The Italian Wine Journal eizione aprile 2018

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Prosecco a Valdobbiadene dal 1952 Il 1952 è l’anno di inizio del nostro percorso legato al Prosecco Superiore Valdobbiadene D.O.C.G. Ecco perché, quando abbiamo raggiunto l’espressione più raffinata di una storia, di un territorio e di una passione che dura da 60 anni, abbiamo pensato che il suo nome potesse essere uno solo: 52.

www.santamargherita.com

Genagricola: il vino della più grande azienda agricola Italiana - Brunello di Montalcino DOCG 2013 - Chianti classico DOCG 2016 - Chianti DOC 2017 - Perù, la “ruta” del Pisco - Giacobazzi - Latteria di Soligo - Chiaretti del Garda - Grana Padano e Franciacorta Le Marchesine - Mantova, cucina e vini dei Gonzaga - Mirka Sartori - Ancilla Lugana

VALDOBBIADENE PROSECCO SUPERIORE “52” SANTA MARGHERITA:

The Italian Wine Journal La Rivista

del

Vino

Per chi ama il vino e per chi vuole conoscerlo - Anno II - n. 2 - Euro 5 - aprile 2018

Genagricola: il vino della più grande azienda agricola Italiana Brunello di Montalcino DOCG: annata per vigneron Perù, la “ruta” del Pisco

www.italianwinejournal.com Morgex et La Salle, ecco Caronte - Chianti classico, una “godibile” annata - Giacobazzi, la forza del marchio - Perbellini, lo chef apre a Milano e Manama -Chiaretti del Garda, i migliori da provare - Ancilla Lugana, ecco i nuovi vini - Mirka Sartori, rivoluzione rosa BIMESTRALE - “Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 NE/VR


Champagne Egly-Ouriet

Distribuito da Moon Import di Mongiardino G. s.r.l. Piazza Fontane Marose 6/5 – 16123 Genova



Sommario

Degustazioni

16 Chianti classico, le nostre scelte 22 Brunello di Montalcino, annata per veri vigneron 28 Chianti DOCG, quelli da avere in cantina 56 Chiaretti del Garda, la nostra top-ten 76 Ancilla Lugana, ecco “Maria Teresa Rossi» Reportage

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Perù, la “ruta» del Pisco

Cantine

10 Morgex et La Salle 12 Genagricola, strategia nel vino 40 Giacobazzi, il mito del Lambrusco 75 Poggio alle Grazie 78 Tenuta Santa Lucia Wine & Food

46 Perbellini, da Verona a Manama 50 Latteria Soligo, la forza della filiera corta 60 Grana Padano, la DOP più consumata al mondo 66 Mantova, cucina e vini dei Gonzaga

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Bollicine di Carlo Rossi

Caronte “demonio» di vino

Ecco dove nasce il vincitore nei rosée autoctoni del Challenge Euposia

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rande scoperta questo brut da uve petit rouge una vera rarità, molto buono. Mi ha colpito per l’eleganza e la nettezza dei sentori. Caronte è un Metodo Classico brut rosé millesimato 2013 spumantizzato dalla Cave Mont Blanc de Morgex et La Salle che ha fatto delle bollicine il suo punto di forza, non solo con il “Petit Rouge» ma so-

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prattutto con il “PriéBlanc» altro vitigno autoctono a bacca bianca franco di piede. A Morgex e La Salle i vigneti sono tra i più alti d’Europa; le condizioni meteorologiche colpiscono duro e l’ultima gelata del 2017 ne ha completamente distrutto la produzione. Anche per questo vinificare qui presenta condizioni per così dire infernali. Il petit rouge, è “papà» di Torrette e Enfer, vinificato a bollicine metodo classico, è

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Bollicine

una chicca di primo ordine. Questo autoctono Petit Rouge trova la sua più “alta» interpretazione con la Co-Enfer di Arvier, dimora di uve a bacca rossa più a nord d’Italia. Vede protagoniste alcune tra le principali realtà vitivinicole della Valle, ossia la Cave de Morgex e de la Salle e la Coenfer di Arvier. Non aspettatevi però un vino sulfureo. Un vino indemoniato. No, del Caronte dantesco troverete solo gli occhi di bragia, perchè quello è il colore di questo metodo classico assolutamente particolare: un colore brillante e luminoso che passa dal rosa delicato all’arancio della fiamma. Questo è un vino dalla grande eleganza, con un perlage fine e delicato, e con una potenza espressiva che viene fuori con il passare dei minuti. Infatti il primo naso è leggermente chiuso, apparentemente timido, ma poi regala i piccoli frutti rossi e una sensazione di fiori molto delicati. Chiude una imponente nota minerale che si ritrova in bocca. Perchè, a differenza dell’aspetto olfattivo, la bocca è segnata da una decisione e da una espressività importante: secco e sapido, fresco e struttura molto piacevole. Alcool ben integrato, è una beva che non annoia, anzi. E regge bene anche abbinamenti con piatti dai gusti molto decisi. Assaggio notevole, senza ombra di dubbio. Il vitigno Petit rouge viene da molti considerato il migliore vitigno a bacca rossa della Valle d’Aosta, di cui è con tutta probabilità da considerarsi un reale autoctono. La sua zona di coltivazione si estende dal comune di Saint Vincent fino ad Avise, lo si trova addirittura ad altezze che sfiorano gli 800 metri slm ed è tra i vitigni preferiti dai valdostani grazie alla sua resistenza, alla resa e ai suoi risultati in fase di vinificazione. Conosciuto dai viticoltori valdostani con il nome, in dialetto, “Pitchou Rodzo», questa vite da

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origine a grappoli tipici per la forma molto ridotta degli acini, che, vendemmiati ben maturi, producono un vino dal colore rosso violaceo tendente al granato e dal profumo intenso, con note di rosa canina, viola, lampone e mirtillo tendente, col tempo, alla mandorla amara. «Sicuramente una soluzione sarebbe giocare sulle altimetrie, andando a vitare più in alto, ma non è un’opzione semplice da implementare nel breve periodo; è invece troppo rischiosa un’esposizione a nord. Il nostro Petit Rouge Vallée d’Aoste Doc nasce da una vigna degli anni Ottanta, a 670 metri, dove sono presenti un 15% di diverse varietà locali, che infondono polpa e freschezza, per un vino che, nelle migliori annate, come la 2013 e la 2015, profuma di violette, spezie piccanti ed erbe aromatiche. Il sistema di allevamento più adatto è il Guyot, anche se i mutamenti climatici in atto sono pericolosi perché abbassano la già scarsa acidità di questo frutto. Un modo per controllare il problema è avere impianti diversamente esposti e a differenti altitudini» racconta il presidente di Coenfer Sara Patat .

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News

Il Challenge Euposia premia al Vinitaly i Campioni del 2017

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i terrà al 52.mo Vinitaly (mercoledì 18 aprile, dalle ore 9.30, in Sala Respighi) la cerimonia di premiazione della decima edizione del Challenge Euposia riservato ai Vini spumante Metodo clas-

Miglior SW Veneto: Cà Rovere, “Blanc de blancs brut 2012» Severino Barzan’s Award “vielles vignes» Italia: Gianni Tessari, Lessini Durello Doc, “120 Mesi» Severino Barzan’s Award “vielles vignes» Internazionale: Champagne Egly-Ouriet, “Grand cru 2005» Miglior SW Internazionale: Hambledon, Hampshire, Regno Unito, “Classic Cuvée NV» Miglior SW di Francia: Champagne Alain Bernard, “Premier Cru» Miglior SW Regno Unito: Gusbourne, Kent, “Blanc de Blancs 2013» Miglior SW Americhe: Miolo, Vale dos Vinhedos-RS, Brazil, “Cuvée Tradition» (affinato nell’Atlantico) Miglior SW Rest of Europe: Tolianic V r b n i k , Krk (Veglia)-Croazia, “Gospoja Extra-brut 2014» Miglior SW Asia/Oceania: Sidewood estate, Adelaide Hills-Australia, “Chloè Cuvée 2014» Questi i riconoscimenti per i Rosé: Miglior SW Rosé Italia: Cesarini Sforza, Trentodoc, “1673 vintage 2011» Miglior Sw Rosé Rest of Europe: Edoardo Miroglio, Elenovo-Bulgaria, “Edoardo Miroglio Brut Rose 2013» Miglior SW Rosé Americhe: Miolo, Vale dos Vinhedos-Brazil, “Brut Rosé» Miglior SW Rosé Regno Unito: Hambledon, Hampshire, “Classic Cuvée Rosé NV» Miglior Sw Rosé Francia: Champagne David Coutelas, “Prestige Rosé brut» Miglior SW Rosé Asia/Oceania: Sidewood Estate, Adelaide Hills-Australia, “Isabella Rosé 2013»

sico. Questi gli SW che verranno premiati:

Campione del Mondo 2017: Vauversin, Champagne-France, “Original» , Chardonnay 2015 Reserve, Domaine Biologique Campione del mondo 2017, nella categoria Bio: Gramona, Cava-Spagna, Catalogna, “Gran Reserva Celler Battle 2006» Campione del mondo 2017, nella categoria Vitigno autoctono: Az.Agr. Cirotto, VSQ, Veneto-Asolo; “Sogno Dosaggio Zero 2013» da Incrocio Manzoni bianco. Per i vini rosati: Campione del mondo 2017: Kettmeir, Sud Tirol/ Alto Adige; “Athesis Brut Rosè 2014» Campione del mondo 2017, nella categoria Bio: Charlot Tanneux, Champagne-Francia, “Rosè de Saignee» Campione del mondo 2017, nella categoria vitigno autoctono: Cave Mont Blanc de Morgex et La Salle, Valle d’Aosta, “Caronte» da Petit rouge. La Giuria, presieduta da Riccardo Cotarella, ha assegnato anche i seguenti riconoscimenti:

Il “Premio Speciale Euposia» va alla Denominazione Lessini Durello.

Miglior SW d’Italia: Tenuta Chiccheri, Veneto “Montprè 2010»

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illumina Selinunte grazie al vostro aiuto.

Più di un milione di consumatori hanno già comprato e gustato i vini Settesoli contribuendo alle prime opere di valorizzazione del Parco Archeologico di Selinunte. Abbiamo illuminato le antiche mura, ma c’è tanto altro da fare. Vai su www.settesolisostieneselinunte.it e aiutaci ancora a sostenere Selinunte. PARTNER

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Puglia

Dalla cantina Castel di Salve nasce il primitivo “Centino”

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astel di Salve, Depressa Di Tricase – Lecce, è stata fondata nel 1885 da Antonio Winspeare. Dopo oltre un secolo è il pronipote Francesco che continua a occuparsene con cura e passione. E’ nei primi anni ‘90 che Francesco Winspaeare decide di fare il grande passo diventando vignaiolo, occupandosi a tempo pieno nella produzione di vino continuando sul solco tracciato dal bisnonno. L’attento restauro dell’antico stabilimento vinicolo con un glorioso passato e la passione per la coltivazione della vite sono stati gli elementi essenziali che hanno accompagnato la crescita dell’azienda. Negli anni ha imparato ad apprezzare le caratteristiche dei vitigni autoctoni del Salento, primo fra tutti il negroamaro, selezionando in campagna i cloni migliori, sperimentando in cantina le vinificazioni, curando l’affinamento del vino nei minimi particolari. E’ solo l’inizio. Sicuro di poter continuare sulle grandi potenzialità della sua terra, approfitta delle esperienze fatte per migliorare di anno in anno la qualità dei vini. Mosso da un unico sentimento: una gran passione per il vino. «L’estero ci sta dando grande soddisfazione, specialmente gli Stati Uniti, dice Francesco, ma la grande soddisfazione arriva anche dalla nostra amata Puglia, nel 2003 abbiamo impiantato 17 ettari di nuovi vigneti, focalizzan-

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do la produzione su vitigni autoctoni come il Negroamaro, il Primitivo, la Malvasia nera di Lecce ed il Bombino (Bianco). Per fare un buon vino bisogna partire dal terreno, la cura dei vitigni, la raccolta di uva di qualità e poi la vinificazione, insomma un attento controllo su tutta la filiera produttiva, fino all’imbottigliamento». Reduci da una delle migliori vendemmie avute negli ultimi anni, ci auguriamo un’annata ancora più soddisfacente, per dare ai nostri clienti vini di qualità che possano trasmettere i profumi e i sapori della nostra terra, ma anche il calore e l’ospitalità delle nostre genti “. Per assaporare al pieno l’aromaticità ed il sapore intenso del Primitivo Centino si consiglia l’utilizzo di bicchieri (tulipani o ballon) di forma panciuta; la temperatura di servizio consigliata è quella ambiente, ovvero compresa fra 18 e 22°C.

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Bollicine

Nasce Maria Teresa Rossi, terzo metodo classico di Ancilla Lugana Cresce la maison di Luisella Benedetti, una cantina tutta declinata al femminile

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l mondo del vino è stato per lei una vera scelta di vita. E’ stato come rinascere. Pochi sono i “mestieri», per così dire, davvero terapeutici, come “sentire» il vino e coltivare la terra . Si, perché se il vino non si “sente» non viene eccellente. Non si tratta di un mero processo produttivo. Luisella Benedetti, vignaiola per scelta e per passione, ha ereditato i campi della nonna Ancilla che sono divenuti La Ghidina a Lugana di Sirmione, uno dei doni di Dioniso al magnifico lago di Garda, e quelli di Tenuta Cadellora, in comune di Villafranca (VR) dove alleva pinot nero e chardonnay. La Ghidina si estende per 6 ettari coltivati a Turbiana, grazie alla prima proprietaria Ancilla - da cui appunto prende il nome il progetto Ancilla Lugana che la acquistò nella prima metà degli anni Settanta, per poi passarla alla figlia Maria Teresa Rossi, fino ad

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arrivare all’attuale protagonista, Luisella Benedetti. “Mia nonna Ancilla comprò l’azienda, mia madre la sviluppò e io l’ho trasformata, processo ancora in atto. Credo che ognuna di noi, con tempi e modi diversi, abbia contribuito ad un unico obiettivo: creare un’azienda sensibile alla qualità del prodotto, al dettaglio nella presentazione, al servizio, all’ambiente e ai collaboratori. Difficoltà? Molte. Ma ad oggi niente che non si possa pensare di risolvere. “ L’esperienza di Luisella Benedetti ha superato ormai i dieci anni ed oggi e’ un altro passaggio importante, la nascita di un nuovo metodo classico, il terzo che dedica alla madre, Maria Teresa Rossi. E’ cresciuta vivendo a stretto contatto con la nonna che ha dedicato molto della sua vita a coltivare la terra ed è stata una grande maestra. Da lei ha imparato a lavorare ma soprattutto a saper osservare i diversi modi in cui si può esprimere la natura all’interno di un’azienda agricola.

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Bollicine

Un po’ forse anche per reagire nei confronti di letture che l’hanno appassionata , come Norwegian Wood un romanzo doloroso e di forte impatto di Haruki Murakami nel quale ha rivisto la sua esperienza umana. Norwegian Wood è anche un grande romanzo sull’adolescenza, sul conflitto tra il desiderio di essere integrati nel mondo degli “altri» per entrare vittoriosi nella vita adulta e il bisogno irrinunciabile di essere se stessi, costi quel costi. “Ogni vino è dedicato a qualche cosa che per me è importante. La Rose BLanche per esempio mi fa ritornare alla mia infanzia dove la nota predominante e che più mi affascinava era la rosa bianca (che non a caso è il bellissimo emblema della ceralacca rosso vintage sulla bottiglia dello spumante nuovo) ed il suo profumo che mi aveva attorniato nella campagna di mia nonna sul monte Magrino a Valeggio. La terra mi ha ridato la voglia di fare con passione. Penso sia proprio come la vita, io parlo spesso con le vigne e trovo risposte, ciascuna con una personalità propria e esattamente come quella di un essere vivente. Alla fine ti ripaga di queste attenzioni, che altro non sono che un ritorno di quanto ci ha donato. Ogni vigna di esprime a modo suo e senza mai chiedere.» Ella sta per Luisella. È un prodotto fresco, “fior della bocca» per

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dirla con D’Annunzio, giovane ma con struttura e personalità. Ancilla è il nome della nonna: con questo prodotto siamo partiti e rappresenta il cuore della nostra produzione. La Ghidina è il nome dell’azienda a Lugana di Sirmione, vino importante che viene prodotto con le vigne storiche dell’azienda. 1909 è l’ultimo nato: è l’anno di Nascita della Nonna e vuole ricordare, sia nei caratteri scelti, sia nella sua denominazione, quegli anni. È un vino che riprende i valori del tempo, ma prodotto con tecniche che solo oggi possono essere applicate (come l’attenta gestione del freddo). Ecco dunque realizzarsi questo importante progetto dedicato alla mamma, Maria Teresa, che assaggiamo in anteprima, “fatto con tutto il mio amore e la mia gratitudine» racconta Luisella. Ed il risultato si ..lascia assaggiare! Grande annata, il 2012, bottiglie numerate, Pinot nero e chardonnay dai terreni di Dossobuono, dodici gradi per una piacevolissima fine bollicina, spuma elegante che se ne va dal bicchiere con la leggiadria di una tenda sottile che si disvela per lasciar entrare il sole. Sentori aggraziati di fiori e frutta, bilanciato in bocca e persistente. Sapido e minerale come una pietra di talco. Un vino che racconta di passione, territorio, cuore ed anima. Quella di una delle icone del Lugana, Luisella Benedetti.

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Genagricola: il vino della più grande azienda agricola Italiana

Prosegue lo sviluppo della componente vitivinicola della società agricola di Generali Italia

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el 1851, appena vent’anni dopo la sua Fondazione a Trieste, la «Imperial Regia Privilegiata Compagnia di Assicurazioni Generali Austro-Italiche» acquisì una vasta tenuta paludosa a Caorle, di mille700 ettari, Cà Corniani. Un vasto territorio da bonificare per dedicarlo all’agricoltura. E’ questa l’origine di Genagricola, la holding agroalimentare del Leone di Trieste, la più grande realtà agricola italiana per dimensioni: 13mila ettari in Italia e in Romania. Alla fine del 2014 Genagricola è stata affidata ad Alessandro Marchionne, già direttore generale di Agricola San Felice (gruppo Allianz) dopo un’espe-

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rienza maturata in diverse aziende del settore food largo consumo. Marchionne ha imposto una nuova tabella di marcia alla società, separando la parte vitivinicola dalla gestione agricola e dall’allevamento (parliamo di 4mila tonnellate di grano duro prodotte l’anno; di 43mila tonnellate di barbabietola da zucchero; di 11.000 capi di bestiame e di due impianti di produzione di energia da biogas in grado di coprire il fabbisogno energetico di 6mila famiglie). Quanto alla componente vino, Genagricola produce 4milioni di bottiglie l’anno da 900 ettari di vigneto e la nuova gestione ha portato alcune importanti innovazioni: lo sbarco nella Valpolicella, nella prestigiosa Valpantena, e l’ingresso nel team

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di Riccardo Cotarella, presidente di AssoEnologi e “firma» di moltissimi vini fra i più celebrati d’Italia. A “The Italian Wine Journal» Marchionne illustra i prossimi step di questa rivoluzione. Partiamo dai dati del 2017? «Innanzitutto è bene ricordare che sotto al cappello “Genagricola» si raccolgono diverse società controllate. Il totale del fatturato del Gruppo – nel 2017 – ha superato i 71 mln di euro, in aumento del 6% sul dato 2016. Il fatturato derivante dalla produzione di vino in bottiglia, in questo 2017, è stato pari a 13.5 mln di euro, contro i 12.4 del 2016. Un +8% sia a valore che a volume - ottenuto con performance positive sia dal mercato interno (+2.3%) sia dall’estero (+24.5%). I principali mercati di sbocco per i nostri vini rimangono Germania, USA, UK, Canada e Cina: Paesi in cui cresciamo ancora a doppia cifra

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e che ci stanno regalando delle buone soddisfazioni. Ci sono anche altri Paesi a cui guardiamo con grande interesse sulla base delle relazioni instaurate: Brasile e Russia – ad esempio – ma anche i Paesi dell’Est Europeo che stanno apprezzando molto la nostra produzione» Osservando la cartina della presenza di Genagricola in Italia rimangono scoperte alcune regioni storicamente molto importanti per l’agroindustria italiana: ad esempio, Toscana, Puglia, Sicilia… «In questo momento non stiamo valutando nuove acquisizioni, stiamo invece cercando di consolidare la nostra posizione nei territori storici d’appartenenza di Genagricola che – fatte le dovute eccezioni – si concentrano principalmente nel nord-est del Paese. Stiamo invece lavorando molto ad un approccio diverso alla produzione, che abbracci con determinazione l’agricoltura di precisione e ci permetta di lavorare in un’ottica di sempre maggiore sostenibilità. Anche dal punto di vista colturale stiamo introducendo diverse novità – in fase di test, e di cui di sicuro in futuro avremo modo di parlare – ed inoltre, con il progetto Ca’ Corniani, nuove funzionalità e nuovi modi di fruire l’Azienda agricola: abbiamo deciso di aprire al pubblico la nostra più grande tenuta – 1700 ettari nel Comune di Caorle – affiancando alla normale attività una serie di iniziative in grado di attrarre il pubblico dei turisti del litorale, al fine di sensibilizzarli sui temi dell’a-

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gricoltura». Vale anche per il comparto vino? «Si, come detto per il momento non pensiamo ad ulteriori acquisizioni. Stiamo però pensando di rilanciare la nostra Azienda in Lazio – Solonio – che vorremmo presentare il prossimo anno, magari proprio in occasione di Vinitaly. Il potenziale qualitativo di questa zone è decisamente molto alto e vorremmo valorizzarlo a dovere». L’investimento in Romania: ce lo può spiegare? «Inizialmente l’investimento era pensato in

un’ottica patrimoniale, ed in questo senso ha saputo dare i suoi frutti. Attualmente l’esperienza rumena – dopo anni di lavoro e di investimenti – è diventata un’azienda modello, capace di essere produttiva e di sperimentare». Il vino per Genagricola ha assunto una precisa caratterizzazione: lo sbarco in Valpolicella, l’arrivo di una nuova squadra di enologi e la riorganizzazione del commerciale estero, un mix di etichette (da un lato Amarone, Valpolicella e Prosecco: i vini più richiesti dai mercati; dall’altro gli autoctoni, in Piemonte e Friuli)... quali sono gli obiettivi? «L’obiettivo è quello di dotarci di un portafoglio prodotti ampio e ben assortito, il cui il posizionamento dei vari brand del Gruppo sia capace di rispondere alle esigenze di interlocutori diversi. Da questo punto di vista ognuno degli aspetti citati viene gestito in ottica di marketing: denominazioni, esclusività del prodotto, Marchio etc, sono componenti di un marketing mix capace di attirare l’attenzione di pubblici diversi. Il comune denominatore è sempre l’origine “agricola» / “contadina» delle nostre produzioni. Non siamo imbottigliatori, ma una delle maggiori realtà produttrici del Paese e ci stiamo attrezzando per valorizzare tutti gli asset del Gruppo. A guidare le nostre scelte l’ambizione di affermarci anche a livello internazionale: in Italia – all’interno del canale HoReCa – possiamo vantare una buona distribuzione, mentre all’Estero abbiamo margini di crescita decisamente importanti. È in questa direzione che stiamo guardando». Quali i prossimi step nel settore vino? «Il 2017 è stato un anno di grandi novità: sono

Pinot Grigio Torre Rosazza Colli Orientali del Friuli. Torre Rosazza fa parte di Genagricola dal 1979. Si tratta di 90 ettari di vigneto, adagiati sulle marne delle colline ad una altitudine compresa fra i 100 ed i 250 metri sul livello del mare. Questo Pinot grigio, vinificato in bianco, ha una lavorazione molto semplice ma accurata. Vinificazione in acciaio con una successiva permanenza sui lieviti di sei mesi; cui seguono altri due mesi di affinamento in bottiglia. Immediato al naso con note floreali e fruttate; il palato è morbido con richiami a note fruttate di mela e pera matura. Buona la spalla acida e sapido il finale.

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usciti i prodotti di Costa Arènte (Valpolicella) di Dorvena (Romania), c’è stato il restyling completo della linea di spumanti V8+ e l’inserimento di alcuni nuovi prodotti. Il 2018 sarà un anno di consolidamento – da un lato – delle produzioni entrate in portafoglio, mentre dall’altro sarà un anno di studio: come già anticipato per il 2019 vorremmo ripensare la nostra produzione laziale, e allo stesso modo ringiovanire il Brand Poggiobello, una delle nostre Aziende in Friuli». Alcune vostre iniziative (ad esempio i filari arborei a Cà Corniani) sono state riprese dai consorzi di tutela (ad es Prosecco Doc) in un’ottica di sostenibilità ambientale: come valutate queste iniziative e lo stop ad alcuni prodotti chimici in viticoltura e quali ulteriori step vi accingete a fare? «Siamo forti sostenitori di una presa di coscienza nei confronti dell’ambiente. Creare consapevolezza è certamente il primo passo per tutelare questa risorsa unica e fragile. Ben venga quindi qualsiasi iniziativa che serva a riportare agli occhi del pubblico il tema della sostenibilità, e bene soprattutto che imprese e consorzi si sentano ingaggiati in questa sfida. Noi stiamo procedendo su due binari paralleli: da un lato aprendo al pubblico proprio per creare consapevolezza, dall’altro agendo responsabilmente e riducendo il nostro impatto ambientale attraverso l’agricoltura di precisione e promuovendo la biodiversità. C’è molto da fare, e noi – come prima azienda agricola del Paese – sentiamo l’onere di indicare una strada e di impegnarci a percorrerla».

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L’Amarone DOCG di Costa Arènte 2013 Costa Arènte è l’ultima acquisizione – è di fine 2015 - compiuta dalla holding agroalimentare di Generali Italia. Si trova nella Valpantena, a Grezzana, ad una altitudine compresa fra i 250 ed i 350 metri sul livello del mare. Il terreno ricco di scheletro composto da rocce dolomitiche e argille. In tutto Costa Arènte dispone di 35 ettari di cui 17 di vigneto a pergola che circondano la sommità di una collina beneficiando di un lungo periodo giornaliero di insolazione che viene mitigato dai venti che scendono dai Monti Lessini che assicurano grappoli sempre asciutti e sani, ideali per l’appassimento. I vitigni utilizzati sono corvina, 50%, corvinone, 20%, rondinella 15% cui si aggiungono altri vitigni in percentuale minore. Vendemmia manuale dei grappoli e selezione per l’appassimento. Al naso il bouquet complesso ed ampio coniuga sentori fruttati di marasca a toni di tabacco, spezie, liquirizia. All’assaggio, mostra immediatamente una grande struttura, in cui a sentori di frutta a bacca rossa e marasca, si sovrappongono note di vaniglia. Secco, con una buona acidità e tannini eleganti, è sostenuto da una buona alcolicità. Lunga la persistenza in bocca.

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Chianti di Alessandra Piubello

2016, una “godibile» annata Chianti Classico, questi sono a nostro avviso alcuni dei più interessanti vini di un millesimo interessante, molto bevibile

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te del consorzio, Sergio Zingarelli - che si registrano vendite di oltre 37 milioni di bottiglie, un dato storico, mai accaduto, che conferma il trend positivo delle vendite degli ultimi 7 anni con una crescita complessiva nel periodo di circa il 50%, raggiungendo il livello più alto degli ultimi 20 anni». Brevissimo focus riepilogativo sui numeri attuali: complessivamente su 70 mila ettari di estensione dell’area di produzione, 10 mila sono vitati, dei quali 7.200 sono iscritti all’albo del Chianti Classico. La produzione media annua (ultima decade) è di 270 mila ettolitri, mentre in bottiglia la produzione è di 35-38 milioni, esportata in 130 Paesi del mondo (Canada 8%, Germania 12%, Italia 23%, Usa 33%). I soci del Consorzio sono 523 di cui 315 imbottigliatori. E veniamo all’annata 2016, quella presa in consi-

a venticinquesima edizione alla stazione della Leopolda, con il suo lungo filare centrale di bottiglie, vede il record del numero dei produttori partecipanti. Ben 186 aziende, per un totale di 659 etichette e 92 Chianti Classico Gran Selezione in degustazione. Sotto i riflettori l’annata 2016 e la Riserva 2015, anche se erano presenti altri millesimi in degustazione. Un totale di oltre novemila bottiglie che sono state aperte e servite da una squadra di cinquanta sommelier nella due giorni di manifestazione, alla presenza di oltre duecentocinquanta giornalisti provenienti da trenta diversi Paesi del mondo e più di milleottocento operatori, italiani e stranieri. “È il terzo anno consecutivo - afferma il presiden-

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Chianti

derazione dai nostri assaggi. L’andamento stagionale è stato abbastanza regolare, estate di caldo costante, senza picchi eccessivi. Dopo aver assaggiato tutti i campioni di una vendemmia che possiamo definire calda, l’idea è che si tratti di un millesimo estremamente godibile, non ai livelli qualitativi della precedente 2015, tuttavia il denominatore comune dei vini è buona acidità e grande piacevolezza di beva. Una buona annata ma non paragonabile all’eccellenza della 2015, forse per dei problemi di valutazione in fase di vendemmia. I vini nel bicchiere mostrano però vibranti acidità, bel frutto e un’impressione generale di grazia e finezza che li renderanno molto graditi agli amanti della tipologia, e complessivamente tracciano il profilo di un’annata immediata che potrà piacere anche a chi in genere non beve Chianti Classico.

prietà di tre nazionalità diverse, è ancora oggi, dopo 45 anni, un punto di riferimento per il sangiovese di Gaiole in Chianti. Tutto iniziò con un ettaro e mezzo di vigna che John e Palmina Dunkley decisero di recuperare e curare, fino ad arrivare agli attuali 21 ettari, sempre all’interno del comune di Gaiole, attualmente di proprietà di una famiglia guidata da Svetlana Frank. L’azienda è certificata in biologico e utilizza anche preparati biodinamici. I vigneti sono posizionati fra i 450 e i 600 metri, in diversi appezzamenti, su terreni calcareo-argillosi. Castello di Monsanto Chianti Classico 2016 Chiaro e diretto, franco nel frutto rosso fresco, ciliegia e arancia, abbondante di erbe fini e spezie, arioso e dinamico. Il sorso scorre virtuoso, fresco, succoso, ritmato da un passo leggero che porta alla meta. Dei 72 ettari impiantati a vigneto, tra i 260 e 310 metri s.l.m., 56 sono a Sangiovese, il vitigno in cui l’azienda (acquistata negli anni ’60 da Aldo Bianchi) ha profondamente creduto fin dall’inizio. I cloni di Sangiovese presenti nei vigneti provengono da selezioni massali delle viti trovate nella vigna Il Poggio, “la madre» di tutte le vigne di Monsanto. Le terre di Monsanto si dividono in due tipologie: il versante

La nostra top ten: Riecine Chianti Classico 2016 Classe, pura classe. Calibro, misura, sottigliezza. In filigrana, fiori e frutti. E la luminosità di un’energia dinamica, propulsiva, che spinge alla beva. E il flusso di purezza accarezza l’anima. Riecine, dal 1971, nonostante i tre cambi di pro-

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la. Eleganza senza tempo nella trama gustativa, che accarezza fresca le papille, tattilmente. Registro tannico ben calibrato in una trama vitale che si rivela con immediatezza, poggiando sulla ricchezza del frutto. Inesauribile beva avvincente. La famiglia Coccia possiede due ettari e mezzo nel magico comprensorio di Lamole, da poco ha avviato anche la conversione biologica. Le vigne sono divise in due appezzamenti: Castellinuzza è proprio sotto la cantina, Piuca si trova più in alto, verso Lamole. Castellinuzza mostra pendenze impressionanti e vigne di 45 anni d’età; Piuca, a circa 600 metri d’altitudine, è impiantata su terrazzamenti com’era in uso nel Lamolese. Bibbiano Chianti Classico 2016 Portamento di struttura, ricco di materia succosa e dinamica, con freschezza infiltrante e tannini forti, puliti, nettanti. Bocca tutta dinamismo e precisione nella diffusione aromatica, di presa forte e bello slancio, sapida, energica e profonda. La proprietà di Tommaso e Federico Marrocchesi Marzi, quinta generazione, si estende su 25 ettari tra i 270 ed i 300 metri di altitudine. Il grande Giulio Gambelli, quasi certamente il più vero interprete del Sangiovese, ha collaborato per oltre sessanta vendemmie con la famiglia, lasciando in eredità la sua impronta leggendaria.

nord è costituito da galestri, mentre quello sud da galestri intervallati a tufi. Villa Pomona Chianti Classico 2016 Fruttato rosso ricco, nitido e croccante. Il sorso è un piacere immediato per la trama fitta, la polpa dosata, il frutto di squisita succulenza, la progressione agile e continua, la persistenza leggera e lunga. L’azienda, in biologico certificato, è condotta da Monica Raspi (coadiuvata in cantina dall’enologo Filippo Paoletti). Alla morte del padre prende in eredità le redini dell’azienda, che da allora diventa un riferimento per gli amanti dei Chianti Classico rispettosi della vite e del territorio, tradizionali e veraci. Cinque ettari e mezzo nei quali le vigne, con un’età compresa fra i 10 e 30 anni, affondano le loro radici su un terreno calcareo-marnoso con presenza di alberese.

Felsina Chianti Classico 2016 Ampio panorama odoroso floreale di rosa ed erbe balsamiche con una punta speziata. Spalla acida che sorregge la maturità del frutto donandogli bevibilità e slancio. Il tratto è sapido, la bocca di stimolante articolazione, fino al limpido finale. Acquistata nel 1966 da Domenico Poggiali, l’azienda è condotta da Giovanni Poggiali e da Giuseppe Mazzocolin, ex professore di Lettere che lasciò

Castellinuzzi e Piuca Chianti Classico 2016 Corredo olfattivo affusolato con rintocchi di vio-

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l’insegnamento per dedicarsi al vino, coadiuvati dall’enologo Franco Bernabei. La proprietà, condotta in regime biologico certificato, su estende su 75 ettari di terreno molto eterogeneo, da calcareo-pietroso ad argilloso.

Frutto rosso immediato, fragrante e fine; cenni di erbe aromatiche. Carnoso, delineato da una materia prestante, si espande con ritmo progressivo al palato, fino al lungo finale. Diego Finocchi acquista nel 2006 tre ettari di vigne (oggi diventati cinque) a Radda in Chianti cominciando a imbottigliare nel 2009. La maggior parte delle vigne risale alla fine degli anni Sessanta, con piante dalle rese piuttosto basse. I vigneti allevati a guyot, sono su terreni di medio impasto, ricchi di galestro, ma soprattutto molto ripidi: di qui il nome dell’azienda. A partire dall’annata 2015 le etichette sono certificate biologiche.

Isole e Olena Chianti Classico 2016 La bocca è agile e diritta con acidità svettante e percorsa da una vena quasi salata. Materia ingente in equilibrio dinamico, capace di una mirabile spinta gustativa. La famiglia De Marchi acquistò le due fattorie di Isole e di Olena nel 1956. Dal 1976 Paolo, enologo con esperienze in California, si occupa con rigore dell’azienda, privilegiando fra i vitigni il sangiovese senza trascurare gli internazionali. I terreni sono ricchi di galestro.

Monteraponi Chianti Classico 2016 Frequenza melodica, voce armoniosa che si sintonizza immediatamente alle papille, fraseggiando in succo tonale. Grazia, souplesse e misura si elettrizzano con una vibrante acidità che rinfresca il palato,

L’Erta di Radda Chianti Classico 2016

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pronto ad un altro sorso. Dieci gli ettari di proprietà della famiglia Braganti, acquistati negli anni Settanta. Michele interviene a fine anni Novanta e da allora (prima bottiglia nel 2003) porta Monteraponi ai vertici qualitativi della denominazione. I vigneti, ad un’altitudine fra i 420 e i 560 metri, sono distribuiti ad anfiteatro, strappati al bosco che circonda la suggestiva zona, su terreni di matrice marnoso-calcarea con pendenza fino al 25%. Fattoria San Giusto a Rentennano Chianti Classico 2016 Il disegno aromatico punta ad un bel frutto maturo, ciliegia in primis. Bocca materica e imponente ma ritmata e marcata da tannini all’altezza. Storica azienda del Chianti Classico, è di proprietà della famiglia Martini di Cigala dagli inizi del Novecento. I terreni sono prevalentemente tufacei, con forte presenza di sabbia, limo e zone calcaree con fossili, ma anche a medio impasto con maggiore presenza di argilla. L’azienda è condotta in regime biologico, con la consulenza agronomica di Ruggero Mazzilli ed enologica di Attilio Pagli. I vigneti più vecchi sono del 1972, i più giovani del 2014.

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BEVI RESPONSABILMENTE www.enzopancaldi.it - ph: Carlo Guttadauro, Archivio www.lambrusco.net


Toscana di Alessandra Piubello

Brunello 2013, vera annata da vigneron

Le condizioni meteo hanno privilegiato le zone a Sud e Sud-est ed hanno premiato quanti possono contare su uve provenienti da più vigneti

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l centro dell’attenzione di questa ventiseiesima edizione di Benvenuto Brunello, il Brunello di Montalcino 2013, la Riserva 2012, il Rosso di Montalcino 2016 oltre a Moscadello e Sant’Antimo. Ben 135 le aziende presenti e circa 200 i giornalisti intervenuti che hanno potuto assaggiare oltre 350 etichette sia in sale a loro riservate con servizio sommelier e sia alla presenza dei produttori all’interno dei chiostri del museo civico e del complesso di Sant’Agostino. Veloce focus sui numeri attuali: il giro d’affari del

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vino di Montalcino con 180 milioni di euro ha ripreso quota, dopo che nel 2016 erano stati 170. I vigneti di Brunello sono sempre fermi a 2100 ettari ma i rivendicati oscillano tra i 1900 e i 2000. Il 2017 si presenta come un anno all’insegna della stabilità: confermato il dato sulle esportazioni, che si attesta sul 70% della produzione totale. Stabile anche la produzione: 9.010.369 le bottiglie di Brunello imbottigliate nel 2017 (0,65% in meno rispetto al 2016). Stabile il valore stimato di un ettaro di vigneto a Montalcino, che si attesta sui 700.000 euro, con una rivalutazione, in appena mezzo secolo, del 4.405%.

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Toscana pensare alla freschezza, alla reattività, alla baldanza e al futuro. Certo, va sottolineato che la 2013 è una vera annata da vigneron, una di quelle dove l’attenzione e la pazienza sono state messe a dura prova da un periodo prolungato di piogge, soprattutto sotto vendemmia. Un’annata fresca, che ha ovviamente favorito le zone sud e sud est e penalizzato quelle sui versanti nord e nord est, ma che ha anche ribadito l’importanza di poter contare in azienda su uve provenienti da più zone e vigneti, per mitigare gli effetti climatici. Fortunate le zone meridionali sia del versante orientale che occidentale. Nelle annate a lenta maturazione hanno sempre dei vantaggi soprattutto a livello di freschezza olfattiva. Come carattere complessivo la potremmo definire un’annata fine ed elegante con tannini ben registrati, che hanno avuto il tempo di maturare sulla pianta, senza eccessi alcolici del recente passato. Tuttavia resta grande la disparità degli esiti, forse anche di più che in altre annate recenti, che riflettono la posizione aziendale ma anche la capacità dei vignaioli di saper attendere. Dal punto di vista della longevità ci potranno essere delle sorprese. Quest’anno più che mai è stato fondamentale il lavoro dei viticultori e degli enologi, tanto in vigna quanto in cantina. In base alla loro esperienza, vignaioli ed enologi hanno lavorato prima sulla pianta, per proteggerla dagli stress idrici, termici e solare, poi sulle uve, per interpretarle e conferire al prodotto la propria identità. In poche parole, come sempre, hanno contato i vignaioli esperti, le giaciture e i versanti. Eppure l’annata ci ha messo decisamente del suo, e questa sua selettività ha regalato ai vini un quid di personalità in più. Dagli assaggi fatti prevediamo un’annata destinata a un lungo e lunghissimo invecchiamento. Un millesimo che rimanda tutto il vigore del sangiovese di queste terre, con una verve di freschezza e tannini decisamente vivaci. Uno zoccolo duro di cantine virtuose che con

E ora passiamo alle degustazioni. Con il numero 2013 scende in campo una delle annate più classiche, solide ed austere degli ultimi anni. Millesimo classico, piuttosto freddino. Classico nel senso di non troppo difficile né esageratamente concentrato e alla lunga perlopiù sorprendente. Ecco, un’annata vecchio stile. A caratterizzare più di tutto il 2013 è stata la pioggia primaverile. Lo dicono i numeri. Secondo il report pluviometrico della Regione Toscana “mediamente sul territorio regionale sono caduti circa 1.200 mm di pioggia». A luglio 2013 in pochi avrebbero scommesso su questo millesimo. Ma chi si ferma a guardare solo alle piogge primaverili sottovaluta le caratteristiche di Montalcino. La raccolta a ottobre inoltrato ha consentito la maturazione dei tannini, senza l’incombere di concentrazioni zuccherine esagerate come nelle recenti annate calde. Ci siamo trovati di fronte ad un’annata che porta a

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za e per la persistenza. Nonostante il cambio di proprietà di questi ultimi anni, tutto è rimasto inalterato. I dieci ettari a conduzione biologica impiantati a vigneto nel versante sud-est della collina di Montalcino, beneficiano di un microclima unico con importanti escursioni termiche. Le vigne sono a quote diverse, dai 250 ai 400 m.s.l.m., su terreni differenti, con età variabili dai dodici ai quaranta per le più vecchie. In cantina, Luca Marrone che ha raccolto l’eredità di Giulio Gambelli, opera con la supervisione di Federico Staderini.

grande regolarità si ripropone ai vertici della denominazione grazie ad interpretazioni personali, rigorose ed ineccepibili ma che resta pur sempre limitato nella numerosità e nella rappresentanza a fronte di un dispiegamento di nomi, di voci e di cantine ben più cospicuo, che farebbe presagire una qualità generalizzata e invece ci si accorge che non è così. La nostra top ten Brunello di Montalcino 2013 Il Marroneto Selezione Madonna delle Grazie Partenza quieta, ma in costante sviluppo, leggera nota ferrosa che evolve a raggiera in variegata composizione di spezie, fiori, sottobosco tutto un composito viluppo. Più lento ancora al palato per materia ingente e grande tensione: la prima impressione di imponenza è presto fugata nello svolgersi della trama, fitta e delicata, dei tannini. Progressione gustativa luminosa, fase centrale lunghissima che ripropone la ricchezza di aromi dell’olfatto, finale altrettanto lungo, finemente speziato e con il frutto in essenza, accompagnato dal ritmo e dalla carezza dei tannini. Alessandro Mori, sin dal 1975, anno in cui piantò insieme al fratello il primo appezzamento di vigneto, rappresenta la “memoria storica» aziendale avendo voluto ogni singolo passaggio rispettoso della naturalità. I cinque ettari di vigneto si estendono sul declivio nord in una zona con sedimenti marini ed eolici, con presenza di sabbione di mare misto a minerali vari.

Brunello di Montalcino 2013 Le Ragnaie Fornace

Complessità aromatica, fruttato intenso e memorabile forza gustativa. Lunghissimo. Piacevole fin da adesso acquisterà ancora più definizione con l’invecchiamento. Riccardo Campinoti conduce l’azienda acquistata dalla famiglia nel 2002. I vigneti si estendono per quattordici ettari in zone diverse: le Ragnaie (con vigne dai 5 ai 40 anni), Pietroso e Castelnuovo dell’Abate. La conduzione è biologica, certificata dal 2009. Brunello di Montalcino 2013 Gianni Brunelli Le Chiuse di Sotto Brunello denso, dai colori e dagli aromi più scuri, a tratti ritroso ed ombroso con i suoi profumi di bosco e di cuoio, con una nota ferrosa intrigante. Struttura, opulenza misurata, tannini di stoffa nati per durare. I sei ettari e mezzo si distribuiscono su due distinti corpi vitati: a nord-est in zona Le Chiuse vigne di trent’anni con radici su suolo limoso e in zona Podernovone (dove si trova la nuova cantina) su terreno ricco di scheletro. Dal 2007 è Maria Laura Vacca Brunelli a gestire l’azienda di famiglia (attualmente con direzione diretta della vigna e della cantina).

Brunello di Montalcino 2013 Poggio di Sotto Complessità radiosa, slancio evidente già all’olfatto con un ventaglio espressivo vasto e dinamico, cangiante e mai disunito. Bocca che compendia concentrazione e dinamismo, fittissima nella trama dei tannini, appagante per la sensazione tattile di nettez-

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Toscana nebbie. L’altitudine media dei vigneti di 350 m.s.l.m. risulta ottimale per la coltura del Sangiovese Grosso, unico clone utilizzato nelle vigne.

Brunello di Montalcino 2013 Lisini Fascino antico, di palpabile sottigliezza. Il profilo gusto olfattivo è teso, mostrando un quadro profondo, in crescita e costante espansione. In bocca è un esempio di unità che si sviluppa cesellando la polposa materia in lunghezza. Una delle realtà più antiche e consolidate della zona, da secoli proprietà dell’omonima famiglia, oggi guidata da Lorenzo, Ludovica e Carlo. La vigna è di venti ettari, situata a sud di Montalcino, in frazione Sant’Angelo al Colle, piantata su terreni di tufo, galestro e argilla. L’età media oscilla tra i trenta e i quarant’anni. I vigneti aperti alle correnti marine della Maremma dispongono di un particolare microclima, estremamente differente da altre zone del comune, costituito da precipitazioni ridotte e assenza di

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Brunello di Montalcino 2013 Mastrojanni Vigna Loreto Misurato nell’effusione aromatica che è di grande spettro e ancora minima intensità. Una trama lavorata finemente e ricchissima di dettagli. È ampiezza in compostezza: fiori e frutti rossi, sottobosco, cenni di spezie scure. Il gusto lo conferma per tempra e misura, con il presentimento di molti dettagli e nella loro minima cessione. Per ora descrive un campo di dimensioni ed energia notevoli: trama fitta, freschezza infusa e profonda. Un lungo e luminoso futuro. La famiglia Illy, che nel 2008 ha acquistato l’azienda, ha mantenuto lo staff dirigenziale, Andrea

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Machetti in testa, con i suoi vent’anni di attività in sede. La superficie vitata si estende a Castelnuovo dell’Abate su venticinque ettari di terreno con suoli differenti: argille vive, millenari detriti di ciottolato, tufi e arenarie. Le vigne hanno tra i tredici e i quaranta anni. Brunello di Montalcino 2013 Paradiso di Manfredi

Un calice carico di suggestioni. Corredo espressivo persistente e infuso alla ricca materia. Succulento e rinfrescante. Potente e leggero. Struttura vivida, dall’espansione dinamica, si allunga in un finale intenso. Il nome deriva da Manfredi Martini e dal podere “Il Paradiso», abitazione contadina costruita agli inizi dell’800, da lui acquistato negli anni Cinquanta. Il genero Florio, con la moglie Rossella Martini e le figlie, si definisce “custode» di queste vigne disposte su 2,5 ettari ad un’altitudine variabile (intorno ai 330 mt sul livello del mare), esposte a Nord Est, su terreni ricchi di fossili. L’età media dei vigneti è trent’anni. La conduzione è biologica.

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Brunello di Montalcino 2013 Pietroso Altra grande prova per questo piccolo produttore che propone un Sangiovese ricco di polpa ma disegnato tutto in levare. Ritmo, dinamismo gustativo e bevibilità tracciano un disegno di sicura trasparenza espressiva. La famiglia Pignattai con Gianni (il nonno fondò l’azienda negli anni Settanta), il figlio Andrea e la moglie Cecilia, si prende cura di cinque ettari e mezzo vitati. Il vigneto è impiantato esclusivamente a Sangiovese e si trova in tre zone distinte nel comune di Montalcino, ad un’altezza compresa tra i 350 ai 450 m. s. l. m., su terreni con caratteristiche differenti e complementari. Brunello di Montalcino 2013 Salvioni Austero per approccio e con una riserva ingentissima di energia, profondo, dall’attacco pieno e coinvolgente, diritto e traente nello sviluppo, spiccatamente sapido, fresco, dissetante, imprevedibile nel dimenticare la taglia forte e librarsi in un finale aereo per finezza e diffusione aromatica. Salvioni è un nome storico nel comprensorio ilci-

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nese: dall’85, da quando Giulio Salvioni produce la sua prima etichetta, lo è anche nel mondo del vino, a livello internazionale. Il vigneto di quattro ettari si trova in località La Cerbaiola, ricca di terreni di galestro. Le viti sono databili agli anni Ottanta e alcune sono state reimpiantate nel 2001. Brunello di Montalcino 2013 Le Potazzine La luminosa limpidezza dell’aspetto visivo introduce alla fragranza floreale e muschiata, della quale fanno parte anche tratti ferrosi e speziati. Etereo e leggiadro, in bocca ha compattezza, salinità e un tannino dal tocco fine. Si muove con un’eleganza conturbante, che spinge al riassaggio. L’azienda nasce nel 1993 grazie a Giuseppe Gorelli, perito agrario ed enologo. La tenuta è costituita da cinque ettari di vigneto, tre dei quali si dispiegano vicino alla cantina; gli altri, impiantati nel 1996, si trovano invece più a sud, nei pressi di Sant’Angelo in Colle, in località La Torre. Brunello di Montalcino 2013 Sesti Brillantezza espositiva, eleganza, dettaglio, fluidità di trama, soffice tattilità e una tensione garbata sulle ali dell’equilibrio. Non cerca facili consensi, è intimo e raccolto: ha anni di luce davanti a sé e nessuna fretta di espandere il suo nucleo di pura vibrazione energetica. Giuseppe Maria Sesti, storico di astronomia, conduce la tenuta con un approccio agronomico biologico (non certificato) assieme alla figlia Elisa, coadiuvati da Giuliano Bernazzi. I dieci ettari di vigna sono circostanti la torre del Castello di Argiano ad un’altezza media di 350 metri. I terreni sono composti da sabbie e fossili marini e ricchi di sostanze minerali.

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Chianti DOCG 2017, la nostra top ten Annata difficile, cala la produzione mentre nel mondo la sete di Chianti non accenna a diminuire

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vedere le lunghe file di giovani determinati ad entrare nel padiglione Cavaniglia della Fortezza da Basso di Firenze per gustare il Chianti in anteprima, c’è da restare impressionati. Siamo alla settima edizione, e quattro anni fa il Consorzio del Chianti fu il primo ad avere l’idea di aprire al pubblico (seguito poi da molti altri). L’anno scorso i Chianti lovers erano in duemila, quest’anno sono raddoppiati, ben quattromila persone hanno affollato le sale dell’enorme padiglione, con la possibilità di degustare cinquecento etichette di cento aziende. La novità dell’anno è l’esordio della partecipazione del Consorzio di Tutela del Morellino di Scansano all’evento del Chianti. Per i duecento giornalisti accreditati, come di consueto, è stata predisposta una sala per la degusta-

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zione, con servizio di sommelier. In “vetrina» l’annata 2017 e la riserva 2015. Non è facile farsi un’idea precisa di una denominazione che comprende ben sei province: Arezzo, Firenze, Pisa, Pistoia, Prato e Siena, cui fanno capo sette sottozone geografiche dalle modalità produttive più restrittive, che sono Rufina, Colli Senesi, Colli Aretini, Colli Fiorentini, Colline Pisane, Montalbano, fino all’ultima nata Montespertoli. Al tempo dei terroir, dei cru, dell’identità di microarea, far parte di un modo d’essere così indefinito presenta indubbiamente qualche difficoltà. Stiamo parlando della Docg italiana più estesa, con i suoi 15.500 ettari registrati e gli oltre 800.000 ettolitri di vino prodotto per un valore che si aggira intorno ai 400 milioni di euro e circa 100 milioni di bottiglie in commercio. Il 70% è destinato all’export per i mercati quali Usa, aprile 2018


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Germania, Inghilterra e Giappone, con un’attenzione sempre maggiore al Sud America e all’Asia dove il Consorzio sta sviluppando nuovi rapporti commerciali. La filiera, di quella che ad oggi è la prima denominazione italiana di vini rossi fermi per produzione/commercializzazione, conta 3 mila operatori. L’annata 2017 non è certo di quelle memorabili: colpita dalla siccità, dalle gelate e dal problema ungulati, ha visto diminuire la quantità fino al 40% rispetto alla media. «L’andamento irregolare delle stagioni ha reso il 2017 un’annata molto difficile», dice Giovanni Busi, presidente del Consorzio Vino Chianti, «purtroppo la produzione ha subìto un forte calo, il che ha ridotto le quantità dell’imbottigliato da 100 milioni a 70 milioni di pezzi. Sopperiremo perciò alle richieste del mercato utilizzando le giacenze delle annate 2015 e 2016. La domanda di Chianti nel 2017 è cresciuta del +5% e questo è un buon segnale di apprezzamento dei nostri prodotti». Molto meglio l’annata 2016 in Rufina, di cui abbiamo qualche esempio davvero luminoso, e la 2015,

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una notevole annata che ha dato vita a delle riserve decisamente interessanti, intense e profonde, eppure abbastanza godibili già ora (dell’altro tempo in bottiglia non potrà che aiutarle ad arrotondarsi). La nostra top ten Selvapiana Chianti Rufina 2016 Da un profilo di nobile ampiezza emergono accenti balsamici. In bocca fila energico e dinamico, svelando un tratto avvolgente, sapido e carnoso. E’ coeso, determinato, si deve distendere ancora un po’ nel finale ma vibra di una personalità di sicura tipicità. La famiglia Giuntini conduce Selvapiana dalla seconda metà dell’Ottocento. Fra le prime a fare affidamento sul solo contributo del sangiovese per disegnare la composizione ideale dei propri vini, fra le prime a fare affidamento sulla forza espressiva derivante da un singolo vigneto (Bucerchiale, la cui omonima etichetta viene prodotta dal 1979), oggi l’azien-

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da è nelle salde mani di Federico Masseti Giuntini, figlio dello storico fattore di Selvapiana, poi adottato dal proprietario Francesco Giuntini per dare continuità ad una storia di passioni che esigeva futuro. Ieri come oggi, l’azienda è il paradigma della Rufina. Frascole Chianti Rufina 2016 Frutto rosso del bosco, vivo e vibrante. Pulito, fresco e teso, vien proprio da berlo (e riberlo). E se ancora la complessità non è al massimo, di lui mi piacciono il senso della misura e il sentimento di fondo. Enrico Lippi, in vigna e in cantina, lavora su quindici ettari di vigne. Si trovano in due zone con microclima diverso, mediamente hanno quindici anni d’età, ma una parte sfiora i cinquanta anni di esistenza. I diversi appezzamenti, spesso con dislivelli importanti, sono ad alta densità e basse rese. Tutta l’azienda è condotta dal 1998 in regime biologico. Travignoli Chianti Rufina Governo 2016 Progressiva apertura aromatica sui frutti rossi e

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sulla menta. Bocca rilassata, sinuosa, senza irrigidimenti tannici, croccante e dalla beva coinvolgente. Ricordata per la prima volta in una pergamena di Vallombrosa del 28 novembre 1100, Travignoli si trasforma in fattoria alla fine del ‘400. Travignoli è costituita da 70 ettari di vigneto, 14 di oliveto e 5 a bosco. Le vigne sono esposte a sud ad un’altezza fra i 250 e i 350 m.s.l.m. su terreni calcarei, marnosi e argillosi, La proprietà, acquistata dai conti Busi nel ‘700, è attualmente nelle mani di Giovanni Busi che si avvale della collaborazione dell’enologo Mauro Orsoni. Tenuta Cantagallo e Le Farnete Montalbano Riserva 2015 Il Fondatore Sostenuto da un bel tono aromatico, è fresco, scattante, profilato, senza smagliature alcoliche, davvero distintivo nell’incedere. Ampio e diffusivo, figlio di una bella annata e di una bella interpretazione. Due sono le tenute condotte da Enrico Pierazzuoli: Cantagallo, fondata nel 1970 nelle zone di Capraia e Limite (nella zona del Montalbano Docg), posta ad

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un’altezza di 200 metri con terreni ricchi di tufo e galestro ed esposizioni a sud; Farnete, fondata nel 1990 a Carmignano, a 150 metri di altitudine con terreni di albarese e argilla. Fattoria di Fiano di Ugo Bing Chianti Riserva 2015 Austero e compassato, l’anima del sangiovese emerge a tutto tondo, alimentata dagli umori di spezie e sottobosco e nobilitata da una dotazione tannica che si sviluppa sapida. Buona dinamica gustativa, colpisce per il portamento signorile. La Fattoria di Fiano, nella zona di produzione Chianti Colli Fiorentini, è di proprietà della famiglia Bing dal 1940. I terreni, medio impasto, tendenti all’argilloso con scheletro, disposti a ventaglio, per oltre 65 ettari, sono orientati a sud. Quattordici ettari si trovano in località Novoli, con una tessitura da argillosa a franco - argillosa. L’attuale conduttore dell’azienda è Ugo Bing, agronomo, coadiuvato dai familiari e dall’enologo Federico Staderini.

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Fattoria Montellori Chianti 2017 Olfatto affusolato, puntuale e vivo. Attacco di bocca nitido e focalizzato, bocca fresca e flessuosa, golosa fino al lungo finale. Di proprietà della famiglia Nieri dal 1895, è stata guidata fino al 1998 da Giuseppe Nieri, al quale subentra poi il figlio Alessandro: la quarta generazione. I cinquantacinque ettari sono distribuiti in cinque blocchi, situati in differenti località con terreni diversi, che vanno dalle argille alle arenarie al tufo, con differenti microclima, esposizione ed altitudine.

da oliveti, bosco e aree seminative) sono impiantati a Sangiovese, su suoli argillosi con inserti calcarei, a circa 300 metri d’altitudine. In cantina l’enologo Adolfo Benvenuti. Tenuta di Artimino Montalbano 2017 Fresco, fragrante, di puntuale definizione aromatica, assume un buon respiro e un certo garbo dai risvolti floreali. Buon equilibrio al palato, dove l’attitudine alle sfumature, la trama affusolata e i tannini ben registrati gli consentono di acquisire bevibilità e scioltezza. Appartenente alla famiglia Olmo sin dagli anni Ottanta, la Tenuta di Artimino conta su una superficie vitata che complessivamente arriva a coprire oltre settanta ettari ad un’altitudine di circa 200 metri. Il suolo è prevalentemente franco limoso e sassoso. Oggi sono Annabella Pascale e Francesco Spotorno Olmo a portare avanti l’eredità familiare, mentre la conduzione enologica è di Filippo Paoletti.

Colognole Chianti 2017 Apre su note attraenti, che rimandano al frutto avvolgente. Trama soffice, fresca e scorrevole. Piacevole nella sua finezza espressiva. L’azienda Agricola Colognole appartiene alla famiglia dei Conti Spalletti dalla fine dell’Ottocento, anche se la casa vinicola fu fondata nel 1990. Guidata oggi da Cesare Coda Nunziante, è arrivata alla quinta generazione di famiglia. La superficie aziendale si estende per circa 650 ettari all’interno della Docg Chianti Rufina. I 27 ettari di vigneto risalgono la sponda destra del fiume Sieve ad altitudini che variano dai 250 ai 520 metri s.l.m., su terreni prevalentemente argillosi con abbondanza di galestro.

Salcheto Chianti 2017 Il sorso viaggia su una bella linea tesa: alla ricerca della delicatezza e non della potenza muscolare. Composto nel suo sviluppo gustativo, procede poi agile e scattante al finale che regala lunghezza. L’azienda di Michele Manelli (in cantina opera Paolo Vagagini) ha una proprietà estesa su 50 ettari vitati, principalmente a Montepulciano, di cui 11 ettari destinati al Chianti Colli Senesi a “Poggio Piglia», in quel di Chiusi. Tutti i vigneti, condotti in regime biologico, sono ad un’altitudine compresa fra 450 e i 600 metri slm.

Badia di Morrona Chianti 2017 Trama odorosa delineata da un frutto fresco (ribes, fragola) che ne costituisce il tratto peculiare. Il sorso si allunga piacevolmente ritmato dalla rinfrescante acidità. Un monastero che produce vino già intorno all’anno Mille. Dal 1939 l’ex complesso monastico con annessa l’azienda agricola è di proprietà della famiglia Gaslini Alberti. Oltre la metà dei 110 ettari di vigneto (la proprietà si estende su 600 ettari, punteggiati

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PER ALCUNI, NON È GIÀ PIÙ UN SEGRETO

PHILIPPONNAT BLANC DE NOIRS MILLESIMATO Assemblaggio ambizioso costruito attorno ai migliori terroir di Pinot Nero della Montagna di Reims, esclusivemante Premiers e Grands Crus, la cuvée Blancs de Noirs millesimata è il futto di una selezione minuziosa dei migliori vini dell’annata. L’espressione massima dello stile della Maison: uno champagne strutturato, intenso e fresco. www.philipponnat.com L’ABUSO DI ALCOOL È PERICOLOSO PER LA SALUTE. DA CONSUMARSI CON MODERAZIONE.


Sudamerica di Giulio Bendfeldt

La Ruta del Pisco: glorie naturali e piaceri gastronomici del Perù Curiose strade secondarie e valli desertiche, così aride, eppure in altri modi così ricche fanno da sfondo ad un percorso che unisce il turismo d’avventura e culturale con quello enogastronomico

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alla capitale peruviana fino al confine con il Cile, la Ruta del Pisco mette a contatto appassionati di enogastronomia e visitatori alla ricerca del lato più autentico del Paese tra culture ancestrali e tradizione vitivinicola. Dagli affascinanti locali della capitale, alle vigne e le eleganti distillerie di Lunahunà e Ica, fino alle oasi e ai canyon di Arequipa, il percorso racconta un’identità nazionale che il Perù custodisce gelosamen-

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te. Il circuito, che si sviluppa da Lima a Tacna lungo il litorale peruviano, offre la possibilità di scoprire bar esclusivi, antiche botteghe coloniali, artigianato locale, itinerari storico – naturalistici e spettacoli folkloristici. Dal km 199 al km 291 della Panamericana in direzione sud, oltre ad alcune caratteristiche botteghe, si incontra anche il Museo del Pisco, l’unico museo didattico al mondo dedicato esclusivamente allo studio, diffusione e promozione del pisco, bevanda nazionale del Perù.

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LIMA Entrando al Bar Inglés del Country Club Hotel a Lima si rievocano antichi fasti e atmosfere del passato. Uno dei luoghi più citati dalla lettura peruviana, questo cocktail bar emblematico è lo sfondo ideale per un’iniziazione alla cultura del pisco. Il silenzioso ambiente, avvolto da pannelli di legno e un tempo frequentato da illustri personaggi come Johnny Weissmuller e Ava Gardner, è un tempio della bevanda nazionale del Perù. Il menù offre cocktail nazionali ed internazionali, oltre ad una splendida selezione di bevande a base di pisco: dal pisco liscio aromatico e non, ai più conosciuti pisco sours passando per gli aperitivi a base della famosa acquavite. LUNAHUANÁ Una piccola cittadina a sud Lima, un cuore romantico nel deserto, Lunahuaná si divide tra la produzione di vino e le attività fluviali. Entrambi devono la propria esistenza al Rio Cañete, le cui acque sono luogo ideale per le avventure di coraggiosi rafters e una preziosa fonte per l’irrigazione dei vigneti locali. Un tour tra la piazza principale, la Cattedrale e i vicoli di Lunahuaná farà sentire il visitatore immerso nel passato coloniale del Paese tra oggetti di artigianato e cocktail a base di pisco. A conclusione di un’avventurosa escursione Lunahuanà offre tradizionali degustazioni in cantina, classica tappa di ogni enoturista.

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PISCO Proseguendo sulla Panamericana, in direzione sud nella Regione di Ica, la vista corre oltre le sabbie del deserto scorgendo il Pacifico. Il Perù sembrerebbe un luogo ostile per la coltura della vite ma rigogliosi filari sono già visibili dalla propria auto. Da Pisco, per gli appassionati di enogastronomia e design, si giunge fino ad una splendida bodega contemporanea ispirata all’architettura desertica della regione e che prende il nome dall’anno in cui si registrò per la prima volta la presenza di colture di uva nei dintorni di Pisco, Pisco 1615. Il vigneto faceva, originariamente, parte dell’antica Hacienda di Santa Cruz. All’interno delle cantine la tradizione si fonde con le più moderne tecnologie, raggiungendo uno degli standard di distillazione più elevati del pisco peruviano. ICA Procedendo verso la città di Ica, è possibile concedersi una tappa a Paracas, villaggio di pescatori e meta turistica rinomata in tutto il mondo. Ammirando la vista dalla costa si scorgono le Isole Ballestas che ospitano leoni marini, pinguini di Humboldt e specie di uccelli marini. Quest’area non è ricca solo a livello faunistico ma ospita anche floride vigne e liquorerie tra cui La Hacienda La Caravedo, risalente al 1684, la più antica distilleria funzionante in America. Una visita a questa azienda offre l’opportunità di ammirare la storica struttura oggi assorbita da un’azienda estremamente tecnologica. Il mastro distillatore Johny Schuler, acclamato da molti come il Re del pisco, custodisce gelosamente la ricetta di lavorazione del pisco gesuita che produce seguendo gli insegnamenti originali. Visitare questi luoghi in

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Un’acquavite contesa Il pisco è un’acquavite peruviana tutelata da due denominazioni di origine, ricavata dalla distillazione di vino bianco e rosato, aromatico e non. È una bevanda nazionale solo in Perù. Pur essendo un distillato di vino, non appartiene alla famiglia dei brandy perché non subisce invecchiamento. Vicino a Lima si trova il porto di El Callao, del quale si narra che nell’Ottocento le navi mercantili non ripartissero senza aver fatto un buon carico di un’ottima acquavite della città di Pisco. Perù e Cile disputano tuttora sulla denominazione di origine, poiché i due paesi sudamericani sono entrambi produttori di pisco. Il Perù afferma che il distillato dev’essere considerato esclusivamente peruviano, essendo originario di Pisco (città che esisteva ancora prima della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo); il Cile non si oppone a questo argomento visto che tra i suoi confini esiste dal 1936 una città con il nome di “Pisco Elqui», ma pretende che il termine pisco sia riferito unicamente alla bevanda da lungo tempo prodotta anche nel loro paese. Il pisco si distilla con alambicco continuo o discontinuo da vino di uva moscata Italia, e da altre uve, coltivate sia nella regione di Ica che in altre aride valli costiere del Perù meridionale. La gradazione alcolica va dal 40 al 50 percento. Le qualità prodotte si distinguono in quattro categorie: Pisco Puro (da uve non aromatiche); Pisco Aromatico (da uve aromatiche); Pisco Acholado (mescolanza dei due precedenti) e Pisco Mosto Verde (da mosto a fermentazione incompleta). La degustazione liscia del pisco viene detta trago corto, e consiste nel sorseggiarlo e trattenerlo in bocca qualche secondo prima della deglutizione, in modo da apprezzarne il bouquet. Il pisco viene utilizzato anche nella preparazione di cocktail tra i quali il chalaquito ed il più noto pisco sour; quest’ultimo prevede l’aggiunta di succo di lime, ghiaccio, sciroppo di zucchero e albume d’uovo. Si usa anche mischiato alle bevande come la Coca-Cola col nome di piscola, diffusa in Cile soprattutto tra i ragazzi, e talvolta con la Sprite, che rendono il pisco più leggero e meno amaro.

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primavera offre un’ulteriore opportunità di comprendere come la storia del pisco rappresenti una storia di mescolanza culturale tra popoli, grazie al Festival Internazionale della Vendemmia. Questa celebrazione riunisce tutti i produttori della regione per rendere omaggio alle uve della zona tra esibizioni di gruppi musicali tradizionali e i balli, degustazioni e la sfilata di bellezza della Regina della Vendemmia che, scelta tra le giovani ragazze della città, compie una passeggiata per le vie della città per poi calpestare i grappoli in una tinozza per estrarre il vino della festa.

alberi, palme tropicali e imponenti dune. Spostandosi verso il confine meridionale del Paese si giunge ad Arequipa, anche conosciuta come “la città bianca». Al termine di una giornata trascorsa tra le viste mozzafiato del Colca Canyon o le visite del monastero di Santa Catalina, del convento di Santa Teresa, costruito nel 1710 e in cui tutt’ora lavorano e vivono alcune suore, e della Plaza de Armas, un aperitivo da gustare nelle splendida cornice del ristorante Alma, dell’hotel Casa Andina Premium, è una delizia sia per gli occhi che per il palato. Lasciando la città ci si inoltra verso Moquegua, a metà strada tra la costa e le campagne. I pittoreschi villaggi della regione omonima ospitano antichi mulini, le valli abbondano di frutta e non mancano le aziende produttrici di vino e pisco, tra cui spicca la Bodega Biondi. Da più di 40 anni questa distilleria, estremamente attenta alla genuinità dei propri prodotti, produce e imbottiglia

AREQUIPA, MOQUEGUA E TACNA Lasciando Ica, una visita alla spledida oasi di Huacachina è quasi d’obbligo. La splendida cittadina, dichiarata patrimonio culturale del Paese, è situata sulle sponde di un lago naturale ed è circondata da

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La storia Il distillato selezionato e riposato di mosti appena fermentati, prende il nome Pisco da una parola quechua che significa “uccello» che a sua volta è stato dato alla valle peruviana, città e porto, al Perù Pisco (Diego Méndez del 1574). Nel XVI secolo l’uva arrivò in Perù dalle Isole Canarie, portata dal marchese Francisco de Carabbantes. I cronisti del tempo sottolineano che fu nella tenuta di Marcahuasi, a Cuzco, che la prima vinificazione in Sud America ebbe luogo nel 1560. Tale fu il successo che si cominciò a esportare il vino (specialmente prodotto dalla Chiesa) dal Virreinato del Perù alla Spagna. I produttori peninsulari imposero prima di Filippo II il divieto di questo commercio, che fu bloccato nel 1.614. Come conseguenza di questa restrizione, i monaci agricoltori intensificarono la preparazione del brandy d’uva, prodotto che lasciò queste terre attraverso il porto di Pisco. L’acquavite peruviana chiamata Pisco, guadagnò così prestigio e i suoi volumi di esportazione crebbero in modo significativo. Ciò è confermato dalle notizie del commercio marittimo con il Perù del diciassettesimo e diciottesimo secolo, che mostrano come le condizioni delle valli di Ica e Moquegua e le tecniche sviluppate, abbiano raggiunto un prodotto di altissima qualità.

il Pisco Biondi, riconosciuto a livello nazionale e internazionale. Come suggerisce il nome, le origini dell’azienda sono italiane, più precisamente toscane, così come lo sono quelle di molti produttori e abitanti della zona i cui avi immigrarono circa a metà del 1800. La Ruta del Pisco si conclude nella regione di Tacna, al confine con il Chile. La città è stata teatro di molte battaglie durante la Guerra del Pacifico e ha retto l’occupazione cilena per più di 50 anni, durante i quali la produzione di vino e pisco si è ridotta notevolmente. Nel 1930, quando Tacna è stata riannessa al Perù, l’industria “pisquera» nella regione si è riattivata con gran forza. Oggi, è possibile visitare molte botteghe locali dove si può acquistare il pisco, tra cui quella di Don César, produttore di uva nera Criolla e, famoso per il “Rancho San Antonio», uno trai migliori ristoranti della regione, dove fu inventato il “Tacna Sour», un cocktail molto elaborato, a base di pisco, limone e albicocche.

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Donnafugata: mille200 piante per il rimboschimento di Pantelleria devastata dall’incendio del 2016

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ra il 28 maggio del 2016 quando a Pantelleria divampava un incendio che alimentato dai forti venti di scirocco, si protrasse per giorni, bruciando centinaia di ettari di bosco. Allo sgomento seguì la risposta corale di istituzioni, associazioni e cittadini: a luglio Pantelleria divenne Parco Nazionale, il 1° in Sicilia, e poco dopo il Comitato Parchi per Kyoto lanciò una raccolta fondi per il rimboschimento. Quell’anno, con il proprio staff di agronomi, l’azienda vitivinicola Donnafugata raccolse semi della macchia mediterranea dell’isola. I semi di Periploca e di Cisto – arbusti autoctoni di Pantelleria – sono stati fatti germinare e crescere in vivaio, e infine sono state invasate; le 1.200 piante così ottenute, sono state donate al Comune di Pantelleria e saranno in questi giorni messe a dimora nelle prime aree a verde pubblico individuate dall’Amministrazione. L’intervento voluto da Donnafugata oltre a contribuire a migliorare il decoro urbano del centro di Pantelleria, ha una valenza simbolica: promuovere il valore della biodiversità, della natura e del paesaggio dell’isola. Il 21 marzo Donnafugata ha partecipato a “La primavera degli Alberi», l’iniziativa voluta dal Sindaco Salvatore Gino Gabriele – adesso anche Presidente del Parco di Pantelleria – in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente ed il Comitato Parchi per Kyoto. Con il coinvolgimento degli alunni delle scuole di Pantelleria, sono state presentate le aree a verde realizzate da Donnafugata, ed è stata inaugurata, al Castello, la mostra “A passi di biodiversità» curata dal Ministero dell’ambiente. Presentato anche il primo intervento di piantumazione frutto della raccolta fondi avviata dal Comitato Parchi per Kyoto, nato dalla collaborazione tra Federparchi, Kyoto Club, Legambiente e Marevivo. “Per noi che siamo impegnati in questo straordi-

nario contesto di viticoltura eroica che è Pantelleria – dichiara José Rallo di Donnafugata che sull’isola conduce 68 ettari di vigneti in produzione – è stato molto importante realizzare un intervento che contribuisca a ricordare l’importanza della macchia mediterranea quale componente fondamentale del patrimonio naturalistico dell’isola. Adesso sono lieta di annunciare anche la nostra decisione di sostenere il progetto del Comitato Parchi per Kyoto; da parte nostra finanzieremo anche la piantumazione di alberi che avrà luogo in autunno quando vi saranno tutte le condizioni per realizzare il progetto che di piante potrà metterne a dimora oltre mille in totale.» “L’obiettivo – aggiunge Antonio Rallo di Donnafugata – sarà quello del rimboschimento, da effettuarsi soprattutto nell’area della Montagna Grande, là dove più profonde sono state le ferite inferte dagli incendi: il Dipartimento Scienze Agrarie e Forestali dell’Università di Palermo e l’Ente Parco stanno lavorando per questo. Ci vorrà tempo e ancora altri fondi da raccogliere, ma l’importante è che si cominci. Da secoli a Pantelleria natura e agricoltura convivono in equilibrio: a noi tocca impegnarci per difendere e migliorare questa armonia e consegnarla alle future generazioni.»


Emilia di Enzo Russo Foto di Gio Belli

Giacobazzi, lambrusco di famiglia The Italian Wine Journal

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Antonio Giacobazzi: «Il 2017 è stato un anno di qualità e ci aiuterà a crescere all’estero. Primi frutti nel rilancio del marchio storico del gruppo rientrato “a casa». Ottime le performance in Oriente, Cina in primis».

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ficie e la possibilità di mantenere il vino in ambiente più fresco anche nel periodo caldo. «Oggi vi riposano tante bottiglie messe a fermentare lentamente per almeno 30 mesi per ottenere così un pregiato Metodo Classico di vino Lambrusco frutto dell’uva dei nostri vigneti». Mentre ci accomodiamo per degustare un flûte di Lambrusco metodo classico con un tocchetto di parmigiano, Giacobazzi aggiunge, «La Gavioli è sempre meta di molti turisti che arrivano soprattutto dall’estero per visitare la cantina e il museo dedicato alla Ferrari e Villeneuve. Sono tutti tifosi che vanno prima a Maranello e poi vengono qua dove possono vedere la Ferrari e la Williams di due grandi campioni». Iniziamo a parlare del Lambrusco e di come è andata la vendemmia di quest’anno: «Purtroppo è stata scarsa per quantità dovuta alla gelata di aprile e alla siccità estiva. In certe zone ha sofferto molto il Grasparossa, il Sorbara un po’ meno e il Salamino di Santa Croce poco. Abbiamo ridotto le quantità di uva di circa il 40%, fortunatamente lo scorso anno è stata abbondante e quindi quest’anno c’è una compensazione, il mercato non ne soffrirà. In ogni caso la scarsa quantità è stata compensata dall’alta qualità. Abbiamo un mercato abbastanza esigente che non possiamo deludere, chi invece si accontenta, guarda il prezzo e la qualità un po’ più standard e in questo caso è stato accontentato dagli spagnoli con quel poco di Lambrusco che gestiscono». Chiediamo poi come sia andato il mercato all’estero: “Abbastanza bene soprattutto per alcuni vini,

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iamo partiti da Milano con la nuova Jeep Renegade, viaggio in autostrada tranquillo, rilassante e sicuro per incontrare Antonio Giacobazzi, che ci aspetta a Modena nella sede del Gruppo Donelli, la holding di famiglia che comprende le cantine Giacobazzi e Gavioli. Neanche il tempo di ammirare, nella sala degli ospiti le tante bottiglie esposte che raccontano la storia del Lambrusco e il vissuto di Giacobazzi con in bella vista un bel bronzo raffigurante Enzo Ferrari e Gilles Villeneuve che arriva Giacobazzi per portarci a Nonantola nell’azienda Agricola Gavioli. E’ qui, in questa bella struttura, fiore all’occhiello del Gruppo, adibita alla degustazione e vendita delle varie tipologie di vino, che iniziamo a parlare mentre entriamo in un ampio salone dedicato al settore agricolo ed enologico dove, con un tuffo nel passato,si possono ammirare oggetti e macchinari antichi, poi un altro dedicato al mondo dei motori, altra sua passione, dove sono esposte alcune auto d’ epoca che fanno da contorno a due gioielli della Formula 1, la Ferrari di Villeneuve e la Williams di Senna. E qui Giacobazzi si sofferma qualche minuto come a voler ricordare i due grandi campioni scomparsi, che ha personalmente conosciuto e sponsorizzato. Poi, in un’altra sala c’è la bottaia, dove il vino riposa in grandi botti di rovere di Slavonia. «Non ci sono barriques, perché alterano il vino nelle sue caratteristiche sensoriali» spiega. Si scende poi nella zona interrata, un tempo cisterne in cemento adibite allo stoccaggio dei vini sfusi, questo consentiva il doppio recupero della super-


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invece il Lambrusco è stato depauperato a causa della concorrenza spagnola, che con la qualità non eccelsa e prezzi bassi ci ha creato problemi». Voi avete altri vini: «Abbiamo tre aziende, la principale è Donelli Vini, Giacobazzi che è tornata in famiglia da pochi anni e Gavioli Antica Cantina, un’ azienda che abbiamo acquisito circa 40 anni fa dalla famiglia Gavioli di Bomporto e che ci ha aiutato ad emergere nel mondo del vino di qualità. Stiamo rilanciando Giacobazzi con una nuova immagine e con nuove linee di prodotti di altissima qualità per far capire al mercato che la famiglia è tornata e che si apre un nuovo capitolo della storia aziendale. Purtroppo quando ci siamo divisi l’azienda è finita in mani fuori dalla famiglia e maltrattata. Fortunatamente abbiamo avuto l’opportunità di ricomprarla e ora cerchiamo di restituire al marchio quel lustro che gli spetta».

Ca. e focalizzata maggiormente sul mercato locale e regionale. In questo senso anche Giacobazzi sta facendo un processo di crescita notevole, il lancio della Linea Elite ne è la testimonianza e ancor di più lo saranno i metodi classici che verranno presentati a Vinitaly. Per quanto riguarda i mercati internazionali e la Grande Distribuzione Organizzata, abbiamo Donelli, con cui stiamo svolgendo un ottimo lavoro su una fetta di mercato importante e molto interessante». Qual è il mercato che maggiormente vi dà soddisfazione: «A seconda dei prodotti, tutti ci soddisfano. Donelli è un marchio forte in Giappone già da diversi anni con un ottimo trend di crescita. Gavioli si sta inserendo in maniera sempre più decisa sul mercato locale e trova approvazione anche con le declinazioni più estreme delle uve Sorbara con gli spumanti Metodo Classico e Ancestrale. Infine c’è Giacobazzi che lavora molto bene negli Stati Uniti, Canada e in Europa, senza dimenticare il mercato cinese».

Queste tre aziende operano sul mercato con obiettivi diversi: «Ogni cantina ha il suo target, non si sovrappongono e sono indipendenti anche a livello societario. Diciamo Gavioli è l’azienda agricola del gruppo, quella più orientata sul canale Ho.Re. The Italian Wine Journal

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La Cina come sta andando: «Sta crescendo piuttosto bene. Abbiamo la fortuna di poter lavorare con una delle più grandi aziende produttrici, importatrici e distributrici di tutto il mercato cinese. Con questa azienda siamo partiti a piccoli passi e stiamo crescendo sempre di più dopo aver maturato una buona esperienza sul mercato. Lì c’è un enorme futuro, ci sono circa 300 milioni di benestanti che possono comprare vino e le previsioni dicono che nel 2021 diventeranno 600 milioni. Un bel mercato».

Giacobazzi, il suo nome è anche legato allo sport, è bastato sponsorizzare la Ferrari e Villeneuve e in un batter d’occhio il suo nome ha fatto il giro del mondo: «Certamente lo sport è stato un grande veicolo per far conoscere il mio Lambrusco. Negli anni ‘70 eravamo poco conosciuti, ma nel ‘77 con Gilles tutti conoscevano Giacobazzi e se prima bussavo e pochi aprivano le porte per ricevermi, con la sponsorizzazione le porte si sono spalancate facilitando la vendita del mio Lambrusco in Italia e moltissimo all’estero. Nel pugilato abbiamo sponsorizzato il peso massimo Dante Canè, nel calcio il Modena e poi il ciclismo che ci ha dato molta soddisfazione con diversi campioni come Vandelli medaglia d’oro alle Olim-

Lei ha quattro figli, di cosa si occupano? « Jonathan, il più grande, lavora alla Ferrari, nella gestione sportiva del team F1. Giovanni è Presidente di Donelli Vini , si occupa dell’ azienda in generale e delle strategie commerciali. Alberto cura l’amministrazione e il mercato italiano Grandi Clienti. Angela ha studiato lingue orientali, si occupa del mercato orientale da diversi anni e si reca spesso in Cina per seguire da vicino i clienti». Lei ha girato il mondo, ci può dire con quale cibo

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viene bevuto il Lambrusco: «All’estero non c’è una grande tradizione, una cultura sul vino come da noi, a tavola in alcuni Paesi passano tranquillamente dal vino al succo di frutta, dalle bevande gassate alla birra, ma il Lambrusco nel suo genere riesce a farsi apprezzare perché è frizzante e leggero, soprattutto quando è lievemente amabile; accontenta i palati meno esperti, è facile da bere in abbinamento con qualsiasi cibo. Ogni Paese ha poi le sue tradizioni alimentari, ma devo dire che il Lambrusco se la gioca bene su tutti i campi, anche in Cina dove in certe zone il cibo è piccantissimo o molto grasso.. beh, lì il Lambrusco è l’abbinamento perfetto!».


Emilia Gilles Villeneuve: il pilota della Ferrari fu il primo a portare il nome Giacobazzi nel mondo

piadi Los Angeles, Amadori e Cassani e per finire Marco Pantani che con la nostra maglia vinse il Giro d’Italia dilettanti per poi passare a professionista. Ci siamo divertiti tanto, veniva spesso a trovarmi per trascorre qualche ora in compagnia e bere un buon bicchiere di Lambrusco. Un grande, difficile dimenticarlo».

Quali sono i vini che saranno proposti? «Il Lambrusco Sorbara, il Grasparossa di Castelvetro, un vino corposo carico di aromi e fruttato e le bollicine di Pignoletto, che sta diventando la risposta emiliana al Prosecco dandogli filo da torcere. Ma oggi degusteremo anche delle bollicine speciali, metodo classico, un Lambrusco di Sorbara in purezza vinificato in bianco che lasciamo fermentare sui lieviti per almeno 36 mesi». Come lo vede il 2018? «E’ partito un po’ a rallentatore ma sta riprendendo. All’estero va bene e tutto sommato non ci possiamo lamentare». Si vede e si sente che il vignaiolo Giacobazzi è un personaggio, un vero imprenditore di vecchio stampo, sincero e schietto, affabile come sanno esserlo i modenesi. E’ riuscito ad affermarsi e a costruire, con la sua sensibilità imprenditoriale, una delle più importanti realtà vitivinicole dell’Emilia e far conoscere il Lambrusco in tutto il mondo con la “sua Ferrari».

Ci troviamo a Nonantola, un territorio dove da sempre la gastronomia è l’espressione della cultura contadina, della tradizione come d’altronde lo è tutta la provincia di Modena. «Senza la gastronomia modenese il Lambrusco non avrebbe avuto fortuna ma vale anche il contrario, perché alcuni piatti come lo zampone e il cotechino che hanno bisogno del Lambrusco con le sue note acide per essere apprezzati e valorizzati. Questo vale, in linea di massima, per la gran parte della la cucina emiliana, notoriamente grassa e saporita. Tra poco andremo al Ristorante La Nunziadéina dove offrono un ottimo menù tradizionale locale».

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La Nunziadeina a Santa Maria Fuori Le Mura è un ristorante storico di gran classe, ben curato negli arredi e molto curato nei dettagli. I piatti degustati hanno deliziato i nostri palati. Pietanze delicate e ben preparate, si vede che in cucina ci sono due signore: Elisa, moglie dell’abile gestore, Luca Stramaccioni, che fa la pasta fresca e la chef, mamma Rina, che tutti i giorni sforna piatti di alta gastronomia modenese. Dopo aver degustato gli ottimi piatti della tradizione abbinati ad alcune tipologie di Lambrusco, ne parliamo con il titolare Luca Stramaccioni che ci ha assistito con professionalità e competenza. «Mia moglie e mia suocera hanno cucinato un menù che rispecchia la tradizione modenese. L’antipasto servito è stato a base di gnocco fritto, culatello e una mortadella molto particolare perché viene cotta all’interno della sua cotenna, al quale ho abbinato il Lambrusco Gavioli Metodo Classico, 100% uve di Sorbara vinificate in bianco, un vino vibrante e raffinato, in grado di soddisfare anche i palati più esigenti.Come primo piatto, tortellini in brodo di cappone, l’abbinamento è stato con il Lambrusco di Sorbara Ancestrale, sempre uve di Sorbara vinificate in purezza, rifermentato in bottiglia e non filtrato, il Lambrusco come si faceva una volta, insomma, che ci accompagna a riscoprire

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la tradizione di questa terra. L’ultimo piatto che abbiamo servito è il carrello dei bolliti, guanciale, testina, lingua, zampone, cotechino e manzo con salse e mostarda. In questo caso l’abbinamento è stato fatto con il Lambrusco di Sorbara, sottile e tagliente nella sua acidità in grado di rinfrescare il palato durante un pasto così ricco. Infine i dolci, tutti fatti da noi: crostata di amarene, torta di riso, zuppa inglese e la torta della Nunziadéina a base di biscotto con una farcitura di crema e formaggio. In questo caso il Grasparossa di Castelvetro, con le sue note morbide e fruttate, si dimostra l’abbinamento perfetto».

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Ristorante La Nunziadéina Via Vittorio Veneto 95 Nonantola (Mo)

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Ristorante La Nunziadéina


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Giancarlo Perbellini sbarca a Brera, La Locanda, e a Manama, La Pergola «Una nuova sfida per diffondere la filosofia della mia cucina non solo in Italia ma nel mondo e far arrivare al maggior numero di persone possibile una nuova interpretazione della tradizione italiana».

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iancarlo Perbellini conferma ancora una volta la sua vocazione all’imprenditorialità che lo vede protagonista del lancio, nel 2018, di due nuovi locali che si vanno ad aggiungere agli otto che già gravitano nella sua galassia. “Abbiniamo la semplicità e la genuinità dei piatti classici della trattoria italiana alla massima attenzione per la qualità delle materie prime, puntando sulla freschezza degli ingredienti e sulla rivisitazione contemporanea che vale anche nell’impiattamento», fa sapere Giancarlo Perbellini, recentemente insignito

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del primo premio nella categoria diversificazione ai Foodcommunity Awards. “Seguirò la partenza di ciascun ristorante per passare la mano, mantenendone la supervisione, ad una squadra di giovani professionisti» continua lo Chef, che poi aggiunge: “Puntiamo ad un pubblico trasversale: nel mio ristorante stellato Casa Perbellini, a Verona, arrivano gourmet, appassionati e uomini d’affari. A Milano e in Bahrain ci rivolgiamo ad un pubblico naturalmente diverso, con una offerta enogastronomica commisurata alle due realtà in termini di piatti proposti e di costi.»

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Poi Perbellini si sofferma sul significato personale e professionale di questa nuova sfida: “Il mio sogno è quello di far arrivare al maggior numero di persone possibile una nuova interpretazione della cucina tradizionale italiana, la mia, sia nel modo di impiattare che nel gusto, volendo preservare quest’ultimo con grandissimo rigore. Perciò vogliamo proporre ricette di tutte le Regioni e soprattutto legate alla stagionalità, ad esempio prodotti freschi come le puntarelle e i carciofi che serviremo unicamente nei mesi invernali». “Faremo solo qualche eccezione - puntualizza lo Chef - per quanto riguarda dei must che ci vengono richiesti durante tutto l’anno come nel caso delle melanzane alla parmigiana, non più cotte in placca come da tradizione ma fritte al momento e abbinate a mozzarella di bufala fresca e pomodoro confit. Altri cavalli di battaglia che non mancheranno mai nei nostri locali sono il pollo con le patate, che prevede la coscia disossata e cotta sulla plancia per renderne la pelle croccante abbinata ad una spuma di patate al rosmarino, la carbonara e gli spaghetti con le vongole.»

“La Pergola - Giancarlo Perbellini» Manama, Bahrain Il resort 5 stelle The Gulf Hotel ha scelto di affidare il rilancio del suo storico ristorante italiano “La Pergola», il più antico del Bahrain, allo chef Perbellini che spiega: “È tra i locali più conosciuti e apprezzati del Bahrain, per questo, per il suo rilancio, si è scelto di mantenere il nome originale, che deriva dal fatto che dove oggi sorge il ristorante un tempo c’era un’antica pergola, aggiungendovi il mio». La Pergola - Giancarlo Perbellini aprirà i battenti a fine luglio, al termine del Ramadan, dopo un restyling che, unito al tocco dello Chef, concorrerà, almeno questo è l’obiettivo, a farne il numero uno dei ristoranti italiani dell’intero Medio Oriente. Il menù andrà dai 50 ai 70 euro. “Anche qui la filosofia è quella del nostro bistrot italiano ma con un’attenzione all’impiattamento e al servizio, ulteriormente raffinati e in linea con una struttura a cinque stelle» commenta Perbellini che puntualizza: “Naturalmente, nel rispetto della cultura locale, serviremo la carbonara con i gamberi. Come per Milano, seguirò la partenza del ristorante che poi affiderò ad un professionista che ho già individuato, e il cui nome renderò pubblico nelle prossime set-

“Locanda Perbellini» Brera, Milano Fervono i lavori a Milano, in via Moscova zona Brera, per inaugurare la Locanda Perbellini - Bistrot Milano, a capo della quale Perbellini ha indicato il giovane chef Michael Pozzi del “Tapasotto», che per i primi cinque mesi verrà affiancato dai rodati Antonio Cacciapaglia e Rosalisa Guagnano de “La locanda - Giancarlo Perbellini» di Hong Kong. Il prezzo del menù andrà dai 35 ai 50 euro con una selezione di vini al bicchiere e una cantina con un vasto assortimento. Il locale sarà caratterizzato da un servizio agile e da una cucina impreziosita dall’essere a vista, ricalcando in parte la formula di “Casa Perbellini» a Verona e consentendo agli ospiti di assistere in diretta alla preparazione degli antipasti e dei dessert.

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A Mister Amarone il “Wine Excellence Award» dell’American Chamber of Commerce

timane: con lui e con la mia squadra stiamo intanto decidendo se proporre o meno anche qui la formula della cucina a vista di Casa Perbellini che tanto piace ai nostri visitatori!». Giancarlo Perbellini Giancarlo Perbellini dal 2014 guida “Casa Perbellini», ristorante da 24 coperti nel cuore di Verona a piazza San Zeno che, unico caso in Italia, a solo un anno dall’apertura ha conquistato due stelle Michelin e di recente è stato valutato Quattro Cappelli nella, riconfermati per il 2018, dalla Guida de L’Espresso che lo ha inserito tra i 15 migliori locali d’Italia. Giancarlo Perbellini dal 2014 gestisce “La Locanda» di Hong Kong in partnership con il gruppo Dining Concept; dal 2015 dirige il “Dopolavoro», ristorante una stella Michelin, nel resort di lusso “JW Marriott» sull’Isola delle Rose a Venezia. Dal 2010 al 2016 è stato Presidente del celeberrimo concorso internazionale “Bocuse d’Or». Con alcuni soci, ha in gestione cinque locali nel centro storico di Verona: la pizzeria gourmet “Du de Cope», la Locanda “Quattro Cuochi», il ristorante “Al Capitan della Cittadella» di solo pesce, la cicchetteria “Tapasotto» e la pasticceria “Dolce Locanda». Suo anche lo street hotel “Cinque», nel quartiere di San Zeno. Le due stelle Michelin insieme ai moltissimi altri prestigiosi riconoscimenti nazionali e internazionali che lo hanno consacrato tra i rappresentanti dell’alta cucina italiana e nel mondo, si riconoscono in tutta la sua opera, contraddistinta dal connubio di tradizione e innovazione, complessità e semplicità, rigore e naturalezza.

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Sarà Sandro Boscaini (nella foto col figlio Raffaele) a ricevere l’edizione 2018 del “Wine Excellence Award» che da quasi dieci anni premia la figura che più si è impegnata nello sviluppo delle relazioni fra Italia e Stati Uniti nel mondo del vino. Il Premio è dell’American Chamber of Commerce, istituzione che da oltre un secolo – esattamente dal 1913 – promuove lo sviluppo del business fra le due sponde dell’Atlantico. A premiare Sandro Boscaini saranno l’Ambasciatore degli Usa in Italia, Lewis M. Eisenberg, il direttore generale di AmCham, Simone Crolla, ed il Sindaco di Verona, Federico Sboarina. La cerimonia si terrà nella sala degli Arazzi di Palazzo Barbieri, sede del Comune della città scaligera. Questa la motivazione dell’Award: «Sandro Boscaini, con Masi Agricola, è stato un pioniere nel far conoscere nel mondo la sua Valpolicella e l’Amarone, valorizzando come pochi la tradizione dell’Appassimento delle uve e la cultura veneta, meritando il titolo di Mister Amarone. A cinquant’anni dal debutto del suo vino-icona, il Campofiorin, e della costituzione della Denominazione Valpolicella DOC, la sua Cantina oggi quotata in Borsa - continua a rappresentare il punto di riferimento per quanti riconoscono all’Amarone il primato dei vini veneti e uno dei rossi più originali e significativi italiani e del mondo». Negli anni hanno ricevuto il “Wine Excellence Award» dell’Amrican Chamber of Commerce: Tony Terlato, Severino Barzan, Ruffino-Constellation Brands, Gianni Zonin, Giv, Santa Margherita, Banfi e Ferrari.

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Vino & Motori di Enzo Russo

Renault Scénic Initiale Paris Eleganza, sicurezza e confort

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a nuova Renault Scénic Initiale Paris 1332 diesel – 120 cv, colpisce subito per il design moderno ed elegante. La Griglia cromata Starlight, il colore nero Ametista, i cerchi da 20 “esclusivi, proiettori e fendinebbia Full LED ne fanno un auto al passo coi tempi che ci vogliono agili e scattanti. La prima impressione che si ha è quella del crossover che le da un aria grintosa al primo sguardo. Lunga oltre 4 metri e 40 cm. viaggia su cerchi da 20». Il look la fa sembrare un auto sportiva, alla moda, dove una famiglia di 5 persone possono viaggiare comode e sicure. Grazie al parabrezza panoramico più inclinato la Scénic appare più snella e futurista. Anche l’abitacolo non delude. I designer francesi hanno realizzato una plancia avvolgente con al centro un grande monitor verticale del sistema multimediale con la strumentazione digitale ed head-up display, lo schermo centrale da 8 pollici verticale del sistema R-Link2. Poi c’è il Multisense per cambiare simultaneamente modalità di guida, grafica, illuminazione interna e sound percepito. I materiali e le finiture sono di ottima qualità oltre alla bella dotazione di serie.. Quando ci si mette al posto di guida, è un piacere guidarla su un comodo e avvolgente sedile con posizione rialzata. E il montante sdoppiato, oltre alla luminosità, aumenta la visuale in curva. Tutto questo si tramuta in un “dominio» della strada. Comoda la leva del cambio automatico a sei marce + r.m. La console del tunnel – che include, al centro, due prese Usb, una Sd e una Aux – è scorrevole e bloccabile. Con la Scénic ci si sente sicuri: un sorpasso veloce, una salita a pieno carico con famiglia e bagagli al seguito, una frenata improvvisa non sono un problema. I consumi: la francese percorre di media quasi 16 km con un litro, in statale sale a 18 e pure in città resta su

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livelli interessanti (14,6). Alcune principali dotazioni: tetto in vetro fisso con tendina elettrica, assistenza al mantenimento di corsia, cerchi in lega da 20’’, Cruise Control adattivo, Easy Park Assist, Head-up Display, Parking Camera, Visio System (riconoscimento segnaletica stradale e allerta superamento carreggiata), Touchscreen da 8’’. E a proposito di design, in occasione della sfilata milanese della collezione Autunno/Inverno 2018/2019, è sta presentata la Renault CLIO, auto straniera più venduta in Italia, vestita da Moschino, per diventare una vera arma di seduzione. Renault dà così continuità, con CLIO, al connubio tra il mondo del fashion e quello dell’automotive, sposando i valori di un brand prepotentemente ironico e irriverente, simbolo dell’eccellenza italiana nell’alta moda. Firmata da Jeremy Scott, è primo frutto della neonata partnership tra i due brand.

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Food&Wine di Enzo Russo

Latteria di Soligo: la forza della filiera corta Rispetto della tradizione e della materia prima: l’abbinamento con Emilia Wine

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ubicata sulle pendici del colle di Soligo a pochi chilometri da Conegliano. E’ un azienda lattiero-casearia nata nel 1883 per volontà di alcuni allevatori che hanno saputo valorizzare in tutti questi anni la ricchezza della produzione del latte di tutta la Provincia interpretando al meglio l’arte casearia veneta, con formaggi tipici, locali a marchio

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di qualità. Stiamo parlando della Latteria di Soligo, una delle più importanti realtà del Veneto che lavora e coordina i produttori di latte delle provincie di Treviso, Venezia, Padova e Vicenza. Quest’anno compie 135 anni di attività casearia. Cos’è cambiato da allora? «Molte cose sono cambiate e tutti noi possiamo rilevarle quotidianamente», ci dice il Presidente del-

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grazie a particolari sinergie con Istituti di ricerca e Università, stare al passo con i tempi offrendo sicurezza alimentare e benessere. Oggi, non più come un tempo, siamo consapevoli di cosa significhi lavorare nel settore dell’agroalimentare, dove la prima cosa che conta è il rapporto di fiducia con il cliente, un rapporto costruito negli anni grazie a dei prodotti di sicura qualità lontanissimi dagli scandali alimentari che toccano le multinazionali che operano nel comparto». Come si pone l’azienda in un mercato globalizzato, dove si trova di tutto e di più a scapito della qualità e genuinità dei prodotti? «La caratteristica della Latteria di Soligo è racchiusa nel suo nome e nella forma sociale: siamo legati ad un’area produttiva, quella del Soligo e più in grande alle regioni di Veneto e Friuli-Venezia Giulia e siamo una realtà cooperativa con alla base oltre 250 soci che significa: 250 stalle e bovini veri, generalmente gestite a livello famigliare. La nostra è a tutti gli effetti una filiera corta, dove l’azienda ge-

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la Latteria di Soligo Lorenzo Brugnera, «ma i principi ispiratori della nascita della Latteria di Soligo nel lontano 1883, invece rimangono più che mai attuali: Raccogliere il latte dai soci e trasformarli in prodotti perfetti e aiutare i soci produttori a migliorare le bovine e le condizioni d’allevamento. Idee e principi più che mai attuali perché essi sono rivolti a soddisfare i bisogni del consumatore. Avere più di un secolo di storia significa possedere radici profonde che consentono di aprirsi al mercato lattiero-caseario con una certa sicurezza. Oggi siamo un’azienda moderna, competitiva e all’avanguardia, capace di fornire ai propri clienti la certezza di un prodotto di qualità certificato, pur mantenendo tutto il gusto e il valore della tradizione. Un’ampia linea di prodotti che trova al suo interno il latte Alta Qualità, oramai un marchio consolidato della Latteria di Soligo, accanto al più recente Latte AD Plus realizzato con solo lo 0.1% di lattosio, per venire incontro alle esigenze degli intolleranti. Sono due esempi di come la nostra cooperativa sappia,


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stisce e controlla tutte le fasi di lavorazione. Questo ci consente di garantire la qualità dei nostri prodotti. Ogni anno dedichiamo ai nostri allevatori specifiche iniziative di formazione e assistenza tecnica così da aggiornarli sulle migliori pratiche da tenere in azienda per tutelare il benessere dell’animale ed ottenere una materia prima di qualità. Tutto il latte che viene prodotto, esclusivamente nei territori di Veneto e Friuli-Venezia Giulia, viene portato in uno dei cinque stabilimenti per la lavorazione. Nella struttura di Caposile produciamo tutti i marchi legati al latte alimentare, in quelle di Mareno di Piave e San Giacomo di Veglia i formaggi duri e semiduri e il Montasio DOP, nel caseificio di Breganze siamo specializzati nella produzione dell’ Asiago DOP, del Torrione di Breganze e del Breganze, mentre la sede centrale di Soligo produce i formaggi molli e a pasta filata come la Casatella Trevigiana DOP, la Mozzarella STG e il Burro tradizionale. Quindi grazie ad una rete di nove punti vendita denominati “Bar Bianco” distribuiamo direttamente i nostri prodotti al cliente, oltre alla vendita nei canali

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tradizionali e nella GDO». Quali sono i punti di forza dell’azienda? «I punti di forza coincidono con le 4 regole etiche che ci siamo dati. Nei nostri allevamenti le bovine vivono in modo confortevole, con una buona circolazione d’aria e un numero di mangiatoie adeguate. Le nostre mucche sono nutrite con una dieta bilanciata conforme al loro fabbisogno nutrizionale e nelle mangiatoie non mancano mai gli alimenti. Gli impianti di mungitura rispettano le norme internazionali per contribuire al benessere dell’animale e a non alterare la qualità del latte. Quindi l’intero iter dalla stalla allo stabilimento di lavorazione è attentamente controllato e verificato. Come si vede la nostra attenzione si rivolge in particolare alle prime fasi della filiera produttiva, quelle della produzione della materia prima, perché siamo certi che con un buon latte possiamo arrivare a realizzare “prodotti perfetti» come indicato nello statuto societario scritto nel 1883 dai padri fondatori della Latteria di Soligo». In questo contesto, come vede il futuro? «Avere 135 anni di vita alle spalle dà la consapevo-

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lezza di essere portatori di un’enorme ricchezza che non può essere trascurata, ma che anzi va comunicata con forza e sulla quale va costruito il futuro. Dal 1883 Latteria di Soligo alimenta benessere, è questo il pay off che ci accompagna da molto tempo e che ci caratterizza. La corretta alimentazione, la dieta sana, il benessere dell’animale, la salute del consumatore e quindi sulla qualità del prodotto fondiamo tutta la nostra attività. Questo ci ha portato a sviluppare nuovi prodotti e nuove tecniche di lavorazione anche grazie alla collaborazione con l’Università di Padova, Veneto Agricoltura e l’Istituto per la Qualità e le Tecnologie Alimentari di Thiene, alla ricerca di un continuo miglioramento che affondi le radici nei valori della nostra tradizione che è quella della cooperativa sociale fortemente radicata nel territorio. Con pragmatismo, determinazione e fiducia nel consumatore che ci apprezza possiamo quindi guardare al futuro con speranza, che tutti questi sforzi saranno ripagati da altri 100 anni di attività». «In tutti questi anni, siamo riusciti ad esprimere, attraverso ricerche e sperimentazioni, formaggi di alta qualità che oggi fanno parte del nostro patrimonio lattiero-caseario. Sono venduti nelle più importanti “piazze” italiane ed estere, nei ristoranti e nelle

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principali boutique dei formaggi. Nella nostra Latteria vengono prodotti 30 tipicità di formaggi, oltre a quelli già elencati, produciamo anche, il Soligo selezione Oro , il Soligo barricato al pepe, lo Stracchino, il latte fresco AQ, il latte Alta Digeribilità Plus , lo yogurt, la mozzarella STG, la panna e altre specialità. Siamo riusciti a produrre dei formaggi di alta qualità, alcuni dei quali in collaborazione con L’Istituto Enologico di Conegliano, con cui abbiamo una joint venture. Per esempio, in questi anni la Latteria di Soligo ha fatto una nuova e particolare tipologia di cacio, il “Formajo Imbriago di monovitigno-Prosecco Conegliano e Valdobbiadene”, il cui processo produttivo prevede l’aggiunta di vino durante la produzione del formaggio, per essere poi nuovamente affinato nel vino dopo alcuni mesi di stagionatura. Ed il risultato finale è un formaggio dall’odore erbaceo, leggermente complesso con un aroma di susina gialla. Al palato risulta dolce, leggermente salato con retrogusto delicatamente acidulo e aromatico». Con la ricerca e l’innovazione vogliamo soddisfare i nuovi bisogni della clientela. Siamo dell’idea che i mercati debbano essere conquistati anche con «prodotti» innovativi che vanno incontro ai gusti del nuovo consumatore che oggi è più evoluto grazie ad una

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sta color grigio antracite e un carattere unico. In un tagliere di formaggi può essere un’eccellente chiusura, magari abbinato ad una mostarda, ma può essere utilizzato anche per donare sapore e carattere unico ad un piatto.

capillare informazione. Ritengo che la «ricerca & l’innovazione» siano un dovere per Latteria Soligo». Il presidente ci ha poi introdotto nella degustazione, è stato un saporitissimo percorso di formaggi freschi e stagionati, si è potuto capire e assaporare la loro bontà, freschezza, genuinità e la loro qualità.

Soligo Selezione Oro. E’ un formaggio a pasta cotta dove il latte viene riscaldato oltre i 42° e rappresenta la tipica produzione di formaggi della latteria trevigiana. Si conserva nel tempo ed è di media e lunga stagionatura. Le forme pesano Kg. 5,500. Il formaggio fresco si può assaporare dopo 60 giorni, poi c’è quello mezzano che va dai 6 agli 8 mesi il cui sapore è più sapido, i profumi sono più intensi e la pasta è più consistente ed infine, la «Selezione oro», che va dai 12 fino ad arrivare ai 24 mesi, ha caratteristiche quasi da grattugia e una forte personalità nei sapori, non diventa piccante è profumato e si può gustare a fine pasto accompagnato da fresche insalate, oppure da un miele al castagno, dall’Aceto Balsamico di Modena o da una marmellata di pesche. Il vino consigliato per questi due formaggi saporiti è il Lambrusco 1077, uno spumante rosso, metodo Marinotti, che viene fatto con uve lambrusche della zona collinare di Scandiano. E’ un vino dal colore rosso intenso, complesso nei profumi fruttati e delicati. Le bollicine sono croccanti e persistenti Antiche tradizioni, il «mestiere» del mastro casaro unito a quelle del maestro affinatore, danno vita all’Imbriago. Un tipico formaggio veneto che la Lat-

Vino e formaggio Vino e formaggio sono un ottimo abbinamento perché riescono a esaltarsi l’un l’altro Per gustarlo bisogna scegliere con molta attenzione il vino da abbinare. In questo caso ne consigliamo alcuni che nascono nella provincia di Reggio Emilia, dalla Cooperativa Agricola Emilia Wine ad Arceto di Scandiano a pochi chilometri da Reggio Emilia. E’ una delle più importanti del territorio, ricco di vigneti che ogni anno donano lambruschi di alta qualità e vini bianchi agli appassionati del buon bere. E’ una struttura moderna, con tecnologie all’avanguardia che lavora ogni anno 360mila quintali di uva prodotta da 726 soci. Tra i tanti caci degustati segnaliamo «tre eccellenze» proponendole con due Lambruschi ricchi di profumi e bollicine. Barricato al Pepe. La lunga vicinanza al pepe (almeno dodici mesi), insieme alla particolare temperatura e umidità che si creano nel buio della barrique di stagionatura, donano a questo formaggio la sua bella cro-

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teria Soligo ha saputo reinterpretare con successo grazie alla collaborazione con l’Istituto Enologico Cerletti di Conegliano, la più antica scuola enologica d’Europa. Dopo un’iniziale stagionatura il formaggio viene lasciato a riposare almeno sessanta giorni nel vino. Due le versioni, Imbriago al Manzoni Bianco Monovitigno e Imbriago Cabernet Monovitigno. Sapore deciso, aromatico, lievemente piccante sono le caratteristiche di questi formaggi che sicuramente sapranno stupire. Questi due caci li consigliamo con l’ultimo nato di Emilia Wine, Il Correggio, un vino fatto con uve Lambrusco Salamino Reggiano dop. Si presenta con un colore rubino intenso, profumi fruttati, sapore corposo di buona struttura, tannini ben bilaciati, leggera acidità e persistente nel finale.

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Nelle fotografie i due presidenti: in alto, Davide Frascari di Emilia Wine; sotto, Lorenzo Brugnera che guida la Latteria di Soligo

INFORMAZIONI Latteria di Soligo sas Via I° settembre 32 31020 Soligo (Tv) www.latteriasoligo.it RINGRAZIAMENTI Si ringrazia per la degustazione Emilia Wine Via 11 settembre 2001- 3 42019 Arceto di Scandiano (Re) www.emiliawine.it

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Garda di Elisabetta Tosi

I Chiaretti del Garda, ecco i Rosé per l’estate

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lla Dogana Veneta, a Lazise, sul Lago di Garda il Consorzio di tutela del Chiaretto di Bardolino e il Consorzio Valtènesi hanno presentato l’annata 2017 ed i frutti della Rosé Revolution iniziata quattro anni fa. Dalla vendemmia 2014, infatti, i vignaioli gardesani hanno deciso di concentrarsi sulla produzione di un vino dal colore rosa molto pallido, più agrumato e floreale, con l’obiettivo di elevare il rosé a portabandiera del loro territorio.

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Spiega Franco Cristoforetti, Presidente del Consorzio Tutela del Chiaretto e del Bardolino: «Nel 2016 abbiamo venduto 9 milioni e mezzo di bottiglie, il 12% in più rispetto all’anno prima, il 37% del totale della denominazione. Ottimi anche i riscontri del Valtènesi Chiaretto, che è intorno ai 2 milioni di bottiglie. I Rosé del Garda registrano un riscontro sempre maggiore da parte dei mercati internazionali, in particolare da quello nordamericano e scandinavo».

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Garda

Questi i nostri dieci Chiaretti per la primavera: BOLLA: Bardolino Chiaretto DOC “La Canestraia 2017». Bolla è un nome storico nel panorama enologico nazionale, e negli ultimi anni sta dando prova di aver intrapreso la strada di un discreto ma efficace rinnovamento nella sua produzione, portando sul mercato vini dal gusto decisamente più contemporaneo. Ne è la prova questo Chiaretto, dal bel colore rosa confetto brillante che sprigiona delicati profumi di fiori bianchi e rosa, sostenuti da una leggera sfumatura di spezia esotica. Al palato il vino si dimostra più deciso, con un bel fruttato rosso in evidenza che ricorda i piccoli frutti di rovo con note di erbe aromatiche. Fresco e pulito, con una buona persistenza, è un rosato da tutto pasto e per tutte le stagioni, non solo per l’estate.

Lago di Garda (è attiva solo dal 2014), ma subito si è fatta notare dal pubblico e dalla critica per la personalità dei vini. Come questo Chiaretto, che ha un bellissimo colore litchi e profumi delicati di fiori rosa e frutta rossa. In bocca si dimostra più deciso e fragrante, succoso, equilibrato, con note rinfrescanti di menta che si mescolano a quelle dei piccoli frutti rossi. Equilibrato e di grande bevibilità, è un rosato da tutto pasto, ma soprattutto da…sete!

LE FRAGHE, Bardolino Chiaretto DOC“Rodon 2017»: nel cuore della zona di produzione del Bardolino, l’azienda Le Fraghe di Matilde Poggi è uno dei punti di riferimento per la produzione di Bardolino e Chiaretto bio dai profumi che virano più facilmente sulle note di spezie che di frutta o fiori. E’ il caso del Chiaretto “Rodon», un rosato di sole uve corvina e rondinella. Il colore è buccia di cipolla, i profumi ricordano erbe dell’orto e spezie a cui si accompagnano fruttini rossi di rovo e qualche sfumatura agrumata. In bocca il fruttato rosso emerge più deciso, con buona persistenza e freschezza.

GIOVANNA TANTINI Bardolino Chiaretto DOC 2017: il rosato di questa produttrice, altro nome e volto noto delle produzioni vinicole gardesane, nasce dal trio tradizionale di uve veronesi (corvina, rondinella, molinara) le cui vigne sono radicate su terreni calcarei che in genere regalano vini ricchi di profumi e piuttosto longevi. Questo Chiaretto è di un bel colore rosa cipria, con un bouquet di sentori fruttati rossi nei quali si distinguono le fragoline di bosco e ciliegia: le stesse che si ritrovano in bocca, accompagnate da qualche foglia di menta. Un vino versatile, da aperitivo, da tutto pasto e anche da sete.

POGGIO DELLE GRAZIE, Bardolino Chiaretto DOC 2017: questa dei fratelli Stefano e Massimo Brutti è una new entry nel panorama enologico del

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rosati della Valtenesi. Il colore è un rosa confetto delicato come il profumo, che ricorda le erbe dell’orto, la menta e i piccoli frutti di rovo con una venatura di cedro del Libano. In bocca si dimostra altrettanto gentile, fruttato e piacevolmente rotondo, lungo e pulito. Un rosato da chiacchiere e da aperitivo. CITARI: Riviera del Garda Classico Doc Chiaretto 2017 “18 e 45». L’azienda della famiglia Mascini sorge su un colle a un tiro di sasso dalla Torre di S.Martino della Battaglia, in un luogo dai richiami risorgimentali per via di una cruenta battaglia tra l’esercito austriaco e quello sabaudo. Uno scontro che si riuscì a fermare con un armistizio, siglato alle 18.45 del 24 giugno 1859. Un’ora storica, cui l’azienda Citari ha voluto dedicare il suo Chiaretto, di un rosa intenso, con profumi fruttati sfumati di erbe di campo.In bocca rivela un bell’equilibrio e una sensazione di pienezza: il gusto ricorda un cesto di frutta rossa matura, con tante fragole, lamponi, more, pulito sul finale d’assaggio. Un bel vino da tutto pasto.

LE GINESTRE Bardolino Chiaretto Classico 2017. Posta poco lontano da Lazise, quest’azienda famigliare nata nel 1988 vede firmare dal 2004 i suoi vini da Marco, enologo e figlio del titolare Graziano Ruffato, che interpreta la tradizione dell Chiaretto con una certa riuscita creatività. Il suo vino è perciò un blend di corvina, corvinone, rondinella e molinara che nel bicchiere si mostra di un color rosa intenso, con profumi netti e dolci di fruttini rossi maturi (fragoline e lamponi), mentre in bocca rivela una bella sapiditá e pulizia. Lungo e piacevole, ha una leggera nota di spezie e un finale amarotico che lo rende ancora più bevibile. Da aperitivo e da tutto pasto.

LA BASIA: Riviera del Garda Classico DOC Chiaretto “La moglie ubriaca 2017». La Basia non è solo una cantina attiva dal 1975: è agriturismo, centro ippico, mulino. Una realtà rurale vivace, ricca e sfaccettata che fa anche dei vini dal nome curioso, come questo: un Chiaretto di un rosato intenso, con profumi di spezie dolci e melograno, che in bocca tornano sostenuti da una bella acidità e da un’ ottima pulizia e persistenza. Un vino da aperitivo e da pasto.

VALTENESI CHIARETTO 2017 CA DEI FRATI: Riviera del Garda Classico DOC Chiaretto “Rosa dei Frati 2017»: la cantina dei fratelli Dal Cero non è famosa solo per i suoi vini bianchi del lago, il suo “Rosa dei Frati» fatto con un blend di groppello, marzemino, sangiovese e barbera è da sempre un punto di riferimento nella produzione dei

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PASINI SAN GIOVANNI Riviera del Garda Doc Classico “Il Chiaretto - Il vino di una notte bio 2017».

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Garda Divide et impera, la rivoluzione del Bardolino

A 60 anni compiuti quest’anno, quest’azienda tra Lugana e Valtenesi è un punto fermo nella produzione vinicola biologica più rigorosa, al punto che nel 2012 hanno ottenuto la certificazione dell’impronta carbonica, ovvero del peso in termini di emissioni di gas serra dell’intera produzione aziendale. Il loro “vino di una notte» nasce proprio da poche ore di contatto tra buccia e mosto, giusto il tempo di conferire a questo Chiaretto il suo bel colore rosa corallo, coerente con un bouquet di freschi sentori floreali di fiori rosa e rossi. Al palato si rivela un vino ugualmente fruttato con una vena di menta, fresco, di buona sapiditá e aciditá, persistente e con una bella pulizia, ottimo per gli aperitivi e i pasti estivi. SELVA CAPUZZA: Riviera del Garda Classico Doc Chiaretto San Donino 2017. Cascina Capuzza è una antica cascina a poca distanza dalla Torre di S.Martino, che nel 1859 si trovò proprio in mezzo al campo della famosa battaglia, perchè il fronte austro-ungarico era schierato lungo il crinale sul quale si trovano sia la Cascina che Borgo San Donino. Il rosato dell’azienda porta proprio il nome di quest’ultimo, in cui si trova un vigneto coltivato a groppello, barbera, sangiovese e marzemino. Nel bicchiere è di un colore rosa intenso, con profumi giocati inizialmente sulle note di spezie, cui subito dopo seguono i fiori rossi. In bocca i ha una bella sapiditá che equilibra i sentori fruttati di ciliegia e una buona persistenza. Pulito nel finale d’assaggio, è un vino che può accompagnare il pasto a partire già dall’aperitivo.

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Con la Rosé Revolution del 2014 il Chiaretto ha compiuto una netta scelta stilistica, accentuando il proprio carattere di rosé chiaro, secco e agrumato ed ha assunto piena indipendenza con una doc a sé stante. Il Bardolino ha accentuato invece la propria connotazione territoriale, mettendo a frutto i risultati della zonazione del 2005 e del progetto Bardolino Village che ha visto una quindicina di produttori impegnati dal 2015. «Torniamo così – spiega il presidente Cristoforetti – per i nostri rossi di punta a quelle tre sottozone che erano già state dettagliatamente descritte da Giovanni Battista Perez alla fine dell’Ottocento, quando i vini migliori della zona erano esportati in Svizzera per essere serviti insieme con i Borgogna e i Beaujolais». Le tre sottozone del Bardolino Doc sono: La Rocca (relativa ai comuni del territorio dell’antico Distretto di Bardolino), Bardolino Montebaldo (il tratto pedemontano) e Bardolino Sommacampagna (ossia l’area delle colline meridionali più a sud). Esordiranno insieme al Chiaretto di Bardolino doc con la vendemmia 2018. La nascita della nuova Doc del rosé e le modifiche alla Doc del Bardolino apporteranno varie modifiche all’assetto produttivo. Il Chiaretto di Bardolino e il Bardolino “base», che continuerà comunque ad essere prodotto, avranno rese massime di 120 quintali di uva per ettaro, contro gli attuali 130, mentre per le tre sottozone del Bardolino si scende a 100 quintali massimi per ettaro. I vini delle tre sottozone usciranno sul mercato non prima di settembre dell’anno successivo alla vendemmia. I disciplinari prevedono inoltre che si utilizzino solo uve “fresche», vietando quindi surmaturazioni o appassimenti. Per tutti i vini delle Doc Bardolino e Chiaretto di Bardolino, la quantità ammessa di uva corvina veronese sale al 95% dall’attuale 80%.

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Food&Wine di Enzo Russo

Grana Padano, la DOP più consumata al mondo The Italian Wine Journal

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sempre bello andare a San Martino della Battaglia – Desenzano sul Garda, dove ha sede il Consorzio del Grana Padano a pochi passi dal lago, dove si respira un aria fresca e pulita che arriva dalle montagne circostanti, e dove tantissimi poeti e scrittori nella storia sono stati incantati dalla suggestione del paesaggio del Garda. Il Direttore Stefano Berni ci aspetta nel suo ufficio per iniziare una lunga chiaccherata sullo stato di salute del Grana Padano. Gli chiediamo come si è chiuso il 2017 con le vendite in Italia e all’estero: “Il 2017 ci ha dato molte soddisfazioni», dice Berni con un ampio sorriso. “Fra Italia ed estero i consumi sono cresciuti del’1,5% rispetto al 2016, soprattutto grazie all’estero, che sfiora il 40% del totale. E ci consente di confermare il titolo di prodotto Dop più consumato nel mondo. Fra i Paesi più significativi, come quantità, ci sono Germania, Usa e Canada, Svizzera, Francia, Regno Unito e gli altri Paesi Europei. Non dimentichiamo, poi, che nel 2017 abbiamo toccato il primato della produzione, con 4.950.000 forme prodotte, pari alla trasformazione di 25 milioni di quintali di latte, ovvero poco meno di un quarto di tutta la produzione italiana e metà della produzione dell’area Dop Grana Padano, che va dalla Lombardia al Veneto, da Piacenza al Trentino ed al Piemonte. A sostenere ogni giorno questo sforzo sono 128 caseifici produttori e 149 stagionatori, mentre i confezio-

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natori autorizzati dal Consorzio sono 194». In questo mercato globalizzato, qual è l’impegno del Consorzio per difendere la genuinità e l’originalità del Grana Padano? «Abbiamo la sensazione di quello che rappresentiamo nel mondo quando ci arrivano, da amici, clienti o conoscenti, fotografie del nostro formaggio dai posti più impensabili, come una bancarella di Zanzibar o un negozio in Thailandia, o una tavola in Bangladesh. Questo significa che il Grana Padano è il migliore rappresentante del made in Italy, per riconoscibilità e pregio, insieme al Parmigiano Reggiano, che considero proprio in questa veste di ambasciatore del nostro Paese un alleato, seppur distinto, più che un competitor. Dobbiamo sempre più far conoscere la qualità, i controlli, la ricerca, le tutele, la manualità che diventa vera e propria arte dai quali nasce ogni forma di Grana Padano, garantita dal marchio DOP a tutela del consumatore. Il pubblico deve imparare a riconoscerlo e a cercarlo senza fermarsi a nomi ingannevoli che camuffano similari o grossolane contraffazioni. Oggi il Consorzio Tutela Grana Padano dispone di risorse per 34 milioni di euro, derivanti dalle quote associative. Circa 25 milioni di euro sono investiti in comunicazione del prodotto, destinando 15 milioni al mercato in Italia e 10 all’estero. E le altre risorse sono comunque impegnate in servizi e vigilanza a favore del consumatore, ricerca e controllo qualità».

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I mercati? Ritorno in Russia dopo l’embargo e sbarco nel Golfo Persico

Stefano Berni, direttore del consorzio di tutela del Grana Padano DOP Le aspettative per il 2018? «Dobbiamo difenderci in Italia dall’aggressione dei formaggi similari, confermando i nostri consumi con un leggero più. Il nostro volano per la crescita e lo sviluppo resta comunque l’estero, dove in questi 19 anni di mia direzione del Consorzio abbiamo quintuplicato i volumi ed oggi vendiamo circa 1.800.000 forme. Va comunque detto che le condizioni del mercato non sono semplici e che oggi il prezzo all’ingrosso ai caseifici è abbastanza deludente. Il formaggio stagionato 9 mesi viaggia sui 6 euro, mentre all’inizio dell’estate 2017 sfiorava i 7 euro, con un valore in calo del 15%. Abbiamo cominciato a soffrire in autunno e la situazione sta proseguendo in questo inizio del 2018».

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Quali sono le cause? «Dal momento dell’abbandono delle quote latte, in Italia si è assistito ad un significativo incremento produttivo di latte e parte di questa produzione si è orientata su formaggio similare italiano, che non rispetta le regole del nostro disciplinare. Siamo riusciti comunque ad evitare che il fatturato risentisse più di tanto di questa concorrenza. Quello alla produzione è stato di 1,5 miliardi di euro, mentre al consumo, calcolando il prezzo all’estero, siamo sui 3 miliardi ed entrambe le voci registrano una crescita sul 2016». I nuovi mercati? «Abbiamo registrato un’ottima performance in Giappone, sostenuti da progetti di valorizzazione in partnership con altri consorzi, ed anche in Cina la crescita è consistente, pur se su numeri ancora esigui ed il processo appare più lento. Un vero grande rammarico riguarda la Russia, dove stavamo andando benissimo, ma l’embargo ci ha tagliato le ali. E quando ci torneremo, e spero presto, dovremo ripartire da zero, avendo perso ineluttabilmente tutto quel tessuto di relazioni che avevamo costruito nel tempo. Altri mercati interessanti sono quelli mediorientali e del Golfo Persico; basti pensare che i consumi di prodotti alimentari e bevande negli Emirati Arabi nel 2020 si stima varranno 22 miliardi di dollari. La nostra partecipazione a Gulfood a Dubai ha raccolto molto interesse. In queste aree occorrerà anche un grande sforzo culturale per soddisfare una domanda condizionata da tradizioni radicate e nuove per i produttori europei e capire quali sono i punti di forza sui quali farci apprezzare, individuare i canali e le partnership da sviluppare per entrare con succes-

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Food&Wine Il Grana Padano è un cacio dalle antiche origini ma moderno nei suoi molteplici consumi. Vediamo quali sono le qualità racchiuse in questo formaggio, la cui forma pesa circa 35 kg, e fatta stagionare da un minimo di 12 a un massimo di 24/30 mesi. La genuinità del Grana Padano deriva dalle migliaia di persone che operano nelle filiere produttive con “lealtà e volontà» perché hanno saputo conservare, con il rispetto d’antiche regole, oggi codificate per legge, i tradizionali metodi di lavorazione che escludono l’impiego di qualsiasi additivo chimico. Un mix tra innovazione e tradizione che ha portato alla conservazione di un ‘ arte antica incentrata principalmente su sei fattori: utilizzazione del latte fresco di giornata; la parziale scrematura del latte munto di sera mediante affioramento naturale della panna; l’uso di fermenti ottenuti da culture naturali in siero; il fuoco; il sale; l’arte del maestro casaro.

so su questi mercati». Come Consorzio che cosa fate per garantire la qualità del Grana Padano? «Come Consorzio di Tutela investiamo annualmente tra controlli presso i caseifici, i confezionatori, i 4.000 punti vendita in Italia e 2.000 all’estero. Poi ci sono i prelievi di latte e formaggio e le analisi biochimiche. Il latte per fare il Grana Padano non è un latte qualsiasi, è un latte che ha delle caratteristiche particolari dove i produttori devono fare dei sacrifici aggiuntivi che costano per ottenerlo come il disciplinare prevede. Le rese sono inferiori ma la qualità è superiore. Spendiamo 7 milioni di euro l’anno per garantire la qualità e l’autenticità del Grana Padano al consumatore». Le doti del Grana Padano E’ certamente il formaggio più venduto e conosciuto nel mondo, gli amanti della cucina , i gourmet e in generale il mondo della ristorazione lo conoscono bene perché nel panorama dei formaggi che vengono prodotti quotidianamente è riuscito a conquistarsi un posto in “prima fila» per le sue molteplici proprietà che spaziano dalla cucina alla salute.

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Controllo qualità Il Consorzio per la Tutela del Grana Padano vigila e controlla quotidianamente tutte le varie fasi di lavorazione: dal foraggio alle bovine al latte, fino alla

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stagionatura e marchiatura a fuoco che è effettuata dopo un’accurata selezione dai tecnici specializzati che compiono una meticolosa opera di controllo sulle forme che vanno dai 12 fino ai 24/26 mesi di stagionatura, quali l’aspetto esteriore, il profumo e il grado di maturazione, la consistenza della pasta che è sondata all’interno con un ago d’acciaio, la battitura della forma con un apposito martelletto per rilevare lo stato di compattezza della pasta, per ottenere, come risultato finale, uno standard produttivo d’alta qualità del Grana Padano e garantire al consumatore la genuinità, la qualità e le sue insostituibili proprietà nutrizionali. Vino e formaggio Vino e formaggio sono un ottimo abbinamento perché riescono a esaltarsi l’un l’altro e poi hanno anche una storia in comune. Li unisce l’appartenen-

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za ad un territorio ben specifico che determina le loro caratteristiche. Inoltre sono entrambi sottoposti a un processo di trasformazione: la fermentazione alcolica per il vino e la cagliatura per il formaggio. Poi c’è la maturazione, la stagionatura per il formaggio e l’invecchiamento per il vino. Per gustare il Grana Padano bisogna scegliere con molta attenzione il vino da abbinare. In questo caso ve ne consigliamo alcuni che nascono in Franciacorta, dell’Azienda Agricola Le Marchesine - Passirano a pochi chilometri da Brescia. E’ una delle più importanti del territorio, ricca di vigneti che ogni anno donano agli appassionati del buon bere milioni di nobili bollicine racchiuse in circa 500.000 bottiglie doc e docg, fatte riposare sui lieviti per oltre 30 mesi.

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Abbinamenti consigliati Il Grana Padano 12-20 mesi è ideale abbinarlo al

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Franciacorta docg Brut Blanc de Blancs, un millesimato di ottima fattura, elegante e prezioso per il gusto frizzante che scioglie in bocca la leggera patina lasciata dal formaggio. Fatto con uve Chardonnay, si presenta con colore giallo di buona carica e riflessi verdolini, perlage finissimo e persistente. Aroma fine e complesso, sapore asciutto, secco con vena acidula. Con il Grana Padano oltre 20 mesi, un sicuro abbinamento ed esaltante per il palato, è il Franciacorta docg Secolo Novo Brut Millesimato, un vino importante che sa donare sapori unici incontrando il saporito formaggio. Nasce da

selezioni clonali di uve Chardonnay con vendemmia a mano. Le bottiglie vengono accatastate in locali di affinamento per almeno 36 mesi che lo portano ad assumere un particolare profumo e sapore con un lungo e finissimo perlage. Si presenta di colore giallo paglierino brillante con riflessi oro-verde. Al naso si percepisce la nocciolina tostata, note mentolate e di cedro candido. Avvolgente e rotondo al gusto e un grande equilibrio tra acidità e sapidità. E’ un vino elegante e dalle grandi occasioni.

INFORMAZIONI Consorzio per la Tutela del Formaggio Grana Padano Via XXIV Giugno 8 San Martino della Battaglia 25015 Desenzano del Garda (Bs) www.granapadano.it RINGRAZIAMENTI Si ringrazia per la degustazione dei vini: Azienda Agricola Le Marchesine Via Vallosa 31 25050 Passirano (Bs) www.lemarchesine.com

Loris Biatta coi due figli Andrea e Alice

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Mantova di Enzo Russo Foto di Gio Belli

Mantova, così abbiamo insegnato al mondo a stare a tavola

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Viaggio fra i sapori unici, cibo e vino, ereditati dai Gonzaga

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a quando è nato il Consorzio nel 2012 c’è stata una sorprendente corsa dei Vini Mantovani, dai bianchi ai rossi fino ai frizzanti e spumeggianti lambruschi dell’ Oltrepò mantovano che in questi anni si sono fatti conoscere a un vasto numero di consumatori che ne apprezzano la qualità e la genuinità di questo antico nettare carico di storia. Probabilmente, l’aver riunito i tre consorzi provinciali, è stata la chiave di svolta per una politica unitaria della viticoltura per dare una identità molto chiara e precisa sui vini mantovani. Da allora il Consorzio si è mosso con più agilità per farli conoscere in Italia e all’estero, sia sotto l’aspetto della qualità ma anche del territorio, dove nascono in un contesto dove anche la tradizione gastronomica è parte integrante del buon mangiare e del buon bere vini genuini che rispecchiano anche il carattere delle persone, semplici e cordiali, disponibili ma determinati nel raggiungere gli obiettivi. Il Presidente del Consorzio Vini Mantovani Luciano Bulgarelli ci aspetta a Quistello (Mn), presso il ristorante all’Angelo deve è previsto un menù con degustazione di alcuni vini mantovani. Gli chiediamo subito come è andata l’ultima vendemmia. «La qualità è stata eccellente pur con delle quantità molto ridotte rispetto agli altri anni per effetti climatici dovuti ad una gelata primaverile e poi alla stagione calda nel mese di agosto. Però i vini che stiamo ottenendo sono di alta qualità». Qual’è stata la tipologia di uve che ha beneficiato o che ha avuto problemi: “Non c’è stata nessuna tipologia che ha avuto dei vantaggi rispetto ad altre perché il calo

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Il presdidente Bulgarelli c’è stato in tutte le varietà, alcune meno altre di più come lo Chardonnay che ha avuto un 50% in meno rispetto alla produzione, però alla fine ci siamo attestati, mediamente, attorno a un meno 30%. Il calo ha colpito in modo omogeneo un po’ tutte le varietà, sia i vini bianchi sia i rossi. La prima vendemmia l’abbiamo fatta verso il 10 agosto partendo dallo Chardonnay a base spumante e abbiamo finito con le uve rosse Cabernet nella prima decade di ottobre». E il Lambrusco come è andato? «Si è comportato come tutte le altre varietà, non c’è stato un anticipo di raccolta. Si pensava di farlo ma poi abbiamo iniziato la vendemmia i primi di settembre per finire i primi giorni di ottobre. I risultati sono stati buoni, c’era un po di preoccupazione per la gelata di aprile». E l’acidità si è mantenuta sempre agli stessi livelli? «Inspiegabilmente ha mantenuto una buona acidità, aromi e profumi che ha sorpreso anche i tecnici». E per quanto riguarda la gradazione? «Abbiamo un grado e mezzo in più». Con il calo di produzione che avete avuto, riuscirete a soddisfare il mercato italiano ed estero? «Senz’altro perché abbiamo del vino di scorta dell’anno precedente, in cantina ne abbiamo per

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soddisfare le richieste, ne abbiamo una scorta di circa 40 mila ettolitri. Per quest’anno andiamo tranquilli sotto tutti gli aspetti, come per esempio quello economico. C’è stato un innalzamento dei prezzi, in alcuni casi abbiamo più che raddoppiato il valore delle uve e quindi i vini e i mosti». Per quanto riguarda le vendite, cosa prevede, come potrà andare il mercato? «Si è intrapreso una strada che secondo me non ha più ritorno, nel senso che oramai le aziende si sono strutturate facendo anche dei sacrifici puntando principalmente sul mercato estero perché quello italiano si sta saturando. Questo vuol dire fare investimenti, sia in cantina con macchinari all’avanguardia sia sulle persone che spesso sono all’estero per manifestazioni, fiere, incontri mirati con degustazioni. E poi all’estero quando si parla del vino italiano è sempre un bel parlare perché fa moda, le persone chiedono, vogliono sapere e conoscere le varie tipologie di vino dove nascono. Insomma sono curiosi su tutto, c’è una ricerca sui vini di qualità e del territorio dove vengono fatti e come. Cercano prodotti nuovi i innovativi che fanno tendenza. E i vini mantovani hanno queste caratteristiche, perché nascono in un territorio di nicchia. I vini prodotti nel mantovano non sono una grande quantità ma è la qualità che ci viene riconosciuta, sia in Italia sia all’estero». Per quanto riguarda l’estero, ci sono nuovi mer-

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cati all’orizzonte? «Certamente, all’estero sta crescendo la voglia di vini di qualità, non è più sufficiente mandare un vino buono, oggi la tendenza è la ricerca di vini di alta qualità superiore rispetto agli anni scorsi. E noi siamo pronti per andare incontro a questo cambiamento importante perché crediamo che sotto l’aspetto dell’alta qualità siamo all’altezza della sfida. Tra i nuovi mercati che si stanno aprendo, ci sono quelli dei Paesi nordici, dove sappiamo tutti che c’è un problema dell’alcool, però c’è una forte apertura verso il vino soprattutto verso quello italiano e quindi credo che questi mercati vadano seguiti con maggior attenzione rispetto ad altri. Anche il Canada è un paese che ha molta attenzione verso i nostri vini». Quali sono i vini maggiormente richiesti in quei Paesi? «Sono i vini bianchi ma soprattutto i rossi e le bollicine di Lambrusco perché lo abbinano al pesce come il salmone, il baccalà e lo stoccafisso, tutti cibi grassi che si sposano molto bene con il Lambrusco doc secco. E la richiesta aumenta sempre di più». Quindi, quest’anno c’è questa nuova scoperta dei mercati nordici? «Si c’è questa nuova importante realtà, ma per arrivare in questi mercati ci sono molte difficoltà burocratiche come il monopolio con le sue regole, una trafila molto diversa rispetto ad altri Paesi, però ci

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stiamo adeguando con pazienza». Voi cosa pensate di fare per promuoverli? «Semplicemente andando da loro portando i nostri vini facendoli degustare con incontri mirati descrivendone le qualità, ma poi è il bicchiere di vino l’ultimo a “parlare» con i palati che sono molto pretenziosi. C’è molto interesse verso i nostri vini e noi come Consorzio ci stiamo adoperando per farlo conoscere nel migliore dei modi, in particolare le bollicine mantovane, hanno caratteristiche organolettiche uniche nel suo genere perché dietro c’è l’artigianalità un lavoro, una ricerca paziente e una cura nella vinificazione nell’estrapolare dagli acini tutte le potenzialità ancora inespresse del Lambrusco. E questo è quanto hanno percepito i palati più esigenti. Tutto questo è merito delle piccole e medie aziende che ogni giorno sono alla ricerca della migliore qualità». Il merito di questi risultati va attribuito all’enologo, all’agronomo o alle nuove tecnologie? «Il merito è un po’ di tutti perché partiamo dal fatto che il vino si fa in campagna poi quando le uve arrivano in cantina, cercando di non rovinarle nel trasporto, capire come sono e individuare subito il tipo di lavorazione da fare per non rovinare quello che è stato creato in campagna e qui interviene la tecnologia, fondamentale per la vinificazione, ma è sempre la mano dell’enologo con la sua sensibilità ed

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esperienza a determinare il risultato finale per ottenere un buon vino. Tutto questo lo si ottiene attraverso il controllo di tutta la filiera produttiva». Vogliamo parlare dei vini e della cucina mantovana, dei piatti della tradizione culinaria, alcuni risalenti ai tempi dei Gonzaga, ma sempre vincolati alla terra dalle tradizioni contadine? «Come tute le cose, non nascono mai a caso, se un vino nasce in un particolare territorio, immancabilmente diventa un compagno per il cibo, i due prodotti si legano subito, profumi e sapori diventano un unica cosa e di conseguenza si crea un legame dove uno non può fare a meno dell’altro. Oggi la cucina mantovana nella sua classicità e nella sua semplicità è ricca e variegata. Per chi viene da fuori, il primo contatto con i sapori locali lo può fare con un tagliere di salumi composto dal salame mantovano, pancetta e coppa accompagnati da ciccioli, Parmigiano, gnocco fritto, la chisceglia (focaccia tipica salata) e il tirot (altra focaccia alle cipolle). Si assapora subito la bontà dei prodotti artigianali e antichi nella loro tradizione contadina. Per passare poi ai primi piatti in brodo, altra sinfonia per il palato: gli Agnolini all’uovo con ripieno di carne di manzo, salamella, pollo, pane grattugiato, Grana Padano, noce moscata. Tagliatelline, quadretti e maltagliati, pasta all’uovo tagliata a strisce sottili. Pasta trita all’uovo, essiccata e tritata in grattugia in pezzi molto piccoli. Panàda, composta

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da pane raffermo, olio e grana padano. Poi ci sono i piatti asciutti, eccone alcuni: i noti Tortelli di zucca, Tortelli amari, le Tagliatelle, Gnocchi di zucca, Risotto alla pilota, condito con salamelle di maiale, Risotto col puntèl, condito con salamella, costine o braciola di maiale, Risotto con le rane, condito con rane pulite, olio e cipolla. Come secondi piatti non c’è che l’imbarazzo della scelta: Stracotto o brasato, a base di carne di manzo accompagnato alla polenta, Stracotto d’asino, accompagnato da polenta, Bollito misto di carne di manzo, pollo e maiale lessati in acqua bollente accompagnato dalla mostarda, Cotechino e pisto, accompagnati da polenta e lenticchie, Lucio in salsa pesce d’acqua dolce lessato accompagnato da una salsa a base di capperi, prezzemolo, acciughe sotto sale, aglio e cipolla, Faraona arrosto. Infine ci sono i dolci, ma la più gettonata è la Sbrisolona, torta friabile a base di mandorle. Tutto questo, aggiunto alle bellezze della provincia di Mantova, che vanno dai castelli ai monumenti, dall’arte alla cultura e alla storia dei Gonzaga, formano una squadra competitiva di alto livello che promuove e racconta all’estero un territorio tutto da scoprire». Il ristorante all’Angelo ha preparato un menù della tradizione gastronomica mantovana abbinando degli ottimi vini che hanno deliziato il palato. «Si gli abbinamenti si sono dimostrati azzeccati e i due attori si sono esaltati a

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vicenda. Con l’antipasto di salumi abbiamo proposto delle bollicine metodo classico Armonia 1.6, fatto con uve Chardonnay e Grappello Ruberti vinificato in bianco, trascorre 24 mesi sui lieviti. Come primo piatto, Tortelli di zucca e il vino scelto il Lambrusco Grappello Ruberti in purezza, delicato e ricco di profumi. Poi è arrivato il Guanciale di maiale con le mele, è un classico della nostra cucina, lo abbiamo abbinato al Gran Rosso del Vicariato, molto strutturato, fatto con uve Grappello Ruberti e Ancellotta che lo ammorbidisce. Abbiamo chiuso con la Sbrisolona mantovana, il dolce più conosciuto e richiesto, si sposa felicemente con il Moscato del Vicariato, era molto richiesto dai Gonzaga, veniva offerto agli ospiti, regalato ad amici e nobili. Noi abbiamo ripreso a produrlo nella cantina di Quistello diventando in poco tempo uno dei vini più richiesti».

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Ristorante all’Angelo Via Cantone 60 46026 Quistello (Mn) con una buona acidità che tiene pulito il palato. Come primo piatto abbiamo preparato il classico Tortellone di zucca fatto da noi ed è una vera specialità, condito con abbondante burro. Lo abbiamo proposto con l’80 Vendemmie Rosso, un Lambrusco con una vena profumata e morbida che si sposa perfettamente con questo piatto. A seguire abbiamo proposto il Guancialino di maiale brasato con mele tipiche della nostra zona ed il vino da accostare abbiamo pensato al Gran Rosso del Vicariato della cantina di Quistello, anche questo è un Lambrusco particolare per profumi e intensità di colore, potremmo definirlo un vino “maschio» ed è un compagno perfetto per le carni di maiale. Infine abbiamo finito con la classicissima Sbrisolona, l’abbiamo sempre in menù perché è la più richiesta. Per assaporarne tutte le fragranze consigliamo sempre il Moscato del Vicariato, un vino dolce e armonico che invade il palato con delicati sapori». Finita l’intervista, finalmente ci possiamo godere tutto il complesso dove ci troviamo. E’ una bellissima struttura risalente al 1840 che nasce come casa padronale. Nel 2012 la villa inserita in un parco di 18 mila mq e circonda da piante secolari, come due olmi del 1800, viene trasformata in un accogliente e riservato ristorante da Angelo e Nadia, ristoratori da lunga data. Oggi punto di ritrovo per chi vuole gustare, in un ambiente raffinato e discreto, la storica cucina mantovana interpretata in cucina con maestria da Nadia.

Dopo avere degustato con piacere alcuni piatti della cucina locale mantovana, ne parliamo con il titolare del Ristorante all’Angelo Denis Garosi che con la moglie Nadia Cavallini, bravissima chef che ha cucinato con arte e semplicità un menù ricco di sapori e di storia della cucina mantovana. “Abbiamo proposto un antipasto di salumi nostrani composto dal salame mantovano agliato, la coppa/pancetta nostrana e prosciutto crudo abbinandolo alle bollicine Armonia 1.6, uno spumante metodo classico molto elegante

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Reggio Emilia di Enzo Russo

Erika Sartori, rivoluzione rosa Ritratto di una manager che, fra Parmigiano Reggiano e Lambrusco, sta cambiando la cooperazione romagnola

L’

appuntamento con Erika Sartori è a Villa Roncadella (Reggio Emilia) presso il Caseificio Sociale, una cooperativa di sette soci conferenti, tra cui la sua azienda agricola. Ci accoglie con un grande sorriso espressivo e con la classica parlata reggiana. E’ una bella donna, faccia simpatica e amichevole, occhi che sorridono con una forte personalità e dalle indubbie qualità professionali. Iniziamo a parlare, mentre ci offre dei tocchetti di Parmigiano Reggiano di sua produzione accompagnato da un buon bicchiere di Lambrusco Barghi, un vino prodotto dalla Cantina sociale della

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zona di cui la sua azienda è socia. «Prima di tutto sono una imprenditrice agricola - dice Erika mentre ci versa un altro brioso Lambrusco - non avrei mai immaginato di far parte di questo mondo perchè ho degli studi e una formazione completamente diversa. Ho fatto il Liceo Scientifico e studi di giurisprudenza. Ho conosciuto mio marito Luca Ferretti quando avevo avevo 23 anni, mi ha proposto di lavorare nella sua azienda zootecnica e vinicola con compiti amministrativi, poi ci siamo sposati. Fino al 2008 abbiamo avuto un allevamento di suini. Li abbiamo venduti concentrando tutta la nostra attività sull’allevamento delle mucche da latte».

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Reggio Emilia fino allora rivestito dal suocero. Ed è proprio in quegli anni che ha inizio la mia evoluzione, prendo coscienza delle mie capacità e possesso di un lavoro che mi piace. L’ agroalimentare è un mondo che mi affascina, non è statico ma in continua evoluzione». Il cellulare è un continuo trillare: inviti a manifestazioni, convegni, incontri istituzionali. Riusciamo a riprendere a parlare con il cellulare spento. «Nel 2010 c’è stata la grande svolta che ha cambiato la mia vita. Mentre prima ero solo una imprenditrice agricola moglie dell’imprenditore, diventando amministratore mi si apre un mondo, quindi la mia curiosità mi spinge a fare sempre di più. A parte i corsi di formazione rivolti alla preparazione teorica sul mondo agricolo, la viticoltura e la zootecnia, mi si presenta e un’altra opportunità con la rappresentanza sindacale. Entro a far parte del Consiglio di presidenza di Confagricoltura di Reggio Emilia e contemporaneamente presidente del settore Vitivinicolo di Confagricoltura Reggio. L’anno successivo presidente provinciale di Fedagri che si occupa del settore agroalimentare di Confcooperative Reggio Emilia e non ultimo sono consigliera nel Consorzio dei vini Reggiani. Tutto questo mi ha permesso di crescere professionalmente. Ora faccio parte anche della Commissione regionale e di quella Nazionale di Donne Cooperatrici». Il lavoro che svolge in un settore ben vasto, vede una forte presenza di uomini, lei ha trovato difficoltà nell’inserirsi, nell’essere accolta o è stato del tutto naturale la sua presenza come donna? «Inizialmente mi guardavano un po’ straniti perchè vedere una donna dove solitamente ci sono solo uomini ha inizialmente condizionato tutti, dal modo di parlare agli atteggiamenti, dall’esprimersi . Beh, mi son detta: sono una donna, cosa ho di meno? forse posso magari apportare qualche cosa in più, un punto di vista differente perchè fondamentalmente non cre-

Quante bovine avete? «Sono circa 300 di varie tipologie, vitelle, manze e bovine da latte. Mediamente produciamo 14 mila quintali l’anno. Ogni giorno facciamo 6/7 forme di Parmigiano Reggiano». Avete anche un’ azienda vitivinicola? «Si, produciamo Lambrusco e Ancellotta, tutti vitigni tipici della nostra zona. L’ancellotta un vino prevalentemente da taglio, è chiamato anche “rossissimo» e serve per dare colore agli altri vini. L’uva che produciamo la conferiamo a tre Cantine cooperative». Ma ritorniamo a Erika contabile dell’azienda.. «Ho iniziato così, poi vengo nominata amministratore, nel 2010 la ditta individuale di mio suocero, dove mio marito ed io eravamo coadiuvanti, diventa la “Società Agricola due Querce» ed io socia e come tale ho avuto la possibilità di entrare a far parte del Consiglio di amministrazione di una Cantina. Da lì ha inizio un significativo cambiamento della mia vita professionale». Possiamo dirlo? una donna in carriera… Erika prima risponde con un sorriso, poi ammette che certamente l’ambizione c’è, fa parte della natura umana. «E’ un settore molto maschile e maschilista con un’età media abbastanza alta. Giovani in agricoltura ce ne sono pochi soprattutto quelli che sono impegnati al di fuori della propria attività aziendale. Nel 2010 vengo nominata amministratore della Cantina Sociale Puianello e Coviolo che ha una produzione di 1 milione e mezzo di bottiglie. Nel 2012 sono tesoriere del Caseificio di Roncadella, subentrando al ruolo

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Reggio Emilia

«Non pensavo nemmeno di arrivare dove sono arrivata, perchè visto il mondo che frequento, una donna quali ambizioni può avere? Ma sono sempre più convinta che debba essere valutato il merito, questo a prescindere dal genere. Fondamentali sono le competenze, sempre più richieste assieme alla preparazione sia amministrativa che sindacale, perchè il mondo è in continua evoluzione e quindi questi requisiti sono indispensabili per portare avanti gli interessi del proprio settore, avendo oggi a che fare con un mercato non più solo locale ma globalizzato. Non ho un vero e proprio obiettivo finale, nel senso che sono tanti gli elementi che concorrono per fare una valutazione. Nella vita gli imprevisti e le opportunità sono sempre dietro l’angolo. Per adesso spero di poter fare il mio lavoro nel miglior modo possibile». Erika è già in auto, l’aspettano alcuni imprenditori: prossimo step, una missione commerciale a Los Angeles.

do che una donna sia migliore o peggiore di un uomo, assolutamente no. Il problema è avere un punto di vista diverso sulle cose. Io ho un modo di affrontare un problema o una situazione che non è lo stesso che può avere un uomo, le sensibilità sono diverse. Ammetto che l’inizio sia stato un po’ difficoltoso, adesso le cose stanno cambiando piano piano. Ho capito come ci si muove, quali sono i luoghi preposti per prendere le decisioni che non sono soltanto le assemblee o le riunioni… Come donna ho impiegato più tempo ad inserirmi perchè mi vedevano come un corpo estraneo». Erika, lei ha molteplici impegni, quali sono i suoi obbiettivi adessp? The Italian Wine Journal

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Verona

Poggio alle Grazie dei fratelli Brutti a Castelnuovo del Garda, nuovo punto d’eccellenza nel territorio gardesano

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n un bicchiere di vino è raccolta la sintesi del perfetto equilibrio tra la natura, la tecnica e la mano dell’uomo. Così nasce nel 2014, tre anni fa “Poggio delle Grazie» da una volontà della famiglia Brutti di rappresentare l’eccellenza del territorio, un fazzoletto di una ventina di ettari su una bellissima e ripida collina, morena di antica origine glaciale, un balcone che si affaccia sullo splendido territorio di Castelnuovo del Garda, nuovissima cantina. Massimo e Stefano Brutti, due fratelli con al centro la passione per il terroir, danno vita a questa nuova realtà aziendale che si è già posta all’attenzione come produttrice di vini di gran stoffa. “ E’ nostra convinzione che, solo se rispettata, la terra dà i suoi frutti migliori: il rispetto sta nel curarla con prodotti poco invasivi e che siano il più naturali possibile, riducendo al massimo l’utilizzo di fitosanitari.» Dice Massimo . Il logo nasce da

uno studio partendo dalla finestra quadrilobata posta sulla facciata della chiesetta che, per forma, richiama la cancellata delle Arche Scaligere che si trovano in centro a Verona. All’interno trova posto un cuore stilizzato a ricordare gli ex-voto posti nella cappellina. E la critica se ne accorge subito, conferendo, ad esempio, la corona dei vini buoni d’Italia al chiaretto bardolino 2016, seconda annata di produzione. Una botte sulla statale ci dice che è il momento di imboccare una stradina bianca che passa davanti ad una piccola cappella dedicata alla Madonna, una volta piena di ex voto per avere risparmiato la gente lì intorno dai bombardamenti dell’ultima guerra, da cui il nome di Poggio delle Grazie. Poco più avanti c’è la cantina, circondata dai vigneti di proprietà. L’azienda comprende 15 ettari a cavallo delle due Doc del Bardolino e del Bianco di Custoza mentre le uve del pregiato Pinot Nero vengono dalle “Sona hills». I fratelli Brutti sin dall’avvio si può dire hanno ormai eliminato l’uso di prodotti sistemici in campagna, mentre in cantina privilegiano i lieviti autoctoni. Questo incide sulle caratteristiche generali dei vini di Poggio delle Grazie che giocano le loro carte sulla piacevolezza di bocca, sono vini gustosi, sapidi, diretti, vecchia scuola forse, ma chiari ed intellettualmente onesti, spesso non filtrati, più naturali e genuini, da azienda in conversione biologica. La prima vendemmia con il nuovo marchio risale al 2014 e dopo solo tre vendemmie prosegue il personale percorso che già identifica uno stile pulito ed elegante, rispettoso nel profondo del territorio.


Ristorazione

Pizzium fa tris Dopo il successo di via Procaccini e Anfossi, Pizzium continua la sua espansione inaugurando la terza pizzeria in Viale Tunisia 6 - Milano

È

un progetto ambizioso, quello di Pizzium: portare una buona pizza e tutto il calore del Sud in tutta Italia. Così si spiega il successo di Pizzium che ha fatto breccia nel cuore dei milanesi da meno di un anno, con una formula semplice, quanto difficile da realizzare: proporre una pizza di ispirazione napoletana talmente buona, leggera e digeribile, da non poterne più fare a meno, in un locale curato e accogliente che ti fa sentire a casa. “L’obiettivo è di continuare con l’espansione nel Nord Italia per poi aprire altre pizzerie nel Centro”, spiegano Stefano Saturnino, Giovanni Arbellini, in artea Nanni e Ilaria Puddu, soci fondatori del brand. “Pizzium vuole diventare un punto di riferimento per tutte quelle persone che cercano una pizza gustosa in un locale in stile partenopeo fatto di calore, sorrisi e gustose proposte regionali. Sedersi al tavolo di Pizzium è un po’ come stare nella cucina della nonna, dove l’accoglienza è di casa e sei certo di mangiare bene”. Fragranti pizze napoletane da assaporare su ampi tavoli di legno, servite su colorati piatti di ceramica decorati a mano, immersi in un ambiente tipico del Sud, con scaffali colmi di attrezzi da cucina, barattoli e provviste e pavimenti decorati a mano. Un luogo ideale dove ognuno può sentirsi come a casa propria, dalle famiglie con figli, ai colleghi di lavoro, dai turisti alla ricerca della vera pizza napoletana, fino alle stilose food blogger, pronte a postare queste fumanti pizze, che rubano gli occhi per la

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freschezza e la qualità degli ingredienti. “Perché non creiamo un menù che parli della bellezza e del buongusto del nostro Paese?”. E’ con questa idea che il pizzaiolo Giovanni Arbellini, Ilaria Puddu e Stefano Saturnino, inaugurano nel marzo 2017 Pizzium, un concept di pizzerie che celebrano il buono dell’Italia con proposte gastronomiche che ne ripercorrono la tipicità. Un’idea vincente, che assieme alle proposte tradizionali, come Margherita, Marinara e Bufala, propone un ideale viaggio in quattordici pizze regionali. Dal profumatissimo speck Dop trentino alla Stracciatella pugliese, dal pesto ligure fatto in casa alla salsiccia fresca artigianale con friarielli, ogni pizza è un percorso del gusto che percorre in lungo e in largo i veri sapori italiani.

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Lazio

Alla scoperta dello Shiraz del Lazio. Tenuta Santa Lucia

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chirurgo del Policlinico Umberto I, s’innamorò di un casale dell’ottocento durante una visita in Sabina. Venti ettari di terreno con alberi da frutto, grano e boschi facevano da cornice all’edificio che decise di acquistare; da bravo abruzzese di Tollo piantò subito tralci di Montepulciano e Trebbiano prediligendo la strada del vino rispetto a quella dell’olio, molto più nota nell’areale, anche se un legame tra luogo e vinificazione è sempre esistito; di fatti nei dintorni di Poggio Mirteto la ricchezza dei contadini e dei proprietari terrieri si misurava in botti. L’attività iniziale era incentrata sulla vendita di uve a terzi, per la produzione di vino da tavola. Il punto di svolta si veri-

Azienda Vinicola è ubicata nel territorio del comune di Poggio Mirteto (cittadina sabina gemellata nel 2003 con Canejan, che si trova a km 15 da Bordeaux), geograficamente nelle vicinanze di Roma ricade nella Provincia di Rieti, assai nota per la produzione di un grande olio DOP. Molte aziende vinicole iniziano la loro attività per caso, la passione o l’amore per un territorio sono talvolta la scintilla che induce la gente di città a trasferirsi in campagna per instaurare un rapporto con la natura. Tenuta Santa Lucia iniziò in parte così, quando nel 1979 Mario Colantuomo,

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Lazio

ficò solamente venti anni dopo, quando Gabriella Fiorelli - sua moglie - decise di produrre e imbottigliare autonomamente il vino; decisivo fu l’incontro con Franco Bernabei col quale condusse un attento studio dei Cru e dei terreni circostanti, portando i proprietari a espandere ulteriormente i loro confini e a rivoluzionare in toto l’azienda La cantina di recentissima costruzione, realizzata secondo le più moderne tecniche di vinificazione, sovrasta i vigneti che ricoprono queste colline sabine predominanti alla Valle del Tevere e dirimpettaie al Monte Soratte. Un territorio non semplice da far emergere, che subisce moltissimo l’influenza dei colli romani. L’azienda consta di 40 ettari vitati, per la maggior parte uve a bacca rossa come Montepulciano, Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon e Franc, Carignano e Syrah; mentre le uve a bacca bianca sono Malvasia, Falanghina, Pecorino, Sauvignon e Incrocio Manzoni. La realizzazione dei vigneti è avvenuta all’interno di un piano di ammodernamento iniziato nel 1995. Da diversi anni tutta la superficie vitata aziendale risponde ai massimi requisiti qualitativi quali: densità d’impianto, bassa produzione a pianta, superficie fogliare esposta ed altri. La vendemmia è effettuata a mano in cassette di piccole dimensioni. Le basse rese di uve per ettaro ottenute anche con il diradamento dei grappoli, consentono di mantenere ed elevare le caratteristiche organolettiche e gusto-olfattive delle uve e di ottenere Vini di grande qualità. L’identità del vigneto e del territorio, sono la

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strada maestra su cui basare lo stile del suo fare e pensare il vino e, quando glielo lasciano fare le soddisfazioni non mancano ad arrivare: Mario Colantuono ha un progetto ben chiaro da sempre, produrre vini di pregio dai suoi quaranta ettari. Il Morrone Rosso Syrah 2012 ne è lo specchio fedele e non sorprende , perché già dal bicchiere fa emergere la potenza dello Syrah. Colore impenetrabile, profumi penetranti come fogli di alloro, ciliegia nera macerata e tanta spezia; al palato è esuberante, quasi cremoso, grazie anche ai ventiquattro mesi passati in barrique. Qui si è lasciati esprimere il talento di Fabio Mecca, che ha rispettato in pieno vitigno e territorio. Vino degustato: Morrone, Syrah in purezza, proviene da vigne esposte al sole, sottoposte a ottime escursioni termiche e adagiate su terreno ricco di ciottoli. Le condizioni pedoclimatiche favoriscono la piena maturazione degli acini che conservano zuccheri e acidi per un risultato di alto livello. Il colore è scuro, il naso intenso e ampio. L’inizio di frutta matura, come amarena e prugna, è seguito immediatamente da note di cioccolato, spezie dolci con ritorni di violetta. Bocca calda e avvolgente con tannini integrati; l’alcol e i ritorni di frutta allungano il sorso. Affina due anni in botte.

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Ultima pagina

I

Lutto a The Italian wine Journal: ci ha lasciato il collega Franco Ruffo

l suo ultimo articolo per noi risale allo scorso dicembre: Edi Kante ed i sapori del Carso. Uno degli innumerevoli viaggi a caccia di notizie che hanno contraddistinto la sua vita. Franco Ruffo, firma storica del giornalismo veronese, testimone dello sviluppo economico scaligero, scopritore e narratore dei suoi protagonisti, ci ha lasciato improvvisamente nel febbraio scorso. E’ difficile in un “coccodrillo» racchiudere i ricordi di una vita, di un’amicizia nata sul lavoro inseguendo insieme storie e protagonisti da raccontare. Delle tante cose, ricordiamo la sua passione per l’economia e lo studio continuo dei grandi fenomeni che la attraversano. Fra i primi aveva compreso il ruolo che l’agroalimentare stava assumendo e la forza esplosiva di alcuni brand che oggi “dominano» le tavole di milioni di consumatori in Italia e nel mondo. Inarrivabile per molti, la sua capacità di sintesi, di cogliere al volo, in un attimo, l’essenza di un processo produttivo, le complessità di un mercato. Delle grandi imprese veronesi conosceva pregi e difetti; di ogni grande imprenditore poteva tracciare il profilo esatto. Per le nuove imprese conservava una curiosità infinita anche dopo quarant’anni di professione. Per i giovani cronisti, quelli che cercavano di scappare dal

Direttore responsabile: Beppe Giuliano email: boss@euposia.it telefono +39 045 591342 Vicedirettore: Nicoletta Fattori email: fattori@euposia.it telefono +39 045 591342 Redazione e Degustazioni (dove inviare i Campioni): Via Luigi Negrelli, nr 28 37138 Verona tel. fax. 045.591342 email: desk@giornaleadige,it Enzo Russo Caporedattore Enogastronomia email: desk@giornaleadige.it Hanno collaborato a questo numero: Alessandra Piubello, Elisabetta Tosi, Carlo Rossi, Giulio Bendfeldt, Magda Beverari, Daniela Scaccabarozzi

suo controllo per rifilargli un “buco» su una “sua impresa», provava affetto sincero che nascondeva con fare burbero. Con Franco, Rossella, Lillo ed altri amici stavamo scrivendo la storia degli ultimi trent’anni di Verona attraverso i suoi protagonisti. Mai avremmo immaginato di dover aggiungere pagine per raccontare di lui, che ha contribuito come pochi a rendere grande Verona e le sue imprese scrivendo ogni giorno dal suo ufficio in Confindustria e dalle pagine de Il Sole 24 Ore e de La Stampa. Ci mancherai, Franco. Mi mancherai. (b.g.)

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Prosecco a Valdobbiadene dal 1952 Il 1952 è l’anno di inizio del nostro percorso legato al Prosecco Superiore Valdobbiadene D.O.C.G. Ecco perché, quando abbiamo raggiunto l’espressione più raffinata di una storia, di un territorio e di una passione che dura da 60 anni, abbiamo pensato che il suo nome potesse essere uno solo: 52.

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