The Italian Wine Hournal - edizione dicembre 2017

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The Italian Wine Journal La Rivista

del

Vino

Per chi ama il vino e per chi vuole conoscerlo - Anno I - n. 1 - Euro 5 - dicembre 2017

Prosecco a Valdobbiadene dal 1952 Il 1952 è l’anno di inizio del nostro percorso legato al Prosecco Superiore Valdobbiadene D.O.C.G. Ecco perché, quando abbiamo raggiunto l’espressione più raffinata di una storia, di un territorio e di una passione che dura da 60 anni, abbiamo pensato che il suo nome potesse essere uno solo: 52.

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The Italian Wine Journal – dicembre 2017 – n.90 – ChallengeEuposia, tutti i vincitori – Chardonnay della california – Trentodoc, la nuova generazione – Fundador, l’origine del mito

VALDOBBIADENE PROSECCO SUPERIORE “52” SANTA MARGHERITA:

Tenuta Chiccheri miglior SW d’Italia Chardonnay della California Trentodoc, la nuova generazione

www.italianwinejournal.com Challenge Euposia, tutti i vincitori – Gramona , il cava che sorprende – Campo alla Sughera, parla Stéphane Derenoncourt – Trent’anni di Löwengang – Fundador, l’origine del mito – Gli abbinamenti ideali per il lambrusco BIMESTRALE - “Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 NE/VR


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Sommario

Degustazioni

8 10 16 26

Sidewood Rosè Brut Chardonay dalla California Trentodoc, bollicine di montagna Gramona, i Cava di Paraje Font de Jui

Challenge Euposia

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Tutti i vincitori della Decima Edizione

Cantine

4 30 34 36 40 44 56

Cantina di Soave, scelte di sostenibilità Tenuta Chiccheri Campo alla Sughera Lowengang, trent’anni di fascino a Magrè Fundador, anima di Jerez Edi Kante, profeta del Carso Barolo Rocche di Castiglione

Wine & Food

46 Franciacorta Le Marchesine: incontro col salmone 50 Lambrusco. I consigli dello chef Stefano Corghi 60 Grana Padano e i vini di Anselmet 66 Carpegna Dop: il prosciutto e il Quintopasso 72 Lambruschi reggiani alla tavola della Osteria di Scandiano

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Cantine

Cantina di Soave, quartier generale green Con un investimento di 75 milioni di euro la cooperativa si attrezza per la crescita dei prossimi anni

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iamo al conto alla rovescia per la “nuova” Cantina di Soave che sarà pronta per la fine del 2018 con la completa riorganizzazione della sede principale di Viale della Vittoria, a Soave, e il rinnovamento dell’ area di conferimento uve e vinificazione della cantina di Cazzano di Tramigna, in zona Valpolicella DOC. A Soave l’intervento si estende su una superficie di oltre 11 ettari e il nuovo impianto, una volta realizzato, permetterà alla Cantina di realizzare circa 80 milioni di bottiglie l’anno, vale a dire tra il 50 e il 60% dell’intera produzione conferita dai soci viticoltori, in altre parole quasi tre volte l’imbottigliato attuale. L’investimento previsto è uno dei più rilevanti del settore vinicolo nel panorama nazionale dell’ultimo decennio: questo primo stralcio di lavori prevede lo stanziamento di 75 milioni di euro totalmente autofinanziato. Importanti anche gli investimenti in opere pubbliche: oltre 7 milioni di euro che interesseranno principalmente la viabilità e il verde.

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L’ampliamento della sede principale vedrà non solo un rinnovamento della struttura sotto il profilo tecnologico, ma anche un totale riassetto dei flussi generati dalla stessa attività produttiva. Attualmente l’accesso avviene unicamente attraverso l’ingresso di Viale della Vittoria che rappresenta il principale ingresso al centro urbano, con inevitabili ripercussioni sulla congestione delle vie di comunicazione. Cantina di Soave ha voluto alleggerire l’accesso al paese, dirottando il traffico dei mezzi pesanti sulla nuova circonvallazione SP37 Strada dei Ciliegi, contribuendo così a migliorare la qualità della vita di chi vive e frequenta abitualmente questa zona. L’intento è quello di modificare positivamente la percezione del paesaggio all’interno del paese, significative in tal senso sono anche le opere che riguardano il verde pubblico. La collocazione delle aree verdi e degli annessi parcheggi è stata infatti studiata al fine di riqualificare tutto il fronte est della Cantina, migliorando così l’impatto visivo di chi accede al centro urbano. Verranno create inoltre delle superfici verdi, sia

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Nel corso dell’ultima assemblea dei soci che si è tenuta a Rocca Sveva, è stato approvato il bilancio 2016-17. La vendemmia 2016, pari oltre 1 milione di quintali di uva conferita, ha determinato un fatturato consolidato di 118 milioni di euro. All’interno del venduto complessivo, rispetto al precedente esercizio, si registra una aumento sia in volume che in valore del prodotto sfuso (+6%), soprattutto grazie alle vendite di vini DOP e IGP che hanno mantenuto buone performance, nonostante il mercato evidenziasse qualche calo relativamente ad alcune tipologie. In crescita anche il valore dell’imbottigliato (+2%). In linea con le strategie aziendali portate avanti negli ultimi anni, le vendite di prodotto imbottigliato rappresentano il 50% dell’intero fatturato; di cui ben il 53% deriva da prodotto a marchio, vero core business dell’ azienda, contro il 47% determinato dalla vendita di prodotti a “private label”. Buona la ripartizione tra le vendite Italia ed estero rispettivamente 58% le prime e 42% le seconde. Tra i mercati di riferimento per i vini bianchi, prevalentemente Soave e Pinot Grigio, buona la crescita in Germania +20% ed Austria +16%; altrettanto positiva la tenuta in Gran Bretagna, nonostante i temuti effetti della Brexit, votata alla vigilia dell’apertura dell’anno di bilancio. Tra i mercati di riferimento per i vini rossi a più alto valore aggiunto, da segnalare una sostanziale tenuta di Scandinavia e Svizzera. In tema di capitalizzazione aziendale, il patrimonio netto raggiunge quest’anno i 57 milioni di euro, a fronte di un cash flow operativo di oltre 6 milioni di euro e un utile di esercizio di 1.804.000 euro. Ottima la disponibilità liquida che, pur in presenza di investimenti nel corso dell’esercizio per 14 milioni di euro, passa da 39.025.000 euro a 38.023.000 euro. Il totale dei conferimenti aumenta a 81 milioni di euro e la liquidazione destinata alla remunerazione delle uve conferite dai soci viticoltori è di 63,5 milioni di euro.

orizzontali che verticali, all’interno del perimetro della sede di Viale della Vittoria, le quali avranno il compito di influire positivamente sulla qualità dell’aria e dell’ambiente, riducendo la riverberazione dei raggi solari e intervenendo sul microclima. Significativi gli accorgimenti finalizzati al risparmio energetico: tutti i nuovi edifici, infatti, e quelli preesistenti, verranno dotati di un cappotto esterno che garantirà una migliore prestazione energetica e una riclassificazione dell’intero complesso in classe A. La copertura verrà completamente coibentata e, su parte di questa, verranno montati 437 pannelli fotovoltaici, pari ad una superficie di 717 mq, i quali garantiranno la produzione di energia rinnovabile utile al funzionamento del magazzino meccanizzato. Inoltre è stato studiato un nuovo sistema per la gestione delle acque meteoriche. Le acque dei tetti verranno convogliate in apposite “vasche di calma” e poi rilasciate nel sottosuolo attraverso delle trincee drenanti. Ciò fa sì che l’acqua piovana pulita venga introdotta nel terreno, e quindi nelle falde acquifere, e non venga dispersa nella fognatura. Lo stesso accadrà per le acque del piazzale-parcheggio, le quali confluiranno nelle medesime trincee dopo essere state decontaminate da opportuni disoleatori, i quali avranno il compito di rimuovere eventuali residui di idrocarburi e altre sostanze che potrebbero inficiare la qualità dell’acqua. «Non esiste progresso senza attenzione per l’ambiente - spiega Bruno Trentini, Direttore Generale di Cantina di Soave - da questa consapevolezza deriva l’impegno profuso per la tutela e la salvaguardia dello stesso. Gli imponenti lavori di ampliamento che interessano la sede principale di Viale della Vittoria, a Soave, sono stati tutti pianificati in ottica green, a riprova di come la Cantina sia attenta al proprio territorio e alla comunità».

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Cantine

Approvato il bilancio al 30 giugno 2017


Riesling

A Naturno, in Alto Adige, premiato il miglior Riesling d’Italia: Herzù del piemontese Ettore Germano

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di Schuster Oswald Befehlhof della Val Venosta, in Alto Adige, mentre al terzo posto un altro Riesling altoatesino, quello di Weingut Haderburg Obermairhof della Valle d’Isarco. Ecco la classifica del podio dei vincitori: 1° posto: Azienda Agricola Ettore Germano dal Piemonte 2° posto: Schuster Oswald Befehlhof della Val Venosta, Alto Adige 3° posto: Weingut Haderburg Obermairhof della Valle d’Isarco, Alto Adige Dal 4° al 10° posto si sono, invece, classificati: Lehengut Plack Thomas della Val Venosta, Alto Adige Fondazione Edmund Mach del Trentino Alto Adige Cantina Girlan di Oltradige, Alto Adige Cantina Schreckbichl di Oltradige, Alto Adige Cantina Meran Burggräfler, Alto Adige Himmelreichhof Fliri Markus della Val Venosta, Alto Adige Azienda Agricola Cà del Gè dell’Oltrepò Pavese

Naturno, in Alto Adige, è da poco calato il sipario sulla 13ma edizione delle Giornate del Riesling, una vera e propria celebrazione della “regina delle uve bianche”, appuntamento che ha visto la partecipazione di un altissimo numero di appassionati del turismo enogastronomico e del buon vino. Sono state cinque settimane di eventi, degustazioni, cene e tanto altro, utili per entrare in contatto con uno dei vitigni più prestigiosi ed eleganti al mondo. Durante le Giornate del Riesling è andata in scena anche la dodicesima edizione del Concorso nazionale del Riesling, a cui hanno partecipato 63 vini provenienti da 8 regioni italiane, dall’estremo Nord, sopra Bressanone, fino a quelli siciliani della zona dell’Etna. Una giuria composta da 22 qualificati degustatori ha decretato il miglior Riesling a livello nazionale, che si è rivelato il Riesling Herzù della Azienda Agricola Ettore Germano dal Piemonte, ormai da diversi anni tra i primi classificati. Già nell’edizione del 2015 del Concorso Nazionale, infatti, era risultato il miglior Riesling nazionale mentre lo scorso anno arrivò secondo. Quest’anno, invece, al secondo posto si è classificato il Riesling

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E’ interessante rimarcare l’alto numero di vini altoatesini tra quelli finalisti del Concorso, provenienti in particolare dalla Val Venosta. Il Riesling, del resto, ha la capacità di esprimere al meglio il carattere del terroir in cui cresce, pur senza mai tradire la sua forte individualità, una prerogativa valorizzata al massimo proprio in Alto Adige, regione che offre condizioni favorevoli alla coltivazione di questa varietà. Negli ultimi 20 anni, in particolare, si è notato che, per terreno, clima ed esposizione solare, la Val Venosta è una zona particolarmente indicata per la coltura di questo vitigno, grazie anche ai 315 giorni di sole in media all’anno. Si evidenzia inoltre come le tre aziende venostane premiate al concorso siano tutte realtà molto piccole.

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Metodo classico

Sidewood Vineyards, Isabella Rosè Brut 2013: un grande metodo classico dall’Australia

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demmia – come già detto – interamente manuale, attenta selezione dei grappoli da portare in vinificazione, raccogliendo man mano quelli dal perfetto grado di maturazione. Prima della pressatura, abbattimento della temperatura delle uve. Il blend vede lo chardonnay attestarsi al 40% e il pinot noir salire al 60. Per la seconda fermentazione il periodo minino sui lieviti è di ventiquattro mesi. Perché questo Rosè farà strada, tanta strada, anche fuori dall’Australia? Per l’estrema pulizia e perfezione. Già il colore testimonia nel bicchiere di un’attenta lavorazione. Al naso i profumi sono netti ed immediati, si possono trovare fragola, frutti di bosco, ciliegia e pesca. Il palato è molto elegante, la bollicina è ben formata, tornano con coerenza le note fruttate che erano emerse all’olfatto ed è un vino che appaga la bocca, la riempie, con sul finale note di the verde, brioche, crema pasticcera, sentori tropicali, frutta secca e una bellissima sapidità. E’ molto elegante, invitante alla beva, mai stancante senza essere a tutti i costi un “piacione”. Uno spumante fatto molto bene, con evidente cura ed attenzione, con una spalla acida che promette una bella longevità senza asprezze. Un vino che stupisce per la raffinata e sofisticata eleganza che possiede. E che farà, appunto, molta strada.

idewood Vineyards è una cantina sulle Adelaide Hills, quindi South Australia, una delle regioni più fresche della vitivinicoltura aussie: l’oceano si trova a meno di 15 chilometri e il clima risente di un effetto “mediterraneo” che si associa all’inversione termica fra giorno e notte a tutto vantaggio della complessità del corredo aromatico delle uve. Sidewood Vineyard fa parte di Ashwood Estate, complessivamente 150 ettari, a 380 metri sul livello del mare. Clima, suolo, tecniche di potatura attente e la raccolta manuale svolgono un ruolo importante per garantire che soltanto il miglior frutto venga portato in vinificazione. E’ una cantina giovane – avviata dai coniugi Owen e Cassandra Inglis – che qui hanno coronato le loro esperienze professionali fra la vecchia Europa, Hong Kong e la Cina continentale. Recentemente, con i loro Metodo classico hanno partecipato alla decima edizione del Challenge Euposia, conquistando il primo posto fra gli SW provenienti da Asia/Oceania sia nella versione in bianco (blend di chardonnay e pinot nero, 60-40) che nella Rosé (entrambe dedicate alle figlie degli Inglis: Chloe e Isabella). E’ di quest’ultima che vogliamo parlarvi perché è davvero un vino eccezionale. Vigneto singolo, ven-

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illumina Selinunte grazie al vostro aiuto.

PiĂš di un milione di consumatori hanno giĂ comprato e gustato i vini Settesoli contribuendo alle prime opere di valorizzazione del Parco Archeologico di Selinunte. Abbiamo illuminato le antiche mura, ma c’è tanto altro da fare. Vai su www.settesolisostieneselinunte.it e aiutaci ancora a sostenere Selinunte. PARTNER


California

California, sei Chardonnay per non dimenticare

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on si può dire che il 2017 sia stato un anno facile per la California, colpita dai peggiori incendi che si sono registrati da diversi anni a questa parte. Le immagini delle

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foreste, delle cittadine e dei vigneti distrutti da fiamme all’apparenza inarrestabili hanno fatto il giro del mondo suscitando una vasta commozione. Per chi ama il vino, sapere che queste immani distruzioni hanno colpito una regione che è fra i pri-

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mi produttori al mondo, la culla della vitivinicoltura statunitense con profondi legami con l’emigrazione italiana ed europea, ha avuto un effetto ancora più pesante. Basti pensare che il vino impatta sull’economia Usa per quasi 220 miliardi dollari nel 2017

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dando lavoro direttamente a circa un milione di persone. L’85% di questa ricchezza viene prodotto dalla sola California, in gran parte nella Napa Valley diventata anche una importante meta turistica. I titoli di cronaca parlano da soli, delineano l’impatto dei

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California

Beringer, Wente, Crane Lake, Francis Ford Coppola e Robert Mondavi: abbiamo testato alcuni dei vini importati nel nostro Paese. Un modo concreto per aiutare un Paese devastato dagli incendi


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lot, zinfadel, sauvignon blanc e chardonnay erano improntate all’ottimismo, con un’aspettativa di alta qualità. Tannico, il più importante sito di e-commerce italiano del vino, si è impegnato per evitare che alle distruzioni del fuoco si unisse, per i produttori californiani, anche un crollo nelle vendite dovuto più che alla natura proprio al sentiment negativo sui vini della West Coast applicando uno sconto non simbolico per incentivare gli acquisti. A questa iniziativa si è unito il nostro giornale che presenta in queste pagine una degustazione di sei Chardonnay in listino su Tannico e offrendo visibilità alla “Rebuild Wine Country”, un’associazione no profit che sta raccogliendo fondi per ricostruire le case andate bruciate nelle contee di Napa, Solano, Mendocino e Lake: obiettivo 5 milioni di dollari: « Attualmente – spiega Ariel Jackson - stiamo concentrando la maggior parte delle nostre energie sulla comunicazione del progetto e sulla raccolta di fondi durante la fase di pulizia ambientale. Dopo, inizieremo a ricostruire le case!». Nelle pagine successive troverete le indicazioni per partecipare anche voi a questa gara di solidarietà: un piccolo impegno da parte di tutti noi dopo che, nel passato anche recente, l’Italia è stata beneficiaria dell’appoggio e del supporto di migliaia di persone

roghi più devastanti che la Napa ricordi: 41 vittime, 40.000 sfollati, 5.700 proprietà distrutte, più di 86 mila ettari bruciati. Migliaia di persone hanno visto drasticamente cambiare la loro vita nel giro di qualche ora. Gli incendi sono arrivati al termine di una ondata di caldo estivo che aveva già comportato la contrazione della produzione: il raccolto totale è stato di 4 milioni di tonnellate, solo in lieve calo rispetto ai 4,03 milioni di tonnellate del 2016, con la maggior parte le perdite derivanti dall’ondata di caldo estivo nelle contee di Sonoma, Napa e Mendocino. Queste aree rivestono una grande importanza dal punto di vista qualitativo, ma pesano per circa il 12% del volume di produzione complessivo: il grosso proviene dalla Central Valley. A distanza di qualche settimana, l’impatto degli incendi sull’industria californiana del vino è stato meno grave del previsto: la vendemmia era stata quasi completamente effettuata nelle tre contee prima dell’avvio dei primi focolai. Fra l’altro, il ritorno delle piogge nell’inverno e nella primavera scorsi avevano interrotto una siccità lunga quasi cinque anni, ricostruito le falde e permesso alle piante di crescere e lavorare senza gli stress del recente passato. Prima che gli incendi cambiassero il sentiment generale sulla produzione californiana le stime dei produttori sulla qualità di cabernet sauvignon, mer-

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California nisce sentori di vaniglia e migliora la sensazione in bocca mentre l’acciaio conserva i sapori di frutta naturalmente insiti in questo Chardonnay cui viene aggiunto un 2% di Gewürztraminer . Al naso l’impatto è davvero incredibile tanto è ricco, complesso, con note di mela verde, di ananas e cedro. Leggere sensazioni fumé che poi si ritrovano al palato che, pur cremoso, mantiene una sua brillante freschezza. Finale minerale con note di vaniglia e spezie dolci. Appagante e molto invitante. In degustazione: 98/100

nel mondo a seguito dei disastri ambientali che hanno contraddistinto a nostra storia recente. Ed eccoci ai vini degustati. L’invito del nostro magazine è quello di sostenere la California comprando una bottiglia del suo vino: Wente Chardonnay Morning Fog 2015 Famiglia storica della vitivinicoltura californiana attiva in vigneto sin dal 1883. Morning Fog (nebbia del mattino) è il riferimento alla nebbia che dal Pacifico risale la costa dalla baia di San Francisco alla Livermore Valley. Questo fenomeno quotidiano modera il clima e permette di produrre uno Chardonnay molto ben bilanciato. La famiglia Wente ha storicamente sempre lavorato sul proprio patrimonio vegetale, arrivando a produrre propri cloni di chardonnay che poi sono stati utilizzati da gran parte dell’industria locale. Ciascun vigneto viene raccolto e lavorato separatamente, il che massimizza la qualità e aggiunge un’elegante complessità al vino. Questo vino fermenta, per cinque mesi, in botti di rovere americano, ma metà della massa fa soltanto acciaio. La quercia for-

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Crane Lake Chardonnay 2015 Crane Lake è uno dei (sessanta) brand della Bronco Wine Company, erede di una cantina fondata nel 1906 da Giovanni Franzia, ligure di Vado che nel 1893 aveva attraversato l’Atlantico per fare fortuna. Attraversando il “secolo americano” - la famiglia Franzia è diventata il più grande proprietario di vigneti in California, ben 40mila acri, ha stretto legami con Ernst e Julio Gallo, ha visto entrare ed uscire nel proprio capitale colossi dell’economia americana, si è quotata in borsa,

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sino a ritrovare negli Anni Settanta nella BWC una proprietà nuovamente ed integralmente di famiglia con Joseph S. (appena rientrato dal VietNam dove aveva servito come marine), John e Fred T. Franzia: la nuova generazione ha portato il business di famiglia ai livelli più alti – un miliardo di bottiglie complessivamente vendute - rilevando diversi brand da altri gruppi multinazionali e diversificando il portafoglio in America Latina ed in Europa, con un forte impegno per la riduzione dei gas serra. Crane Lake è una linea di varietali con uve di proprietà della Central Valley. Immediato, diretto, l’impatto olfattivo dove emergono subito le note di frutta gialla, di tropicale, e banana. Chardonnay quasi scolastico, con note di vaniglia e leggera tostatura. Il palato è fresco, coerente, torna la frutta tropicale che si fonde con sensazioni più aromatiche, incenso e balsamico. In degustazione: 95/100

mise sei anni per arrivare in California ed acquisire assieme al fratello Frederick 215 acri nella Napa Valley. Da allora, sino alla consacrazione poco più di un secolo dopo, di miglior Cabernet sauvignon e miglior Chardonnay al mondo, Beringer è cresciuta ed oggi è amministrata dal pronipote del fondatore, Jacob pure lui. Le uve di questo chardonnay sono selezionate in vigneti ubicati lungo la North Coast (Mendocino) e il delta di San Francisco. La vicinanza alla costa del Pacifico porta ad escursioni termiche molto accentuate. All’olfatto è immediato e potente: profumi di frutta gialla, di fiori, di cedro e pera. Il palato è fresco, invitante e molto coerente. Si ritrovano la frutta, la purea di pera, la vaniglia. Il finale è lungo, molto equilibrato. Invita ad una seconda beve con una piacevolezza lontana dagli stereotipi sul legnoso vino californiano. In degustazione: 97/100 Francis Ford Coppola Russian River Chardonnay Director’s Cut 2015 Il grande

Beringer Chardonnay Founders’ Estate 2015 Nel 1869 Jacob Beringer, da Mainz in Germania, dopo aver lavorato per Charles Krug pensò bene di trasferirsi nel Nuovo Mondo per creare in California la prima industria del vino. Sbarcato a New York ci

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regista americano dal 2006 assieme alla moglie Eleonor si è lanciato nella produzione di vino raggiungendo significativi risultati in termini di qualità. Questo chardonnay nasce nella valle del Russian River, una delle zone premium per questo vitigno in California, e affina otto mesi in barrique di legno francesi, di cui il 40% di primo passaggio. Cremoso al palato, sorprende al naso con profumi di vaniglia, spezie, frutta a pasta bianca come pera e pesca, note più tropicali e di banana. Coerente in bocca, con finale sapido e di mandorla. In degustazione: 94/100 Robert Mondavi Chardonnay Private Selection 2014 Giù il cappello davanti ad uno dei grandi nomi dell’enologia mondiale: figlio di immigrati marchigiani, Robert entrò nel business di famiglia dopo essersi laureato alla Stanford University per poi, assieme al fratello, puntare con decisione alla produzione di vini di qualità in Napa Valley in grado di competere con le migliori produzioni europee. Missione compiuta e status di leader acquisito nel mondo anche attraverso le sue joint venture, famosa quella col Barone di Rothschild. Nel 1997, al “Grand european wine jury” il suo Chardonnay riserva venne eletto migliore del mondo. Nel 2002 la Repubblica italiana lo premiò con

l’Ordine al Merito, cui fece seguito la Legion d’onore francese. I vigneti sono nella Central Coast per questo chardonnay che si presenta con un olfatto molto vitale e fresco dove immediati sono i profumi di pesca, lime, e mela granny. Al palato tornano note fruttate di agrumi, ancora la mela e note più verdi di fieno, Finale di mandorla, molto appagante. In degustazione: 94/100 Robert Mondavi Chardonnay Woodbridge 2014 Profumi vegetali all’olfatto e fiori bianchi; la frutta è tropicale con banana e vaniglia. Impatto alcolico importante al palato; il palato è molto caldo e cremoso. Tornano le note di frutta tropicale, con vaniglia e mandorla. Riempie la bocca, ma tende a sparire in fretta. Pensato per un pubblico statunitense, ed all’uso importante dei legni, di questo eccezionale lotto in degustazione è lo chardonnay che impressiona di meno un winelover europeo. In degustazione: 93/100


Trentodoc

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Trentodoc

Trentodoc brandnew Quattordici metodo classico del Trentino: nuove maison e/o nuovi vini che tengono alta la produzione atesina

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l Trentodoc prosegue nella sua crescita qualitativa e quantitativa. Le due cose non vanno disgiunte e bene fa la Camera di commercio atesina a porre come obiettivo da raggiungere i 10 milioni di bottiglie per le “bollicine di montagna”. La produzione attuale è infatti attestata a 7.7 milioni di bottiglie (6.3 milioni Trento bianco; 641mila Trento riserva; 733mila Trento Rosé e 32mila circa di Rosé riserva) di cui il 20% destinato ai mercati esteri, con un valore della produzione di circa 80 milioni di euro. Superare la soglia dei 10 milioni – obiettivo non irrealistico se si considera che le uve dichiarate Trento Doc nel 2016 sono ammontate a 108mila quintali – vorrebbe dire consolidare il posizionamento delle bollicine trentine sul mercato interno ed alimentare un ciclo finanziario positivo a tutto vantaggio dei produttori, specie quelli di più piccola dimensione, al traino dei big player: Ferrari-Lunelli in testa. Il percorso sin qui attuato conferma la visione dei primi soci fondatori, nel 1984, dell’Istituto Trentodoc il cui lavoro ha portato nel 1993 all’avvio della DOC, poi nel 2007 alla nascita del brand collettivo territoriale Trentodoc. In questi ultimi dieci anni, gli iscritti alla Doc sono passati da 27 a 48 coinvolgendo sia nomi storici del Trentino vitivinicolo sia nuove realtà, fatte da piccoli e/o giovani produttori. A rafforzare il progetto delle “bollicine di montagna” ci sono anche altri due fattori : la Fondazione Edmund Mach come oggi si chiama l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, fondato nel 1874 per rilanciare l’attività agricola del Sud Tirolo, diventato una delle scuole più importanti al mondo, oggi antenna di sperimentazione insostituibile; l’Enoteca Provinciale di Palazzo Roccabruna, nel cuore di Trento, luogo di incontro “fisico” fra appassionati e turisti coi produttori (non soltanto vino, ma tutto l’agroalimentare) trentino: una vera “arma di affiliazione di massa”

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ai piaceri della tavola del Principe Vescovo. Proprio a Palazzo Roccabruna, The Italian wine Journal, ha testato alcuni dei più interessanti Trentodoc della nouvelle vogue. Quattordici spumanti da provare e mettere in cantina. 1. Viticoltori in Avio Trentodoc Sarnis Rosé Brut 65% chardonnay, pinot nero La più meridionale del sistema delle cooperative vinicole trentine, posta al confine con la provincia di Verona, occupa un vasto panorama di vigneti posti sia lungo le sponde del fiume Adige, sia sui contrafforti della Lessinia verso Est e del Monte Baldo verso ovest. Terra di confine, segnata da un paio di millenni di tradizione agricola e di confronti serrati fra i “regni del nord” e la spinta “latina” da sud. Questo Rosé ci ha davvero ben impressionato: bellissima nota di colore nel bicchiere, profumi immediati e caldi all’olfatto con frutti rossi, ciliegia e una nota più balsamica. Il palato è coerente, di bella acidità dove tornano le note fruttate e quelle più morbide di brioche. 2. Cantina sociale Roverè della Luna Aichholz Trentodoc bianco Vervé millesim.2014 brut 40% chardonnay, 40% pinot bianco, pinot nero Ci spostiamo nella parte più settentrionale della provincia di Trento, sul confine con Bolzano, poco sotto Salorno. A questa cooperativa, vicina ai cento anni di attività, fanno riferimento poco più di 420 ettari di vigneto su un’immensa frana calcarea che attraversano il confine provinciale. Nel blend compare il pinot bianco, una risorsa oggettivamente poco sfruttata che pure aumenterebbe il tasso di originalità delle bollicine atesine. In effetti già all’olfatto questo spumante si presenta con note assolutamente

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Trentodoc

Negli anni scorsi, la prima annata della Selezione Sforzellini aveva impressionato per le sue caratteristiche, per la sua personalità. Questa bottiglia, invece, lascia a casa buona parte di questo retaggio per una versione più morbida, più piaciona, meno personale. Si tratta di una scelta, ovviamente, e questa non si discute. Il risultato è quindi un Trentodoc ovviamente ben fatto, ma che perde gran parte della sua identità. Molto floreale, frutta verde, lieve nota di agrumi. Il palato non esce da questo binario. Nulla da eccepire tecnicamente, resta un po’ di delusione riguardando le note della prima degustazione di questa Selezione.

uniche, intriganti e preziose. Il palato è coerente con note fruttate mature e agrumate col cedro e pompelmo. Lungo il finale. Buona freschezza.

5. Cembra cantina di montagna Trentodoc Ororosso Rosé brut Chardonnay, pinot nero Valle di Cembra, ovvero la culla della verticalità dei Trentodoc, dalle caratteristiche inconfondibili frutto di un territorio unico caratterizzato dalla presenza del porfido – l’oro rosso della valle - e dell’alta quota dei vigneti. Da piccole parcelle di pinot nero, provenienti da diversi vigneti, nasce questo Rosé che sta sui lieviti oltre cinquanta mesi. Potente nei profumi al naso dove dominano le note floreali e quelle di piccoli frutti di bosco e ciliegia; coerente ed ampio nel palato dove tornano sensazioni calde di frutta sotto spirito. Di grande freschezza e finale sapido. Intrigante ed invitante alla beva.

3. Trentodoc Rosé Vervé millesim. 2014 brut 100% pinot nero Anche per il rosé la scelta dell’enologo è molto decisa, sin divisiva per i winelover. Tutto, dal pack al colore del rosato, dice che la personalità e l’unicità sono due caratteristiche fortemente volute. Il giudizio complessivo ne deve tener conto, e va apprezzata comunque la voglia di “stupire” per un Trentodoc: una denominazione sempre molto prudente nei suoi cambiamenti. Superato lo “scoglio” o il “successo” del colore nel bicchiere, rimane però il vino. Si registra una continuità fra il Vervé bianco e il Rosato, un filo conduttore importante. Naso di frutta rossa, ciliegia e fragola. Il palato è sapido, tornano le note fruttate e una leggera speziatura. Persistente sul finale.

6. Concilio Cuvée 600Uno Dosaggio zero 100% Chardonnay C’è una certa sovraesposizione per i “dosaggio zero” che se da un lato certificano della bontà dei processi produttivi di una cantina – dal vigneto alla vinificazione e a tutte le delicate fasi di un metodo classico – dall’altro rischiano di presentare ai wine-

4. Cantine Monfort-Lavis LS Selezione Sforzellini brut 100% chardonnay

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Trentodoc

lover vini molto duri, tranchant, scontrosi. A meno che l’annata non sia particolarmente favorevole e non porti alla maturazione perfetta ogni singolo grappoli. Concilio porta al Dosaggio Zero le uve di Chardonnay provenienti dai vigneti che dominano Trento a circa 600 metri di altitudine rivolti a sudest. Olfatto molto netto, con profumi di frutta a pasta gialla matura, mela golden, brioche e una nota balsamica. Il palato ha una grande freschezza, una beva invitante; tornano le note fruttate, crema pasticcera e leggere note di tostato. Come detto, molto appagante. 7. Conti Bossi Fedrigotti-Masi Rovereto Conte Federico Riserva 2012 brut 60% chardonnay, pinot nero La cantina trentina oggi guidata dal colosso veronese dell’Amarone ha negli ultimi anni messo mano ai suoi vini, un refresh che, senza snaturare la storia pluricentenaria (la prima vendemmia è del 1697), ha però reso più moderni i suoi cavalli di battaglia, Fojaneghe in primis. Il Conte Federico è dedicato all’inventore del Fojaneghe (primo blend bordolese del Trentino della rinascita). I 40 ettari delle tenute Storiche si trovano a Rovereto, Isera e in altri due piccoli Comuni della destra-Adige. La prima impressione olfattiva è molto positiva: profumi puliti, ricchi, dove dominano le note aromatiche, di crosta di pane e crema. Il palato è coerente, tornano le note dell’olfatto, con un finale di agrumi e pesca a pasta bianca. Di grande pulizia ed ottima fattura.

mente nei beni di un contrammiraglio dell’Impero asburgico. De Tarczal è sulla destra Adige, di fronte a Rovereto, poco più a nord di Isera e non a caso il Marzemino è uno dei suoi cavalli di battaglia. Questo Trentodoc resta sui lieviti quattro anni. Un po’ restio ad aprirsi nel bicchiere, riserva a chi ha un po’ di pazienza però ricchi sentori di frutta, di mela e pesca, crema pasticcera e spezie. Il palato è coerente, ampio, ricco, ha una bella acidità che promette longevità. Una bella novità e un fiore all’occhiello per tutto il Trentodoc. 9. Etyssa Cuvée nr 2 mill. 2013 extrabrut Ok, eravamo quattro amici al bar è una citazione vetusta. Però che Giovanni, Malcom, Stefano e Federico siano amici dai tempi dell’università con la passione delle bollicine è un dato di fatto; che siano stati capaci di trasformare un hobby – creare da soli le bollicine con cui festeggiare le proprie lauree – in un business è altrettanto valido e quindi non rimane che mettere sotto il naso questo blanc de blancs, extrabrut, che nasce a circa 500 metri d’altitudine sulle pendici del Monte Calisio, tra le localià di Mojà,

8. De Tarczal Trentodoc deTarczal brut 100% chardonnay Entra nella produzione del Metodo classico trentino anche questa storica cantina che risale ad un vescovo-principe di Trento passata successiva-

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Trentodoc

Tavernaro e Villamontagna. La zona è caratterizzata dalle forti escursioni termiche fra giorno e notte, ma anche dall’Ora del Garda che mitiga il caldo nelle giornate più torride. Il suolo è -ovviamente – dolomitico, di origine glaciale, profondo e ben drenato. Lo chardonnay si esprime in questo Trentodoc ai massimi livelli: l’olfatto è ricco di frutta matura, di sensazioni di fieno, di crema e una gradevole tostatura. Il palato è altrettanto ricco, ampio, molto fresco, dove emergono note di cedro e di mela, di pesca… molto invitante. 10. Mas de Chini Inkino Riserva 2010 brut 100% chardonnay Una nuova realtà per il Trentodoc, non per la vitivinicoltura atesina dato che la famiglia Chini da più di un secolo sale e scende dalla collina di Trento per coltivare i suoi appezzamenti anche se le radici storiche risalgono al 1645 con Eusebio Francesco. Gloriano, suo erede, nel 1906 diede inizio alla realtà imprenditoriale che oggi si propone con due Metodo classico importanti. Il primo, quello che degustiamo ora, è uno chardonnay in purezza, che nasce in vigneti al confine fra le due province di Trento e Bolzano a Nassi di Cadino, a 300 metri di altitudine. Corretto, un po’ timido all’olfatto, ha un eccezionale ingresso in bocca. Ricche note fruttate che si fondono coi profumi di lievito e crema. Finale di agrumi. 11. Mas de Chini Inkino Carlo V Riserva 2008 brut 60% chardonnay, pinot nero Nove anni sui lieviti, una presenza del Pinot nero che dà nerbo, e cambia completamente il quadro olfattivo che adesso è potente, molto ricco, quasi scolastico per la possibilità che dà di ricercare profumi, note…il palato è caldo, molto coerente anch’esso

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ricco dove emergono note di frutta secca e cedro candito in un finale davvero molto lungo. Carlo V, l’Asburgo sui cui impero non tramontava mai il sole, è senza dubbio una figura storica affascinante e i suoi quarant’anni di regno (ivi compreso il Concilio di Trento) segnarono la storia: un riferimento molto ambizioso (sebbene non l’unico fra i vini italiani), ma audace. Da premiare. 12. Pravis Blau Doré Mill. 2013 extrabrut 100% pinot nero New entry del Trentodoc, Pravis è alla seconda generazione in cantina e fa base nella Valle dei Laghi ed ha il merito di aver salvato alcuni vitigni autoctoni che rischiavano di venir dimenticati come Negrara e Gropello di Revò. Per il loro primo Trentodoc si sono affidati al Pinot nero. Palato più convincente dell’olfatto che ci mette un po’ a far emergere tutto il suo potenziale. Alle note fruttate e di lievito si uniscono sensazioni più silvestri e di agrumi. Molto interessante. 13. Tenuta Maso Corno Giulio Larcher 2014 extrabrut 100% chardonnay Monti Lessini, sinistra Adige: su una terrazza a 500 metri d’altitudine, rivolta a nord-est, da cui si domina la valle sottostante e ci si confronta con le Piccole Dolomiti sta Maso Corno, una proprietà che Giulio Larcher ha dedicato completamente alla viticoltura sottraendo spazio al bosco ed utilizzando cloni di vecchie viti. Il Trentodoc che porta il nome del giovane proprietario è uno chardonnay in purezza di grande spessore. Un vino che ha grande potenziale e che potrebbe crescere tanto nella considerazione del mercato per la personalità che dimostra. Olfatto molto importante dominato dai fiori bianchi

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Riserva Speciale “Italo Pedrotti” 1988 brut: la degustazione

e da note fruttate molto verdi. Il palato è coerente, verticale, molto fresco. Tornano le note di mela e di agrumi che sul finale virano sul candidato con nuance più dolci di crema e nocciola. Si nota l’impronta molto personale del vignaiolo che a noi è piaciuta molto. 14. Tonini Marco Tonini 2014 brut nature 50% chardonnay, pinot bianco Isera, culla del Marzemino, ma anche di Trentodoc di grande eleganza come quelli prodotti dalla Cantina sociale del territorio. Un bell’esempio, ed anche una sfida, per Marco Tonini , la moglie Paola ed i loro tre figli che hanno deciso di far debuttare un “proprio” metodo classico che nasce in quattro ettari di vigneto, a diverse altitudini, sino al limite degli 800 metri. Torna il pinot bianco – finalmente! – e lo spumante che nasce in questa cantina è elegante, ricco di profumi floreali, di crosta di pane con un palato verticale, molto fresco, che si regge su una spalla acida importante. Un finale lungo, dove tornano sensazioni agrumate e floreali. Una bellissima novità.

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Pedrotti – anno di fondazione 1901 - è una delle realtà più interessanti e di lunga data della spumantistica trentina. Celebrati da Veronelli, i Pedrotti sono giunti alla terza generazione di “chef de cave” e godono di una fama assai meritata sulle vecchie annate. Intanto perché sono stati fra i pochi vignaioli a mettere da parte delle cataste di bottiglie quando tutti vendevano tutto senza farsi troppi problemi; eppoi perché la “cave” di Pedrotti sta in un vecchio bunker asburgico della Prima Guerra che non ha mai funzionato per il suo scopo principale (fortunatamente), ma che si è dimostrato perfetto – per temperatura costante, umidità, religioso silenzio – a far evolvere lentamente fior di metodo classico. E quando ancora non c’era il Trentodoc, ma solo la splendida intuizione di Giulio Ferrari, poi seguita da Leonello Letrari e dai suoi quattro partner dell’Equipe 5 e da un piccolo manipolo di audaci sperimentatori, in Pedrotti le cataste crescevano. Bene per noi, dato che l’ultima giornata di “Bollicine sulla Città” (l‘annuale festival del Trentodoc che coinvolge la città atesina) ci ha permesso – grazie alla “manica larga” dell’Enoteca di Palazzo Roccabruna– di mettere mano al millesimo 1988 della Riserva Speciale “Italo Pedrotti”, padre di Paolo e nonno della nuova generazione al lavoro: Donatella e Chiara. Il millesimo 1988 – a ventinove anni dalla vendemmia – è un blend di chardonnay (al 90%) e pinot nero. La sboccatura di questa bottiglia è del novembre 2009, quindi non pro-

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prio recentissima, e questo faceva presagire più di una difficoltà. Anche lo stato del tappo sembrava indicare che il tempo aveva preteso il suo pedaggio. Nel bicchiere, invece, già il colore è una piacevole sorpresa. Deluso chi si aspettava riflessi scuri e scarsa limpidezza: il colore è infatti ancora di un bel giallo brillante con una spuma ancora molto vitale e persistente. Al naso non ci sono note stonate: una gradevole sensazione ossidata, cedro candito, brioche, profumi di nocciola e frutta secca. Alla cieca sarebbe facile scambiarlo con uno champagne dalla liquer d’expedition dall’alto contento alcolico per sviluppare proprio questa nota evolutiva. Il palato è molto netto, non ci sono incoerenze col naso, torna la frutta candita, note di maturazione dello chardonnay con frutta secca e resta – incredibile – una bella spalla acida che promette ancora altri anni senza lasciar cadere il vino. Il palato resta un po’ corto. E’ invitante ancora alla beva e, perché non sia un sacrilegio, l’unica raccomandazione per chi riuscirà a mettere le mani su una bottiglia di questa annata è di far onore ai Pedrotti e di berla tutta, senza sprecarne nemmeno un mezzo bicchiere. Chi cercava conferme sul potenziale della spumantistica trentina qui ne trova a bizzeffe. Come sempre, siamo debitori di Palazzo Roccabruna: stupendo modello di marketig territoriale operativo e non di facciata la cui cantina è degna del principe-vescovo che proprio da queste mura guidava la città del Concilio.

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Challenge Euposia

Challenge Euposia, tutti i vincitori Champagne Vauversin e Kettmeir sul tetto del mondo. Per i biologici, Gramona e Champagne Charlot Tanneux. Cirotto e Cave Mont Blanc Morgex et La Salle confermano il primato italiano negli autoctoni. Premio speciale al Lessini Durello Doc

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a sulla Côte des Blancs, nel Grand Cru di Oger, Champagne, il titolo di “Campione del Mondo” della decima edizione del Challenge internazionale Euposia, l’unico al mondo riservato ai soli vini spumante prodotti col Metodo classico della rifermentazione in bottiglia, che si svolge secondo le regole del Grand Jury Européen. Confermati i riconoscimenti per gli spumanti prodotti con uve autoctone, per la prima volta è stati assegnato anche il premio nella categoria Biologica e biodinamica. Nazione ospite di questa edizione, la Croazia. Al termine di una due giorni tiratissima, all’Hotel Veronesi-La Torre, con oltre 150 campioni in gara provenienti da undici Paesi diversi e da otto denominazioni italiane, la Giuria internazionale guidata da Riccardo Cotarella (presidente di AssoEnologi), ha decretato questi risultati:

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Campione del Mondo 2017: Vauversin, Champagne-France, “Original” blend di Chardonnay 2015 e Reserve, Domaine Biologique; Campione del mondo 2017, nella categoria Bio: Gramona, Cava-Spagna, Catalogna, “Gran Reserva Celler Battle 2006” Campione del mondo 2017, nella categoria Viti-

gno autoctono:

Az.Agr. Cirotto, VSQ, Veneto-Asolo; “Sogno Dosaggio Zero 2013” da Incrocio Manzoni bianco. Nei vini rosati: Campione del mondo 2017: Kettmeir, Sud Tirol/Alto Adige; “Athesis Brut Rosè 2014”

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Campione del mondo 2017, nella categoria Bio: Charlot Tanneux, Champagne-Francia, “Rosè de Saignee”

Champagne Egly-Ouriet, “Grand cru 2005”: Severino Barzan’s Award “vielles vignes” Internazionale

Campione del mondo 2017, nella categoria viti-

gno autoctono:

Hambledon, Hampshire, Regno Unito, “Classic Cuvée NV”: Miglior SW Internazionale

Cave Mont Blanc de Morgex et La Salle, Valle d’Aosta, “Caronte” da Petit rouge.

Champagne Alain Bernard, “Premier Cru”: Miglior SW di Francia

«Con entusiasmo ho aderito alla proposta del “Challenge internazionale Euposia” di presiedere una giuria così prestigiosa e di alto valore professionale. Penso che sia un’ottima occasione per promuovere l’eccellenza e il prestigio di uno dei fiori all’occhiello dell’enologia italiana certamente e di tutto il mondo, il vino elaborato con il metodo della rifermentazione in bottiglia. Splendida la location e l’idea di confermare Verona come sede di eventi di rilievo volti a promuovere l’eccellenza delle produzioni. Starà poi alle singole cantine sfruttare al meglio la visibilità ottenuta con i risultati» sottolinea il presidente Riccardo Cotarella.

Gusbourne, Kent, “Blanc de Blancs 2013”: Miglior SW Regno Unito Miolo, Vale dos Vinhedos-RS, Brazil, “Cuvée Tradition” (affinato nell’Atlantico): Miglior SW Americhe Tolianic, Vrbnik, Krk (Veglia)-Croazia, “Gospoja Extra-brut 2014”: Miglior SW Rest of Europe

La Giuria ha anche assegnato i seguenti Premi:

Sidewood estate, Adelaide Hills-Australia, “Chloè Cuvée 2014”: Miglior SW Asia/Oceania

Tenuta Chiccheri, Veneto “Montprè 2010”: Miglior SW d’Italia

Questi i riconoscimenti per i Rosé:

Cà Rovere, Veneto, “Blanc de blancs brut 2012”: Miglior SW Veneto

Cesarini Sforza, Trentodoc, “1673 vintage 2011”: Miglior SW Rosé Italia

Gianni Tessari, Lessini Durello Doc, “120 Mesi”: Severino Barzan’s Award “vielles vignes” Italia

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Edoardo Miroglio, Elenovo-Bulgaria, “Edoardo Miroglio Brut Rose 2013”: Miglior Sw Rosé Rest of Europe

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Challenge Euposia

Da sinistra in piedi: Severino Barzan, Alessandro Piubello, Bob Lindo, Charles Philipponat, Renato Rovetta, Alberto Ugolini, Goran Amnegard, Cinzia Coderin, Riccardo Cotarella, Maurizio Cattaneo, Carlo Rossi, Joaquin del Palacio Huerta, Giampiero nadali, Elisabetta Tosi, Luciano Rappo. Da sinistra in ginocchio: Bernardo Pasquali, Beppe Giuliano, Roberto Cipresso, Jin Quiaoli, Branko Cucic, Fabio Mecca, Marcello Lunelli.

Miolo, Vale dos Vinhedos-Brazil, “Brut Rosé”: Miglior SW Rosé Americhe

territorio in cui viene prodotto, ricco di storia, arte e cultura, attento alla Natura ed al lavoro dell’uomo. «Alla sua decima edizione – aggiunge Beppe Giuliano, direttore di Euposia-La rivista del vino - il Challenge Euposia ha mostrato una solida maturità. I campioni in competizione hanno testimoniato la forza della grande scuola francese, ma ha anche dimostrato come la “forbice” fra Champagne e metodo classico italiani ed internazionali vada chiudendosi e come stia diventando sempre più interessante ed importante il segmento dei vini prodotti da coltivazioni biologiche, biodinamiche e da vitigni autoctoni: la carta vincente della produzione italiana». La decima edizione del Challenge internazionale Euposia si è svolta con la collaborazione di: Hotel Veronesi-La Torre, Peugeot, Onav Verona, Ip Industrie, Hostaria Verona, Fantasia Edutainment, Consorzio Lessini Durello DOC, Taverna Kus, Consorzio per la Tutela del Formaggio Silter Camuno-Sebino, Comune di San Zeno di Montagna, Baldense Viaggi, Cooperativa fra pescatori Garda. Mediapartner: Telearena; webmaster: Pensierovisibile.

Hambledon, Hampshire, “Classic Cuvée Rosé NV”: Miglior SW Rosé Regno Unito Champagne David Coutelas, “Prestige Rosé brut”: Miglior Sw Rosé Francia Sidewood Estate, Adelaide Hills-Australia, “Isabella Rosé 2013”: Miglior SW Rosé Asia/Oceania Fra le denominazioni italiane si conferma la crescita degli spumanti di montagna, Val D’Aosta, Trentino Alto Adige e Lessini Durello, lo spumante prodotto nell’area collinare situata tra le provincie di Verona e Vicenza, che riceve anche il Premio Speciale della Sostenibilità di Euposia. Un modello emblematico che unisce la promozione del vino a quella del

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Applausi convinti, durante la Cena di Gala a San Zeno di Montagna, voluta dalla Taverna Kus, patron Giancarlo Zanolli che ha portato i saluti dell’Amministrazione, per promuovere le eccellenze enogastronomiche di un ricchissimo territorio alla presenza degli ospiti internazionali della giuria della decima edizione di Challenge Euposia. Charles Philipponat dalla Francia, Jin Quiaoli dalla Cina, Branko Cucic dalla Croazia, Bob Lindo dall’Inghilterra, Goran Amnegard dalla Svezia e Joaquin dal Palacio Huerta dalla Spagna, hanno potuto così apprezzare il menu elaborato per l’occasione da un team di giovani cuochi: Stefano Lorenzi e Niccolò Moratti, chef di pasticceria. E proprio tra la Croazia e la Cina, nazioni ospiti del Challenge, si è sviluppato l’affascinante racconto del menu dell’incontro gourmet che ha visto Jin Quiaoli ospite d’onore grazie a Severino Barzan, che la assiste nella sua attività di conoscenza sulla cultura del cibo e dell’arte della tavola italiana, sulla quale sta per uscire una prestigiosa sua pubblicazione in Cina, e la Croazia rappresentata da Boni Cuk e Senad Uzelac. Il made in Italy ha sui cinesi una presa che va oltre l’immaginabile: «Moda, vino, cibo e film romantici - s’infervora Jin - noi cerchiamo il vostro ottimismo e per l’Italia c’è un mercato enorme». Lo dicono off record, ma per loro il made in Italy , food and wine non è promosso a dovere, visto i numeri che attestano, ad esempio, nel mercato del vino una quota francese al 25% a fronte di un misero 5% assegnato al Bel Paese. Una bellissima serata in un ambiente d’eccezione, che ha contribuito a creare una atmosfera

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rilassante e positiva, unendo insieme anche gli altri prestigiosi membri della giuria, che hanno apprezzato le prelibatezze del menù, in particolare l’Anatra Muta, definita “spaziale” da un palato raffinato come quello di Pepi Mongiardino, owner di Moon Import che da quaranta anni importa champagne delle più celebrate maison. Oltre a questo, anche ricette tipiche della storia veneziana, come il saor abbinato ad un pesce povero come l’aringa della Cooperativa pescatori di Garda, ultima rimasta sul più grande lago d’Italia, che si sono accompagnate ad una delle prelibatezze della cucina quarnarina: i meravigliosi scampi, offerti da una delle famiglie icona della Croazia, Toljanić, proprietaria del bellissimo Vinotel Gospoja. Serviti con un bicchiere di vino dell’isola di Krk – la Vrbnička Žlahtina, il piatto tradizionale del Quarnaro - è stata musica per il palato degli ospiti di Giancarlo, un’irresistibile rapsodia del gusto. Ma anche per i non “carnivori” è stato approntato un menu con ingredienti in linea con lo sviluppo del tema, come il tofu che incarna chiaramente l’idea della gastronomia cinese, cioè che “il gusto è il nucleo, la nutrizione è l’obiettivo”. Infine, le prelibatezze di San Zeno di Montagna: inaspettati tartufi e soprattutto il marrone di San Zeno Dop. Ultima suggestione, un abbinamento da applausi tra il Silter Dop, recente formaggio della nobile tradizione camuna, prodotto da Andrea Bezzi, notissimo “Mister cheese” di Case di Viso a Ponte di Legno, e lo Champagne Rosé di Philipponat, che ha meravigliato lo stesso produttore, per l’intrigante abbinamento. «In Francia non abbiamo un formaggio così vecchio!» esclamava divertito Charles Philipponat.

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Sulla nuova via della seta, cena di gala alla Taverna Kus per i dieci anni del Challenge Euposia


Spagna

Gramona, quel tesoro attorno alla cantina Enoteca 2002 e Celler Battle 2007 dimostrano il grande potenziale del Cava e della tenacia di una famiglia di vigneron

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on l’introduzione pochi mesi fa del Cava de Paraje Calificado – ovvero i primi cru certificati del metodo classico catalano – le bollicine iberiche compiono un significativo passo in avanti sul versante della qualità, innanzando di molto l’asticella e la competizione nei confronti della produzione francese ed italiana. Il fatto che questi vigneti certificati (vigna di almeno 10 anni di età, vendemmia manuale contingentata a 80 quintali/ettaro e 48 ettolitri/ettaro, vinificazione nella proprietà, obbligo di tracciabilità, millesimo sempre indicato e minimo 36 mesi di rifermentazione in bottiglia), siano appena una dozzina per una denominazione che produce oltre 245 milioni

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di bottiglie la dice lunga sulla volontà del Consejo Regulador di fare le cose per bene, andando a cercare e valutare esclusivamente le migliori parcelle dal perfetto pedigree. Ci sono già dei risultati da questa azione? Secondo noi, sì. Ed un esempio altamente significativo arriva da Gramona, bodega fondata nel 1850 e produttrice di Cava sin dall’inizio del Novecento. Il suo vigneto certificato – Font de Jui - circonda la cantina ed è formato da 22,5 ettari (15 coltivati a xarel-lo e 7.5 a macabeo) che dominano da nord-ovest Sant Sadurnì d’Anoia (la capitale del distretto del Cava) e si sviluppano dalla piana lungo il Rio Anoia sino ai contrafforti del Mas Escorpì, passando da 100 a 350 metri sul livello del mare. Da questo cru nascono i più significa-

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biodinamico. Alla fine del novembre scorso, Gramona ha registrato due momenti significativi per i suoi Cava de Paraje Calificato: il debutto di “Enoteca Gran Reserva 2002” – 180 mesi sui lieviti con tappo in sughero - ovvero il top di gamma della maison catalana; il premio di miglior SW bio al mondo assegnato dal

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tivi vini di Gramona. Gramona è un nome particolare per il Cava per un paio di caratteristiche importanti: è stata la prima cantina a credere nelle potenzialità di invecchiamento delle bollicine catalane; è stata una delle più determinate nell’evoluzione delle sue tecniche agronomiche virando nel 2010 verso il biologico ed il


Spagna

Questo l’elenco dei primi Cava di Paraje Calificado autorizzati dalla DO Cava. Vigna, nome cantina, vini ottenuti: Vinyes De Can Marti, Torelló, Gran Torelló Y 225 Turó D’en Mota, Recaredo, Turó D’en Mota Serrall Del Vell, Recaredo, Serral Del Vell Vallcirera, Alta Alella, Mirgin La Capella, Juve & Camps, La Capella Can Sala, Agrícola Casa Sala, Casa Sala La Pleta, Codorniu, La Pleta El Tros Nou, Codorniu, El Tros Nou La Fideuera, Codorniu, La Fideuera Can Prats, Vins El Cep, Claror Font De Jui, Gramona, Enoteca, Celler Batlle,III Lustros Terroja, Sabaté I Coca, Sabaté I Coca Reserva Familiar Frutta secca, caffè…Il palato è molto più fresco, verticale e diretto e ancora con una invidiabile acidità. Il “Celler Battle GR 2007” Brut mantiene la stessa percentuale dei due autoctoni nell’uvaggio (75 xarel-lo e 25 macabeo). Le uve provengono dallo stesso Paraje Calificado e stanno sui lieviti 120 mesi; l’olfatto è molto ricco: frutta bianca - pesche, mela golden, albicocche, scorza di limone. E poi erbe aromatiche, pino, leccio, muschio. Le note di invecchiamento sono infinite, crosta di pane tostato, nocciole che si fondono con altrepiù dolci e calde come albicocche secche, fichi e caramello. Il palato è molto ampio, caldo, cremoso dove tornano le note più fruttate. Tre Cava di altissimo spessore che già si impongono come lo stato dell’arte della denominazione catalana.

Challenge Euposia al “Celler Battle Gran Reserva 2007”. Partiamo dall’Enoteca: il primo millesimo risale al 1997 e questo Cava vuole dimostrare come le intuizioni di Gramona sulle potenzialità di invecchiamento abbiano fondamento. La versione Brut, 7 grammi-zucchero/litro, vede nella sua liquer di expedition vini della solera di famiglia risalenti sino a 100 anni fa. La “Gran Reserva Brut” si presenta con un olfatto potente e molto deciso: mela al forno, albicocca, susine e mandorla. L’evoluzione del lungo affinamento porta a note di vaniglia, pane tostato, torrone, marzapane, caffè con ulteriori sensazioni di sottobosco. Palato rotondo e opulento. La “Gran Reserva Nature” presenta un olfatto più vibrante, meno caldo, dove si ritrovano le note di albicocca e mandorla, ma anche il the, la pesca, profumi più balsamici di rosmarino, alloro, eucalipto, anice.

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Verona

La perla della Val d’Illasi Tenuta Chiccheri rappresenta la nouvelle vague dei vini veronesi di qualità

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l confine orientale della Valpolicella, soltanto una strada sterrata fa da confine con l’area del Soave, una vecchia proprietà agricola è diventata una delle cantine veronesi emergenti per qualità: Tenuta Chiccheri in pochi anni ha saputo conquistarsi un suo spazio in un mercato affollato ed in una denominazione dove l’asticella della qualità è – oggettivamente – molto alta. Merito del terroir, ci troviamo a Tregnago, in val d’Illasi, uno dei vigneti più belli d’Italia, ed an-

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che della carica imprenditoriale di Giancarlo Ruffo, industriale di Verona nel settore meccanico, che ha costruito il suo “impero” sulla base di poche, semplici, regole di vita. Con 17 ettari di superficie complessiva fra bosco, uliveti e vigna – 11 gli ettari vitate – e 50mila bottiglie prodotte ogni anno, Tenuta Chiccheri è molto di più di un semplice “buen retiro” come testimoniano la proiezione internazionale e i molti riconoscimenti ottenuti dai vini, non ultimo quello di “miglior metodo classico d’Italia” nell’ultima edizione del Challenge Euposia con la Cuvée del

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Verona nel 2003». Come è arrivato a scegliere la zona di Tregnago in particolare? «La scelta è stata casuale, durante vendita una passeggiata in collina, ho visto una vecchia proprietà in vendita. Apparteneva ad una vecchia famiglia di agricoltori, uno di questi – quello, evidentemente, più benestante – amava scendere in paese, a cavallo, per prendersi una “chicchera” , una tazzina di caffè in lingua veneta. Da qui il suo soprannome “Chicchero” diventato poi di tutta la sua famiglia. Mi sembrava un bel ricordo da salvaguardare. Ma, soprannomi a parte, la tenuta era bellissima, con vigneti a 400-500 metri sul livello del mare, rivolti a sud. Ne ho intuito le potenzialità, ma soprattutto me ne sono innamorato». Mi spiega la scelta dei vini: per i rossi ha puntato sugli autoctoni veronesi (corvina, corvinone, croatina e rondinella), ma ha mantenuto due internazionali come chardonnay e pinot nero… «Beh, essendo Tenuta Chiccheri in Valpolicella “allargata” come non concentrarsi sui “nostri” rossi della denominazione? Ma confesso che mi sono sempre piaciute le bollicine, e da questa passione deriva la decisione di non cancellare questi vigneti – lo chardonnay è la vigna più vecchia della tenuta: ha trent’anni ed è l’unica ad aver conservato la tradizionale pergola, come sistema di allevamento – e di realizzare dei metodo classico».

Fondatore Montpré «Ho sempre avuto la passione per la natura e la vita del settore agricolo – racconta oggi Giancarlo Ruffo-. Fin da bambino aiutavo i miei genitori mezzadri nei campi, in stalla e , durante l’inverno, prima di andare alla scuola elementare mi alzavo alle 4 del mattino per mungere le vacche. Il vino mi ha sempre affascinato e fin da quando ho acquistato la tenuta ho iniziato a produrre vino prima per la famiglia e per gli amici; per un periodo ho conferito le uve alla cantina sociale, successivamente, considerando la zona estremamente vocata alla produzione di vini di qualità ho pensato di investire nel settore vinicolo in maniera ancora più diretta. Dapprima lavorando sulle vigne - estirpando vigneti già esistenti- per poi fare nuovi impianti. Successivamente sono stati fatti investimenti in cantina. Tenuta Chiccheri nasce così

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Verona

la?

Pensa mai ad autoctoni come garganega e durel-

se si vogliono raggiungere risultati veri, per arrivare alla qualità massima, bisogna saper restare concentrati. Per il momento, quindi, non penso a nuovi impianti con gli autoctoni a bacca bianchi».

«L’imprenditore ed il vignaiolo sono sempre alla ricerca di nuove sfide. Però ho anche imparato che

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Cuvée del Fondatore Montpré Brut 2010: la degustazione Il terreno su cui nasce questo metodo classico è calcareo; i vigneti – 4mila ceppi/ettaro - sono a pergola per lo chardonnay mentre il pinot nero poggia sul guyot. Vendemmia manuale e almeno trenta mesi di affinamento sui lieviti. Il vigneto a chardonnay è quello “storico” della Tenuta, con trenta vendemmie sulle spalle.

Torniamo alla scelta di produrre eccellenza nelle bollicine col metodo classico e la scelta del pinot nero che nel veronese non ha grande tradizione: come è nata questa intuizione? «Un po’ ha giocato la mia passione per i vini spumante di spessore, ma una parte determinante l’ha giocata la tenuta stessa. Questa zona è vocata per i rossi , ma altitudine e mineralità del terreno fanno sì che chardonnay e pinot nero possano esprimersi al meglio con buona freschezza, eleganza e profumi. Il resto è venuto di conseguenza». C’è un modello di vignaiolo, di azienda vinicola (in Italia o all’estero) cui guarda per ispirarsi? dalla tipologia dei vini al modello di business... «Ci si ispira sempre a chi sa fare bene il proprio mestiere avendo come base su serietà ed onestà. Il panorama internazionale è costellato da eccellenti vignaioli. Sono consapevole che Tenuta Chiccheri è una realtà giovane e so che ci vuole il giusto tempo per crescere. Sacrificio e dedizione insieme ad un altro importante ingrediente -umiltà - non devono mai mancare nel lavoro quotidiano».

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Al naso sono immediate le note di glicine e fiori bianchi, pesca e mela al forno. Profumo di crema pasticcera e leggera tostatura. Il palato è molto coerente con l’olfatto: tornano le note fruttate che virano sul cedro candito e su un prezioso balsamico. Caldo, ampio, e di lunga persistenza; di grande freschezza e piacevolezza, molto invitante alla beva.

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Toscana

Stéphane Derenoncourt e Campo alla Sughera: si va verso vini discreti, eleganti e puliti

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all’inizio del 2017 Stéphane Derenoncourt - e il suo partner David Picci - lavora a Bolgheri , a Campo alla Sughera, la giovane maison di proprietà della famiglia Knauf, imprenditori tedeschi leader nel settore dell’edilizia, che in Toscana hanno avviato uno stabilimento produttivo . Dopo dodici mesi di lavoro è il momento di un primo bilancio di questa esperienza. «All’inizio dell’anno abbiamo esaminato la filosofia aziendale con la proprietà e definito gli obiettivi di produzione. Si tratta di un progetto entusiasmante che ci dà libertà creativa e condizioni ottimali. La questione dello stile e del posizionamento dei vini è stata rapidamente risolta. In realtà, la natura lo ha fatto per noi. Qui i suoli sono di origine alluvionale, leggeri e caratterizzati da strati sabbiosi che incontrano in profondità una base argillosa. Queste caratteristiche naturali dei suoli si ritrovano anche nei vini di Campo alla Sughera: vini di grande finezza e persistenza. Meno carichi e concentrati ma più complessi, vini molto moderni. I vini pesanti e di grande corpo sono ormai superati, la tendenza va verso vini discreti, eleganti e puliti». Cosa distingue Campo alla Sughera dai suoi vicini? «Le differenze sono molteplici: oltre ai terreni leggeri, c’è la dimensione umana di un’azienda a con-

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duzione familiare che rende Campo alla Sughera una “Boutique Winery”. Inoltre abbiamo a che fare con una realtà relativamente giovane dove i vigneti hanno appena superato l’adolescenza. Sono stati cresciuti bene, con grande motivazione e passione e ora sono pronti per raggiungere gli obiettivi prefissati. Ma ciò

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Toscana

che mi colpisce maggiormente è che lo “spirito del viticoltore” è vissuto da tutta la squadra. Un team altamente motivato e multiculturale che ha un approccio globale al lavoro e in cui i membri condividono quotidianamente le esperienze in vigna e in cantina». Come è cambiato negli anni il lavoro in vigna? «Il 95 percento di un buon vino dipende dalla qualità delle uve, il nostro lavoro in vigneto è dunque molto complesso e rende necessario svolgere una grande varietà di compiti: dall’analisi del suolo e delle misure per aumentare la profondità delle radici, alla formazione del team che pota le viti. La situazione che abbiamo trovato offre le condizioni ideali per la nostra visione: un’alta densità d’impianto (9.500 ceppi per ettaro) combinata con una bassa altezza delle viti, in linea con il metodo “médocaine” utilizzato negli chateaux della regione di Bordeaux. Questo metodo per una realtà come Campo alla Sughera ha un grande potenziale, nonostante il lavoro necessario nel vigneto sia impegnativo in termini di costi e manodopera poiché coinvolge molte attività manuali e l’uso di attrezzature specifiche. La vendemmia è un lavoro certosino, e avviene come da tradizione con la raccolta di pochi grappoli per vite. Dividiamo gli appezzamenti in settori, raccogliamo le uve seguendo la perfetta maturazione fenolica ed eseguiamo sempre la vinificazione separatamente in piccoli serbatoi. Ne risultano alla fine un’incredibile complessità e raffinatezza». E in cantina? Com’è il lavoro oggi e come si svol-

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gerà in futuro? «Anche in cantina lavoriamo in armonia con la natura e nel rispetto delle leggi naturali. Già vent’anni fa è stato implementato un sistema a gravità: la cantina profonda offre condizioni climatiche ideali con temperature basse costanti e umidità naturale, senza rendere necessario il controllo della temperatura. La vinificazione è lenta e senza vincoli di tempo. Per limitare l’estrazione, il mosto viene movimentato molto poco. Il nostro obiettivo è quello di preservare la freschezza dell’uva raccolta, non vogliamo aromi maturi e pesanti. La maturazione delle uve è influenzata dal clima caldo e secco, utilizziamo anche una leggera tostatura per i vini rossi e preferiamo l’utilizzo di botti grandi, Tonneau, alle classiche barriques». Cosa ci riserverà il 2018, l’anno dell’anniversario di Campo alla Sughera? «Abbiamo già preparato le prime Cuvées, dove Cabernet Franc, Merlot e Petit Verdot giocano ruoli chiave, ma in una composizione diversa. Per il ventennale della cantina verrà lanciata un’edizione speciale, ma questo è tutto quello che possiamo rivelare al momento».

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Alto Adige

Löwengang, la sfida della famiglia Lageder compie trent’anni

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da quel podere sarebbe iniziato un nuovo percorso fatto di passione ed entusiasmo. Un’ulteriore spinta giunse poi nel 1981, con Robert Mondavi. I suoi suggerimenti furono determinanti per la scelta di usare piccole botti di rovere, di ridurre le rese per ettaro e di lasciar affinare i vini bianchi sui lieviti per periodi prolungati. Fu con queste premesse che, nel 1984, nacquero i primi due vini Löwengang». Oggi Clemens Lageder prosegue – con entusiasmo e passione - il cammino intrapreso anni fa dal nonno e dal padre. «Oggi, a trent’anni di distanza, per noi ogni nuova annata è una sfida affascinante, un incentivo a migliorare, vendemmia dopo vendemmia, la qualità della linea Löwengang» dichiara la sesta generazione Lageder. «Crediamo da sempre che sperimentare, sia nel vigneto sia in cantina, sia il modo migliore per affrontare il futuro, studiando i cambiamenti climatici e producendo dei vini che raccontino la splendida diversità che caratterizza l’Alto Adige». Ci fu un’ondata di scalpore in Alto Adige, quando la Tenuta Alois Lageder, a metà degli anni Ottanta, per la prima volta vinificò uno Chardonnay in bar-

öwengang è il nome dello storico podere di proprietà della famiglia Lageder dal 1934, situato nel comune di Magrè – che si trova a una quota di 210-240 m s.l.m.. Gli omonimi vigneti sono distribuiti all’interno del paese e precisamente si adagiano su un conoide detritico che si estende ai piedi di pareti di dolomia sorte milioni di anni fa (terreni sabbioni, ghiaiosi e ad alto tenore calcareo). Magrè è una piccola oasi di clima mediterraneo ai margini della Bassa Atesina che gode di giorno dei benefici del caldo Ora proveniente da Sud e di sera di venti freschi della gola di Favogna. È qui che prosperano vitigni come lo Chardonnay, il Carménère e il Cabernet, che, nel clima mite della valle, hanno trovato un habitat ideale e proprio qui si trovano quelle viti di 140 anni, tra le più antiche dell’Alto Adige, dalle quali proviene il Cabernet dell’Anniversario. «Quando mio padre, nonno di Clemens, nel 1934 rilevò il podere Löwengang, impresse una svolta cruciale per la storia della nostra Tenuta”, dichiara Alois Lageder, quinta generazione della famiglia, e continua “in quel momento la nostra famiglia sentì che

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rique. Ma ben presto anche i più scettici dovettero ricredersi, perché quel Löwengang Chardonnay fu il primo vino bianco altoatesino a entrare nel novero dei bianchi più apprezzati sui mercati internazionali. Quel vino ha scandito come nessun altro la storia della Tenuta e di tutto il territorio. Fu nel 1986 che giunse sul mercato il primo Löwengang Chardonnay, annata 1984. Oggi, per celebrare il trentennale, la Tenuta presenta un’edizione unica battezzata “30 anni Löwengang Chardonnay”, con un uvaggio delle annate 2013, 2014 e 2015. Ciò significa che una parte di questo vino è maturata sui lieviti in barrique per ben tre anni. Le tre annate che lo compongono sono state climaticamente molto diverse, come i vini che ne sono scaturiti. Il 2013 era stato variabile, con vini ben strutturati, nel 2014 il clima era stato più freddo, dando vita a vini più sobri ed eleganti, mentre il 2015 è stata un’annata molto calda, con vini assai robusti. Quando invece giunse sul mercato il primo Löwengang Cabernet, annata 1984, le viti di questo vigneto avevano già un’età di circa 100 anni. A differenza degli impianti giovani, che danno ai vini più robustezza e freschezza, le viti più vecchie producono vini assai più strutturati e dotati di un’incredibile armonia e “saggezza”. Oggi, alcune di queste viti hanno fino a 140 anni di età, e sono fra le più antiche dell’Alto Adige. Il conte Melchiori, allora proprietario del podere e del vigneto, nel 1885 piantò in diverse particelle del comune di Magrè delle barbatelle di Cabernet. Ma probabilmente non sapeva che buona parte di quelle piante messe a dimora fossero – e The Italian Wine Journal

sono tuttora – delle viti di Carménère. Per conservare intatto un patrimonio genetico così prezioso, la Tenuta Alois Lageder ha isolato per selezione massale nuove piantine, estendendo la superficie di questi vigneti. Con l’annata 2014, per la prima volta sono state selezionate e vinificate le viti di questo antico dna, ottenendo un vero balzo di qualità.

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Alto Adige

Appius 2013 : nuova annata per il vino “da collezione” della Cantina San Michele-Appiano

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la prima parte dell’affinamento svolta in barrique e tonneaux per circa un anno; seguono poi tre anni di elevazione in tini di acciaio prima dell’imbottigliamento. Il gusto è massiccio, polposo con una beva fresca e naturale, vivida e appagante. Nel retrogusto sorprendono le note di pera Williams, tipica del Sauvignon blanc, con le note tostate dei legni. Un vino da abbinare a piatti di pesce decisi a base di rombo o coda di rospo, un gustoso risotto ai frutti di mare, ma anche piatti che vedono protagonisti i volatili selvatici oppure delicate pietanze a base di vitello. Appius, cui nome è radice storica e romana del nome Appiano, è nato tre anni fa con l’annata 2010, sui hanno fatto seguito i millesimi 2011 e 2012. Il progetto vuole concepire e realizzare anno dopo anno un vino capace di rappresentare fedelmente il millesimo e di esprimere la creatività e la sensibilità del suo autore, Hans Terzer. Anche il design della bottiglia e la sua etichetta sono reinterpretati. Lo scopo è di concepire una “wine collection” in grado di entusiasmare gli appassionati di vino di tutto il mondo. Ogni edizione di Appius è limitata; quest’anno sono 5.000 le bottiglie disponibili, più un centinaio di magnum.

uarto anno consecutivo per Appius, il vino da sogno di Hans Terzer. La Cuvée è ottenuta dalle selezioni di punta, il meglio dell’annata, conferite alla Cantina San Michele-Appiano e personalmente scelte dal winemaker sulla base di criteri personali e vocati alla qualità; un vino che vuole misurarsi con i migliori vini del mondo. È riferita all’annata 2013 in cui la vendemmia in Alto Adige è stata più che positiva. Le condizioni climatiche favorevoli hanno privilegiato soprattutto le uve bianche ancora una volta protagoniste in Appius. In questa edizione 2013 è evidente una decisa prevalenza di Chardonnay (55%), Sauvignon (25%) e il resto è ripartito tra Pinot Grigio e Pinot Bianco. Al centro della personalità di Appius 2013 la consistenza e la freschezza di questo vino dal limpido colore giallo dorato con un’intensità di profumi di bouquet di frutta esotica come l’ananas, la papaia e il frutto della passione. Nei dettagli anche la buccia di agrumi, ascrivibile allo Chardonnay. Frutti freschi come mela e pera sono da attribuire al Pinot bianco e il Pinot grigio. Raffinate note speziate e dolci di vaniglia e noce moscata grazie alla fermentazione di Appius 2013 che avviene in botti di legno, così come

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Distillati di Filippo Ciardi

Fundador, l’origine del mito

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Jerez é imprescindibile una visita alle cantine Fundador. La loro origine risale al 1730 e fin dall’inizio sono state strettamente legate al cognome Domecq. Nonostante la sua origine francese, questo lignaggio é stato sempre radicato in questa terra e alla storia dei suoi vini e brandy. Della storia di questa famiglia, probabilmente il personaggio più importante è Pedro Domecq Lou-

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stau, che passa alla posterità per essere il creatore del Fundador, il primo brandy spagnolo. Nel 2015 le cantine sono state acquistate dal Grupo Emperador Spain, una societá appartenente alla holding della famiglia filippina Tan, Alliance Global Group. Il complesso architettonico di queste cantine è il più antico di Jerez e uno dei più spettacolari. Si distingue ad esempio la Porta di Rota del muro arabo di epoca medievale, con un’architettura perfettamente

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integrata delle cantine nella città di Jerez che mostra l’importanza dell’industria vinicola nell’ambiente urbano. Tra gli edifici che compongono la totalità delle cantine mettiamo in evidenza El Castillo, El Molino, La Tribuna, La Luz e La Mezquita ed alcune di queste si possono scoprire in una visita guidata in vari giorni della settimana. Tutto nacque nella cantina El Molino, risalente al 1730 ma installata in un edificio che in precedenza

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era un vecchio mulino e che è oggi un luogo particolarmente speciale a causa delle sue mura centenarie e delle botti considerate reliquie e gemme di enologia, come la prima del brandy Fundador, del 1874, firmata da Re Alfonso XIII, e altre ancora contenenti vari tipi di vini sherry con parti del XVIII secolo, dedicate e firmate da personaggi illustri che hanno visitato la cantina.

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Distillati

A Jerez de la Frontera si trova la botte originaria del 1874 del primo brandy della bodega più celebrata di Spagna


Distillati

Da lì si accede al Patio del Sacro Cuore, dove ad una delle sue estremità é l’imponente giardino della Porta di Rota, disegnato nel 1823, dall’altra una piccola fontana con un busto di Pedro Domecq Loustau. Attraversando il patio troviamo la cantina La Tribuna, da dove si accede al Patio e alla cantina de la Luz (della Luce) per essere stata una delle prime ad avere elettricità, alla fine dell’Ottocento. Un altro patio, chiamato I Chiostri, era effettivamente parte del Convento dello Spirito Santo, il più antico di quelli esistenti a Jerez e risalente al XIV secolo. Ma la grande attrattiva attuale é La Mezquita, la Moschea, per l’architettura che richiama nelle colonne e negli archi lo stile mudejar. Si tratta di una delle più grandi cantine del mondo, inaugurata nel 1974 per celebrare i 100 anni del marchio Fundador e destinata a conservare tutto il “soleraje”, del primo brandy spagnolo (cioè con le botti posizionate vicino al suolo da cui si imbottiglia), ma una volta terminata il suo aspetto e le sue impressionanti dimensioni ne hanno reso inevitabile denominarla anche “La Gran Bodega” in quanto può albergare 40.000 botti di rovere americano. Ci sono alcuni elementi fondamentali per l’in-

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vecchiamento sia dei vini sherry che dei brandy. Tra questi l’umidità, tenuta sempre al di sopra del 70%, in cantina gli operai provvedono a mantenerla “innaffiando” costantemente il suolo, cosparso di terra. Un altro particolare interessante sono le grandi finestre, di cui si tengono aperte quelle dalla cui direzione soffia il vento, da cui entra la brezza oceanica. E da ricordare che tanto i vini che i brandy di Jerez non sono “di annata”, ma invecchiano con il sistema delle botti criaderas e soleras. Solo da queste ultime si imbottiglia 1/3 del contenuto varie volte all’anno, riempiendole di 1/3 del contenuto della botte criadera contenente vino o brandy un anno più giovane, e così via si risale la piramide di botti a seconda degli anni minimi di invecchiamento di ogni tipo di vino o brandy. Immaginiamoci che nelle cantine Fundador, anche se fisicamente le botti si cambiano dopo alcune decine di anni, ci sono soleras di vini e brandy che hanno iniziato questo processo più di 100 anni fa, e allora possiamo capire il perché dell’alto prezzo dei vini qualificati come VORS, Very Old Rare Sherry, con piú di 30 anni di etá, o delle Soleras Gran Reservas dei brandy piú rari.

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a curiositá é che il primo brandy spagnolo nacque “per caso”. 500 botti non pagate e non inviate restarono dimenticate e dopo 5 anni un enologo della bodega che provó il loro contenuto constató un cambio radicale in quello che sarebbe stato il prototipo del primo brandy Spagnolo, lanciato nel 1874 da Pedro Domecq Loustau. Il brandy Fundador viene ottenuto distillando alcool di vino, che crea in un primo momento una bevanda con il 70% di grado alcoolico, chiamata “Olanda”. Poi l’alcool diminuisce attraverso l’aggiunta di acqua pura, l’evaporazione e l’invecchiamento in botti che precedentemente hanno contenuto vino di Jerez, per un minimo di 3 anni, e con il sistema dei travasi di un terzo di brandy dalle botti criaderas a cascata fino alle soleras, da cui viene imbottigliato. In degustazione si presenta di un colore mogano brillante, profumo elegante con un delicato ricordo di legno di quercia, palato netto, vibrante, lineare. Il brandy Fundador ha 36 gradi, mentre la variante Solera Reserva raggiunge i 40 gradi alcoolici e ha un invecchiamento tra gli 8 e i 10 anni. L’altro marchio di brandy prodotto dalle bodegas Fundador é Terry Centenario, che deriva il suo nome da Fernando A. de Terry, commerciante di vini sherry irlandese che nel 1865 fondó una impresa di vini sherry a El Puerto de Santa Maria.

commerciante di vino sherry nel Regno Unito. Tra questi vini, tutti hanno ricevuto dei premi ma menzioniamo qui Harveys Very Old Amontillado – VORS, la cui prima solera si costituí nel 1904, dichiarato miglior vino del mondo nel 2016 alla International Wine Challenge di Londra e che nel dettaglio ha ricevuto i seguenti premi: Gold Medal – Decanter World Wide Award 2017 Gold Medal– International Wine & Spirits Competition 2017 Bronze Medal – International Wine Challenge 2017 Gold Medal - Sommelier Wine Awards 2017 Champion of Champions – International Wine Challenge 2016 Gold Medal – International Wine Challenge 2016 Una bottiglia costa circa 200 euro. Da ricordare nella gamma classica dei vini sherry Harveys, il Bristol Cream, uno degli sherry piú venduti al mondo, che si ottiene mescolando i vini fino, amontillado e oloroso con una parte di Pedro Ximenez, che producono un vino di 17,5 gradi alcoolici con un sapore vellutato in grado di conservare sia parte del gusto secco dei primi tre ottenuti da uva Palomino che del dolce dell’ultimo ottenuto da uve appassite al sole. Oltre che liscio e freddo in un bicchiere da vino, si può servire in un bicchiere largo e basso, con ghiaccio e una fetta d’arancia, o anche con limonata e ghiaccio.

Sherry Harveys I vini sherry prodotti dalle bodegas Fundador hanno marchio Harveys, derivante dal nome dell’impresa John Harveys and Sons, fondata nel 1796 a Bristol, che si convertí nel principale produttore e

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Carso di Franco Ruffo

Edi Kante, il profeta del Carso

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coprire l’enogastronomia del Carso è come aprire uno scrigno sobrio nelle forme, ma prezioso nell’offerta di veri gioielli. Perché tra quelle pietre, tra quelle doline, si incontrano vini (non solo, ma anche salumi, la carne, formaggi, erbe, il miele, l’olio tergeste, i pesci del golfo di Trieste) e personaggi (quasi nessuno con cognome italico) che è impossibile riprodurre altrove. Come l’ambiente, d’altra parte, dove si fondono la brezza del mare,la forza della bora, la pietra e i calli delle mani, ma anche la tenacia e l’inventiva degli uomini e delle donne di questa terra solo all’apparenza ingrata. Per i vigneti, come il riscoperto Vitovka, ci vuole tutto l’animo di questa gente per recuperarlo, per farne un grande vino dove acidità e mineralità si uniscono per proporre un prodotto che definire rude è poco. Eppure è sempre su queste pietre , dove un tempo c’era solo bestiame, oggi terrazzate , con vista sul Golfo, spazzate dalla bora, con la roccia triturata per renderla agibile, che nascono non solo la sapida Vitovka , l’aromatica Malvasia, la rara Glera e l’asprigno Terrano. Tutti ben raccontati nel volume Vitovka da Stefano Cosma. Profeta primo di questi vini, di questa terra (con un’altra ventina di coprotagonisti), è Edi Kante, già presidente del Consorzio, affiancato dalla moglie che fa incetta anche di salumi e formaggi del fratello. Perché, come dice Edi, su questa terra possono vivere solo famiglie, con pochi ettari di vigneto. In novembre Edi era in Brasile, per chiudere un’esperienza aziendale che non si confaceva alla sua incredibile genialità che, invece, tornerà ad esprimersi con un nuovo vigneto non lontano da Prepotto (270 mlm), dove Kante ha costruito il suo “castello”. Dal bestiame alla riscoperta della Vitovka , questo vignaiolo propulsore del Carso, è passato a produrre vino dopo aver fatto anche il produttore di barbatel-

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le. Si definisce flessibile e duttile insieme, ma, comunque, è capace di grandi idee e di grandi imprese. La maggiore impresa è stata quella di realizzare una cantina scavando nella roccia fino a 20 metri di profondità, in lite perenne con l’architetto. Ha realizzato per primo - con tanto di mine che facevano saltare la roccia - una cantina dove “crescono” 100.000 bottiglie delle sue “meraviglie” in un equilibrio perfetto di secco ed umido: un anno in barrique e poi sei mesi in acciaio, questa la regola base. Due idee altrettanto vincenti: il pavimento che non tocca la roccia in modo che l’ambiente naturale permanga, un portale rivolto verso il golfo perché la bora dia il suo contributo. E poi l’altra grande idea. Ha fatto produrre bottiglie da 750 con il collo più stretto di quello usuale, quindi tappo più piccolo. A imitazione dei magnum che conservano meglio il vino proprio per il rapporto liquido-tappo. E poi è frizzante come il suo spumante acidulo il giusto, piacevole se lo si sa gustare con saggezza. E la sua casa –cantina-nido si rifà alla personalità del vignaiolo, curioso e attento alle nuove tendenze. Persino le sedie sono dipinte da un giovane artista che riproduce ambienti, personaggi, natura. E il mercato per le 50 mila bottiglie mese in vendita ogni anno? Fino a ieri era solo italiano, ma, come racconta il suo commerciale, in troppi si dimenticano di pagare. E allora, more solito, si va negli Usa, in Scandinavia, domani in Canada, dove si è sicuri che i “tesori” vengono giustamente ripagati

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Franciacorta di Enzo Russo

In Franciacorta il salmone si “tuffa” nelle bollicine

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n Franciacorta si produce con passione e cura le bollicine Franciacorta. Un legame profondo vincola i produttori a questo territorio e la loro ricerca dell’eccellenza non è solo una missione commerciale, ma soprattutto una vocazione e un gesto d’amore. Se ne accorge anche il viaggiatore quando va per cantine e

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ad accoglierlo non trova l’impeccabile e freddo benvenuto standardizzato di strutture pensate come attrazioni turistiche, ma il fascino autentico della storia e dell’attualità del Franciacorta e il calore e l’entusiasmo di chi, con spirito di sacrificio tutto bresciano, ha dedicato la vita a queste vigne. Ogni cantina racconta la sua storia unica che rende l’esperienza della degu-

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un prodotto sicuro, perché piace e fa la sua bella figura con classe. Tra le varietà di salmone ci sono quello dell’Atlantico Salmo Salar pescato lungo le coste atlantiche del Canada e dello Stato di Washington (USA), l’Oncorhynchus che si pesca in Alaska e lungo le isole del Giappone, mentre quello europeo è assai più raro perché minacciato dall’inquinamento al punto tale che in commercio si trovano per lo più i salmoni d’allevamento della specie Salmo Salar. Vi sono, inoltre, altre specie di salmone selvaggio del Pacifico ricercati dai pescatori e buongustai come il Chinhook, ed il Sockeye che costituisce un quarto del totale del pescato. I più conosciuti in Europa sono quello Scozzese, Danese, Irlandese e Norvegese. Ma quali bollicine scegliere per non coprire il gusto del salmone? Dipende dal sapore, dall’affumicatura e marinatura e da altri ingredienti che compongono il piatto. Il percorso pensato da Ghilardotti e Biatta ha messo a confronto due grandi famiglie del Salmone: l’Oncorhynchus (gli splendidi esemplari selvaggi dell’Alaska) e il Salmo Salar dell’Atlantico, ormai quasi totalmente allevato. In questo caso sono quattro i Franciacorta Le Marchesine che si sono “aggiudicati” gli ideali abbinamenti con i piatti realizzati dallo chef. Saten docg millesimato 2013: nasce da uve

Ma oltre a produrre importanti bollicine, Loris Biatta patron de Le Marchesine è un anfitrione che ama invitare amici, operatori del settore e giornalisti per trascorrere con loro alcune ore a degustare le diverse tipologie di bollicine Franciacorta e dissertare sulle annate o come si esprime il vino e la sua evoluzione con il passare degli anni. Lo scorso anno, “ostriche&bollicine” Franciacorta”, quest’anno Loris Biatta ha proposto un altro classico della enogastronomia “salmone&bollicine”, chiamando un esperto come Gianpaolo Ghilardotti, chef e amministratore della Food Lab di Polesine Zibello, una delle realtà più importanti in Italia nella lavorazione artigianale del salmone, un esperto con la giusta sensibilità per scegliere varietà e tipologie più adatte ad essere esaltate nell’accostamento alle bollicine, un abbinamento perfetto con un ritmo di acido scalpitante. Le bollicine poi, sviluppano un’azione sgrassante sul palato, hanno tutte le carte in regola per essere un ottimo vino da tutto pasto da abbinare a una vastissima rosa di piatti, dagli antipasti alle carni, dal pesce di mare a quello di lago. Il salmone coniuga gusto, praticità e versatilità, è

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Franciacorta

stazione più completa e gratificante. Una di queste è certamente l’Azienda Agricola Le Marchesine – Passirano (Bs), una delle principali realtà vitivinicole del comprensorio che produce oltre 500 mila bottiglie di diverse tipologie, tra millesimati Docg e non, che quest’anno ha ricevuto numerosi riconoscimenti: Bibenda - 5 Grappoli: Franciacorta Secolo Novo Riserva Dosage Zero 2009; Sparkle - 5 Sfere: Franciacorta Rosè Millesimato 2012; Vini Buoni d’Italia; 4 Stelle-Golden Star: Franciacorta Secolo Novo Riserva Dosage Zero 2009; Vinplus Rosa Oro: Franciacorta Secolo Novo Brut Millesimato 2010


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Chardonnay. Il colore è giallo con riflessi dorati, profumo intenso, sapore fresco, morbido e sottile. Con il carpaccio di Salmone selvaggio d’Alaska Sockeyw: colore rosso intenso tendente all’amaranto, bassa percentuale di grassi, sapore delicato ma con spiccate note marine, struttura molto morbida e pastosa. Carpaccio di Norvegia: colore rosa intenso, tendente all’arancione; l’alta percentuale di grassi donano alla carne un aspetto brillante con evidenti venature bianche. Sapore molto delicato con spiccati sentori di alghe, struttura morbida ma al contempo consistente alla masticazione. (foto 1)

(foto 1)

Brut Blanc de Noir docg millesimato 2013: Pinot Nero in purezza. Perlage finissimo e persistente con un bouquet di frutti rossi, lampone e mora. In bocca risulta vivo e strutturato, lungo e persistente. Con Sashimi di Salmone affumicato norvegese: colore rosa intenso, tendente all’arancione, l’alta percentuale di grassi donano alla carne un aspetto brillante con evidenti venature bianche. Il sapore che ricorda le alghe, è ben equilibrato con le note di fumo che risultano appena percettibili solo dopo alcuni istanti, struttura morbida ma al contempo consistente alla masticazione. (foto 2) Brut Secolo Novo docg millesimato 2010: Chardonnay in purezza. In bocca risulta strutturato dal sapore asciutto e secco, elegante e pieno al gusto. Perlage finissimo e persistente. Risulta perfetto con Salmone norvegese marinato alle erbe, gocce di senape in grani. Dal colore rosa intenso, tendente all’arancione, l’alta percentuale di grassi donano alla carne un aspetto brillante con evidenti venature bianche. La marinatura con zucchero di canna, sale ed erbe aromatiche, donano alla carne un sapore erbaceo con leggere note tostate, struttura morbida ma al contempo consistente alla masticazione. (foto 3)

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Franciacorta Dosage Zero Secolo Novo Riserva 2008: Chardonnay in purezza. E’ un vino dal colore giallo di buona carica con riflessi verdolini dal perlage finissimo e persistente. L’ aroma è fine e complesso e il sapore asciutto, secco con vena acidula e nervo caratteristico, elegante e pieno al gusto. Per le sue caratteristiche si abbina con classe alla tartare di salmone leggermente affumicata di Sockeye, Salmone selvatico d’Alaska, con avogado, crumble di cererali e pesto liquido. E’ un piatto molto complesso che unisce la croccantezza dei cereali con la cremosità dell’avocado. (foto 4). (foto 3) Ringraziamenti Azienda Agricola Le Marchesine Via Vallosa 31 – 25050 Passirano (Bs) www.lemarchesine.com per la degustazione del salmone: Food Lab Strada Provinciale 97 43016 Polesine Zibello (Pr)

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Provincia di Modena di Enzo Russo

Lambrusco tra passato e futuro a tavola esalta la gastronomia

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Provincia di Modena

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sempre bello andare a Modena e fare un giro tra i vigneti del Lambrusco e vedere le foglie ingiallite che ricoprono il terreno, sembra di guardare un quadro dell’arte pittorica del Novecento, con in più i profumi della vendemmia appena terminata che si inerpicano nel naso con grande piacere. E’ qui che incontriamo il direttore del Consorzio del Lambrusco di Modena, Ermi Bagni, per parlare per l’appunto della vendemmia del Lambrusco, un vino antico che fa sognare il passato ma anche il futuro, visto che è il più venduto e conosciuto

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nel mondo, al passo con i tempi e sempre alla moda, giovane, frizzante e spumeggiante. La giornata è bella, c’è sole e la temperatura è mite, ci accomodiamo sotto un pergolato per parlare ed ammirare ancora i filari di vigneto che si stanno spogliando delle foglie, è rimasto ancora qualche sporadico grappolo di uva oramai appassita che rende la scenografia ancora più intrigante. “Quest’anno dal punto di vista qualitativo, abbiamo dovuto anticipare la vendemmia di circa 15 giorni per la siccità di quest’estate per preservare le fragranze e le caratteristiche delle uve. Abbiamo

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livello mondiale e da 40 anni il Lambrusco doc è il più venduto nella Grande Distribuzione. Con questo vogliamo dire che, al di là dei cambiamenti climatici, il Lambrusco piace sempre”. E la gradazione: “la vendemmia è stata anticipata proprio per mantenere la gradazione dei 10,5°/11°, perché un Lambrusco a 12° si allontana da quelle che sono le sue caratteristiche. Il consumatore vuole e si aspetta quella grainiziato a fine agosto con il Lambrusco Salamino e dazione”. Nelle tre tipologie di Lambrusco, qual è quella terminato verso la fine di settembre. Considerando che ne uscita bene dalla siccità: “Il Salamino perché che il Grasparossa che dei tre Lambruschi è quello che nasce nella zona collinare, è il più rustico, ha la è il vitigno più vigoroso. Ha avuto la possibilità di buccia più consistente e si conserva più a lungo, ve- avere più acqua, mentre il Sorbara ha avuto un’imniva vendemmiato a fine ottobre, quest’anno per il pollinazione buona, per quanto riguarda il Grasparossa della zona pedocolliclima è stato vendemmiato nare è andata bene, mentre un mese prima. Vendemmia 2017 anticipata in quella collinare il calo si è Dal punto di vista quanfatto sentire”. titativo abbiamo avuto un per salvaguardare t Direttore, quando in calo del 25% su una media Emilia si parla di Lambruprovinciale. Perchè abbiautte le caratteristiche sco, inevitabilmente lo si acmo avuto le gelate primacosta alla gastronomia che verili che hanno colpito del lambrusco qua da voi ha una tradizione nel momento in cui la vite ben consolidata che affonda germogliava e poi la siccità prolungata, due elementi che hanno influito nega- le radici nella cultura contadina e oggi nella grande tivamente nella produzione, anche se in pianura c’è ristorazione stellata dove si preparano piatti che hanstata la possibilità dell’irrigazione di soccorso, men- no una storia, ma rivisti e corretti nei condimenti per una sana ed equilibrata alimentazione. tre in collina questo non è stato possibile”. Vogliamo parlarne per capire meglio quali sono i Ma questo calo ha corrisposto alla qualità: “La qualità si è mantenuta sugli stessi livelli degli anni possibili abbinamenti per gustare con armonia i due precedenti, anche perché produrre di meno non “attori”? «A Modena abbiamo tre Lambruschi doc legati al corrisponde quasi mai a una migliore qualità, spenome del vitigno, poi ce né un altro che è un blend, cialmente il Lambrusco che ha determinate caratteristiche organolettiche che rimangono intatte in non ha una caratterizzazione di vitigno come come il Lambrusco di Sorbara, il Salamino di Santa Croce e qualsiasi situazione climatica. Noi possiamo produrre 180 quintali ad ettaro di il Grasparossa di Castelvetro». Quali sono le caratteristiche dei tre Lambruschi? uva per il Sorbara e il Grasparossa e 190 per il Sala“Il Sorbara ha una spiccata acidità è privo di mino. Questi vini hanno conquistato molti mercati a

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struttura tannica, profumi molto distinti quasi floreali con retrogusto di fruttato ed molto trasversale come abbinamento; il Salamino di Santa Croce è di colore rosso intenso, molto fruttato e poco floreale; il Grasparossa di Castelvetro è più vinoso, profumi che ricordano la frutta matura e una struttura maggiore rispetto agli altri Lambruschi perchè è un uva più ricca di polifenoli ed il territorio dove nasce è pedocollinare, quindi appare più rotondo e morbido”. Tra le tre tipologie qual’è il Lambrusco più richiesto: “Non solo all’estero e fuori dall’area di Modena e Reggio E. le tipologie che vanno per la maggiore sono quelle che hanno un colore più ricco, rosso intenso, il Salamino e il Grasparossa. Però il Sorbara

dal colore rosè è quello che si abbina meglio a certi piatti caratteristici, come i tortellini, cotechino e zampone e bolliti proprio per la sua spiccata acidità”. Quando andate all’estero il Lambrusco lo promuovete con i vostri piatti della tradizione? “Quando organizziamo degli incontri per promuoverlo e farlo degustare, lo facciamo soltanto con il Parmigiano Reggiano, una specie di aperitivo, poi cerchiamo sempre di proporlo con la loro cucina, i loro piatti locali”. In Italia, qualè la Regione che maggiormente consuma Lambrusco? “Dopo l’Emilia Romagna c’è la Lombardia e poi subito dopo viene la Toscana”.

I consigli dello chef Stefano Corghi Piatti ed abbinamenti

Ed ora parliamo della gastronomia emiliana con lo chef Stefano Corghi titolare del ristorante “Il Luppolo e l’Uva” - Via Staffette Partigiane 31/P – Modena, che ha realizzato alcuni piatti della tradizione abbinandoli alle tre tipologie di Lambrusco doc. La sua è una cucina che trae origine dalla tradizione emiliana, ma con un tocco di fantasia che lo porta a realizzare piatti di alta cucina, elaborati quel tanto che basta e non appesantirli nei condimenti, quindi piatti dai sapori delicati, ma decisi, che gratificano il palato.

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cialino di maiale brasato al vino Grasparossa saltato al rosmarino, cubetti di zucca e pancetta croccante con Aceto Balsamico di Modena. In questo caso lo propongo abbinato al Lambrusco Grasparossa, che ha un discreto corpo, perché asciuga la parte succulenta del piatto che ha anche un fondo leggermente dolce e si esalta con il salato della pancetta croccante e l’acidità del Balsamico. Un incontro che esalta i due attori e soddisfa il palato”. Nell’attesa delle portate, lo chef Stefano ci sorprende con un vassoio di salumi emiliani: salame, coppa, prosciutto crudo e lardo accompagnati da tocchetti di Parmigiano Reggiano e gnocco fritto. Non male come benvenuto.

“Come antipasto ho preparato una Tartare di cervo mantecata con il burro e granaglia di nocciole , servita con una riduzione di vino Sorbara e una granella ghiacciata di lampone. L’abbiamo abbinata al Lambrusco di Sorbara perché la dolcezza della carne contrasta con l’acidità del Sorbara. E’ un ideale abbinamento. Come primo piatto ho pensato ai Tortelloni di zucca con un ragù di salsiccia di maiale brado, brasato al vino Salamino e rosmarino. Lo abbiamo abbinato al Lambrusco Salamino perché tende al dolce e quindi la spezia va a contrastarlo creando una sinergia gustativa che appaga il palato. Infine, ho realizzato come secondo piatto Il Guan-

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I piatti li abbiamo provati e degustati in religioso silenzio, proprio per “afferrare” tutti i sapori. Un silenzio che è durato poco, perchè il locale si è subito riempito di persone, non è molto grande, forse è per

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questo che ci si trova a proprio agio. Tutte le portate sono state apprezzate, non hanno deluso, sia per la preparazione sia per la composizione nel piatto, perchè anche l’occhio vuole la sua parte.

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Barolo

Rocche di Castiglione, così è nato il Barolo DOCG della famiglia Oddero

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ercorrendo la strada statale che porta da Alba a Dogliani è facile notare un appezzamento vitato scosceso, piuttosto esteso (la sua ampiezza totale è di 16 ettari), orientato prevalentemente a sud -est: è la Menzione Geografica Aggiuntiva Rocche di Castiglione, DOCG Barolo, che si estende sul territorio comunale di Castiglione Falletto e, in piccola parte (circa per il 10% della sua superficie), entro i confini del comune di Monforte d’Alba. Rocche di Castiglione è da sempre indicata – già Renato Ratti lo fece, nella sua Carta del Barolo - tra le aree di produzione più prestigiose della denominazione. Ma questa è storia nota, patrimonio di conoscenza comune. Ciò che è più raro sapere, di Rocche di Castiglione, è il legame di questa terra con coloro che la possiedono e la coltivano; è il significato che assume per una delle famiglie storiche di Langa, produttrici di Barolo da generazioni (esattamente fin dal 1878): Oddero Poderi e Cantine. La famiglia Oddero è proprietaria di 0,63 ettari all’interno del cru Rocche di Castiglione fin dal 1950. Ogni vite, ciascuna di età compresa tra gli 80 e i 90 anni, racconta la storia di un giovane Giacomo Oddero che, con l’ambizione di tramandare alle generazioni future un appezzamento unico per qualità delle uve e bellezza del paesaggio, acquistò le vigne a metà del secolo scorso. Isabella, giovane nipote di Giacomo Oddero, racconta ciò che il nonno ancora le narra a proposito di quel giorno – o meglio, quella notte - in cui, da proprietario, camminò per la prima volta su quelle terre magnifiche. “Il nonno era giovane”, racconta Isabella, “e si innamorò di quel vigneto ripido, bellissimo, confinante con un bosco selvatico, simbolo già allora chiarissimo di quanto di meglio la

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Langa potesse offrire. Dopo l’acquisto, una notte uscì di casa e si diresse a Castiglione. Rivedere il vigneto di notte lo lasciò senza fiato: il terreno di Rocche di Castiglione è magrissimo, composto per lo più da marne calcaree ed arenarie; il suo colore è bianco, bianco latteo. E quella notte la luce della luna rifletteva tutto questo candore rimandando bagliori argentei. Il nonno ancora oggi mi dice che non avrebbe visto mai più niente di così bello, travolto dall’orgoglio di possedere e poter lavorare una vigna così fuori dal comune”. La medesima passione è stata tramandata anche alle generazioni successive: a Mariacristina, figlia di Giacomo, e a Isabella, sua nipote. Sia Isabella che Mariacristina ammettono di avere con questo vigneto, e anche con il Barolo Rocche di Castiglione DOCG che ne deriva, un legame affettivo molto profondo. Il Barolo che qui nasce ha tratti di eleganza e finezza fuori dal comune. Prodotto in circa 2500 bottiglie per anno, il Barolo Rocche di Castiglione DOCG di Oddero Poderi e Cantine viene invecchiato in botti di rovere da 20 hl per 30 mesi, completando il proprio affinamento in bottiglia per un periodo ulteriore di un anno circa. L’annata oggi in commercio è la 2013, che fin da subito si è presentata come un’ottima vendemmia per il Nebbiolo. È proprio questo vitigno infatti che ha maggiormente beneficiato dello splendido clima registrato da fine agosto a metà ottobre di quell’anno, con giornate soleggiate e calde accompagnate da notti fresche: una condizione ottimale per la sintesi fenolica. Grazie ad un’oculata gestione del carico produttivo in vigneto, con operazioni di diradamento e sfogliatura le uve hanno mantenuto un’ottima maturità: è per questo motivo che il Barolo 2013 ha tutte le carte in regola per garantire una buona struttura e longevità.

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Pinot Nero

Rete d’Impresa Pinot Nero FVG si allarga: tre nuove cantine si uniscono all’associazione

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o scorso 22 ottobre Rete d’Impresa Pinot Nero FVG – il progetto che riunisce le cantine che credono nel Pinot Nero come simbolo di una produzione d’eccellenza – ha annunciato durante la fiera enogastronomica Ein Prosit l’ingresso di tre nuove aziende all’interno dell’associazione. Il modo migliore per dare il benvenuto alle cantine non poteva che essere l’assaggio dei rispettivi Pinot Nero che le rappresentano: il Pinot Nero Red Angel della cantina Jermann, il Pinot Nero 2015 della cantina Gori Agricola e il Pinot Nero 2015 della cantina Antico Borgo dei Colli di RoncSoreli. I tre nuovi arrivi si uniscono così ad un progetto unico e, sposando l’obiettivo comune delle cantine fondatrici, si impegnano nella promozione e valorizzazione del Pinot Nero e delle sottozone del Friuli che danno vita a questo vino inimitabile. Con l’arrivo delle nuove cantine, Rete d’Impresa Pinot Nero FVG coglie l’occasione per arricchirsi ancora di nuove storie e nuove espressioni, diverse e complementari fra loro, ma unite nel rivelare la grande unicità del Pinot Nero in Friuli Venezia Giulia. Jermann: E’ il 1881 quando Anton Jermann, il fondatore, lascia la regione vinicola austriaca del Burgenland e poi le vigne in Slovenia per mettere radici in Friuli Venezia Giulia. Qui continua la sua attività vitivinicola, cui Silvio Jermann grazie alla sua genialità e fantasia, dagli anni settanta dà una svolta epocale, portando l’azienda ai vertici italiani e poi mondiali del vino. Oggi la proprietà Jermann si estende su 200 ettari di cui 160 ettari di vigneto e 20 ettari a seminativi e orticole. Gori Agricola: Piero Gori, fondatore dell’azienda, nel 2009 dà inizio alla realizzazione di un suo sogno. L’amore e la passione della propria terra natia ha ispirato la volontà di unire l’innovazione con la tradizione. La maniacale attenzione per la qualità, il

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rispetto e la valorizzazione dell’ambiente circostante, danno vita ad un’azienda vitivinicola moderna. L’azienda Gori si trova a Nimis, estremo lembo a Nord della zona Doc dei Colli Orientali del Friuli, sulle cui dolci colline si trovano i 18 ettari di vigneti. ABC-Antico Borgo dei Colli di RoncSoreli: ABC-Antico Borgo dei Colli di RoncSoreli nasce dallo scorporo di una parte dei vigneti e di cantina di proprietà di RoncSoreli a Prepotto (Ud) con l’obiettivo enologico di realizzare vini moderni, in termini di freschezza e di facile beva, nel rispetto del territorio. La collocazione dei vigneti nella valle del Judrio (al confine con il Collio Italiano e quello Sloveno) consente un microclima fresco e ventilato, con importanti escursioni termiche che si verificano soprattutto nella stagione estiva, in prossimità della vendemmia. Rete d’Impresa PINOT NERO FVG: Le Cantine Aderenti sono: Castello di Spessa; Conte d’Attimis Maniago; Masut da Rive; Russolo; Zorzettig, Jermann, Gori Agricola, Antico Borgo dei Colli di RoncSoreli.

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Formaggi

Asiago DOP: il 2017 è stato l’anno dello Stagionato raggiungendo quotazioni di 200 euro al chilo

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n anno all’insegna dell’Asiago DOP Stagionato, quello che si è appena concluso. Nel 2017, la produzione di Asiago DOP Stagionato è aumentata del 4,8% rispetto all’anno precedente, con quotazioni in crescita dell’8% (dato dicembre 2017 su dicembre 2016) e vendite a +19,1%, ovvero ai massimi degli ultimi dieci anni.

dell’anno precedente. In particolare, mentre sono state prodotte 1.339.118 forme di Asiago DOP Fresco, l’Asiago DOP Stagionato, prodotto in 232.436 forme, ha visto aumentare di oltre il 19% la quantità venduta dai caseifici produttori, grazie a un crescente apprezzamento da parte di un pubblico sempre più esigente e attento alla qualità di questo prodotto, capace di raccontare l’eccellenza di un territorio.

Nel corso del 2017, grazie anche al piano di regolazione dell’offerta, è stato possibile immettere sul mercato una quantità di prodotto adeguata alla domanda. Come conseguenza, per entrambe le tipologie della specialità veneto-trentina, sono stati evitati incrementi eccessivi delle scorte, rimaste a livelli fisiologici per l’Asiago Fresco e ridotte ai minimi storici per l’Asiago Stagionato, con un calo di oltre il 20% rispetto ai livelli

In quest’anno, Asiago DOP Stagionato si è anche imposto all’attenzione mondiale proprio per le sue caratteristiche uniche, a riprova del livello qualitativo raggiunto. Riconosciuto, a Luxury Cheese, l’evento italiano dedicato ai formaggi di qualità, tra i dieci formaggi più preziosi al mondo, toccando quotazioni di 200 euro/kg per le stagionature dell’annata 2009, Asiago DOP Stagionato ha conquistato anche il titolo “Super Gold”, il prestigioso riconoscimento assegnato ai World Cheese Awards di Londra, la più grande competizione al mondo dedicata ai formaggi.

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scoprite la vostra storia su croazia.hr

Piena di benessere

source: zagreb tourist board, photo by julien duval

photo by hrvoje serdar

Non riempire di giorni la tua vita, riempi di vita i tuoi giorni.


Formaggi di Enzo Russo

Grana Padano Made in Italy da gustare The Italian Wine Journal

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Formaggi Lo abbiamo provato con alcuni vini della cantina Anselmet - Valle d’Aosta

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l formaggio Grana Padano D.O.P. è prodotto fatto unicamente con latte proveniente esclusivamente dagli allevamenti bovini ubicati nella stessa zona, ha caratteristiche d’alto pregio, frutto, oltre che della cura igienico-sanitaria degli allevamenti, anche di una razionale ed attenta alimentazione delle mucche, fatta in osservanza delle rigorose e vincolanti norme dettate dal “Regolamento d’alimentazione” delle bovine da latte che vieta espressamente l’impiego di mangimi contenenti farine d’origine animale, oli d’origine animale e vegetale. Altro elemento importantissimo che contribuisce alla secolare genuinità del Grana Padano sono le migliaia di persone che operano nelle filiere produttive con “lealtà e volontà” perché hanno voluto e saputo conservare, con il rispetto d’antiche regole,

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consolidate dagli antichi usi locali e oggi codificate per legge, i tradizionali metodi di lavorazione che escludono l’impiego di qualsiasi additivo chimico. Insomma un mix tra innovazione e tradizione che ha portato alla conservazione di un ‘ arte antica incentrata principalmente su cinque fattori: 1) utilizzazione del latte fresco di giornata; 2) la parziale scrematura del latte munto di sera mediante affioramento naturale della panna; 3) l’uso di fermenti ottenuti da culture naturali in siero; 4) il fuoco, 5) il sale; 6) l’arte del maestro casaro. Infine, a tutela del consumatore e del prodotto. Il Consorzio per la Tutela del Grana Padano vigila e controlla quotidianamente su tutte le varie fasi di lavorazione: dal foraggio alle bovine al latte, fino alla stagionatura e marchiatura a fuoco che è effettuata dopo un’accurata selezione dai tecnici specializza-

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beffa che penalizza il nostro Paese, sia sotto l’aspetto dell’occupazione sia per le mancate vendite. Incontriamo Stefano Berni, Direttore Generale del Consorzio del Grana Padano, nella sede del Consorzio a San Martino della Battaglia - Desenzano del Garda (Bs) approfittando della sua disponibilità per sapere lo stato di salute del mitico grana, dalla produzione alle imitazioni, due settori molto delicati e importantissimi per la nostra economia. “Il ruolo del Consorzio contro le contraffazioni e le evocazioni è fondamentale, anzi insostituibile. Per rispondere adeguatamente alla domanda propongo due domande: ci si ricorda quante erano le imitazioni e frodi vent’anni fa e quanto sono ora? Ci si ricorda che vent’anni fa si producevano 3,5milioni di forme di Grana Padano ed ora 4,9 milioni? Una fetta non piccola di questi incrementi è legata anche all’effetto sostituzione del finto Grana Padano con vero Grana Padano. Perciò il fenomeno si è ridotto ma è ben lungi dall’essere sconfitto, soprattutto all’estero. Il Consorzio proseguirà questa azione, consapevole di essere insostituibile in tale funzione. Il Mipaaf è attivo nell’aiutarci alla tutela e alla difesa dei prodotti certificati di qualità. Potrebbe però fare di più perché risente dei condizionamenti di chi porta interessi diversi e, a volte, alternativi a quelli dei prodotti certificati di qualità. Dipendesse da me metterei al primissimo posto l’interesse dei consumatori mettendoli in condizione di scegliere sempre più consapevolmente. Il concetto di eccesso di libertà di impresa non si s’addice ai prodotti certificati e loro dintorni, per cui introdurrei alcuni divieti. Vieterei alla distribuzione di proporre i prodotti certificati e i loro cloni in modo attiguo, vieterei che le imitazioni avessero aspetto e pack analogo ai prodotti DOP e IGP, imporrei che nei menù della ri-

ti che compiono una meticolosa opera di controllo sulle forme che vanno dai 12 fino ai 24/26 mesi di stagionatura, quali l’aspetto esteriore, il profumo e il grado di maturazione, la consistenza della pasta che è sondata all’interno con un ago d’acciaio, la battitura della forma con un apposito martelletto per rilevare lo stato di compattezza della pasta, per ottenere, come risultato finale, uno standard produttivo d’alta qualità del Grana Padano e garantire al consumatore la genuinità, la qualità e le sue insostituibili proprietà nutrizionali. Questo breve excursus vuole rimarcare ancora una volta cosa c’è dietro il marchio Grana Padano: il vero Grana Padano, una storia inimitabile che tutto il mondo ci invidia e ci imita. Il Grana Padano è il formaggio Made in Italy, una delle eccellenze più rappresentative all’estero, come la Ferrari, la moda, i vini e tante altre realtà produttive, più imitato all’estero. Lo chiamano gradano, grana pardano, grana americano con la bandiera italiana, danis grana, ecc. Sono questi alcuni nomi che vengono usati per vendere un falso Grana Padano. Sono contraffazioni che oltre a creare un enorme danno alla nostra economia e immagine, diffondono sui mercati degli pseudo formaggi che nulla hanno a che fare con la qualità e la tradizione del nostro millenario Grana Padano Dop, un formaggio genuino dalle insostituibili proprietà nutrizionali. Una doppia

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Lealtà e volontà: regole di qualità antiche e ferree per ottenere il formaggio più amato


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storazione e nei preparati industriali fossero chiaramente indicati gli ingredienti. Vieterei che i produttori di prodotti certificati producessero i similari in modo da indurli ad una scelta: o di qua o di là. Introdurrei nelle scuole di ogni ordine e grado un’ora alla settimana di educazione alimentare per insegnare agli studenti come si distinguono e che diversità ci sono tra i prodotti certificati di qualità e le loro imitazioni”.

no le qualità del Grana Padano, come alcuni buon gustai consigliano, è accompagnato ai crackers o ai grissini che, col loro fondo neutro, ne esaltano aroma e sapore. Vino e formaggio Vino e formaggio sono un ottimo abbinamento perché riescono a esaltarsi l’un l’altro e poi hanno anche una storia in comune. Li unisce l’appartenenza ad un territorio ben specifico che determina le loro caratteristiche. Inoltre sono entrambi sottoposti a un processo di trasformazione: la fermentazione alcolica per il vino e la cagliatura per il formaggio. Poi c’è la maturazione, la stagionatura per il formaggio e l’invecchiamento per il vino. Per gustare nel modo migliore il Grana Padano bisogna scegliere con molta attenzione il vino da abbinare. In questo caso ve ne consigliamo alcuni che nascono in Valle d’Aosta nel territorio di Vereytaz – Villeneuve, della Maison Anselmet. E’ tra le più suggestive della Valle, è costruita interamente in pietra e legno nel tradizionale stile valdostano e vale la pena di essere visitata. Dalla cantina, attraverso la forte determinazione e la passione per il vino di Renato e Giorgio Anselmet, padre e figlio, che con amore e passione curano i 64 vigneti dislocati nei vari terrazzamenti nascono alcune

Alimento a tutto pasto Il Grana Padano è uno dei pochissimi formaggi che può essere consumato in più occasioni, perché la differente stagionatura ed il sapore, che va dal delicato al sapido, permette un uso più flessibile in cucina, a tavola e in altri momenti della giornata. E’ un alimento che potremmo definire a tutto-pasto: si può gustare all’ora dell’aperitivo e a fine pasto, grattugiato o a scaglie per insaporire la pastasciutta o i risotti, sulla pizza, come secondo piatto con le verdure, con le pere o l’uva per una festa gustativa del palato e con tante altre preparazioni di cucina. Per la merenda dei bambini che giocano, corrono e sudano: è ricco di tantissimi valori nutritivi come calcio, ferro, fosforo e sodio. Ma il modo migliore per gustare appie-

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etichette più celebrate in Italia per la qualità ed eleganza. Ma veniamo agli abbinamenti, due eccellenze che si incontrano per donare al palato sapori unici. Con il Grana Padano giovane, stagionato massimo quindici mesi, proponiamo un bianco di classe Chambave Muscat, fresco e profumato, tipico del moscato. E’ un vino secco dalla grande mineralità, dal colore giallo luminoso ed estremamente piacevole in bocca quando incontra il gustoso formaggio. Con il Grana Padano stagionato 24 mesi si consiglia un rosso importante le Prisonnier 14,5°, viene fatto con uve Petit Rouge, Cornalin, Fumin e Mayolet e affinato in barrique. Di colore rosso rubino particolarmente intenso, al palato risulta caldo, vellutato e generoso, molto coinvolgente, non va bevuto ma sorseggiato per sentire tutti i profumi e gli aromi che sprigiona. E per finire, un abbinamento sfizioso di fine pasto, dove nel palato trionferanno sapori delicati e unici, si consiglia con il grana stagionato il passito Arline, leggermente barricato, fatto con uve Pinot Gris, Chambave Muscat e Gewurztraminer. Per il palato sarà una sorpresa gradevole, perché grazie al suo sapore vellutato, il dolce del vino si sposa felicemente e in perfetto equilibrio con il salato del Grana Padano.

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Per informazioni: Consorzio per la Tutela del Formaggio Grana Padano Via XXIV Giugno 8 – San Martino della Battaglia 25015 Desenzano del Garda (Bs) Telefono 030.9109811 – Fax 030.9910487 www.granapadano.com Per la degustazione dei vini si ringrazia: Maison Anselmet Frazioene Vereytaz 30 11018 Villeneuve (Ao) www.maisonanselmet.it

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Prosciutto di Enzo Russo

Carpegna Dop un prosciutto di personalità

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una giornata fredda e, a Trezzo sull’Adda, dove ha sede il Salumificio Fratelli Beretta, si fa sentire maggiormente perché c’è molta campagna. Il responsabile Marketing del Salumificio Fratelli Beretta Enrico Farina e Daniela Pa-

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squino, Marketing Banco Taglio, ci aspettano nella bella sala riunioni dove ci attende un buon caffè. L’argomento dell’incontro è il Prosciutto di Carpegna DOP, un salume che si distingue dagli altri per profumi, sapori e “personalità”. “Per i Fratelli Beretta”, ci dice Daniela Pasquino

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con un ampio sorriso di soddisfazione, “il Prosciutto Carpegna rappresenta l’unicità e una scommessa vinta nell’aver intuito la necessità di riportare in auge una tradizione del patrimonio della Salumeria Italiana che altrimenti sarebbe andata persa”. “Il Prosciutto di Carpegna è unico perché uno solo è lo stabilimento di produzione che lo stagiona, in Italia e nel mondo. Come ogni DOP, questa eccellenza della salumeria è indissolubilmente legata al suo territorio di origine. Il Disciplinare di produzione del Prosciutto di Carpegna prevede, infatti, che ogni fase di lavorazione della materia prima avvenga nella zona di riferimento, in virtù del particolare microclima legato necessariamente a quello che è il risultato organolettico del prodotto”. Quindi l’aria e il clima sono i due elementi necessari per la produzione del prosciutto di Carpegna: “Esattamente. L’aria salmastra del vicino Mare Adriatico si arricchisce dei profumi resinosi delle colline del Montefeltro. Lo stabilimento di lavorazione e asciugatura del prosciutto è immerso in un parco naturale, quello dei Sassi del Simone e del Simoncello. Si tratta della cerreta più grande d’Europa che negli ultimi anni ha guadagnato anche la bandiera trasparente per l’aria pulita.” Quando nasce? “E’ una lunga storia quella del Carpegna. Nasce nel 1400 in queste affascinanti terre a metà tra Emilia, Toscana e Marche, grazie ai suini allevati allo stato brado nelle colline di Montefeltro e alla disponibilità di sale dolce della vicina Cervia. Tutte materie prime della zona che hanno dato origine alla tradizione del Carpegna e alla sua preziosa DOP. Negli anni ‘70 i turisti che trascorrevano le vacanze o i week end in queste zone erano usi comprarlo per portarlo a casa, riconoscendone una rara specialità del territorio”. Questo prodotto rappresenta un po’ la tradizione gastronomica del luogo, con i suoi profumi e sapori

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Un salume recuperato dall’oblìo, un unico stabilimento di produzione e di stagionatura ben caratterizzati. “A noi piace definirlo aromatico. Se il Parma è il crudo dolce per eccellenza e il San Daniele più inteso e strutturato, il Carpegna si distingue per le note profumate ed aromatiche. Il suo carattere si deve principalmente, come detto, al microclima ma anche alla stuccatura a base di farina di riso, sale, pepe, paprika e altri ingredienti che rimangono segreti. Il colore della fetta è leggermente ambrato e la texture inconfondibilmente soffice grazie all’asciugatura a qualche grado più alta.” Dal 2014 il Prosciutto di Carpegna è del Salumificio Fratelli Beretta, da allora cosa è successo?

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Prosciutto

Un prosciutto di nicchia, ma adesso si aprono le porte del grande mercato americano

“Chi produce prosciutti”, ci dice Enrico Farina, “sa che passa un po’ di tempo per farli. Si va dai 14 mesi per arrivare ai 18 e, attualmente, stiamo lavorando a stagionature più importanti. Quando siamo subentrati abbiamo ereditato una quantità di prosciutti già in stagionatura. All’inizio, quindi, ci siamo limitati a perfezionare la parte commerciale, poi abbiamo preso in mano la parte produttiva e ora possiamo dire che tutti i prosciutti che escono dallo stabilimento di Carpegna sono prodotti dal Salumificio Fratelli Beretta. Oggi, quattro anni dopo, siamo al limite della capacità produttiva. Questa è destinata a raddoppiare nei primi mesi del 2018, a potenziamento dello stabilimento perfezionato”. Per quanto riguarda la stagionatura, quale Carpegna troviamo sul mercato? “Il 14 e il 18 mesi.” Stagionato 14 o 18 mesi, secondo voi quali sono le differenze: “Dipende”, dice Pasquino, “ già a 14 mesi il Carpegna è in grado di regalare le aromaticità distintive che abbiamo raccontato, non a caso era il prodotto più venduto e che abbiamo definito di mantenere in vendita. A 18 l’intensità del carattere si fa decisamente più connotata, questa stagionatura è dedicata ai palati più esigenti.” Il mercato del Carpegna: “Fino ad oggi la capacità produttiva è stata limitata”, ci dice Farina, “e quindi ci siamo concentrati prevalentemente sul mercato italiano tradizionale e proposti a qualche catena selezionata, sia con il prodotto al banco taglio sia con l’ affettato in vaschetta preconfezionata. Il mercato estero necessita di un maggiore storytelling del prodotto, in quanto meno conosciuto delle altre

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DOP. Dal prossimo anno però arriveremo negli Stati Uniti, avendo ottenuto tutte le autorizzazioni per esportare. Questo sarà il grande trampolino di lancio del Prosciutto Carpegna sul mercato internazionale: l’attenzione e le aspettative sono molto alte.” Per entrare nel mercato americano avete avuto difficoltà? “Assolutamente si, esistono molteplici vincoli sanitari, legati alle materie prime, alla lavorazione

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nonché alla stagionatura minima. Ad oggi, negli Stati Uniti è possibile esportare solo le DOP dei crudi, tutti gli altri salumi devono essere prodotti e lavorati in loco.” Cosa pensate di fare per promuovere e far conoscere il Carpegna? “Stiamo valutando una campagna pubblicitaria a mezzo stampa dedicata al ritorno, dopo anni, negli Stati Uniti. Sarà un momento importante che accen-

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derà i riflettori su tutte le eccellenze italiane DOP oltreoceano.” Un’ ultima domanda Pasquino, c’è un Consorzio del Prosciutto crudo di Carpegna: “Si. Il Consorzio Prosciutto di Carpegna è nato nel 2015 e, a differenza degli altri, è un Consorzio di filiera. Costituito da un’ unica azienda produttrice, da allevatori e terzisti della zona delle Marche che si pone come obiettivo la valorizzazione di questa eccellenza tra i crudi DOP

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e di una regione così ricca di sapori e saperi”. Auguri per l’America.

nella cantina della Tenuta Cialdini, dove vengono anche prodotte le migliori produzioni di vini firmati Cleto Chiarli.

Bollicine e prosciutto Carpegna

Quintopasso è un vero e proprio omaggio al Sorbara. E’ un progetto della famiglia Chiarli che nasce in una delle loro aziende, Tenuta Sozzigalli di Soliera (Mo), 25 ettari, la zona più vocata alla produzione del Sorbara. Infatti da queste terre è partita la lunga attività di studio e selezione dei fratelli Chiarli che ha portato alla messa in produzione di antichi cloni unici, capaci di produrre uve di altissima qualità che danno vini molto gentili di colore tendente al rosato, sapidi e dotati di un delicato e persistente couquet floreale. E’ qui nella Cantina di produzione di Castelvetro che Quintopasso ha preso “forma e vita”. Nella vecchia scuderia ristrutturata e arredata con macchinari di ultima generazione è stato ambientato l’innotavativo processo di fermentazione per la presa di spuma che, con l’utilizzo esclusivo della parte dolce naturale contenuta negli acini dell’uva, consente di evitare ogni aggiunta di zuccheri di altra provenienza. Il concetto di filiera corta produttiva è diventato realtà.

Il Il prosciutto crudo è come la calamita, attrae il vino e difficilmente lo lascia, anzi lo coinvolge perdutamente fino alla fine. Una “fine” trionfale, perché tutti e due donano al palato sapori unici. L’importante è che siano fatti uno per l’altro, che abbiano caratteristiche e contrapposizioni che li uniscano. A volte è proprio il palato del degustatore e l’esperienza che rivoluzionano gli abbinamenti tradizionali, creandone di nuovi più stimolanti e provocanti. In questo caso, per gustare nel modo migliore il Prosciutto crudo Carpegna, una eccellenza della nostra gastronomia, bisogna scegliere con molta attenzione il vino da abbinare. In questo caso vi consigliamo un altra eccellenza del mondo delle bollicine, Quintopasso Rosè Brut Metodo Classico, un vino che nasce da uve Sorbara in purezza che si è classificato campione del mondo tra i vini autoctoni rosènell’edizione 2016 del Challenge Euposia.. La bottiglia, elegante e trasparente evidenzia il rosa tenue del vino, etichetta storica rivisitata – l’originale fa parte dell’archivio della famiglia Chiarli– con lettering autentico dell’epoca. Questo Rosè Brut Quintopasso fa parte di una gamma di Spumanti Metodo Classico che nascono

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Quintopasso Rosé brut Denominazione: Modena Rosé Spumante D.O.C. Vitigno: Sorbara in purezza da cloni selezionati dalla azienda stessa.

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Caratteristiche organolettiche: Si presenta con un colore rosa tenue Al naso si sentono, nitidi e ben definiti, agrumi, frutti rossi, e note leggermente speziate Sapore: gusto dominato dall’acidità ricca di note minerali, scintillante e affilata, ma equilibrata dalla morbidezza del frutto e dalla ricchezza aromatica come solo il particolare terroir della sponda sinistra del Secchia sa dare. Il finale, dagli aromi quasi speziati, si distende senza mai perdere tensione. Vinificazione: la pressatura soffice avviene imme-

diatamente dopo la raccolta dei grappoli, eseguita a mano in cassette, andando ad estrarre solo la polpa dell’ acino, dove risiedono l’acidità e la salinità che si ritrovano poi nel mosto fiore. Fermentazione in bottiglia “sur lattes” a temperatura costante per oltre 20 mesi prima della sboccatura finale.

Per informazioni Salumificio F.lli Beretta S.p.A. Via Fratelli Bandiera 12 20056 Trezzo sull’Adda (Mi) www.berettafood.com Ringraziamenti Si ringrazia per la degustazione dei vini Azienda Agricola Sozzigalli Via Canali 267 Soliera (Mo) Ufficio commerciale: Via Manin 15 - Modena www.quintopasso.it

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Reggio Emilia di Enzo Russo

Lambrusco reggiano e gastronomia i protagonisti della tavola

L’

appuntamento con il Presidente dei vini Reggiani Davide Frascari è a Villa Valentini – San Donnino, Casalgrande (Re) – un’ antica e affascinante villa dell’700 in tipico stile emiliano situata in un parco di 8 mila mq circondato da 15 mila ettari di vigneto lambrusco e altrettanti ettari di pereto. E’ un’oasi dove la Natura è ancora intatta grazie al contributo dell’uomo che The Italian Wine Journal

ha saputo proteggerla da qualsiasi speculazione. E’ qui che il Presidente ci aspetta per farci vedere l’estesa tenuta ma anche per parlare di come è andata la vendemmia nel suo insieme. «La vendemmia 2017 si caratterizza come una delle vendemmie più scarse degli ultimi 100 anni, questo fenomeno ha colpito tutta l’Europa e in particolare il nostro territorio. A livello Europeo si stima un calo produttivo di circa 30 milioni di ettolitri. Nel

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Reggio Emilia distretto del Lambrusco, tra Reggio Emilia e Mode- che il consumatore si orienti verso altre bevande. E’ na, abbiamo avuto un calo del 27% , più alto nella no- chiaro che stiamo parlando di tutti i vini e quindi non stra Provincia dove ha toccato il 33%. abbiamo il timore che il consumatore opti per altri Il calo produttivo è stato generato da tre fattori, vini ma che si indirizzi verso la birra o altro. E’ un il primo, quello meno rilevante è stato quello della rischio che tentiamo di arginare mettendo in campo minore quantità di germogli atti a diventare uva, il tutti gli strumenti possibili». secondo fattore, il più critico è stato il gelo e la briIl Lambrusco è un mito che fa parte del vostro terna di aprile e il terzo è stata la siccità e il clima torri- ritorio da sempre, intere generazioni sono cresciute do estivo che ha gravato soprattutto nella zona pe- lavorando nei campi di vigneti, ha dato e sta dando do-collinare. Quindi le Cantine della collina hanno lavoro a migliaia di persone ed è certamente una avuto un calo del 40% per tutta una serie di fenomeni delle più importanti fonti di reddito del territorio. che si sono sommati. Mentre in generale si conferma Certamente quest’anno il clima è stato inclemente la buona qualità, un dato molto importante, perché e il brioso e spumeggiante Lambrusco ha pagato un certifica le caratteristiche intrinseche delle varie tipologie del Lambrusco. Forse ci sarà un po’ di carenza di acidità, però i polifenoli e le altre caratteristiche della famiglia dei Lambruschi si sono mantenute ad alti livelli». Sarà una qualità pagante che aiuterà le aziende a recuperare il calo di produzione: «I mercati stanno manifestando una certa euforia perché il calo produttivo, inevitabilmente innalzerà i prezzi. Il vino da tavola generico è quello che ha subito l’incremento di prezzo e di conseguenza anche i vini dop e igp aumenteranno. Gli aumenti sono considerevoli, perché un Lambrusco sfuso passa dai 4 euro ettogrado a circa 6,80 di quest’anno. Questi aumenti preoccupano tutto il mondo produttivo perché il rischio è Da sinistra Stefano Oleari, Erica Vioni, Erika Sartori, Davide Frascari e Franco Oleari

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Reggio Emilia

conto salato, ed è proprio per questo motivo che bisognerebbe dare maggior risalto alla bontà e genuinità promuovendolo e abbinandolo con un altro punto di forza che è la gastronomia, un settore che esprime molte eccellenze, come per esempio il Parmigiano Reggiano, formaggio conosciuto in tutto il mondo e ahimè anche il più imitato. «E’ fondamentale. Tutto ciò che è sulla tavola viene dalla terra, sono filiere diverse, ma nascono dallo stesso punto e si ritrovano sulla tavola. E’ chiaro che ci sono dei parallelismi e abbinamenti che sono fondamentali. E proprio qua in Emilia dove c’è una storia, una tradizione della nostra cucina nasce spontaneamente l’abbinamento con il Lambrusco. Però bisogna specificare che si parla di una famiglia di vitigni che nel territorio di Modena e Reggio Emilia sono caratterizzati da una differenza. Modena tende a vinificare il mono vitigno, mentre da noi, a parte i colli di Scandiano e Canossa, abbiamo il Reggiano Lambrusco doc che si distingue per il mix di diverse componenti della famiglia dei Lambruschi. Nella storia delle varie cantine questa composizione ha fatto sì che le diverse varietà caratterizzassero il vino dandogli una identità ben specifica». Oggi abbiamo degustato alcuni Lambruschi, tra cui delle eleganti bollicine di spumante, abbinati a piatti della vostra tradizione gastronomica, come il Culatello con gnocco fritto, tocchetti di Parmigiano Reggiano, Cappelletti in brodo e costine di maiale. Tutto buono, appetitoso e soprattutto con i giusti abbinamenti. E’ questo il messaggio con cui intendete promuovere il territorio e farlo conoscere in tutte le sue varie eccellenze. «La storia del nostro territorio nasce principalmente dall’agricoltura e questo non dobbiamo dimenticarlo. E’ molto importante perché i nostri vini

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e la cucina reggiana sono un importante volano della nostra economia, ma soprattutto sono due settori che il mondo ci invidia». Ristorante osteria in scandiano Abbiamo degustato alcuni piatti della cucina locale reggiana abbinata ad alcuni buoni Lambruschi. Ne parliamo con i titolari, i fratelli Simone e Andrea Medici, due giovani ristoratori ben preparati e con le idee ben chiare su i prodotti che usano a chilometro zero. «L’antipasto lo abbiamo preparato con il Culatello di Zibello e mignon di gnocchi fritti abbinandolo alle bollicine Spergola dell’azienda Ajano, metodo charmat; come primo piatto i Cappelletti in brodo di cappone abbinandoli al Lambrusco “Pra di Bosso”

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Reggio Emilia oggi siamo a Scandiano in questa villa signorile del 1400 dove si svolgono manifestazioni, convegni e matrimoni. Il punto di forza è il ristorante che propone sempre piatti della tradizione che fanno parte del nostro territorio, rivisti e corretti come vuole la moderna cucina».

Simone e Andrea Medici: piatti della tradizione rivisti come vuole la cucina moderna della cantina Casali e come secondo delle Puntine di maiale nostrano cotte sottovuoto in cotica accompagnate da verza saltata e marmellata di arance abbinandole al Lambrusco di Puianello». Perché questi abbinamenti? «La Spergola ha la capacità di essere spumantizzata e poi per la nota un po’ aromatica si sposa perfettamente con lo Zibello; il Lambrusco “Pra di Bosso” con i tannini attira i cappelletti; con le puntine abbiamo preferito il Lambrusco di Puianello perché un po’ più sostenuto». I piatti serviti fanno parte della tradizione: «Fanno parte della tradizionale cucina reggiana, sono i più richiesti dalla clientela. La nostra famiglia ha una storia trentennale nel campo della ristorazione, in cucina c’era stata la nonna e la mamma, poi negli anni ‘90 siamo subentrati io e mio fratello che abbiamo fatto la scuola alberghiera a Salsomaggiore. E The Italian Wine Journal

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Emilia

sali Viticultori, l’azienda più antica del distretto del Lambrusco, risale al 1900: «Pra di Bosso è il Lambrusco Reggiano dop più conosciuto dell’azienda. Viene fatto con tre uve, il Salamino, Maestri e Malbo Gentile. Dal colore rosso rubino, sprigiona profumi e fragranze intense. Si abbina perfettamente a salumi, carni alla brace o arrosto. Con i primi piatti si accosta con delicatezza».

Le aziende vinicole e i vini Stefano Oleari, oggi abbiamo degustato un vino prodotto dalla Tenuta Aljano, la Spergola brut metodo charmat Brina d’Estate, molto interessante l’abbinamento proposto. Quali sono le sue caratteristiche? «La Spergola si caratterizza per una spiccata acidità rendendola molto particolare e quindi molto adatta ad essere vinificata come spumante. Sprigiona profumi di fiori e frutta, si caratterizza nel farsi bere perché è fresco, giovane e si esprime molto bene con i salumi, fritture. Ottimo come aperitivo». Erika Sartori, imprenditrice agricola e amministratore della Cantina Puianello ci parla del Bardi-Lambrusco Reggiano doc: «E’ un vitigno autoctono che abbiamo pensato di vinificare come mono vitigno, una scelta aziendale per sperimentare una tipologia di Lambrusco rispetto al Lambrusco tradizionale della nostra zona. Il sapore è speziato con profumi intensi che lo differenziano dalle altre tipologie. Il Lambrusco Reggiano doc viene invece fatto con le uve Salamino Maestri. Il vitigno Bardi nasce nella zona di Campegine». In abbinamento alle puntine di maiale si è dimostrato generoso con il palato. Francesco Gherpelli, vice presidente della Ca-

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Diventa assaggiatore di vino Il corso per Assaggiatori di Vino di 1° Livello inizierà il 15 gennaio a Verona ed è aperto a tutti, anche a chi è privo di qualsiasi esperienza, ed è valido per il conseguimento del Diploma di “Assaggiatore di Vino” (riconoscimento giuridico D.P.R. 8/7/1981 n. 563) e conseguente iscrizione all’Albo Nazionale degli Assaggiatori di Vino ONAV. Il corso è articolato in 18 lezioni teorico-pratiche (due a settimana) il lunedì e il mercoledì della durata di circa 2 ore ciascuna. Durante il corso saranno degustati oltre 60 Vini. Dopo le 18 lezioni è prevista la sessione d’esame con una prova teorica e una pratica con la degustazione di 5 Vini. Per info ed iscrizioni: Francesco GALEONE (Delegato) 3397195010

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Antonio MONACO (Segretario) 3382435580 verona@onav.it - www.onav.it Quota di partecipazione: € 410, € 305 per giovani 18/23 anni Modalità di iscrizioni: versare €145, €40 giovani 18/23 anni con bonifico bancario su c/c n. IBAN: IT87C0200859960000103011564 intestato a: ONAV Sezione Verona Causale: (Nome e Cognome partecipante), Iscrizione Corso 1° Livello Verona 2018, copia del bonifico va inviata via e-mail a: verona@ onav.it Il SALDO di € 265 DEVE avvenire prima dell’inizio del Corso con bonifico bancario e la ricevuta deve essere consegnata la sera della prima lezione.

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Vino & Motori di Enzo Russo

Nuova Peugeot 3008 un Suv sicuro e sportivo

L

Control, un sistema che include pneumatici M+S, assistenza nelle discese più ripide e si avvale di 5 modalità d’utilizzo: Normale, Neve, Fango, Sabbia ed ESP OFF, selezionabili attraverso la pratica rotella sul tunnel centrale. Sotto il cofano della 3008 pulsa un cuore 2.0 BlueHDI da 150 CV abbinato ad una trasmissione manuale a 6 marce, che garantisce prestazioni briose: un’accelerazione da 0 a 100 km/h coperta in 9,6 secondi ed una velocità massima di 207 km/h. Il nuovo Suv è un concentrato di tecnologia che vuol dire sicurezza e comodità. Leggera, nonostante una massa di circa 1.400 kg, la 3008 è agile: i cerchi da 18 “ e le coperture 225/55 rendono l’auto dinamica senza nulla togliere al comfort di marcia. Suv, il mantra del mercato auto è questo. Tutti vogliono auto a guida alta, spaziose e in grado di affrontare strade sterrate. E la Peugeot 3008 si è vestita come un elegante Suv. Una svolta che la rende più aggressiva e sportiva. L’abbiamo provata per andare in Sicilia, tre persone, bagagli con il cane da 40 kg, un metro e venti disteso, alloggiato nel bagagliaio con lo schienale destro ripiegato. E’ stato un viaggio comodo anche per il cane che ha potuto distendersi e approfittare del tettuccio aperto senza disagi. Un bel viaggiare in assoluta sicurezza e comodità, dove tutto ha corrisposto alle aspettative: un ottimo impianto frenante, aria condizionata, tenuta di strada, consumi 16 Km/litro. Silenziosa e quel brio che rende piacevole e scattante la guida. Sembra quasi di stare su una sportiva, sensazione portata anche dall’assetto davvero giusto, uno sterzo diretto molto funzionale. Piacevole anche il cambio, preciso. Se in autostrada il piede destro inizia a lamentarsi ci si può affidare al Cruise Contro Adattivo, uno dei numerosi sistemi di assistenza alla guida presenti

a nuova Peugeot 3008 150 c.v. è un Suv solido e d’effetto per le scelte di design, sia all’esterno sia all’interno. Ha un abitacolo spazioso per 5 persone, dove i particolari sono stati studiati nei dettagli. I comandi a tastiera della console sembrano quelli di un aereo, il bel quadro strumenti rialzato digitale 12,3 pollici, il posto di guida rialzato da subito la sensazione di dominare la strada, dove il volante di piccola taglia tagliato in alto e in basso contribuisce notevolmente a prendere confidenza con la guida anche sportiva. I francesi non si sono risparmiati nel progettare la nuova Peugeot 3008. In alto, al centro sopra lo specchietto retrovisore ci sono i comandi per spostare la retina per dare più luminosità all’abitacolo e renderlo panoramico per chi viaggia dietro oppure per aprire il tettuccio, una vera chicca per le vacanze estive. Al centro della plancia c’è il monitor multi touch da 8” per gestire il ricco sistema di infotainment. Sotto ci sono i pulsanti per scegliere le differenti funzioni del sistema. Il bagagliaio è ben sfruttabile con buona cubatura che può aumentare se si ribaltano gli schienali. La trazione è anteriore, ma in caso di fondi difficili il guidatore può contare sull’Advanced Grip

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E’ una vettura lussuosa, che offre un abitacolo confortevole, un salotto, cinque persone viaggiano molto comode e possono godersi il viaggio in tutta tranquillità. Mettersi al volante della Grand Cherokee è come mettersi nella cabina dell’aereo. Tutta la strumentazione è a portata d’occhio e di mano, c’è tutta la tecnologia per fare un viaggio sicuro. Al centro della plancia lo schermo da 8,4” consente di accedere, con una grafica pulita, al sistema multimediale Uconnect e ai menù di gestione dell’assetto della vettura. Si va dal navigatore all’ infotainment, dagli ausili alla guida alla guida in fuoristrada, come il Selec-Terrain, ad esempio, consente di scegliere la modalità di guida più adatta al fondo stradale, mentre la trazione integrale intelligente sceglie su quale ruota trasferire motricità. Il pacchetto offroad offre la possibilità di variare l’altezza da terra delle sospensioni pneumatiche, con una escursione di 7 centimetri, da 20,5 a 27,5, ma anche di impostare il Selec-Speed Control, che permette di regolare la velocità in salita e in discesa senza toccare i pedali, ma intervenendo sulle leve cambio al volante con una precisione davvero notevole. L’abbiamo provata in Valle d’Aosta, dove le salite e i tornanti si fanno sentire e poi in Emilia a fare un tuffo tra i vigneti di Lambrusco e a Maranello facendole sentire i “ruggiti” della Ferrari. Due percorsi molto diversi che hanno messo in evidenza la versatilità della Jeep Grand Cherochee che con i suoi 250 c.v. ben distribuiti sulle 8 marce, si adatta a qualsiasi tipo di strada, di clima e di percorso. I consumi, considerando la mole e i cavalli, sono in linea: in autostrada, tenendo un piede leggero, 11 km con un litro, in città e nel misto 6,5/7 lt.

L

a Jeep Grand Cherokee è un grande ed elegante suv dal designer moderno che la rende slanciata e attraente nell’insieme. E’ pratica e maneggevole, sia in città sia nei percorsi misti, in autostrada e adatta anche nei percorsi più impegnativi. Su strada mostra una buona capacità di assorbire le sconnessioni del terreno. Nei percorsi di montagna viene fuori la grinta e la potenza del motore, la buona tenuta di strada permette di affrontare le curve e i sorpassi con sicurezza che deriva anche dall’ottimo impianto frenante. Ma è nei lunghi percorsi autostradali che la Jeep esprime il meglio: è rilassante comoda, silenziosa e la guida non è per niente stanchevole. Riesce a dare un bel senso di sicurezza. In più è molto tecnologica La Grand Cherokee 3.0 V6 Turbo Diesel, 250 c.v., cambio automatico a 8 rapporti, colpisce subito per l’innegabile imponenza, è lunga 482 cm., larga 194, alta 180 cm, pesa in ordine di marcia kg, 2447 e la capacità del bagagliaio è litri, 457 e con sedili ribaltati1554.

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Vino & Motori

L’elegante Jeep Grand Cherokee un concentrato di tecnologia


Ultima pagina

L’Italian Wine Journal per la ricostruzione della California

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ià a pagina 10 di questo numero vi abbiamo raccontato delle distruzioni in California legate all’eccezionale ondata di incendi che ha sconvolto la patria del vino a stelle-e-strisce. Come già fatto in precedenti catastrofi – dal terremoto in Cile a quelli in Centro Italia – il nostro Magazine ha deciso di sostenere tutte quelle iniziative che possono contribuire a rendere meno pesante la situazione dei sopravvissuti a queste catastrofi. Il primo suggerimento è quello di comprare vini californiani: Tannico, e molti distributori anche non in line, hanno in catalogo diversi prodotti. E’ la strada che abbiamo scelto anche noi per realiz- zare il servizio di apertura del nostro magazine. Avrete così la possibilità di ampliare le vostre conoscenze e di contribuire al conto economico dei produttori. Chi vuole impegnarsi per aiutare la ricostruzione delle contee della California distrutte dagli incendi può contattare l’associazione Rebuild Wine Country che vuole

Direttore responsabile: Beppe Giuliano email: boss@euposia.it telefono +39 045 591342 Vicedirettore: Nicoletta Fattori email: fattori@euposia.it telefono +39 045 591342 Redazione e Degustazioni (dove inviare i Campioni): Via Luigi Negrelli, nr 28 37138 Verona tel. fax. 045.591342 email: desk@giornaleadige,it Enzo Russo Caporedattore Enogastronomia email: desk@giornaleadige.it Hanno collaborato a questo numero: Filippo Ciardi, Carlo Rossi, Giulio Bendfeldt, Magda Beverari, Daniela Scaccabarozzi, Zeno Sorus

mettere nuovamente un tetto sopra la testa degli sfollati. Si possono fare donazioni online: https://www. youcaring.com/victimsofwinecountryfires-979025) oppure tramite assegno a: Habitat for Humanity of Sonoma County 3273 Airway Dr Ste E Santa Rosa, CA 95403 Causale: Ricostruisci Wine Country/Rebuild Wine Country Contatti: telefono (707) 681-5664 Email: contact@rebuildwinecountry. org Website: rebuildwinecountry.org Twitter: @rebuildwinecountry

Impaginazione: Delmiglio email: redazione@delmiglio.it telefono: 045 6931457 Copertina: Archivio Santa Margherita Concessionaria per la pubblicità: Fantasia Edutainment SRLS-Verona email: fantasiaverona@gmail.com Per il sito www.euposia.it: Vinoclic email: info@vinoclic.it Fantasia Edutainment SRLS email: fantasiaverona@gmail.com Per il sito: www.challengeeuposia.com Fantasia Edutainment SRLS email: fantasiaverona@gmail.com Per il sito www.italianwinejournal.com Fantasia Edutainment SRLS email: fantasiaverona@gmail.com

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Vino

Per chi ama il vino e per chi vuole conoscerlo - Anno I - n. 1 - Euro 5 - dicembre 2017

Prosecco a Valdobbiadene dal 1952 Il 1952 è l’anno di inizio del nostro percorso legato al Prosecco Superiore Valdobbiadene D.O.C.G. Ecco perché, quando abbiamo raggiunto l’espressione più raffinata di una storia, di un territorio e di una passione che dura da 60 anni, abbiamo pensato che il suo nome potesse essere uno solo: 52.

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