanno alzato di molto la qualità del vino, sono più puliti, rotondi, più affinati e beverini, sono lambruschi che possono competere alla pari con altri vini». E' cambiato il mondo del bere, oggi i giovani preferiscono vini giovani, freschi di pronta beva, non quelli da meditare che sono altrettanto buoni, è così? «Si certamente, si prestano di più i vini con le bollicine fre-

sche e schioppettanti che attraggono anche le donne, notoriamente restie a bere fuori pasto». Da alcuni anni è in continua ascesa la produzione e il consumo delle bollicine, il Lambrusco ne ha tratto benefici? «Sicuramente ne ha tratto dei vantaggi, perché il Lambrusco è l'unico vino rosso con le bollicine, lo si può trovare, frizzante e col Metodo classico come il nostro, oppure a rifermentazione Ancestrale. Questa moda o nuovo approccio verso le bollicine ha dato molto spazio alla famiglia del Lambrusco, perché è un vino versatile con un buon ventaglio di offerte che può soddisfare anche il palato più esigente. Abbiamo il Lambrusco dell'Emilia che ha una tipologia, sia amabile sia secco, men-

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MERCATI

In questa pagina Alberto Giacobazzi che segue lo sviluppo del mercato “grandi clienti Italia” e tutto il versante “acquisti”; nella pagina successiva, suo fratello Giovanni, presidente della Donelli Vini, impegnato nello sviluppo

tre il mondo della Doc va dal Sorbara al Grasparossa e Salamino di Santa Croce, dal Lambrusco di Modena al Reggiano. Come si vede tante tipologie diverse ma che rispecchiano il carattere del Lambrusco spumeggiante e brioso». Da alcuni mesi siete sul mercato con delle nuove bollicine, il Lambrusco dell'Emilia Spumante Metodo Classico vinificato in bianco, incontra il consenso del consumatore? «Considerando l'affollamento in questo settore, siamo contenti c'è molto interesse, è un prodotto nuovo che incuriosisce , una novità nel suo genere perché viene fatto con il Sorbara, un’ uva che si presta molto a questo tipo lavorazione avendo una spiccata acidità che sopporta molto bene la fermentazione lunga in bottiglia per 18/30 mesi con il risultato finale di un vino con grande carattere, gradevole e di classe, che esalta tutte le proprietà organolettiche del Lambrusco Sorbara». Vista la crisi di consumi, il mercato italiano come sta andando? «Nonostante questa contrazione, in linea di massima stiamo andando bene nel settore horeca, nella GDO stiamo migliorando notevolmente a livello di presen-

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dei mercati internazionali. La loro previsione è di una crescita interessante per il Lambrusco e il Metodo classico di Sorbara grazie ad una vendemmia eccezionale nel 2015, ma con grande incertezza sui prezzi.

za con i nostri marchi Donelli, Gavioli e Giacobazzi, questo ci fa molto piacere». Quali sono i compiti della capogruppo Donelli e quali sono i vini che distribuisce? «E' un Azienda di servizio a 360°: ha un reparto cantina molto grande e un impianto d'imbottigliamento moderno e attrezzato che serve Gavioli e Giacobazzi, per il resto, la Donelli ha un suo mercato ben definito che non va a sovrapporsi agli altri marchi. Oltre all'attività d'imbottigliamento con l'etichettatura personalizzata per conto terzi, la Donelli ha una sua linea di etichette rivolte ad target medio che servono la Grande Distribuzione e i Discount. I vini sono le varie tipologie di Lambrusco, il Sangiovese, il Nero D'avola che seguiamo personalmente in Sicilia con un nostro enologo e poi, molto importante, la Donelli è l'unica cantina dell'Emilia Romagna che ha l'autorizzazione di imbottigliare e commercializzare il Prosecco Doc». Lei oltre ad occuparsi del mercato italiano svolge altre attività in azienda... «Si, mi occupo anche dell'approvvigionamento di tutte le materie prime che servono per l'imbottiglia-


SFIDA GENERAZIONALE

mento del vino: bottiglie, i vari tipi di tappi, le gabbiette per i sugheri, le etichette e i cartoni». Come è andata la vendemmia? «Bene, il caldo che c'è stato quest'estate ha aiutato a migliorare e affinare la qualità delle nostre uve e i prezzi non dovrebbero avere stravolgimenti come purtroppo alcune volte accade. Certamente quest'anno avremo dei lambruschi molto interessanti sotto tutti gli aspetti e anche il Metodo Classico ne trarrà giovamento. Penso che per il Lambrusco ci sarà un buon futuro e un aumento delle vendite all'estero se saremo in grado di difenderci con determinazione dalle numerose imitazioni che creano danni, sia economici sia d'immagine». Ma la realtà della Donelli non è soltanto italiana ma è anche estera, dove opera da molti anni, ne parliamo con il Presidente della Donelli, Giovanni Giacobazzi, appena rientrato da un giro oltre Oceano e già pronto per alcune visite in Europa. Sposato, 41 anni, laurea in Ingegneria Gestionale, è diventato l'occhio vigile e attento dei mercati esteri. «Ci sono realtà diverse a secondo i Paesi, in alcuni il consumo di vino è in crescita, magari legato ad una tipologia di vino, in altri, per motivi economici o politici, la situazione non è proprio rosea. Diciamo che avere più prodotti da offrire, ci da la possibilità di avere un approccio diverso nei vari mercati e di muoverci secondo le esigenze e le congiunture internazionali. Per esempio, la Russia che in questi anni ci ha dato moltissime soddisfazioni, oggi il mercato è in leggera contrazione per il rublo non stabile e per la crisi economica che Euposia Novembre-Dicembre 2015

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MERCATI

SFIDA GENERAZIONALE

stanno attraversando. Anche in Brasile abbiamo la stessa situazione, la loro moneta, il Real, negli ultimi sei mesi si è svalutato di circa il 40%, il potere d'acquisto è diminuito e di conseguenza anche i consumi ne soffrono, soprattutto per i prodotti importati. Invece, in altri Paesi che godono ottima “salute” e sono in via di sviluppo, il vino si vende». S'incontrano difficoltà a vendere il vino all'estero? «Le difficoltà ci sono sempre, in alcuni Paesi sono più marcate di altri. In generale la difficoltà principale è quella di riuscire a comunicare e presentare la qualità dei nostri vini, la specificità dei prodotti made in Italy ed intravvedere quali sono le possibilità di contatto con le esigenze de consumatori locali. Altre che incontriamo, sono di tipo burocratico, la dogana, le documentazioni e non ultimo, l'assicurarsi la forma di pagamento». E la concorrenza... «...molta, arriva da tutto il mondo...» Un vostro concorrente diretto... «Non c'è nessun vino come il nostro Lambrusco, è una tipologia di vino tutta italiana, unica e che c'invidiano tutti per le caratteristiche organolettiche, profu-

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mato e spumeggiante, fresco e che interpreta alla perfezione le nuove tendenza di consumo anche nella nuova generazione. Ma al di là di tutto, essendo il Lambrusco il vino più conosciuto e richiesto all'estero, la principale difficoltà sono le contraffazioni ad opera di alcuni imbottigliatori, più o meno chiacchierati, spagnoli, russi, cileni ed altri. Questi sono un grosso ostacolo allo sviluppo e alla tutela del Lambrusco perchè immettono sul mercato enormi quantità di falso Lambrusco. La sensazione è che molti di questi produttori, a fronte di poche cisterne di Lambrusco sfuso comperato in zona, imbottiglino per decine di milioni di bottiglie che partendo dall’estero non sono controllabili e invadono i mercati mondiali. Probabilmente, si tratta per lo più di vini comuni spagnoli o di altra provenienza che recano l’etichetta Lambrusco senza ovviamente averne la qualità e le caratteristiche organolettiche. Questo fenomeno della moltiplicazione del Lambrusco, oltre disorientare e confondere il consumatore, divulga l’immagine di un vino che costa poco».


Quali sono i Paesi dove siete ben presenti? «Sono una sessantina di Paesi, con alcuni abbiamo dei rapporti consolidati che durano da 50 anni, come gli Stati Uniti, il Giappone. Poi vengono la Russia, Messico, il Canada che è un mercato molto importante per noi». Voi siete presenti all'estero come Donelli, oppure Giacobazzi o Gavioli? «Noi siamo tre cantine diverse, la Donelli, l'azienda di famiglia Giacobazzi e la Gavioli che è un po' il nostro fiore all'occhiello, legata ai prodotti del territorio come il Lambrusco rifermentato in bottiglia secondo il metodo ancestrale o il metodo classico e a secondo i Paesi e le richieste, possiamo essere presenti con una delle tre cantine o con tutte, dipende dal mercato. E' chiaro che il nome più conosciuto è Giacobazzi, perché nel 1978 mio padre ha avuto la felice idea, sollecitato da Enzo Ferrari, di sponsorizzare la Ferrari di Villeneuve, in un batter d'occhio la cantina fece il giro del mondo». In occasione dell'Expo, il grande evento mondiale che ha visto una partecipazione di visitatori italiani ed esteri per oltre 20 milioni, avete fatto qualche cosa per promuovere il territorio con tutte le sue eccellenze? «Si, l'idea è venuta al dottor Antonio Ghini della Ferrari che ha realizzato un progetto molto bello, acquistando un pass di due giorni si faceva un tour delle eccellenze modenesi con un pacchetto turistico

enogastronomico di tutto rispetto che comprendeva: Gavioli Antica Cantina, Aceto Balsamico, Parmigiano Reggiano, visita di casa Pavarotti e Maranello/Ferrari. E' stato un grande successo di partecipazione, in particolare turisti stranieri». Lei è sempre in giro per il mondo, aereo dopo aereo, quali Paesi visita? «Vado spesso oltre Oceano, organizzando da Modena incontri e appuntamenti, sia con clienti nuovi sia con quelli già acquisiti, che partono dal Canada per arrivare fino al Sud America. Alternando visite in Asia, Russia, Ucraina e in Europa. E' un bel viaggiare, faticoso, specialmente con i fusi orari, oramai mi sono abituato a questi cambiamenti e spostamenti che comportano impegno e concentrazione. Ogni Paese ha usi, costumi e tradizioni enogastronomiche diverse. E' un impegno faticoso se poi aggiungiamo la lontananza da casa e la famiglia». Il Lambrusco più richiesto? «E' quello che si presenta amabile o semi secco che il consumatore estero riconosce, in particolar modo sono il Lambrusco Reggiano Doc e il Salamino Doc, poi viene il Sorbara Doc e il Grasparossa Doc». Come vede il futuro del Lambrusco all'estero? «Dipende da noi, da quello che faremo come Azienda, la quale si aspetta una maggior tutela all'estero contro le imitazioni, se sarà così, come io mi auguro, questo ci permetterà di aumentare l'esportazione del “vero” Lambrusco». > Euposia Novembre-Dicembre 2015

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SAPORI

LA QUALITÀ DELLA TRADIZIONE

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Il Salumificio Fratelli Beretta avvia la sua terza unità produttiva negli Stati Uniti, a Mount Olive nel New Jersey. A conferma di un ruolo internazionale basato sulla genuinità della grande norcineria italiana di Enzo Russo

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SAPORI

BERETTA

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USA

Nelle foto: in alto a sinistra il rendering dello stabilimento Fratelli Beretta Usa a Mout Olive (NJ) curato dall’architetto Marco castelletti; l’impianto è stato inaugurato nel

maggio scorso ed è il terzo avviato negli Stati Uniti. In alto a destra, Enrico Farina, nuovo responabile marketing del Salumificio Fratelli Beretta

< Incontriamo Enrico Farina, il nuovo responsabile marketing del Salumificio Fratelli Beretta rientrato da poco da New York dove ha trascorso alcuni giorni di vacanze ma anche di lavoro, perché tra pochi mesi verrà inaugurato nel New Jersey un nuovo stabilimento del Salumificio Fratelli Beretta. Fresco di nomina, “cresciuto” all'interno dell'azienda, buon conoscitore dei prodotti e del mercato, entra subito nell'argomento attuale: «Ero in vacanza a New York ma anche il lavoro ha la sua importanza, quindi una visita a Mount Olive nel New Jersey dove stiamo costruendo un nuovo stabilimento, era d'obbligo. E' uno dei nuovi passi che il Salumificio Beretta sta sostenendo nell'espansione del Gruppo fuori dall'Italia. Siamo oramai alla terza unità produttiva negli Stati Uniti con un altra che si affianca a quella cinese. Stiamo lavorando in maniera molto intensa su questi nuovi mercati lontani dal nostro Paese, alcune riteniamo più opportuno andare a produrre salumi italiani e all'italiana direttamente sul posto anche perché l'esportazione di tutti i prodotti della salumeria italiana in questi paesi non è ancora consentita. Utilizziamo inoltre queste unità anche come piattaforme logistiche per potere importare verso questi paesi invece delle nostre eccellenze fatte rigorosamente in Italia come il Prosciutto di Parma, il San Danile e altri prodotti dop e igp della nostra salumeria».

Quali sono i salumi maggiormente richiesti dal mercato americano? «A parte il classico Prosciutto di Parma e San Daniele, il consumatore americano è particolarmente affezionato a due tipologie di salumi che non sono così classici in Italia, si va dal salame Milano macinato fine che va sul dolce ad un salame che viene chiamato Pepperoni, speziato con molta paprica. Questo salume lo produciamo in loco per i gusti americani, mai in Italia perché i nostri sapori e gusti sono altri». Ritorniamo in Italia, all'Expo 2015, l'importante manifestazione universale che ha avuto un grande successo, il Salumificio Beretta è presente e ben gettonato da quello che si dice. Come è andata? «Noi siamo arrivati all'ultimo minuto, in primavera, quando Expo ci ha fatto un offerta interessante, le altre non corrispondevano alla nostra politica aziendale. A noi interessava stare a contato con il pubblico. La proposta soddisfaceva le nostre esigenze, far conoscere al grande pubblico la vasta gamma dei prodotti del Salumificio Beretta, produttori da oltre 200 anni di gustosi e saporiti salumi tipici di qualità di ogni tipo che hanno conquistato palati e deschi di tutto il mondo. Abbiamo trovato sede in una piazzetta di una strada laterale rispetto al Decumano, di fronte al padiglione della Cina e dell'Uruguay con una struttura molto illuminata e colorata che si è fatta subito

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notare. Filmati e spot hanno raccontato l'azienda in tutte le sue attività produttive. Per noi è stata una sorpresa la grande affluenza di pubblico con più di 3 mila persone al giorno, alla domenica 5 mila. Abbiamo scelto di presentare le nostre tipicità Igp e Dop. In Italia se ne producono 40 di cui 18 tipicità vengono “fatte a casa” del Salumificio Beretta, che è il maggior produttore. La scelta è stata quella di proporre in degustazione i salumi, non nel piatto con coltello e forchetta, ma in una forma molto più popolare, nel panino, come si è sempre mangiato il salume e ad un prezzo molto conveniente. Non abbiamo fatto niente per pubblicizzare l'iniziativa, probabilmente il boom delle presenze, sia italiani sia stranieri, deriva dal passa parola». Il Salumificio Beretta è una delle più importanti aziende del settore, è conosciuta in tutto il mondo per la produzione della migliore

qualità artigianale dei suoi salumi, qual è l'attenzione che presta alla cura di tutta la filiera produttiva, dalla scelta della materia prima al confezionamento, fino al consumatore, visto che voi siete più presenti nella GDO che nelle salumerie? «Quella della GDO è stata una scelta fatta negli anni '60 dai fratelli Giuseppe e Vittore Beretta, fu un importante intuizione dell'importanza del nuovo canale distributivo. Quindi intuire che il salume si poteva vendere anche in mono confezione e non soltanto al banco taglio, intuire l'importanza del nuovo metodi di confezionamento, le celle frigorifere per poter conservare il prodotto in modo diverso, rispetto alla cantina od altro. Tutto questo ha portato un vantaggio all'Azienda negli anni '60 rispetto ad altre che magari in quel periodo erano anche più note sul mercato. Questa grande evoluzione ha evidentemente porEuposia Novembre-Dicembre 2015

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SAPORI STRATEGIA

Acquisizioni in tutta Italia e nuovi stabilimenti per sviluppare i “tipici” del Bel Paese

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l Salumificio Fratelli Beretta da alcuni anni ha in atto alcune strategie con l'acquisizione o apertura di nuovi stabilimenti sul territorio nazionale per costruire un portafoglio di salumi tipici italiani Dop e Igp fatti in "casa" con personale qualificato del luogo dove si producono i salumi. «L'Italia è un Paese meraviglioso dal punto di vista delle peculiarità alimentari e dell'unicità dei prodotti che si distinguono da Regione in Regione per tradizioni, profumi e sapori - sottolinea Enrico Farina - . Anche qui ci sarà un rigoroso controllo della scelta della materia prima e di tutta la filiera produttiva. Abbiamo già iniziato ad acquisire allevamenti che nel prossimo futuro dovranno far fronte a tutta la produzione di salumi di “Casa Beretta”».

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tato a fare delle scelte ben precise, trascurando il settore delle salumerie. Per quanto riguarda la sicurezza alimentare bisogna fare un primo distinguo, la scelta della materia prima deve essere di alta qualità. Per il preconfezionato è vitale e fondamentale, non dimentichiamoci che il prodotto viene lavorato, affettato e confezionato, poi viene messo su uno scaffale, magari per un mese, garantire fino all'ultimo giorno di vita un prodotto che abbia le stesse caratteristiche organolettiche del primo giorno. Quindi il presidio igienico sanitario è rigoroso e fondamentale fino al confezionamento. Fin dagli inizi degli anni '90 la Beretta ha adottato in maniera molto scientifica e utilizzato tecniche molto simili all'industria aerospaziale con protocolli rigidi su tutta la filiera produttiva. E' evidente che, si può essere rigorosi nel cuocere, far stagionare, confezionare e affettare un prodotto, ma se alla base la qualità non è di buon livello, il prodotto sarà sicuro sotto l'aspetto igenico sanitario ma di qualità bassa». Quando esportate, i salumi sono a pezzi o confezionati? «In Italia possiamo dire che il 30% è preconfezionato, il 70% è a pezzi perchè da noi c'è una lunga tradizione nell'affettare i salumi. All'estero è completamente diverso, sia per questioni logistiche sia per


BERETTA

ragioni pratiche, non conoscono bene il prodotto come per esempio non saper disossare un prosciutto crudo o affettarlo in una certa maniera, oppure la presentazione che è molto importante. In Inghilterra, Svezia, Olanda o altri Paesi, non hanno il banco con dietro tutti i prodotti in bella mostra come da noi, hanno

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davanti semplicemente una vasca, come quella del supermercato, con il prodotto già affettato, in pila e il consumatore ne ordina 5 o 10 fette, secondo le necessità. L'affettatrice c'è ma il suo uso non è molto frequente. Questo significa che spesso e molto volentieri i consumatori rivolgo-

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no la loro attenzione verso quei salumi preconfezionati il cui prezzo è molto più elevato di quello italiano». Ecco, questa è la Beretta, un azienda con vocazioni innovative da sempre al passo con i nuovi desideri, con i tempi che corrono veloci. >

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Vino & motori GIULIETTA SPRINT: IL FASCINO “RINATO” CHE NON SMETTE DI STUPIRE ALLA GUIDA di Enzo Russo

iulietta Sprint 2000 diesel con cambio automatico:la vedi, ti siedi al volante e la guidi. E' un amore a prima vista perchè è un auto dal design moderno che ne migliora l'efficienza aerodinamica, morbido e nel contempo severo con il muso grintoso. L'abbiamo provata in autostrada con altri quattro colleghi per andare in Franciacorta dall'Azienda Agricola Le Marchesine per degustare bollicine e le ostriche di Oyster Oasis, due eccellenze che hanno conquistato l'immaginario collettivo, come la Giulietta Alfa Romeo con la sua lunga storia di successi , con il cambio automatico a sei marce più la retromarcia, ma chi vuole può usare quello manuale, si è dimostrata all'altezza della sua fama. Con i suoi 150 cv morde la strada, dalla ripresa alla velocità, dalla stabilità alla sicurezza con l'ottimo impianto frenante e silenziosità, ha risposto positivamente a tutte le sollecitazioni.

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Ma vediamola da vicino la ricca Alfa Romeo Giulietta 2.0 JTDm Exclusive, dotata di ogni comfort. Guardandola colpisce subito la silhouette morbida ed elegante con i cerchi in lega 17". L'abitacolo, molto ben arredato con sedili in pelle, ne fanno un auto di classe con una ricca strumentazione che permette di avere tutto sotto controllo. Appena ci si siede e si mette le mani sul volante, ben fatto, si ha subito l'impressione di avere una macchina potente, sicura e facile da guidare. La strumentazione della plancia è ben distribuita e di facile "consultazione": di fronte c'è il conta chilometri, il contagiri, il quadro ben visibile per il parcheggio anteriore e posteriore assistito con il sonoro, start&stop che permette di risparmiare carburante quando ci si ferma, utilissimo in città come il cambio automatico che permette una guida sicura senza distrarsi dalla guida. Al centro è collocato in unico blocco la radio e il navigatore ben


La Giulietta 2.0 JTDm Exclusive del nostro test al centro dell’attenzione dei nostri degustatori a Le Marchesine, in Franciacorta

posizionato, facile da utilizzare, permette di inserire la destinazione anche con comandi vocali. Appena sotto il climatizzatore bizona che distribuisce molto bene l'aria nell'abitacolo. Vicino alla leva del cambio c'è una piccola e importante "chicca" il comando DNA, è un sistema che permette al guidatore di spostare la levetta a secondo le esigenze di guida: quella sportiva, normale e quando piove, agendo su motore, cambio, carico sterzo oltre alle logiche di intervento del

sistema Esp. Per quanto riguarda la guida, la Giulietta è facile da guidare, chilometro dopo chilometro aumenta la confidenza, complice anche il volante, che favorisce una guida sicura e sportiva specialmente nelle curve, dove si dimostra stabile e ben aderente alla strada, senza nessuna sbavatura, sembra incollata all'asfalto. Gli ingegneri della casa torinese sono stati molto bravi nel progettare quest'auto che anche nei consumi è risultata sorprendente. Considerando i suoi 150 cv.,

l'Alfa Romeo Giulietta in città, dove si trova a suo agio, non consuma molto, con 1 litro si arriva a fare 15 chilometri, grazie anche allo start&stop che spegne il motore quando ci si ferma. In autostrada invece ha un'impennata se il piede è pesante, ma mettendo il limitatore di velocità a 125/30 si arriva a fare 23 chilometri, oltre i 130 si passa a 18 chilometri con 1 lt di carburante. Tecnologia e stile, è questa la nuova Alfa Romeo Giulietta 2.0 JTDm Exclusive che gioca un ruolo molto importante nel suo segmento.

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Vino & motori RENAULT TWINGO: AGILITÀ NEL TRAFFICO ABILITALITÀ AL TOP di Enzo Russo

a nuova Renault Twingo, bella da vedere, leggermente alta sulle ruote con cerchi in lega 16” , sembra un piccolo Suv. E' agile, pratica, ha una buona abitabilità e grande visibilità. L'abbiamo provata in città e la prima cosa che ci ha colpito, e non è poco, la facilità del parcheggio, lo sterzo permette di girare le ruote a 45° consentendo manovre in spazi estremamente ridotti ed impensabili per la maggior parte delle vetture attualmente in circolazione. Nel traffico cittadino si trova straordinariamente a suo agio, è agile, scattante piena di energia e tutto questo abbinato ad una buona stabilità. Quando la si guida si percepisce la sicurezza. Il volante leggero, risulta preciso e maneggevole nel traffico cittadino, in particolar modo quando si parcheggia, la city car ha una sterzata di 4, 3 metri con una manovrabilità quasi da moto. Un importante valore aggiunto non da poco in città, dove gli spazi e le manovre di parcheggio diventano sempre più difficili. I consumi di benzina in città sono buoni, 5 litri x 100 km in autostrada con un attenta guida e piede non pesante si arriva a 3,7 litri x 100 km. A guardarla da fuori sembra quasi un maggiolino studiato e progettato con cura in ogni suo particola-

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re. Basta salire al posto guida per vedere e capire come sono stati gestiti al millimetro gli spazi interni dell'abitacolo della Renault Twingo, si percepisce immediatamente il grande impegno dei progettisti di Casa Renault nella cura e il posizionamento di ogni particolare. La Renault Twingo, lunga 3.595 millimetri, ha cinque porte e quattro sedili, quelli davanti molto comodi gli altri due posteriori un po' meno, ma godeno di un panorama diverso per effetto del tettuccio apribile, sembra di toccare il cielo. Il cambio è a 5 marce. Ottima la dotazione tecnologica che prevede oltre ai classici sistemi di sicurezza e di assistenza alla guida, anche dotazioni per la sicurezza e la comodità di guida, come per esempio lo stop&star utilissimo in città per il risparmio di benzina, quando ci si ferma il motore si spegne riaccendendosi appena si tocca l'acceleratore; parcheggio assistito con la videocamera di retromarcia; l’assistente per le partenze in salita; sistemi R & Go e R-Link Evolution. La nuova Renault Twingo 1.0 Energy Openair ha una potenza di 70 cv di sicurezza e di tanta affidabilità.



TERRITORI

MANTOVA. LA CULLA Nella patria della gastronomia un patrimonio vinicolo che oggi sta cercando una sua nuova strada nella grande offerta globale di Enzo Russo

< Le “pergole cariche di rarissime e perfette uve” e i “vini pretiosissimi portati con bellissimo ordine in vasi tutti d'argento”. Con queste parole Isabella d'Este li decantò nelle lettere di viaggio del settembre 1535, quando visitò Cavriana e il vicino lago di Garda. Stiamo parlando della sorprendente corsa dei vini mantovani, dai bianchi ai rossi fino ai frizzanti e spumeggianti lambruschi dell' Oltrepò mantovano che in questi anni si sono fatti conoscere a un vasto numero di consumatori che ne apprezzano la qualità e la genuinità di questo antico nettare carico di storia. Ne parliamo con il Presidente del Consorzio Vini Bulgarelli in Mantovani, Luciano B uno dei momenti più affascinanti della stagione vitivinicola, quando uomini e donne si affannano attorno alle vigne cariche di grappoli e le cantine sono in pieno fermento per l'inizio di un nuovo “anno enologico”. «Il Consorzio nasce nel 2012 dallo scioglimento di tre consorzi a livello provinciale per dare una identità molto chiara e precisa sui vini mantovani, che vanno dal Lambrusco ai vini fermi della collina e

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altri, come lo Chardonnay, Merlot e Cabernet. Poi come Consorzio, oltre alle sei denominazioni che dobbiamo tutelare, ci sono altre tipologie di vini tra bianchi, rossi, frizzanti e passiti, quindi un paniere di prodotti invidiabili, perché nessun altro territorio può vantare. Certamente c'è una frammentazione della produzione però sono tutti vini che trovano una loro collocazione sul mercato». Quando si parla di mercato, quale? «Italiano e molto estero, perché quando si parla di collina ci sono molte aziende, piccole e medie che lavorano soprattutto con l'estero». Tra le diverse tipologie di vini che il Consorzio rappresenta, qual'è quello più richiesto: «Se parliamo di volumi, sicuramente è il Lambrusco Mantovano DOP che rappresenta il 70%, invece in valore cambia, diventa il 50%, quindi il Consorzio è abbastanza equilibrato, sia nella composizione sia nella rappresentatività dei vini». E dopo il Lambrusco? «Vengono a pari merito Merlot, Chardonnay e Pinot Nero». Vitigni autoctoni: «C'è solo il Lambrusco, stiamo


facendo ricerche e degli studi ma per adesso risultati non se ne vedono». Quanti sono i soci del Consorzio? «E' formato da 15 cantine che sono dislocate, sotto l'aspetto geografico, quelle del Lambrusco nell'oltre Po Mantovano e quelle della collina partono da Volta Mantovana, poi ci sono due soci, uno a Mantova e l'altro nelle vicinanze che

sono più degli imbottigliatori che dei produttori». Qual è la differenza tra il Lambrusco di Modena e Reggio e quello di Mantova? L«a differenza sta nei terreni che hanno caratteristiche diverse perché siamo su dei terreni alluvionali come Reggio Emilia e Modena, però la differenza la fa proprio l'areale del Po e a secondo delle zone, all'interno dell'area mantovana c'è una

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TERRITORI

il Presidente Luciano Bulgarelli accanto alla Peugeot 3008 diesel con cambio automatico. E' un Suv dal designer morbido che si fa ammirare. La posizione di guida è alta e confortevole, immersa in un cockpit dallo stile esclu-

diversità di Lambrusco tra la zona del viadanese e la zona dell' Oltrepò mantovano verso Quistello, sono terreni diversi che cambiano. Pur avendo le stesse varietà di Lambrusco i risultati sono completamente diversi e non è un problema di cantine ma di materia prima. Poi altra caratteristica che si nota è la sapidità del Lambrusco Mantovano rispetto a quello emiliano e modenese che è dovuto sempre ai terreni, la colorazione è molto più intensa, scura e l'altro aspetto è la frizzantatura, la nostra è più leggera. Queste sono le differenze che ci distinguono dagli altri lambruschi». Quante tipologie di Lambrusco vengono prodotte?

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sivo ed elegante e guidandola si può godere sensazioni dinamiche degne di una berlina. Nelle strade sterrate, tra i vigneti, si trova a suo agio

«Il disciplinare ne prevede sette ma ora sono diventati otto i Lambruschi autorizzati, nel senso che il Lambrusco viandese è stato scisso dal Grappello Ruberti, quindi abbiamo due varietà mantovane, poi utilizziamo il Marani, Maestri, il Salamino». E sul mercato cosa troviamo? «Il Lambrusco Mantovano Dop, Igp Provincia di Mantova poi il Quistello Igp e il Sabbionetta Igp». Voi siete presenti all'Expo, un primo bilancio? «Certamente un bilancio positivo anche perché abbiamo impostato il lavoro su cosa volevamo fare e far capire ai visitatori. Innanzitutto la scelta dei punti strategici per essere ben visibili, poi il personale competente e preparato alla promozione per

far conoscere nel migliore dei modi il vino mantovano per tutti i 180 giorni, quindi una presenza fissa con degustazioni e vendita di vini. Grande affluenza di pubblico che al momento nessuno si aspettava, oltre le 20 mila persone hanno degustato la nostra vasta gamma di vini». Dove si possono comprare: «La maggior parte delle nostre cantine fanno vendita diretta e buona parte delle persone ha chiesto indirizzi, notizie e informazioni per venirci a trovare per l'acquisto del prodotto». E per quanto riguarda l'estero? «Le aziende che fanno parte del Consorzio esportano quasi tutte all'estero, si va dalla Svizzera, Francia, Germania, Paesi orientali e anche oltre Oceano. Come si vede i nostri vini sono sulle


VINI MANTOVANI

tavole di moltissimi Paesi, vengono degustati da privati, enoteche e ristoranti». Quali sono i compiti del Consorzio. «Come si sa il Consorzio di Tutela ha delle regole stabilite per legge, che sono quelle della sorveglianza e vigilanza sul prodotto e quindi compiti di controllo sui punti vendita, il rispetto del disciplinare e poi la promozione di tutti i prodotti. Operiamo molto con l'estero con degustazioni e inviti a giornalisti per far conoscere le diverse realtà del mantovano». Il vino va di pari passo con il cibo, voi quando andate in giro a fare le promozioni cosa proponete. «All'estero è molto facile portare i nostri cibi ma in questi ultimi anni abbiamo trovato un format che ci ha dato molta soddisfazione, abbinare i nostri vini ai loro cibi e questo è stato molto positivo nei confronti del consumatore perché ha apprezzato e scoperto quanto sia importante l'abbinamento cibo-vino in qualsiasi angolo della terra. E' chiaro che quando vengono da noi non c'è che l'imbarazzo della scelta quando si propone un vino abbinandolo a salumi oppure a formaggi per non parlare dei primi piatti, i famosi tortelli di zucca o i risotti e tra i secondi l'impareggiabile cotechino di Mantova. Basta scegliere il vino giusto e il palato viene accontentato con sapori unici». Quante bottiglie vengono prodotte? «Sono oltre 7 milioni di bottiglie, di cui 50% Lambrusco. Bisogna anche tenere presente che Mantova è meta di molti turisti e tanti vengono appositamente a comprare nelle varie aziende vinicole il vino sfuso perché amano imbottigliarselo a casa». A conclusione dell'intervista, il presidente Luciano Bulgarelli è già in piedi perché i profumi della vendemmia che arrivano alle narici lo chiamano tra i vigneti, sembra che quest'anno stia andato tutto bene, il vino sarà eccellente di grande qualità e buona struttura. E' chiaro che tutto questo è merito delle Aziende che sono riuscite a svolgere un prezioso lavoro su tutta la filiera produttiva e del Consorzio Vini Mantovani che è riuscito a fare una politica accorta di promozione, sia in Italia sia all'estero. > Euposia Novembre-Dicembre 2015

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LA RIVINCITA DEI LAMBRUSCO

Con 171 milioni di bottiglie vendute nel mondo, Lambrusco è un brand italiano di sicuro appeal. E l’annata 2015 si preannuncia super grazie ed una stagione finalmente benedetta da sole e pioggia di Enzo Russo

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Nelle foto: in alto a sinistra Davide Frascari, presidente del Consorzio per la Promozione del Marchio Storico Lambrusco Reggiano; a destra, Pierluigi Sciolette presidente del Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi

Modenesi, con Ermi Bagni, direttore del Consorzio Tutela con la Peugeot 3008, il cross-over della “casa del Leone” che ci ha accompganato nel nostro reportage in Emilia

< Lambrusco, Lambrusco, Lambrusco. E si, è proprio cosi, E' il vino più amato, un prodotto che di là dalle mode continua a presidiare un mercato nel quale è il re indiscusso, quello dei frizzanti. Infatti, con oltre 171 milioni di bottiglie prodotte, Doc e Igt, il lambrusco è il vino italiano più conosciuto e venduto nel nostro Paese e nel mondo. E' un prodotto popolare, che esprime tutte le principali caratteristiche del territorio ove nasce e della gente che lo produce: schietto, sincero, semplice ma mordente ed esuberante. Ne parliamo con Pierluigi Sciolette Presidente del Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi e Davide Frascari Presidente del Consorzio per la Promozione del Marchio Storico Lambrusco Reggiano per sapere qual è lo stato di salute del Lambrusco, in un contesto dove le persone bevono di meno e la concorrenza su tutti i mercati si è di fatto molto accentuata. «La produzione del 2014 - dice Sciolette - è stata una vendemmia normale anche se ha segnato una leggere diminuzione rispetto all'anno precedente e i vini che potevano sembrare di qualità inferiore per la pioggia di primavera e dell'estate, in realtà poi si

è dimostrato che non era cosi, i Lambruschi si sono dimostrati di ottima qualità». E quest'anno come si presenta: «La vendemmia dal punto della qualità è eccezionale, c'è stata una stagione veramente calda con la giusta pioggia e quindi si prevede anche un leggero aumento della produzione, per quanto riguarda i mercati anche il Lambrusco soffre della situazione generale che vede il comparto dei vini, in particolare in Italia, contrarsi ulteriormente nei consumi». Quanto Lambrusco si produce? «Circa 1 milione e 280 mila ettolitri tra Igt Doc. Di cui 30 milioni di Doc a Modena e 10 milioni di Doc a Reggio». Questi sono numeri in ascesa? «Dipende dalle annate e poi dai mercati che, a parte l'Italia che soffre, l'estero tendenzialmente è sempre cresciuto poi sono subentrati dei fatti esterni, vedi la Russia con l'embargo e la svalutazione del rublo». Possiamo dire che il Lambrusco è il vino più venduto? «Diciamo che il Prosecco sta diventando il numero uno. Sono tre i vini italiani che hanno un mercato

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LA RIVINCITA

DEI

LAMBRUSCO

importante e una riconoscibilità internazionale, Prosecco, Lambrusco e l'Asti. In Italia, comunque, il Lambrusco è il vino più venduto ed è presente in tutti i canali distributivi, GDO e Horeca, poi in termini di valore è il Chianti. All'estero il Lambrusco è presente in tutti i Paesi, non ci sono più aree da scoprire, sicuramente abbiamo l'Europa che occupa un posto dominante, poi ci sono gli Stati Uniti, l'America Latina, i Paesi dell'Est, l'Australia e l'Oriente». Rispetto al passato, dove il Lambrusco ha avuto dei problemi, oggi è il vino più richiesto, lo potremmo chiamare “la rivincita del Lambrusco” - perché le caratteristiche organolettiche di questo vino fresco, profumato e spumeggiante, che ha saputo interpretare alla perfezione le nuove tendenze di consumo fuori casa, sta conquistando anche i gusti della nuova generazione - cosa è successo? «Da un lavoro d'equipe molto importante perchè c'è stato un impegno, soprattutto sulla qualità, dove sono stati coinvolti i produttori del vigneto, le aziende di trasformazione, gli imbottigliatori e la commercializzazione. La continua ricerca, la cura di tutta la filiera produttiva, dal terreno fino all'imbottigliamento, hanno fatto si che ci fosse un salto di qualità notevole nei Lambruschi, tant'è vero che oggi figurano nelle migliori guide del mondo, fino a qualche anno fa impensabile, e nelle più importanti enoteche e ristoranti. Quello che era considerato un non vino, oggi è considerato un grande vino. Ci sono Lambruschi Doc di enorme interesse e qualitativamente alla pari di altri grandi vini, perché sanno esprimersi con personalità e classe, con bottiglie frutto di selezioni speciali e veri e propri “cru”, sia di piccole aziende familiari di nicchia sia di grandi aziende». Quando ha inizio la vendemmia dei Lambruschi? «Inizia al 15 di settembre e finisce alla fine di ottobre. Il Lambrusco Salamino è il primo ad essere vendemmiato, poi c'è il Sorbara e infine il Grasparossa». Che cosa differenzia il Lambrusco Dop dall' Igp? «Per produrre il Lambrusco dop si selezionano le uve durante la vendemmia, i vigneti debbono essere registrati dop, rispettare il disciplinate di produzione e poi superare tutti i controlli. In forma minore la stessa cosa viene fatta anche per l'Igp, però sono Euposia Novembre-Dicembre 2015

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di un livello più commerciale». Tra le diverse tipologie di Lambrusco, qual è quello più venduto? «In linea di massima si equivalgono le tre denominazioni, Sorbara, Salamino di Santa Croce e il Grasparossa di Castelvetro. Dal 2009 c'è una quarta varietà, il Lambrusco di Modena Doc, è un uvaggio composto con le tre tipologie di Lambruschi e le percentuali variano a secondo delle scelte dell'azienda». A pochi chilometri da Modena c'è la Provincia di Reggio Emilia, anch'essa vocata alla coltivazione di Lambruschi, un territorio che si alterna a pianura e collina, con un clima rigido e mite. Una terra generosa che ha sempre espresso la coltivazione di una vasta gamma di vini dalla qualità eccellente. Davide Frascari , lei è il Presidente del Consorzio per la Promozione del Marchio Storico Lambrusco Reggiano e

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la prima domanda che viene spontanea, è: qual è la differenza tra il Lambrusco di Reggio Emilia e quello di Modena? «Il Reggiano è da sempre un mix di diverse varietà di uve lambrusche e ciò ha permesso alle singole aziende, cambiando le percentuali dell'uvaggio, di personalizzare maggiormente il vino Il lambrusco a secondo le esigenze del produttore. Invece nel Modenese, il Lambrusco è tipicamente un monovitigno, che esalta le caratteristiche varietali. Un Sorbara, un Grasparossa o un Salamino in purezza si distingue subito ma è più difficile individuare con certezza l'Azienda. Pur essendo due territori confinanti, il terreno e i vitigni sono un po diversi e questo fa si che la tipologia non sia la stessa pur appartenendo alla grande famiglia dei Lambruschi. Da recenti studi si è dimostrato

che il vino Lambrusco è quello che nei secoli ha avuto meno contaminazione con altri vitigni. Possiamo affermare che è il più autoctono degli autoctoni. E' un vitigno tipico di queste zone, si è adattato a questo territorio che oggi si è modificato come clima. Questa era la Provincia dove c'era la nebbia e faceva molto freddo, mantenendo però nel tempo inalterate le sue caratteristiche. Il vino che noi oggi conosciamo e apprezziamo ha dietro molto lavoro e ricerca». Ma il Lambrusco non è soltanto un vino, quando si stappa una bottiglia di Lambrusco Doc e lo si versa nel bicchiere, si beve anche un po' di storia, di cultura e di tradizione plurisecolare di questo “nettare” rosso dal gusto accattivante. Il Lambrusco come il Prosecco, sono i due vini più imitati all'estero, cosa fate per contrastare e difendere questo patrimonio tutto italiano?


«E' una lotta continua, spendiamo tanti soldi, abbiamo un monitoraggio mondiale sul deposito dei brevetti per evitare nomi simili al nostro Lambrusco. Spesso riusciamo a stoppare queste falsificazioni ma è un lavoro faticoso. All'estero siamo i più imitati, perchè sanno che i nostri prodotti enogastronomici sono i migliori in tutti i sensi. E a questo proposito, i consorzi di Reggio e Modena si sono messi d'accordo per costituire il Consorzio Tutela Vini affidandogli il compito di difendere e tutelare la Denominazione Emilia Lambrusco». Per quanto riguarda le vendite all'estero: «Molte sono le analogie con Modena, comunque fatto 100, l'80% della produzione è sul Mercato Comunitario e il rimanente extra comunitario. I principali Paesi dove esportiamo sono Germania, Francia e Spagna, poi vengono Austria, Svizzera e Paesi Bassi. Oltre Oceano ci sono gli Stati Uniti e poi il centro America e quella del Sud, dove prevale la vendita del Lambrusco Igt, invece in Giappone è molto richiesto il Dop». Quest'anno la vendemmia come si presenta? «La provincia di Reggio Emilia avrà un segno meno perchè c'è stato un calo di circa il 15% dell'uva Ancellotta, che rappresenta la metà del patri-

monio vitato di questa provincia e che non è stato compensato dall'aumento dei Lambruschi, attorno al 5% e dalle uve a bacca bianca di collina (Spergola e Malvasia) attorno al 30%; le quali però rappresentano solo un 5% della vigna Reggiana. A Modena, nonostante la grandinata in pedecollina che farà diminuire leggermente la produzione di Grasparossa , si conferma un incremento provinciale attorno al 7% concentrato soprattutto nell'area nord della provincia, fra Carpi e Sorbara. Invece dal punto di vista sanitario delle uve, l'annata è stata ottima, ha permesso anche ai lambruschi tardivi di raggiungere la maturazione ideale senza vedere nemmeno la traccia di botrite o altri funghi. La gradazione media delle uve è più alta di circa 1 grado BABO dovuta all'andamento dell'estate caratterizzata da un giugno fresco che ha permesso accumulo di umidità nella profondità dei suoli e un luglio torrido». Come viene gestita la vendemmia? «Al momento della vendemmia diventa indispensabile anche fare scelte commerciali strategiche , nei processi di vinificazione si può decidere se fare una lavorazione che porti ad ottenere vini bianchi ,rosati o rossi partendo dalla stesa uva della famiglia lambruschi. Tutto dipende dal mercato, quali sono le richieste del consumatore». > Euposia Novembre-Dicembre 2015

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SAPORI

OSTRICHE & FRANCIACORTA

< Le bollicine Franciacorta, è il più noto spumante italiano prodotto con metodo classico e la prima Docg nazionale dedicata alla tipologia, sono state "inventate" negli anni '60 in una terra priva di grandi tradizioni enologiche, ottenendo nel giro di pochi decenni una piena affermazione, sia in termini di consumo sia d'immagine, grazie agli oculati

investimenti di un gruppo di imprenditori e ad una qualità media che che ha sbaragliato la concorrenza. L'Azienda Agricola Le Marchesine di Passirano (Bs) ne è certamente un esempio. E' una delle principali realtà vitivinicole della Franciascorta che in questi è riuscita ad imporsi con autorità sul mercato nazionale ed estero per merito


Conoscete abbinamento migliore? I Docg pluripremiati di Le Marchesine assieme ai molluschi di Oyster Oasis: San Teodoro in Sardegna, Utah Beach in Normandia, Oleron Marennes alla foce della Gironda e Bannow Bay in Irlanda. Ora provate il contrario... di Enzo Russo

del patron Loris Biatta, un vignaiolo illuminato che ha saputo cogliere tutte le sfumature e potenzialità delle uve ancora inespresse. Dalla brillantezza del profilo organolettico alla suggestione

dei profumi (note crosta di pane, agrumi e iodio), fino alla soffice cremosità del palato, rendendo i suoi vini universali e da tutto pasto. E' un uomo di forte umanità e grande professionalità, ma

soprattutto Loris è un imprenditore con la capacità rara di vedere il futuro e di coglierne le opportunità, non è da poco, visto quello che succede in questo mercato globalizzato dove la concorrenza si fa sen-


SAPORI

I tre “terroirs” delle ostriche importate da Oyster Oasis: Bannow Bay in Irlanda, a sinistra; Oleron Marennes, qui sopra; nella pagina a fianco, la vista mozzafiato dello “stagno” di San Teodoro in Sardegna, paradiso per i feni-

tire con prezzi e qualità dei vini. La credibilità delle sue bollicine, arriva soprattutto dall'estero, dove Loris, viaggiando giorno dopo giorno, ha costruito i suoi successi, sono nelle enoteche e sulle tavole dei migliori ristoranti del Giappone, Brasile, Stati Uniti,Canada ed Europa. Dalla cantina escono oltre 500 mila bottiglie di diverse tipologie, tra millesimati Docg e non. Quest'anno ha ricevuto l'ennesimo riconoscimento dei Tre Bicchieri® dalla guida Vini d'Italia 2016 per il Franciacorta Dosage Zero Secolo Novo Riserva 2008, un vino che nasce da selezioni clonali di uve Chardonnay. Ma oltre a produrre importanti bollicine e girare il mondo per far degustare le sue bollicine, l'anfitrione Lortis Biatta, organizza giornate nella sua cantina, invitando amici, operatori del settore e giornalisti per promuovere e far conoscere le diverse tipologie di bollicine del Franciacorta. Quest'anno l'appuntamento con i prestigiosi Franciacorta nella maison Le Marchesine, Loris Biatta l'ha dedicata alla degustazione di "ostriche&bollicine Franciacorta". Un invito da non perdere, visti i protagonisti della

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cotteri (e non solo...). Nella pagina precedente, “Vigna Bona” uno dei cru di Le Marchesine. A sinistra, Loris Biatta con la Giulietta Alfa Romeo. Classe ed eleganza a tavola e sulle quattro ruote più famose d’Italia

tavola. Come si sa, le ostriche sono innanzitutto una categoria di molluschi molto speciale. Sono presenti in tutto il mondo e questo fa sì che le varietà e le sfumature sensoriali siano davvero molteplici e sorprendenti. Sono per per la maggior parte un prodotto di allevamento, che cresce con più vigore in ambienti meno salini di acqua calma, quei "campi" sotto costa lontani dal moto ondoso. Tali bacini sono più ricchi di sostanze nutrienti e, grazie al naturale scambio con l'ambiente, le carni dei molluschi cedono un po’ della loro potente salinità guadagnando sfumature quasi dolci e suadenti. Per fare un piccolo distinguo, la varietà europea è diversa quella pacifica. L'abbinamento ostriche & bollicine Franciacorta è affascinante per la preziosità di entrambi i prodotti perché le ostriche crude e le bollicine sono una coppia che dona emozioni al palato grazie al loro gusto sapido e particolare, deciso ma delicato. La loro fama di cibo prezioso va di pari passo col perfetto abbinamento del vino. Ma quali bollicine scegliere per le ostriche. Non


OSTRICHE & FRANCIACORTA

tutte sono un ottimo abbinamento, bisogna saper scegliere il vino giusto per non coprire il gusto del mollusco, perché ci sono vari tipi di ostriche, con sapore più o meno forte, più o meno sapide e salmastre. Un consiglio. Per gustarle al meglio vanno mangiate crude al naturale, senza limone e pepe, così il palato potrà sentire tutti i sapori e le differenza tra un ostrica e l'altra. GLI ABBINAMENTI In questo caso sono quattro i Franciacorta Le Marchesine che si sono "aggiudicati" gli ideali abbiEuposia Novembre-Dicembre 2015

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SAPORI

OSTRICHE & FRANCIACORTA

namenti con altrettante tipicità di ostriche, infatti le prestigiose bollicine si sono dimostrate all'altezza di questa unione, emozionando il palato ad ogni cambiamento d'abbinamento. FRANCIACORTA DOSAGE ZERO SECOLO NOVO RISERVA 2008 & OSTRA REGAL (IRLANDA) Premiato con i Tre Bicchieri® dalla guida Vini d'Italia 2016 E' un vino dal colore giallo di buona carica con riflessi verdolini dal perlage finissimo e persistente. L' aroma è fine e complesso e il sapore asciutto, secco con vena acidula e nervo caratteristico, elegante e pieno al gusto. Per le sue caratteristiche si abbina con classe alle ostriche dell'Irlanda del Nord: “Ostra Regal”. L' Ostra Regal nasce per essere un prodotto di eccellenza. Il gusto è fortemente zuccherato e la consistenza è cremosa. La sua persistenza minerale al palato prolunga il piacere e la rende ideale per abbinamenti insoliti. Specie scientifica: Crassostrea Gigas Zona provenienza: Bannow Bay Tipo di territorio: baia protetta

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SECOLO NOVO GIOVANNI BIATTA MILLESIMATO 2007 & ROYAL D.HERVE Si presenta con un colore giallo paglierino dai riflessi che vanno dal verdolino all'oro, intenso, quasi brillante. Il perlage fine, di buona durata e dall'aspetto quasi cremoso. I profumi sono ampi ed eleganti con una buona nota di acidità. Perfetto con le ostriche della Francia Royal “David Herve”. È l'ostrica dei grandi chef, dei grandi gourmet, è cremosa, dolce, complessa. Molto persistente con sentori vegetali e spiccatamente nocciolata. Assolutamente da gustare al naturale. Specie scientifica: Crassostrea Gigas Zona provenienza: Marennes Oleron Tipo di territorio: pleine mer (mare aperto) SECOLO NOVO MILLESIMATO 2008 & UTAH BEACH, NORMANDIA Il colore è giallo carico con riflessi verdolini e il perlage è finissimo e persistente. L'aroma è fine, complesso e il sapore asciutto, secco con vena acidula, elegante e pieno di gusto. Per gustarlo non c'è di meglio se non le ostriche della Normandia Utah Beach, Normandia, la spaggia dove iniziò il D-Day!


E' uno dei grand cru dell'ostricoltura francese. Le carni sono abbondanti e di colore grigio perlate con sfumature tendenti al dorato. In bocca è croccante, il gusto si evolve con rara finezza. Si presenta iodata ma raggiunge subito l'equilibrio con avvolgenti sentori di nocciola. Specie scientifica: Crassostrea Gigas Zona provenienza: Utah Beach Tipo di territorio: baia esposta alle correnti

RINGRAZIAMENTI Le ostriche degustate sono importate e distribuite in Italia da: Oyster Oasis Via Piave 28 20013 Magenta (Mi)

BLANC DE NOIR MILLESIMATO & SAN TEODORO, SARDEGNA Nasce da selezioni clonali di uve Pinot Nero. Ha un colore rosa pallido con riflessi ramati e un perlage finissimo e persistente. In bocca è vivo e strutturato, lungo e persistente. Esprime il meglio con le ostriche della Sardegna di San Teodoro. Le sue carni risultano molto abbondanti, croccanti, iodate ma la dolcezza risulterà poi avvolgente, con una persistenza vegetale e note di frutta secca. Complessa e gradevole allo stesso tempo. Specie scientifica: Crassostrea Gigas Zona provenienza: Laguna di San Teodoro Tipo di territorio: laguna > Euposia Novembre-Dicembre 2015

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SAPORI

Perchè è così tanto copiato è facile capirlo: non soltanto è buono e fa bene, ma piace sempre di più agli Europei e quest’anno cresce ancora del 10%. E con le bollicine emiliane è una vera festa! di Enzo Russo

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LA SFIDA

DEL PIÙ IMITATO AL MONDO

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Nelle foto: in alto a sinistra Stefano Berni, direttore del Consorzio di tutela del Grana Padano; a destra, Gian Paolo Gavioli, direttore di Casali Viticultori. Fra Grana Padano e i Metodo classico che nascono lungo la via

Emilia è amore a prima vista. Nella degustazione il “Cà Besina- Colli di Scandiano e di Canossa Dop” ed il “Pra Di Bosso - Reggiano Dop - Lambrusco secco” due eccellenze della maison

< Il Grana Padano è il formaggio Made in Italy, una delle eccellenze più rappresentative all'estero, come la Ferrari, la moda, i vini e tante altre realtà produttive, più imitato all'estero. Lo chiamano gradano, grana pardano, grana americano con la bandiera italiana, danis grana, ecc. Sono questi alcuni nomi che vengono usati per vendere un falso Grana Padano. Sono contraffazioni che oltre a creare un enorme danno alla nostra economia e immagine, diffondono sui mercati degli pseudo formaggi che nulla hanno a che fare con la qualità e la tradizione del nostro millenario Grana Padano Dop, un formaggio genuino dalle insostituibili proprietà nutrizionali. Una doppia beffa che penalizza il nostro Paese, sia sotto l'aspetto dell'occupazione sia per le mancate vendite. Incontriamo Stefano Berni, Direttore Generale del Consorzio del Grana Padano, all'Expo durante una pausa di un convegno. Approfittiamo della disponibilità del direttore per sapere lo stato di "salute" del mitico grana. Berni, il Grana Padano è il formaggio DOP più consumato nel mondo. Ma pure tra i più imitati. L'Expo ha visto la partecipazione di oltre 20 milioni di visitatori italiani e stranieri, è stata l'occasione per far conoscere il “vero” Grana Padano, ma per combattere le imitazioni, i falsi grana, cosa fate? «Expo ha visto un grande impegno del sistema

Italia a nutrire correttamente il pianeta. E nei primi sei mesi del 2015 la forte azione promozionale del Consorzio ha fatto crescere l'export del 10% rispetto allo stesso periodo del 2014. Questo successo ha però due facce. Se da un lato i consumi in crescita, specie fuori dall'Europa, spingono il consumatore ad informarsi di più e meglio, dall'altro questa visibilità spinge gli imitatori ad aumentare le loro produzioni. E per fermarli, le istituzioni europee, che con la DOP pongono limiti pressanti e doverosi alle produzioni di eccellenza, non hanno imposto nelle etichette dei prodotti lattiero caseari l'indicazione del luogo di provenienza e di trasformazione della materia prima». Come potete difendervi? «Dobbiamo stimolare la curiosità culturale dei consumatori, soprattutto all'estero, attraverso informazioni in etichetta sempre più chiare e approfondite. Expo Milano è stata un'occasione dove lo abbiamo fatto con grande impegno ed ha segnato una svolta grazie al protocollo d'intesa siglato lì il 15 giugno fra Gdo e Mipaaf per dare maggiore spazio e visibilità alle denominazioni di origine. E un timido segnale è arrivato anche da Bruxelles». Quale? «L'UE ha reso facoltativa l'indicazione dello stabilimento di origine. Il produttore non ha nessun obbligo, ma può scegliere ed il consumatore ed il mercato valutano la sua disponibilità alla trasparen-

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GRANA PADANO,

IL

PIÙ IMITATO

za sin dallo scaffale. E questo è un bene. Prendiamone atto e, con buona volontà e fantasia, cerchiamo di cogliere l'opportunità della nuova situazione, ricordandoci che ci dobbiamo confrontare con un mercato planetario». E’ possibile sfruttare l'Italian Sounding a favore delle produzioni originali e come? «Lei ha mai visto copiare qualcosa di brutto o di scarso appeal? Ecco, le imitazioni sono una forma di riconoscimento dell'eccellenza dei nostri prodotti. Credo che un imprenditore sappia sempre trasformare gli ostacoli in occasioni di business. Ed il Consorzio Grana Padano gli darà una mano». Vediamo come si fa il vero Grana Padano L'italianità della DOP Grana Padano va difesa in tutte le sedi, perché è scandaloso che in nome della concorrenza si possano dare nomi che si richiamano chiaramente al Grana Padano DOP, ad un formaggio che ha una storia millenaria e unica. Ed è bene ricordarlo come si fa questa eccellenza che è una sinfonia di sapori e profumi unici e che per tutte le sue peculiarità, si colloca nel panorama dell'alimentazione moderna come uno degli alimenti più completi e sani, sia sotto l'aspetto nutrizionale sia quello salutistico. Le fasi di lavorazione del Grana Padano DOP sono le stesse dei secoli scorsi, poi c'è l'arte del casaro, un mestiere delicato che veniva tramandato di padre in figlio, ora sono tecnici specializzati: sanno conservare, valorizzare tutta la fragranza, i sapori e i profumi genuini continuando a farlo allo stesso modo, “all'antica”, ossia, con due mungiture lasciate riposare, così il latte si screma per affioramento naturale del grasso. Questa parziale scrematura permette al Grana Padano DOP di avere un contenuto di grassi ridotto. Il latte viene successivamente messo nelle caldaie, in rame o con rivestimento interno in rame, dove l' effetto del calore porta il latte a una temperatura massima di 53 56 °C ed infine, il caglio che ha la funzione di coagulare la massa caseosa che poi viene ridotta in piccolissime dimensioni. Ottenuta cosi la cagliata, questa viene estratta dalla caldaia con un telo di lino o cotone per essere introdotta in appositi stampi, in gergo tecnico “fascere”, dove assume l'aspetto caratteristico cilindrico del Grana Padano DOP. Le forme vengono poi immerse in apposite vasche nelle quali inizia la salatura. Dopo 14, massimo 30 giorni, il formaggio viene tolto Euposia Novembre-Dicembre 2015

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SAPORI RINGRAZIAMENTI

Per le degustazioni si ringraziano: CONSORZIO TUTELA GRANA PADANO Via XXIV Giugno, 8 25015 San Martino Della Battaglia Desenzano del Garda (BS) Telefono: +39 0309109811 Fax: +39 0309910487 Email: info@granapadano.it

CASALI VITICULTORI Via delle Scuole, 7, Pratissolo di Scandiano (RE) Tel. +39 0522.855441 – Fax +39 0522.984092 info@casalivini.it

per iniziare il lento periodo di maturazione. Ogni forma è conservata per almeno 9 mesi, fino a 24 ed oltre, in magazzini dove la temperatura e il grado d'umidità sono controllati. L'esame finale inappellabile, cioè l'espertizzazione, è affidato ad una élite di tecnici e gli strumenti usati sono semplicissimi: il martello e un semplice ago a vite. Sono poi l'udito, il tatto e l'odorato, affinati da anni ed anni di esperienza a dover dire l'ultima parola. Solo se ambedue le prove danno un risultato positivo si passa alla marchiatura a fuoco con il famoso marchio a fuoco con forma romboidale. UN FELICE MATRIMONIO Vino e formaggio sono un ottimo abbi-

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GRANA PADANO,

namento perché riescono a esaltarsi l'un l'altro e poi hanno anche una storia in comune, sono entrambi sottoposti a un processo di trasformazione: la fermentazione alcolica per il vino e la cagliatura per il formaggio. Poi c'è la maturazione, la stagionatura per il formaggio e l'invecchiamento per il vino. In questo caso, il Grana Padano Dop, oltre all'uso in cucina e a tavola, è il formaggio che attrae maggiormente i vini, dagli spumanti ai bianchi, dai rossi ai passiti. Il segreto? E' la differente stagio-

natura: si va dal sapore morbido, delicato, tendente al dolce per il giovane, al sapore più sapido, più aggressivo per quello stagionato. Questa flessibilità permette al Grana Padano gustosi incontri con il mondo del vino che, però, va scelto con molta attenzione per non rovinare le aspettative del palato. Pertanto vi consigliamo due vini importanti e sorprendenti della CANTINA CASALI VITICULTORI di Pratissolo di Scandiano (Re), un azienda reggiana con più di cento anni di storia vinicola, dalla cui cantina escono 23 tipologie di vino: lambruschi, vini bianchi e rossi

IL

PIÙ IMITATO

fermi, passiti e poi spumanti metodo classico che hanno conquistato un posto importante sui mercati nazionali ed esteri. L'ideale “matrimonio” tra il Grana Padano e le bollicine della Casali Viticultori, daranno al palato freschezza, sensazioni di nuovi sapori e anche profumi legati alla campagna quando inizia a diventare verde. L'incontro esalterà le virtù dell'altro, perché l'acidità e la spuma del vino contribuiranno a tenere la bocca pulita dalla leggera patina lasciata dal formaggio e a prepararla al prossimo boccone. Con il Grana Padano giovane, consigliamo il PRA DI BOSSO REGGIANO DOP - LAMBRUSCO SECCO. Nasce da tre uve, Montericco, Marani e Salamino. Di colore rosso rubino con spuma densa, ha profumi di frutti di bosco come il lampone e la mora. In bocca si presenta secco, caldo, morbido, di buon corpo e persistenza aromatica gustativa. Con il Grana Padano stagionato, il CÀ BESINA- COLLI DI SCANDIANO E DI CANOSSA DOP, Metodo Classico. Un vino che nasce dalle uve Spergola, dal colore dorato brillante, il profumo delicato floreale, in bocca si presenta secco, fresco di buon corpo e persistente. >

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Chef

TRE STELLE NEL FIRMAMENTO DI MASSIMO ALAJMO on c'è due senza …tre! Verrebbe da dire, per il riconoscimento della terza stella Michelin a Massimiliano Alajmo, ristorante Le Calandre, imperdibile meta per quanti vogliano, una volta nella vita almeno, avere la possibilità di un

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viaggio sensoriale da ricordare e tramandare a figli e nipoti. Aperto nel 1981 da Erminio e Rita Alajmo, Le Calandre è uno degli otto ristoranti italiani insigniti delle tre stelle Michelin, delle quali si fregia sin dal 2003. E Massimiliano, dopo il padre e

la madre ha mantenuto intatto la proverbiale citazione “buon sangue non mente”. Classificato stabilmente al vertice delle più importanti guide italiane, da anni è presente nella classifica dei "The World's 50 Best Restaurants", offre la cucina di


Max, fondata su concetti quali leggerezza, profondità dei sapori e fluidità, che, per molti appassionati ed esperti è, per citare uno di loro, «pura poesia nel piatto, che nasce dalla sua capacità di guardare il mondo con continuo stupore». Massimiliano Alajmo ha un altro merito che è quello, con la tradizione della famiglia a far da traino al territorio padovano, di aver senz'altro

contribuito a innalzare il livello qualitativo della cucina padovana, divenendo un esempio per molti che ambiscono all'eccellenza. L'abbiamo incontrato a Verona, complice la splendida serata del conferimento del Premio Masi al teatro Filarmonico, assegnato per la “costante ricerca e per la sua idea di cucina fondata contestualmente su leggerezza e profondità di sapori”. Euposia Ottobre-Novembre 2015

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Chef

Una passione, quella di Massimiliano Alajmo, coltivata fin da piccolo nella cucina delle Calandre di Sarmeola di Rubano (Padova), dove ha trascorso la sua infanzia a fianco di mamma Rita. Dopo aver frequentato l'istituto alberghiero di Abano Terme, Alajmo prosegue la sua formazione nelle cucine di importanti chef italiani e internazionali (Alfredo Chiocchetti, Marc Veyrat e Michel Guérard). Esperienze importanti che lo faranno rientrare alla conduzione delle Calandre che hanno ottenuto nel 2002 le tre stelle Michelin, diventando così il più giovane chef al mondo ad aver ricevuto il massimo punteggio della guida internazionale. Qual è la tua idea, o , se vogliamo, la filosofia di cucina che proponi oggi e come si collega con il movimento italiano? «La nostra è una cucina che amiamo definire Fluida, ovvero abbandonata all'ascolto della materia con l'intenzione di raccontarne la bellezza in lingua italiana». Che ne pensi dello stato attuale della nostra cucina e delle scuole di formazione, le scuole alberghiere e, piu' in generale, delle occasioni offerte ai giovani per professionalizzarsi nel nostro Paese? «Credo che in Italia oggi si mangi molto bene e che l'offerta sia davvero molto elevata. Negli ultimi anni

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c'è stata una sovraesposizione mediatica che ha fatto crescere la domanda a tutte le forme di formazione culinaria, le scuole quindi stanno vivendo un periodo davvero d'oro di cui debbano approfittare per aggiornarsi e adeguarsi. E' una grande opportunità. I giovani devono liberarsi dalle influenze mediatiche e cercare la verità. E per questo motivo, con mio fratello Raffaele (nella foto in alto) e il mio grande amico Mauro Defendente Febbrari in collaborazione con ESAC, abbiamo sviluppato un percorso di studio, il Master della Cucina Italiana, dedicato ai giovani con l'intento di offrire un percorso di reale approfondimento». Tra scrittori, showman, filosofi, imprenditori, che resta della missione del cuoco oggi? Addirittura il tuo “In.gredienti” è il vincitore del premio “Gourmand World Cookbook Award 2007”, come miglior libro di cucina al mondo: 11 capitoli e 67 ricette. E poi “Fluidità”, il secondo libro di Massimiliano e Raffaele: 70 ricette illustrate dalle fotografie di Sergio Coimbra e wowe. Come dire la maniacale ricerca dell'eccellenza in ogni tua attività. «Fluidità, costato due anni di fatica, si è meritato la palma di miglior libro italiano di cucina nell’anno di uscita. Del superfluo non resta nulla, dell'essenza il


mistero; la cucina deve spogliarsi dell'inutile per ritrovare la stessa innocenza che il bimbo ha nel raccontare il suo piccolo mondo, disegnando precisamente ciò che in realtà si cerca in una pietanza: la “casa”rappresenta il desiderio di protezione, la rassicurazione; il “fiore” la bellezza, la femminilità, il profumo; il “sole” la luce, l'energia, il nutrimento, la forza; “l’albero” ovvero la naturalezza e la concretezza; la “nuvola” rispecchia un po' l'accordo-stonato, il contrasto; la “famiglia” la certezza, l'intimità, la memoria emotiva, i valori, la tradizione intesa come consegna,; gli “uccelli” la leggerezza, la libertà, il viaggio,; la “strada” il divenire, l'attesa, la profondità. Tutto questo in una apparente “sproporzione” che serve ad evidenziare il punto di vista, l'ironia, il gioco e la possibilità di esprimere». Cinque stelle Michelin complessive nei tre ristoranti veneti di Venezia, Rubano e Selvazzano e decidi di aprire a Parigi. Ma, proprio con l' understatement tipico veneto capisci che forse l'approccio migliore è fare "un passo alla volta". Ma non è un posto qualunque, trattandosi di uno spettacolare locale situato nel Passage des Panoramas, su Boulevard Montmartre. Completati i delicati, meticolosi lavori di riadattamento, sotto l'occhio vigile della Soprintendenza, poi sei passato ad installare quello che serve perchè quelle sale - che trasudano storia e Francia - diventino un ristorante italiano. Come sta andando? Aprirai anche a New York? «La crisi è un'opportunità perché rappresenta un momento di cambiamento, se si sta fermi si rischia l'estinzione, va da se che desiderando proseguire il nostro cammino, ci siamo mossi e abbiamo cercato nuove opportunità. Come avrà notato sono passato al noi, perché l'ambito della sua domanda esce dalla cucina e entra nel comparto strategico e manageriale in cui non opero da solo. Tutti i risultati e le scelte sono un successo della mia famiglia». (Carlo Rossi)

IL PIATTO

DI

MAX

PER

EUPOSIA

«C

ome ricetta, propongo la Gallina e manzo alla canevera con salsa verde e mostarde di cui racconto: il cappone alla canevera è una delle pietanze storiche della gastronomia veneta. Preparato e servito per il pranzo di Natale, prevede per la cottura l'utilizzo di una vescica di maiale e di una canna di bambù. Ecco che a un tratto il classico bollito si trasforma in un piccolo treno di sapori, dalla carrozza di pelle e dal camino di legno. Gli aromi restano concentrati e non diluiti e le consistenze morbidissime. Abbiamo esteso questo meraviglioso sistema di cottura ad altri animali, ottenendo così una canevera mista.» Euposia Ottobre-Novembre 2015

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SAGNA E ROEDERER UNITI DALLA TRADIZIONE Abbiamo provato il Brut Nature 2006 frutto della collaborazione fra Frédéric Rouzaud e Philippe Starck di Carlo Rossi

< A Massimo Sagna, diplomatico del gusto, nel 2018 mancheranno tre anni per l'appuntamento con i 90 di un fertile incontro con la Francia. Fu il nonno Amerigo, grande ed innovativo imprenditore, con una anticipatrice e coraggiosa visione sul futuro, dotato di una storia personale leggendaria, al punto da meritarsi l'intitolazione di una piazza di Revigliasco, ad aprire l'attività in anni sicuramente non facili per l'im-

port di prodotti di lusso in genere e d'Oltralpe in particolare. Grande conversatore, Massimo Sagna - l’azienda è attivata alla quarta generazione, importando vini e distillati d'eccellenza da tutto il mondo attraversa con leggerezza i campi dell'arte e della qualità, sempre animato da un furore importante nel promuovere la cultura della distribuzione e del commercio dell'eccellenza vitivinicola.

L'incontro con Louis Roderer avviene nel 1988 dopo 53 anni di collaborazione con lo Champagne Mumm Cordon Rouge, all’indomani dell'acquisizione da parte del Gruppo Seagram, venendo poi acquisita da Allied Domecq e infine (2005) passando alla Pernod Ricard. Louis Roederer fondata alla fine del XVIII secolo, rappresenta oggi una delle ultime maison a gestione famigliare.

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Massimo Sagna, terza generazione impegnata nell’azienda di famiglia, con la quarta - rappresentata dal figlio

Nel 1876 viene lanciata la prima cuvèe de prestige, Cristal, un fantastico assemblaggio dei cru scelti tra i migliori della proprietà, nella bottiglia appositamente creata dai maestri vetrai fiamminghi trasparente a fondo piatto per lo zar Alessandro II di Russia: 240 ettari situati esclusivamente nei Grands e Premiers Crus de La Marne, oggi diretta da Frédéric Rouzard, esponente della settima generazione della dinastia. La Russia era storicamente un mercato importantissimo per la maison di Reims, che nel 1872 arrivò a esportare nel Paese addirittura 660.000 bottiglie, ben un quarto dell'intera produzione. Va notato che all'epoca Roederer produceva circa 2.500.000 bottiglie, quindi in un secolo e mezzo la produzione è cresciuta solo di 500.000 bottiglie: se non è serietà questa… Inoltre, all'epoca Roederer era anche fornitore ufficiale della corte russa e gli zar amavano questi champagne, ciò nonostante, lo Zar Alexandr II, un po' per differenziarsi da tutti gli altri, un po' per gustare qualcosa di ancora migliore, chiese a Louis Roederer II di creargli uno champagne fuori dal comune. Nacque così questa cuvée di ferrea selezione che fu imbottigliata in un'esclusiva bottiglia di cristallo (da cui il nome: oggi non è più di cristallo, ma la trasparenza del vetro è rimasta). Un'altra caratteristica della bottiglia, poi, era il fondo

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Leonardo, già presente in “bottega”: nel 1988 l’incontro con Louis Roederer di cui è l’importatore in Italia

piatto: questo fu espressamente richiesto dallo stesso zar per il timore che qualche servitore potesse nascondere nell'incavo un mezzo per attentare alla sua vita. Per questioni di tradizione, oggi la bottiglia del Cristal è ancora così e per questo motivo (garantire maggiore resistenza) è più pesante delle classiche bottiglie champenoise. «Se il Cristal viene rimesso in produzione e nel 1932 debutta sul mercato lo dobbiamo a una grand dame Camille Olry-Roederer - dice Massimo Sagna - nonna di Jean-Claude Rouzaud, al quale passerà definitivamente il testimone nel 1975». Dal 1872 il Cristal è rimasto ininterrottamente in produzione, anzi, ogni anno, il responsabile delle cantine di corte si recava a Reims per sviluppare l'assemblaggio del Cristal insieme allo chef de cave. Ma nel 1917, a seguito della Rivoluzione d'Ottobre, la monarchia in Russia scompare e il mercato dello champagne crolla. Per Roederer è un duro colpo, ma dal quel momento si concentra su quello che era il secondo mercato, l'America (che valeva quasi 400.000 bottiglie), ma la sfortuna sembrò accanirsi con la maison di Reims, perché nel 1929 ecco pure la celebre crisi economica… Però, alla guida di Roederer c'è Camille OlryRoederer, una delle rare donne champenoise di formazione enologica e una figura importantissima per la


maison. Passata la crisi, pensa a come rilanciare le vendite e le viene in mente un'idea geniale: riportare in vita il Cristal e farne il nuovo top champagne di Roederer. È il 1932 ed è un successo, perché quella che era una cuvée esclusiva per lo zar diventa appannaggio del mercato. Oggi, per fortuna, è ancora così. Per il Cristal, il rémuage è tuttora manuale: le bottiglie sulle pupitre sono uno spettacolo… Protagonisti dell'attualità Louis Roederer e del Cristal oggi sono Frédéric Rouzaud e lo chef de cave Jean-Baptiste Lécaillon. «Il Cristal è uno champagne prodotto con le migliori uve di proprietà fermentate in legno per circa un quarto e con i vini che non svolgono mai la malolattica; l'assemblaggio vede il Pinot Noir sempre prevalente sullo Chardonnay (a eccezione delle vendemmie 1988 e 1993), la maturazione sui lieviti dura poco più di 6 anni e, infine, il dosaggio è tra i 9 e i 10 g/l. Il Cristal Rosé - dice Massimo - è

prodotto con sole uve biodinamiche, mentre il Cristal “bianco” lo è oggi per circa un terzo. Ma l'obiettivo è renderlo 100% biodinamico entro il 2020 e il nuovo Cristal 2007 è goduria allo stato puro». LA DEGUSTAZIONE Un vino forte e “ideale”, un'etichetta spoglia di qualsiasi elemento superfluo: così si presenta lo CHAMPAGNE BRUT NATURE 2006, la nuova Cuvée di Louis Roederer, nata dall'incontro tra Frédéric Rouzaud e Philippe Starck, che ho degustato anche insieme al figlio di Massimo Sagna, Leonardo, brillante controller di Casa Sagna. A quarant'anni dal Cristal Rosé, nasce Champagne Brut Nature 2006, la nuova Cuvée della maison Champagne Louis Roederer già presentata a Parigi e a New York e da poco anche sul mercato italiano: un progetto di Champagne cheparla dei vigneti di Cumières condotti con i principi della biodinamica. L'annata è il 2006, descritta come

solare, calda e secca, ma caratterizzata da una alternanza di contrasti climatici nei momenti cruciali della maturità delle uve che vengono raccolte lo stesso giorno e vinificate insieme. Nessun assemblaggio, niente malolattica, assenza di dosaggio, le atmosfere sono ridotte a 4,5. Colpisce la cremosità, intensi profumi di fiori e di agrumi a completare il bouquet. Un finale secco, equilibrato, non pesante, piacevolmente gradevole ed elegante. «Il soggetto della bottiglia - racconta Philippe Starck - è quello che c'è all'interno. E l'interno era talmente forte che bisognava fare una bottiglia priva di ogni attributo superfluo». Ed allora una capsula grezza, un cappuccio di stagno senza iscrizioni, l'etichetta che utilizza una carta di ispirazione giapponese con la scritta “C'est un Champagne Brut Nature Millésimé elabore en 2006 par Louis Roederer et Philippe Starck a Reims en France”. > Euposia Novembre-Dicembre 2015

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HOEGAARDEN, SCOLASTICA WITBIER di Giuliana Guadagnini

asce nella cittadina di Hoegaarden a pochi chilometri a est di Bruxelles, si trova nella zona del Brabant fiammingo che è famoso in tutto il Belgio da molti secoli per la produzione della birra di frumento: la tipica tradizionale witbier belga vide la luce dalle mani di Pierre Celis che creò dal nulla la Brouwerij de Kluis nel 1966 , un capace mastro birraio con un piccato stile produttivo manageriale che seppe far fare la storia alla sua creazione. La Hoegaarden è una diffusa dissetante blanche leggera da 4,9 gradi, una buona birra per tutte le stagioni, apprezzabile sia durante le giornate estive in spiaggia sia in baita dopo una giornata sugli sci quando si ha bisogno di una compagna beverina che contribuisca, con la sua profumata frizzante allegria, a dare quel tocco d'energia in più . Definibile quasi una birra didattica di produzione industriale, ma con conservate le proprietà artigianali, per chi si approccia a questo beer style che insegna ad apprezzare la presenza del frumento non maltato responsabile di un'acidità e citricità inconfondibili Va presentata - per una ottimale degustazione - in appositi speciali bicchieri ghiacciati simili a vasi. Ha un pieno torbido anche se velato colore giallo paglierino e se ben spinata o versata ha una fine corposa di schiuma bianchissima spumosa durevole e persistente, con un profumo che ricorda la scorza delle arance Navel od Ovali appena colte. Nelle fasi di produzione tra gli ingredienti segreti

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della ricetta tradizionale esalano e traspaiono il curacao ed il coriandolo con le loro caratteristiche note aromatiche molto ben bilanciate. Conquista tranquillamente ogni target di bevitore, con la sua semplice complessità , con la sua miscela tipicamente acidula e fresca a base di frumento delicatamente fragrante e speziata, con un retrogusto fruttato al limone ed un delizioso, ma non troppo dolce, fondo mieloso e con sfumature di lievito madre. Per quanto riguarda gli abbinamenti in cucina, sono da prediligersi cibi in genere non troppo saporiti se pur speziati per esaltare l'accostamento fresco e fragrante, per l'estate un'insalata di mare, o pasta bianca fredda al tonno o seppie, panature di pesce azzurro o capesante gratinate, o cocktail di crostacei. Accompagnandosi a menù delle varie culture culinarie la troviamo vicino a pinzimoni ed insalate miste ricche e capricciose con bouquet di robiola; come per i tradizionalisti degli aperitivi si accompagna volentieri ad antipasti leggeri come tartine al salmone, merluzzo o gamberetti o light insalate di pollo; o decisa bevanda per pasti e piatti più corposi quali, maiale, bolliti, crauti, wurstel, coniglio alla Bière Blanche. Una nota a favore è inoltre da dedicare agli amanti della cultura culinaria etnica perché senz'altro esalta la cucina giapponese. Per i palati più golosi si accompagna anche a pasticceria secca, dolci a base fruttata ed ovviamente fragole marinate nella witbier. Euposia Novembre - Dicembre 2015

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Birre REPORT ASSOBIRRA: I BRAND ITALIANI CRESCONO, NONOSTANTE LE ACCISE di Giulio Bendfeldt

l report annuale di AssoBirra permette di analizzare lo sviluppo dello specifico segmento di mercato in Italia che sembra aver retto agli anni più duri della crisi consolidando il proprio posizionamento nei gusti dei consumatori. Il primo dato che balza agli occhi scorrendo le pagine di sintesi del Report - che resta uno degli esempi più efficaci nella comunicazione della nostra industria alimentare - è l'ingresso in AssoBirra di un numero sempre crescente di microbirrifici artigianali che si affiancano ai colossi internazionali presenti nel nostro paese ed ai produttori storici, i pochi, rimasti totalmente indipendenti. Il segnale di un momento di mercato che sembra ancora estremamente vivace nelle microproduzioni cresciute negli ultimi dici anni dai 102 fra brew-pub e microbirrifici a 585, con una crescita fortissima dei secondi passati da 47 a 443 nel decennio, per 1755 nuovi posti di lavoro creati.. Certo, la loro fetta di mercato rimane ancora piccola, ma nell'ultimo esercizio la loro aliquota di produzione immessa sul mercato nazionale è stata pari a 320mila ettolitri, con un incremento del 5,6%, il secondo per tasso d'incremento in Italia alle spalle della piemontese Menabrea , più 6.4%, per 198mila ettolitri. Siamo però lontani dal boom del 2011 con 500mila ettolitri prodotti ed una quota di mercato del 2.8% : il massimo raggiunto dalle produzioni artigianali in Italia. Anche qui, se guardiamo ai big del mercato - non diciamo Heineken, con 5,1 milioni di ettolitri, più 1.1% nell'anno, ma i due player nazionale: Castello (1,083 milioni di ettolitri, meno 0.5%), e Forst, 621mila ettolitri, più 3.6% - la strada da fare è ancora molto lunga.

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La differenza sta nella presenza sul mercato, negli investimenti in comunicazione - zero per i microbirrifici con la sola eslcusione del passa-parola e di qualche mastro birraio -, nello stesso standard qualitativo (ancora non omogeneo) e la forza dei marchi, alcuni centenari, appannaggio dei grandi gruppi. Passiamo ai dati economici dell'industria della birra in Italia. L'OCCUPAZIONE è in leggera contrazione, se cresce quella diretta negli stabilimenti del 5.3% la contrazione della indiretta porta il saldo totale a 136mila occupati alla fine del 2014 a fronte degli 144mila della fine del 2012: una riduzione del 5.5% poco lusinghiera per il comparto che, nello stesso periodo, ha visto la produzione nazionale crescere dell'1.7%, con una conferma delle esportazioni (poco meno di 2milioni di ettolitri) e un andamento stabile dei consumi pro-capite fissati a 29,2 litri/anno. Bisognerà attendere la fine del 2015 per vedere se il combinato disposto dello Jobs-act e della crescita del turismo in Italia (fra Expo e crollo delle presenze nelle mete nord-africane coincidenti coi mesi di maggior consumo in Italia della birra) avrà avuto o meno ripercussioni su questo indicatore. IMPORT ED EXPORT God save the Queen. L'amore fra birre e consumatori di Italia e Regno Unito sembra davvero duratoro. I sudditi di Sua Maestà sono i nostri più forti acquirenti e anche nel Bel Paese la crescita delle birre inglesi è forte: è praticamente raddoppiata in tre anni. Oggi acquistiamo 377mila ettolitri, ma la bilancia commerciale è nettamente a nostro favore con vendite oltre Manica di oltre un milione di ettolitri: in pratica una bottiglia di birra italiana venduta all'estero è nelle mani di un suddito britannico. Non male se consideriamo il differenziale valutario


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con sterlina forte ed euro…ben più debole. La Germania resta però il nostro primo mercato di approvvigionamento: lo è per qualità, vicinanza geografica, per numero di turisti tedeschi stabilmente in Italia, per il peso della grande distribuzione di matrice germanica…lo è anche, e sicuramente, per la forza di brand direttamente legati alla grande, millenaria, tradizione brassicola tedesca. Compriamo poco meno di tre milioni di ettolitri (ma dal 2011 in avanti ne consumiamo mezzo milione di meno), ma riusciamo a venderne poco più di 30mila. Gli Stati Uniti compensano, comprando oltre 220mila ettolitri di birra italiana, le nostre importazioni della messicana Corona (163mila ettolitri), ma alla fin fine è il mercato europeo quello dove la birra italiana riesce a posizionarsi. La bilancia commerciale resta fortemente negativa, con importazioni nette per 4,2 milioni di ettolitri e con i gruppi etnici emergenti - dai rumeni ai cinesi - che consumano la “loro” birra, quella che si “portano da casa”. Abbiamo recuperato in tre anni appena

100mila ettolitri, il 2.2%. Troppo poco. La strada da fare è insomma molto, ma molto, lunga. PRODUZIONE E CONSUMI La mancata proiezione internazionale e la presenza stabile delle importazioni è legata anche al tradizionale gap produttivo italiano - che non si schioda dai 13 milioni di ettolitri - assai lontano non dico dai 94 milioni della Germania o i 41 milioni del Regno Unito, ma anche dai 33 milioni della Spagna che, come noi, è anche un forte produttore di vino. Per consumi restiamo il fanalino d'Europa ancora lontani dalle medie dell'Europa centrale e settentrionale: un valore che resta stabile nel tempo, così come nel resto dell'Unione Europea: le scelte di campo nel settore delle bevande, insomma, paiono già largamente fatte. TASSE Il settore della birra contribuisce ai conti dello Stato con 533 milioni di euro di sole accise (delle ... (prosegue a pagina 88) Euposia Novembre - Dicembre 2015

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Birre (segue da pagina 87) ..quali appena 1.4 come sovrimposta di confine: un'inizia quest'ultima se si guardasse al volume delle importazioni che, però, sono ampiamente intracomunitarie). Assieme agli spirits, fanno più di un miliardo di euro. E come euro per ettolitro di accise, l'Italia è in linea con Francia, Danimarca… ma, caso strano, Germania e Spagna pagano un terzo delle nostre accise, meno di 10 euro ad ettolitro contro le oltre 36 italiane. Che sia anche questo un freno alla crescita? Poi c'è l'Iva, l'Irpef, gli oneri previdenziali ecc ecc Il vino invece - come accise - non apporta nulla: zero. Soltanto la Francia, fra i Paesi produttori europei, chiede 3,75 euro ad ettolitro di vino portato sul mercato. Ma il vino beneficia di finanziamenti pubblici che il mondo della birra nemmeno riesce ad immaginare. E questa differenza di trattamento non piace ad AssoBirra, ovviamente, che vorrebbe parità di accesso, quanto meno per provare a recuperare il gap attuale. Cosa potrebbe fare il mondo della birra anche nel settore primario lo dice un ultimo dato: la produzione ed il consumo di malto della nostra industria: produciamo poco meno di 70mila tonnellate di malto e ne importiamo ben 114mila. Margine per una ulteriore crescita, insomma, ce n'è. Molto dipenderà però dalla leva fiscale e qui vinceranno i lobbyisti.

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INEDIT DAMM: L A BIRRA DI F ERRAN A DRIÀ strella Damm “è” la birra catalana per eccellenza e uno dei due principali poli brassicoli iberici. Simbolo di appartenenza, legata da sempre al Barca, ma anche di un approccio molto pulito alla birra, con grande attenzione alla materia prima, alla bevibilità del prodoto finito sino agli “ampliamenti di gamma” per permettere, ad esempio, ai celiaci di consumare birra. Il fenomeno delle birre artigianali, delle produzioni di nicchia, ha contagiato anche la Spagna con la nascita di decine di microbirrifici e di brew-pub. Questo, oltre al successo della catena La Surena Cerveceria del gruppo San Miguel, principale concorrente di Damm, ha accellerato lo sviluppo di nuovi prodotti in grado di intercettare i consumatori più

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evoluti, sottraendoli al fascino delle birre artigianali, attraverso birre speciali, dalla produzione limitata. Sempre in Catalogna, Ferran Adrià . Dopo aver rivoluzionato il concetto di gastronomia, una volta chiuso “El Bulli”, era alla ricerca di nuove esperienze sensoriali e professioanli: è diventata così abbastanza naturale una joint-venture nel 2008 per produrre una birra adatta alla ristorazione ed ai palati più esigenti. Inedit Damm nasce così, da queste due convergenze, e - dopo una prima fase di rodaggio - è sbarcata in forze sul mercato italiano. Viene realizzata con malto d'orzo, frumento, luppolo, coriandolo, liquirizia e buccia d'arancia. Detta così, una delle tante birre “blanche” presenti sul mercato.


Birre BIRRA FORST: ARRIVA LA DODICESIMA BIRRA DI NATALE ome ogni anno gli appassionati attendono con ansia il momento in cui potranno assaporare il primo sorso della Birra di Natale Forst: ora questo momento è arrivato. Questa birra speciale, che viene prodotta esclusivamente per il periodo natalizio, anche quest'anno è disponibile nell'elegante bottiglia da 2 litri a forma di sifone. Sull'edizione 2015 della speciale bottiglia è raffigurato lo stabilimento di Birra Forst in veste natalizia. La tanto amata bottiglia a forma di sifone è giunta alla sua dodicesima edizione e quest'anno per la prima volta in assoluto nella storia di Birra Forst è stato scelto di utilizzare una bottiglia in vetro personalizzata Forst . Il vetro - in quanto materiale naturale - dona a quest'elegante bottiglia un particolare prestigio. Il decoro mostra lo stabilimento della SpezialbierBrauerei Forst avvolto in un'aura natalizia. Sulla bottiglia lo stabilimento si presenta innevato e i

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Ma il lavoro fatto sugli ingredienti ha effettivamente reso questa birra di un’estrema leggerezza, in grado di accompagnare i piatti più complessi e delicati della nuova gastronomia attraverso un attento gioco fra freschezza e note più amare. Di un bel colore paglierino, con sfumature più opache, presenta una bella schiuma a volte un po’ troppo evanescente. Al naso ha un impatto molto ricco e potente, con note fruttate

colori utilizzati per il decoro evocano un'atmosfera magicamente natalizia. Come tutti gli anni la bottiglia di Natale esce in edizione strettamente limitata e rappresenta un prezioso pezzo da collezione per appassionati e non solo. La speciale Birra di Natale viene appositamente prodotta per le festività natalizie. Dal colore marcatamente ambrato, è una birra gradevolmente luppolata con un aroma inimitabile dato dalle migliori miscele di malto. La bottiglia di vetro da due litri con il pratico tappo meccanico sarà disponibile a partire da metà novembre.

molto marcate, sensazioni più erbacee, floreali ed aggrumate. Al palato in evidenza i lieviti, ma anche note dolci più speziate con un retrogusto tipico, che vira gradevolmente su note più amare, lasciando però un finale lungo e dolce. Accompagna benissimo piatti assai diversi fra loro e questa versatilità è forse il suo maggior pregio. Euposia Novembre - Dicembre 2015

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barca in Italia, grazie a Fratelli Rinaldi Importatori in Bologna, Casa Noble. Fondata nel 1776, è una delle marche più antiche di Tequila

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messicana e fra i suoi azionisti compare anche Carlos Santana, “inventore” del latin-rock che non ha certo bisogno di presentazioni. La distilleria si trova nell'omoni-

ma cittadina di Tequila, nello stato messicano di Jalisco. Casa Noble usa per i suoi prodotti soltanto il tipo più pregiato di agave, la "Blu Tequilana Weber",


CASA NOBLE, LA TEQUILA MAS FINA DI CARLOS SANTANA ARRIVA IN ITALIA

coltivata in terreni di proprietà situati nelle immediate vicinanze della distilleria. L'eccellenza della sua materia prima è confermata dall'ottenimento del prestigioso certificato USDA, che ne attesta la produzione secondo i più rigidi

standard biologici (organic). La tequila è uno dei contributi più importanti del Messico al mondo rappresentando i valori ancestrali della sua gente - tradizione, perfezione, purezza, lo stare insieme, la condivisione - presenti Euposia Ottobre-Novembre 2015

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Spirits

sin dall’avvio alla fine dell’Ottocento, di Casa Noble. Le radici di Casa Noble in realtà si spingono sino alla metà dek Settecento quando era una hacienda circondata da un vasto terreno dove solo una cosa poteva essere coltivata, la “Blue Agave (Tequiiana Weber)”. In pochi anni, l’hacienda divenne una delle più sviluppate e strutturate della regione; con quasi un milione di piante coltivate, un sesto della superficie coltivata dell’intera regione. Nel volgere di un secolo, Casa Noble aveva raggiunto una capacità produttiva giornaliera di dieci barili da 66 litri. Dai primi anni del 1900, la bevanda nota come “vino mezcal” o “vino tequila” ha cominciato crescendo in popolarità. La tequila veniva trasportata in botti di legno, non filtrata e non diluita, e dopo la fermentazione, a dorso di mulo, veniva trasportata direttamente nelle cantinas di Città del Messico e Guadalajara. A Casa Noble, ogni dettaglio della produzione dalla coltivazione delle piante di agave blu al lungo invecchiamento - assicura proprietà e aromi unici per la tequila. Uno dei fattori più importanti in una grande tequila è ovviamente la materia prima, l'agave. Casa Noble è una distilleria e anche un coltivatore di agave con più di mille500 ettari di campi di agave coltivate.

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Sono necessari dai 10 ai 14 anni per far raggiungere nell’agave il picco di maturità; la raccolta (jimada) è rigorosamente a mano, dopo un’attenta selezione. Alla distilleria, i secolari forni tradizionali con spessi muri in pietra, vengono riempiti coi “cuori” dei Blu Agave Tequilana Weber che vengono cotti a vapore per 36 ore. Casa Noble preferisce il vecchio modo di cucinare l’agave, perché, a loro avviso, garantisce un sapore più intenso alla tequila. Dopo che i cuori di agave (piñas) sono raffreddati, si passa alla spremitura e triturazione per estrarre il succo dolce (mosto) che verrà lasciato a riposo per cinque giorni per la fermentazione naturale. Questo passo è obbligatorio per ottenere le migliori tequila, dato che consente un corpo più pieno, con maggior aroma e lunghezza del gusto. Tradizionalmente, la tequila viene distillata due volte, ma Casa Noble ne fa una terza per assicurarsi un distillato dalle migliori caratteristiche e più puro. La distillazione viene eseguita in piccoli alambicchi, con una diffusione più uniforme del calore per assicurare l'essenza aromatica della tequila. Il Master Distiller verifica ogni fase della produzione di Casa Noble e le prove di degustazione iniziano dopo la distillazione - una tradizione che si tramanda nella sua famiglia per generazioni. Il Master Distiller ed i suoi assistenti utilizzano bicchierini di vetro appositamente progettati per turbi-


CARATTERISTICHE TECNICHE

nare, annusare e gustare il distillato per rilevare le note corrette e l'equilibrio della tequila. A Casa Noble, vengono utilizzate soltanto botti di querce bianche francesi del Limosin. Anche se questo non è tipica della tequila, la rovere francese conferisce le caratteristiche complesse speciali che differenziano questa tequila dal prodotto comunemente più diffuso. Durante l'invecchiamento, il Mastro Distillatore segue costantemente lo sviluppo della tequila. Dopo 364 giorni si ottieme il “Casa Noble Reposado”, la più antica di età possibile per questo tipo di tequila, e dopo cinque anni si arriva al “Casa Noble Añejo”, la più antica tequila nel mercato: a questo punto, il Mastro Distillatore ha completato la sua arte e approva Casa Noble per essere imbottigliato.

- Categoria: Luxury Tequila. - Provenienza: Città di Tequila, Jalisco, Messico. - Gradazione alcolica: 40% vol. - Materia prima: Esclusivamente agave blu "Tequilana Weber", prodotta in 650 ettari di proprietà ai piedi delle colline di Jalisco. - Raccolta dell'agave: Esclusivamente manuale. - Cottura dell'agave: In forni tradizionali in pietra, per una durata di 38 ore. - Fermentazione del succo: Processo di fermentazione naturale, della durata di 3 - 5 giorni. - Distillazione: Processo di tripla distillazione, per oltre 12 ore. - Invecchiamento: Esclusivamente in quercia bianca francese del Limousin. - Durata dell'invecchiamento: Blanco (senza invecchiamento), Reposado (un anno), Añejo (due anni). - Suggerimenti d'uso: Blanco ideale nei cocktail, Reposado e Añejo da servire preferibilmente come distillati da meditazione. Euposia Ottobre-Novembre 2015

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DON PAPA 10 ANNI, E’ FILIPPINO IL TOP DEL RUM

on Papa. Ovvero, Papa Isio, un capo rivoluzionario filippino, dall'indole romantica, che guidò una banda di guerriglieri che si oppose in armi alle truppe spagnole prima, ed a quelle americane poi, durante la guerra d'indipendenza dell’arcipelago delle Filippine, alla fine dell’Ottocento ed agli inizi del Novecento. Benchè musulmano di religione, Papa Isio - per il suo spirito indomito, il suo orgoglio nazionalista e il suo senso della giustizia sociale - ha dato il nome ad uno dei Rum più prestifiosi e famosi al mondo: il “Don Papa 10 Anni”, l'upgrade del primo Rum filippino distribuito in Italia, dove sta

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conoscendo uno straordinario successo. Ultimo nato della Bleeding Heart

Rum Co. di Manila, Don Papa 10 Anni è l'esempio più classico

dell'arte della distillazione portata alla perfezione: frutto di un processo di produzione completamente artigianale, è ottenuto da un team di specialisti che padroneggiano da sempre tutti i segreti della tradizione filippina della lavorazione del Rum. La materia prima è al 100% la canna da zucchero dell'isola di Negros, raccolta nei terreni più fertili; le melasse più piene e più dolci vengono poi distillate a colonna per salvaguardare gli aromi più sottili. Il Rum viene quindi invecchiato per 10 lunghi anni in fusti di quercia americana tostati una seconda volta, che donano al distillato note sottili di legno e di


Spirits

vaniglia. L'attentissimo processo di selezione finale sceglie poi soltanto i fusti migliori per la produzione e l'imbottigliamento del Don Papa 10 Anni. Di carattere ricco e potente, Don Papa 10 Anni deve al clima caldo e umido delle Filippine responsabile di una delle più alte “angel’s share” del mondo - la gran quantità di liquido che evapora durante l'invecchiamento. Gli artigiani più autentici del Rum filippino non reintegrano i fusti dopo l'evaporazione, e ottengono così un Rum estremamente scuro, intenso e concentrato. Oltre alla scelta giudiziosa dei fusti veramente migliori, il Master Distiller ha inoltre stabilito che per Don Papa 10 Anni sarebbe stata opportuna una gradazione alcolica un po' più alta, e ha così deciso di fissarla a 43 gradi. Di colore ambrato scuro, Don Papa 10 Anni è profondo, ricco e potente al naso. In bocca ha un ingresso discreto, per poi allargarsi in sentori ampi di frutta secca e di cacao, con un'elegante punta finale di legno. Può essere apprezzato liscio, o al massimo con un cubetto di ghiaccio nelle notti estive più calde. Fin dal suo lancio nel 2012, Don Papa ha conquistato estimatori in tutto il

mondo per il suo gusto pieno e vellutato. Ha anche ottenuto diversi riconoscimenti, fra cui l' "Innovatore dell'Anno" al Paris Cocktail Spirits Show del 2013 e la Doppia Medaglia d'Oro per il packaging alla San Francisco World Spirits Competition, sempre nel 2013. L'introduzione di Don Papa 10 Anni è un passo avanti nell'esperienza di questo distillato. Stephen Carroll, il fondatore di Don Papa, afferma: «Siamo molto orgogliosi di questo 10 Anni, e di poter così condividere con il resto del mondo questo grande Rum filippino. Siamo lusingati per l'accoglienza che Don Papa ha avuto da subito, sia da parte degli addetti ai lavori sia da parte del pubblico, e contiamo che il 10 Anni incontri lo stesso successo. Pur provenendo senz'ombra di dubbio dalla scuderia Don Papa, il 10 Anni ha il suo carattere peculiare e la sua gradazione più elevata, che ne esalta i suoi attributi più classici di Rum da meditazione». Prodotto nelle Filippine, il secondo mercato di Rum al mondo, Don Papa è stato lanciato a Manila nel 2012 ed è ora distribuito in Francia, Belgio, Italia, Repubblica Ceca, Germania, Danimarca, Svezia e Regno Unito. È inoltre disponibile nei Duty Free delle Filippine.

Euposia Novembre-Dicembre 2015

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