The Italian Wine Journal La Rivista
del
Vino
Per chi ama il vino e per chi vuole conoscerlo - Anno IV - n.6 - Euro 5 - settembre 2019
T he I talian W ine J ournal , anno IV numero 6, settembre 2019 – O rvieto D oc – K ettmeir – C ava – S acramundi – B arbera D’ asti – C hampagne – B arranco O scuso – R on D el V enezuela – R ebollini
Orvieto DOC La rivoluzione in una bollicina Birra italiana: vogliamo più terra per crescere
www.italianwinejournal.com Kettmeir, i primi 100 anni – Cava, dopo i big lo sboom? – Sacramundi, scintillante Durello – Barbera d’Asti, riparte la storia – Champagne, l’ora degli autoctoni - Malbec d’autore – Pinot nero Rebollini – Bodega Barranco Oscuro – Ron de Venezuela batte Maduro BIMESTRALE - “Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 NE/VR
Sommario
Degustazioni
6 Tasting 44 Otto Malbec d’autore Reportage
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Corpinnat, sfida alla DO Cava Barbera, nuova identità Orvieto DOC, un futuro sparkling Emilia Wine, cantina aperta
Cantine
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Rum del Venezuela scaccia-crisi Sacramundi, scintillante Durello Champagne, tornano i vecchi vitigni Rebellini d’Oltrepò Barranco Oscuro, lo spumante spagnolo d’altura
Wine & Food
62 Ristorante Milano, specialità regionali 66 Birra italiana, cosa chiede per crescere ancora 70 Cucina della Tunisia
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CANTINA di QUISTELLO Via Roma 46 46026 Quistello MN Tel. 0376 618118 info@cantinasocialequistello.it
Tasting
Cantina di Soave, Riserva dei Cinque Metodo classico: la degustazione Dell’Equipe 5 abbiamo avuto modo di parlare diverse volte: un anno fa l’ultima degustazione di una Magnum sorprendente per qualità e piacevolezza. Del resto, questo metodo classico è una parte importante della spumantistica italiana ed è stato pensato e realizzato pensando alle grandi maison francesi nonché animato dalla voglia di riscatto e di affermazione di cinque giovani enologi trentini. Vale la pena ricordare il loro nome che, davvero, non va dimenticato: Leonello Letrari, Bepi Andreaus, Riccardo Zanetti, Pietro Tura e Ferdinando “Mario” Tonon. Equipe 5 raccolse vasti consensi, un gran successo di vendita tanto da interessare un colosso degli Anni Settanta, la Buton, per poi venire acquisito dalla Cantina di Soave dove iniziava il suo percorso l’attuale dg, Bruno Trentini. Negli anni d’oro, l’Equipe 5 vendeva da solo quasi quanto il 50% della Spumanti Ferrari. Il boom di Franciacorta, Trentodoc, della spumantistica più recente ha messo un po’ nell’angolo l’Equipe 5 che però adesso gioca la carta della riserva per riprendersi il posto che gli spetta. Presentata allo scorso Vinitaly la Riserva dei Cinque punta subito al bersaglio grosso. Non nasconde le sue ambizioni, vuole entrare nel top dei Metodo classico italiano. Sceglie una livrea austera, ma molto curata, e punta ad un posizionamento alto. Partendo dalle uve. Che non sono più quelle pregiate di Mazzon e dei Pochi di Salorno, selezioni attente di Chardonnay e Pinot Nero, delle origini, ma analoghi uvaggi provenienti dai Monti Lessini. Dal Trentino si passa infatti alla Lessinia, il che la dice anche lunga sulla qualità che le bollicine berico-scaligere ( o scaligero-beriche… qui il campanile è una cosa vera) hanno raggiunto. I vigneti stanno fra i 400 ed i 600 metri sul livello del mare; il terreno è vulcanico. La lavorazione è semplice ed attenta: spremitura leggera, mosto fiore vinificato in acciaio; cuvée di chardonnay all’80% e pinot nero a chiudere. Poi 120 mesi di affinamento in bottiglia, nelle grotte sottostanti il Castello di Soave, nel sancta-sanctorum di Rocca Sveva. Il risultato è pari alle attese, senza dubbio. Pulito e di bella espressione al naso con note di leggera tostatura, crema pasticcera, cedro candito, tè. Il palato è
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molto elegante, con bollicine molto fini, note di mela al forno, frutta a pasta gialla matura, di nuovo la crema. Il finale è molto fresco, ricco di sfumature e molto persistente. E’ molto piacevole, di grande finezza. Si fa amare dal primo sorso e mantiene tutto quello che promette. Ma, attenzione, non è piaggeria questa sua disponibilità, piuttosto la consapevolezza del proprio lignaggio che davvero non ha bisogno di palesare ciò che si è. Signori, l’Equipe 5 è tornato. E reclama il suo primato. In degustazione: 95/100
Giusti Asolo Prosecco Superiore DOCG Extra-brut e Rosé SW: la degustazione
Giusti Wine è una giovane ma apprezzata cantina della DOCG Asolo Prosecco; avviata da Ermenegildo Giusti agli inizi del Duemila vanta una quindicina di tenute fra le colline del Montello e la piana alluvionale del Piave a Nervesa della Battaglia. Per superficie vitata di proprietà è una delle realtà più significative del Trevigiano dove Ermenegildo è nato, e da dove è partito per emigrare in Canada e costruirvi un impero economico. Presente anche nella Valpolicella DOCG, Giusti Wine è fortemente attiva nei mercati internazionali (Nord America e Asia in primis). The Italian Wine Journal ha provato i suoi ultimi due spumanti.
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Tasting
Giusti Wine, Asolo Prosecco Superiore DOCG, extrabrut La crescita dei Prosecco Extra-brut non può che fare bene alle bollicine trevigiane, soprattutto quelle delle DOCG che soffrono la concorrenza al ribasso della DOC della grande pianura veneto-friulana con la sua ondata di prosecchi piacioni, col grado zuccherino ad omogenizzare tutto e a rendere tutto indistinto. Dalle pendici e sud-est del Montello – rilievo collinare che costringe il Piave a creare un’ansa creando un microclima tutto suo – arriva l’ultimo Prosecco di Giusti wine, con soltanto 3,5 grammi di zucchero per litro. La tenuta ”Aria Valentina” (Giusti Wine, come detto, poggia su una quindicina di tenute ubicate in diversi areali attorno al comune di Nervesa della Battaglia) da cui provengono le uve di glera ha un terreno argilloso, ricco in ferro, ed è il primo “cru” dove storicamente un vino del Montello ha ottenuto un riconoscimento ufficiale internazionale, a Parigi ai primi del Novecento. E’ una delle tenute dove si coltiva anche il vitigno perera (storicamente nel blend del prosecco assieme alla glera) anche se in questo vino non compare. Dalla degustazizone esce un po’ deluso chi cercava un prosecco di forte carattere (paradossalmente lo è di più la versione Brut già in listino); invece – come se si fosse voluto evitare uno “strappo” col palato del consumatore – si è puntato su un vino più docile, che fa della pulizia e della finezza il suo tratto distintivo. Corretti i profumi all’olfatto, il palato conferma le nota fruttate tipiche del prosecco, i profumi floreali con acacia e una leggera nota di camomilla. Finale di bella mineralità, invitante alla beva, e mai stucchevole. In degustazione: 90/100
tono, recuperato dopo quasi due secoli di oblio, e che ha in Giusti Wine il suo più grande produttore. Usato in purezza o in blend in due vini rossi di grande talento, la recantina aggiunge all’uvaggio tipico degli sparkling rosé un tratto distintivo unico che lo rende inimitabile. Padri così nobili avrebbero meritato un Metodo classico, si è preferito optare per un più convenzionale Charmat, ma è una scelta – appunto – e non un peccato. Colore buccia di cipolla molto pallido; al naso sprigiona note molto invitanti di fragole di bosco, di ciliegia, di spezie. Il palato è coerente, croccante al primo impatto, con una spuma perfetta. Tornano le note fruttate, una leggerissima e gradevolissima nota di rabarbaro e mora di gelso. Ampio, dal lunghisismo finale, sapiudo il giusto. Di certo, uno dei migliori assaggi dell’anno. In degustazione: 96/100
Marchesi Guerrieri Gonzaga: il primo Trentodoc a ottobre
Giusti Wine Rosè SW Il Rosé mancava nel portafoglio di Giusti Wine e se n’era lamentata l’assenza già da qualche anno anche alla luce dell’incredibile successo che i rosati italiani stanno ottenendo nel mondo a scapito dei provenzali. Ecco, chi immaginava l’ennesimo Rosé fatto ad uso e consumo della moda del momento in Giusti ha sbagliato indirizzo. Perché questo è davvero un gran bel Rosé, ricco di fascino, estremamente appagante, praticamente perfetto. Partiamo dal suo blend: chardonnay e pinot nero, in primis, coltivati in Tenuta Abbazia, sempre sul Montello, un cru che storicamente ha sempre dato dei grandissimi vini rossi. A questi, nel blend viene aggiunta la recantina, vitigno autoc-
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La storica tenuta trentina San Leonardo lancerà il suo primo spumante metodo tradizionale nell’ottobre 2019. «Il terroir trentino è l’ideale per produrre spumanti di alta qualità – ha dichiarato il marchese Carlo Guerrieri Gonzaga (nella foto col figlio Anselmo). – Volevamo creare un metodo tradizionale scintillante in grado di competere con il meglio della Franciacorta, e in effetti con lo Champagne», ha aggiunto. La prima incursione di San Leonardo negli sparkling wines è un Blanc de Blancs – base 2015 – vinificato come “Metodo Classico”, con 3 anni di maturazione sui lieviti. Solo le uve Chardonnay saranno utilizzate nella miscela, per il momento.
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Tasting
re i limiti sensoriali del Prosecco fino a qui conosciuti. Un vino unico, frutto di anni di ricerca. Prima annata il 2014, figlia di un’inconsueta quanto sorprendente vendemmia. «Memori delle interessanti evoluzioni della vendemmia 1995, abbiamo preso spunto dal carattere dell’annata 2014, ricca di acidità e non facile da domare, per cominciare questo percorso – spiega Paolo Bisol, figlio del fondatore della cantina Ruggeri e ideatore di questo vino – . Siamo molto orgogliosi del risultato raggiunto dalla nostra squadra, il Cinqueanni è un vino che ricompensa adeguatamente l’attesa». Dopo la vendemmia avvenuta a fine settembre, il vino ha compiuto la prima fermentazione sotto le cure attente e precise dell’enologo Fabio Roversi ed è stato successivamente accolto dall’autoclave nella primavera 2015. Con la presa di spuma è iniziato il periodo dell’attesa, culminato con l’imbottigliamento avvenuto a marzo 2019. Le uve del Cinqueanni provengono da una piccola parcella collocata all’interno di un vigneto storico dove viti centenarie producono grappoli dalle eccezionali caratteristiche organolettiche. Al suo primo assaggio il Cinqueanni ha dato prova di eccezionale carattere e di grande finezza. Il predominante bouquet fruttato di pesca bianca è accompagnato da sentori floreali di acacia dolce e note delicatissime di fiori di magnolia. In bocca è asciutto, fresco ed invitante. Mandorla dolce e una leggera nota di cedro si dispiegano nelle sensazioni retronasali. Il Valdobbiadene Prosecco Superiore D.O.C.G. Cinqueanni sarà disponibile da luglio 2019 nel numero limitato di 4.500 bottiglie.
Vintage 2015 uscirà a ottobre, con il marchio Marchesi Guerrieri Gonzaga. Sono state prodotte 20.000 bottiglie della cuvee inaugurale, con un prezzo al dettaglio suggerito di 26 euro. Guerrieri Gonzaga ha dichiarato che un numero crescente di produttori in Trentino sta sostituendo le loro uve rosse locali come Teroldego con varietà adatte alla produzione di spumante, sebbene abbia sottolineato che molti produttori producevano vini dallo stile charmat per il consumo precoce. «I coltivatori si stanno rendendo conto che con le imitazioni di Prosecco c’è denaro facile e mi aspetto che la produzione frizzante cresca drammaticamente in Trentino nel prossimo decennio, anche se Trento DOC rimane il bastione della qualità» ha affermato. Inoltre, San Leonardo intende piantare più Carmenère nella tenuta – secondo il Guerrieri Gonzaga, la varietà cilena cresce sorprendentemente bene in Trentino. “Nel nord-est dell’Italia, la Carmenère può raggiungere una certa rilevanza all’interno delle miscele bordolesi. “Intendiamo piantare di più e addestrarlo alla Pergola trentina per migliorare la freschezza e l’eleganza dei nostri vini, e al Guyot per la concentrazione di frutta e spezie, che definisce lo stile di San Leonardo.” San Leonardo produce solo il 100% di vino di Carmenère in “annate speciali” autoproclamate, come ad esempio il 2007, il 2010 e il 2015 (in uscita a ottobre). “Sono state prodotte solo 6000 bottiglie del 2015”, ha dichiarato Guerrieri Gonzaga. “È anche l’ingrediente magico dei vini di San Leonardo, in particolare nel fiore all’occhiello di San Leonardo c’è un 30% di Carmenère che conferisce un’identità unica.”
Agit Optima, Claudio Giorgi, Pinot Nero, Oltrepò Pavese Riserva DOC 2016: al top del mondo C’è un solo Pinot Nero italiano vincente nell’ultimo Master internazionale organizzato da the drink business: si tratta dell’Oltrepò Pavese Riserva DOC, Agit Optima-Claudio Giorgio realizzato nel Fondo Priolo, una delle quattro tenute di Alma Wines. Un risultato non da poco se si considera che i Pinot nero premiati sono dieci in tutto il mondo e Agit Optima ha vinto nella fascia di prezzo 15-20 sterline. Fondo Priolo si trova a Borgo Priolo, nel cuore dell’Oltrepo Pavese, che con più di tremila ettari è la
Nasce Cinqueanni di Cantina Ruggeri: il Valdobbiadene Prosecco 2014 che sfida il tempo
Dopo cinque anni di riposo sui lieviti, quattro dei quali trascorsi in autoclave, fa il suo debutto il Valdobbiadene Prosecco Superiore D.O.C.G. Cinqueanni, il nuovo nato della Cantina Ruggeri destinato a supera-
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Tasting prima di riprenderselo dopo l’indipendenza – ma soltanto in Sardegna ha trovato quella dignità che merita. In particolare nel Sulcis, siamo a 100 miglia nautiche da Tunisi, il Carignano beneficia della migliore integrazione fra vitigno, clima e suolo mitigando tutte le sue asprezze e negatività: dalla super produzione, alla acidità aggressiva, alla debolezza nei confronti delle malattie portate dall’umidità. Nel Sulcis le rese sono basse grazie alla tecnica di coltivazione ad alberello; il suolo sabbioso ed il clima siccitoso per una lunga parte dell’anno tiene lontane le malattie funginee; la lunga estate porta ad una lenta e piena maturazione ammorbidendo i suoi tannini. Il Sulcis, la stretta fascia costiera dell’Iglesiente, insomma è il cuore di questa classe di Carignano che, non a caso, viene indicato come uno dei vini italiani che possono sfondare nelle nuovissime generazioni di winelover globali sempre alla ricerca di una narrazione nuova dentro al bicchiere. E qui la narrazione c’è, dato che nel Sulcis dominano le viti a piede franco e quindi siamo in presenza di piante col DNA identico alle progenitrici di 5/6mila anni fa. E se la storia non difetta nemmeno il futuro sembra prevedere rivoluzioni – la meccanizzazione, ad esempio – dato che la coltivazione ad alberello è l’unica che riesce a resistere al vento gelido di maestrale che qui passa per dodici mesi l’anno, talvolta così violentemente che le peggiori bore triestine sembrano gradevoli refoli. Un Carignano da basse rese, dai tannini morbidi e suadenti è insomma il campione delle cantine isolane che puntano ai grandi mercati. Non ultima Cantina Mesa, il gioiello impostato da Gavino Sanna, oggi all’interno del Gruppo Santa Margherita. Mesa sta a Sant’Anna Arresi, protetta dal maestrale dai monti alle sue spalle, con quasi 80 ettari di vigneto in conversione biologica in larga parte dedicate a specie autoctone – carignano, cagnulari e vermentino – più internazionali come syrah, chardonnay e cannonau (è il grenache). Mesa ha ben quattro Carignano in portfolio: in blend col cannonau come vino di primo ingresso, e poi “Buio” in purezza , la Riserva “Buio Buio” e il Superiore “Gavino”. Abbiamo degustato gli ultimi tre, e queste sono le nostre note.
seconda zona più importante del mondo per la produzione di Pinot Nero. L’azienda è attualmente formata da oltre 20 ettari di vigneti caratterizzati dalla loro elevazione (300 metri slm) ed esposizione. L’età media delle vigne: 30 anni. Il terreno è al 60% calcareo, 30% argilla, 10% sabbia. Vendemmia nella prima decade di settembre. La vinificazione: da 5 a 8 giorni di macerazione a freddo a 10°C, seguiti da 10 giorni di fermentazione. 12 mesi di invecchiamento in barriques di rovere francese (30 % nuove) e 6 mesi in bottiglia. La fascia di prezzo – £15 -20 – ha visto Agit Optima confrontarsi con Pinot Nero dal Sud America, dalla California e dalla Nuova Zelanda. Questi i giudici del Master: Patrick Schmitt MW; Andrea Briccarello; Matthieu Longuere MS; Simon Field MW; David Round MW; Antony Moss MW; Beverly Tabbron MW; Patricia Stefanowicz MW; Michelle Cherutti-Kowal MW; Jonathan Pedley MW
Cantina Mesa ed i suoi Carignano
Stabilire l’origine esatta del vitigno Carignano può essere un’impresa impossibile con Spagna, Sardegna e Francia a contendersi il primato dato che, nel girovagare delle genti e delle piante di vite, trovare il punto zero, quello d’inizio, vuol dire tornare indietro nel tempo all’età del Bronzo e quindi…di certo è che questo vitigno è stato utilizzato in tutti i tre grandi paesi produttori – la Francia lo esportò anche in Algeria,
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Buio Carignano del Sulcis DOC Il sistema d’allevamento in questo caso è il cordone speronato. Le uve vengono vendemmiate a mano
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– resta 80/90 quintali per ettaro – e tutto il processo di vinificazione avviene per via verticale; una dozzina di giorni di macerazione del mosto sulle bucce, vinificazione in solo acciaio e sei mesi di maturazione, cui seguono altri due in bottiglia. Al naso frutta rossa, macchia mediterranea, balsamico e sul finire una nota leggera di spezie. Palato fresco, dove tornano le note di frutta rossa ed un leggero rabarbaro. Buona acidità, tannini non aggressivi.
Champagne Pannier, Cuvée Louis-Eugéne Blanc de Noirs Brut 2002 Fondata nel 1899, Champagne Pannier gode di una salda e robusta reputazione in virtù di una grande attenzione alla qualità ed all’identità di marca. Questa bottiglia è stata abbandonata per anni – imbarazzante a dirsi – in un magazzino che, fortunatamente, l’ha preservata al buio e ad una temperatura – riteniamo – costante. Recuperata durante il più drammatico dei traslochi è stata immediatamente posta in frigo. Insomma, quanto succede a tantissimi fra noi, magari un po’ disattenti alle sorti della propria cantina. Grave, ma può succedere. L’occasione però ideale, a questo punto, per valutare la capacità di resilienza di questo Champagne già “rodato” da cinque anni di elevazione nelle cantine medievali della maison di Château-Thierry nel cuore della vallata della Marna. Come per tutte le bollicine di quella generazione, il tappo non impressiona per struttura e tensione, ma va detto che avendo fatto il suo lavoro al 100% questo Blanc de Noirs non conosce altra ossidazione se non quella legata alla sua naturale evoluzione. Il blend di questa Cuvée dedicata al fondatore di Champagne Pannier, vede Pinot noir in larghissima percentuale con una “spruzzata” di Pinot meunier in una percentuale che, a seconda dell’annata, va dal 2 al 7%. Cinque anni sui lieviti nelle caves e poi un lungo viaggio verso il magazzino finale. Onestamente, molte speranze e poche certezze su queste bollicine, dopo anni di oblio e di assenza di attenzioni. Invece…invece, dopo un impatto alcolico potente, dal bicchiere emerge una storia ricca e di valore. Mela golden, limone, note di lievito, spezie e un leggero pizzico di caffè al naso. Al palato è asciutto e di corpo con una acidità ancora vitale. Sapori di crema, frutta matura, buccia di pompelmo a dare una nota più amara, spezie da forno, mineralità e liquirizia, così noci e frutta secca nel finale. Coerente, persistente e vigoroso. Da rendere obbligata una nuova missione SAR in magazzino! Dedicato a quei produttori che ancora non mettono da parte aliquote delle proprie produzioni annuali ed ai winelover più distratti (ma baciati dalla sorte). Ah les Français!
Buio Buio Carignano del Sulcis Riserva DOC Il sistema di allevamento diventa il tradizionale alberello e la vigna è davvero prossima alla battigia. La resa per quintale scende a 70 quintali. La macerazione sale sino a 18-20 giorni, così da avere un’estrazione davvero importante. Il vino viene affinato in parte in tonneaux e barriques di 2°-3° passaggio per 12 mesi e in parte in acciaio. Viene poi assemblato in vasche di cemento, dove sosta per almeno 6 mesi. Completano la maturazione altri sei mesi in bottiglia. Al naso forte l’impatto di macchia mediterranea, frutta nera, erbe officinali e tabacco. Il palato è importante, caldo, con tannini pienamente evoluti. Tornano le note di frutta, prugna, rabarbaro, un sottile velo di the e spezie dolci. Persistente sul finale. Molto appagante ed invitante alla beva. Gavino Carignano del Sulcis Superiore DOC Il vigneto ad alberello è in larga parte a piede franco. La resa scende ulteriormente a 50 quintali l’ettaro. Le uve diraspate vengono fatte macerare per circa 25 giorni con follature e delestage quotidiani. Dopo la svinatura il vino viene travasato in tonneaux da 500 litri e lasciato in affinamento per 18 mesi. Conclude la maturazione una permanenza di nove mesi in bottiglia. Tutta questa cura ed attenzione per un vino davvero importante al palato con un primo impatto al naso importante e ricco con tanta frutta e un floreale molto bello; il palato è caldo e coerente. Frutta nera matura, balsamico, macchia mediterranea, un finale di tabacco e cuoio molto virile. Di grande piacevolezza. Un vino che lascia un ricordo vivissimo, che richiama ad una ulteriore beva e che davvero può competere nel mondo senza troppi problemi. Un vero campione.
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News
Kettmeir, i primi cento anni della Cantina di Caldaro che ha salvato i Suedtiroler Sekt Futuro nel Metodo classico e nella valorizzazione del territorio
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n enologo non deve cercare strade facili, ma deve cercare le migliori soluzioni, nuove strade senza avere paura, col solo limite di rispettare il frutto, trovando l’equilibrio perfetto fra vitigno, suolo e clima». Se mai si cercasse una interpretazione autentica del “progresso in traditione” che campeggia sul logo di Kettmeir, non ci si potrebbe basare che sulle parole di Josef Romen, enologo capo della cantina di Caldaro. Dal 1984 nel Gruppo Santa Margherita, Kettmeir ha festeggiato il suo primo secolo di vita con una nuova consapevolezza, una maturità piena, senza fronzoli, forte del ruolo che la cantina sta assumendo sempre di più: la punta di lancia della produzione spumantistica dell’Alto Adige (una bollicina su tre targata Sud Tirolo esce da queste “cave” ). Soprattutto, forte del costante flusso di investimenti che il polo veneto (la realtà che più ha investito in Italia negli ultimi anni: 242 milioni di euro in poco più di
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un decennio) sta garantendo da diversi anni a questa parte. Basta dare un’occhiata all’interno dello stabilimento che domina l’abitato di Caldaro – mantenuto rigorosamente nella sua architettura originaria in pieno stile atesino senza cedere alle lusinghe di un’architettura da star – per vedere quanto è cambiata la struttura. In termini di tecnologie, in termini di spazi recuperati (anche quelli riservati ai winelover), di estremo rigore nelle linee interne e in termini di sostenibilità. Davanti alla necessità di ampliare gli spazi per poter contare su una massa di produzione di metodo classico che proietti ancor più Kettmeir sui mercati, la scelta è stata quella di sfruttare in maniera ottimale l’esistente e di scegliere il geotermico come fonte di energia per stabilizzare la temperatura interna grazie a dodici sonde geotermiche a 100 metri di profondità. «Una diffusione gentile del freddo attraverso le pareti interne di calcestruzzo che azzera gli sbalzi termici nel corso dell’anno» per dirla con Romen che si coccola
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sono appena 5 ettari in Alto Adige che rappresentano l’ambiente ideale – clima e suolo – per questo vitigno; ebbene di questi, 1,5 ettari li abbiamo noi. E siamo la cantina con la superficie maggiore a disposizione». L’eden di questo Pinot bianco è adagiato sulle alture di Castelvecchio a 600 metri sul livello del mare, su un terreno fatto di argilla, calcare ed una parte di porfido che garantisce intensità aromatica. Affinato totalmente in legno, questo Pinot bianco stupisce per profumi dove le note tropicali, di frutta matura, di spezie orientali danno letteralmente alla testa. Quanto al Mueller Thurgau «Lo si considera un vino facile, da aperitivo, da bere giovane perché incapace di reggere l’invecchiamento. Ebbene, chi lo dice sbaglia. Perché si accontenta delle uve che trova, non va alla ricerca della soluzione più difficile. Per me, il Mueller Thurgau che vale sta sull’altopiano di Renon, sopra Bolzano, a 750 metri sul livello del mare, un terreno povero che costringe la vite a cercare nella profondità del suolo il poco di umidità e di acqua che c’è. Un vitigno difficile da comprendere, che ti lascia una finestra di appena cinque giorni in ogni vendemmia per arrivare al frutto migliore. Ma se lo curi con attenzione, questo vitigno ti garantisce risultati eccezionali». Come saper invecchiare sei anni ed essere ancora forte e vitale come un ragazzino. «Kettmeir ha fatto la storia del vino dell’Alto Adige – sottolinea Gaetano Marzotto, presidente del Gruppo Santa Margherita - : ha aperto nuovi mercati; ha imposto un modello imprenditoriale; ha scelto con decisione, e in tempi non sospetti, la via della sostenibilità economica e sociale; ha riscoperto e fatto riscoprire la tradizione spumantistica di questa regione. Ha fatto molto, e molto farà ancora nei prossimi anni. Lo farà qui, a Caldaro, che resta il cuore e l’anima di questo grande progetto».
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con lo sguardo le sue cataste allineate. Vuol dire abbattere le emissioni di gas serra in atmosfera, abbattere i consumi di energia da carbon fossile ed una realtà ottimale per la maturazione dei Metodo classico: oggi, sulla produzione totale di Kettmeir di 420mila bottiglie, le bollicine rappresentano poco meno del 20% della produzione (circa 85mila bottiglie) che però debbono poter raddoppiare a breve grazie allo sviluppo dei due “base” “Athesis Brut” e “2Athesis Rosè”, alla crescita della “Riserva 1919” ed al prossimo debutto del “Pas dosè” che conosceremo nel prossimo novembre. Fondata nel 1919 da Giuseppe Kettmeir, commerciante di vino a Vienna da prima della Grande Guerra, la cantina di Caldaro nella sua storia ha raggiunto più di un traguardo: la prima nel difficile dopoguerra a puntare ai mercati internazionali aprendo, ad esempio, il mercato svizzero; la prima, nel secondo dopoguerra, a comprendere che l’Italia sarebbe potuta diventare il primo mercato per i vini altoatesini mettendo da parte le divisioni della Storia; la prima a ripensare alla tradizione del suedtiroler Sekt andato in abbandono dopo la cesura delle due guerre mondiali proponendo alla fiera del vino di Bolzano del 1965 il primo spumante altoatesino (uno charmat lungo con base Pinot bianco); la prima a scegliere la strada della stretta cooperazione coi propri conferitori legati da un patto che scavalca le generazioni che ha aggiornato le tecniche colturali, ha garantito la svolta qualitativa, ha avviato un percorso di sostenibilità ambientale e soprattutto sociale, permettendo di preservare gli eroici vigneti di montagna. Due vini per raccontare in un altro modo questa storia: il “Pinot bianco Athesis 2018” e il “Mueller Thurgau Athesis 2012”. Sempre con le parole di Josef Romen, il «Pinot bianco è per me il vero vitigno principe dell’Alto Adige. Lo è per carattere: è proprio un sud-tirolese, dove lo metti, lui sta. Non cambia, resta quello che è, esce sempre con le sue caratteristiche e le sue qualità. Ci
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A Orvieto la 12.ma edizione del Challenge internazionale Euposia riservato a Champagne e spumanti Metodo classico
L’Italia cerca ulteriori conferme dopo i successi del passato. Premiati anche i migliori autoctoni e biologici
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i terrà ad Orvieto – dal 14 al 17 novembre prossimi – la dodicesima edizione del Challenge Internazionale Euposia, riservato ai vini spumanti Metodo classico, ovvero ottenuti attraverso la rifermentazione in bottiglia, ed agli Champagne. Grazie alla collaborazione col Consorzio Tutela Vini Orvieto Doc, presieduto da Vincenzo Cecci, il Challenge Euposia lascia per la prima volta la sua sede storica a Verona dove è stato lanciato nel 2007. A presiedere la Giuria – un pool di enologi e gior-
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nalisti provenienti da tutto il mondo – sarà, come in altre edizioni, il presidente degli enologi mondiali ed Italiani, Riccardo Cotarella. La Giuria degusterà alla cieca tutti i vini in concorso: si attendono oltre 200 campioni fra Champagne e Metodo classico provenienti da Spagna, Regno Unito, resto d’Europa, Americhe, Asia ed Oceania, Sud Africa, più Metodo classico provenienti da tutt’Italia, dalle regioni alpine alla Sicilia. Fuori Challenge, in una masterclass riservata, il panel dei Giurati degusterà anche gli Orvieto spumanti
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Metodo Martinotti (ovvero vini spumanti ottenuti attraverso la rifermentazione in autoclave). Verranno degustati e sottoposti a giudizio organolettico gli Orvieto Classico 2018 dei soci del Consorzio che aderiranno all’iniziativa. Verranno altresì degustati i vini oggetto di sperimentazione del Consorzio derivati dalla vinificazione del Trebbiano T34 derivante da 4 territori del comprensorio orvietano diversi per composizione chimica-fisica dei suoli. A presiedere questa nuova degustazione del Challenge sarà l’enologo Roberto Cipresso. Un’ occasione per il Consorzio Tutela Vini Doc di Orvieto che ha così voluto ulteriormente qualificare la decisione di ospitare il Challenge Internazionale Euposia, cogliendo l’opportunità di valorizzare le proprie produzioni di qualità. Il Challenge internazionale Euposia – avviato dalla rivista Euposia oggi “The Italian Wine Journal” - ha ottenuto in questi anni numerosi primati: è stato il primo a scoprire ed a proporre all’attenzione della critica internazionale i Metodo classico del Regno Unito (oggi uno dei capitoli vincenti dell’enologia mondiale grazie ad uno sviluppo inarrestabile ed allo sbarco delle grandi maison dello Champagne oltre Manica), quelli dell’Asia (India, Giappone e Cina) e delle Americhe: dall’Oregon sino alla Patagonia. Per l’Italia, il Challenge ha contribuito a lanciare produttori e denominazioni di alta qualità, ma di produzioni contenute, nonché ad affermare la validità delle più blasonate produzioni italiane (Trentodoc, Franciacorta, Alto Adige, Alta Langa ecc) nei confronti degli Champagne e delle maggiori, per volumi, produzioni internazionali. Un Challenge che è diventato una vera e propria case-history dando vita ad un nuovo “filone” di concorsi ed eventi sugli spumanti. Il Challenge assegna il titolo di Campione del mondo per i vini Metodo classico bianchi e rosé, per quelli biologici e quelli realizzati con vitigni autoctoni, nel-
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le versioni brut, extra-brut e pas dosé. L’Albo d’Oro del Challenge vede l’Italia con 16 titoli mondiali, seguita dalla Francia con 7, dal Regno Unito con 5, dall’Austria con 2. Chiudono la classifica Germania, Spagna e Sud Africa con un titolo mondiale ciascuna. Vengono assegnati anche Premi nazionali e Regionali. «Una manifestazione che ha il pregio di essere aperta al mondo, con pochissimi costi per le aziende, un’esperienza italiana d’eccellenza, che si svolge in forma indipendente non poteva non incontrare l’interesse del nostro territorio, da sempre terra di relazione. L’opportunità di ospitare esponenti prestigiosi tra giornalisti e degustatori rappresenta per noi un volano importante nell’ambito della nuova strategia di comunicazione del nostro Consorzio che ha nell’internazionalizzazione un elemento portante. Al contempo, questa collaborazione rappresenta anche uno sforzo congiunto di tutti gli operatori collegati che hanno come denominatore comune il rilancio di un territorio magico e bellissimo, da visitare. Il vino diventa così fulcro per il rilancio non solo della Denominazione. Si tratta di una sinergia tra enti ed istituzioni pubbliche di alto spessore culturale. Il Consorzio, sempre di più, guarda al futuro del nostro vino come risorsa per l’intera economia di Orvieto» sottolinea Riccardo Cotarella. «Siamo onorati di venir accolti ad Orvieto, una terra con una tradizione millenaria nella coltivazione del vino, nel cuore dell’Italia, e di portare all’attenzione dei winelover e dei professionisti dell’Umbria il meglio della produzione spumantistica mondiale e di contribuire, al contempo, la diffusione della conoscenza delle eccellenze vinicole di questa terra» sottolinea Severino Barzan, del Grand Jury Européen, uno dei fondatori del Challenge internazionale Euposia con Carlo Rossi, Luigi Bortolotti e Beppe Giuliano.
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Cava: 1,14 miliardi € per le bollicine catalane che si salvano con l’export. Mercato iberico a meno 12%. Cava, produttori divisi: arriva lo sboom?
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miliardi € come fatturato della denominazione, in sostanziale tenuta rispetto al 2017 (meno 0.2%); 244 milioni di bottiglie vendute (meno 3.2%); tenuta dell’export a 165 milioni di bottiglie (più 1.8%); crollo del mercato interno (meno 12.1%) sceso a 79 milioni di bottiglie vendute nel 2017 contro i 90 milioni
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del 2017: sono finalmente usciti i dati del report 2018 della DO Cava, particolarmente attesi per conoscere l’impatto della crisi politica in Catalogna e quanto questa può aver influito sulle bollicine catalane, una delle grandi portabandiera della produzione vinicola spagnola. Partiamo dai dati “fondiari”: la superficie vitata è leggermente cresciuta avvicinandosi ai 38mila ettari coltivati; le tre uve autoctone macabeu, xarel-lo e pa-
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rellada rappresentano la stragrande maggioranza degli impianti lasciando allo chardonnay appena 3mila ettari (l’8% del totale) ed al pinot noir 873. La produzione complessiva è stata di quasi 326 milioni di kg d’uva che hanno generato, appunto, 244 milioni di bottiglie di Cava. I produttori sono 224, meno 2,6%, e dopo l’uscita di Raventos i Blanc dalla DO Cava per lanciare la DO Riu d’Anoia, altri sei big hanno preso le distanze avviando Corpinnat, una propria associazione: Gramona, Llopart, Torellò, Recaredo, Nadal, Sabatè i Coca, Can Feixes, Julia Bernet e Mas Candì. Del resto, l’arrivo di Henkell con l’acquisto di Freixenet ha reso evidente la divisione “filosofica” fra il big player del mercato – una grande multinazionale fra Germania, Spagna e Italia – ed i produttori più di qualità. Il mercato complessivamente registra la contrazione suindicata che stride col risultato positivo del 2017 che aveva registrato una crescita del 3% rispetto al 2016. Il crollo è tutto del mercato interno che oramai vede soltanto Aragona, Catalogna e Comunità Valenciana con un forte radicamento del Cava fra i consumatori assorbendo ben il 46% delle vendite interne. Madrid – sarà un caso? – arriva a malapena al 6% di cui 2 punti buoni sono legati alla fortissima presenza internazionale sulla capitale; appena si esce dalla città, la percentuale crolla infatti al 4%. Le esportazioni sono in larga parte extra-UE per 115 milioni di bottiglie ed una crescita del 2,3%. Nella classifica dei maggiori importatori guida ancora la Germania con 32 milioni di bottiglie, più 2,2% (ma nel 2012 comprava quasi 40 milioni di bottiglie); al secondo posto ancora il Belgio (ma perde il 4.8%) con 27,2 milioni di bottiglie; al terzo posto salgono gli Stati Uniti con 21,7 milioni di bottiglie (10 milioni in più rispetto al 2012) superando così il Regno Unito dove il Prosecco fa strage, tanto che le bollicine catalane perdono 6.4 punti percentuali. Prosecco
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ultra competitivo anche in Francia dove la contrazione del Cava è del 10.9% assorbendo comunque 10.4 milioni di bottiglie. Il dato italiano L’Italia oramai ha detto addio al Cava: appena 247 mila bottiglie vendute (erano poco più di un milione una decina d’anni fa) con una ulteriore contrazione del 19%. Battaglia persa? Non ancora. Anzi, qualche segnale interessante c’è. E sta nella qualità del prodotto Cava. L’Italia è il 35.mo mercato del Cava Tradicional (9 mesi sui lieviti), ma è 30.mo nei Cava Reserva (15 mesi sui lieviti), 29.mo nel Gran Reserva (30 mesi sui lieviti) e 21.mo mercato al mondo nei Cava de Paraje Calificado (36 mesi sui lieviti e cru dichiarati). Cosa vuol dire? Che spazi per una proposta di qualità ci sono; che il Cava base non ci interessa (e si capisce fra Trentodoc, Franciacorta, Oltrepo, Durello e la corazzata Prosecco…), ma il giudizio cambia se si va alla scoperta di bollicine di alta o altissima qualità anche se il fattore prezzo porta molti a preferire il più conosciuto (e sicuro) Champagne. Il resto del mondo se ne fotte ampiamente di tutto questo e cerca il Tradicional, 213 milioni di bottiglie vendute, pari all’87% delle vendite; poi vuole Reserva, per 26 milioni di bottiglie, l’11% del totale. Infine cerca la Gran Reserva, 4,7 milioni di bottiglie, e attende la crescita del Cava de Paraje Calficado che oggi vende 130mila bottiglie. Il Cava resta un vino bianco, il Rosé è una fascia di produzione di appena l’8,4% (essenzialmente è tutto Tradicional) e questo mette la produzione catalana in affanno rispetto al boom delle bollicine rosate che vedono Italia e Francia leader di mercato. La produzione bio coinvolge il 4.3% del mercato del Cava, ma con una crescita del 73% rispetto al 2017, ed un posizionamento importante su Reserva e Gran Reserva che quasi raggiungono il peso del Tradicional.
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Distillati
I Rum del Venezuela sconfiggono la crisi economica e conquistano il mondo Non più “nei peggiori bar di Caracas” ma sempre più “preda” di aficionados competenti. L’esempio del Flor de Cana del Nicaragua
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degli acquirenti, come afferma Luis Cárdenas, presidente della Camera dei liquori del Venezuela. Paradossalmente, la terribile situazione economica è stata buona per il rum: il venezuelano che se lo può permettere ha smesso di consumare whisky - il re tra le classi benestanti - per optare per le varianti premium del distillato di canna. «Il consumo di whisky è diminuito e questo ha giovato al rum. Il pubblico ha capito che questo può essere consumato in molti modi» afferma María Milagros García, di Fomproven, il Fondo venezuelano per la promozione del rum Venezuelano che stima che il ron rappresenti già il 45% del consumo totale di liquori Ma in un paese dove la capacità di acquisto del pubblico è solo in declino, il jackpot è fuori. Il 20% delle vendite di quest’anno andrà al mercato internazionale, qualcosa che Cardenas celebra come un “record locale”. Un’altra cifra parla da sé: il rum raggiunge il 10% delle esportazioni private non petrolifere del
rum venezuelani spiccano nelle degustazioni internazionali, come dimostrano le medaglie ottenute al Congresso internazionale sul rum che si tiene ogni anno a New York, mentre il paese sudamericano sta vivendo il suo momento peggiore: precipitato in una crisi profonda, con prezzi fuori controllo e con un’economia in rovina - anche per il consumo di liquori - che, a parte un miracolo che nessuno si aspetta, si contrarrà tra quasi un quarto quest’anno. Oltre a questa triste realtà economica, la bevanda alcolica, che ha il suo epicentro nei Caraibi, è pronta a fare un grande salto internazionale basato sulla sua denominazione di origine, uno dei pionieri del rum. Con sei dei suoi 13 marchi già riconosciuti al di fuori dei confini venezuelani, l’industria prospera in mezzo al crollo dell’economia venezuelana che, negli ultimi cinque anni, ha causato un brutale calo dei consumi delle famiglie e un cambiamento quasi radicale nel comportamento
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Distillati di qualità e dell’enorme opportunità dietro il rum venezuelano come marchio» afferma Leopoldo Molina, direttore del Fompronven e Ron Veroes, un altro di coloro che hanno fatto il salto all’estero. L’internazionalizzazione è quasi un imperativo per un’industria che ha bisogno di dollari e avrà un nuovo impulso con il recente accordo di distribuzione che Santa Teresa, di proprietà dell’uomo d’affari Alberto Vollmer, ha firmato con il gigante multinazionale Bacardi. Un accordo che, secondo Andrés Chumaceiro, direttore della business unit della società, lo metterà in vendita in 160 mercati in breve tempo. Il rum venezuelano non è l’unico che ha dovuto superare una crisi politica e sociale non solo per rimanere a galla, ma anche per farla franca. Il Nicaragua ha il “Ron Flor de Cana”, che con quasi 140 anni di storia è famosa nel paese centroamericano e ha aperto un posto tra i rum più ricercati al mondo. Prodotto nei canneti della costa del Pacifico nicaraguense, in terra fertile e di frenetica attività vulcanica, il rum è sopravvissuto ai convulsi anni ‘80, quando dopo il trionfo della rivoluzione sandinista che ha rovesciato la dittatura di Somoza, la Giunta ha deciso di confiscare o nazionalizzare le imprese. Il rum è prodotto nell’Ingenio San Antonio, la più grande distilleria del Nicaragua, di proprietà del potente Gruppo Pellas, che è stato espropriato dopo essere stato dichiarato di “pubblica utilità”. Battuti dall’iperinflazione (una delle più grandi al mondo all’epoca), dal calo dei consumi e dalle ansie di un’economia di guerra, il Pellas decise negli Anni Ottanta di mantenere la produzione (molto speso, era l’unico prodotto disponibile in quantità nelle tiendas del Paese centroamericano), ma anche di immagazzinare più di due milioni di barili di rum invecchiato: una scelta che permise di avere una riserva spendibile dopo la transizione del 1990, che aprì (per poco, purtroppo) il Nicaragua a un’economia di libero mercato e a una democrazia liberale.
Venezuela. La Camera dei Liquori lo attribuisce al paese che vende la bottiglia di rum più costosa. Quelli di fascia alta over-aged salgono intorno 50 euro a bottiglia. «[il rum venezuelano] ha partecipato molto fortemente a concorsi internazionali e nelle degustazioni è molto apprezzato» commenta Leo D’Addazzio, presidente dell’Associazione sommelier venezuelana. Le esportazioni sono cresciute fortemente tra il 2003 e il 2008, scendendo drasticamente l’anno successivo, con la Grande Recessione Globale. Da allora, hanno nuovamente intrapreso una crescita sostenuta, un percorso verso il successo nel momento peggiore possibile. «La consacrazione internazionale è un dato di fatto» sottolinea José Gregorio Pereira. Quando la produzione e l’esportazione dal Venezuela è quasi una chimera, il rum ha raggiunto l’impossibile. Il rum ha due secoli di tradizione in Venezuela, con l’aiuto del tempo e di una scuola di invecchiamento, spiega la giornalista specializzata Rossana Di Turi. Le leggi lo impongono di trascorrere almeno due anni in botti di quercia, che «gli dà un’identità enorme» secondo Di Turi. Nel 2003, i produttori hanno fatto causa comune di una denominazione d’origine controllata che garantisce altri requisiti di produzione. Il Rum Diplomatico, ampiamente accettato nell’Europa dell’Est e presente in 95 paesi, guida gli sforzi di internazionalizzazione seguiti da Santa Teresa. Cacique e Pampero, molto forti in Europa e nelle mani di Diageo – uno dei più grandi conglomerati di alcolici al mondo – sono in ritardo. E in breve tempo si è anche ampliato con una strategia molto aggressiva. «La campagna che il Cacique ha iniziato a sviluppare in Europa nel decennio precedente ci ha fatto risvegliare tutti. Ci siamo resi conto del sigillo
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Durello di Carlo Rossi
Sacramundi, la carica delle brand-new dei Monti Lessini The Italian Wine Journal
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acramundi è il nome di una giovane e dinamica top azienda del Durello, che coltiva i propri vigneti tra i trecento ed i quattrocento metri di quota in località Vignaga – nomen omen, da vigna - in quel di Chiampo, in provincia di Vicenza, versante est dell’antico vulcano monte Calvarina, comune più famoso per l’attività di concia e di estrazione del marmo. Nasce nel 2011, appena otto anni fa, in un terreno riconosciuto come assai vocato alla viticoltura: qui in realtà le vigne ci sono sempre state, anche se quella del vino è storicamente stata una attività di secondo piano rispetto al fervore delle iniziative industriali.
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Nel comprensorio Chiampese infatti si sente parlare delle località di Vignaga, Castellaro, Dune, Sacramundi da sempre; luoghi la cui fama deriva proprio da una storia di tradizione collegata al mondo del vino. Luoghi, tra l’altro, bellissimi dove lo spirito si ricrea. ll vitigno autoctono dei Monti Lessini è la Durella, erede della Durasena. E’ una varietà a bacca bianca, di tarda maturazione (fine ottobre) dal grappolo di media grandezza, compatto, dall’acino medio con buccia verde giallastra o dorata, coriacea, tannica e con polpa di sapore semplice e acidulo. L’uva vinificata in bianco, senza cioè macerazione delle bucce,
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Durello
Dall’autoctona uva Durella la nuova denominazione emergente delle bollicine italiane d’autore. Uno spumante in altura.
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dona una acidità spiccata e tra le più alte per i vini italiani. In lingua veneta “un vin da tola”, tradotto un vino da tavola, ma nel senso che un tempo bisognava aggrapparsi alla tavola per reggere l’impatto di quel vino rustico e non facilmente ammaestrabile. A meno che…non si scelga la strada della spumantizzazione (ideale quella della rifermentazione in bottiglia) in grado di sfruttare al meglio l’acidità rendendola più morbida e dando ai vini una impagabile capacità di invecchiamento. La Denominazione di origine controllata “Lessini Durello” nasce nel 1987 per tutelare una produzione enologica saldamente ancorata al territorio della Lessinia, una meravigliosa terra collinare e di media montagna compresa tra la provincia di Verona e quella di Vicenza. Una doc interprovinciale, che regala al consumatore attento un sorso di puro territorio. uno spumante che nasce nella zona collinare, dove iniziano i rilievi che, procedendo verso nord, si trasformano nelle Alpi. La parte di produzione dello spumante Lessini Durello Doc e del Monti Lessini Doc che riguarda Vicenza comprende le vallate del Chiampo, del Leogra e dell’Agno. Da marzo 2018, con la dicitura “Lessini Durello” viene indicato solo lo spumante prodotto in autoclave con metodo Martinotti, il metodo italiano di fermentazione. Con la denominazione “Monti Lessini”, fino al 2018 dedicata ai vini fermi, si indica lo spumante ottenuto con rifermentazione in bottiglia, col metodo classico. Una scelta importante per questa Doc a 30
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anni dalla sua nascita e che ha superato nel 2017 il suo primo milione di bottiglie. Oltre allo spumante, vi è anche la versione ferma, il Lessini Durello Tranquillo, anche nella versione Superiore, con gradazione alcolica 11,50 gradi. Una Doc che sta effettuando un percorso di crescita rapido e verticale. Giorgia Mettifogo, spumeggiante e creativa Responsabile dell’accoglienza e delle Pr, Lorenzo Bottona, giovane e talentuoso enologo appassionato alla spumantizzazione formatosi alla Scuola di Conegliano, e il capitano coraggioso Gianantonio Brandellero, più dietro le quinte, sono il volto e l’anima di Sacramundi. Azienda pluripremiata in numerosi concorsi internazionali per le uve autoctone e di grande qualità. E’ Gianantonio infatti, che decide di sfruttare le uve di produzione propria, prima conferite in cooperativa, con l’obiettivo di elaborare e commercializzare un prodotto d’eccellenza, destinato in breve a diventare ambasciatore del territorio. Il Durello racchiude in sé il sapore dolce e l’acidità naturale dando origine ad un sapore molto armonico. Circa 8 ettari di vigneti collocati nel versante
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della collina che guarda ad est - sud est per cogliere il sole più dolce del mattino. Escursioni termiche rilevanti e maggiore piovosità le si ritrova in sorsi caratterizzati da acidità sostenute e PH bassi. Vigneti che si configurano completamente nella destinazione d’uso, ovvero base spumante, in terreni che anche qui trovano tufo e basalto. L’espressione più riuscita per questa piccola realtà è sicuramente Merum, Metodo Classico Pas Dosé, 100% Durella che sosta sessanta lunghi mesi sui propri lieviti. Colore giallo dorato, bollicina elegante e persistente, libera al naso note vegetali di fieno e profumi di pietra focaia. Le note verdi di cedro, il lime che diventa a tratti limone, tendono la mano ad un frutto appena più maturo quale una pesca gialla. Si intervallano una nota tannica resa ancora più evidente da un’ intensa sapidità e mineralità. Un esempio di come si possono raggiungere interessanti suggestioni espressive alla faccia di chi non crede nelle capacità di invecchiamento di quest’uva particolare.
se si rivela poi intenso, avvolgente e lunghissimo nella persistenza. Un Riserva pas dosé di nicchia, appena mille magnum prodotte, ed assente dagli scaffali del supermercato. Altro cavallo di battaglia il Classico 36, un vino Spumante Riserva Lessini Durello D.O.C. che nasce da vigne a 380m s.l.m. dove l’esposizione ad est, il microclima e lo sbalzo termico permettono l’ottimale maturazione delle uve. L’affinamento di 36 mesi sui lieviti lo caratterizzano per complessità ed intensità regalando un’esperienza sensoriale a tutto tondo. Bolla fine, di colore giallo paglierino intenso.
«I suoi risultati nei concorsi internazionali ci riempiono di orgoglio – evidenzia Giorgia Mettifogo – soprattutto se si pensa che fino ad una decina di anni fa il Lessini Durello era praticamente sconosciuto. Questi riconoscimenti sono il frutto di un lungo percorso fatto di anni di lavoro prima in vigna, poi in cantina ed infine sul fronte della promozione. Siamo finalmente riusciti a trasmettere l’identità, la storia e la qualità del nostro vino, calamitando un’attenzione crescente da parte di operatori e addetti ai lavori». Il sessanta mesi di Sacramundi mantiene intatta freschezza ed acidità, anche
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Barbera di Enzo Russo
Barbera d’Asti, riparte la storia Nuova attenzione in vigneto, più qualità in cantina, più dedizione ad un vitigno versatile e generoso. Una rivoluzione raccontata da Filippo Mobrici
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astagnito è un paesino della provincia di Cuneo, dove ha sede l’enoteca Vignaioli Piemontesi, una delle più importanti realtà del territorio e a livello nazionale che rappresenta tutti i Consorzi di Tutela del vino piemontese e promuoverli. E’ qui che abbiamo appuntamento con Filippo Mobrici Presidente del Consorzio del Barbera per parlare di questa “rinnovata” Barbera ricca di profumi e con una storia che coinvolge tutto il Piemonte. E’ una giornata calda ed afosa, fuori ci sono 34°, fortunatamente la sala di presidenza è fresca e le poltrone sono molto accoglienti per una rilassante intervista.
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Presidente, lo scorso anno avete organizzato una manifestazione che ha visto la presenza di giornalisti, addetti ai lavori e opinion leaders provenienti da tutto il mondo. Un evento importante dove si è potuto degustare la Barbera nelle sue diverse tipologie. Un vino che ha riscosso successo e apprezzamenti positivi da tutti i partecipanti, per qualità, freschezza, profumi e ben bilanciata nelle varie componenti organolettiche. Insomma una Barbera d’Asti Docg che in questi ultimi anni si è “rinnovata”, al passo con i tempi e competitiva su tutti i fronti. Ci vuol dire cosa è successo, cosa avete fatto sul campo e in cantina?
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Barbera
“Premesso che dalla Barbera, come vitigno, si ottengono da sempre diverse tipologie di vino. E’ il vitigno più coltivato in Piemonte con ben 12 mila ettari di superficie vitata su una superficie totale di 45 mila ettari, tra rossi e bianchi, addirittura più del moscato che rappresenta una fetta importante del vigneto Piemonte con 9 mila 700 ettari. In questi anni è successo che è aumentata la consapevolezza delle nuove generazioni, perché, come diceva il compianto prof. Tommaset, appassionato e grande studioso e conoscitore di questo vitigno, è probabilmente uno dei vitigni più eclettici che si possono coltivare e duttili, perché si adattano a situazioni climatiche, zone e aree diverse. E la cosa nuova, come dicono i vignaioli, da questi vitigni si possono ottenere tanti vini. Ad esempio, si era persa negli anni la consapevolezza, che la Barbera si potesse invecchiare, affinare e che negli anni si potessero avere delle belle e grandi sorprese, come è stato nella manifestazione che abbiamo organizzato. Abbiamo degustato dei grandi e buoni vini dal bere quotidiano accanto ad altri dalla grande struttura e dalla grande capacità di preservarsi e migliorare nel tempo, con una loro personalità ben specifica. Nell’ultimo periodo, molti produttori si sono accorti che questo vitigno aveva ed ha delle grandi potenzialità nell’affinamento, soprattutto nel giusto uso del vigneto con una coltivazione attenta, non più sconsiderata ma curando in modo professionale e minuzioso il vigneto nel segno della qualità contenendo le quantità al fine di ottenere vini di eccellente qualità, l’uso sapiente del legno in cantina, la vinificazione attenta a temperatura controllata. Insomma, un attento controllo di tutta la filiera produttiva, dal terreno fino all’imbottigliamento. Tutto questo ha
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fatti si che oggi i vini, perché non si può parlare di un vino Barbera, perché nel Monferrato dal vitigno Barbera si ottengono almeno 4 tipologie di vino. Uno è il Piemonte Barbera, un vino di pronta beva, fresco e quotidiano nel senso più nobile del termine; poi abbiamo la Barbera del Monferrato, un vino a volte leggermente mosso, frizzante fresco che si può bere anche in estate abbinato a piatti estivi; la Barbera d’Asti docg che viene proposta dopo un anno nella versione acciaio oppure con un leggero passaggio in legno; infine ci sono le Barbera d’Asti docg superiori che vengono affinate in legno, sia piccolo sia grande e vengono messe in commercio dopo un periodo totale di affinamenti di almeno 18 mesi. Una novità: da una costola della Barbera d’Asti di questi ultimi anni è nata una nuova DOCG, il NIZZA, che ha avuto il riconoscimento a livello europeo a febbraio 2019. E’ un vino ottenuto dal 100% uve Barbera, con una resa di 70 quintali di per ettaro dai
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migliori versanti coltivati a vite in 18 comuni intorno a Nizza Monferrato. Benissimo, ma oltre a questa importante scelta, le aziende che cosa hanno fatto prima del 2000, visto che oggi la Barbera risulta essere un vino fresco, profumato che si fa bere nel quotidiano, sia a casa sia nei ristoranti? “In cantina le aziende si sono modernizzate. La vinificazione avviene a temperatura controllata, l’altro aspetto è l’uso della micro ossigenazione, dove l’ossigeno che normalmente è un ossidante, invece utilizzato di nuovo con saggezza da parte degli enologi diventa un alleato importante per ottenere vini fini e freschi. Altra cosa fatta è stata la scelta intelligente del legno, le barriques o tonneau oppure le botti grandi in rovere di slavonia hanno ruoli importanti per l’affinamento, però debbono essere calibrati nell’uso dell’affinamento per fare in modo che il vino si impadronisca dello stretto necessario dei suoi profumi del legno tostato per renderlo più elegante in tutte le sue proprietà organolettiche. Altro salto di qualità è stata la cura del vigneto con gli impianti. Oggi non si vedrà mai un impian-
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to che non abbia una densità per ettaro inferiore a 4-4.500 ceppi, che sono una enormità, perché vuol dire che lo spazio vitale per ogni vite è intorno ai 2 metri e da questo spazio ogni vite può produrre normalmente 2-2,2 Kg di uva per avere un vini di alta qualità e quindi facendo due conti si ottengono circa 90 quintali per ettaro, il massimo previsto dal Disciplinare. Altro aspetto non indifferente è stata la ricerca scientifica fatta sul vitigno Barbera, dove viene fuori la potenzialità genetica che può dare il vitigno. Primo abbiamo selezionato dei cloni importanti per fare qualità assieme all’usso sapiente dei portinnesto con clone selezionato ha fatto si che negli anni si potesse arrivare ad una scelta avanguardista. L’altro aspetto da non dimenticare è la coltivazione della vite che negli anni è stata molto curata, ad esempio le concimazioni molto attente e controllate non per fare quantità ma per migliorare la qualità, interventi agronomici controllati come per esempio la potatura secca per arrivare a quella verde, quindi il numero di gemme per ettaro che vengono lasciate per ogni vite, controllo della sfogliatura per arieggiare il grappolo per arrivare al controllo della produzione di alta
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Barbera Quanti ettari di superficie vitata ha la Barbera d’Asti ? Sono iscritti all’Albo vigneti 5 mila ettari e si producono circa 350 mila quintali annui di uva per un totale di 22 milioni di bottiglie. Circa il 50% viene esportato, il resto venduto sul mercato italiano”. In quali province viene coltivato il vitigno? “Asti ed Alessandria, sono167 comuni che fanno parte della denominazione”. Grosso modo, qual è la vita media di una vite? “E’ una pianta che che può durare anche più di 100 anni, dà poco vino ma di alta qualità mentre un vigneto moderno come quelli che ci sono oggi arriva a 25/30 anni, ed un buon risultato, in questo caso i vini sono freschi, profumati e di buon corpo”. Quale è stata la produzione dello scorso anno e cosa prevedete per il futuro? “La produzione dell’anno scorso ci ha fatto ritornare nella media degli anni precedenti, abbiamo prodotto 250 mila ettolitri di vino, sempre per quanto riguarda la Barbera d’Asti, di ottima qualità e profumi. E’ l’annata del 2017 che è stata scarsa, abbiamo perso circa il 30% del prodotto per problemi meteorologici come le gelate inaspettate, la pioggia e il troppo caldo, ma la qualità c’è stata”. I mercati esteri della Barbera d’Asti? “Esportiamo in Canada, Stati Uniti, la Germania, Svizzera e in questo momento stiamo ottenendo dei buoni risultati con i Paesi nordici come la Svezia, Danimarca e Norvegia. La Barbera d’Asti si sta dimostrando un grande vino”. Presidente, un ultima domanda, dall’alto del suo osservatorio, come vede il futuro della Barbera? Lo vedo rosso-violaceo, che è il colore tipico della Barbera fresca. E positivamente perché mi conforta il fatto che c’è molta attenzione da parte delle nuove
qualità”. In questi ultimi 20 anni le tecniche di coltivazione e produzione della Barbera sono cambiate notevolmente. Una nuova filosofia di vendemmia: “C’è stato un cambio di mentalità da parte di tutti, sia dei produttori fino al consumatore che sta riscoprendo la Barbera sotto questa veste nuova, al passo coi tempi, perché l’immagine che ha dato negli anni la nostra Barbera d’Asti non è stata delle più felici anche per colpa del metanolo che è stato associato a questo nobile vitigno, piuttoto che ad atti e soggetti delinquenziali, creando danni enormi al nostro vitigno principe del Monferrato e a tutto il settore. Oggi le persone si sorprendono nel berla, fresca, profumata, in bocca risulta morbida con una equilibrata acidità. C’è stata una grande rivoluzione che ha visto i vignaioli in prima fila nel cambiare mentalità e oggi raccolgono i frutti di questo lungo cammino”. The Italian Wine Journal
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generazioni, si stanno avvicinando ad un vino che non conoscevano se non per sentito parlare. E lo apprezzano per la freschezza, eleganza e per i profumi. I giovani sono curiosi, vogliono sapere cosa bevono. Questo fa ben sperare perché saranno loro i nuovi consumatori e quindi noi ci dobbiamo impegnare a fare sempre un buonissimo Barbera d’Asti docg e difendere questo patrimonio unico nel suo genere”.
Crossback DS7 Rivoli elegante e sicura Nella foto Filippo Mobrici Presidente del Consorzio del Barbera d’Asti e del Monferrato e di Piemonte Land of perfection accanto alla DS7, un elegante suv dalle alte prestazioni che ci ha accompagnato con sicurezza nel cuneese in una giornata molto calda, dove il climatizzatore ci ha fatto fare un viaggio al fresco facendoci apprezzare di più il Crossbacck DS7 2000 diesel con cambio automatico e tanta tecnologia all’avanguardia, come il DS CONNECTED PILOT che assiste il conducente permettendogli di mantenere il massimo controllo della vettura, regola velocità e distanza dal veicolo che precede, mantenendo l’auto in carreggiata. Ad una velocità di 130 km, i consumi sono più che buoni, 15/16 km/l. E poi con il tettuccio panoramico che si apre, tutto diventa un piacere.
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Orvieto Charmat: buona la prima
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Una nuova sperimentazione per agganciare il futuro di una denominazione ricca di storia. Il “sole nel bicchiere� trova oggi la sua versione spumante
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i sono davvero pochi posti al mondo dove la Storia con la S maiuscola si incrocia così tante volte con la storia minuta, quella fatta del lavoro quotidiano, della vita di tutti i giorni di popolazioni che, generazione dopo generazione, pensano soltanto a tirare avanti nel miglior modo possibile. Uno di questi posti sono i Colli Orientali del Friuli, sull’odierno confine italo-sloveno (diventato finalmente un confine pro-forma dopo l’ingresso di Lubiana nell’Unione europea), un confine spostato a colpi di gladio, lancia e cannoni innumerevoli volte dall’Impero romano ad oggi. Un tentativo, riuscito, di lanciare un nuovo vino che diventerà a breve Doc Orvieto: un bellissimo spumante charmat, un vino che può ridare sprint ed interesse ad un territorio magico, che ha il sole in
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bottiglia, come disse Gabriele D’Annunzio, ma con una denominazione che ha attraversato momenti di scarso entusiasmo. “Benvenuto Orvieto di Vino 2019” è stata la prima kermesse voluta dal nuovo piano di comunicazione del Consorzio di tutela che ha portato sulla Rupe giornalisti e critici del vino nazionali e stranieri per un benvenuto che ha coinvolto, per la prima volta e con successo, anche il neonato charmat. C’era bisogno di un nuovo metodo Martinotti? ci si domanda tra specialisti. In questo caso la risposta è affermativa. Una bollicina fine, elegante, che serve a rendere più accattivante e a svecchiare una denominazione forse prigioniera di un patrimonio storico anche eccessivamente importante, che sta risultando alla fine ingessante per il mercato della denomina-
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zione umbra. Questo nuovo progetto è stato immaginato e realizzato sulla scorta del favore che stanno incontrando le bollicine nel mondo, in particolare quelle prodotte con metodo Martinotti. E il successo ha arriso alla prima uscita, che si innesta sul percorso di rinnovamento nella continuità di un trend di qualità perseguito dal Consorzio Orvieto Doc. Una decisione in questa direzione, ad esempio, la richiesta del Consorzio che – spiega l’assessore all’Agricoltura della Regione Umbria , Fernanda Cecchini - ha evidenziato una situazione attuale di criticità, con un calo sostanziale degli imbottigliamenti nei primi mesi del 2018 rispetto al 2017, oltre 12mila ettolitri in meno fra Doc Orvieto e Orvieto classico, sottolineando la necessità di limitare le superfici rivendicabili per la Denominazione a origine controllata per stabilizzare il mercato del
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vino Doc Orvieto attraverso un riequilibrio fra domanda e offerta. Esiti della vendemmia 2018, in cui è stata varata la diminuzione della resa da 80 a 75 quintali all’ettaro Sono 18 i Comuni interessati dalla produzione delle uve per la Doc Orvieto, 13 in provincia di Terni e 5 in provincia di Viterbo, con una superficie vitata di circa 2100 ettari ai quali nei prossimi anni andranno ad aggiungersi, nel territorio umbro, circa 230 ettari di nuovi impianti di vigneti derivanti dall’utilizzo degli ex diritti della riserva regionale e da nuove autorizzazioni concesse in base a un decreto ministeriale del 2015, con un incremento di circa l’11 per cento del potenziale produttivo della Doc Orvieto. Grandi sono le aspettative su questo “neonato” che già si presenta però con una bella grinta sin dai primi vagiti. Piacevoli note fruttate, gusto cremoso,
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fresco. Ma anche una bollicina croccante. Ampio in bocca, beva piacevole, non solo smart drinking, ma qualcosa di più intrigante. Obiettivo di questa sperimentazione è quello di studiare il comportamento dell’uvaggio dell’Orvieto nel processo di spumantizzazione Martinotti. In questo caso, le uve sono state raccolte in anticipo in modo da garantire al mosto un basso grado alcolico e maggior tenore acido. Tutto il processo di lavorazione ha rispecchiato le più rigide procedure previste per l’ottenimento dei grandi vini spumanti come la bassa resa delle uve in mosto (50%) attraverso la pressatura di grappoli interi. La presa di spuma è avvenuta dalla fermentazione del mosto di base, mantenendo fin dall’inizio una pressione di 6 Bar. Il metodo charmat chiamato anche dei grandi recipienti, viene soprattutto utilizzato per ottenere spumanti caratterizzati da aromi primari e fruttati, che ricordano molto il vitigno di partenza, e molto freschi.
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Orvieto ottenuti dalla vinificazione del Trebbiano Biotipo T34, coltivato nelle aree caratterizzate da differenti origini: vulcanica, argillosa, alluvionale e sabbiosa. Interessanti anche per una futura zonazione. I primi risultati fanno già emergere una buona diversità sensoriale che ha permesso ai degustatori di individuare le caratteristiche riconducibili ai terreni di origine. I quattro vini sinora prodotti mostrano differenze sostanziali in termini aromatici, di struttura ma soprattutto stilistici» dice Paolo Nardo, responsabile della Cantina Bigi – Gruppo Giv – consigliere del Consorzio e membro della commissione scientifica in seno al progetto Martinotti Spumante Orvieto Doc .
«In realtà uno stoccaggio in legno nelle grotte della Orvieto underground da sempre esisteva. Residuavano gli zuccheri e una volta imbottigliato il prodotto rifermentava in maniera naturale» riporta Riccardo Cotarella, uno dei protagonisti di questa sperimentazione. Grandi le possibilità offerte dal disciplinare per valorizzare le sfumature dell’ Orvieto spumante, che una zonazione futura, con la successiva identificazione in etichetta, potrebbe ulteriormente concorrere a esaltare opportunità di mercato che possono contare anche su una narrazione unica. Le uve sono di buone prospettive e concrete possibilità di sviluppo, anche sull’altra sperimentazione enologica sul comportamento del Trebbiano Biotipo T34, vitigno storico dell’Orvieto e più rappresentativo dell’uvaggio della Doc. Del resto, da sempre i contadini allevano in campo ben cinque varietà di uve bianche. Un metodo che un po’ ricorda una specialità viennese, il Gemischter Satz, un vino prodotto con uve diverse dello stesso vigneto, che offre possibilità di avere sempre uva per vino svincolandola dalle problematiche ambientali. «A distanza di un mese dall’imbottigliamento è stata valutata l’evoluzione dei vini,
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Moscato Canelli verso la DOCG: 100 ettari ed oltre 500mila bottiglie
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il potenziale di vino prodotto è di 850 mila bottiglie». I dati storici raccontano che nel 2014, si producevano 95 mila bottiglie, diventate 123 mila nel 2015, 220 mila nel 2016, 410 mila del 2017, 390 mila dell’anno scorso. Una crescita costante, fermata solo in parte da una vendemmia scarsa, che in pochi anni segna un incremento del 90%. Piccoli numeri ma un segno di grande appeal per il Canelli, confermato dall’export: il 50% delle bottiglie vengono consumate sui mercati esteri. «Il numero di aziende che credono e scommettono sul Canelli cresce costantemente – dice il presidente – e insieme cresce sempre più la convinzione di essere sulla giusta strada. Fare Canelli non è una scelta semplice per le regole che ci siamo dati: si sceglie di produrre Canelli perché è un progetto concreto per il futuro. Oggi siamo 19 aziende nell’Associazione, ovvero l’80% degli attuali produttori di Moscato Canelli». Il primo anno di produzione del Moscato Canelli fu la vendemmia 2011. La zona di produzione comprende 23 comuni tra il Sud Astigiano e la Langa, in Piemonte, in un’area ad alta vocazione per la coltivazione dell’uva moscato bianco e “core zone” Unesco tutelata come Patrimonio dell’Umanità. Le uve spesso sono coltivate nei “surì”, ovvero quell’eccellenza piemontese di filari eroici di alta collina ben esposti al sole ma con pendenze tali che richiedono lavorazioni quasi esclusivamente manuali.
l Moscato Canelli si prepara a diventare una Docg. Un sogno che si realizza per l’Associazione Produttori Moscato Canelli impegnata da anni a promuovere questa giovane, ma vivace denominazione. L’iter è stato avviato in primavera con un provvedimento del Consorzio dell’Asti, approvato all’unanimità, che apre la strada della Denominazione di origine controllata e garantita all’attuale sottozona del Moscato d’Asti. Grande la soddisfazione: «Fatto il primo e fondamentale passo – dice Gianmario Cerutti, presidente dell’Associazione Produttori Moscato Canelli – nei prossimi mesi la pratica dovrà passare in Regione, a Roma e poi a Bruxelles» Per avere la prima bottiglia di Canelli docg, bisognerà aspettare la vendemmia 2020. Intanto, i numeri parlano di una crescita: l’imbottigliato del primo semestre del 2019 sfiora le 200 mila bottiglie, un più 30% rispetto ai primi 6 mesi del 2018. «L’obiettivo delle 500 mila bottiglie nel 2019 è ormai un dato quasi certo – annuncia Cerutti – anzi ci sentiamo di dire che puntiamo al milione di bottiglie in pochi anni, contando le sole aziende dell’associazione». La lieve flessione di bottiglie tra il 2017 e il 2018, scese da 410 mila a 390 mila, non deve ingannare: «È un dato che risente della scarsità della vendemmia 2017 – spiega Cerutti – Con la vendemmia 2018 sono aumentati del 20% gli ettari di superficie vitata destinata al Canelli: ormai siamo vicini ai 100 ettari e
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Bollinger, Drappier e Château de Bligny: in Champagne tornano i vecchi autoctoni contro il global warming
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inot Gris (chiamato Fromenteau in Champagne), Pinot Blanc (noto anche come Blanc Vrai nella regione), Arbane e Petit Meslier: sono queste quattro varietà autoctone che Champagne Bollinger sta valutando per reintrodurla nella cuvée della maison, una delle opzioni attualmente studiate per mantenere l’acidità nello Champagne, importante per il carattere del frizzante, ma – tuttavia – valore in diminuzione negli ultimi 30 anni a causa del surriscaldamento globale. Secondo quanto riporta theDrinkBusiness, il winemaker di Bollinger, Denis Bunner, parlando a un seminario sulla sostenibilità a Londra ha delineato la minaccia e la sua risposta. «Negli ultimi sette anni a Bollinger abbiamo ripiantato le vecchie e dimenticate uve di Champagne, perché oggi ne usiamo solo tre, ma c’erano sette [in uso regolare]» ha detto, riferendosi al fatto quasi l’intero la denominazione è attualmente coperta con Chardonnay, Pinot nero e Meunier, suddivisi approssimativamente in parti uguali. Tuttavia, la regione consente anche la piantagione di altre quattro uve “dimenticate”, che sono il Pinot Gris (chiamato Fromenteau in Champagne), il Pinot Blanc (noto anche come Blanc Vrai nella regione), Arbane e Petit Meslier, ed è quest’ultimo due che detengono particolare interesse per Bunner a causa dei loro alti livelli di acidità naturale. Per Bunner «Nel 2018, che è stato un anno molto precoce, con la nostra vendemmia iniziata il 23 agosto con uve molto mature, abbiamo scoperto che le due vecchie varietà, Petit Meslier e Arbane avevano un pH inferiore a 3,0, perché maturano più lentamente». Da qui la decisione di Bollinger di piantare nuovi vigneti di queste due uve “perché maturano più lentamente, quindi possono portare freschezza ai nostri Champagne tra 30 anni. Negli ultimi 30 anni a causa del riscaldamento globale l’acidità si è ridotta in Champagne [in media] di 1,3 g / l, e continuerà a diminuire, quindi questi vecchi vitigni potrebbero essere interessanti da utilizzare nuovamente per produrre freschezza. Il problema principale per lo Champagne è la sensazione di freschezza, poiché è difficile mantenere i livelli di acido durante le stagioni di coltivazione molto calde. Il problema della gestione dell’acidità, in particolare il livello di acido malico, arriva con le on-
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date di calore durante il mese di agosto, che abbiamo avuto nel 2017 e nel 2018. Questa è più una questione di tempo che di clima, perché se è caldo all’inizio dell’anno, ma fresco ad agosto, allora avremo abbastanza acidità, ma se è caldo durante agosto, allora influenza l’acidità … per i livelli di zucchero , possiamo adattare la data del raccolto, ma è più difficile con l’acidità». Su scala più ampia, Bunner ha fatto riferimento a un’ulteriore possibile soluzione per sostenere la freschezza dello Champagne di fronte alle estati più calde e che riguarda un progetto dell’Istituto nazionale francese per la ricerca agricola (INRA) e il Comité Champagne. Le due organizzazioni stanno sperimentando incroci di varietà di Champagne con uve ibride, selezionate sia per il loro più lento tasso di maturazione, sia per i maggiori livelli di resistenza alle malattie – quest’ultimo è necessario poiché la regione sperimenta condizioni più calde e umide , che promuovono la diffusione di malattie fungine, in particolare la botrite. Mentre Bollinger sta lavorando con le uve storiche dello Champagne su una base di prova, ci sono altri produttori che stanno già producendo e vendendo bottiglie utilizzando le vecchie varietà della regione. Tra questi spicca lo Champagne Château de Bligny, che produce la “Cuvée 6 Cépages”, che combina le tre varietà classiche con Arbane e Petit Meslier, e lo Champagne Drappier, che produce il “Quattuor Blanc de Quatre Blancs” , che comprende parti uguali Chardonnay, Arbane, Petit Meslier e Pinot bianco. Quest’ultimo produttore pubblicherà presto anche il suo primo Champagne realizzato con Fromenteau.
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News La Giuria selezionerà quindi i tre candidati finalisti entro la fine del mese di ottobre; la prova pratica avrà luogo nel corso del mese di novembre. La proclamazione ufficiale del vincitore è attesa a dicembre 2019. Veneto Agricoltura: Alberto Negro, fino a venerdì scorso direttore dell’agenzia regionale, è il nuovo Commissario L’Ing. Alberto Negro è da oggi Commissario di Veneto Agricoltura, l’Agenzia veneta per l’innovazione nel settore primario; la nomina da parte della Giunta dell’ex Direttore, che succede a sé stesso al vertice dell’Ente regionale avviene, come si evince dalla delibera di incarico, nel contesto di un più ampio disegno di riordino delle competenze e delle attività svolte dai vari uffici, enti e società regionali che attualmente si occupano di gestione idraulico-forestale e di difesa del suolo. In pratica, dopo le avversità atmosferiche che nei mesi scorsi hanno colpito il territorio regionale, ad esempio la tempesta “Vaia” di fine ottobre 2018, la Regione Veneto ha avviato un percorso per rivedere il proprio assetto organizzativo in materia per semplificare la tempistica operativa d’intervento, evitare duplicazioni delle funzioni e razionalizzare la spesa pubblica. È dunque nell’ambito di questo ampio quadro di riferimento che si inserisce la nomina di un Commissario “cui sono attribuite tutte le competenze per la gestione di Veneto Agricoltura”. La durata del nuovo incarico a Negro è di undici mesi, prorogabili per altri undici, il quale ha dichiarato che “ringrazia il Governatore Luca Zaia e la Giunta regionale per la fiducia accordatagli, orgoglioso di condurre un ente le cui professionalità sono riconosciute non solo a livello locale”.
Al via la prima edizione del “Premio Mesa”, concorso regionale dedicato a giovani chef e ristoratori emergenti promosso da Cantina Mesa La Sardegna vanta un eccezionale patrimonio culturale e, in questo, l’evoluzione e l’affermazione della sua tradizione gastronomica possono rappresentare un volano di prim’ordine verso un nuovo modello di sviluppo per l’intera Regione, capace di creare occupazione e ricchezza nel totale rispetto del territorio, della sua identità e della massima sostenibilità. Forte di questa convinzione Cantina Mesa – l’iconica azienda vinicola fondata da Gavino Sanna nel Sulcis Iglesiente, oggi parte di Santa Margherita Gruppo Vinicolo – ha deciso di incoraggiare i giovani chef e ristoratori sardi determinati a sviluppare le proprie competenze ed il proprio impegno nel settore, attraverso un concorso che permetterà al migliore di loro di frequentare un master di formazione all’Accademia Niko Romito del valore di 5.000 Euro. A guidare la Giuria chiamata ad assegnare il “Premio Mesa” sarà Gavino Sanna, fondatore di Cantina Mesa. Possono partecipare al bando per il “Premio Mesa” giovani chef e ristoratori di età compresa tra i 20 e i 35 anni, attivi in Sardegna. Una prima selezione individuerà tra le candidature regolarmente pervenute i tre migliori profili, che saranno chiamati in un secondo momento a “sfidarsi” in una prova pratica: la creazione di un piatto rappresentativo della loro idea di cucina regionale. Il vincitore avrà saputo distinguersi per originalità, piacevolezza, rappresentatività territoriale e armonia nell’abbinamento con uno dei vini di Cantina Mesa. Una sfida senza dubbio interessante considerando la varietà di prodotti regionali e la ricchezza della tradizione gastronomica sarda. Le candidature per il “Premio Mesa” dovranno pervenire in formato digitale, compilando il modulo online disponibile al link www.premiomesa.cantinamesa.com a partire dal prossimo 31 luglio sino al 30 settembre, termine di chiusura del bando.
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Champagne Nicolas Feuillatte: terzo al mondo con 10,4 milioni di bottiglie vendute. Fatturato a 200 milioni €. Italia, più 28% L’annuale Assemblea Generale di Champagne Nicolas Feuillatte – distribuito in esclusiva per l’Italia da Valdo Spumanti – ha approvato i risultati finanziari per l’anno fiscale 2018. In questa occasione, i membri dell’Ufficio di Presidenza, dal Consiglio di amministrazione e dal Comitato esecutivo, il Presidente Véronique Blin, l’Amministratore Delegato Christophe Juarez, e il Vice Direttore Generale Laurent Panigai, hanno presentato ai partner asso-
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ciati il rapporto di attività della più grande Unione di viticoltori della Champagne. In un momento complicato (Brexit, diplomazia americana, tensioni sociali in Francia …), le spedizioni della denominazione Champagne si sono mantenute costanti a valore e contrassegnate dall’impennata delle esportazioni, che per la prima volta superano il mercato domestico! Nicolas Feuillatte consolida le sue posizioni rimanendo n.1 in Francia e n.3 al mondo, con 10,4 milioni di bottiglie vendute nel 2018. Il giro d’affari si attesta sui 200 milioni di euro, stabile rispetto al 2017, e il risultato netto ammonta a 12,5 milioni di euro, pari al 6,3% delle vendite. In un mercato domestico in declino, Nicolas Feuillatte, lo “Champagne preferito dai francesi”, mostra una crescita notevole, consolidando la sua quota di mercato sia nel canale tradizionale sia nella grande distribuzione. Forti decisioni sono state prese a livello internazionale con l’apertura di un ufficio a Tokyo per coprire meglio la zona Asia-Pacifico e con l’accordo come Champagne ufficiale del prestigioso Cirque du Soleil per il Nord America (Stati Uniti e Canada), grazie al supporto dell’importatore Ste Michelle Wine Estates. Nei cinque continenti, Nicolas Feuillatte distribuisce le uve dei suoi 4500 viticoltori associati e registra delle ottime performance di vendita: +24% in Canada, in Europa con +28% in Italia e +16% in Svezia! I volumi di spedizione in DOM-TOM, mercati storici della Maison, rimangono molto dinamici con + 10% verso il Martinica. I risultati sono ugualmente interessanti sulle compagnie aeree (ANA, MEA, Thomas Cook …) e di crociera (MSC, Seabourn …), l’area Travel Retail rappresenta ormai il 18% delle vendite dell’export (rispetto al 16% nel 2017). “La nuova ambizione di Champagne Nicolas Feuillatte mira a coniugare la
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Alberto Zenato, nuovo Presidente delle Famiglie Storiche
Alberto Zenato è il nuovo Presidente delle Famiglie Storiche. Dopo tre anni alla guida del gruppo, Maria Sabrina Tedeschi passa il testimone ad Alberto Zenato. L’Associazione nata nel 2009 e che oggi riunisce tredici storici produttori di Amarone Docg (Allegrini, Begali, Brigaldara, Guerrieri Rizzardi, Masi, Musella, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Torre d’Orti, Venturini e Zenato) avrà come vicepresidenti Giuseppe Rizzardi titolare dell’azienda Guerrieri Rizzardi e Giordano Begali. “Sono orgogliosa di lasciare nelle mani di Alberto Zenato un gruppo forte e solido, coeso e capace di lavorare insieme con lungimiranza e per il bene del territorio”, ha dichiarato la presidente uscente Maria Sabrina Tedeschi. “Gli obiettivi prefissati tre anni fa per continuare l’operato dei miei predecessori (ndr Sandro Boscaini e Marilisa Allegrini) avevano lo scopo di esaltare le diverse interpretazioni dell’Amaro-
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nostra capacità di innovare insieme a tutti i nostri partner cooperativi e allo stesso tempo ad essere audaci commercialmente come marchio leader del mercato” dichiara il General Manager, Christophe Juarez. “La nostra crescita futura si basa su una strategia alternativa e innovativa, definita dal Consiglio di Amministrazione, e articolata attorno ai quattro pilastri fondamentali che guidano l’azienda: la forza di essere un marchio giovane e il supporto dei nostri viticoltori; una palette infinita di terroir e servizi; l’eccellenza accessibile e l’essere indipendenti e audaci.” Champagne Nicolas Feuillatte ribadisce la sua volontà politica di far evolvere il modello cooperativo in modo sostenibile e condiviso, in linea con i principali temi sociali, commerciali e ambientali.
News ne Docg e il suo valore storico, enologico, culturale e soprattutto economico. Abbiamo sempre operato con rigore e professionalità ottenendo tante soddisfazioni e riconoscimenti tra cui mi piace ricordare il Wine Award for Friends ricevuto dalla prestigiosa rivista tedesca Feinschmecker e l’invito a rappresentare la Valpolicella, unico territorio italiano presente con una Masterclass di Amarone durante l’ultimo Terroir Renaissance Wine Symposium organizzato a Shanghai lo scorso novembre. Non è stato tutto semplice”, continua Maria Sabrina Tedeschi. “A fronte di tanto impegno profuso e di un continuo dialogo con le istituzioni, mi spiace – come auspicato da tanti colleghi del territorio e dalle stesse istituzioni – non aver chiuso durante la mia presidenza il contenzioso promosso dal Consorzio. Da questo punto di vista però posso affermare di aver fatto il possibile perché sia io personalmente, sia tutti gli associati delle Famiglie abbiamo dimostrato massima disponibilità in proposito, dichiarandoci anche disposti ad accettare, per il bene della Denominazione, tutte le richieste che il Consorzio ha formulato in giudizio. Purtroppo, evidentemente, neppure questo è stato ritenuto bastevole, ma per la continua crescita qualitativa e culturale del territorio, il dialogo deve comunque continuare”. “Sono molto onorato di assumere questa carica e ringrazio tutti i soci del gruppo che hanno riposto la loro fiducia in me”, ha esordito il neo Presidente Alberto Zenato. “Viviamo un periodo che richiede particolare attenzione e impegno nel salvaguardare l’immagine dell’Amarone come prodotto d’eccellenza nel mondo. L’aumento delle superfici vitate, la richiesta crescente del Ripasso, indissolubilmente legato alla produzione dell’Amarone, la maggiore produzione di Amarone stesso, sono segnali che devono trovare riscontro in una concreta strategia che non ne mini la qualità e la presenza sui mercati italiani ed esteri. A questo proposito, tra i miei primi intenti, quello di continuare, e favorire, un dialogo propositivo con le istituzioni, lavorando su temi concreti per mantenere alta la qualità dell’Amarone e dei vini della Valpolicella. In secondo luogo, ci impegneremo per consolidare i mercati storici come
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Stati Uniti, Canada e Nord Europa insistendo sull’esclusività e preziosità dell’Amarone e aprire la strada verso nuove aree in particolare asiatiche, in cui è fondamentale far conoscere la storia, la cultura e il lavoro che ogni famiglia sa esprimere con una personale interpretazione, ma con un linguaggio comune: il rigore, la tradizione, la passione. Importante sarà anche il confronto con associazioni simili alla nostra, come è già stato fatto con l’Accademia del Barolo, per fare rete e promuovere in particolare sui mercati esteri l’eccellenza della produzione vitivinicola italiana”. Didier Mariotti sarà il nuovo chef-de-cave di Vevue Cliquot Champagne Veuve Clicquot ha annunciato che Didier Mariotti si unirà alla maison come nuovo chefde-cave il prossimo mese. Recentemente responsabile enologico di Mumm, Mariotti si unirà al team di vinificazione di Veuve Clicquot il 26 agosto e lavorerà con l’estroverso enologo Dominique Demarville in un periodo di transizione fino alla fine dell’anno, prima di assumere il pieno controllo il 1 ° gennaio 2020. Mariotti ha iniziato la sua carriera a Nicholas Feuillatte, si è poi trasferito a Mumm come vicecapo enologo e nel 2009 è stato promosso capo enologo. Jean-Marc Gallot, presidente e CEO di Veuve Clicquot, ha dichiarato: «Desidero ringraziare sinceramente Dominique Demarville per il suo grande contributo negli ultimi 13 anni alla qualità riconosciuta all’unanimità dei nostri vini e all’influenza della maison in tutto il mondo». Marco Censi è il nuovo responsabile enologico di Cielo e Terra (Vicenza) Marco Censi è il nuovo responsabile enologico di Cielo e Terra (Vicenza). Scoperta la propria passione per il vino nell’infanzia, quando seguiva il padre nei vigneti di un amico durante la vendemmia, Censi ha scelto il Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie Viticole ed Enologiche dell’Università di Verona. Dopo la laurea e il Corso di Perfezionamento univer-
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sitario in Packaging e Comunicazione del Vino, ha trascorso gli ultimi sette anni seguendo tutti gli aspetti produttivi e normativi in cantine internazionali specializzate sia nella produzione di vini premium e super premium che multibrand su larga scala, affiancando a queste attività quelle di formazione, gestione e programmazione. Argentina, Stati Uniti,Nuova Zelanda, Australia e tanta Italia. L’esperienza enologica Marco Censi ha preferito maturarla di terroir in terroir, alla ricerca continua di un affinamento necessario, oggi, per poter trasferire su nuove sfide i frutti consolidati di un periodo di maturazione importante. “Dopo aver passato una decina di anni a lavorare nell’ambiente delle cantine venete, la mia curiosità verso i Paesi produttori di vino del cosiddetto “nuovo mondo” mi ha spinto, una volta laureatomi, a volermi confrontare con nuove realtà nell’industria vitivinicola” racconta Censi. E prosegue: “L’opportunità di lavorare fianco a fianco con tecnici caratterizzati da approcci e visioni differenti verso l’enologia mi ha permesso di sviluppare un’inclinazione alla flessibilità nell’utilizzo di svariate tecniche e stili produttivi”. Acquisita quindi un’expertise trasversale che gli consentisse di integrare una visione cosmopolita e metodi tra loro differenti e complementari, Censi porta in Cielo e Terra un approccio alla vinificazione attento, con l’obiettivo di raggiungere standard qualitativi sempre più alti insieme ad una maggiore velocità di reazione alle esigenze di mercato, in considerazione dei continui cambiamenti in termine di gusto dei consumatori e trend di mercato. “Qualità della materia prima e rispetto per l’ambiente saranno al centro del mio lavoro per Cielo e Terra” conclude Censi. “Ci concentreremo in particolare sulla creazione di vini sempre più identificativi del territorio che rap-
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presentano, senza tralasciare gusti e aspettative del pubblico a cui sono rivolti”. Valdo: fatturato a 64 milioni € (più 9.6%) dopo l’avvio della controllata in USA e l’ingresso ne “I Magredi” Valdo, storico brand del Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG guidata da Pierluigi Bolla, chiude il FY 2018 con un fatturato di circa 64 milioni di Euro per circa la metà generato sui mercati internazionali: la crescita sul 2017 è pari al +5,8% a volume e +9,6% a valore con una distribuzione del fatturato tra Italia ed estero ben equilibrata. L’Italia rimane un mercato fondamentale con buone performance +11,5% a valore, soprattutto nella distribuzione organizzata; il complicato canale HORECA genera un lieve incremento, mentre la GDO registra un +10% a volume e un +15,7% a valore registrando un anno positivo e di crescita. Ottime sono le notizie dai mercati internazionali: negli Stati Uniti, dopo la creazione di VALDO USA, nel 2017, la crescita è a doppia cifra +12,7% a valore e dal 2019 la strategia di espansione su questo mercato continuerà anche con l’introduzione del FLORAL Rosé Brut. Il Regno Unito, nonostante l’instabilità determinata dalla Brexit, si riconferma come un mercato con una passione per il prosecco e le bollicine italiane che ha portato a Valdo una crescita del +15,7% a valore. L’area DACH, compresa da Germania, Austria e Svizzera, è sostanzialmente stabile a valore e con una buona performance del canale tradizionale in Germania dove la crescita a valore è pari al 6%. Lo sviluppo in Russia, Middle East e Asia continua con ottimi risultati
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News sia a volume che a valore segnando un +20%. Il 2018 ha visto il lancio di Valdo ICE – in linea con il life style contemporaneo e con il nuovo modo di bere anche le bollicine italiane in abbinamento a ghiaccio e frutta. Nel contempo Valdo ha concretizzato la nuova strategia per lo sviluppo di nuovi prodotti orientati alla valorizzazione di particolari DOC, cominciando con il lancio dello spumante Garda DOC e con l’acquisizione di una partecipazione nella cantina friulana I Magredi, produttrice di vini nella DOC del Grave, a Domanins, in provincia di Pordenone.
Valdobbiadene e della cultura del Prosecco Superiore DOCG. Alta Langa: terzo mandato per Giulio Bava alla guida del Consorzio Rinnovo delle cariche nel Consorzio Alta Langa: ieri, 30 maggio, il consiglio di amministrazione recentemente eletto dall’assemblea ha confermato presidente e vicepresidente, rispettivamente espressione dei produttori e dei viticoltori nel Cda. Giulio Bava (Giulio Cocchi) inaugura così il suo terzo mandato consecutivo come presidente del Consorzio Alta Langa,e come lui Giovanni Carlo Bussi, viticoltore di San Marzano Oliveto (Asti) proseguirà il suo ruolo di vicepresidente. Enologo astigiano, classe 1962, già presidente dell’Assoenologi Piemonte e Val d’Aosta e titolare con la famiglia della centenaria casa vinicola Cocchi, tra i fondatori del Consorzio Alta Langa, Giulio Bava legge questa rielezione come un riconoscimento per gli obiettivi centrati in questi anni. “Nel 2016 il proposito del Consorzio era quello di completare il raddoppio della superficie vitata per arrivare a circa 200 ettari di vigneto Alta Langa – commenta Bava -: oggi ne abbiamo più di 230 e abbiamo superato il milione e trecentomila bottiglie (vendemmia 2018) a fronte delle 650 mila che producevamo tre anni fa. Dalle 19 cantine del 2016 siamo saliti a 42, benché non tutte ancora in produzione. La base agricola dei soci resta salda, con circa 80 viticoltori”. Non sono da meno i risultati sul fronte della promozione: “Come avevamo promesso – dice Giulio Bava – abbiamo lavorato molto sulla promozione della denominazione, scegliendo eventi sul territorio nazionale in cui la nostra presenza fosse particolarmente di rilievo e qualificata. Nell’ultimo biennio abbiamo instaurato una partnership con la Fiera internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, alla quale prendiamo parte come Official Sparkling Wine. L’autorevolezza dell’Alta Langa oggi si misura anche con il successo de La Prima dell’Alta Langa, evento dedicato al mondo dell’horeca, a giornalisti di settore e opinion leader che ha registrato circa 1000 presenze selezionate e su invito nell’edizione dello scorso aprile e più di 60 testate italiane e internazionali accreditate”. Conclude il presidente Bava: “Considerando la
Dalla partnership con l’azienda friulana che mira alla valorizzazione delle più pregiate aree del prosecco DOC attraverso il controllo dei vigneti, delle uve e della filiera, è nata la “Cuvée I Magredi”, presentata quest’anno al Vinitaly, e il prosecco DOC “Tenuta La Maredana”, che sarà introdotta entro il 2019. Nel corso degli ultimi anni, sono stati allocati investimenti anche per la ristrutturazione della sede storica Valdo, a Valdobbiadene, l’ammodernamento delle strutture e della cantina per potenziarne la capacità produttiva e per migliorare l’ospitalità con visita all’azienda per i tanti appassionati di enoturismo. Il programma si completerà, nel 2021, con la presentazione di un importante progetto di valorizzazione territoriale: la presentazione di “Casa Valdo” e del suo antico vigneto di proprietà dell’azienda che vanta più di novant’anni di storia, oltre che di altre novità volte al racconto e alla valorizzazione del patrimonio naturale ed enologico dell’uva Glera, dei vigneti di
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crescita del vigneto, supereremo a breve i due milioni di bottiglie: l’impegno e la sfida dei tre anni a venire consisteranno nell’accrescere ancora la conoscenza dell’Alta Langa Docg e la sua diffusione, consci di non poter flettere minimamente sulla qualità del prodotto”. È stato rinnovato in questi giorni anche il consiglio d’amministrazione che guiderà l’ente fino al 2022. Alessandro Picchi (F.lli Gancia) entra al posto di Paola Visconti nella compagine, mentre sono stati confermati gli altri consiglieri: Alberto Lazzarino (Banfi), Sergio Germano (Germano Ettore), Piero Bagnasco (Fontanafredda) e Mariacristina Castelletta (Tosti). Per la parte agricola: Luciano Chiarle (viticoltore di Borgomale), Luciano Ferrero (viticoltore di Mango), Gianpaolo Menotti (viticoltore di Castel Rocchero), Giacinto Balbo (viticoltore di Bubbio e Cassinasco), Loredana Penna (viticoltrice di Loazzolo). Il collegio sindacale è composto dal presidente Barbara Carrero, da Terenzio Ravotto e Franco Brezza in qualità di sindaci effettivi.
ra e Valeggio sul Mincio, zona di interessanti flussi turistici. Si unirà al network di sei punti vendita di Cantina Valpantena e vi saranno inseriti anche Amarone, Ripasso e gli altri vini della Valpantena particolarmente apprezzati dai turisti. Lambrusco mantovano, gli spumanti Garda DOC, e gli altri vini prodotti in strada Monzambano saranno quindi distribuiti in tutto il circuito dell’azienda veronese. “Cantina Colli Morenici – dichiara Luigi Turco, presidente di Cantina Valpantena – è una realtà storica che nel 2019 compie sessant’anni. È espressione di un’area che ha sempre prodotto vini di qualità, ma che negli ultimi anni ha incontrato qualche difficoltà per mancanza di una denominazione forte alle spalle. Crediamo fermamente in questi vini e intendiamo mantenere il brand Colli Morenici e l’identità produttiva dell’azienda: grazie alla nostra rete vendita diretta e alla forza del nostro export siamo certi di rilanciare le produzioni, portando vantaggi a tutti. Ringrazio i numerosi soci che sono intervenuti durante questa assemblea straordinaria dando consenso unanime alla delibera proposta”. “In Cantina Valpantena – dichiara Domenico Gandini, presidente uscente di Cantina Colli Morenici – abbiamo trovato il partner ideale. Un’azienda affidabile con un progetto industriale serio che darà impulso al reparto commerciale nel rispetto dell’identità del nostro territorio”. Con l’integrazione della due aziende il Consiglio di Amministrazione di Cantina Valpantena aggiungerà due seggi in rappresentanza del territorio mantovano, arrivando così a 11 membri. Il presidente sarà ancora il veronese Luigi Turco.
Cantina Valpantena incorpora Cantina Colli Morenici Cantina Valpantena di Quinto di Verona acquisisce Cantina Colli Morenici di Ponti sul Mincio (Mantova) grazie ad una fusione per incorporazione approvata domenica 26 maggio dalle rispettive assemblee dei soci, ma che sarà effettiva dal primo settembre. I 68 soci della cooperativa mantovana si uniscono così ai 320 di quella veronese, aggiungendo 100 ettari di vigneto ai 780 su cui ha potuto contare finora Cantina Valpantena. Un matrimonio che riserva reciproci vantaggi alle due aziende. Cantina Colli Morenici porta in dote una struttura con una capacità produttiva di 30.000 quintali e altri 35.000 di stoccaggio, oggi solo parzialmente utilizzati. Asset preziosi per Cantina Valpantena che negli ultimi anni ha conosciuto una repentina crescita e necessità di spazi e strutture che potranno così essere sfruttati con maggiore efficienza di quanto fatto finora. Inoltre, il punto vendita a Ponti sul Mincio – che da solo attualmente rappresenta la metà del fatturato della Cantina Colli Morenici – è collocato in una posizione strategica, a pochi chilometri da Peschie-
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Argentina di Carlo Rossi
Otto Malbec d’autore
Dal nord al sud; dai vigneti di pianura alla Cordillera: il Consolato argentino a Milano organizza una Masterclass d’eccezione in occasione del Malbec World Day in collaborazione con Wines of Argentina
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minima e dove la vite può lavorare al meglio. Un territorio talmente vasto da nascondere ancora mille opportunità per una viticoltura di qualità, ad altissimo valore aggiunto. Il messaggio del Malbec World Day 2019 - celebrato in Italia con una masterclass organizzata dal Conole d’Argentina a Milano, Cristian Dellepiane Rawson., e dai principali importatori – in fondo, sta tutto qui.
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Argentina
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cordatevi la crisi economica; dimenticatevi la retorica e la narrazione degli ultimi anni; non cedete al richiamo di assistere ai tackle di Daniele De Rossi a La Bombonera coi Xeneizes. Concentratevi sul vino, sul Malbec che da vitigno reietto nel sud della Francia è diventato la bandiera del quinto produttore al mondo di vino. Concentratevi su un territorio unico, dove nessuno ha messo mano alla terra per milioni di anni, dove l’antropizzazione è
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La degustazione.
Finca Rio Seco El Porvenir. Laborum Single Vineyard 2016 La zona di produzione è Valles Calchaquies – Cafayate – Salta – North a 1700 metri slm. La famiglia Romero-Marcuzzi ha mosso i primi passi nel mondo del vino quando Roberto Romero ha avviato la sua prima cantina quarant’anni fa a Tolombón, a pochi chilometri da Cafayate. Il clima desertico, caratterizzato da poche piogge, giornate calde e assolate, notti fredde e terreni poveri, favorisce una notevole escursione termica, offre ai vigneti, coltivati ad altitudini che vanno dai 1700 ai 2500 metri sul livello del mare, aromi e sapori intensi. Al naso si apre con fresche note di frutti rossi e neri, arricchite da sentori floreali di rosa e violetta, con richiami speziati di pepe nero . Al palato risulta morbido e armonico, con tannini decisi che lo rendono un vino di struttura e un finale gradevolmente persistente. Bodega Fincas las Moras Pachamama Malbec 2015. La Valle Del Pedernal, è il mondo di Finca Las Moras. Si trova a sud-ovest della provincia, a 90 km dalla città di San Juan. Le altezze coltivabili della valle vanno da 1250 a 1500 metri. La valle è protetta da una barriera naturale, la collina Pedernal. È una valle confinata isolata dai parassiti naturali e lontana dalla civiltà, che crea condizioni uniche. La vitivinicoltura ha iniziato a svilupparsi negli anni ‘90 e ci sono po-
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chissimi ettari piantati rispetto alle altre valli di San Juan. Constituye, dal punto di vista qualitativo, la piĂš importante zona vinicola di questa provincia. Colore violaceo intenso; naso ricco e complesso con sentori di frutta scura, grafite, cioccolato e una leggera nota vegetale; bocca piena e armoniosa, finale molto lungo.
Finca Sophenia Synthesis Malbec 2015 Scendiamo ai 1200 metri di Cuyo, Tupungato, regione storica di Mendoza per il terzo malbec:. Roberto Luka, ispiratore della bodega, vanta una comprovata esperienza nel mondo del vino. Luka infatti era il direttore generale di una delle principali cantine esportatrici del suo paese e presidente dell’associazione dei vini argentini. Ha fondato Finca Sophenia nel 1997. Il Syntesis 2015 è un grande vino di struttura e
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intensità, che piace per la varietà di aromi in bocca, ma anche per una grande persistenza ed eleganza. Affina per 12 mesi in piccole botti di rovere, capaci di cedere la giusta speziatura e arrotondare il suo carattere talvolta difficile...
Edmundo Navarro Correas, discendente della famiglia, decide che è il momento di iniziare a produrre vini direttamente con il proprio nome. Bodega Saurus barrel fermented Malbec 2015 Il secondo flight della masterclass vuole esplorare la capacità di invecchiamento del Malbec argentino, partendo da un must che ha fatto parlare della nuova frontiera patagonica in tutto il mondo. Parliamo di Bodega Saurus e dei vigneti di San Patricio del Chanar, Neuquen, della iconica Bodega familia Schroeder, in Valle del Rio Negro. Un vino scintillante, elegante e distinto che identificano questa linea di vini barrel fermented che “indossa” la Patagonia offrendo una fresca acidità e un giusto equilibrio con il prezioso legno.
Navarro Correas Alegoria Malbec 2015 Nel quarto vino, abbiamo le principali caratteristiche del Malbec nel colore, nel corpo, nel tannino carnoso; nel corredo olfattivo ci sono quasi sempre frutti rossi e ciliegie, tabacco, il tronco di liquirizia che dà la persistenza. Alegoría nasce dall’esplorazione delle migliori regioni vinicole di Mendoza, identificando appellazioni uniche in cui la combinazione di suolo, altezza, clima e la mano dell’enologo
permettono di dare origine a questo vino di notevole complessità e grande equilibrio. Colore rosso violaceo intenso. Aromi e sapori di prugne, more, fichi e amarene. Note speziate di liquirizia, cannella e chiodi di garofano dall’invecchiamento della quercia aggiungono complessità. Ottima struttura con tannini sodi e maturi e grande equilibrio. La storia della Bodega Navarro Correas risale al 1798, quando don Juan de Dios Correas, con grande entusiasmo e passione, piantò i primi vigneti ai piedi della catena montuosa delle Ande, nella regione di Mendoza. Dal quel momento, per oltre cento anni, la famiglia Correas perfeziona la coltivazione della vite e delle sue uve vendendo vini in tutta la regione. Nel 1974, Don
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Catena Zapata Malbec Argentino 2013 Ritorniamo verso nord alla Vale de Uco, Mendoza, capitale del vino australe, con un’altra delle bandiere storiche della viticoltura argentina. Una bodega di famiglia unica, eletta la migliore ambasciatrice del nuovo vino argentino, vero traino di un intero settore. Un Malbec sempre al top. Non importa quale sia l’annata, questo vino fa sempre centro fra la critica e il pubblico e rappresenta il viaggio di una famiglia per produrre un Malbec che possa reggere il confronto con i grandi vini del mondo.
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Flecha de los Andes Gran Malbec 2013 Sempre della Vale de Uco, un vero e proprio cru, Vista flores – Tunuyàn, a 1.100 metri. Famosa per ospitare il Clos de los Siete, mitica bodega di alcuni grandi amici tra i quali il guru Michell Rolland. E’ un concentrato della voglia di stupire il mondo con la eccellenza inarrivabile dei suoi malbec. Descritto come superlativo, questo vino è una gemma. Un granato profondo quasi nerastro, al naso presenta un complesso di cioccolato, erbe e frutti rossi e blu. Un vino di medio corpo, con sapori di vaniglia, cioccolato, noci e spezie delicate, e un finale pepato. I tannini morbidi completano questo vino complesso ben bilanciato.
alte temperature durante le giornate autunnali permettono ai tannini di raggiungere punti ottimali di maturazione. Con il sopraggiungere della sera si rinfresca l’aria che permette a foglie e grappoli di riposare conservando buoni livelli di acidità nelle uve. Il risultato è la ricchezza nel bicchiere ed una grande capacità di invecchiamento.
El Hijo Prodigo Malbec Reserva Single Vineyard 2008 Infine una vera e propria chicca, un Malbec di ben 11 anni, quasi impossibile da immaginare soltanto sino a pochi anni fa. Realizzato da Alessandro Speri, questo vino è il risultato della scelta ottimale del territorio dove impiantare i vigneti: del territorio di Mendoza, Speri ha scelto la Consulta ubicata a nord del dipartimento di San Carlos. Qui si registrano le maggiori escursioni termiche di tutta la regione. Le
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Protagonisti di Enzo Russo
Orgoglio e Pinot Nero
Gabriele Rebollini ha iniziato a guidare la cantina di famiglia a 16 anni. Ed è stato un continuo crescendo, sino ai 36 ettari oggi coltivati
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orgoratto Mormorolo – Località Sbercia, è un piccolo comune della provincia di Pavia, dove ha sede l’azienda Agricola Rebollini. E’ situata in una zona collinare, dietro Casteggio, arredata da vigneti che danno principalmente vita ad importanti bollicine, fiore all’occhiello della cantina. Gabriele Rebollini ci aspetta davanti alla cantina con il suo suv per farci farci vedere i vigneti che sono posizionati a destra e a sinistra della valle. Mentre inizia il giro tra le vigne coltivate in un terreno
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collinare, arioso ed esposto al sole, ci parla della sua azienda che rappresenta la sua vita, i sacrifici fatti negli anni, gli investimenti per renderla funzionale con macchinari di ultima generazione e grande soddisfazione per le scelte fatte che sono risultate vincenti. E’ orgoglioso di quello che ha realizzato. Ci fermiamo in cima alla collina per ammirare i filari di viti che sembrano formare un quadro di Claude Monet, famoso pittore considerato uno dei fondatori dell’impressionismo francese che visse fino al 1926. Mentre gli occhi spaziano da collina in collina, Re-
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bollini inizia a parlare della sua azienda: “Nasce nel 1968 e proprio l’anno scorso abbiamo festeggiato i 50 anni con tanti ospiti, tra cui il Ministro dell’Agricoltura. I nonni, che hanno origine dall’Appennino ligure, sono arrivati qua come taglia boschi, si sono poi insediati come agricoltori. Nel ‘68 mio padre con suo fratello iniziano a produrre un po di vino commercializzandolo verso privati e ristorazione del comprensorio. Il primo vino uscito dalla cantina è stato un Barbera e un Pinot nero . Io nasco nel ‘74.” Mentre risaliamo in macchina, il sole si fa sentire, Rebollini ci indica i vigneti dove nasce la Bonarda, la Barbera, il Riesling e le bollicine docg, senza dimenticare i 50 anni dell’azienda. “Fino alla fine degli anni ‘80 abbiamo continuato a fare una vitivinicoltura tradizionale come facevano un po tutte le aziende dell’oltrepo Pavese, si producevano vini sfusi e imbottigliati da vendere sul mercato milanese. Dal ‘94, quando ho preso il diploma di Agraria a Voghera, abbiamo iniziato a produrre più vini bianchi ed il primo spumante. Il primo tiraggio l’abbiamo fatto nel1991, con Pinot nero e Chardonnay metodo clas-
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sico, dove si poteva chiamare Oltrepo Pavese Pinot nero spumante. Nei primi anni 2000 siamo riusciti a produrre il Pinot nero in purezza. Nel 2010 avviene la svolta con la consulenza del prof. Valenti che ha contribuito ad affinare ancora di più gli studi sul territorio nei vigneti della nostra azienda per arrivare ad avere dei prodotti con una certa personalità ben riconoscibili nella loro struttura”. Quanti sono gli ettari di vigneto? “Abbiamo 36 ettari, gli ultimi due sono frutto di 3 anni fa che sono andati in produzione l’anno scorso, dove abbiamo piantato un po di Malvasia per provare a fare un blend. E’ un vino ancora da studiare”. Quante tipologie di vino escono dalla cantina? “Chi la fa da padrone è il Pinot nero con quasi il 50% di superficie, il rimanente è Riesling, Chardonnay, Barbera e Croatina. Le etichette sono 16, suddivise in due linee di prodotti: una fascia base dell’Oltrepo Pavese composta da vini bianchi, rossi, frizzanti, Barbera, Pinot, Riesling e Chardonnay e poi abbiamo una linea selezione che comprende 3
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in compagnia della famiglia. La tavola è già apparecchiata con formaggi e salame nostrano fatto con i maiali allevati in azienda. E in bella vista alcune bottiglie di tipologie di vino che andremo a degustare. Il primo vino che viene proposto, è un Cruasè 2012 fatto con Pinot nero versione rosè tenue, “senza macerazione”, ci dice, “lo degustiamo con il Culatello di Parma e il nostro salame stile Varzi”. Perfetto come abbinamento e aperitivo, ha un perlage fine e persistente e al naso spazia dal floreale al fruttato, con un bel sottofondo di crosta di pane. In bocca risulta secco, fresco, buona acidità e una bella struttura. Il vignaiolo Gabrile ci propone un altra bollicina: “E’ un couvee brut fatto con Pinot nero e Chardonnay, ha dei buoni profumi, è fruttato e una buona acidità”. Lo abbiamo provato con il formaggio non molto stagionato, dove ha dato prova della sua personalità. Poi arrivano le trofie al pesto fatte dalla mamma che è di origine ligure e che ci fa l’onore di stare al tavolo con noi. Sono due i vini proposti: “Il primo è il nostro cavallo di battaglia Brut Nature, fatto con Pinot nero in purezza, 36 mesi non dosato, buona acidità con bollicine croccanti, poi il Riesling Rena-
etichette di Metodo classico, una di charmat, infine ci sono 4 etichette a tappo raso che sono il Bonarda vivace, il Riesling renano, il Pinot nero vivace e la Barbera ferma”. Dalla sua cantina quante bottiglie escono? “In totale vengono prodotte 100 mila bottiglie, delle quali 25 mila metodo classico che vengono vendute nel canale horeca e poi a distributori che a loro volta rivendono. Poi c’è un po di vendita diretta in cantina, oppure se lo richiedono spedite a casa. Il nostro mercato è il centro nord, all’estero poco”. Rebollini, lei è un giovane vignaiolo sposato: “Si ho 44 anni, sono sposato con Bruna che fa l’insegnante e abbiamo un figlio Francesco che frequenta le medie che ha intenzione di proseguire facendo l’agraria per seguire, spero, sulle orme di papà”. Lei ha preso il comando dell’azienda, quando? “Prestissimo, ero molto giovane, le redini le ho prese a 16 anni. La prima vinificazione l’ho fatta nel ‘91 con vini bianchi. Ho una sorella ma non si dedica all’azienda. Ci vuole la vocazione per fare questo lavoro, altrimenti non si va avanti”. Finito il giro dei vigneti, Gabriele ci invita a pranzo ed è anche l’occasione per degustare i suoi vini,
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no, delicato, fresco e profumato e mediamente aromatico”. Tutti e due all’altezza dei loro nomi, non deludono le aspettative, interessante come abbinamento. Con la carne arrostita, arriva la Barbera: “E’ una Barbera del ‘017, proviene dai nostri vigneti più vecchi, ha un buon corpo ed una sua personalità. Poi c’è la Bonarda con un bel corpo e frutto, una bella vinosità e stoffa. Il segreto per fare rossi buoni è la posizione, il terreno, il vigneto e le rese. I vini bianchi rimangono sempre più tecnologici, nel senso che se le rese sono più alte, in cantina se uno è bravo a gestire la vinificazione riesce ad avere dei prodotti di qualità”. Buoni tutti e due i rossi, ma quello che ci ha colpito è stata la Bonarda con i suoi 13,5° che si è dimostrato un grande vino fresco, profumato con una equilibrata acidità, ricco di profumi che accanto alla carne, ai formaggi stagionati e salumi ha dato al palato sensazioni uniche del buon bere. Alla fine dell’intervista si ha l’impressione che Rebollini sia un vignaiolo a tutto tondo. E’ in prima fila nella commercializzazione dei suoi vini, conosce tutto il ciclo produttivo, dalla vita delle viti alla conformazione del terreno, “elemento molto importante conoscere le caratteristiche del sottosuolo” puntualizza Gabriele, “perché le radici della pianta assorbono le sostanze nutrizionali che influenzano il carattere del vino. Poi c’è il drenaggio che assicura alla pianta di non rimanere troppo tempo a contatto con l’acqua e per i sali minerali in esso contenuti”.
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Le colline dell’Oltrepò Pavese viste dall’Alfa Romeo Stelvio Super 2.0 diesel 190hp at8 q4 Nella foto, la famiglia Rebollini accanto all’Alfa Romeo Stelvio Super, un suv dalle alte prestazioni che rassicura chi guida ma anche i passeggeri. E’ un 2.0 Diesel da 190 cv AT8 Q4 con cambio automatico ad 8 rapporti. L’abbiamo provata in autostrada dove ha dimostrato di essere Super, grintosa con grande ripresa, stabilità nei sorpassi, sembra incollata all’asfalto. I consumi sorprendono16 km/l. Nel percorso misto tra le colline dell’Oltrepo pavese ha confermato la stabilità nelle curve, soprattutto l’impianto frenante. E’ un suv compatto e slanciato. Con un altezza da terra di 65 cm. è un piacere guidarla con la seduta alta, sembra di dominare la strada. L’abitacolo, arioso e ben disegnato, mette in evidenza l’eleganza in ogni particolare, dai sedili riscaldabili in pelle e regolabili elettronicamente. Il cruscotto ben posizionato, ha tutti gli strumenti di guida consultabili in ogni momento, mentre al centro della plancia è ben integrato il monitor da 8,8” con sistema Alfa Connect Nav, con Radio, Navigatore 3D, Mp3, Aux-in e Bluetooth. I cerchi sono da 19 pollici. Le sospensioni smorzano bene le asperità e il motore praticamente non si sente. Guidando con un piede attento il consumo si aggira attorno ai 12 Km/litro. Ha una ricca dote, eccone alcune:Proiettore LED a nebbia anteriore, Adaptive Cruise Control, Pannello degli strumenti in pelle, 6 airbag ABS con EBD, ASR, MSR, Start & Stop, TPMS (sistema di monitoraggio della pressione degli pneumatici), Forward Collision Warning (FCW), Freno di emergenza autonomo (AEB) con rilevamento dei pedoni, Integrated Brake System (IBS), Luci posteriori e posteriori a LED, Climatizzatore a doppia zona, Sensore crepuscolare / sensore pioggia, Comandi multifunzione sul volante, Portellone elettrico, Driver Assistance Pack Plus, Sensori di parcheggio anteriori / posteriori, Monitoraggio dei punti ciechi (BSM) con rilevamento del percorso incrociato posteriore.
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Bodega Barranco Oscuro: il metodo classico più alto d’Europa si trova in Spagna
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quota 1368 metri sul livello del mare nasce, probabilmente, lo spumante metodo classico che conquista la vetta d’Europa. Bodega Barranco Oscuro si trova nell’Andalusia, (Contraviesa-Alpujarra, vicino alla Sierra Nevada, a sud-est di Granada) la terra del destino, secondo la traduzione araba. Il suolo è povero, pietroso e non profondo, con sottosuolo intriso di argille chiare e scisti. Il vitigno è Vigiriega, quasi estinto. In pochi ettari (circa 12 con una produzione di circa 25.000 bottiglie) troviamo una varietà di vitigni stupefacente: Tempranillo, Alicante, Garnacha, Pinot Nero, Cabernet Franc, Merlot, Vigiriega, Riesling, Chardonnay, Vermentino, Viognier e Sauvignon Blanc.
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La vendemmia è completamente manuale e le fermentazioni sempre spontanee. L’Azienda è condotta da Lorenzo Valenzuela, ancora con l’aiuto del padre Manuel, uomo di pura passione che a 75 anni ha ridato dignità ai vini de La Controversia, che oggi si servono in moltissimi ristoranti stellati nel mondo: assieme, elaborano varie etichette tra cui: “Art Brut”, spumante prodotto con metodo ancestrale, “Blancas Nobles” da vitigni bianchi autoctoni, “El Canto del Mirlo” da uve merlot, “El Pino Rojo” da pinot nero, “Garnata” da vigneti piantati con garnacha e posti sul Cerro Las Monjas a 1300-1368 metri, “La Familia” da cabernet franc, “Rubaiyat” da syrah e uno spumante metodo classico in versione brut nature e prodotto con uve autoctone.
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Spagna dizione o altro. Le uve autoctone provengono da vigneti coltivati in modo naturale, senza uso di erbicidi, pesticidi o fertilizzanti chimici. Un millesimo davvero molto interessante: un prodotto fresco e vitale, con profumi complessi e affascinanti.
Incontrato a VinNatur, Lorenzo mi parla dei suoi vigneti che arrivano a un’altezza di 1368 m s.l.m., con il mare a 10 km di distanza. Il Valenzuela V di uve Viriega è ottenuto da uve raccolte a mano diraspate e poi spremute, passaggio in acciaio per la fermentazione alcolica e lieviti indigeni. Un mese dopo la vendemmia il vino viene fatto riposare un anno in botti di rovere prima di essere imbottigliato. Particolare soprattutto il gusto, un mix di terra (olive) e mare (sapido). Art Brut Barranco Oscuro è uno spumante totalmente naturale realizzato secondo il metodo ancestrale di fine fermentazione in bottiglia utilizzando una parte dello stesso mosto di uve autoctone con cui viene provocata la seconda fermentazione del metodo tradizionale In Barranco Oscuro Brut Nature 2014, la fermentazione è avvenuta grazie ai lieviti naturali presenti, completamente spontaneamente e in nessuna fase del processo, è stato aggiunto nulla. Dopo 12 mesi di fermentazione lenta, la sboccatura è stata effettuata senza aggiungere alcun tipo di liquido di spe-
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Emilia di Enzo Russo
Cantina aperta nel paradiso del gusto In passerella i Lambruschi e le bollicine di Spergola di Emilia Wine e Casali Viticultori
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Emilia è il paradiso del gusto. E’ una terra fertile dove la cucina e le sue tradizioni hanno da sempre caratterizzato le usanze della propria gente. I profumi, colori e i paesaggi si rincorrono per dare vita ad un sistema virtuoso che ha reso questa regione conosciuta in tutto il mondo per le sue eccellenze gastronomiche. Basta citare prodotti come il Parmigiano Reggiano, il Prosciutto di Parma, il Culatello di Zibello e non per ultimo il Lambrusco un vino fresco e spumeggiante conosciuto e venduto in tutto il mondo, che ha conquistato i giovani perché è sempre al passo con i tempi, fresco, leggero e versatile. Sono queste alcune ragioni che hanno reso celebre l’annuale manifestazione Cantine Aperte, un appuntamento che vede le porte delle cantine spalancarsi e far vedere cosa c’è dietro una bottiglia di
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vino, dall’enologo all’agronomo e tante altre persone che con passione e professionalità fanno vini genuini e di qualità. Sono momenti unici perché si entra in contatto di una realtà che affascina sempre nel vedere come nasce una bottiglia di vino e sentire il forte profumo che s’inerpica nelle narici. Cantine Aperte, l’evento organizzato dal Movimento Turismo del Vino, nasce nel 1993, e senza dubbio è uno degli appuntamenti più importanti per la promozione dell’enoteismo in Italia. E’ l’occasione di poter assaggiare i vini nelle aziende e di poterli acquistare direttamente, ma anche di scoprire l’arte della vinificazione e dell’affinamento, di conoscere personalmente i vignaioli, di effettuare degustazioni culinarie con pranzi, cene e merende in cantina o all’aria aperta. Cantine Aperte è una manifestazione da non perdere, va vissuta tra il calore delle persone e delle fa-
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Emilia con il loro patrimonio di vitigni autoctoni, dal pomeriggio fino a notte inoltrata. Incontriamo il Presidente delle due cantine Davide Frascati in compagnia di molti amici e soci in una tavolata dove i protagonisti erano in bella mostra: gnocco fritto, mortadella, prosciutto di Parma, Parmigiano Reggiano. E poi tanti vini, come alcune tipologie di Lambrusco, dal Pra di Bosco Reggiano doc fatto con Salamino e Marani, al Cardinal Pighini fatto con Grasparossa e Colli di Scandiano di Canossa, Amarante doc fatto con Marzemino e Colli di Scandiano di Canossa e il Correggio Reggiano dop, è un uvaggio a base di uve Lambrusco Salamino. E poi i vini bianchi fatti con le uve Spergola nelle diverse declinazioni, spumante 1077, il Càbesina metodo classico e quello frizzante. Un tavolata allegra e competente in fatto del buon bere genuino. Tra le tante iniziative rivolte a far conoscere i vini delle cantine, quella che ha riscosso un grande successo è la degustazione guidata dei due metodi classici nelle due versioni del Cabesina Pas Dosè e Brut nella taverna della Casali Viticultori. “Grande affluenza di persone e in particolare di giovani che amano il buon bere che vogliono conoscere le caratteristiche organolettiche del vino”, ci dice Giuliana Montanari, responsabile commerciale e sommelier, che ha organizzato e condotto le degustazioni, dalla mattinata fino a sera inoltrata, “sono state quattro sessioni affollate dove abbiamo raccontato la storia del metodo classico con rifermentazione in bottiglia, perché questi vini sono legati anche alla storia della Casali e del suo fondatore che fu il primo a produrre il metodo classico con la Spergola. Durante la giornata abbiamo accostato le bollicine ai prodotti del territorio in modo da esaltare i due protagonisti”. C’era una forte presenza di giovani: “E’ vero e questo ci ha fatto molto piacere perché questo significa che il mondo del vino attrae anche loro che poi saranno i nuovi consumatori. Vedere la loro voglia di approfondire e sapere cosa bevono è molto
miglie allegre con tanta voglia di divertirsi e ballare tra uno gnocco fritto con prosciutto crudo e mortadella con un buon bicchiere di Lambrusco o altri vini del territorio reggiano, come le croccanti bollicine di Spergola, sempre più apprezzate da molti intenditori per le caratteristiche organolettiche e che si sposa perfettamente con tutti i piatti per il suo nerbo di acidità. Nonostante la giornata piovosa, la Cantina Casali Viticultori – Pratissolo (Re) e la cantina Emilia Wine – Arceto di Scandiano, due importanti realtà vitivinicole della provincia di Reggio E., hanno accolto accolto all’interno delle due strutture alcune migliaia di persone, dove spiccava una forte presenza di giovani, regalando un momento di festa in cui le eccellenze vinicole reggiane sono state protagoniste
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di maggio. Noi ci abbiamo creduto fin dall’inizio perché riteniamo che sia un momento importante per avvicinare in modo “concreto” il consumatore al mondo del vino che ai più risulta sconosciuto come filiera produttiva. Per agevolare le visite e gli spostamenti delle persone abbiamo collegato Emilia Wine di Arceto con la Casali Viticultori , che dista due chilometri, con un trenino elettrico per dare un senso a queste due realtà che di fatto si compensano nella produzione di vino ma in modo differenziato. Emilia Wine è più legata al mondo della produzione, in quanto i 726 soci e altrettante famiglie che con il loro lavoro, impegno e sacrifici producono ogni anno 350 mila quintali di uva che viene lavorata. Invece la Casali Viticultori, azienda storica nel comprensorio del Lambrusco, l’abbiamo acquisita dopo la fusione di Emilia Wine, perché ha un anima prettamente commerciale. Ha una linea di imbottigliamento all’avanguardia, molto flessibile che ci consente di adeguare formati e tipologie di vino sempre più in linea con le nuove tendenze ed esigenze dei consumatori. Tutto questo ha completato un percorso per l’integrazione di filiera che riteniamo strategico per il futuro delle aziende. Una è indispensabile all’altra”. Con questa manifestazione cosa pensate di comunicare al consumatore: “Innanzitutto vogliamo comunicare chi siamo, sembra scontato ma non lo è, far sapere cosa facciamo in generale, dalla trasformazione dell’uva in vino, dagli investimenti all’occupazione fino al coinvolgimento del territorio, perché i vigneti che fanno da cornice a tutto il comprensorio sono una risorsa per tutti, iniziando dalle amministrazioni locali che ne debbono tener conto perché il nostro ruolo non è soltanto economico ma anche sociale”. “Come ogni anno”, prosegue Frascari, “gli
importante. Degustare la qualità e la genuinità di un vino non capita tutti i giorni, nel senso che oggi sugli scaffali si trova di tutto e di più e saper scegliere è molto importante, come è importante leggere l’etichetta, dove c’è scritto se il vino è stato prodotto, vinificato e imbottigliato dall’azienda. E questa è un ulteriore garanzia per il consumatore. Oggi è stata anche l’occasione per presentare a tutti i nostri amici il nuovo vino della Cantina Casali, Feudi del Boiardo-Colli di Scandiano e Canossa dop fatto con il Montericco, Maestri, la Sgavetta e il Malbo gentile, che danno origine a un Lambrusco dal colore rosso intenso, corposo, profumato, elegante e molto secco che si abbina molto bene alle carni rosse alla brace, cacciagione e altri prodotti della nostra cucina. Sarà in vendita nel settore horeca”. Dopo avercelo descritto con molta professionalità, Giulia Montanari ce lo fa degustare con prosciutto crudo, gnocco fritto e tocchetti di Parmigiano Reggiano, spumeggiante e ricco di profumi, è stato una vera delizia per il palato. Finalmente riusciamo a parlare con il Presidente, molto soddisfatto dell’affluenza di molte persone e del successo della manifestazione. “Cantine Aperte ha una missione molto importante”, ci dice Frascati, “aprire le cantine ai consumatori e agli appassionati per mettere a conoscenza tutto ciò che sta dietro una bottiglia di vino: il territorio, le persone che vi lavorano, la cantina nel suo insieme, gli investimenti che vengono fatti. La manifestazione si svolge tutti gli anni nell’ultima domenica The Italian Wine Journal
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Crossback DS7 Rivoli tanto per sognare
amanti del vino, ma anche molti clienti e professionisti del settore possono assaggiare i nostri vini a diretto contatto con i nostri soci, scoprendo segreti e novità delle diverse realtà dei nostri vigneti”. Cantine Aperte è anche un opportunità per presentare nuovi prodotti? “Si ci sono delle novità che presentiamo oggi. La prima è il Lambrusco Perdono-Reggiano doc, fatto con uve Maestri, Sgavetta e Oliva che viene prodotto da Emilia Wini. L’altra novità che esce dalla cantina Casali Viticultori, è il Lambrusco Feudi del Boiardo-Colli di Scandiano e Canossa dop”. L’intervista finisce con un brindisi molto prolungato perché fuori dalla cantina la pioggia continuava a venire giù intensamente. Fortunatamente l’albergo era a 300 metri.
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Il giorno dopo, rientro a Milano in tutta tranquillità e sicurezza con la nuova ed elegante DS7 Crossback Rivoli, un Suv 2000 diesel – 180 cavalli con cambio automatico a otto rapporti, con un concentrato di tecnologia tutta da scoprire. Sono tante le meraviglie, come il quadro strumenti digitale multifunzione da 12,3” che può essere personalizzato. Propone al conducente la visualizzazione di tutte le informazioni di guida con un menù a tendina gestito direttamente dal volante. Gestione di tutte le funzioni del veicolo attraverso una serie di comandi a sfioramento. Basta un semplice tocco per accedere direttamente alle funzioni di comfort, multimedia e connettività. Si può anche accedere a DS Connect Box per usufruire di servizi di sicurezza, quali l’assistenza localizzata e la funzione di chiamata di emergenza automatica, di navigazione connessa e di infotainment, con le funzioni Mirror Screen - Android AutoTM, Apple CarPlayTM e MirrorLink®. La DS7 sorprende con la guida autonoma di secondo livello. Il DS connected pilot assiste il conducente permettendogli di mantenere il massimo controllo della vettura, regola velocità e distanza dal veicolo che precede, mantenendo l’auto in carreggiata. Ad una velocità di 130 km, i consumi sono più che buoni, 15/16 km/l. E poi con il tettuccio panoramico che si apre, tutto diventa un
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Sierra Tequila, Gancia porta in Italia il cuore e l’anima del Messico
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a quest’anno, Sierra Tequila e Mezcal Meteoro, saranno distribuiti in Italia da Gancia. In questi mesi, parte anche la distribuzione del super premium Mezcal Marca Negra, con la tipica impronta della mano sulla bottiglia che rende omaggio al lavoro dei Maestri Mezcaleri Jorge Méndez e Basilio Pacheco. Prodotti legati profondamente al terroir che sono divenuti per tradizione simbolo dell’anima e del cuore messicano. Come lo sono diventate le parole “Il mio cuore è una pianta di agave”, pronunciata dal Master Distiller Rodolfo Gonzales Gonzales proprietario della Distilleria Sierra Unidas che, raccogliendo in eredità dal nonno e dal padre rispetto del territorio, conoscen-
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ze produttive e preziosi segreti, produce oggi con la stessa passione Sierra Tequila. A Guadalajara, capitale dello Stato di Jalisco cuore della produzione della tequila, ha sede la Hacienda famigliare, che utilizza le tradizionali tecniche di fermentazione e distillazione senza l’aggiunta successiva di aromi, ottenendo la complessità di sapore e gusto tipici della tequila solo tramite la corretta coltivazione dell’agave, l’attesa per anni della completa maturazione e preservando in modo naturale autenticità e complessità organolettica del frutto di partenza. La distribuzione nasce dalla collaborazione del gruppo Roust (proprietario di Casa Gancia e Russian Standard Vodka) con il distributore dei prodotti Gancia e Russian Standard Vodka in Germania,
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Nuovo direttore della comunicazione Peugeot Dal 1° luglio Eugenio Franzetti è il nuovo Direttore della Comunicazione Peugeot. Si occuperà della gestione della comunicazione Prodotto, le relazioni con la Stampa, gli eventi e le attività legate ai social network, la comunicazione interna e di sponsoring del Marchio a livello globale. Riferisce direttamente a Thierry Lonziano, Direttore Marketing e Comunicazione del marchio Peugeot. Eugenio Franzetti, laureato in sociologia con un master in comunicazione, è entrato a far parte di Groupe PSA nel 2001. Ha svolto vari ruoli all’interno dei marchi Peugeot e Citroën nei settori del marketing, della comunicazione e degli eventi. Dopo un’esperienza di due anni come Direttore della pianificazione strategica in un’agenzia di comunicazione, è diventato Direttore della comunicazione, degli eventi e dello sport automobilistico in Peugeot Italia nel 2011. Hapoi esercitato le stesse funzioni per Groupe Psa in Italia. Dal 2016 è stato Direttore vendite di Citroën Italia. Il suo percorso professionale, la sua conoscenza nell’area della comunicazione e degli eventi, nonché la sua competenza nel marketing rappresentano importanti caratteristiche per il successo nel suo nuovo ruolo. Prende il posto di Valérie Ponce che assume nuove funzioni all’interno del marchio Peugeot.
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Sono tre le linee di Sierra Tequila frutto di tradizione e attenzione per il territorio: Sierra Classic Tequila (Silver e Reposado), Sierra Antiguo Tequila (Plata e Añejo) e Sierra Milenario Tequila con tre varianti Super Premium (Blanco, Anejo e Fumado). Per quanto riguarda il Mezcal, il più antico spirito americano, che a differenza della tequila può derivare da oltre trenta varietà di agave selvatiche, Gancia ha avviato la distribuzione del Super Premium Mezcal Marca Negra, in cinque espressioni, provenienti da 5 diverse tipologie di agave, e il Premium Mezcal Meteoro, prodotto con metodi tradizionali da agave della varietà Espadìn in purezza. La leggenda narra di un meteorite che, cadendo nel deserto di Oaxaca, creò un cratere usato dal Maestro Mezcalero locale per cuocere l’agave Espadin e dar vita a un mezcal eccezionale. Da qui il nome «Meteoro», caduto dal cielo.
BORCO-Marken-Import Matthiesen GmbH & Co. KG, una delle più grandi aziende tedesche di alcolici, che produce i suoi spirits premium nei rispettivi paesi d’origine (produzione della tequila in Messico tramite una partnership con la distilleria Sierra Unidas) e con successo li commercializza a livello globale. Le sue referenze si trovano nei migliori bar del mondo. La Distilleria Sierra Unidas utilizza piante di agave degli altopiani di Los Altos, dove microclima e tipologia del suolo, ricco di minerali, influiscono sulla maturazione garantendo un alto contenuto zuccherino; la coltivazione senza l’uso di macchinari permette alle piante di crescere in armonia con l’ambiente. Per la cura e la raccolta, l’hacienda si avvale da tre generazioni delle stesse famiglie di Jimadores. Il rispetto per l’ambiente è un valore per la Distilleria, una delle prime al mondo ad abolire i fertilizzanti artificiali nei campi; materie isolanti e le fibre di scarto derivanti dalla pressatura delle pina, vengono riciclate e riutilizzate.
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Nasce Mediterraneum Milano il ristorante che omaggia la tradizione regionale italiana
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n ristorante che con la sua cucina vuole omaggiare i sapori e la tradizione mediterranea e che, con le sue proposte di piatti, privilegia il mangiare sano e gustoso attraverso ricette nutrienti realizzate con ingredienti salutari, frutto di coltivazioni biologiche e sostenibili provenienti da tutta Italia. È Mediterraneum Milano, un locale in Via Ugo Bassi 8. Mediterraneum Milano propone, come svela già il nome, una cucina mediterranea. L’offerta desidera valorizzare le diverse tradizioni culinarie italiane e,
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per questo, nel ristorante sono state realizzate diverse aree, finalizzate ognuna a offrire una proposta differente, sempre di alta qualità. C’è il forno a legna per la “Pizza Gourmet” cucinata solo con grani antichi secondo le più antiche tradizioni dai maestri pizzaioli della AMPGourmet (Accademia Maestri Pizzaioli Gourmet di Napoli), tra cui Lorenzo Gazzillo formatosi alla Accademia del Maestro Giuseppe Vesi (partner di Mediterraneum); la “Cucina gourmet” dove gli Chef Gennaro Galasso e Mattia Duro propongono una cucina espressa a base di pesce e carni selezionate; la “Teca dei Vini”, con vini e distillati selezionati tra i migliori produttori Italiani e del mondo; l’
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“American Bar”, dove vengono preparati i distillati e i cocktail. “Desideriamo valorizzare il gusto genuino, promuovendo le diversità culturali e le diverse tradizioni culinarie delle regioni italiane, valorizzando anche i loro contrasti dando vita ad abbinamenti gastronomici che, da una parte, esaltano i sapori e, dall’altra, permettono alla clientela di scoprire medi e piccoli produttori italiani e le loro produzioni” spiega Davide Rafanelli, fondatore di Mediterraneum. È per questo che i fornitori sono stati scelti al termine di un percorso di selezione lungo, finalizzato a privilegiare le produzioni artigianali per le quali viene certificata la provenienza e l’alta qualità. Gli spazi, distribuite su 400 metri quadrati con giardino, vogliono portare il cliente a rivivere quei valori genuini e tradizionali che vengono proposti con i piatti. L’ambientazione è dominata da tonalità calde che richiamano i colori della natura e non mancano, anche indoor, angoli verdi. I dettagli, infatti, sono stati studiati con i designer degli studi ZPS Design e Verde Passione che hanno scelto di ricreare un oasi verde mediterranea con l’utilizzo di moss, un lichene particolare che filtra l’aria. Tutto il legno presente nel ristorante è riciclato, le vernici atossiche e ecosostenibili, ad alta concentrazione di acqua. A completare il progetto, un giardino privato esterno per cenare all’aperto. Qui, il venerdì e il sabato, in programma anche serate con musica e dj. Mediterraneum Milano è aperto tutti i giorni, pranzo e cena, eccetto la domenica a pranzo.
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Vino&Motori di Enzo Russo
Jeep Wrangler Unlimited Sahara 2.2 diesel - 200 HP - Auto8 - 4x4 Il piacere di vivere in libertà
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a Jeep Wrangler l’abbiamo provata in diverse situazioni climatiche e ambientali. Non ha mai deluso le aspettative. Offre un senso di libertà e la piacevole consapevolezza di poter andare ovunque si voglia. La nuova Wrangler ha fatto passi da gigante nella qualità del comfort, nell’abitabilità e nella capacità off-road, tenendo presente che su strada bisogna sempre considerare che è un fuoristrada puro. Il look è inconfondibile, molto squadrata, si notano subito i parafanghi e il predellino sporgenti, i fari circolari e la griglia anteriore con sette feritoie verticali, il parabrezza ribaltabile sul cofano e le porte smontabili: bastano pochi minuti per svitare i bulloni di sostegno e il gioco è fatto. Tuttavia, in Italia si può circolare con la Wrangler così configurata soltanto su strade private. L’abitacolo è accogliente e molto comodo, appaga subito nella qualità, come la plancia dal disegno semplice e lineare. I materiali di rivestimento sono pregiati e anche il comfort è assicurato per chi guida ma anche per i passeggeri, con schienali molto confortevoli. E poi c’è la tecnologia. Sofisticato e intuitivo l’impianto multimediale, che dispone di schermo tattile di 8,4” per gestire i servizi di bordo, e di svariate possibilità di connessioni con gli smartphone (tramite l’apposita app e i protocolli Android Auto e Apple CarPlay). È ben leggibile anche la strumentazione, che dispone di un display a colori dove si possono richiamare molte informazioni, comprese quelle utili per la guida nel fuori strada. Lo spazio di questa Jeep Wran-
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gler Unlimited è abbondante per quattro, mentre un’eventuale altra persona sul divano non sta comoda. Per una fuoristrada di questo tipo la capacità del baule non è male, pur se gli ampi passaruota riducono la larghezza del vano. L’accesso prevede uno sportello inferiore con attaccata la ruota di scorta, incernierato sul lato destro e il lunotto sollevabile. E’ un piacere guidare la Wrangler: è confortevole, su strada dà sicurezza, la si sente che è incollata all’asfalto, non ha tentennamenti è solida. Affronta percorsi impegnativi senza mai dare l’impressione di esserli, con naturalezza per le sue capacità molto elevate. Ma oltre i 120 orari si sente una certa rumorosità aerodinamica. Bene il cambio a 8 rapporti che con il convertitore garantisce passaggi più morbidi e veloci. Molto apprezzabili anche i consumi, con un piede leggero si fanno i 10,2 Km/l. La Jeep Wrangler conferma le sue grandi doti nel fuori strada ma anche sull’asfalto, dove si dimostra agile e precisa.
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News
I lambruschi di Cleto Chiarli un anno da mettere in cornice
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opo aver ricevuto l’importante riconoscimento dal magazine statunitense Wine Spectator, la più prestigiosa “bibbia del vino”, entrando a far parte dei TOP 100 con il Lambrusco Il Fondatore 2016 Cleto Chiarli, selezionato tra le 15.000 bottiglie degustate dagli esperti e valutate secondo criteri di qualità, carattere, valore, reperibilità ed eccitazione, colloca l’Azienda nel ghota delle più rappresentative etichette del mondo. Ai grandi successi italiani e internazionali per i vini Cleto Chiarli, arrivano due eccellenti risultati ottenuti sulla guida di Vinitaly “5 STAR WINES – the Book 2019”: 91 / 100 per il Sorbara Lambrusco del Fondatore 2017 91 / 100 per il Grasparossa Pruno Nero Spumante Dry 2018 L’ inserimento nella classifica internazionale dei 100 migliori vini del mondo di Wine Spectator – vede il Lambrusco del Fondatore 2016 come primo e unico Lambrusco in questa classifica mondiale con l’inserimento di Vecchia Modena Premium 2017 nella rosa dei vini selezionati per Opera Wine 2109. Nella classifica internazionale di James Suckling – Vecchia Modena Premium figura tra i 100 migliori vini del mondo sotto i 30 dollari; l’inserimento di Vecchia Modena Premium 2017 nella classifica dei 100 migliori vini rossi (unico Lambrusco) secondo Gentleman, il mensile del gruppo Class, che stila ogni anno questa graduatoria sommando le valutazioni espresse dalle sei più autorevoli guide enologiche italiane; la Stella
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del Gambero Rosso per i dieci anni di “Tre Bicchieri”, oltre all’ennesimo Tre Bicchieri per Lambrusco del Fondatore 2017; nella classifica Sparkling del magazine tedesco Falstaff – Vigneto Cialdini Cleto Chiarli è primo tra i Lambruschi con l’eccellente punteggio di 92/100. La Cleto Chiarli è la più antica azienda vitivinicola modenese che ha iniziato a produrre il Lambrusco fin dal lontano 1860. Il Marchio storico ‘Cleto Chiarli’ firma vini ottenuti dalla selezione delle migliori uve provenienti da oltre 100 ettari di vigneti di proprietà e dalle più vocate zone di produzione dei vini DOC dell’Emilia-Romagna. Più di 150 anni lastricati di successi che ne hanno fatto il marchio Chiarli più conosciuto al mondo. Dalla cantina escono diverse tipologie di Lambrusco che hanno conquistato un posto
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Birra
La birra italiana chiede al nuovo Governo più terra per crescere Il 2018 è stato l’anno dei record – più consumi, più produzione, più export, più imprese, più occupati - , ma AssoBirra calcola che se aumentasse la produzione di orzo e luppoli nazionali il boom attuale diverrebbe un trend costante nei prossimi anni
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a birra italiana cresce, dà lavoro, aumenta il volume delle accise ed imposte pagate ed aiuta la bilancia commerciale nazionale. AssoBirra, nel suo tradizionale appuntamento annuale del suo Report, si gode il momento d’oro del settore – 12 birrifici maggiori e ben 862 microbirrifici in tutt’Italia -, ma non rinuncia ad indicare una strada per migliorare ancora questo trend. E, soprattutto, dargli un profilo di lungo periodo. Back to the roots, tornare alle radici, ovvero incentivare la produzione nazionale di orzo brassicolo e di luppolo, il primo cereale perfetto per ridare vita e dignità economica alle zone rurali periferiche del nostro Paese evitando l’abbandono delle campagne, creando nuovo lavoro e sviluppare la specializzazione italiana delle birre. Ovvero quella “regionalizzazione” che le rende uniche – al pari del vino – nel panorama internazionale dove le bionde italiane i incontrano sempre più favori. Non a caso, la diversificazione portata avanti da grandi e piccoli produttori è uno dei principali driver che ha guidato l’innovazione di mercato, con un incremento delle birre speciali del 115% negli ultimi 5 anni, unitamente alla valorizzazione dei territori e delle loro peculiarità, tra cui anche le materie prime
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locali. Serve una nuova legge di settore – spiega l’associazione che raggruppa i big del comparto ma anche tanti piccoli mastri birrai italiani - dato che quella attuale ha più di 50 anni e che bisogna portare la Politica Agricola Comunitaria a prevedere incentivi per filiere virtuose come quella dell’orzo da birra così da ridurre la tradizionale dipendenza italiana dall’estero. Il 2018 ha segnato un +4,7% della produzione nazionale di birra, superando la soglia dei 16 milioni di ettolitri, incremento ancor più rilevante se comparato alla produzione alimentare italiana che è cresciuta solamente di un +0,8%. Per la prima volta nella storia è stata varcata la soglia dei 20 milioni di ettolitri di consumo con un aumento del 3,2%, in controtendenza rispetto ai consumi alimentari in Italia che sono invece in riduzione (-0,5%). Oggi, infatti, più di tre italiani su quattro (77%), con valori omogenei nelle diverse aree del Paese, consuma birra e lo fa prevalentemente a pasto. La birra oggi riveste un ruolo di primo piano nell’economia e nell’export del Paese. Nel 2018 le esportazioni sono cresciute del + 6,6% (3.045 milioni di ettolitri) segnando un ulteriore record ed, anche in questo caso, l’incremento è sensibilmente maggiore di quello registrato dall’intero settore alimentare (+3,4%), a conferma che la birra italiana è sinonimo
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Birra di eccellenza riconosciuta ormai in tutto il mondo. Grandi e piccoli produttori risentono positivamente dell’abbassamento delle accise che ha sostenuto anche la crescita dei consumi. Il decremento della fiscalità, iniziato nel 2017, ha infatti dato una spinta al comparto, generando un aumento della produzione, e incoraggiando gli investimenti con effetti positivi anche per l’occupazione. L’ulteriore riduzione presente nell’ultima legge di Bilancio è un importante segnale che farà risparmiare ai consumatori 12 milioni di euro. Oggi le accise ammontano a 2.99 € per ettolitri su grado Plato, meno dei 3,04E del 2015 ma sempre di più del 2,35€ del 2013 quando iniziò l’aumento fiscale: è ancora tra le più alte in Europa. Al momento, la produzione nazionale di birra viene effettuata da 12 birrifici e 862 micro-birrifici e brew-pub, distribuiti in modo molto difforme sul territorio nazionale. Se la produzione nazionale di orzo raddoppiasse, i birrifici aumenterebbero del 25% e i micro-birrifici e brew-pub del 22%, cioè rispettivamente di 3 e 160 unità, con rilevanti effetti occupazionali. La presenza di una malteria in una regione amplifica ulteriormente questi effetti, particolarmente per le piccole imprese, con un ef-
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fetto sul numero di micro-birrifici e brew-pub di un incremento nella produzione di orzo che risulta quasi doppio. Per il luppolo, si è considerato l’effetto di una riduzione della distanza rispetto al principale produttore internazionale, la Germania. Secondo le stime di AssoBirra, se questa distanza venisse annullata (cioè, se il luppolo venisse prodotto localmente invece che importato), ci si aspetta che in ciascuna regione il numero di birrifici aumenti di un’unità e mezzo e i micro-birrifici di ben circa 24 unità. Il risultato differenziale per i diversi produttori riflette una maggior incidenza dei costi di trasporto sulle imprese di minor dimensione. Nel 2018 il consumo di birra in Italia è aumentato del 3,2%, passando dai 19.684.000 di ettolitri nel 2017 ai 20.319.000 del 2018. La crescita si è tradotta in un aumento del 3,4% del consumo pro capite, che nel 2018 ha raggiunto il suo massimo storico: 33,6 litri, portando l’Italia a scalzare la Francia e ad occupare il 30esimo posto nella classifica europea per il consumo pro capite, ancora lontana dai 138 litri bevuti ogni anno in media dagli abitanti della Repubblica Ceca. L’aumento dei consumi ha favorito una crescita della produzione nazionale del 4,7%. Con 16.410.000 di ettolitri registrati nel 2018, oggi l’Italia è al nono posto in Europa per volumi di produzione, mentre è in quinta posizione per numero di birrifici. Positivi anche i dati sull’occupazione, con una crescita annuale di 700 unità registrata nel settore e nel suo indotto, che oggi contano complessivamente 140.700 lavoratori. L’aumento della produzione di birra na-
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zionale ha favorito una crescita di malto italiano (+5,5%), passata dalle 75.800 tonnellate del 2017 alle 80.000 del 2018, e un aumento dell’import di luppolo, salito nel 2018 del 20,8%, da 2.748 a 3.320 tonnellate a dimostrazione di una inversione di tendenza con produzione di birre sempre più amare ed aromatiche. Segno più, infine, anche per l’export, che nel 2018 ha raggiunto il nuovo massimo storico sfondando il tetto dei 3 milioni di ettolitri, in aumento del 6,6% sul 2017. Per la prima volta in cinque anni è sceso, seppur di poco, il volume dell’export nel Regno Unito - che rimane comunque stabile al primo posto come maggior Paese importatore di birra italiana - mentre crescono sostanzialmente i volumi negli USA, facendo aumentare il mercato italiano oltreoceano, oltre che nella maggior parte dei Paesi dove l’Italia esporta. Relativamente all’import, invece, nel 2018 si è registrato in Italia un leggero incremento (+1,2%), per un valore complessivo di 6.948.127 di ettolitri. Tra i Paesi maggiormente esportatori, il Belgio ha superato la Germa-
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nia - storico numero uno dell’import italiano - mentre si conferma europeo il 95% delle importazioni di birra. Micro birrifici, produzione +4,3% Il settore della birra artigianale ha registrato recentemente un vero e proprio boom. Dopo la nascita, in tutto il Paese, di nuove realtà imprenditoriali per gran parte giovanili, oggi i micro birrifici sono 862, per una produzione di 504.000 ettolitri, in crescita del 4,3% sul 2017. Le organizzazioni censite da Nord a Sud contano 3000 addetti e si suddividono in birrifici artigianali (692) e brew pub (170). La quota di mercato a loro associabile è del 3,1%. La regione in cui sono presenti più strutture è la Lombardia, che guida questa speciale classifica con 147 organizzazioni. Più staccate, invece, Piemonte (80), Veneto (74) e Toscana (63), mentre la regione del Centro-Sud con più strutture è la Campania, che annovera 55 birrifici tra artigianali e brew pub. Filiera agricola L’Italia oggi importa dall’estero il 60% del suo fabbisogno di malto da orzo: una situazione che espone il comparto birrario nazionale a rischi di volatilità dei prezzi delle materie prime quando si verificano distorsioni di approvvigionamento sui mercati internazio-
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nali. A causa, ad esempio, di condizioni atmosferiche avverse, lo scorso anno la produzione comunitaria di orzo è calata del 5%, con crolli accentuati in Danimarca (-26%) e Germania (-12%), Paesi che rappresentano il cuore della produzione nell’Unione Europea. Le condizioni di siccità e le alte temperature hanno generato un incremento delle quotazioni dell’orzo che lo scorso anno hanno raggiunto il livello più elevato dal 2013, con punte fino al +30%, con ripercussioni su tutta la filiera. La filiera produttiva dell’orzo da birra rappresenta un’opportunità per le zone rurali, marginali e non, dell’Italia: difatti, l’orzo da birra, grazie alle sue capacità di adattamento, la sua resistenza e la sua rusticità, cresce in qualsiasi ambiente pedoclimatico, rendendo possibile la coltivazione in aree che altrimenti non verrebbero qualificate. Terreni dismessi ed in disuso potrebbero vedere nuova vita grazie alla coltivazione di un cereale che, oltre ad essere adatto a quei territori, ha un basso impatto ed è sempre più necessario nell’economia della filiera brassicola italiana. L’Appennino Centrale rappresenta un esemplare modello di valorizzazione di questa filiera virtuosa, dove intere aree sono rifiorite grazie a queste produzioni. È il perfetto esempio di come un territorio meno accessibile dal punto di vista agricolo possa valorizzarsi grazie alla coltivazione di un cereale molto resistente e capace di adattamento.
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La cucina tunisina, gusti e profumi millenari È tornata ad essere una delle mete turistiche più ricercate nel Mediterraneo. Grazie anche ai suoi sapori
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iglia delle civiltà che ne hanno scritto la storia come berberi, punici, arabi, ebrei, turchi ma anche romani e francesi, la cucina tunisina è colorata, saporita e speziata: une cuisine du soleil – è la cucina del sole. Posizionata strategicamente sul Mediterraneo e con un entroterra in certe zone molto fertile, la Tunisia vive di pesca, allevamento e agricoltura. Offre infatti una varietà di piatti a base di pesce e carne – soprattutto pecora, montone e cammello – accompagnati da prodotti di panificazione del loro frumento e conditi con olio di oliva e spezie della zona come coriandolo e cumino. La cucina tunisina ha radici secolari: le prime ricette venivano tramandate di madre in figlia, di generazione in generazione, o con il passaparola al noto ristorante Ommek Sannefa. La cucina tunisina, rispetto alle vicine nord-africane, include piatti parecchio piccanti. Si racconta infatti che un uomo poteva provare l’amore della moglie in base a quanto peperoncino mettesse nei piatti. Se il cibo risultava insipido o non abbastanza forte, l’uomo poteva sospettare che la moglie non lo amasse più. Ecco alcuni dei piatti che caratterizzano la cucina popolare tunisina: Borghol Il borghol – bulgur, in italiano – conosciuto come “grano spezzato”, è composto da grano duro e germogliato che viene cotto a vapore, fatto essiccare e poi macinato. Accompagnato con pesce, carne o verdure, il borghol può essere cucinato come una zuppa in salsa di pomodoro e spezie o come un risotto – quindi a vapore – per un sapore più intenso e concentrato.
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Salade méchouia La Mechouia è un tipico antipasto tunisino a base di verdure come peperoni grigliati, pomodori e cipolle cotte tritate a cui si può aggiungere tonno, uova e olive. Il tutto condito con aglio, olio e spezie.
Couscous à l’agneau Piatto nazionale per eccellenza, Il couscous fa parte della cucina ancestrale. I granelli di semola di frumento sono cotti nel tajine insieme con carne (agnello, pollo o manzo) o pesce ma anche verdure come melanzane e peperoni. Alcune versioni aggiungono anche uova sode e uvetta.
Harissa La harissa è una salsa diffusa in tutto il Nordafrica a base di peperoncino rosso e aglio condita con olio di oliva, coriandolo, cumino, carvi e pomodoro concentrato. Lablabi Il lablabi è una zuppa di ceci cotta a fuoco lento condita con cumino, olio di oliva, limone e harissa. A fine cottura si possono aggiungere tonno, olive o un uovo fresco. Viene servita in scodelle di terracotta con del pane raffermo che si gonfia quando viene versata la zuppa. Un gustoso piatto popolare da provare nei souk tunisini.
Nonostante sia una cucina secolare legata alle antiche ricette dalla lunga e lenta cottura, la Tunisia ama lo street food. Lo si trova passeggiando per i souk locali dove è possibile assaggiare i veri prodotti locali. Ecco alcune proposte dello street food tunisino: Le fricassé Lo spuntino tunisino per eccellenza! Ciambelle fritte ripiene di tonno, patate, harissa, olive e uova.
Ojja Conosciuta anche come shakshuka, shakshouka, shakshoukeh, jazz-mazz, o makhlama, Ojja è un piatto dell’antica cucina tunisina. Pomodoro, peperoni, cipolle con aglio e spezie ricoperti con uova al tegamino vengono cucinati a cottura lenta sulla stufa (oggi anche in forno). Alcune versioni lo propongono accompagnato con la merguez una salsiccia piccante a base di carne di manzo o di montone, originaria della cucina maghrebina.
Kaksrout Kafteji Panino con patate, peperoncino, zucca, pomodori e uova fritte. Solitamente è servito con peperoncino, prezzemolo e cipolla tritata finemente. Le Chapati Il nome ricorda il pane indiano senza lievito: La Chapati è un “sandwich” con frittata, tonno, formaggio, peperoni e melanzane.
Tajine sebnakh A differenza del tajine marocchino, quello tunisino è conosciuto anche come “frittata berbera”. Piatto presente in tutto il Nord Africa che viene cucinato e servito nell’omonimo piatto di terracotta. Ingrediente
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Les Mlaouis Frittelle di semola fritte con ripieno a piacimento: carne, pesce o verdure con harrisa alla base.
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Wonderful: Wine Paris 2020 punta sul vino biologico e la lotta al climate change
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a seconda edizione di Wine Paris, che si terrà dal 10 al 12 febbraio 2020 al Paris Expo Porte de Versailles, vedrà il lancio di Wonderful, una iniziativa pensata per aiutare gli acquirenti di tutto il mondo a identificare e comprendere le certificazioni eco-compatibili e tutte le attività sviluppate da viticoltori, maison, cooperative e negozianti in risposta a un mondo che cambia. Negli ultimi anni, il consumo di vini biologici, biodinamici e/o prodotti in modo eco-friendly è aumentato. Si prevede che le vendite di vini biologici raddoppieranno entro il 2022. I consumatori di oggi puntano ad un comportamento etico nell’acquisto e sono desiderosi di contribuire a un cambiamento fondamentale. Allo stesso tempo, l’industria vinicola ha dato la priorità alle questioni ambientali. Sono state lanciate molte iniziative individuali o collettive, portando i vini biologici e biodinamici ad un pubblico più ampio. È emerso anche un gran numero di altre certificazioni. Ad oggi, l’Europa ha 30 di queste certificazioni sulle 54 attive in tutto il mondo, promosse da numerose entità (ONG, programmi a livello nazionale, organismi di certificazione, comitati enogastronomici, ecc.). L’ambizione di Wonderful è quella di aiutare gli acquirenti - commercianti di vino, sommelier, risto-
Direttore responsabile: Beppe Giuliano email:boss@giornaleadige.it mailto:boss@giornaleadige.it telefono +39 045 591342 Vicedirettore: Nicoletta Fattori email: fattori@giornaleadige.it mailto:fattori@giornaleadige.it telefono +39 045 591342 Redazione e Degustazioni (dove inviare i Campioni): Via Luigi Negrelli, nr 28 – 37138 Verona tel. fax. 045.591342 email: desk@giornaleadige,it Enzo Russo Caporedattore Enogastronomia email: desk@giornaleadige.it mailto: desk@giornaleadige.it Hanno collaborato a questo numero: Alessandra Piubello, Elisabetta Tosi, Carlo Rossi, Giulio Bendfeldt, Enzo Russo, Daniela Scaccabarozzi
ratori e supermercati - a comprendere meglio questa tendenza in rapida crescita e a sviluppare il loro business sfruttandola. Il “Wonderful Day” “ (martedì 11 febbraio 2020) sarà la giornata dedicata attraverso i ‘the Wine Talks’, ovvero presentazioni, tavole rotonde e workshop alla quale parteciperanno una serie di esperti del settore che condivideranno la loro esperienza di mercato.
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Distribuzione per le edicole Sodip Spa, via Bettola, 18 20092 Cinisello Balsamo Prezzo della rivista: 5 euro Arretrati: 8 euro + spese di spedizione Per informazioni: tel. 045.591342 Editore: Fantasia Edutainment Srls, via Leone Pancaldo 32, 37138 Verona Iscr. Roc n. 12207 del 02/XI/2004 Registrazione Tribunale di Verona n. 1597 del 14/05/2004
The Italian Wine Journal La Rivista
del
Vino
Per chi ama il vino e per chi vuole conoscerlo - Anno IV - n.6 - Euro 5 - settembre 2019
T he I talian W ine J ournal , anno IV numero 6, settembre 2019 – O rvieto D oc – K ettmeir – C ava – S acramundi – B arbera D’ asti – C hampagne – B arranco O scuso – R on D el V enezuela – R ebollini
Orvieto DOC La rivoluzione in una bollicina Birra italiana: vogliamo più terra per crescere
www.italianwinejournal.com Kettmeir, i primi 100 anni – Cava, dopo i big lo sboom? – Sacramundi, scintillante Durello – Barbera d’Asti, riparte la storia – Champagne, l’ora degli autoctoni - Malbec d’autore – Pinot nero Rebollini – Bodega Barranco Oscuro – Ron de Venezuela batte Maduro BIMESTRALE - “Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 NE/VR