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Edi Kante, profeta del Carso

di Franco Ruffo

Edi Kante, il profeta del Carso

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Scoprire l’enogastronomia del Carso è come aprire uno scrigno sobrio nelle forme, ma prezioso nell’offerta di veri gioielli. Perché tra quelle pietre, tra quelle doline, si incontrano vini (non solo, ma anche salumi, la carne, formaggi, erbe, il miele, l’olio tergeste, i pesci del golfo di Trieste) e personaggi (quasi nessuno con cognome italico) che è impossibile riprodurre altrove. Come l’ambiente, d’altra parte, dove si fondono la brezza del mare,la forza della bora, la pietra e i calli delle mani, ma anche la tenacia e l’inventiva degli uomini e delle donne di questa terra solo all’apparenza ingrata. Per i vigneti, come il riscoperto Vitovka, ci vuole tutto l’animo di questa gente per recuperarlo, per farne un grande vino dove acidità e mineralità si uniscono per proporre un prodotto che definire rude è poco. Eppure è sempre su queste pietre , dove un tempo c’era solo bestiame, oggi terrazzate , con vista sul Golfo, spazzate dalla bora, con la roccia triturata per renderla agibile, che nascono non solo la sapida Vitovka , l’aromatica Malvasia, la rara Glera e l’asprigno Terrano. Tutti ben raccontati nel volume Vitovka da Stefano Cosma.

Profeta primo di questi vini, di questa terra (con un’altra ventina di coprotagonisti), è Edi Kante, già presidente del Consorzio, affiancato dalla moglie che fa incetta anche di salumi e formaggi del fratello. Perché, come dice Edi, su questa terra possono vivere solo famiglie, con pochi ettari di vigneto. In novembre Edi era in Brasile, per chiudere un’esperienza aziendale che non si confaceva alla sua incredibile genialità che, invece, tornerà ad esprimersi con un nuovo vigneto non lontano da Prepotto (270 mlm), dove Kante ha costruito il suo “castello”.

Dal bestiame alla riscoperta della Vitovka , questo vignaiolo propulsore del Carso, è passato a produrre vino dopo aver fatto anche il produttore di barbatel

le. Si definisce flessibile e duttile insieme, ma, comunque, è capace di grandi idee e di grandi imprese. La maggiore impresa è stata quella di realizzare una cantina scavando nella roccia fino a 20 metri di profondità, in lite perenne con l’architetto.

Ha realizzato per primo - con tanto di mine che facevano saltare la roccia - una cantina dove “crescono” 100.000 bottiglie delle sue “meraviglie” in un equilibrio perfetto di secco ed umido: un anno in barrique e poi sei mesi in acciaio, questa la regola base. Due idee altrettanto vincenti: il pavimento che non tocca la roccia in modo che l’ambiente naturale permanga, un portale rivolto verso il golfo perché la bora dia il suo contributo. E poi l’altra grande idea. Ha fatto produrre bottiglie da 750 con il collo più stretto di quello usuale, quindi tappo più piccolo. A imitazione dei magnum che conservano meglio il vino proprio per il rapporto liquido-tappo. E poi è frizzante come il suo spumante acidulo il giusto, piacevole se lo si sa gustare con saggezza.

E la sua casa –cantina-nido si rifà alla personalità del vignaiolo, curioso e attento alle nuove tendenze. Persino le sedie sono dipinte da un giovane artista che riproduce ambienti, personaggi, natura. E il mercato per le 50 mila bottiglie mese in vendita ogni anno? Fino a ieri era solo italiano, ma, come racconta il suo commerciale, in troppi si dimenticano di pagare. E allora, more solito, si va negli Usa, in Scandinavia, domani in Canada, dove si è sicuri che i “tesori” vengono giustamente ripagati

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