The Italian Wine Journal - edizione estate 2018

Page 1

Prosecco a Valdobbiadene dal 1952 Il 1952 è l’anno di inizio del nostro percorso legato al Prosecco Superiore Valdobbiadene D.O.C.G. Ecco perché, quando abbiamo raggiunto l’espressione più raffinata di una storia, di un territorio e di una passione che dura da 60 anni, abbiamo pensato che il suo nome potesse essere uno solo: 52.

www.santamargherita.com

Sagrantino di Montefalco 2014 - Nobile di Montepulciano 2015 - Bonarda Oltrepo - Sangiovese di Romagna - Montonale - Rosè Santa Margherita GV - Cava - Cantina Coffele - Sangiovese di Romagna, Riserva 2015 - Montonale, Orestilla 2016 - Cava, bilancio di un anno - Bollicino Matito della Taverna Kus - Rosati, dall’Alto Adige alla Maremma

VALDOBBIADENE PROSECCO SUPERIORE “52” SANTA MARGHERITA:

The Italian Wine Journal La Rivista

del

Vino

Per chi ama il vino e per chi vuole conoscerlo - Anno II - n. 3 - Euro 5 - estate 2018

Sagrantino: i nostri preferiti del millesimo 2014 Nobile di Montepulciano in crisi di identità Oltrepo Pavese: la riscossa della Bonarda

www.italianwinejournal.com Sangiovese di Romagna, Riserva 2015 - Montonale, Orestilla 2016 - Cava, bilancio di un anno - Bollicino Matito della Taverna Kus Rosati, dall’Alto Adige alla Maremma - Otto vini per l’ombrellone - Cantina Coffele - Birra, record italiano - Talisker 40 anni Bodega BIMESTRALE - “Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 NE/VR




Sommario

Degustazioni

6 10 16 20 28 38 40

Monte del Frà Sexaginta Custoza Superiore DOC 2015 Vino Nobile di Montepulciano, Riserva 2014 e annata 2015 Sagrantino di Montefalco, l’annata 2014 Sangiovese di Romagna Bonarda dall’Oltrepo Bollicino Matito della Taverna Kus I Rosati di Santa Margherita

Reportage

34 61 72

Politica e referendum rallentano il Cava Coffele, innovazione e tradizione Birra, il report annuale

Cantine

20 52

48 51 78

The Italian Wine Journal

Montonale, conferme in Lugana Torre Rosazza

Wine & Food Apre Good Blue Lumache di Scalea Talisker, Bodega 40 anni

2

giugno 2018



Toscana

Francesco Mazzei alla guida del Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana

I

nizia una nuova era con Francesco Mazzei alla presidenza del Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana e la giovane DOC amplia i propri orizzonti facendo leva su quella eterogeneità che la rende unica e innovativa: una nuova Toscana del vino. “Mi ritengo un maremmano di adozione e sono felice di poter dare un contributo ad un territorio che non ha eguali per qualità e varietà”, racconta il neo eletto Presidente che aggiunge: “Penso che il potenziale della Maremma vitivinicola sia tanto grande quanto stimolante e faremo tutto il possibile per affermare i vini della nostra Denominazione a livello nazionale e internazionale”. Fiorentino, classe 1959, Mazzei è un imprenditore di successo, Vice Presidente e CEO della Marchesi Mazzei spa, che da oltre sei secoli è dedita all’attività vitivinicola e che annovera tra le sue Aziende la Tenuta Belguardo nella Maremma Toscana. Una Toscana del vino innovativa, in costante crescita e dalle grandi potenzialità: sono queste le certezze da cui parte la nuova gestione guidata da Mazzei, che sarà affiancato dai vice presidenti Marco Bruni e Edoardo Donato. Gli altri componenti del nuovo Cda sono Andrea Daldin (Santa Margherita), Alessandro Gallo (Rocca di Montemassi), Benedetto Grechi (Vignaioli del Morellino), Pericle Paciello (Rocca di Frassinello), Fabio Ratto (Le Mortelle) e Massimo Tuccio (Cantina Cooperativa I Vini di Maremma). Il piano d’azione del nuovo presidente si basa su una strategia che affonda i suoi “pilastri” in quel territorio ampio e variegato che è la Maremma Toscana. Terra dedita alla coltivazione della vite e alla pro-

The Italian Wine Journal

duzione di vino sin dal tempo degli Etruschi, ricca di storia e di cultura e ancora con una natura del tutto incontaminata che attrae in ogni stagione numerosi turisti da tutto il mondo. E’ proprio in questo ambiente estremamente articolato che, grazie al grande lavoro dei produttori locali, impegnati in una forte crescita quantitativa e qualitativa dei vini prodotti, altri importanti Gruppi e Aziende stanno dando vita a progetti vitivinicoli, riconoscendo nella Maremma un’opportunità su cui investire. Il Consorzio - cresciuto esponenzialmente nei numeri che oggi vedono 306 aziende associate, di cui 221 viticoltori (per la maggior parte conferenti uve a cantine cooperative), 1 imbottigliatore e 84 aziende “verticali” - nasce nel 2014 dopo il conferimento della DOC, con l’obiettivo di promuovere la qualità dei suoi vini e garantire il rispetto delle norme di produzione previste dal disciplinare. La DOC Maremma Toscana nel 2017 ha imbottigliato 5.700.000 bottiglie con un trend in forte crescita. Si conferma al 4° posto, per superficie vitata, tra le DOP toscane dietro soltanto al Chianti, Chianti Classico e Brunello di Montalcino. Un altro punto di forza di questo territorio e della sua Denominazione è rappresentato dal concetto di sostenibilità dovuto alla quasi totale assenza d’insediamenti industriali. Sono pochi, infatti, i territori viticoli che possono vantare una natura incontaminata come la Maremma Toscana. “Abbiamo il dovere di valorizzare al meglio e di far conoscere ad un pubblico sempre più ampio la Maremma, anche quella più remota, e i suoi vini, facendo risaltare il patrimonio culturale, l’ambiente, l’ospitalità e tutte le risorse incredibili che la caratterizzano”, conclude il Presidente Mazzei.

4

giugno 2018


L’ARTE DI CREARE L’ECCELLENZA

Az. Agr. Le Marchesine S.S. Via Vallosa, 31 - Passirano (Brescia - Italy) - Tel: +39 030 65 70 05 info@lemarchesine.com - www.lemarchesine.com


News

Monte del Frà, Custoza Superiore DOC Sexaginta 2015: il vino per il 60.mo anniversario

M

onte del Frà è una delle Cantine veronesi dalla maggior estensione di vigneti fra la Valpolicella Classica e la zona del Custoza (oltre 160 ettari) e, soprattutto, è una delle poche maison scaligere a poter mostrare un “Tre Bicchieri” col Cà Del Magro, il Custoza Superiore – un cru, un vecchio vigneto di quarant’anni di onorato servizio – bandiera della cantina. Cresciuta fortemente negli ultimi anni, quest’anno festeggia i suoi sessant’anni dalla fondazione – 1958 -: un percorso invidiabile, fatto di tanto lavoro di due fratelli che poi hanno progressivamente allargato le responsabilità alla seconda generazione. Sexaginta è il Custoza Superiore pensato per ricordare l’anniversario e mostrare lo stato dell’arte raggiunto in cantina. L’uvaggio è Garganega, 15%; Trebbiano toscano, 20%; Cortese, 10% ; Incrocio Manzoni 6013, 15% ; Pinot Bianco e Riesling Renano a chiudere. Il blend vuole raccontare anche la filosofia della famiglia Bonomo e la sua passione per i vitigni che sono anche la storia della vitivinicoltura veronese, scelti nelle percentuali ideali per far emergere le loro singole caratteristiche: dell’uva garganega si coglie la delicatezza della frutta secca tostata, le lievi note terpeniche e l’agrumato di pompelmo. Della Cortese il fiore di gelsomino e il fruttato esotico.

The Italian Wine Journal

Infine, dell’incrocio Manzoni 6013, la sapidità, la freschezza, il lieve balsamico e la prestante struttura. Il vigneto è a Custoza, piccola frazione del comune di Sommacampagna situata a sud est del lago di Garda. Le colline si trovano a 100/150 s.l.m, di origine morenica con terreno calcareo, argilloso, ghiaioso. Il mosto delle diverse varietà di uva – raccolte separatamente nella loro epoca ideale di maturazione -dopo la decantazione statica viene fermentato in barriques e tonneaux di rovere e acacia. Tutto il processo di fermentazione alcolica e il successivo affinamento, per oltre 12 mesi, è avvenuto sulle fecce fini ed i regolari “batonnage” hanno favorito l’intensificazione aromatica e gustativa. Successivamente la separazione dalle fecce e il successivo assemblaggio in serbatoio inox a 12°C di temperatura, ha armonizzato la carica sensoriale delle uve. Nella primavera del secondo anno dopo la vendemmia, il vino è stato posto in bottiglia, dove, per altri 6 mesi, si è atteso il completamento della sua elevazione, anche qui, a dimostrazione del potenziale di evoluzione nel tempo del Custoza. Nel bicchiere è oro intenso; olfatto esplosivo ed avvolgente, con profumi di favo di miele, bergamotto, alloro e nespole. Palato coerente, dove ritornano le sensazioni agrumate; asciutto e vivace, con note speziate e minerali in chiusura.

6

giugno 2018


PER ALCUNI, NON È GIÀ PIÙ UN SEGRETO

PHILIPPONNAT BLANC DE NOIRS MILLESIMATO Assemblaggio ambizioso costruito attorno ai migliori terroir di Pinot Nero della Montagna di Reims, esclusivemante Premiers e Grands Crus, la cuvée Blancs de Noirs millesimata è il futto di una selezione minuziosa dei migliori vini dell’annata. L’espressione massima dello stile della Maison: uno champagne strutturato, intenso e fresco. www.philipponnat.com L’ABUSO DI ALCOOL È PERICOLOSO PER LA SALUTE. DA CONSUMARSI CON MODERAZIONE.


Birra

Arriva BIGA, la prima birra Italian Grape Ale totalmente biologica

S

i chiama Biga ed è la prima birra artigianale italiana, in stile Italian Grape Ale (Iga), completamente biologica, frutto dell’esperienza e del guizzo creativo di Cantina Orsogna 1964 e del Birrificio artigianale Mezzopasso. Biga è frutto del felice incontro tra la Birra Crevette Blanche Mezzopasso, speziata con coriandolo in semi, fiori di camomilla e scorze di limone, e mosto d’uva Malvasia d’Abruzzo, varietà aromatica dal tipico profumo di muschio e albicocca. Gli ingredienti, tutti rigorosamente biologici, sono malto d’orzo, fiocchi di frumento, malto di frumento, luppolo tedesco SAAZ, coriandolo, fiori di camomilla, scorza di limone, mosto d’uva malvasia; mentre i lieviti scelti sono quelli destinati allo stile blanche. Ne deriva quindi una birra immediatamente riconoscibile, dal colore opalescente, con schiuma bianca, abbastanza persistente, che racchiude una combinazione di sapori freschi e agrumati, conferiti dalle bucce di limone e dal coriandolo; la leggera nota maltata iniziale scivola in fretta verso un dissetante gusto citrico e speziato, con un finale secco e pulito, mitigato dai sentori floreali e di frutta a pasta gialla, regalati dalla Malvasia. Un prodotto innovativo, sul quale Cantina Orsogna 1964 e il Birrificio Artigianale Mezzopasso hanno deciso di scommettere. Quella delle IGA è infatti una tipologia di birre che sta prendendo sempre più piede in Italia. Non a caso, recentemente, il BJCP (Beer Judge Certification Program) - l’organizzazione nata nel 1985 per promuovere la cultura birraria e sviluppare strumenti e metodologie per la valutazione della birra - nello stilare l’aggiornamento dello

The Italian Wine Journal

“Style Guidelines”, ha ufficialmente codificato l’Italian Grape Ale, a testimonianza di come l’Italia, pur non essendo un paese di lunga tradizione brassicola, stia gradualmente affermandosi nel settore a livello internazionale. Secondo quanto previsto dall’organizzazione “le caratteristiche aromatiche delle varie uve devono essere riconoscibili, ma non devono prevaricare gli altri aromi”. Si tratta di un’importante apertura da parte del mondo della birra allo stile di produzione italiano che, impiegando per le IGA mosti derivanti da vitigni autoctoni, lega così a doppio filo la birra che ne deriva con un preciso territorio d’origine. Birrificio Mezzopasso Il birrificio Mezzopasso nasce nel 2014 a Popoli, in provincia di Pescara, grazie alla passione di Gabriele Di Marcantonio, formazione giuridica e consulente in progettazione europea, e Bernardo Perfetti, psicologo e ricercatore, i quali, messe in secondo piano le loro specializzazioni, sono oggi mastri birrai. Il percorso inizia ufficialmente nel 1998 da “homebrewer”, con il loro piccolo birrificio racchiuso nel garage di casa, e proseguito nel 2012, con la nascita della “beer firm” Fiscellus Mons, nome latino per indicare il Gran Sasso. Per fare il salto di qualità si allarga la squadra e vengono coinvolti Giovanni Sulprizio, Marco e Giovanni Paolini, operativi nella società Diffusion Beer, con sede a Popoli, nella provincia pescarese, oltre a Giampiero Tornar e Glauco Di Meco, proprietari dello storico Jayson’s Irish Pub di Pescara. La produzione cresce e si differenzia in otto etichette fisse, più alcune proposte stagionali. Annualmente vengono prodotti circa 900 ettolitri di birra.

8

giugno 2018


illumina Selinunte grazie al vostro aiuto.

PiĂš di un milione di consumatori hanno giĂ comprato e gustato i vini Settesoli contribuendo alle prime opere di valorizzazione del Parco Archeologico di Selinunte. Abbiamo illuminato le antiche mura, ma c’è tanto altro da fare. Vai su www.settesolisostieneselinunte.it e aiutaci ancora a sostenere Selinunte. PARTNER


Montepulciano di Alessandra Piubello

Nobile in crisi d’identità Un’annata non eccezionale, stili produttivi differenti, uso dei legni non ottimale: c’è molto da registrare anche se non mancano le eccellenze. Queste.

B

en quarantacinque le aziende partecipanti alla ventiquattresima anteprima del Vino Nobile di Montepulciano, (sono settantasei le aziende consorziate), in quella meravigliosa Fortezza restaurata proprio dai produttori stessi pochi anni fa. Da visitare assolutamente all’interno, l’enoliteca, un’enoteca pubblica ancora non sfruttata come meriterebbe. Sotto i riflettori l’annata 2015 e la Riserva 2014. Da valorizzare l’apprezzabile capacità dei produttori di interpretare potenzialità e problematiche di un millesimo comunque caratterizzato da temperature elevate. Tuttavia, emergono note dissonanti, quali

The Italian Wine Journal

legni ancora impattanti (troppo vecchi o nuovi), e una trama tannica verde e cruda per molti campioni. Un’annata non così eccelsa come da comunicati che la davano come un’annata cinque stelle con “qualità media dei vini elevatissima”. Fa riflettere, e molto, a proposito di stelle, l’assegnazione all’annata 2017 delle cinque stelle data durante l’anteprima: l’andamento stagionale con gelate primaverili e siccità nel periodo estivo, e conseguenti gravi perdite di produzione non lasciava certo presagire il riconoscimento massimo. Ma torniamo alla 2015, che riteniamo in generale ancora un po’ spigolosa per i nostri gusti, e da interpretare con il tempo. Soprattutto, rileviamo un’eterogeneità di stili abbastanza spiazzanti,

10

giugno 2018


Montepulciano

una crisi di identità latente, un legame con il territorio spesso messo in secondo piano dalle tecniche di vinificazione o di affinamento. Da disciplinare è consentito l’uso di prugnolo gentile (come viene chiamato in zona il Sangiovese) al 70%, e quindi è lecito aggiungere un 30% di vitigni complementari a bacca rossa idonei (per esempio mammolo, canaiolo nero fra gli autoctoni, o fra gli internazionali merlot e cabernet). L’ampia libertà data ai produttori quanto a stili ed interpretazioni, può a volte significare perdere in tipicità e in valorizzazione delle qualità locali. Anche per questo vanno segnalate la nascita di due associazioni che sono espressione di un malessere. Quest’anno è nata Terra Nobile Montepulciano (Podere Casanuova, Croce di Febo, Casale Daviddi, Fassati, Il Molinaccio, Metinella, Monte Mercurio, Talosa, Tiberini, Romeo), che si va ad affiancare all’Alleanza (Avignonesi, Salcheto, Braccesca, Dei, Poliziano, Boscarelli), formatasi un anno fa. L’intenzione delle associazioni è quella di recuperare l’identità del Nobile, messa in discussione dieci anni fa quando sono stati introdotti i vitigni internazionali nel disciplinare. Alleanza rivendica anche un impegno più attento alla promozione e una diversa strategia per la valorizzazione del territorio. Nonostante entrambe le neonate associazioni asseriscano di condividere i fini istituzionali del Consorzio (tutte sono rimase socie) e proclamino di voler collaborare con esso, in effetti, le loro dichiarazioni programmatiche implicano più o meno esplicitamente un’insufficienza appunto di quel disciplinare di cui il Consorzio è custode e garante. Vedremo quel che accadrà. Esempi fulgidi ce ne sono, per fortuna, e contiamo che presto la denominazione saprà trovare la sua strada. E intanto vediamo un po’ di numeri, per inquadrare la situazione attuale. Nel 2017 sono stati immessi nel mercato circa sette milioni di bottiglie di Nobile e circa 2,8 milioni di Rosso. La quota export è pari

The Italian Wine Journal

al 78%, in testa Germania (44,5%), poi Usa (21,5%), Svizzera (16%), extra Ue (7%). Tra valori patrimoniali (un ettaro vitato vale sui 150 mila euro), fatturato e produzione (circa 65 milioni di euro) il Vino Nobile di Montepulciano vale 500 milioni di euro. Secondo una rilevazione effettuata da Consorzio negli ultimi dieci anni, il 42% delle aziende ha cambiato proprietà. È un segnale di quanto il territorio e il Vino Nobile siano appetibili per gli investitori, dei quali il 60% è venuto da fuori Toscana, il 25% direttamente da Montepulciano e il 15% dall’estero. Su 16.500 ettari di superficie del Comune di Montepulciano, circa duemila ettari sono vitati (16% del territorio). Di questi 1.250 sono Vino Nobile di Montepulciano Docg e circa 400 Rosso di Montepulciano. I vigneti sono esposti prevalentemente a est ad altitudini che variano dai 250 ai 600 metri, su terreni composti di

11

giugno 2018


Montepulciano

sabbie, argille sabbiose poco cementate, intercalate da ciottoli e dalla presenza di fossili del Pliocene medio inferiore. Da sottolineare il grande lavoro svolto in questi anni per la sostenibilità ambientale, che probabilmente porterà il territorio del Vino Nobile di Montepulciano ad essere il primo certificato come sostenibile in base ai dettami della norma oggi probabilmente più completa a livello internazionale, Equalitas. E veniamo alla degustazione.

Dei Nobile di Montepulciano 2015 Dei Nobile di Montepulciano Riserva Bossona 2013 Anche qui due perle. Ricco, rotondo e materico il primo, ben accompagnato da freschezza e fruttata eleganza. Souplesse gustativa temprata da una caratterizzante forza strutturale, che chiude in accattivante sapidità il secondo. Caterina Dei dagli anni Novanta gestisce questa cantina fondata dal nonno Alibrando. I vigneti si estendono per 55 ettari a Martiena (sede dell’azienda), Piaggia, La Ciarliana e Bossona. Consulente esterno è Nicolò D’Aflitto che opera insieme al tecnico interno Valerio Martelloni.

Boscarelli Nobile di Montepulciano 2015 Boscarelli Nobile di Montepulciano Riserva 2013 Due splendidi esempi, due interpretazioni delle rispettive annate commendevoli. Purezza espressiva al palato, ricamato da tannini finissimi e centrato su un frutto tonico, vivo, maturo nel primo; nel secondo potenza e rigore, profondità e struttura che acquisteranno col tempo più grazia. Il podere di circa quattordici ettari vitati, acquistato nel 1962, si trova a Cervognano ed è condotto dalla famiglia de Ferrari Corradi, con la consulenza dell’enologo Maurizio Castelli. L’età delle vigne è di venticinque anni, con punte di oltre quaranta. I terreni sono in prevalenza alluvionali con presenza di sedimenti, ma si rinvengono anche terre rosse e sabbia.

The Italian Wine Journal

Avignonesi Nobile di Montepulciano 2015 Polposo e materico, rotondo eppure caratteriale. Succoso, con una freschezza dirompente e una beva avvincente, limpida ed intensa. Fondata nel 1974, Avignonesi è stata rilevata nel 2009 dalla belga Virginie Saverys. La proprietaria, che ha introdotto tecnologie all’avanguardia, si avvale di una squadra di enologi e agronomi anche di profilo internazionale. Pur essendo biologica certificata dal 2016, l’azienda di centossessanta ettari è condotta in biodinamica.

12

giugno 2018


Montepulciano

Tenuta Gracciano della Seta Nobile di Monte-

sazioni gustolfattive che si esprimono lentamente. Va atteso, ma ha dalla sua sostanza, materia e tanta gioia ancora da dare nel tempo. Da sei generazioni la famiglia Tiberini si occupa delle proprie vigne, sedici ettari vitati attorno al Podere Le Caggiole, ad un’altitudine di 310 metri.

pulciano 2015

L’eleganza della misura sostenuta da una verve sapida: calamita per il palato che trova una precisione di armoniosi intenti, seppur in gioventù. L’azienda, di circa 70 ettari, appartiene alla famiglia Seta Ferrari Corbelli dalla metà del Novecento. Dal 1988 vi collabora l’enologo-agronomo Giuseppe Rigoli. I vigneti, su terreni limosi argillosi, sono suddivisi in quattro zone a Gracciano: Toraia, Casale, Rovisci e Maramai. Tre degli ettari hanno quarant’anni mentre gli altri sono stati reimpiantati ciclicamente dal 1991 al 2010.

Il Macchione Nobile di Montepulciano Riserva 2013 Struttura ampia, tannino ben presente, bocca materica ma ben articolata nello sviluppo. Coinvolge per il sapore pieno, completo, autoritario, per il nerbo fitto e saldo, per la stoffa ricca eppure felpata. Fondata nel 1974, l’azienda si estende su circa sette ettari. A conduzione familiare, con la collaborazione dell’enologa Mary Ferrara, Il Macchione si trova nel cuore delle Caggiole, zona vocata alla produzione del Nobile di Montepulciano.

Il Molinaccio “La Spinosa” Nobile di Montepulciano 2015 Sorso succoso e sapido, che terge la bocca e infonde la voglia di bere. Ha una solida e brillante vivacità, vivida nitidezza di frutto e un fremente lungo finale. L’azienda nasce nel 2012, fondata da Marco Malavasi e da Alessandro Sartini. È in biologico certificato dal 2017 e si estende su poco più di tre ettari.

Contucci Nobile di Montepulciano Selezione “Mulinvecchio” 2014 Fine e puntuale nel fraseggio aromatico, colpisce l’integra naturalezza espressiva. Dettagli e trasparenze ben ricamate, in un quadro in cui domina l’eleganza del tratto. Sorso ispirante e coinvolgente. Da quasi cinquecento anni la famiglia Contucci tramanda la tradizione legata alla cultura del vino.

Tiberini “Podere Le Caggiole” Nobile di Montepulciano 2015 È energia che pulsa, un sostanziale nucleo di sen-

The Italian Wine Journal

13

giugno 2018


Montepulciano

La proprietà conta 170 ettari di cui 22 a vigneto, distribuiti nelle zone di Sant’Albino, Nibbiano e Podere Mulinvecchio. L’età delle viti arriva a quarant’anni.

L’azienda fu fondata cinquant’anni fa dal padre dell’attuale proprietario Federico Carletti. I vigneti risalgono al 1961 (a questa data risale anche la magnifica vigna Asinone), con ampliamenti successivi. I 120 ettari di proprietà sono dislocati in vari punti del comprensorio. Carletti si avvale della consulenza esterna di Carlo Ferrini e dell’enologo aziendale Fabio Marchi.

Poliziano Nobile di Montepulciano 2015 Rotondo, avvolgente, ricco e possente (si percepisce il calore dell’annata) eppure solennemente gestito.

The Italian Wine Journal

14

giugno 2018


Champagne Egly-Ouriet

Distribuito da Moon Import di Mongiardino G. s.r.l. Piazza Fontane Marose 6/5 – 16123 Genova


Sagrantino di Alessandra Piubello

Sagrantino, 2014 annata “ricca e delicata” Abbiamo assaggiato il millesimo a Montefalco e questi sono i dieci vini che più ci hanno impressionato. Un Sagrantino che oggi è più facilmente leggibile anche dai winelover meno esperti

I

Sagrantino è un’uva antica, con una certa aurea di mistero legata alla sua origine, dove le ipotesi risultano essere suggestive, ma tutt’altro che comprovate. La maggior parte degli agricoltori propende nel ritenere che non sia una varietà locale bensì importata, forse da uno dei numerosi seguaci di San Francesco di Assisi, i quali qui, da ogni parte d’Italia affluivano per condurre una vita di espiazione e penitenza. Altri invece, lo considerano proveniente dalla Spagna, se non addirittura introdotto in Italia dai Saraceni, altri ancora ritengono che sia di origine locale. Anche se oggigiorno nel Sagrantino prevale la versione secca, il vino è nato come passito. Un tempo, infatti, il Sagrantino veniva prodotto quasi esclusivamente in quest’ultima tipologia, ed ottenuto dall’appassimento delle uve su graticci di legno.

l quarto appuntamento con l’Anteprima Sagrantino, ci induce a fare un breve excursus nel passato, per comprendere meglio il presente. La coltivazione delle viti di Sagrantino nelle abbazie e nei conventi, testimoniata nel 1500, accredita l’ipotesi che all’origine del nome Sagrantino ci sia stato il legame forte con gli ambienti religiosi dove forse tale vitigno trovava attenzione e cura nell’essere addomesticato e cresciuto. L’uso iniziale infatti fu probabilmente soltanto sacramentale. Questa prima destinazione aiuterebbe a comprendere come sia nato il nome Sagrantino (dalla radice latina sacer): vino sacro perché vino della festa religiosa, della consacrazione del vino in sangue di Cristo; sicuramente, poi, vino dei momenti da ricordare nello scorrere della vita domestica. Il

The Italian Wine Journal

16

giugno 2018


Sagrantino

Rispetto a tutte le altre varietà d’uva, e grazie alla sua buccia spessa e ricca di tannini, il Sagrantino è fra le uve con il più alto contenuto di polifenoli e di antociani. Il boom del Sagrantino avviene a metà degli anni Novanta. I produttori dell’epoca cominciano a studiare le tecniche di vinificazione più adatte, si tenta di rendere il vino un po’ più morbido, di arginare la storica problematica dei tannini astringenti. Passata la fase di grande entusiasmo per i successi commerciali degli anni ‘90, che ha portato a un proliferare di aziende e a una esuberanza di produzione proprio nel momento economico meno propizio (inizio anni 2000), oggi il Sagrantino sta entrando in una nuova fase di consapevolezza. Ed è proprio in un’annata così complicata e difficile come la 2014 che i viticoltori hanno saputo gestire la situazione operando una selezione scrupolosa delle uve raccolte. E, grazie alla maturazione tardiva peculiare di questa varietà e all’elevata carica polifenolica, il Sagrantino ha saputo difendersi dalle avversità dell’annus horribilis (che poi, a ben guardare con il senno di poi, così orribile non è stato neppure in altre zone d’Italia, per coloro che hanno lavorato bene in vigna). La qualità delle uve è risultata soddisfacente con un buon contenuto di polifenoli, zuccheri medi e buona acidità; nonostante una buccia più sottile e il peso medio dell’acino più grande. Mentre in Italia la 2014 è stata un’annata generalmente poco produttiva, l’Umbria ha addirittura incrementato la produzione del +16%. Dai 750 ettari iscritti a Montefalco Sagrantino Docg si sono ottenute 1.666.992 bottiglie. Qualche altro numero: nei venticinque anni di Docg la crescita del Montefalco Sagrantino è stata notevole: la superficie iscritta a Docg ha visto un incremento dal 1992 (66 ettari) al 2017 (760 ettari) ed i produttori imbottigliatori da sedici a sessanta. Nell’ultimo decennio sono state costruite oltre trenta nuove cantine. Dal

The Italian Wine Journal

2000 ad oggi la produzione del Sagrantino è quasi triplicata: da 660mila a circa 1.5 milioni di bottiglie. Con un carattere meno scontroso rispetto alle altre annate, i Sagrantino del millesimo 2014 sembrano offrire una maggiore delicatezza estrattiva, forse a causa degli stessi limiti vendemmiali, che ha originato vini molto più succosi rispetto al passato e una disponibilità alla bevibilità più marcata. Vini snelli, forse più magri, ma con una maggiore scorrevolezza al sorso, con una più dinamica agilità. Forse il contenuto polifenolico al di sotto delle annate precedenti ha consentito una maggior leggerezza nel bicchiere. Va detto che il cambiamento nel Sagrantino è già in atto da qualche anno: siamo ben lontani dal Sagrantino degli anni Novanta. Un po’ perché i produttori lo hanno compreso meglio (è un vitigno difficile), un po’ perché le vigne nel frattempo sono anche invecchiate. E forse, la 2014 potrebbe essere l’annata alla quale approcciarsi con maggior disinvoltura anche per chi pensa che il Sagrantino sia un vino troppo impegnativo. E ora, veniamo ai nostri assaggi. Scacciadiavoli Montefalco Sagrantino 2014 Naso ampio nei profumi di spezie con intrecci mentolati. Nel sorso la forza evocativa della terra e del frutto maturo. La bocca è strutturata, precisa nel tratto tannico, lunga e sapida in chiusura. La cantina fu fondata nel 1884, a metà Novecento fu rilevata dalla famiglia Pambuffetti, giunta alla quarta generazione con Liù che attualmente la conduce. I 36 ettari vitati sono distribuiti in tre comuni diversi, Montefalco, Gualdo Cattaneo e Giano

17

giugno 2018


Sagrantino

dell’Umbria, su colline ad un’altitudine di circa 400 metri. Romanelli MonSagrantino 2014 La cifra stilistica scorre nell’armoniosa eleganza. Dinamico e reattivo, gode di notevole allungo e persistenza per una beva piacevole e già immediata. Azienda giovane, che produce vino dal 2007, è condotta dai fratelli Devis e Fabio, aiutati dall’enologo Goffredo Agostini. Sette ettari abbondanti sulle colline di media pendenza di San Clemente con vigne di circa dodici anni allevate a cordone speronato. tefalco

Guido Guardigli arriva alla fine degli anni Novanta e si innamora del territorio. Decide di fondare l’azienda chiamandola con un nome arcaico umbro che significa aratro, commercializzando la prima etichetta nel 2005. Sin dall’inizio sceglie la consulenza esterna di Emiliano Falsini. Sedici ettari vitati tutti intorno alla cantina, a circa 350 metri d’altitudine su suoli argillosi con presenza di ciottoli. Tabarrini Campo alla Cerqua Montefalco Sagrantino 2014 Concentrazione e fittezza di trama, stoffa spessa, energia sottesa e freschezza infusa. Incalzante. Bella struttura solida e pulizia tattile nel finale. Le vigne, circa sedici ettari, sono attorno alla cantina, coltivate perlopiù a cordone speronato. Le esposizioni ottimali e i terrenti argilloso-limosi, spesso con presenza di ciottoli di fiume, hanno permesso di scegliere le vigne migliori per i rinomati cru di Sagrantino. Giampaolo Tabarrini (quarta generazione) conduce con passione e travolgente simpatia l’azienda di famiglia dalla fine degli anni Novanta, avviando quel cambio di passo che l’ha portata oggi ad essere un riferimento per l’areale.

Bocale Montefalco Sagrantino 2014 Bella tenuta del tannino e del sorso, che rivela sapidità e struttura, calore ed energia. Nobile e concreto, finezza priva di orpelli, pulsante di signorilità. Un Sagrantino da bere, pur mantenendosi identitario e caratteriale. Storia centenaria di produzione nel mondo del vino, è stata ripresa dopo un periodo di sospensione nel 2002 da Valentino Valentini, che, con i genitori e il fratello Antonello, si prende cura della piccola realtà familiare (circa 20.000 bottiglie). A coadiuvarli l’enologo Emiliano Falsini. Le vigne estese su circa quattro ettari affondano le radici su un terreno argilloso e sono allevate a cordone speronato (con qualche sperimentazione a guyot).

Pardi Montefalco Sagrantino Sacrantino 2014 Lo sviluppo è leggiadro, soffuso ed elegante. Sorso aggraziato, delicato nel tocco con tannini minuti e morbidi, succoso. Progressione continua e piana. Sapidità e freschezza infuse. Persistenza lunga e sottile con frutta rossa, spezie dolci e legno di rosa. La famiglia Pardi ha una lunga tradizione nel

Perticaia Montefalco Sagrantino 2014 Naso ampio, invitante, con cenni balsamici. Al sorso sembra prediligere registri di compostezza e ascolto a quelli più immediati e seducenti. Tocco tannico ben registrato e luminosa piacevolezza di beva.

The Italian Wine Journal

18

giugno 2018


Sagrantino te trascinanti, fuse fino al lungo apogeo. Una realtà al femminile, fondata da Rosa, nell’Ottocento, e proseguita ad oggi da Maria Rosa. Le uve nascono in colline dalle forti pendenze, circondate da ulivi e boschi, su terreni decisamente sassosi che arrivano a 500 metri d’altezza. Sono inoltre ben ventilati ed hanno forti escursioni termiche dovute alla vicinanza con i Monti Martani.

mondo vinicolo, infatti produceva vino già nel 1919; nel 1949 cessò l’attività agricola per produrre tessuti, con i quali divenne famosa nel mondo. Oggi i pronipoti Alberto e Gianluca hanno ripreso l’antico lavoro dei bisnonni, coinvolgendo nel loro progetto Giovanni Dubini come enologo. Circa 11 gli ettari vitati, suddivisi in 5 appezzamenti: Campolungo, Casale, Colle Arfuso, Pietrauta e Madonna della Stella, ad altitudine compresa fra i 200 e i 300 metri.

Tenuta Bellafonte Montefalco Sagrantino Collenottolo 2014 Un saggio di personalità in un vino che rivela un forte anelito alla distinzione. Lo spessore non manca, la sua articolazione poggia su una dinamica sapida e incisiva. Finezza nei tannini registrati con maestria, sostanza ben presente profilata da un’eleganza sfaccettata, densa di sfumature. Il nome dell’azienda deriva dal cognome del proprietario, Peter Heilbron (Heil sta per benessere/bellezza e Bron per fonte), che la fonda nel 2006. Una diecina gli ettari vitati, circondati da oliveti e boschi. Da sottolineare che la cantina, completamente interrata, viene alimentata da pannelli fotovoltaici e da una caldaia a biomasse, nel rispetto dell’ecosistema.

Antonelli Montefalco Sagrantino 2014 Balsamico, con cenni di prugna e spezie fini, incede rigoroso e lineare sia al naso sia al palato. Bocca che compendia concentrazione e dinamismo, energica, fittissima nella trama dei tannini, appaganti per la sensazione tattile di nettezza e per la persistenza. L’azienda è di proprietà della famiglia Antonelli dal 1881; dal 1986 è Filippo Antonelli a dirigerla. I vigneti si estendono su cinquanta ettari, su terreni argillosi e ricchi di calcare, con sistema di allevamento prevalentemente a guyot. L’azienda è certificata in biologico dal 2012.

Villa Mongalli Montefalco Sagrantino Della Cima 2014 Naso sfaccettato, vibrante. Trama gustativa calda, intensa e serrata, di grande impatto. Vive di una sua forza intrinseca, naturale, radiante e propulsiva. Siamo a Bevagna: i vigneti, posti ad una altitudine media di circa 370 metri s.l.m., hanno esposizione a sud-ovest. Il terreno di diciotto ettari è argilloso con consistente scheletro. A guidare l’azienda Pierpaolo Menghini, coadiuvato in cantina dall’enologo Emiliano Falsini. (ph Pier Paolo Metelli)

Bartoloni Montefalco Sagrantino Normannia 2014 Apertura in ésprit de finesse: erbe fini, ciliegia, spezie fresche. Che definizione d’aromi e compostezza d’insieme! Cangiante e sempre in equilibrio. Il sorso è corrispondente sia per attacco, sia per sviluppo: sensazione tattile di pura nettezza, variegata finezza d’aromi, il frutto maturo e luminoso; trama fitta e delicatissima, tensione ed energia naturalmen-

The Italian Wine Journal

19

giugno 2018


Sangiovese di Alessandra Piubello

Sangiovese di Romagna: Riserva 2015 e Superiore 2016 da incorniciare Vini ad Arte, alla sua 13,ma edizione, presenta il meglio della produzione romagnola che sta crescendo anno dopo anno, valorizzando le differenze coi “cugini” dell’altra dorsale degli Appennini. Un Sangiovese tutto da scoprire

B

el colpo d’ala quest’anno a Vini ad arte, giunto alla sua tredicesima edizione. L’evento, che ospita le anteprime del Sangiovese di Romagna - quest’anno era di scena la Riserva 2015 - giunto in corrispondenza con i festeggiamenti del Cinquantesimo della Doc, è stato opportunamente vivacizzato da alcuni interessanti convegni. Mi soffermo in particolare su quello al quale ho assistito: “Romagna e Toscana: Sangiovesi autentici, non identici”. Tre enologi, Vittorio Fiore, Maurizio Castelli e Franco Bernabei, tutti con esperienze su entrambi i fronti, toscano e romagnolo, efficacemente esortati da Filiberto Mazzanti, direttore del Consorzio Vini di Romagna, hanno scambiato impressioni e suggerimenti. I produttori romagnoli di Sangio-

The Italian Wine Journal

vese vivono un timore reverenziale nei confronti di quello toscano, reso noto al mondo. Ma sono poi veramente dei cugini di serie B? Si è indagato sulle difficoltà che in Romagna negli anni Ottanta i piccoli produttori incontravano dal punto di vista economico, mentre in Toscana la regione li supportava con investimenti; sul fatto che in Romagna le cantine sociali avevano la supremazia (cosa che non accadeva in Toscana) e che la tendenza generale in Romagna fosse fare quantità e non qualità. In Toscana ci sono brand che hanno girato il mondo e si sono trascinati nella corsa al successo anche i piccoli. In Romagna manca un vero leader in grado di trascinare gli altri. Eppure, indiscutibilmente, i Sangiovesi di Romagna sono cresciuti moltissimo in questi ultimi anni, e noi giornalisti che partecipiamo ogni edizione alle ante-

20

giugno 2018


Sangiovese

prime possiamo testimoniarlo. E, infatti, a rimarcare le grandi opportunità della zona, e partendo dal presupposto che il Sangiovese è un grande interprete dei suoli e dà il meglio se vinificato in purezza e soprattutto con rese più basse, ecco che emergono alcuni spunti: partiamo dal clima. Infatti, a differenza del Sangiovese toscano, quello romagnolo ha una maturità diversa che si manifesta in modo meno disomogeneo, ma con le opportune sfumature in base al proprio areale di riferimento. Gli Appennini sono uno spartiacque tra le due regioni e si raccoglie prima in Romagna che in Toscana (punto a favore, con il cambiamento climatico). Altri elementi fondamentali: qui si propone una buona qualità media proposta a un prezzo molto interessante, con caratteristiche tipiche che si riferiscono alla freschezza, alla salinità (e non alla terrosità toscana), al frutto spiccato, alla ciliegia croccante, alla sapidità, all’acidità, ai tannini dolci, al colore più chiaro, tutti requisiti che fanno parte del trend dei vini che vengono richiesti oggi. Quindi, in poche parole, cari produttori, sfruttate le differenze e rispettate le reciproche identità: non siete figli di un dio minore, anzi! Per averne riprova abbiamo dato il via agli assaggi, serviti da ineccepibili sommelier, in quel contesto unico che è il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza. Bellezza che chiama bellezza, in una spirale positiva. Quantunque fra i centoquaranta vini in assaggio, da una cinquantina di aziende diverse (aumentate del 16% rispetto allo scorso anno), fossero presenti anche l’Albana Docg, un vitigno caratteriale, irrequieto e ribelle che mi affascina tantissimo nelle attuali interpretazioni (fra tutti cito il Vitalba di Tremonti), e varie annate di Romagna Sangiovese Doc Superiore e anche di Romagna Sangiovese doc Riserva, abbiamo preferito concentrarci sul Romagna Sangiovese doc Riserva 2015 e sul Romagna Sangiovese Doc Superiore 2016. Ecco in nostri migliori assaggi.

Fattoria Nicolucci Romagna Sangiovese Doc Superiore Riserva Vigna del Generale 2015 Approccio austero, che si apre con energia in essenziale finezza, in polpa fruttata, in vibrante materia che scorre fluida al sorso in un appagante, lungo finale. Alessandro Nicolucci, quarta generazione a capo di quella che si chiamava Fattoria Casetto dei Mandorli, fondata nel 1885, continua ad esprimere con sensibilità e rigore l’identità territoriale della sua Predappio Alta. Quindici ettari di vigne che affondano le radici su suoli magri e calcarei, con venature di zolfo, a circa 250 metri di altitudine. Noelia Ricci Romagna Sangiovese Doc Superiore Godenza 2016 Trama golosa, avvincente per equilibrio tannico, verve salina e gratificante nella sua purezza espressiva, stimolante e saporita. Beva irresistibile. Noelia Ricci è un progetto nato nel 2010 all’interno della Tenuta Pandolfa (vedi sotto). Nel 2010 Marco Cirese decide di iniettare nuova linfa vitale in una delle storiche aziende della scena romagnola, Tenuta La Pandolfa. Parte con il nuovo progetto di zonazio-


Sangiovese

ne con l’aiuto dell’enologo Francesco Bordini e sceglie i 7 ettari migliori, oggi diventati 9. Noelia Ricci rappresenta un piccolo cru sul crinale della collina esposto a sud-est, tra i 200 e i 340 m s.l.m. in località San Cristoforo (Predappio). Pandolfa Romagna Sangiovese Doc Superiore Pandolfo 2016 Naso composito, un ventaglio di prugna matura, ciliegia, viola e spezie dolci raffinate. Bocca ritmata, dinamica, succosa e pimpante che garantisce vitalità al sorso. Tenuta ricca di storia che si estende per 140 ettari a Predappio, ai piedi dell’Appenino Tosco-Romagnolo. Acquistata dal Commendator Ricci nel 1941, La Pandolfa è ancora di proprietà della nipote del Ricci, Paola Piscopo, che ha impiegato tutto il suo entusiasmo per restituire alla Tenuta un ruolo importante nel territorio. Oggi è uno dei figli, Marco Cirese - quarta generazione - che ha preso le fila di questa storia.

Villa Papiano Romagna Sangiovese Doc Superio-

re Le Papesse 2016

Profilo tipico, doti di invitante apertura aromatica: ciliegia, spezie, un tocco di agrume. Avanza snello alternando trasparente finezza alla copiosa materia fruttata. Eleganza senza tempo nella trama gustativa, che accarezza fresca le papille, tattilmente. I vigneti (dieci ettari) si estendono sul Monte Chioda a 500 metri d’altitudine. L’azienda, fondata nel 2001, è all’interno di un’oasi naturalistica. Francesco Bordini, enologo e agronomo, insieme alla sorella Maria Rosa conduce con passione questa piccola azienda familiare, certificata in regime biologico, impegnata nella valorizzazione del territorio.

Tenuta Piccolo-Brunelli Romagna Sangiovese Doc Superiore Riserva Dante 1872 2015 Naso armonico, puntuale nei riconoscimenti olfattivi (tabacco, radice, balsami e agrumi). In bocca dispiega densità, coordinazione e vigore sapido/acido di grande tenuta. Saporito e succoso nella trazione fino al lungo finale. L’azienda fu fondata nel 1936 ed è giunta alla quarta generazione con Pietro Piccolo-Brunelli, coadiuvato in cantina dall’enologo Vincenzo Tommasi. Venti ettari vitati a 350 metri sul mare nella sottozona Predappio.

The Italian Wine Journal

Enio Ottaviani Romagna Sangiovese Doc Superiore Riserva Sole Rosso 2015 La naturalezza è la sua forza espressiva. Sia al naso, dove timidamente si sviluppa con gentilezza su note di ciliegia, talco e fiori, sia in bocca, dove sfoggia il passo sciolto del “vin de soif”, scorrevole e lesto solo all’apparenza, dato che dopo la deglutizione resta il suo ricordo salino a lungo. L’azienda agricola nasce sessanta anni fa con il nonno Enio Ottaviani a San Clemente di Rimini. Enio Ottaviani è un’azienda di famiglia, cresciuta di generazione in generazione, attualmente guidata da Massimo Lorenzi. Dodici ettari su collinette che rivolgono lo sguardo al mare, godendo dell’influsso marino, su terreni franco argillosi.

Condé Romagna Sangiovese Doc Superiore 2016 Naso sinfonico e snello, che spinge a tuffarsi dentro al bicchiere a nuotare tra i suoi flutti per lasciarsi cullare dalla sua musica peculiare. Capace di

22

giugno 2018


Sangiovese

regalare interessanti squarci di personalità, lo stile libero arriva alla meta con un tannino dalla grana serrata ma duttile, fitta di dettagli sapidi, vibranti per un allungo decisivo. Francesco Condello fonda l’azienda nel 2001 a Predappio. La tenuta si estende su 77 ettari divisi in 52 parcelle (ogni parcella viene lavorata e vinificata separatamente) ad un’altitudine che va da 150 a 350 metri sul livello del mare. I terreni sono ricchi di scheletro essendo composti principalmente da Spungone, una roccia arenaria calcarea, contenente stratificazioni di depositi fossili in grandi quantità, soprattutto conchiglie, resti di antiche scogliere sottomarine. nella spinta, verace e saporita nel tannino, lunga e limpida in persistenza. Giovanna Madonia inizia la sua avventura nell’azienda di famiglia nel 1992, su tredici ettari vitati. Dopo un attento studio clonale decide di piantare vigne (ad alberello nelle parti più alte) nella collina di Montemaggio, a Bertinoro, ad un’altitudine compresa fra i 200 e 350 metri.

Tenuta Palazzona di Maggio Romagna Sangiovese Doc Superiore Ulziano 2016 Buon corredo di complessità olfattiva, croccante nel varietale (ciliegia, spezie, fiori). Efficace la proiezione al palato, lo sviluppo cadenzato, la spinta di fine tessitura e il finale di impeccabile, succosa definizione. La tenuta Palazzona di Maggio, di proprietà della famiglia Perdisa da quattro generazioni, possiede quindici ettari di vigneti ubicati in media collina, tra gli 80 e 170 metri sul livello del mare, su terreni argillosi. La tenuta, dominata dalla villa settecentesca da cui prende il nome e che ospitò fra gli altri Giosuè Carducci e Giovanni Pascoli, fu acquistata dal celebre agronomo professor Luigi Perdisa nel 1961. Oggi è Alberto a guidarla, coadiuvato dalla moglie e dai figli.

Stefano Ferrucci Romagna Sangiovese Doc Superiore 2016 Centurione Erbe aromatiche, piccoli frutti e spezie dolci in un disegno aromatico accattivante. Piacevole la dinamica al palato, morbida, fluida e coinvolgente in termini di ritmo e sapore. L’azienda agricola Ferrucci è sorta nel 1932. Dal 2006 Ilaria e Serena hanno raccolto il testimone dal compianto padre Stefano, uno dei pionieri del vino romagnolo di qualità, dando una propria impronta all’azienda. I vigneti, tutti di proprietà, si estendono per circa 15 ettari a 250 metri di altitudine, tra le colline di Serra di Castelbolognese, su suoli argillosi e calcarei.

Madonia Giovanna Romagna Sangiovese Doc Riserva Ombroso 2015 Vino stilisticamente affascinante, da ascoltare con attenzione nel suo esporsi, via via sempre più nitido e profondo. Bocca poderosa eppure coordinata

The Italian Wine Journal

23

giugno 2018


Lugana di Giulio Bendfeldt

Montonale, debutta l’annata 2016 di Orestilla, il cru più celebrato del Lugana Dopo un anno siamo tornati nella maison dei fratelli Girelli che confermano la loro costante crescita qualitativa.

D

ettaglio dopo dettaglio, tutto all’insegna della coerenza e della visione fondatrice della Cantina: rappresentare il Lugana senza forzare l’ambiente, cogliendo tutte le opportunità che si palesano, vigneto dopo vigneto. E, una volta arrivato in cantina, non stravolgere il frutto, ma ottenerne il massimo senza stress, usando estrema attenzione, ancora, ai dettagli. Orestilla di Montonale nasce così. Una boutique-winery giovane, ma con una storia familiare alle spalle; un vigneto singolo “rivolto a mezzogiorno” che sorge su una lama di argilla dalle caratteristiche

The Italian Wine Journal

uniche rispetto agli altri vigneti; lieviti realmente autoctoni selezionati dopo una ricerca sul campo; pressatura soffice in assenza di ossigeno; otto mesi di permanenza sui lieviti dopo che già si è lavorato estraendo anche dalla polpa in sospensione, prima della fermentazione. Il passato millesimo, il 2015, è diventato un must dopo che Decanter l’ha indicato quale miglior vino bianco varietale al mondo: una bella responsabilità per i tre fratelli Roberto, Claudio e Valentino Girelli che si sono buttati capofitto nell’impresa di far rinascere la tradizione vitivincola di famiglia. Il nuovo millesimo, il 2016, si presenta ad un

24

giugno 2018


Lugana zione dell’aria. Dai 30 ettari di vigneto che circondano la cantina si ricavano 100mila bottiglie: viene utilizzato soltanto il mosto fiore, mentre quello dalla seconda spremitura viene vinificato e venduto sfuso ad altre cantine. Sottolinea Roberto Girelli: «Ci concentriamo soltanto sulla qualità; non vogliamo compromessi o vie facili. Tutto deve funzionare come vogliamo noi, soltanto così siamo certi del risultato: produrre vini che abbiano un senso in primis per noi». Con questa filosofia, due anfore di ceramica stanno accogliendo l’evoluzione della Riserva Lugana 2011 che «non uscirà prima del 2020, sempre che tutto evolva secondo il nostro disegno». L’interesse sul Lugana dei primi grandi gruppi nazionali? «Voglio leggerla in positivo. Credo che Santa Margherita e Allegrini abbiano scelto il territorio del Lugana per fare grandi vini e questo non potrà che ampliare la strada per tutti noi produttori

mese appena dall’imbottigliamento già in grado di ripetere l’expoit di 12 mesi fa, ma prima di analizzarlo torniamo un attimo a Montonale. Sostenibilità, con coerenza, è una delle parole d’ordine della maison: in vigneto si pratica agricoltura integrata con humus e stallatico e l’inerbimento nell’interfila. Nessun uso di insetticidi, ma trappole sessuali per la tignoletta. La nuova cantina è stata realizzata utilizzando paglia di riso (proveniente dalle Valli veronesi, quindi “quasi” a km zero) e semplice calce per le pareti di tamponamento: questo garantisce la giusta tenuta agli agenti atmosferici senza alterare gli equilibri interni. Il tetto è sormontato da un impianto fotovoltaico da 96 kW che garantisce l’autosufficienza energetica e permette di non immettere in atmosfera gas-serra per un volume considerevole, pari alla CO2 intercettata da un bosco di 200 ettari di superficie. L’azoto necessario per compiere in assenza di ossigeno la spremitura è ottenuto in-house attraverso la filtra-

The Italian Wine Journal

25

giugno 2018


Lugana

più piccoli, rendendo il Lugana un vino ancora più richiesto nel mondo».

La degustazione Orestilla Lugana DOC 2016 Appena 5mila bottiglie. Un cru beneficiato anche dall’azione quotidiana dei venti del Garda che sulla direttrice nord-sud – L’Ora e il Pelèr – mantengono freschi e asciutti i grappoli mitigando le grandi stagioni calde così come quelle eccezionalmente piovose. Appena imbottigliato, come già detto, il 2016 avrebbe bisogno di una permanenza più lunga prima di essere stappato. Se il 2015 era caldo ed opulento, questo millesimo si palesa molto fresco, ricco al naso di profumi di glicine, frutta a pasta gialla, agrumi, ananas e fiore di camomilla. L’impressione è estremamente positiva e il palato si presenta coerente ed altrettanto ricco. Tornano le note di frutta

The Italian Wine Journal

esotica, di pesca, erbe officinali, è molto ampio con una spalla acida che promette una interessante longevità, finale sapido, con belle note minerali. Molto persistente. Piacevolmente intrigante. Il tutto con tanta armonia ed una beva davvero invitante (caratteristica questa che ritroviamo in tutta la linea Montonale dal Metodo classico, al taglio bordolese). Da avere sempre in cantina. E ora parliamo dei suoi tre vini da uve a bacca rossa che racchiudono, da un lato, la tradizione dei rosati del lago di Garda, dall’altro la passione di famiglia che è iniziata proprio con un singolo vigneto coltivato a Merlot e Cabernet sauvignon. A fianco di queste cultivar, in vigneti diversi, trovano spazio anche l’autoctono Groppello affiancato da Marzemino, Barbera e Sangiovese. Rosa di Notte 2017 Chiaretto Garda Classico DOC L’uvaggio è quello tradizionale, basato sui quattro vitigni – Groppello, Marzemino, Barbera e Sangiovese - simbolo della denominazione. Le uve provengono tutte dal vigneto La Madonnina, 3,5 ettari in prossimità del lago, il più prossimo alla gronda benacense dei 25 ettari complessivi della maison, e beneficia anche nei mesi più torridi dell’estate del regime dei venti freschi da settentrione. Una freschezza che si ritrova nel bicchiere – di un bel rosa vibrante – grazie ad una spalla acida importante che premia la complessità di questo vino che sin dal primo esame olfattivo si dimostra ricco di sorprese. Bei profumi floreali, fragole di campo

26

giugno 2018


Lugana

e ciliegia, un finale di erbe officinali. Il palato è armonico, ma non ruffiano. Tornano con forza le note fruttate che si chiudono con un leggero speziato. Un vino brillante, prodotto in appena 10mila bottiglie. Quindi, chi prima arriva in cantina meglio “alloggia”…

La Conta Vino Rosso 2015 (senza denominazione) La Conta è il vigneto primogenio di Montonale, acquisito dal bisnonno Francesco Girelli agli inizi del Novecento. 2 ettari e mezzo, un cru ai margini dell’abitato omonimo che guarda a sud. L’altura dove si trova è di origine morenica e il suolo, molto drenante, vede una grande presenza di ciottoli e sassi che trattengono il calore diurno favorendo la completa maturazione dei grappoli. Un grande taglio bordolese che potrebbe essere spedito a Bordeaux e messo, alla cieca, in una delle tante anteprime della denominazione girondina. I risultati farebbero impallidire più di un “cugino”…entusiasmo giustificato dalla croccantezza di questo vino, dalla ricchezza della trama, dalla profondità dei suoi profumi e dalla nettezza dei suoi sapori: tutto quello che volete da un grande Bordeaux lo trovate in questo vino. Malolattica svolta, dodici mesi di tonneaux francesi e diciotto mesi in bottiglia prima di andare sul mercato. Anche qui, pochissime bottiglie purtroppo, 4mila, con un eccezionale rapporto qualità/ prezzo. Ah, les Italianes…

La Venga Benaco Bresciano IGT Rosso 2016 A Roberto Girelli la richiesta dei ristoratori locali è stata chiara: dacci un vino rosso che sia importante, ma che sappia stare a tavola anche a luglio ed agosto, capace di abbinarsi alla cucina del lago. La Venga, altro single-vineyard, vede il blend fra Marzemino (al 60%) e Barbera. Matura 8 mesi in vasche d’acciaio e 6-8 mesi in bottiglia. Un vino rosso da bere fresco, non a temperatura ambiente (che a bordo lago può voler dire facilmente bersi uno sciroppo alcolico caldo quasi come una zuppa a più di 30 gradi), anch’esso – al pari della Rosa di Notte, molto ricco in profumi. Già nel bicchiere si presenta molto bene, con un colore pieno, con profumi molto marcati di marasca, fiori rossi, prugna e rabarbaro. Il palato è altrettanto intenso, con note più silvestri e medicinali e un finale di piccoli frutti di bosco e pepe. Di grande bevibilità. Col grande vantaggio di non dover essere “dimenticato” in cantina nei mesi più torridi dell’anno.

The Italian Wine Journal

27

giugno 2018


Oltrepo di Daniela Scaccabarozzi

La riscossa della Bonarda Torna il vino simbolo della Lombardia oltrepadana, grazie ad un percorso-qualità ed al lavoro di un gruppo di coraggiosi vigneron

C’

era una volta la Bonarda, ritenuta la Cenerentola dell’Oltrepò Pavese. Da sempre screditata perché frutto di una coltivazione intensiva, volta alla massificazione del prodotto, con il solo scopo di ottenere un rapido fatturato, l’abbiamo spesso trovata sugli scaffali della grande distribuzione, in vendita per pochi euro. La proliferazione di questo vino emblema, ha infatti purtroppo contribuito a rovinare negli anni

The Italian Wine Journal

28

l’immagine oltrepadana, predisponendo molti a ritenerlo di scarsa qualità. Eppure la Bonarda, presente qui fin dal Medioevo, rappresenta davvero la tradizione vinicola di questa vasta zona lombarda, che pochi sanno essere la terza area vitata più estesa d’Italia. Un vino simbolo, che finalmente sta ricevendo la giusta considerazione da parte di un gruppo di seri produttori locali che lo hanno voluto riscattare. E’ nato così il Distretto del vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese che nel 2015 ha lanciato la “Bonarda dei

giugno 2018


Oltrepo

Produttori”, adottando delle regole più rigide rispetto al disciplinare di produzione della DOC. Si tratta di una rete di aziende che ha deciso di fare sistema, abbracciando strategie comuni e superando l’individualismo che ha caratterizzato la storia di questi luoghi negli ultimi trent’anni. Le sedici imprese agricole che ne fanno parte hanno quindi orgogliosamente voluto dimostrare che un vino seppur “semplice” e considerato di pronta beva, può essere fatto a regola d’arte, ottenendo così dei risultati interessanti e di tutto rispetto. Sono inoltre quasi tutte cantine di antica tradizione, che coltivano la terra con molta cura e dedizione, riducendo al minimo l’impatto ambientale. Vediamo quindi quali sono i sette punti chiave che ne fanno la differenza: 1) Solo con uve di collina: l’uva croatina coltivata per questa Bonarda proviene solo da zone collinari particolarmente vocate per clima, terreno ed esposizione 2) Solo da aziende a filiera completa: i produttori membri del progetto gestiscono direttamente tutta la filiera, dalla coltivazione alla vendita in bottiglia 3) Solo da croatina 100%: vengono quindi vinificate in purezza solo queste uve con una resa massima per ettaro ed una resa delle uve più limitata 4) Naturalmente frizzante: la tipica spuma color porpora si ottiene dalla rifermentazione naturale del vino indotta dai lieviti, senza aggiungere anidride carbonica

The Italian Wine Journal

5) Con il pedigree: l’elevato standard organolettico del regolamento è certificato da un ente terzo, che esegue i controlli dei campioni in vasca 6) Solo nella Marasca: la Bonarda dei Produttori è imbottigliata nella Marasca, una bottiglia ideata espressamente per questo progetto e che riporta il marchio del Distretto del vino di Qualità 7) Rossa e versatile: dal colore rosso rubino con riflessi violacei e spuma purpurea, ha una elevata potenzialità di abbinamenti gastronomici: dai salumi ai primi piatti della tradizione locale, dalle carni rosse ai formaggi, fino ai piatti speziati. Inoltre il grado alcolico che si sono imposti non può essere inferiore ai 12% vol. (contro i 10,5% vol. del disciplinare), mentre il residuo zuccherino deve essere compreso tra 0 e 15 gr/lt. (contro i 50 gr/lt. max. della DOC). Il limite massimo previsto per l’aggiunta di solfiti è invece di 120 mg/lt (contro i 200 mg/lt.). La qualità nettamente superiore ed i costi di produzione, fanno in modo che il prezzo consigliato non possa mai essere al di sotto dei 5,00 euro a bottiglia. L’obiettivo dei sedici soci è di produrre 400.000 unità nei prossimi tre anni. Più in generale, il loro traguardo finale è quello di migliorare la qualità dei vini dell’intero Oltrepò Pavese, per essere più competitivi sia sul mercato italiano che quello internazionale, aumentando la visibilità e la reputazione di questo bellissimo territorio, ancora tutto da raccontare.

29

giugno 2018


Oltrepo

Schede vino: Tenuta Fornace: Agricoltura ecosostenibile. Coltivazione biologica e vegana in quel di Rovescala. Vini senza chiarifiche, nĂŠ solfiti aggiunti, con utilizzo di lieviti autoctoni. Bonarda O.P. Conte Anselmo 2014 Colore: rosso rubino leggermente scarico Naso: profuma di frutti rossi, confettura e marasca. Leggermente speziato. Bocca: rivela tannini morbidi, sorretto da una bella spalla di aciditĂ . Voto: 93/100

Calvi: Cantina di lunga tradizione a Castana, con una produzione contenuta per numero di bottiglie, ma non per assortimento. Bonarda O.P. 2015 Colore: rosso rubino vivido con tonalitĂ violacee

The Italian Wine Journal

Naso: complesso con sentori di ciliegia e lampone, uniti a note speziate di pepe nero e cuoio. Erbaceo e balsamico. Bocca: tannico, con una vena acida. Voto: 94/100 Gravanago: Azienda posta a 500 mt. di altitudine a Fortunago, che dispone di impianti moderni e tecnologicamente avanzati. Bonarda O.P 2016 Colore: rosso porpora, leggermente scarico Naso: sentori fruttati di ciliegia e frutti rossi Bocca: vividi tannini che arricchiscono un palato fresco. Leggermente caldo sul finale. Voto: 91/100 Bisi: Famiglia di viticoltori dalla grande esperienza, locata San Damiano al Colle, giunta alla terza generazione. Bonarda O.P. La Peccatrice 2016 Colore: rosso rubino carico Naso: olfatto intenso che sprigiona di frutta rossa, confettura, ciliegia sotto spirito e prugna uniti

30

giugno 2018


Oltrepo

a profumi terziari. Bocca: secco, con tannini morbidi e di corpo. Di grande equilibrio e piacevolezza. Voto: 98/100

Valdamonte: Famiglia di vignaioli tra le piÚ antiche della Valle Versa, coltiva le sue uve su terreni con un’ottima esposizione solare Bonarda O.P. Novecento Colore: rosso rubino carico Naso: ampio e golosamente profumato di piccoli frutti rossi, marasca e garofano a cui fa seguito un sottofondo di profumi terziari. Bocca: di bella struttura, con tannini morbidi e chiusura leggermente caramellata. Voto: 95/100

Paolo Bagnasco: Azienda della Valle Versa che opera in vigna fin dal 1911. Bonarda O.P. Trenta filari 2016 Colore: rosso rubino intenso con nuances violacee Naso: bouquet composto principalmente da marasca e lampone con note erbacee. Bocca: sottile, asciutto, con tannini verdi ancora in evoluzione. Voto: 91/100

The Italian Wine Journal

Manuelina: A conduzione famigliare, proprietaria di 22 ettari di vigneti, in quel di Santa Maria della Versa. Bonarda O.P. Achillius Colore: rosso rubino, leggermente scarico

31

giugno 2018


Oltrepo

Naso: vinoso, con richiami di ciliegia e cassis Bocca: snello e fresco, con tannini verdi accentuati. Voto: 89/100

Colore: rosso rubino carico con riflessi porpora Naso: sentori di frutta rossa, che evolvono in una scia erbacea e speziata di cuoio e pepe. Bocca: fresco e moderatamente tannico. Voto: 89/100 La Travaglina: Con i suoi 30 ettari, questa antica cascina si estende sulla prima fascia collinare di Santa Giuletta, una delle terre piĂš vocate per la Bonarda. Bonarda O.P. Zavola: Colore: Rosso rubino con venature violacee Naso: olfatto centrato su frutta rossa matura e confettura Bocca: ben equilibrato, si rivela secco e con discreti tannini. Voto: 93/100

Fiamberti Giulio: RealtĂ storica oltrepadana, posta tra i comuni di Stradella e Canneto Pavese, che coltiva una vasta gamma di uve, nel rispetto della tipicitĂ del territorio, su terreni ripidi e ben esposti. Bonarda O.P. La Briccona 2016 Colore: rosso rubino intenso Naso: ampio che esordisce con nitidi richiami di frutta rossa, per poi virare su sfumature balsamiche e speziate. Bocca: caldo, con tannini evidenti ma ben integrati in una equilibrata mordidezza. Voto: 95/100

Montelio: In un rustico del settecento a Codevilla due sorelle, giunte alla settima generazione, portano avanti con costanza e determinazione la produzione di una vasto ventaglio di vini. Bonarda O.P. La Grangia 2016 Colore: rosso rubino concentrato Naso: composto da frutta matura e note floreali, con un finale di leggera speziatura. Bocca: gusto caldo e morbido, fitta la trama tannica. Voto: 93/100

Tenuta Gazzotti: Piccola cantina sita a Montecalvo Versiggia, che coniuga vecchi vigneti di famiglia a nuovi appezzamenti di terreno. Bonarda O.P.

The Italian Wine Journal

32

giugno 2018


Naso: vinoso ed effervescente, con un bel bouquet di frutta rossa e di viola. Bocca: di piacevolissima beva. Sorso spumoso, bilanciato e rallegrante. Si rivela fresco, con dei tannini equilibrati, sorretti da una bella acidità. Molto tipico. Voto: 98/100 Quaquarini: Con i suoi 50 ettari di vigneti, locati nella prima fascia collinare di Canneto Pavese, questa famosa realtà oltrepadana ha ottenuto la certificazione Bio nel 2003, grazie ad una grande attenzione alle sue uve. Bonarda O.P. La Riva di Sass 2017 Colore: rosso rubino intenso, con riflessi porpora. Naso: vinoso, offre fragranze di ciliegia, more e lampone. Bocca: strutturato, di corpo, con dei bei tannini maturi. Bella persistenza. Niente solfiti aggiunti. Voto: 94/100

Calatroni: Pur avendo iniziato più di cinquanta anni fa, questa azienda posta sulle colline di Montecalvo Versiggia, ha visto una significativa impennata qualitativa da quando i due fratelli Christian e Stefano hanno preso le redini di famiglia, ottenendo ottimi risultati dai vitigni locali più tipici. Bonarda O.P. Vigiò 2017 Colore: rosso rubino intenso, tendente al violaceo

The Italian Wine Journal

33

giugno 2018

Oltrepo

Giorgi: E’ una delle più note ed importanti dell’Oltrepò, con una produzione numerica di bottiglie che si attesta intorno ai 1.500.000 pz., ma che mette sempre la famiglia al centro dell’impresa. Bonarda O.P. La Gallina 2017 Colore: Rosso rubino con nette sfumature violacee Naso: vinoso, con spiccati accenti di fragola e frutta rossa. Bocca: strutturato e tannico. Chiusura leggermente sapida. Voto: 92/100


Catalogna di Giulio Bendfeldt

Politica e referendum rallentano la crescita del Cava Per le bollicine catalane un anno non brillante (più 3% lontano da Champagne e Prosecco), ma l’interesse per la denominazione resta alto: passa di mano Codorniù-Raventos e cresce il numero dei Cava grand cru

I

l Consejo regulador della Dop Cava ha comunicato i dati di vendita relativi all’anno fiscale 2017, dominato dalle turbolenze politiche in Catalogna che hanno rallentato la fase espansiva dell’inizio d’anno fermando la crescita del Cava al 3% sul 2016. L’insoddisfazione è evidente, dato che ci si aspettava di cogliere i frutti della “premiumisation” della denominazione con una spinta verso Cava a più alto valore aggiunto. Partiamo dalle cifre: nel 2017 sono state vendute

The Italian Wine Journal

nel mondo 252,5 milioni di bottiglie di Cava (più 3% come detto) che rappresentano il massimo storico delle vendite con un incasso di 1.149 milioni di euro (la crescita qui è stata del 6.5%) pari a 4.55 euro/ bottiglia. Le bottiglie vendute di Cava “tradicional” con invecchiamento medio di 13.8 mesi sono state di 219,8 milioni (più 1.95%); i Cava Premium sono cresciuti del 10.75% attestandosi a 32.6 milioni di bottiglie. Crescita marcata per i Cava biologici, più 48% a

34

giugno 2018


Catalogna

5.9 milioni di bottiglie, mentre i Cava Rosé hanno perso il 2.2% del mercato fermandosi a 20.9 milioni di bottiglie: un calo che va in controtendenza con la crescita d’interesse per gli SW Rosè (la chiave d’accesso al mercato, invece, degli spumanti inglesi e del Midi francese). La produzione di uva nei 37.706 ettari della denominazione è stata di 271 milioni di chilogrammi di uva: il 36% è Macabeo, seguito da Xarel-lo, 25.3% e da Parellada, al 20%. Marginale il ruolo di Chardonnay, appena il 7.9% della produzione, e del Pinot nero, 2.32%. La spinta verso un Cava internazionale anche in vigna a scapito dell’identità pare essersi fermata a tutto vantaggio degli autoctoni. Esportazioni, la voce “forte” del Cava. Dalle 4 (quattro) bottiglie vendute in Macedonia ai 31.4 milioni di bottiglie vendute in Germania : complessivamente l’export ha inciso per 162.2 milioni di bottiglie, con una crescita del 2% (poco, meno della crescita del Pil iberico, e poco se confrontato ai dati ben più importanti dei concorrenti francesi ed italiani) di cui 112 milioni nell’Unione Europa e 49.6 milioni nei paesi terzi, più 5.2%. Il mercato interno si è bevuto 90.2 milioni di bottiglie, con una crescita del 4.7%, che ha assorbito le perdite nei consumi del biennio precedente, anche se il Consejo non ci dice quanto cava catalano è stato bevuto nel resto della Spagna dove non erano mancate voci di possibile boicottaggio verso i produttori indipendentisti (Freixenet e Codorniù non a caso hanno spostato la loro sede sociale fuori dalla Catalogna). Mancano ancora, comunque, 7 milioni di bottiglie per raggiungere il record nell’export registrato nel 2012. L’Italia si conferma un mercato poco significativo – nonostante gli sforzi di pochi coraggiosi importatori -: appena 305mila bottiglie comprate (ma agli inizi del secolo si era sul milione di bottiglie), rappresentiamo il 32.mo mercato per il Cava e rimane il

The Italian Wine Journal

mistero sul perché gli Italiani, fra i primi turisti per numero a Barcellona, siano così poco interessati al metodo classico delle Ramblas. Certo, il Prosecco è un temibile competitor, ma … il mistero rimane. E sì che basta prendere il bus in Plaza de Catalunya, di fronte a E Corte Ingles, per arrivare in breve tempo nel cuore delle bollicine spagnole. Veniamo in dettaglio quali Cava sono stati comperati: - Cava Tradicional, minimo 9 mesi di invecchiamento, 219 milioni di bottiglie, meno 1.95%; - Cava Reserva, minimo 15 mesi, 28.6 milioni di bottiglie, più 13.4%; - Cava Gran Reserva, minimo 30 mesi sui lieviti, 3.9 milioni di bottiglie, meno 6.6% - Cava de Paraje Calificato, i cru della denominazione, minimo 36 mesi, 40.536 bottiglie (nei primi due mesi di commercializzazione, novembre e dicembre scorsi). Da un punto di vista commerciale il dramma è che i compratori internazionali si sono concentrati di più sul Cava tradizionale, che invecchia di meno e costa di meno, lasciando ai soli spagnoli l’acquisto maggioritario delle Riserve e dei cru. La logica della concorrenza al ribasso sta tenendo lontano dai winelover europei e internazionali il meglio del Cava e servirà uno sforzo di comunicazione in più per convincerli in futuro a spendere qualche euro in più: euro, peraltro, ampiamente giustificati e meritati visto la gran mole di lavoro fatta per qualificare sempre di più le bollicine spagnole come dimostrano i concorsi internazionali più prestigiosi (ivi compreso il Challenge Euposia che ha dato proprio ad un Cava il titolo di campione del mondo nella sezione bio: per l’esattezza, Gramona, “Gran Reserva Celler Battle 2006”). A fine dicembre due terzi dei Cava Premium (Reserva, Gran Reserva e Cava de Paraje calificado) sono

35

giugno 2018


Catalogna

Codorníu -Raventos vende per 390 milioni di euro la quota di maggioranza al gruppo Carlyle Codorníu Raventós Group ha venduto la quota di maggioranza della sua attività al Carlyle Group, che all’inizio di quest’anno ha già acquistato Accolade Wines per 1 miliardo AUS$. Gli investimenti proverranno dalla Carlyle Europe Partners, un braccio europeo di Carlyle -fondo statunitense di private equity (un colosso fondato nel 1987 da oltre 201 miliardi di dollari Usa investiti in oltre trecento aziende) Quest’anno, Codorníu prevede di chiudere il suo esercizio con un EBITDA di 26 milioni di euro, un miglioramento “significativo” rispetto all’anno precedente e in linea con il piano strategico a lungo termine della società. «Questo accordo contribuirà a rafforzare l’azienda all’estero e consolidare e dare continuità alla nostra strategia, incentrata sulla costruzione di marchi pregiati e prestigiosi – ha detto Maria del Mar Raventós, nella foto, presidente di Codorníu – dopo aver analizzato le nostre varie opzioni, abbiamo raggiunto un consenso, concordando su una soluzione che ha un sacco di potenziale e prende una visione a lungo termine sulla leadership per l’azienda». Codorníu Raventós è il più antico produttore di Cava a conduzione familiare in Spagna, con 10 Cantine in tutta la Spagna, Argentina e California e oltre 3.000 ettari di vigneti. Alex Wagenberg, Managing Director di Carlyle Europe Partners, ha aggiunto: «Codorníu Raventós è un’azienda eccezionale, pronta per la leadership mondiale nella cava e nell’industria vinicola. L’azienda ha un certo numero di marchi di prima classe, che sono ben posizionati nel mercato. Speriamo di costruire su questa traiettoria di successo, sostenendo l’azienda con la crescita della sua impronta globale, sia organicamente e attraverso acquisizioni, e per migliorare ulteriormente la sua posizione in vini di qualità. Siamo orgogliosi di sostenere un business con una storia così forte e patrimonio. Nell’aprile scorso, Carlyle Group ha acquistato i vini di riconoscimento australiani per au $1 miliardo (£548 milioni), che comprende le etichette Hardys e Banrock Station. Maria del Mar Raventòs

The Italian Wine Journal

36

giugno 2018


Pedro Bonet, presidente della DO Cava

The Italian Wine Journal

La Denominazione del Cava ha aggiunto oggi un nuovo “grand cru”, un Paraje Calificato, un vigneto lavorato esclusivamente a mano, il “Can Bas” di proprietà della società Pere Ventura, dopo che è stato pubblicato lo scorso 14 giugno nella Gazzetta ufficiale dello stato (BOE). “Can Bas” è il toponimo del vigneto e il Cava ha assunto il nome di “Grand Vintage”. Con questa nuova accettazione, ci sono 11 aziende che attualmente hanno un vigneto qualificato. I vigneti registrati sono 14 ed i Cava lì prodotti sono 19. Il Cava de Paraje Calificado è una categoria che è stata approvata lo scorso anno e “rappresenta il culmine della piramide qualitativa dei vini spumanti in tutto il mondo” spiega il Presidente del Consiglio di regolamentazione del Cava, Pedro Bonet. Questo l’elenco aggiornato dei Cava de Paraje Calificado (azienda, vigneto registrato, Cava prodotto/i): Agricola Can Sala (Freixenet), Can Sala, Cava PC “Can Sala” Alta Alella Mirgin, Villcirera, Cava PC “Mirgin Exeo” e Cava PC “Mirgin Opus” Castellroig, Terroja, Cava PC “Sabate i Coca Reserva Familiar” Codorniù, La Fideura, Cava PC “La Fideuera” Codorniù, La Pleta, Cava PC “La Pleta” Codorniù, El Tros Nou, Cava PC “El Tros Nou” Gramona, Font de Jui, Cava PC “Enoteca”; Cava PC “III° Lustros” e Cava PC “Celler Battle” Juvé i Camps, La Capella, Cava PC “La Capella” Llopart, Les Flandes dels Casots, Cava PC “Original 1887” e Cava PC “Ex-Vite” Pere Ventura, Can Bas, Cava PC “Gran Vintage” Recaredo, Turò d’en Mota, Cava PC “Turò D’en Mota” Recaredo, Serral del Vell, Cava PC “Serral del Vell” Torellò, Vinyes de Can Martì, Cava PC “Gran Torellò” e Cava PC “225” Vins El Cep, Can Prats, Cava PC “Claror”.

37

giugno 2018

Catalogna

stati comprati dal mercato interno. Altro dato; l’88% degli acquisti Premium si è concentrato sulle Riserva Anche per i Cava Rosè e i Bio il mercato ha privilegiato i vini più freschi, dal minor affinamento sui lieviti, lasciando a Riserve e Gran Riserve soltanto una posizione marginale: nei Rosè parliamo di 2/3 punti percentuali; nei Bio il 66% delle vendite è appannaggio dei Cava Tradicional. La sfida, insomma, è quella di portare i winelover sui Cava Premium e di convincere, soprattutto, i clienti internazionali lasciando, almeno in parte la facile leva del prezzo, e lavorando sul valore. Semplice a dirsi, più complesso ovviamente (e costoso) a farsi.

Il Cava ha il suo 19.mo “grand cru”: è il Cava de Paraje Calificado “Gran Vintage” dal vigneto Can Bas firmato da Pere Ventura


Verona di Carlo Rossi

Dalla Taverna Kus un metodo classico che appassiona Bollicino Matito della Taverna Kus: una bella espressione di garganega in purezza allevata a Custoza e affinata sul Monte Baldo che si sposa con una delle cucine piÚ intriganti d’Italia

U

na intrigante bollicina proviene da uno dei templi della gastronomia veronese, la Taverna Kus di San Zeno di Montagna, del patron Giancarlo Zanolli. Si tratta di un interessante garganega in purezza che vive su colline

The Italian Wine Journal

moreniche, frutto del disgelo conseguente alla fine delle ere glaciali ed al ritiro della grande conoide atesina. Cantina matito può definirsi un vino morbido, con finale sapido ed elegante. Un elegante metodo classico che presuppone una laboriosa lavorazione ed un affinamento di 24 mesi sui lieviti, un’alchimia

38

giugno 2018


Verona

di dosaggi e sboccature, un grande equilibrismo tecnico per mantenere la naturalità del prodotto facendone esplodere il carattere, armonico e di grande piacevolezza. Alla vista appare di un bel giallo paglierino con riflessi dorati brillanti; spicca la bolla persistente. Al naso spiccano immediate le note floreali, quelle di camomilla e di frutta fresca; in bocca è morbido con finale sapido e raffinato. La tipologia di viticoltura prevede lotta integrata (particolare attenzione al rispetto dell’ambiente. Utilizzo ridotto di fitofarmaci, solo in caso di danni elevati causati da parassiti). La fermentazione avviene in vasche d’acciaio a temperatura controllata per circa 15 gg. La base spumante affina quindi fino alla primavera successiva in vasca, per poi essere imbottigliata per la rifermentazione in bottiglia di minimo 24 mesi. Abbiamo assaggiato l’annata 2013. Il nome Matteo e Tito viene dalle iniziali dei figli del socio di un gigante della gastronomia veronese, appunto Giancarlo Zanolli che, insieme ad un creativo architetto Roberto Rocchi (bellissime le sue etichette) ha deciso di portare questa novità affinando il vino a San Zeno di Montagna, ridente paesino tra lago, che vede davanti, entroterra gardesano, e alle spalle il Monte Baldo, che con i suoi pascoli verdi, i vasti boschi, i castagni secolari e i suoi fiori, rari e straordinari, è conosciuto fin dal passato come “Hortus Europae” (Giardino d’Europa). Siamo in una casina rurale. Qui, il Garda, ha una spiaggia “lacustre” per modo di dire. Sembra un mare! Il ristorante è in

The Italian Wine Journal

località Castello. Come detto , ci troviamo in un vecchio cascinale, di cui la gran parte della struttura risale ad una risistematizzazione del Seicento. Qui questa struttura è nota con il nome di palàs – palazzo -, probabilmente a ricordo della sua funzione di depandance di servizio del castello. Il palàs è una struttura che dal punto di vista architettonico ed urbanistico ci racconta molte storie…All’ingresso ci sono quattro ambienti: la veranda è ricavata dal portico e le tre piccole stanze interne erano, rispettivamente, la stalla e le cantine per la stagionatura dei salumi. La cantina è ricavata dalla giasara: si tratta di un deposito interrato. Una sorta di frigo naturale scavato nella roccia. Nella giasara, infatti, un tempo si conservava il ghiaccio. Oggi l’ambiente è particolarmente propizio per la conservazione ottimale del vino. Qui si affina il Matito, a 700 metri sul livello del mare. Dal 2015 seguiamo GC, ci possiamo permettere un giudizio: GC= GianCarlo(GrandeCucina) Lui sembra un pirata - non per la barba - ma perchè si distingue del solito permesso : fa le cose per bene, semplici peró geniali!

39

giugno 2018


Rosé di Giulio Bendfeldt

Rosati, dall’Alto Adige alla Toscana: la nuova stagione di Santa Margherita Bollicine o fermi; da autoctoni o internazionali; nuovi o di tradizione, per i Rosé l’estate è il momento della rinascita The Italian Wine Journal

40

giugno 2018


Rosé mo dato disponibile, è stato del 3% secondo France Agrimere, mentre se misurato su 5 anni, in questo caso la fonte è OIV, la crescita è di circa l’1.3% per un valore dell’interscambio pari a 1,5 miliardi di dollari. La tradizione italiana nei rosati, ovviamente, c’è tutta e dall’estremo nord alpino al cuore del Mediterraneo non mancano moltissimi vini di altissima qualità che sono tornati a presentarsi con decisione sui mercati internazionali cercando di conquistare non soltanto il tradizionale pubblico femminile, ma anche le nuove generazioni di winelover grazie ad una narrazione sempre più efficace. Oggi proviamo il “pacchetto di mischia” sui rosati di Santa Margherita Gruppo Vinicolo, sbarcato da pochi mesi anche nella Valtenesi DOC, una delle culle dei rosati italiani, dall’Alto Adige alla Maremma toscana. L’unico comune denominatore di questi vini è, ovviamente, l’esser rosati: per elaborazione, vitigni utilizzati e territori di provenienza Kettmeir Athesis Brut Rosé Alto Adige Doc Spumante metodo classico, vincitore nello scorso autunno del titolo di “Campione del mondo” al Challenge Euposia. Il blend vede Pinot nero e Chardonnay da uve provenienti da alte zone collinari, fra i 450 ed i 750 metri slm. Le due uve vengono lavorate separatamente, e quindi assemblate dopo la fermentazione con l’aggiunta della liquer de tirage. Sui lieviti, questo Rosè rimane per almeno 22 mesi. Colore rosa pallido e ottimo perlage, all’olfatto denota immeditate note floreali e fruttate, con piccoli frutti rossi e note di lievito. Il palato conferma le ottime impressioni al naso: bella spalla acida, bocca ampia e cremosa, tornano le note di fragole e piccoli frutti di bosco. Molto intrigante ed invitante alla beva. Ha

U

na bottiglia su dieci nel mondo è di vino rosato. Una tradizione tutta francese – ancora oggi Parigi consuma il triplo di quanto consuma: 27 milioni di ettolitri contro gli 8 circa di produzione – che sta contagiando anche molti altri Paesi. Oltre agli Stati Uniti, che ne bevono per 3.4 milioni di ettolitri, a Germania, 1.9 milioni, ed a Regno Unito, 1.3 milioni di ettolitri, stanno crescendo nei consumi anche Svezia, Hong Kong, Sud Africa e Canada. Il tasso di crescita mondiale nel 2016, ulti-

The Italian Wine Journal

41

giugno 2018


Rosé

cantina simbolo della regione del Lugana, entrata poco meno di un anno fa nel mosaico enologico Santa Margherita. L’uvaggio qui cambia completamente con quattro uve a bacca rossa – Groppello, Barbera, Sangiovese e Marzemino – cultivar tradizionalmente gardesane che arrivano alla perfetta maturazione grazie anche al clima mediterraneo che lo specchio d’acque interne più grande d’Italia riesce a garantire. Rosa carico, con una potenza olfattiva impressionante ed immediata: fiori, melograno, fragola e frutti di bosco. Il palato è sapido, tornano le note fruttate su un finale di pesca ed erbe aromatiche. Un rosato importante, di struttura, dal forte carattere.

stoffa, classe, che mette in mostra senza sforzo. Imperiale. Torresella Spumante Rosè Brut Dall’Alto Adige ci spostiamo nel Veneto Orientale, in provincia di Venezia, dove Santa Margherita ha storicamente la sua sede principale. Qui i vigneti sono in pianura, bassi sul livello del mare che, del resto, è a pochissimi chilometri. Il terreno è alluvionale con una ricca presenza di minerali portati a valle dal sistema dei fiumi che attraversano la pianura friulano-veneta. Ventilato dalle brezze, con ridotte escursioni termiche in estate, questo territorio è sempre stato storicamente vigneto e granaio prima per i Romani poi per la Serenissima. Il blend di questo Metodo Charmat è composto da Chardonnay, Glera e Malbech. Si è scelta una nota molto tenue al bicchiere, i profumi sono marcati e netti: fiori, fragola, ciliegia e lamponi. Il palato è fresco, invitante, senza cedimenti al dolce, con note gradevoli di frutti di bosco ed un finale leggermente balsamico. Da non sottovalutare.

Sassoregale Maremma Toscana Doc Rosè Sassoregale, nella piana del fiume Ombrone, è una delle tenute toscane di Santa Margherita che ha scelto questo lembo incontaminato del nostro Paese nel 2002, oggi in conversione biologica. Le uve di questo rosato sono Sangiovese, vitigno generoso ed estremamente versatile. Uve raccolte in piena maturazione, contatto bucce/mosto fra le 10 e le 12 ore, vinificazione in acciaio. Beh, Sassoregale è nota per produrre vini di assoluto carattere, decisi, potenti. Questo rosato non è da meno: è entusiasmante alla vista, sin ridondante nei profumi, appagante al palato. Una vera sorpresa fatta di note di macchia mediterranea, di fragola, di viola e geranio, di frutti di bosco. Il palato è ampio, caldo, conferma le sensazioni olfattive che tornano tutte molto nette, su un finale molto fresco di spezie ed erbe aromatiche. Invitante alla beva, ma mai ruffiano, conquista al primo sorso mettendo in luce una visione nuova di una Maremma che si conferma giacimento enogastronomico tutto da scoprire.

Cà Maiol Roseri, Valtènesi Riviera del Garda Classico DOP Chiaretto A duecento chilometri ad occidente di Torresella si trova il lago di Garda e la Valtènesi, zona ubicata fra il basso lago (Desenzano, per capirci) e la prima costa occidentale. Da sempre qui si è avuta una produzioni di vini rosati (chiamati “i vini di una notte” tanto durava infatti il contatto del mosto con le bucce per arrivare al colore desiderato nel bicchiere) e questa tradizione è stata mantenuta da Cà Maiol,

The Italian Wine Journal

42

giugno 2018


Degustazioni

Otto vini per l’ombrellone

Monte del Frà, Custoza Superiore DOC “Cà del Magro” 2016 Metti una colazione di lavoro di mezza estate, colline di Sommacampagna, dehors con pergola ed una leggera brezza da nordest. Tipico pranzo basato su leggerezza e velocità: insalata verde d’antipasto e un piatto di fettuccine fatte a mano. Per accompagnare il tutto, un Custoza che di queste colline è il protagonista indiscusso. In particolare, un Custoza Superiore – quindi proveniente da un ben determinato vigneto -: quello di Cà del Magro, proprio sotto la collina dell’Ossario, rivolto a mezzogiorno, uno dei cru di Monte del Frà. Il vigneto è di circa otto ettari di superficie, è stato avviato una quarantina d’anni fa, e vi sono coltivati Garganega, Trebbiano toscano, Friulano, Cortese, Chardonnay, Riesling italico, Malvasia e, infine, Incrocio Manzoni. La collina di Custoza è di origine morenica, formata dal materiale di riporto spostato dal ghiacciaio che ha dato origine al lago di Gardamda cui dista – in linea d’aria – pochissimi chilometri beneficiando così appieno del clima mediterraneo che genera. Della massa, la parte a Garganega dopo la criomacerazione e la spremitura soffice svolge la fermentazione e un primo affinamento sui propri lieviti in barrique per un periodo di quattro mesi; il resto della massa viene lavorato esclusivamente in acciaio restando a contatto coi lieviti per un analogo periodo. Creato il blend, questo Custoza Superiore affina per altri sei mesi prima della messa in commercio. Va detto, inoltre, che questo è il più premiato Custoza DOC tanto a livello nazionale che internazionale e

Lacryma Christi ‘Vigna Vulcano’ Villa Dora 2016 Vesuvio Bianco Doc Un colore paglierino intenso e lucente, profuma di albicocca e pesca gialla, susina, erbe di campo, camomilla. Al palato ha una bella freschezza e soprattutto una vena sapida profonda che accompagna il frutto, ricordandoci la terra vulcanica di provenienza. C’è un’ottima materia e una persistenza notevole con richiami al frutto, anche agrumato e alle erbe aromatiche, con finale decisamente minerale. Vigna Vulcano di Villa Dora è uno migliori Lacryma Christi prodotti in Campania e si colloca nella ristretta cerchia di vini bianchi di grande qualità pienamente rappresentativi del Meridione. Un grande vino bianco, fidatevi, capace di rievocare nel bicchiere le assolate pendici del Vesuvio dove Villa Dora, con passione e competenza, si prende cura dei propri vigneti. Questo vino è prodotto esclusivamente con le uve aziendali – Coda di volpe e Falanghina – coltivate con agricoltura biologica. La denominazione Vesuvio DOC rappresenta una delle più importanti aree vitivinicole della regione Campania, includendo laa provincia di Napoli ed è stata creata nel 1991. I vini della denominazione Vesuvio DOC si basano principalmente sui vitigni Coda di Volpe, Piedirosso, Sciascinoso, Falanghina, Greco, Aglianico. L’appellativo Lacryma Christi è la sottodenominazione di cui il vino può fregiarsi quando la resa è contenuta al 65% dell’uva e quando il titolo alcolometrico raggiunge almeno il 12%.

The Italian Wine Journal

43

aprile 2018


Degustazioni

rappresenta il vino della svolta per Monte del Frà avviata con un programma di zonazione, valorizzazione dei cru (oltre a Cà del Magro, ci sono Colombara, Lena di Mezzo e la “single vineyard” Scarnocchio) e di incremento qualitativo che poggia su circa 200 ettari in produzione (160 circa di proprietà) in tutte le denominazioni veronesi. Immediate al naso le note, i profumi, di fiori di campo, pesca a pasta bianca, cedro, glicine e vaniglia con note più tropicali come l’ananas. Un attimo di evoluzione ed emerge il rosmarino che diventa una delle note più persistenti e caratteristiche nel bicchiere. Il palato è ampio, ricco; coerente con l’olfatto e tornano le note di frutta bianca, di agrumi e spezie dolci. Il finale è lungo, assai persistente, sapido e molto invitante ad una successiva beva. Dall’eccezionale rapporto qualità/prezzo. Da avere sempre in cantina.

vo-turistiche, l’hotel Vinotel Gospoja, la Konoba Žlahtina, la Sala degustazioni e la Pizzeria Gospoja, danno vita a un’offerta unica nel suo genere e rappresentano un ottimo pretesto per visitare “Vrbnik sul mare”, come viene definita questa cittadina in una canzone popolare croata. Il Žlahtina Toljanić è il primo vino di qualità che ha il diritto di utilizzare il simbolo di “Prodotto di origine croata”. È il Žlahtina più premiato negli ultimi 20 anni ed è un vino rinomato sia in Croazia che sul mercato UE e americano. Un vino leggero e morbido, dal colore verde dorato, di una raffinata trasparenza, con un profumo che rievoca la freschezza della brezza che nei caldi mesi estivi soffia dalla campagna di Vrbnik. Ha una concentrazione di alcol pari all’11%. Un vino spumante di qualità in cui il Žlahtina spicca in tutto il suo splendore tra gli altri prodotti della Cooperativa agricola Gospoja e produce una schiuma che rievoca quella del mare sotto gli scogli di Vrbnik, combinando l’unicità dello Žlahtina e l’esperienza dei produttori. Per un risultato solenne. Viene prodotto secondo il metodo tradizionale in collaborazione con il partner austriaco Sektkellerei Gebruder Szigeti Gmbh .

Gospoja extra brut 2014, spumante metodo classico dalla Croazia che nasce sul mare Se siete o avete in mente di recarvi in Croazia, nazione ospite nella scorsa edizione del Challenge Euposia, magari a visitare la splendida isola di Krk , o Veglia, non mancate una visita alla bellissima realtà della azienda agricola della famiglia Toljanic (www. gospoja.hr/it) . Qui si potrà degustare un metodo classico particolare e che è risultato vincitore della sezione Centro East Europe all’ultimo Challenge. Particolarità è la produzione di un vino elegante e profumato con la tipica uva bianca Zlahtina al 100%. La famiglia Toljanić, originaria di Vrbnik, sull’isola di Veglia, ha individuato nella tradizione l’elemento da cui partire e su cui puntare per il futuro. Il gusto inebriante del vino Žlahtina Toljanić prodotto dalla cooperativa agricola Gospoja e le strutture ricetti-

The Italian Wine Journal

Champagne De Barfontarc, Tradition Brut Il bello dello Champagne è che, cercando talvolta senza impegnarsi troppo, si trovano delle meravigliose sorprese. Un esempio è questo blend di Pinot nero e Chardonnay (80-20 l’uvaggio) che nasce in una cooperativa avviata una cinquantina d’anni fa, esattamente nel 1962, da circa 50 vigneron dei villaggi di Baroville, Fontaine ed Arconville (da cui l’acronimo che è diventato il brand aziendale). La coop attualmente comprende 112 ettari vitati e si estende su 7 villaggi nella Cote de Bar. Questo Brut non porta in etichetta il millesimo, ma sappiamo che la vendemmia è il 2013 ed è stato realizzato con l’80% di uve d’annata e la rimanente aliquota con le riserve degli anni precedenti. In bottiglia per la seconda fermentazione è finito nella primavera del 2014

44

giugno 2018


s.l.m.” Il resto è frutto della vinificazione e fermentazione a temperatura controllata del solo mosto fiore per preservare l’acidità preziosa per la sua longevità. Dopo cinque mesi, ha inizio la rifermentazione in bottiglia, seguita da 36 mesi di riposo sui lieviti. Ficuzza è la prima tenuta di Cusumano: 189 ettari a corpo unico. Qui è iniziato tutto. Si trova a Piana degli Albanesi, su colline che superano i 700 metri sul livello del mare. Questo fa sì che ci sia una buona escursione termica: di giorno fa caldo per via dell’esposizione al sole dei vigneti, la sera la temperatura cala, complice il vento di collina. «Siamo andati contro corrente – racconta Diego Cusumano, titolare, con il fratello Alberto, di Cusumano. – Abbiamo scelto di alternare il vigneto alla macchia mediterranea che in questa zona conta oltre 1500 essenze botaniche, tutte documentate nel Reggia Borbonica di Ficuzza. Il risultato è una tessitura a “mosaico”. Abbiamo adottato una potatura a Guyot, non comune in Sicilia, ma fondamentale in una tenuta così particolare, per altitudine, per la grande riserva naturale del parco che la circonda, per il paesaggio che la connota così decisamente. Anche i filari sono disposti in modo diverso, a giro poggio, che ci facilita nella raccolta, permettendo una maturazione uniforme sulla parcella». Qui crescono Insolia e Chardonnay. Da questi vitigni nascono i vini Jalé, da uve Chardonnay in purezza, e il Cubìa, 100% Insolia. Da un blend di Chardonnay e Insolia che vengono da queste parcelle nasce anche l’Angimbé, che prende il nome dal bosco vicino. A Ficuzza sono stati impiantati anche Syrah, Nero d’Avola e soprattutto Pinot Nero, un vitigno noto per essere difficile, ma anche elegante. Oltre che per il 700 s.l.m., è utilizzato per produrre un rosato, il Ramusa che prende il nome dal monte roccioso che domina la parte occidentale del bosco della Ficuzza. Travaglino, Riserva del Fondatore 150° , Oltrepò Pavese DOCG 2008 “La Riserva del Fondatore 150° è un universo di emozioni racchiuse in una bottiglia, una storia lunga 150 anni che merita di essere celebrata in modo adeguato, ringraziando e dando merito a tutti coloro che hanno contribuito alla crescita dell’azienda della mia famiglia”. Così Cristina Cerri Comi, oggi alla guida della Tenuta, descrive il nuovo spumante e continua “In 150 anni di vita la particolarità di Travaglino è sta-

Cusumano, Tenuta Ficuzza, 700 s.l.m. Metodo classico Brut Tenuta Ficuzza è la Sicilia che non ti aspetti. A 700 metri sul livello del mare, c’è aria di montagna anche se siamo tra Palermo e Trapani. L’altitudine e il terreno offrono il giusto stimolo al Pinot Nero affinché si sviluppi in tutta la sua eleganza. Eleganza che, con l’aggiunta di poco Chardonnay della stessa tenuta, distingue lo spumante metodo classico “700

The Italian Wine Journal

45

giugno 2018

Degustazioni

(per le magnum si è attesa la primavera successiva) e quindi ci troviamo davanti un vino che ha passato sui lieviti 48 mesi: dunque ci aspetteremmo tanta struttura, profumi e sapori maturi e complessi. Invece questo Brut Tradition mantiene una freschezza ed un approccio da giovincello: il palato è ricco di note floreali, con richiami all’erba da campo, ai fiori bianchi ed alla frutta a pasta bianca ed una gradevole nota aggrumata. Il palato è molto invitante, una bella spalal acida, vibrante, tornano le sensazioni fruttate, oltre alla pesca anche pera e fichi, con note d’agrumi che lasciano un gradevolissimo ricordo in bocca che termina su una nota sapida e minerale moltro intrigante. E’ uno Champagne che sembra pensato proprio per i palati italiani. Freschezza e leggerezza lo rendono anche molto “estivo”, easy, e questo non sembri una diminutio. Anzi. Se questo è l’entry level della maison chissà come saranno gli altri…Davvero, una bellissima scoperta. Importato in Italia da B.e.Vi-Emozioni oltre il gusto Srl (www.emozionioltreilgusto.com)


Degustazioni

ta quella di essere pioniere, di guardare al futuro in modo coerente con il passato”. Cristina Cerri Comi rappresenta la quinta generazione di una realtà che vanta 400 ettari di proprietà, a corpo unico, di cui 80 vitati, 12 cascine, un borgo storico e una locanda. 7 vitigni coltivati e 14 etichette prodotte sotto la supervisione dell’enologo Achille Bergami in collaborazione con Donato Lanati ed il suo centro di ricerca Enosis, un lavoro di squadra per racchiudere in ogni bottiglia la straordinaria vocazione di un territorio. Travaglino festeggia il suo 150.mo anniversario con un nuovo Metodo classico, il cui blend vede Pinot Nero 95 % e Chardonnay a chiudere. Le uve provengono dalle vigne più antiche della maison che poggiano su un suolo argilloso – calcareo e marne sabbiose. Esposto a sud – est 250 – 300 m di altitudine La Riserva del Fondatore 150° è un connubio tra potenza, freschezza ed evoluzione che ben si integrano in un’effervescenza fine ed armoniosa. Pensato per non essere dosato ed esprimere tutta l’essenza di Travaglino e del territorio che lo origina. Trattandosi di una speciale creazione di Riserva del Fondatore è in grado d’invecchiare magnificamente. All’olfatto speziato e maturo affascina per le note tostate. Al palato è avvolgente fine e persistente, l’affinamento sui lieviti ha permesso di creare un’armonia di gusti che conquista al primo assaggio.

clonazione, era nato un singolare vino bianco vinificato alla moda borgognona, con fermentazione e batonage in barriques per svariati mesi e lungo affinamento in vetro. Ora questo vino viene prodotto con un nuovo impianto di Pinot Grigio di cloni Alsaziani. Il Vigneto San Luigi – in località Madonna delle Grazie a 380 metri sul livello del mare – è ubicato su una lunga collina che guarda a sud, conosciuta nel mondo per la qualità del suo terroir. Si tratta di oltre 15 ettari acquistati nel 1923 e ad inizio anni Duemila e destinati per gran parte al Dolcetto, in parte minore coltivati a Barbera, Cabernet Sauvignon, Pino Grigio e Chardonnay. Il terreno è marnoso-calcareo. Il Pinot Grigio è stato impiantato nel 2001 ed occupa una parcella di mezzo ettaro. La produzione si attesta a poco meno di 60 quintali ad ettaro e quindi attualmente sono prodotte annualmente appena 3.000 bottiglie.Pressatura e successiva decantazione in vasche di acciaio a freddo (9°C). Inizio fermentazione in acciaio ed immediato passaggio in barriques di primo e secondo passaggio per completamento della fermentazione e malolattica, batonage, imbottigliamento a luglio, affinamento in bottiglia per alcuni mesi e rilascio a fine anno. Di colore giallo paglierino, bouquet di agrumi e frutto esotico con note minerali, ha grande struttura e notevole capacità di invecchiamento.

Poderi Luigi Einaudi, Langhe Bianco Meira DOC 2016 Luigi Einaudi è stato uno dei fondatori della Repubblica Italiana apportando il pragmatismo, il buon senso e i principi della sana amministrazione imparati anche nel corso della sua vita professionale ed imprenditoriale. Nel 1915 fondò la sua azienda agricola producendo vino e non mancò mai ad una vendemmia, neppure da Governatore della banca d’Italia e da primo Presidente della Repubblica. Questo vino ha una storia altrettanto unica. Da un vitigno presente fin dal 1897 nella vigna di San Luigi a Dogliani, poi identificato come ‘Tocai Pinot Gris’ e riprodotto per

Sierra de Toloño, Blanco, Rioja I vini Sierra de Toloño, rossi e bianchi, nascono nell’ampia valle di La Rioja, ai piedi delle vette innevate della Sierra de La Demanda, su un versante caratterizzato dalla presenza di cespugli e grandi querce. Un paesaggio emozionante, una regione magica, con le sue grandi montagne che proteggono dai freddi venti del nord. A 650 metri di altitudine le vigne si sviluppano su un terreno calcareo roccioso, nato dall’erosione dei monti. I vitigni nativi Tempranillo e Viura raggiungono in questo luogo la loro piena espressione, combinando eleganza ed energia. I vigneti, 8,5 ettari in totale, sono localizzati tra i villaggi

The Italian Wine Journal

46

giugno 2018


Poggio delle Grazie Cortese Bianco Frizzante Rifermentato Naturale Ma come e’ bello andare in giro a scoprire angoli unici in questo paese ed il Lago di Garda ne offre una infinita varietà. Come Poggio delle grazie a Castelnuovo del Garda dove abbiamo scoperto questo bellissimo esemplare di Cortese pressochè in purezza, 95%. Un frizzante ideale compagno dell’estate, naturale, col fondo, sur lie! Bellissimo. Questo vino nasce da una doppia fermentazione naturale. La prima avviene durante la vendemmia, dove si ha la vinificazione delle uve Cortese, subito pressate e vinificate in maniera tradizionale. La seconda avviene all’interno della bottiglia. Al vino ottenuto, in aprile, viene aggiunto il mosto di Passito Bianco ancora in fermentazione il quale donerà zuccheri e lieviti necessari alla nuova fermentazione. Questa seconda fermentazione darà il caratteristico perlage e la sua

The Italian Wine Journal

47

giugno 2018

Degustazioni

completa evoluzione. Imbottigliamento senza solfiti. Colore giallo paglierino. Perlage fine e persistente. All’olfatto ricorda fiori bianchi e note aromatiche molto eleganti. Al gusto, sapido e minerale. Il perlage esalta i sentori di ananas e miele. Un vino bianco frizzante ottimo come aperitivo e con la pizza. Si abbina a piatti leggeri o fritture. Ideale anche con pasticceria secca e dolci tradizionali. Temperatura di servizio, 8 – 10 °C. Questo vino frizzante a fermentazione naturale in bottiglia, dalle caratteristiche aromatiche, esalta il suo territorio ed i terreni morenici sui quali cresce la Cortese a rittocchino. Il tappo corona tipo bidule ancora poco utilizzato in Italia è un’innovazione che migliora sensibilmente la conservazione del vino garantendone la genuinità. I vantaggi che ci sono nel bere un vino a rifermentazione naturale in bottiglia sono molti. Sono vini più longevi, infatti la lavorazione in autoclave prevede il passaggio in un microfiltro che fa perdere al vino molte delle sue caratteristiche, sono sostanzialmente vini morti che non possono rifermentare nella bottiglia. Utilizzando l’autoclave è necessario aggiungere grossi carichi di solforosa, mentre con la rifermentazione naturale in bottiglia il vino tende meno all’ossidazione e ci permette di aggiungere pochissima anidride solforosa, largamente al di sotto di quanto indicato dal disciplianare del biologico. Per ottenere un buon vino in modo naturale devi obbligatoriamente partire da una buona base, cioè da un’uva di alta qualità. Infine come dicevo prima un vino ottenuto con il metodo “Sur lie” fermentando a lungo in bottiglia acquista dalla particolare convivenza con i lieviti caratteristiche organolettiche davvero uniche: si distinguono dagli altri frizzanti per le bollicine finissime, per il delicato sentore di lieviti e per il gusto asciutto e piacevolmente amarognolo. Il fondo c’è perché i lieviti che sono all’interno della bottiglia trasformano lo zucchero in alcool e anidride carbonica. Finendo il suo sviluppo (una volta cioè trasformati tutti gli zuccheri) muore e si deposita sul fondo. “Noi filtriamo il vino solo per togliere le particelle più grossolane ma non togliamo i lieviti e con essi la vita del vino” mi dicono i fratelli Massimo e Stefano Brutti, proprietari della cantina. Luva viene raccolta manualmente ed avviata immediatamente alla cantina. Buona salute!

di Labastida e Rivas de Tereso, nella Rioja Alavesa, zona insieme alla Rioja Alta nella quale vengono prodotti i migliori vini della denominazione “Rioja D.O.Ca.”. L’altitudine e il microclima consentono un lento processo di maturazione graduale delle uve, che favorisce l’accumulo degli zuccheri e la naturale conservazione dell’acidità. Le vendemmie manuali si effettuano in ottobre, con i primi freddi autunnali, selezionando solo i migliori grappoli. I vini affinano poi in botti o in anfore, nelle quali avviene un tranquillo processo di maturazione scandito solo dai tempi naturali, con il fine ultimo di trasmettere ed esaltare tutte le sfumature del territorio di origine. Questo bianco Sierra de Toloño è Viura in purezza proveniente da piccoli appezzamenti della Sierra. Gli aromi primari dei fiori bianchi danno il via ad uno sfondo elegante e complesso, con sentori di leggera tostatura e note di pasticceria. Palato avvolgente e setoso, con una potente acidità che permette un retrogusto duraturo. In Italia è importato da Pellegrini Spa.


Ristorazione

Apre Good Blue Il nuovo fast food di pesce che ha a cuore l’oceano

G

ood Blue è il nuovo healthy fast food di pesce nella centralissima Via Volta a Milano. Una nuova location che si propone di offrire un’esperienza gastronomica ‘sosteni-bile’, nutrendo le persone in modo sano e veloce con un menù composto da piatti di pesce pescato secondo criteri di salvaguardia del mare e delle sue specie, e impegnandosi a nutrire il mare attraverso azioni concrete e misurabili. Il menù, pensato per un consumo veloce e smart, da fast food, è perfetto per una pausa pranzo o una cena con gli amici, grazie anche alla possibilità di take away o delivery, e include bowls, wraps, tacos, aguachiles e insalate, tutti a base di pesce o in alternativa vegetariana. Piatti dall’influenza globale nati e

The Italian Wine Journal

48

creati dopo i viaggi per il mondo dei 6 soci di Good Blue ai quali è stato aggiunto un twist mediterraneo. Anche il beverage è altamente selezionato in base a una scelta che elimina completamente l’utilizzo della plastica e punta a rimanere in un’ottica salutare: acque botaniche, birre artigianali, vino biologico e solo per la sera un menu cocktail a basso contenuto calorico. Good Blue è un locale dall’approccio sostenibile a 360 gradi, la quale filosofia si fonda su 3 principi fondamentali: 1.Pesce sostenibile: Good Blue serve solo pesce pescato secondo criteri di salva-guardia del mare e delle sue specie, evitando sprechi e metodi invasivi. 2.Design sostenibile: il packaging e gli interni del ristorante sono total-

giugno 2018


Ristorazione

mente privi di plastica, e gran parte degli arredi è realizzato in materiale plastico riciclato e anche da spugne riciclate. 3.Give Back: Good Blue si impegna a devolvere una percentuale delle entrate del ristorante a un’associazione che si occupa di conservazione dell’ambiente marino, e fondatori e dipendenti si impegnano a devolvere parte del loro tempo a “preser-vare” l’oceano, attraverso azioni concrete come ad esempio la pulizia delle piag-ge. L’intento ultimo dei fondatori del progetto Good Blue è quello di generare un ‘rip-ple effect’ di business e consumatori più consapevoli, a partire dalle comunità nelle quali andranno ad operare. Good Blue. Good for you, good for the ocean.

The Italian Wine Journal

49

giugno 2018


Vino & Motori di Enzo Russo

Peugeot 3008 BlueHDi un Suv ad alta tecnologia per viaggiare sicuri

L

a nuova Peugeot 3008 BlueHDi da 180 cv. con cambio manuale a 6 rapporti, si presenta con un look grintoso e sportivo. I cerchi in lega donano al Suv una certa raffinatezza rendendola elegante e agile. Poi ci sono gli interni, ben curati e rifiniti con cura che la rendono un’auto di classe. La casa francese non si è risparmiata in niente, come la plancia ben disegnata con gli strumenti a portata d’occhio e di mano. Debutta un’i-Cockpit in un’inedita versione con i tasti “a pianoforte” per accedere più facilmente al menù desiderato, che si tratti della climatizzazione, della navigazione o della radio. E al posto del quadro strumenti analogico, trova posto uno schermo da 12,3 pollici. Il comfort è molto elevato, sia dal punto di vista acustico sia per la capacità di assorbire dossi, tombini e irregolarità del manto stradale. Ciò nonostante la sensazione di agilità non manca, soprattutto grazie a uno sterzo pronto e preciso, Il volante è compatto e leggermente appiattito sopra e sotto, si impugna in modo ottimale e aggiunge un controllo elevato. L’abbiamo provata per andare a Collalto, nel cuore del Prosecco Conegliano Valdobbiadene DOCG, per degustare alcune bollicine prodotte dalla Principessa Collalto, titolare dell’omonima azienda. Ma prima di iniziare, la Principessa Isabella ci chiede di provare la Peugeot 3008 portandoci tra i vigneti collinari, dove il Suv soddisfa tutte le nostre esigenze di guida, dai terreni accidentati ai pendii, con la massima sicurezza. Con il piacere di visitare i vigneti con il tetto panoramico aperto. Una bella esperienza da ripetere.

The Italian Wine Journal

E a proposito di sicurezza, gli ingegneri del Leone non si sono risparmiati, dotando la Peugeot 3008 di tutto un concentrato di sicurezza. Un concentrato di tecnologia per viaggiare sicuri e “assistiti” con l’ADAS, i numerosi sistemi di ultima generazione Advanced Driver Assistance Systems tutti eventualmente disattivabili: Distance Alert (rischio collisione), Active Safety Brake (frenata automatica di emergenza), Active Lane Departure Warning (superamento involontario di carreggiata), Driver Attention (contro la fatica da guida), HighBeam Assist (commuta in automatico gli abbaglianti), Speed Limit Detection (lettura dei limiti di velocità), telecamera di sorveglianza, Adaptive Cruise Control con funzione stop, monitoraggio angolo cieco, videocamera a 180 e a 360 gradi, Park Assist. Il motore ci ha colpiti per accelerazioni e punte velocistiche che sono più che adeguate se poi si innesta la guida sportiva con un tasto dietro la leva del cambio si prova una bella ebrezza, ma attenti, il tutor è sempre in agguato, giustamente. La Peugeot 3008 ha 5 posti comodi con un vano bagagli da oltre 500 litri. I consumi sono più che accettabili: se si usa un piede leggero si fanno i 4,8 l/100 km con il potente 2.0 BlueHDi da 180 cv. Nella foto la Peugeoto 3008 e la Principessa Isabella Collalto mentre ammira il Suv nell’ampio cortile dell’azienda Collalto, la più importante del comprensorio trevigiano, dalla cui cantina escono 400 mila bottiglie di Prosecco e altrettante di bianchi e rossi.

50

giugno 2018


Food

Il piatto è servito con le lumache di Scalea

L

e lumache della Società Agricola “Lumache & Derivati” sono una delle tante importanti scoperte di Marcello Coronini. Si tratta di una start up realizzata da due giovani imprenditori calabresi, Francesco Di Deco e Giuseppe Maisto, con caratteristiche produttive uniche nel loro genere. “Un prodotto unico!”: così sono state definite le lumache della Società Agricola “Lumache & Derivati” dagli chef italiani che le hanno provate e inserite nei rispettivi menu. Prodotte nel cuore della Riviera dei Cedri, a Scalea (in provincia di Cosenza), sono infatti eccezionali per qualità, genuinità e gusto, oltre che per la cura di tutti quei particolari che fanno di “Lumache & Derivati” un’azienda modello. Dopo avere condotto ampi e approfonditi studi sulle tecniche di allevamento, visitando numerose realtà produttive in Italia e all’Estero, pur avendo deciso di rimanere fedeli alla tradizione italiana (che prevede l’allevamento delle lumache all’aria aperta sin dalla nascita, a contatto con qualsiasi agente atmosferico), Francesco Di Deco e Giuseppe Maisto hanno voluto tuttavia adottare per la loro azienda serre di rete sottile a copertura dei campi, per favorire l’ossigenazione ed evitare eccessivi accumuli di anidride carbonica. Grazie al clima mite della Riviera dei Cedri, la fase di produzione dura praticamente tutto l’anno. Prima della commercializzazione avviene la fase della spurgatura, ossia della pulizia delle lumache, che vengono raccolte, poste in ampie casse forate (studiate appositamente) e per dieci giorni non alimentate e risciacquate con acqua microbiologicamente filtrata e debatterizzata, grazie a un impianto di ultima generazione a raggi UV, e successivamente asciugate. Nata nel 2014, la Società Agricola “Lumache & Derivati” si estende su un terreno di circa tre ettari di superficie e produce annualmente oltre due milioni di lumache delle specie Helix Aspersa Muller e Helix

The Italian Wine Journal

Aspersa Maxima (di dimensioni maggiori). L’attenzione quasi maniacale ai particolari è rafforzata dall’ottenimento di certificazioni a diversi livelli della filiera: dalla preparazione del terreno (certificata da analisi di laboratori specializzati accreditati a livello ministeriale) al prodotto finito (in possesso di tutte le certificazioni sanitarie dell’ASP competente) fino al trasporto il trasporto, che avviene esclusivamente con il furgone aziendale, refrigerato a temperatura controllata e certificata. Le abbiamo gustate a Milano nel ristorante La Cucina dei Frigoriferi Milanesi: Insalatina di lumache con ravanelli, cipolla di tropea in agrodolce e salsa tonnata; Risotto al prezzemolo e limone con lumache in umido; Seppie ripiene con lumache e salsa ai peperoni. Tutti piatti che hanno sorpreso il palato per i sapori e profumi unici e deliziosi. (e.r.)

51

giugno 2018


Friuli di Giulio Bendfelsdt

Tre bianchi per l’estate di Torre Rosazza: Pinot grigio, Ribolla gialla ed un clamoroso Friulano Abbiamo degustato alcuni vini della cantina friulana di Genagricola, sulle colline di Manzano

I

l Friuli è terra di grandi vini bianchi e d’estate niente di meglio che fare un salto nei Colli Orientali e mettere nel bicchiere alcuni dei vitigni più identificativi di questo territorio: Ribolla Gialla, Pinot grigio e Friulano, il caro e vecchio tocai, che forse più di ogni altro vitigno è assurto a simbolo di tutta una regione produttiva. La maison individuata per raccontare i bianchi del Friuli è stata avviata nel secolo scorso, conta su una novantina di ettari vitati, è sulle colline che domina-

The Italian Wine Journal

no Manzano, nei pressi dell’abbazia benedettina di Rosazzo che preservò la cura della coltivazione della vita negli anni bui delle invasioni barbariche e del disfacimento dell’Impero Romano che qui aveva portato la coltivazione della vite. Manzano si pone verso il quadrante meridionale del Friuli, verso Aquileia, e già beneficia degli influssi dell’alto Adriatico. Il suolo su cui poggia è formato da marne eoceniche. Dal 1974 Torre Rosazza fa parte di Genagricola che dalla metà dell’Ottocento è il braccio agroindustriale del leone di Trieste.

52

giugno 2018


Friuli

Pinot Grigio Friuli Colli Orientali DOC 2017 Spremitura soffice, vinificazione in bianco, sei mesi in vasca d’acciaio prima dell’imbottigliamento. Un PG molto classico che premia la freschezza e l’immediatezza, ma non sottovalutatelo. Nel bicchiere sprigiona immediati profumi, molto intensi, di fiori di campo, di prato appena tagliato, di erba medica, gelsomino e geranio. Il palato è ricco, ampio, sostenuto da una bella spalla acida, dove tornano le note floreali dell’olfatto cui s’aggiungono quelle di mela verde e pera a pasta bianca. Sapido sul finale che è elegantemente “verde” dove tornano note più vegetali molto aggraziate.

The Italian Wine Journal

53

giugno 2018


Friuli

The Italian Wine Journal

54

giugno 2018


Friuli

Ribolla Gialla Friuli Colli Orientali DOC 2017 Se il Pinot grigio nel Friuli è diventato “quasi” un autoctono venendo coltivato oramai da più secoli, la Ribolla Gialla “è” l’autoctono per definizione, un esempio perfetto del legame fra vite e territorio. Un vitigno dall’enorme potenziale, come dimostrano i risultati ottenuti da Torre Rosazza con la cura dei propri vigneti. Spremitura soffice, quattro mesi sui lieviti in vasca d’acciaio, malolattica parzialmente svolta. I profumi al naso sono netti, immediati: albicocca, pesca a pasta gialla, melone, fieno tagliato in pieno sole. Al palato ha un impatto immediatamente alcolico e sapido, caldo, ampio, tornano le note fruttate con albicocca e melone. Di grande persistenza, con una spalla acida molto importante, su un finale di frutta e agrumi.

The Italian Wine Journal

Friulano Friuli Colli Orientali DOC 2017 Se negli ultimi tempi avete trascurato il Friulano, beh avete commesso un grave errore di sottovalutazione. Perché superato lo shock del cambio di nome e le comprensibili difficoltà nel lasciare il tradizionale ed evocativo “tocai”per il ben più anonimo ed indistinto “friulano” , il vino c’è. Ed alla grande. Questo di Torre Rosazza stupisce per l’eleganza e la leggerezza, un Friulano che senza voler essere facile è in grado però di affascinare anche palati abituati a livelli ben diversi di “dolcezza”. Qui la caratteristica nota di mandorla perde i suoi tratti più amari per diventare più morbida, più speziata, contribuendo al grande equilibrio che caratterizza questo vino. Al naso dominano le note più vegetali come fieno, ortica, fiori bianchi come gelsomino. L’ingresso in bocca è morbido, ed è di bellissimo impatto. Coerente, con note di frutta e melone a pasta bianca. Di grande bevibilità, molto invitante. Un bellissimo vino da tenere sempre a portata di bicchiere.

55

giugno 2018


Emilia Wine di Enzo Russo

Le cantine aperte fino a notte di Emilia Wine e Casali Viticultori

L’

Emilia è il paradiso del gusto, quello semplice, conviviale e di spirito. E’ una terra fertile dove la cucina e le sue tradizioni hanno da sempre caratterizzato le usanze della propria gente. I profumi, colori e i paesaggi si rincorrono per dare vita ad un sistema virtuoso che ha reso questa regione conosciuta in tutto il mondo per le sue eccellenze gastronomiche. Basta citare prodotti come il Parmigiano Reggiano, il Prosciutto di Parma, l’Aceto balsamico di Modena e Reggio Emilia, il Culatello di Zibello e non per ultimo il Lambrusco un vino fresco e spumeggiante che ha conquistato i giovani perché è sempre al passo con i tempi, fresco, leggero e versatile. Sono queste alcune ragioni che hanno reso celebre l’annuale manifestazione Cantine Aperte, un appuntamento che vede le porte delle cantine spalancarsi e far vedere cosa c’è dietro una bottiglia di

The Italian Wine Journal

vino, dall’enologo all’agronomo e tante altre persone che con passione e professionalità fanno vini genuini e di qualità. Sono momenti unici perché si entra in contatto di una realtà che affascina sempre nel vedere come nasce una bottiglia di vino e sentire il forte profumo che s’inerpica nelle narici. Cantine Aperte, l’evento organizzato dal Movimento Turismo del Vino, nasce nel 1993, e senza dubbio è uno degli appuntamenti più importanti per la promozione dell’enoteismo in Italia. E’ l’occasione di poter assaggiare i vini nelle aziende e di poterli acquistare direttamente, ma anche di scoprire l’arte della vinificazione e dell’affinamento, di conoscere personalmente i vignaioli, di effettuare degustazioni culinarie con pranzi, cene e merende in cantina o all’aria aperta. Cantine Aperte è una manifestazione da non perdere, va vissuta tra il calore delle persone e delle famiglie allegre con tanta voglia di divertirsi e ballare

56

giugno 2018


Emilia Wine

tra uno gnocco fritto con prosciutto crudo e mortadella con un buon bicchiere di Lambrusco o altri vini del territorio reggiano. La bella giornata di sole primaverile ha accolto gli oltre 2.500 appassionati che hanno scelto di visitare la Cantina Casale Viticultori – Soprattitolo ed Emilia Wine – Arceto di Scandiano, due importanti realtà vitivinicole della provincia di Reggio E. che hanno regalato un momento di festa in cui le eccellenze vinicole reggiane sono state protagoniste con il loro patrimonio di vitigni autoctoni, dal pomeriggio fino a notte inoltrata. Incontriamo il Presidente delle due cantine Davide Frascati nello spiazzo adiacente Emilia Wine, in compagnia di molti amici, una tavolata dove i protagonisti erano in bella mostra: gnocco fritto, mortadella, prosciutto di Parma, Parmigiano Reggiano. E poi tanti vini, come alcune tipologie di Lambrusco, dal Rosa Spino al Grasparossa, i vini bianchi fatti con le uve Spergola nelle diverse declinazioni, spumante 1077, il Càbesina metodo classico e quello frizzante. Un tavolata allegra e competente in fatto del buon bere genuino. Finalmente riusciamo a parlare con il Presidente, molto soddisfatto dell’affluenza di molte persone e del successo della manifestazione. “Cantine Aperte ha una missione molto importante”, ci dice Frascati, “aprire le cantine ai consumatori e agli appassionati per mettere a conoscenza tutto ciò che sta dietro una bottiglia di vino: il territorio, le persone che vi lavorano, la cantina nel suo insieme, gli investimenti che vengono fatti. La manifestazione si svolge tutti gli anni nell’ultima domenica di maggio. Noi ci abbiamo creduto fin dall’inizio perché riteniamo che sia un momento importante per avvicinare in modo “concreto” il consumatore al mondo del vino che ai più risulta sconosciuto come

The Italian Wine Journal

filiera produttiva. Per agevolare le visite e gli spostamenti delle persone abbiamo collegato Emilia Wine di Arceto con la Casali Viticultori , che dista due chilometri, con un trenino elettrico per dare un senso a queste due realtà che di fatto si compensano nella produzione di vino ma in modo differenziato. Emilia Wine è più legata al mondo della produzione, in quanto i 726 soci e altrettante famiglie che con il loro lavoro, impegno e sacrifici producono ogni anno 350 mila quintali di uva che viene lavorata. Invece la Casali Viticultori, azienda storica nel comprensorio del Lambrusco, l’abbiamo acquisita dopo la fusione di Emilia Wine, perché ha un anima prettamente commerciale. Ha una linea di imbottigliamento all’avanguardia, molto flessibile che ci consente di adeguare formati e tipologie di vino sempre più in linea con le nuove esigenze dei consumatori. Tutto questo ha completato un percorso per l’integrazione di filiera che riteniamo strategico per il futuro delle aziende. Una è indispensabile all’altra”. Con questa manifestazione cosa pensate di comunicare al consumatore: “Innanzitutto vogliamo comunicare chi siamo, sembra scontato ma non lo è, far sapere cosa facciamo in generale, dalla trasformazione dell’uva in vino, dagli investimenti all’occupazione fino al coinvolgimento del territorio, perché i vigneti che fanno da cornice a tutto il comprensorio sono una risorsa per tutti, iniziando dalle amministrazioni locali che ne debbono tener conto perché il nostro ruolo non è soltanto economico ma anche sociale”. “Come ogni anno”, prosegue Frascari, “gli

57

giugno 2018


Emilia Wine

amanti del vino, ma anche molti clienti e professionisti del settore possono assaggiare i nostri vini a diretto contatto con i nostri soci, scoprendo segreti e novità delle diverse realtà dei nostri vigneti”. Presidente, alcuni giorni fa è stato eletto nel Consiglio dell’Enoteca Regionale dell’Emilia Romagna, un ruolo impegnativo. “E’ un organismo importante, lo scorso anno ha chiuso il bilancio in attivo pur svolgendo tante attività al sevizio dei soci, come l’organizzare fiere in Europa e all’estero. Lo scorso anno sono stati gestiti fondi per 12 milioni di euro”. Quante sono le aziende che fanno parte dell’Enoteca Regionale: “Sono 240 dell’Emilia Romagna , ne stanno aderendo altre perché poi diventa indispensabile per poter accedere al Vinitaly ed a altre manifestazioni. Pagano una quota annuale in base al numero di bottiglie. Altro ruolo importante che vogliamo dare all’Enoteca sarà anche quello di andare a colmare un vuoto che si è creato negli ultimi anni con la chiusura dell’Esave, un centro di ricerca dove venivano selezionati e sperimentati i cloni prima di essere messi in commercio. Oggi siamo di fronte a cambiamenti climatici mai visti, siamo di fronte alle nuove esigenze dei consumatori con i vivaisti che hanno dato un impronta di come loro ritenevano i cloni senza coinvolgere l’altra parte della filiera. Quindi ci siamo trovati dei cloni di Grasparossa che sembrano Cabernet, i cloni di Salamino che sembrano altre uve portando a delle serie conseguenze enologiche. Prima che sia troppo tardi, l’Enoteca sarà il punto di riferimento di tutta la viticoltura della Regione, un importante ruolo in colle-

The Italian Wine Journal

gamento con la ricerca che l’Università sta portando avanti”. Quante sono le persone che fanno parte del Consiglio: “I consiglieri eletti sono 15, di cui uno è l’espressione dell’Unioncamere, sei della Romagna, quattro dell’Emilia e poi uno di Parma, Piacenza, Ferrara e Bologna”. Presidente, far parte dell’Enoteca Regionale dell’Emilia Romagna, cosa significa: “Innanzitutto una grande soddisfazione l’aver ottenuto il 75% delle preferenze tra i candidati pretendenti alla “poltrona”. Sono l’unico rappresentante del territorio Reggiano, un ruolo fino a poco tempo fa occupato da Ermeta Medici. Il mio primo impegno, ma non l’unico, sarà quello di valorizzare il territorio che rappresento. E’ molto importante perché non si tratta soltanto di difendere i vignaioli reggiani ma anche l’economia di tutto il comprensorio”. Cantine Aperte è stata è stata anche un opportunità per presentare nuovi prodotti? “Si ci sono due novità che presentiamo oggi. La prima è 1077 con il logo che richiama la figura storica Contessa Matilde di Canossa, sono tre spumanti con di uve di Spergola, uve di Malvasia e di uve Lambrusco. L’altra novità è il Correggio Reggiano dop, è un uvaggio a base di uve Lambrusco Salamino”. Abbiamo finito l’intervista con un brindisi che si è prolungato fino a notte inoltrata. Fortunatamente l’albergo era a 300 metri. Il giorno dopo, rientro a Milano con tutta tranquillità e sicurezza con la nuova Peugeot 308, un concentrato di tecnologia tutta da scoprire.

58

giugno 2018


Vino & Motori di Enzo Russo

Nuovo Compact Suv Citroen C3 Aircross tecnologia e design

I

l numero uno della Citroen Linda Jackson ha detto: “Abbiamo una tradizione che è storia, ma oggi Citroen deve avere una visione più moderna ed estesa del comfort, per questo abbiamo deciso di sviluppare il concetto “feel good”, essere comodi in auto non è soltanto questione di sedili e sospensioni, è un complesso di cose che riguardano tutto quello che influisce sulla vita di chi guida e dei passeggeri”. E’ proprio così. La nuova Citroën C3 Aircross compact, è una City Car Suv compatta dall’aspetto moderno, fresco, giovanile e grintoso. Colpisce subito la robustezza della carrozzeria, che infonde sicurezza e affidabilità e, nonostante le dimensioni compatte, una volta saliti a bordo, oltre al comfort, sorprende l’abitabilità interna, la spaziosità e la luminosità, data dall’esteso tetto panoramico in vetro apribile dotato di tendina parasole. La Citroen C3 vanta anche un design originale e accattivante capace di distinguersi dalle altre auto e con un corredo tecnologico capace di garantire la massima aderenza anche su fondi bagnati o innevati. Sono tanti gli optional che la rendono sicura in qualsiasi situazione climatica e di guida. Gli ingegneri d’oltralpe hanno pensato a tutto, dall’intrattenimento con 6 altoparlanti ai sensori di parcheggio posteriori, il navigatore, tergicristallo automatico, bluetooth, presa USB e presa Silver, ecc. Mettendosi al posto di guida si ha la sensazione di dominare la strada. L’altezza da terra aumentata e le ampie ruote si rivela agile in città, facile da parcheggiare e a suo agio nelle lunghe distanze, sulle strade sterrate non si avvertono insicurezze e in montagna affronta le curve con sicurezza e stabilità. Guidarla è veramente un piacere perché si apprezza la maneggevolezza, specialmente in città. L’abbiamo provata in autostrada per andare in Franciacorta per degustare le favolose bollicine. La ripresa del motore diesel 1.2

The Italian Wine Journal

turbo con il cambio manuale a cinque rapporti, è briosa e si presta a veloci sorpassi sicuri. Il Grip Control vanta 5 differenti settaggi che possono essere attivati in modo semplice ed intuitivo tramite una manopola posizionata sulla plancia. Il dispositivo regola la coppia erogata dal motore che viene trasferita in modo ottimale sulle ruote in trazione, rallentando la ruota che perde aderenza e riversando la potenza su quella che vanta il maggiore grip, simulando in modo le funzioni di un differenziale autobloccante. Le 5 modalità del dispositivo sono: “stradale”, quando si viaggia su un asfalto in condizioni ottimali, “esp off” quando si desidera escludere il sistema. Se si opta per “sabbia” si può viaggiare fino a 120 km/h evitando che le ruote sprofondino su terreni troppo soffici, “fango”, fino a 50 km/h, quando si desidera fare dell’off road su fondi scivolosi evitando che le ruote scavando sulla superficie, mentre “neve” – attiva fino a 80 km/h – regola singolarmente il pattinamento delle ruote di trazione. La C3 Aircross risulta sicura anche nelle discese più ripide – superiori al 5% – grazie all’azione dell’Hill Assist Descent, azionabile abbassando completamente la frizione e capace di limitare la velocità fino a 3 km/h. Grazie a questi dispositivi la C3 Aircross si comporta in modo egregio in situazioni non sempre facili. E non consuma molto, mediamente con il giusto piede fa i 18 km/l. Un bel risparmio. La Citroen C3 è certamente un auto perfetta per il lavoro, la famiglia e tempo libero. Nella foto, la nuova Citroën C3 Aircross compact e Loris Biatta, titolare de Le Marchesine, una delle più importanti aziende vitivinicole della Franciacorta.

59

giugno 2018


Vino & Motori di Enzo Russo

La sfida di Renegade 2.0 Multijet 140 cv 4WD limited conquista il mercato e si fa più bella

F

arà molta strada la Renegade. E’ questo il giudizio che abbiamo dato quando l’abbiamo provata due anni fa, perché nell’insieme l’abbiamo trovata una Jeep “popolare” che schiacciava l’occhio ad un target variegato di tutte le età. Un auto che per le sue dimensioni e capacità si fa valere sia in città sia nei percorsi extra urbani, ma soprattutto nelle strade sterrate e in montagna. Facile da guidare con ottime prestazioni e con tanti optional che la rendono sicura. La conferma di questo successo è arrivata da Torino, dal capo della divisione Mike Manley, mentre presentava la nuova edizione della Renegade, la più compatta e meno americana di tutte ed elemento chiave del successo sul mercato europeo. La Renegade è stato l’elemento chiave che ha cambiato la percezione del brand allargando la platea dei clienti, soprattutto nei mercati dove la jeep non aveva una presenza significativa. Infatti la Renegade è il modello più venduto. Nel 2017 ci sono state 37.600 immatricolazioni e questo giustifica per mantenere alta la sua competitività. La nuova Renegade si presenta sul mercato con numerosi aggiornamenti tecnologici e nuovi sistemi di connessione tra cui la possibilità di usufruire di tutte le funzioni del nostro smarphone. L’abbiamo provata in una bella giornata solare per andare a Modena ad intervistare Antonio Giacobazzi che ha fatto conoscere in un batter d’occhio il suo Lambrusco a tutto il mondo con la Ferrari di Gilles Villeneuve. Con il tettuccio apribile è stato un bel viaggiare confortevole in autostrada e sulle strade sterrate tra i vigneti. Nella Renegade 2.0 Multijet 140 cavalli 4x4 limited con cambio automatico a 9 marce colpisce subito la posizione di guida molto rialzata, un dettaglio importante, che permette di dominare la strada con sicurezza. Con i suoi 140 cavalli ben distribuiti sulle 9 marce è sempre pronta con la sua grinta per riprese

The Italian Wine Journal

brillanti e accelerazioni vigorose e questo anche a pieno carico. Ha un ottima tenuta di strada, da sicurezza a chi la guida soprattutto con l’impianto frenante che risponde perfettamente in qualsiasi situazione climatica e stradale. Oltre alla trazione integrale, c’è anche una rotella sulla plancia che permette di selezionare tra quattro diverse modalità di guida: Auto, Snow, Sand e Mud, a seconda del terreno che si affronta. Sempre tramite pulsanti sulla plancia si può scegliere l’assistenza alla guida in discesa su fondo sterrato e sconnesso mantenendo la velocità precedentemente impostata. Per quanto riguarda gli accessori, la Renegade ne vanta tanti, come per esempio il sistema multimediale Uconnect con navigatore satellitare e schermo da 6,5 pollici, ben fatto e intuitivo La risoluzione è di buona qualità, così come è perfetto l’impianto audio collegato. L’interfaccia Bluetooth con il telefono è ben realizzata, ottimo il navigatore. Tra i tanti sistemi di sicurezza attiva e passiva, c’è quello che avvisa il superamento involontario della linea di carreggiata, molto utile se si guida di sera o di notte in autostrada. Accensione automatica del faro anteriore; sensore per la pioggia; accensione luci automatica; cerchi in lega 9S5 18 ‘’; controllo della velocità adattivo; start&stop. I consumi sono confortevoli, con un piede non pesante e guida attenta, si possono fare dai 13 ai 15 chilometri con un litro, un valore nella media per un SUV 2.0 diesel. In città il consumo è destinato a salire, mentre in extraurbano si riesce a risparmiare parecchio. Nella foto il patron della Giacobazzi, Donelli e Casali, Antonio Giacobazzi mentre ammira la nuova Jeep Renegade.

60

giugno 2018


Soave di Emanuele Delmiglio

Cantina Coffele innovazione e tradizione

La cantina Coffele vanta una tradizione lunga un secolo e mezzo e produce un Soave che ha collezionato numerosi primati

I

ncontriamo Giuseppe Coffele nella storica cantina dal caratteristico portone in stile gotico, nel cuore di Soave. Ci parla con modi garbati ed affabili, in modo forbito e sobrio, da professore, quale è stato per anni. Dall’insegnamento ai ragazzi è passato alla coltivazione della vite, dal forgiare spiriti e caratteri all’addomesticare terreni aspri e sassosi. Attività in qualche modo affini, entrambe non facili, alle quali il nostro protagonista si è applicato con tenacia e pazienza. Oggi la sua cantina è conosciuta ed apprezzata, tanto da meritare gli onori di tavole illustri e di altrettanto illustri riconoscimenti.

The Italian Wine Journal

A quando risale la storia della cantina? Un testo, in nostro possesso datato 1860, analizza sette tipi di vini prodotti dalla famiglia Visco, il che riporta l’esistenza dei vigneti ad almeno un decennio prima. Il documento, tra le altre cose, pur risalendo a 150 anni fa, contiene analisi che fanno sbalordire i tecnici di oggi per la fondatezza, la scientificità e per la descrizione della trasformazione che il vino subiva all’interno della bottiglia. Il suo arrivo in azienda? Nel 1970, sposando una discendente della famiglia Visco, ho trovato un’azienda i cui terreni coltivati erano collocati in una posizione fantastica. Davanti

61

giugno 2018


Soave

a questo ben di Dio mi sono rimboccato le maniche mentre, contemporaneamente, insegnavo lettere alle medie. Sono riuscito a coniugare le due attività fino a quando, diventato preside, mi sono reso conto che era impossibile esercitarle bene entrambe e sono andato in pensione. Quindi è stato un incontro casuale, quello col vino. Lei aveva pensato ad un un’altra carriera… Diciamo che il vero incontro è stato quello con mia moglie, poi la passione è nata vedendo tutte le cose che c’erano da fare. Ho dovuto lavorare moltissimo, sperimentando e affinando le tecniche, coadiuvato da abili agronomi ed enologi. D’estate, invece di partire per le ferie, andavo nei vigneti di produzione del Soave a cercare le migliori uve Garganega per poi eseguire gli innesti al fine isolare i migliori cloni. Negli anni abbiamo collaborato con vari enti tra cui l’Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano e le Università di Padova e Piacenza. Studenti e ricercatori hanno eseguito centinaia di esperimenti per isolare le migliori condizioni per far rendere la vigna, mettendo alla prova diverse pratiche di potatura e allevamento della pianta, fino ad arrivare a delle microvinificazioni controllate. Il suo primo sforzo è stato quindi nella direzione della tecnica e della qualità? Esatto. E poi mi sono dedicato ad aumentare l’estensione del terreno coltivabile. Negli anni ’80 ho fatto un grosso lavoro sui vigneti, arrivando a sistemarli radicalmente dopo dieci anni e 25.000 ore di ruspe. In pratica, tre macchine funzionavano dalla

The Italian Wine Journal

mattina alla sera per recuperare terreni sassosi e rocciosi e, una spianandoli, ho creato una pendenza verso nord. Per farlo, recuperavo la terra che c’era, oppure la facevo portare distribuendone 30 o 40 centimetri sopra la roccia: una condizione ideale per il nostro tipo di prodotto. Ho poi disegnato le strade e il percorso delle acque recuperando e controllando il loro decorso che, adesso, non si scarica più in pianura in modo impetuoso, ma contribuisce ad equilibrare l’irrigazione dei terreni. Un lavoro innovativo… Direi di sì. Sono stato il primo a fare l’impianto di irrigazione a goccia che avevo imparato in Israele. Sono partito scavando un pozzo nel punto più alto della mia azienda, a 350 metri, e poi ho realizzato un impianto sotterraneo di irrigazione. In corrispondenza di ogni filare predisposi un tubo di uscita, in modo da far cadere l’acqua con un gocciolatore. In molti casi questa tecnica ha salvato la stagione. Un’altra invenzione innovativa, frutto della continua ricerca che ci caratterizza, è stata la “pergola intelligente”. Abbiamo predisposto una distanza maggiore tra i filari ed un’altezza superiore dei frutti dal terreno, quasi un metro e ottanta. Questo ci ha permesso di avere una vite più arieggiata e lontana dall’umidità del terreno, con l’uva che si mantiene molto più sana. Ne risulta anche una maggior facilità di manovra nelle operazioni di diradamento. La pergola risulta inoltre più soleggiata, meno umida, più facile da gestire e da curare. I vitigni

62

giugno 2018


Soave

L’azienda si estende su circa 25 ettari di vigneto la cui produzione principale è uva Garganega e Trebbiano di Soave. In passato, sono stato il primo a piantare lo Chardonnay nel Soave e l’esperimento, durato sei anni, ha dato frutti così buoni che in soli sei mesi è stato inserito come modifica nel disciplinare di produzione. Ora, tuttavia, non uso più questa uva nel Soave, preferendo produrre uno Chardonnay in purezza. Vinifichiamo solo l’uva che sappiamo di usare, l’altra la vendiamo. L’Azienda oggi Il futuro della cantina è in mano ai miei due figli, i quali oggi guidano l’Azienda con grande soddisfazione. Alberto, che si è diplomato con il massimo dei voti a San Michele all’Adige, ha dimostrato una passione enorme nel fare degli ottimi vini. Mia figlia, Chiara, si è laureata in lingue a Bologna nel 2001 e, dopo un settimana di pseudo riposo, si è buttata a capofitto nel commerciale dell’azienda, iniziando a viaggiare in tutto il mondo. Tra bilanci e prospettive, nonostante la durezza della competizione sul mercato, posso dire che siamo soddisfatti. Io sono il primo ad esserlo per tutto ciò che ho ricevuto dalla vita. Partire dai sassi e dalla terra e riuscire a produrre dalla Garganega, dal Trebbiano di Soave o dallo Chardonnay un prodotto che è figlio della nostra ricerca e della nostra pazienza e costanza., è una cosa fantastica. E vedere che i miei figli proseguono ciò a cui io ho dato origine, è una soddisfazione ancora più grande. Produrre vino è un modo per far assaggiare il proprio territorio, i suoi paesaggi, i suoi rumori e i silenzi, un modo per suscitare emozioni. È un lavoro che dà grandi soddisfazioni e che contribuisce anche

The Italian Wine Journal

alla custodia e alla valorizzazione del territorio. La produzione e i mercati Produciamo circa 120 mila bottiglie che permettono di ottenere un buon fatturato, frutto di tutti questi anni di semina, di lavoro molto duro e investimenti rischiosi. Gli utili sono tuttora re-investiti nell’azienda perché non si può mai considerare di essere arrivati: guai a pensarlo. Il nostro mercato è collocato all’estero per l’80%, nei principali paesi europei (primo fra tutti la Norvergia), negli Stati Uniti, Canada e Giappone. In termini qualitativi? Abbiamo ottenuto ottimi risultati e riconoscimenti da molte riviste specializzate, tra cui il Gambero Rosso, Vitae, Merum, Wine Advocate, Go Wine, L’Espresso e Decanter. I nostri vini più apprezzati sono il nostro pluripremiato fiore all’occhiello, il Recioto di Soave “Le Sponde” e il Ca’Visco, il nostro Soave di punta, chiamato così in onore di mia moglie e della sua famiglia che nel 2014 si è aggiudicato nuovamente il prestigioso premio dei Tre Bicchieri. Questo importante premio è stato ancora più sentito e apprezzato perché quella fu la prima annata prodotta secondo i principi dell’agricoltura biologica certificata e che quindi poteva recare in etichetta l’Eurofoglia. Il passaggio al Biologico Per l’Azienda Coffele questo traguardo perseguito per anni è stato ottenuto nel 2014 e siamo stati i primi tra i produttori della zona del Soave Doc CLASSICO ad ottenere questa certificazione che è un importante riconoscimento dell’impegno ventennale nella conversione dei nostri terreni al metodo biologico. Quando mio figlio Alberto ha iniziato a

63

giugno 2018


Soave

lavorare in azienda, fin da subito ha voluto iniziare ad introdurre metodi di coltivazione che fossero più rispettosi dell’ambiente e della salute dei consumatori. Ha quindi abbandonato radicalmente la tecnica del diserbo, ha scelto di non utilizzare prodotti sistemici per evitarne la permanenza nel prodotto finito, e ha iniziato ad impiegare dei lombrichi per la creazione di humus e compost prodotto direttamente in azienda per la concimazione dei terreni. Questa certificazione oggi costituisce un altro importante pilastro della nostra filosofia aziendale, che da sempre privilegia un rapporto rispettoso con la natura e il territorio, oltre che con gli estimatori dei propri vini. Tra le particolarità della vostra azienda agricola, spicca il fruttaio per l’appassimento delle uve destinate al Recioto… È vero: si tratta di uno dei più belli e insieme tecnologicamente avanzati fruttai, dove utilizziamo esclusivamente l’appassimento in reti verticali, un metodo appartenente alla tradizione, ma che abbiamo adattato alle esigenze moderne. Un lavoro lunghissimo, ma che dà risultati eccezionali: il nostro Recioto Le Sponde ha ottenuto moltissimi premi e qualche tempo fa anche la trasmissione “Linea Verde” di Rai1 ha parlato del nostro sistema di appassimento. Siamo stati i primi ad usarlo e in molti ci hanno poi imitati. In cosa consiste? Normalmente l’appassimento avviene sui graticci di canne detti “arele” (da “arieggiare”) o nelle cassette. Quello che noi facciamo è un lavoro più duro, perché appendere i grappoli d’uva richiede moltissimo tempo, quanto quello necessario per sceglierli e raccoglierli nel vigneto. Se nel metodo tradizionale, una volta scelto il grappolo e disposto nella cassetta, il lavoro è finito, qui invece è necessario riprenderli

The Italian Wine Journal

in mano tutti e riappenderli. E una volta appassiti, devono essere ancora una volta tirati giù per la pigiatura. Sono tre vendemmie: quella in campo, quella per appendere l’uva e quella per toglierla! Qual è il vantaggio di questa tecnica? Un’aerazione perfetta, perché il grappolo è appeso nell’aria e non c’è bisogno di deumidificatori e condizionatori, con un conseguente risparmio energetico. Per far questo, abbiamo studiato la posizione della sala: sulla cresta della collina, in un punto sempre ventilato. Un software calcola l’umidità e tutti i parametri necessari all’appassimento, a seconda delle condizioni esterne e interne, e decide se aprire o meno la sala all’aria esterna; banalizzando, quando l’umidità esterna è più bassa rispetto all’interno, quando cioè il freddo è secco, il computer fa aprire le porte lasciando entrare l’aria, che va benissimo per il Recioto. È quindi un metodo assolutamente naturale, dove la tecnologia permette però un controllo completo. Il software, inoltre, raccoglie tutti i dati e le percentuali, permettendoci di seguire l’andamento dell’inverno, con una conseguente personalizzazione del prodotto, lontana dalla standardizzazione, e conoscendo nel tempo, l’andamento delle varie annate. È un aspetto interessante: quando saranno aperte le bottiglie si riuscirà a risalire almeno in parte alle motivazioni delle diverse caratteristiche che vi si troveranno. Fino ad oggi, considerazioni di questo tipo erano solo frutto dell’esperienza, che resta comunque un elemento importantissimo; a volte però capitava di non riuscire a spiegare con chiarezza il perché di certi risultati e si prendeva un po’ quello che veniva. Con questo sistema, saremo in grado di controllare questi aspetti. Progetti in via di sviluppo Nel Luglio del 2017 abbiamo orgogliosamente

64

giugno 2018


Soave

dato vita al progetto di “Cascina Albaterra”, la prima fattoria sociale a Castelcerino, sulle colline del Soave Classico. È infatti stato siglato l’accordo tra noi e l’Associazione Sulle Orme Onlus per la realizzazione di un allevamento biologico di ovini e caprini e un orto sinergico, per la produzione e la vendita di prodotti biologici. Il cuore del progetto è l’opportunità di avviare progetti di recupero e riabilitazione alla vita lavorativa sociale di persone con fragilità con l’obiettivo dell’autosostentamento economico, in collaborazione con la Cooperativa Sociale Multiforme di Fittà (Soave), nata dall’esperienza dell’Associazione Sulle Orme Onlus. Dal punto di vista ambientale, la gestione e lo sviluppo dell’allevamento ovi-caprino permette di far pascolare le pecore sotto i vigneti e le capre sulle scarpate dei terrazzamenti contribuendo a tenerle pulite senza l’utilizzo di mezzi meccanici inquinanti. Inoltre, il latte ottenuto verrà trasformato in for-

The Italian Wine Journal

maggio biologico. Sono previste attività, laboratori e workshop per famiglie, scolaresche, aziende e privati, mirati a promuovere la cultura dell’ecosostenibilità. Si tratta di un progetto ambizioso che mira a far diventare Cascina AlbaTerra un vero e proprio eco-villaggio per la promozione di nuovi stili di vita in cui troveranno casa valori fondanti quali l’amore per la terra, lo stile di condivisione e il vivere in una grande comunità: valori che l’Azienda Agricola Coffele e l’Associazione Sulle Orme Onlus hanno scoperto di avere in comune e che hanno portato alla nascita di questa nuova realtà. Il progetto è stato presentato domenica 30 luglio 2017 presso Tenuta Coffele, in occasione di un evento straordinario che abbiamo aperto a tutti e al quale hanno partecipato più di mille persone. Prospettive per il futuro? Il nostro futuro ci vedrà impegnati sicuramente nel consolidamento della nostra azienda e dello sviluppo del progetto di Cascina Albaterra, il tutto nel segno della tradizione e della valorizzazione del nostro territorio.

65

giugno 2018


Food

ISA entra nel capitale sociale di Pastificio Felicetti che punta alla quotazione in borsa con un investimento complessivo di 5 milioni di euro

P

astificio Felicetti apre per la prima volta le porte del suo azionariato ad un socio per continuare a crescere e sostenere l’investimento di circa 28 Milioni di Euro per la realizzazione del nuovo stabilimento produttivo di Molina di Fiemme (TN). Una sfida importante che è maturata dopo diversi anni in cui l’azienda – che quest’anno compie 110 anni – ha visto crescere i propri mercati di riferimento e a seguito di una domanda che è arrivata a superare la capacità di risposta determinando la piena saturazione

The Italian Wine Journal

della capacità produttiva dello stabilimento storico di Predazzo che oggi produce 20 mln di Kg di pasta all’anno in oltre 200 formati in una struttura che nel 2013 era già stato oggetto di ampliamento. Nel maggio 2017 l’azienda, saturati gli spazi nella storica sede produttiva, ha scelto di continuare a crescere in Trentino e ha stipulato con Trentino Sviluppo, la Provincia autonoma di Trento e il Comune di Castello Molina di Fiemme un accordo per la cessione di un’area produttiva pubblica già infrastrutturata a Molina di Fiemme. Trentino Sviluppo metterà a di-

66

giugno 2018


Food

sposizione una superficie edificabile di 16.200 metri quadrati e supporterà le attività di internazionalizzazione. Sparkasse, che ha svolto il ruolo di “banca d’affari”, con la selezione e presentazione del nuovo socio ISA, sarà anche “arranger” per il finanziamento in pool con altre banche dell’intero progetto – per circa 23 milioni – che prevede la costruzione del nuovo stabilimento, l’acquisto dei macchinari e l’avvio delle due nuove linee produttive del Pastificio Felicetti. I soci Felicetti hanno coinvolto l’advisor finanziario Kon che ha curato la predisposizione del piano di sviluppo, seguito la ricerca del partner finanziario e coordinato gli aspetti legali e fiscali legati alla transazione. I Felicetti hanno individuato in ISA (Istituto Atesino di Sviluppo S.p.A.) di Trento, la più importante holding di partecipazioni a livello regionale con un portafoglio di investimenti di oltre 160 mln di euro, il partner culturalmente più affine ai valori della famiglia al quale aprire il proprio capitale sociale. ISA ha apprezzato la storia aziendale riconoscendo nell’attuale management le capacità e le potenzialità per attuare l’importante progetto di espansione. Per questi motivi si è dichiarata disponibile a fornire il proprio supporto diventando partner di medio lungo periodo. ISA otterrà una partecipazione nella società pari al 22% attraverso un investimento di 5 Milioni di Euro tramite un aumento di capitale con l’obiettivo di accompagnare l’azienda in ulteriori piani di sviluppo che non escludono anche una quotazione in borsa come progetto a medio termine. Con una forza lavoro di 69 dipendenti, un fatturato nel 2017 di 37 Milioni di euro di cui il 50% all’estero e un EBITDA del 11,7%, Pastificio Felicetti punta all’eccellenza e ad una leadership consolidata. “Aprire la nostra società ad un partner strategico

The Italian Wine Journal

per la crescita come ISA – dichiara Riccardo Felicetti – è innanzitutto una rivoluzione culturale che la nostra Famiglia ha affrontato nell’ottica di garantire un futuro solido e di ampio respiro produttivo e commerciale, pronti alle nuove sfide di un mercato sempre più globale, mantenendo però inalterati i valori profondi della Famiglia e la localizzazione territoriale che rimane per noi un valore imprescindibile e di enorme valore sociale”. “È per noi fonte di orgoglio avere contribuito con un ruolo attivo al finanziamento di questa importante operazione industriale – dichiara Nicola Calabrò, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Sparkasse – Sparkasse, nel suo ruolo di banca leader del Trentino Alto Adige, concorre allo sviluppo del territorio con un ruolo di banca di sistema. È quanto abbiamo fatto concretamente in questo caso, sia come banca capofila nel reperimento delle risorse di credito sia ricercando attivamente una società partner individuata in ISA”. Matteo Mancaruso, partner responsabile del lavoro, e Fabrizio Bencini, Amministratore Delegato di KON SpA, dichiarano: “Assistere eccellenze italiane come Felicetti nella loro crescita è la nostra missione. Siamo convinti che l’operazione chiusa si tratti di una tappa importante del processo di crescita della società ma costituisca al contempo un punto di partenza per nuove sfide in cui saremo contenti di stare sempre a fianco della società e dei soci”. “Partecipare attivamente ad investimenti o progetti imprenditoriali che abbiano forti ricadute sul territorio trentino è la nostra prima mission – commenta Giorgio Franceschi, Amministratore Delegato di ISA – siamo perciò lieti di poter contribuire ad un nuovo importante percorso di sviluppo che porterà Pastificio Felicetti a traguardi sempre più ambiziosi”.

67

giugno 2018



News

Montefalco Sagrantino, eletto il nuovo Presidente

F

È Filippo Antonelli, simbolo dell’equilibrio, dell’eleganza e della sostenibilità della denominazione

ilippo Antonelli, 58 anni, è il nuovo Presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco. Alla guida dell’azienda Antonelli San Marco dal 1986, nel suo terzo mandato ai vertici consortili sarà affiancato dal Vice Presidente Peter Robert Heilbron dell’azienda Tenuta Bellafonte. Il suo stile volto alla tipicità, all’equilibrio e all’eleganza lo ha condotto nel 2012 alla prima vendemmia biologica certificata da Valore Italia e alla conversione graduale degli oliveti (10 ettari) e dei vigneti (50 ettari) della tenuta, nella convinzione di ottenere uve più buone e più sane grazie a una produzione condotta nel modo più naturale possibile, senza l’uso di sostanze chimiche. “Il nuovo corso della denominazione sarà all’insegna della continuità. Ho guidato il Consorzio nella seconda metà degli anni Novanta, quando si accendevano i riflettori su questo vitigno. Il mio sforzo sarà quello di raccontarne, a venticinque anni di distanza, la maturità, l’eleganza frutto della sua evoluzione insieme alla consapevolezza raggiunta dal territorio e dai vigneti” dichiara Filippo Antonelli.

taldi e Giano dell’Umbria. Riunisce 231 soci di cui 60 cantine e costituisce il 16,7% della produzione di vino in Umbria (6,3% di Montefalco Sagrantino DOCG e 10,4% di Montefalco DOC) per un totale di oltre 3 milioni di bottiglie. Dopo cinque secoli di storia e 26 anni da DOCG, il Sagrantino ha condotto la denominazione lungo un graduale percorso di crescita e arricchimento: “Montefalco non è più solo sinonimo di rossi, la produzione si è aperta a bianchi di grande qualità come il Grechetto e il Trebbiano Spoletino, entrato nell’uvaggio del Montefalco Bianco in sostituzione di quello toscano” conclude Antonelli. Il neo Presidente succede nella massima carica consortile, per il prossimo triennio 2018-2021, ad Amilcare Pambuffetti rimasto ai vertici per 6 anni. Al suo fianco i consiglieri Paolo Bartoloni, Corrado Dal Piaz, Antonio Donato, Liù Pambuffetti, Giampaolo Farchioni, Alessandro Mariani, Alessandro Meniconi, Giusy Moretti e Giampaolo Tabarrini.

La denominazione Montefalco ha raggiunto una superficie totale di circa 1200 ettari (Montefalco DOC circa 430 ha; Montefalco Sagrantino DOCG circa 750 ha) che abbracciano l’intero territorio del Comune di Montefalco e parte dei territori di Bevagna, Gualdo Cattaneo, Castel Ri-

The Italian Wine Journal

69

giugno 2018


News

Asiago DOP, 1.5 milioni di forme prodotte nel 2017. Export record a 1.700 tonnellate

I

l bilancio 2017 del Consorzio Tutela Formaggio Asiago certifica un anno di successi, per la specialità veneto-trentina, che vede aumentare le quotazioni di entrambe le tipologie, i consumi e l’export dimostrando l’efficacia del programma di valorizzazione basato sul mettere in evidenza le caratteristiche distintive e l’ecletticità del prodotto intrapreso dal Consorzio. Il 2017 chiude, per il Consorzio Tutela Formaggio Asiago, con un triplice risultato positivo, frutto di un approccio proattivo che ha puntato con successo alla valorizzazione della qualità distintiva e alla differenziazione del prodotto con proposte sempre più diversificate che vanno dall’Asiago Fresco all’Asiago Stagionato, dall’Asiago bio all’Asiago Prodotto della Montagna. Un primo, significativo risultato è stato l’aumento delle quotazioni per entrambe le tipologie, sostenute da un livello basso delle scorte. Asiago Fresco, da dicembre 2016 a dicembre 2017, ha toccato quotazioni del + 7,5% e Asiago Stagionato (2-3 mesi) ha raggiunto il massimo dell’ultimo decennio, con una percentuale di crescita dell’8%. Complessivamente sono state prodotte 1.571.365 forme di Asiago DOP, 1.338.829 delle quali di Asiago Fresco e 232.536 forme di Asiago Stagionato, tipologia che ha visto un aumento produttivo del 4,8% rispetto al 2016 e ha segnato un aumento record delle vendite del 19%. Contemporaneamente, l’azione del piano di regolazione dell’offerta ha permesso di immettere sul mercato una quantità di prodotto adeguata alla domanda. In Italia, in un mercato che, nonostante l’aumento del 3,2% della spesa alimentare delle famiglie (stime Ismea-Nielsen), l’acquisto di formaggi ha avuto un incremento di poco superiore allo 0,9%, Asiago DOP ha messo a segno un aumento dei consumi a

The Italian Wine Journal

volume dell’1% (rilevazioni GFK-Eurisko). Significativa anche la crescita dell’8,1% delle famiglie acquirenti e del 4,4% dell’indice di penetrazione di mercato, che raggiunge il 60,3% (dati GFK-Eurisko). Per quanto riguardo l’export, Asiago DOP è l’unico, tra i principali formaggi DOP di latte vaccino a registrare un incremento dei volumi esportati, pari a +2,2%, per un totale di 1.777 tonnellate, il massimo volume storico per questo formaggio. In tutto il mondo, il Consorzio ha proseguito nell’intensa attività di tutela e protezione del marchio e, contestualmente, di promozione, con successi, tra gli altri, in Cina, Giappone e Messico, tre paesi dove sono in corso negoziati bilaterali con l’Unione Europea. A quest’azione istituzionale si affianca l’incidenza delle esportazioni sul totale delle vendite in crescita costante del +71% negli ultimi otto anni. Il principale mercato per la specialità veneto-trentina si conferma quello degli Stati Uniti, seguito dalla Svizzera e dall’Australia, nazione che ha registrato il maggiore tasso di incremento, con un +51,6% a volume. Al quarto posto e primo fra i paesi UE la Germania (+5,2%). A riprova dell’impegno profuso nella diffusione del prodotto all’estero, il Consorzio di Tutela, nel 2017, ha proseguito nell’attività di promozione con due progetti cofinanziati dall’Unione Europea, per un valore complessivo pari a 5,5 milioni di euro: il primo - “Uncommon Flavors of Europe”, negli Stati Uniti e in Canada, in partnership con i consorzi del Pecorino Romano e dello Speck Alto-Adige, riconosciuto dalla Ue come caso di successo europeo, il secondo, “Cheese It’s Europe”, insieme ai consorzi del Parmigiano Reggiano e del Gorgonzola, mirato a promuovere il prodotto in Austria, Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia.

70

giugno 2018


Food

Food

Cannolo Festival 2018 vince di nuovo Santa Cristina Gela Il Caffè del Corso dei fratelli Biscari si aggiudica per il secondo anno consecutivo il primo posto conquistando giuria popolare e giuria tecnica

I

fratelli Biscari fanno il bis. Anche quest’anno il cannolo più buono è quello dei tre maestri pasticcieri di Santa Cristina Gela, il piccolo paesino di mille abitanti nell’entroterra palermitano, a 30 km dalla città. È il verdetto della seconda edizione del Cannolo Festival, tenutosi a Sanlorenzo Mercato a Palermo. Scorza friabile e corposa realizzata con la farina di Maiorca, grano antico tenero siciliano, particolarmente profumata e digeribile; ricotta di pecora del territorio sapientemente lavorata con poco zucchero; e un segreto, quello del vino rosato nell’impasto della scorza, che genera un dolce perfettamente in equilibrio tra i sapori della ricetta tradizionale. Queste le caratteristiche del cannolo vincitore, che è già da anni oggetto di un vero e proprio pellegrinaggio da ogni parte della Sicilia verso il paese tra le montagne. «La sintesi ideale tra l’innovazione, il rispetto della materia prima, la fedeltà a una tradizione antica che si tramanda da tre generazioni» così ha commentato la giuria tecnica composta dal pastry chef Giovanni Cappello (campione italiano con il culinary team di Palermo dell’Associazione Provinciale Cuochi e Pasticcieri di Palermo in seno alla Federazione Italiana Cuochi), lo storico delle tradizioni siciliane, scrittore ed etnografo Gaetano Basile, la giornalista enogastronomica Manuela Laiacona e il food tour operator Marco Romeo (creatore di Streaty, che ogni giorno accompagna viaggiatori di tutto il mondo alla scoperta del cannolo e altri cibi storici della tradizione siciliana). Subito dietro al cannolo vincitore si piazzano le altre eccellenze selezionate per l’evento: Piana degli The Italian Wine Journal

Albanesi, il borgo dell’entroterra palermitano noto ormai come “il paese dei cannoli”, custode di una tradizione secolare e di ricette che ancora oggi nascondono segreti di produzione gelosamente custoditi; San Giuseppe Jato, con una lavorazione originale e immediatamente riconoscibile, la ricotta dal sapore molto intenso e scorze leggere. Infine Fulgatore, a cui è spettato il delicato compito di rappresentare la provincia di Trapani, famosa per uno stile unico e inconfondibile già nella forma della scorza (più allungata e appuntita), ma soprattutto nella lavorazione della ricotta (più grezza e meno setacciata), per veri intenditori. I maestri coinvolti sono stati Nicola Petta (Extra Bar – Piana degli Albanesi, Palermo); i vincitori fratelli Biscari (Caffè del Corso – Santa Cristina Gela, Palermo); Turi Cerniglia (Pasticceria Cerniglia – San Giuseppe Jato, Palermo); Rocco Vultaggio (Bar Vultaggio – Fulgatore, Trapani). Scorza più o meno friabile, sentori di cacao o di caffè, ricotta grezza o cremosa, più o meno dolce, con cioccolato o senza, con frutta candita o con granella di pistacchio: sono tantissime le variabili che distinguono un cannolo dall’altro a seconda della combinazione degli ingredienti basilari, ma anche dell’utilizzo di ingredienti e procedimenti “segreti”, custoditi dalle famiglie di produttori e tramandati di generazione in generazione, fino a generare vere e proprie tifoserie contrapposte. Per questo tante pasticcerie siciliane sono diventate ormai luogo di turismo gastronomico, anche a chilometri e chilometri di distanza, da parte di golosi, appassionati, gourmand e turisti da ogni parte del mondo.

71

giugno 2018


Birra di Giulio Bendfeldt

Birra: è record in Italia

Tutti gli indicatori in positivo: produzione, occupazione, export, materie prime. Il comparto brassicolo nazionale registra un anno da record e conquista sempre più mercati. Microbirrifici: sono oramai 850 in Italia e continuano a svilupparsi

L

Numeri che visti da un’altra prospettiva sono sinonimo di decine di migliaia di posti di lavoro nella filiera - oggi parliamo di circa 140.000 occupati considerando l’indotto allargato – e di entrate complessive per lo Stato di miliardi di euro ogni anno. La birra, infatti, rappresenta il 20% dei consumi complessivi di alcolici ma versa allo Stato il 50% delle accise complessivamente incassate. Sottolinea il presidente di AssoBirra, Michele Cason: «Il settore della birra oggi riveste un ruolo di primo piano nell’economia e nell’export del Paese, grazie a caratteristiche peculiari che questo millenario prodotto porta con sé. La birra infatti è entrata sempre di più nelle abitudini di consumo degli italiani ed è parte integrante della dieta mediterranea grazie a modelli di consumo più evoluti, responsabili, informati e orientati alla qualità. La diversificazione di prodotto delle birre artigianali ha portato poi una ventata di novità con una curiosità sempre maggio-

l 2017 è stato un anno record per la birra italiana. AssoBirra ha pubblicato il più bel record della sua storia con tutti gli indicatori in crescita e con una novità sulla politica verso i microbirrifici, un’apertura di credito molto ampia verso un fenomeno sempre meno “artigianale” e sempre più strutturato e con molti problemi in comune – la fiscalità, la gestione delle materie prime, la sostenibilità e le tematiche del lavoro – coi birrifici di più grandi dimensioni. Il 2017 ha visto incrementare la produzione nazionale arrivando a toccare il massimo storico di 15,6 milioni di ettolitri rispetto ai 14,5 del 2016, di cui 2,7 milioni destinati all’export (+7,9%) altro massimo storico, per chiudere con un fatturato annuo di 2,9 miliardi (+1,8%). Il consumo pro-capite si è attestato sui 31,8 litri annui pro-capite segnando il nuovo record storico. The Italian Wine Journal

72

giugno 2018


Birra

re da parte dei consumatori verso il prodotto ed una accresciuta cultura. La birra contribuisce alla rigenerazione e allo sviluppo di tanti territori in modo sostenibile, attraverso la valorizzazione delle risorse umane e naturali. Favorisce l’espansione di una filiera allargata che contribuisce alla diffusione di attività imprenditoriali, commerciali, socio-culturali di impatto economico e sociale positivo; non da ultimo incarna quell’eccellenza dell’italianità, sia in termini di gusto, alta qualità e genuinità ma anche di stile di vita, l’Italian way of life, apprezzato nel mondo. Risultati che vanno oltre il contributo economico e che sono lo specchio di un comparto poliedrico portatore di valori distintivi, grazie alla compagine della sua filiera, a cominciare dalla qualità delle materie prime. Il malto che viene fornito a molti dei birrifici italiani è un malto che viene prodotto da orzo coltivato sul territorio italiano e la nostra filiera è una di quelle più innovative che ha saputo modernizzarsi prima di altre nel settore alimentare, rappresentando così un fiore all’occhiello nel sistema agroalimentare del Paese». La produzione di malto è cresciuta nel 2017 di 2.500 tonnellate, arrivando al massimo storico di 75.800 tonnellate; oggi si produce solo la metà delle materie prime necessarie, ci sono quindi enormi potenzialità di sviluppare approvvigionamenti locali. «Il nostro impegno per i prossimi anni sarà quello di mettere a sistema le eccellenze della filiera brassicola italiana e per fare questo saremo a fianco e accompagneremo i micro birrifici, aiutandoli ad aumentare la loro cultura produttiva e tecnologica per raggiungere una qualità sempre più eccellente» aggiunge Cason. Nel 2017 le esportazioni hanno raggiunto il massimo storico (2,7 milioni di ettolitri), in crescita del 7,9% rispetto al 2016. In termini di mercati, l’area UE ha assorbito oltre 2 milioni di ettolitri di birra prodotta in Italia (72% dell’export totale), con la Gran Bretagna ancora nettamente in testa con 1,4 milioni di ettolitri seguita da Francia e Paesi Bassi. Fra i paesi extraeuropei, al primo posto gli USA (217.827 ettolitri) che precedono Australia e Albania. Anche la produzione ha raggiunto nel 2017 il valore più alto in assoluto (15,6 milioni di ettolitri) in aumento del 7,5% rispetto al 2016: un dato che testimonia lo stato di salute del settore in un contesto in cui la produzione industriale nazionale ha registrato, nei dodici mesi del 2017, un aumento medio

The Italian Wine Journal

del 3%, stando all’indagine ISTAT diffusa a febbraio 2018. Tutta la filiera agricola ha, quindi, beneficiato dell’ampliamento degli ordinativi, al punto che nel 2017 la produzione italiana di malto (75.800 tonnellate) ha visto un aumento del 3,4% rispetto al 2016. In questo scenario l’occupazione del sistema brassicolo è rimasta sostanzialmente stabile (140.000 dipendenti), con un incremento complessivo di 3.000 unità rispetto allo scorso anno se si considera l’intero comparto: gli addetti diretti, indiretti e quelli dell’indotto. L’eccezionalità del momento vissuta dal settore birrario non è riconducibile, però, soltanto alla crescita delle esportazioni; anche nel mercato interno, infatti, si continua a registrare un apprezzamento per la birra commercializzata in Italia, con livelli di consumo pro-capite che per la prima volta toccano quota 31,8 litri, record assoluto ed in aumento di 0,4 litri rispetto allo scorso anno. La crescita della quota annuale di birra consumata si è tradotta, poi, in un aumento dell’1,6% dei consumi sul territorio nazionale che oggi superano i 19 milioni di ettolitri. Il 2017 ha visto anche un sensibile calo dell’import, diminui-to del 9,1% rispetto al 2016 e attestatosi a 6,4 milioni di ettolitri. Ancora una volta il principale esportatore di birra nel nostro Paese è stata la Germania, con oltre 2 milioni di ettolitri (il 31% del totale dell’import italiano), seguita da Belgio (23,7% dell’import), Paesi Bassi (11,5%) ed in successione da Regno Unito, Polonia, Danimarca, Francia, Slovenia, Austria, Repubblica Ceca, Irlanda, Spagna, Romania, Grecia, Svezia, Malta, Portogallo, Estonia e Finlandia. Complessivamente dai Paesi UE continua a provenire la quasi totalità (94,6%) delle nostre importazioni, mentre fra quelli extraeuropei primeggia il Messico con oltre 270.000 ettolitri. Il settore della birra artigianale ha registrato recentemente un vero e proprio boom. Dopo la nascita, in tutto il Paese, di nuove realtà imprenditoriali per gran parte giovanili, oggi i micro birrifici superano quota 850. Le organizzazioni censite da Nord a Sud contano 3000 addetti e si suddividono in birrifici artigianali (693) e brew pub (162). La quota di mercato a loro associabile è del 3,2%, per un produzione complessiva di 483.000 ettolitri. La regione in cui sono presenti più strutture è la Lombardia, che guida questa speciale classifica con 134 organizzazio-

73

giugno 2018


Birra ni. Più staccate, invece, Piemonte (80), Veneto (74) e Toscana (63), mentre la regione del Centro-Sud con più strutture è la Campania, che annovera 55 birrifici artigianali e brew pub. La soetenibilità infine della filiera: AssoBirra ha annunciato i propri target da qui al 2025. Prose-

guendo in un impegno che parte dal 1992 e che in un decennio ha visto il risparmio di 8 milioni di litri d’acqua e la non immissione di 62mila tonnellate di CO2 in atmosfera, entro sei anni il consumo di acqua calerà del 25% mentre del 50% scenderanno le emissioni di gas serra.

Mastri Birrai Umbri avvia il nuovo stabilimento L’ impianto di produzione sarà uno dei più grandi impianti di birra agricola in Italia e la sua malteria la più grande per un microbirrificio in Europa lavorando i sapori del territorio umbro: orzo, grano, cicerchie, lenticchie e farro

A

prile 2011 segna l’inizio dell’attività di Mastri Birrai Umbri. Giugno 2018 il birrificio artigianale di Gualdo Cattaneo apre le sue porte per mostrare il suo che selezionati e miscelati in modo sapiente e originale sono il cuore di birre uniche e ricercate. Le birre dei Mastri Birrai Umbri. Un nuovo birrificio da 70 ettolitri (il precedente era da 35 ettolitri, oggi dismesso e venduto a un birrificio di Berlino) per una produzione di birra che oggi si attesta intorno ai 25mila ettolitri l’anno ma che possiede un potenziale di ben 60mila ettolitri annui. Una malteria, dalla capacità produttiva di 960 tonnellate annue nominali, che trasforma orzo e frumento in malto per la produzione della birra. Una malteria che produce malto anche per altri birrifici artigianali. Perché la birra dei Mastri Birrai Umbri è un progetto che nasce dalla terra. Oltre mille ettari sono infatti coltivati con cura e attenzione per fare crescere le migliori materie prime. Oltre a farro, orzo e grano, anche cicerchie e lenticchie arrivano dai campi di proprietà intorno al birrificio (ma non solo) e sono tutti ingredienti che danno alle birre dei Mastri Birrai Umbri sapori unici. Birre dal gusto che nasce dalle terre umbre e dalla sapienza di anni di storia Farchioni. E non va dimenticato il luppoleto sperimentale innestato l’anno scorso alle spalle del birrificio. Mastri Birrai Umbri nasce da un’idea e una passione di Marco Farchioni che diventano progetto

The Italian Wine Journal

insieme ai fratelli Giampaolo e Cecilia. Tutti rappresentanti dell’ultima generazione dei Farchioni che, dal 1780, sono sinonimo di agricoltura, trasformazione delle materie prime in alimenti e, soprattutto, olio extravergine di oliva e vino. La Farchioni 1780 è infatti leader a livello mondiale nella realizzazione e commercializzazione di oli extravergini di oliva estratti a freddo. Nella stessa zona, nell’Umbria più verde che dal 1780 vede la famiglia Farchioni impegnata nell’attività di diretta trasformazione dei prodotti agricoli, è nato il birrificio Mastri Birrai Umbri che persegue lo stesso modus operandi di quella che è ancora oggi una family company del comparto agroindustriale: coltivare, trasformare e imbottigliare. Il tutto in un impianto all’avanguardia ma realizzato anche sfruttando il know-how che il gruppo Farchioni ha affinato in oltre due secoli di lavoro. Per quanto riguarda infatti la parte tecnica della malteria, infatti, Mastri Birrai Umbri ha attinto dall’esperienza dei Molini (Molini Farchioni che produce farine per professionisti pasticceri, panettieri e pizzaioli) e si è assicurato impianti ad alto tasso di innovazione e tecnologia. Il birrificio ha inoltre una sala cottura di tradizione bavarese e anche in questo vantano macchinari ad alta tecnologia per assicurare dei prodotti buoni e costanti nel tempo.

74

giugno 2018


N

el 1988 a New York il giornalista e inviato speciale Steve Hindy e il consulente bancario Tom Potter diedero vita a quello che 30 anni dopo sarebbe diventato un mito mondiale dell’arte birraia: Brooklyn Brewery. Il birrificio nasce dall’incontro di due professionisti affermatisi in settori differenti e fu aperto proprio nel borough newyorchese che da sempre ha sintetizzato al meglio – esaltandole – storie e culture differenti. Così negli stessi luoghi che sono stati il set di pellicole di successo – da C’era una volta in America a La febbre del sabato sera – e in cui sono nate e cresciute star internazionali di calibro di Jay Z, Michael Jordan, Anna Hathway e Adam Richman – solo per citarne alcune – è andato affermandosi anche il birrificio diventato una tappa d’obbligo per quanti passano dalla Grande Mela e vogliono scoprire sotto un’altra prospettiva il fascino del sogno americano. Alla fine del 1800 Brooklyn era uno dei più grandi centri brassicoli degli Stati Uniti, ospitando oltre 45 birrifici ma, a partire dagli anni del proibizionismo, la zona ha conosciuto un declino inarrestabile. Agli inizi degli anni ’80 del Novecento la scena birraia di Brooklyn era praticamente estinta, ed è proprio in questo contesto e con l’obiettivo di far rinascere una tradizione che era andata perduta che Hindy e Potter fanno la loro scommessa. Ma come nasce Brooklyn Brewery? Steve Hindy, tornato a New York dopo un periodo trascorso a fare il giornalista in Medio Oriente, iniziò a produrre birra in casa. Questa passione diventa contagiosa a tal punto che coinvolse il suo vicino di casa, il consulente bancario Tom Potter, nell’apertura di un birrificio nel quartiere di Williamsburg. Nel 1994 si unì a loro Garret Oliver, non solo Mastro Birraio di talento, scrittore di alcuni tra più importanti libri sulla birra e abbinamento cibo/birra ma anche sperimentatore vincente, conoscitore come pochi dell’arte birraria e grande viaggiatore che, negli anni, ha dato vita ad una serie di birre straordinarie divenute famose e ricercate in tutto il mondo. Fin da subito l’obiettivo dei fondatori è stato quello di rendere il loro tempio della birra un posto unico dove vivere al meglio l’esperienza di Brooklyn Brewery per tutte le persone che vivono o visitano nella Grande Mela. La qualità produttiva e la capaci-

tà innovativa di Brooklyn Brewery sono tali da averla resa oggi il “faro” della scena craft internazionale e porta in tutto il mondo la tipica anima newyorchese capace di coniugare culture, sapori, tradizioni diverse arricchendole e trasformandole. In Italia sono presenti due delle birre simbolo di Brooklyn Brewery, ovvero Brooklyn Lager e Brooklyn East IPA che, grazie al sistema di spillatura DraughtMaster™ (la rivoluzionaria tecnologia senza CO2 aggiunta di proprietà di Carlsberg Italia), possono essere apprezzate come appena prodotte nel birrificio di New York. Brooklyn Lager è la prima ricetta prodotta nel 1988 da Brooklyn Brewery e da allora è la sua icona indiscussa. Oggi definita American Amber Lager, è di color ambrato con un carattere centrato sui malti sostenuto dai luppoli che, oltre a donare piacevoli aromi floreali, agrumati e leggermente resinosi, donano un amaro non eccessivo ed elegante. Le note date dai luppoli vengono esaltate dal dry-hopping (luppolatura a freddo), secolare pratica che consiste nell’immergere nella birra fiori di luppolo durante la fase di maturazione a freddo. Brooklyn East India Pale Ale è una birra ispirata alla tradizione britannica, color oro pieno con riflessi ambrati, prodotta con malto inglese e luppoli sia inglesi (East Kent Golding) che americani. Al naso è strutturata con aromi resinosi e fruttati, mentre in bocca il carattere del malto supporta perfettamente la forte luppolatura anche qui utilizzata sia in fase

75

Birra

Compie 30 anni Brooklyn Brewery, lo storico birrificio che ha portato in Italia il mito della Grande Mela


Birra di amaro che di aroma. È una birra incredibilmente bilanciata, lontana forse dalle IPA americane della costa “West”, da luppolature e amaro estremi. Infine l’ultima arrivata è Brooklyn Naranjito è la prima Orange Peel Pale Ale: una American pale ale che si è spinta leggermente oltre i canoni tradizionali. Nasce dall’abbinamento dei luppoli aromatici Simcoe e Summit con scorze di arance dolci che creano un equilibrio perfetto tra note agrumate e luppolate.

AB InBev lancia il programma 100+ Accelerator per finanziare l’imprenditoria locale che punta a risolvere le sfide globali della sostenibilità chiarato Tony Milikin, Chief Sustainability & Procurement Officer di AB InBev. “In AB InBev abbiamo una visione a lungo termine per consentire all’azienda di mantenersi attiva per i prossimi 100 anni, e oltre, facendo leva sulla sostenibilità in tutte le nostre iniziative. Il nostro approccio è radicato nelle comunità in cui viviamo e lavoriamo, posizionate in modo ideale per supportare gli imprenditori impegnati ad affrontare le sfide locali. Attraverso l’iniziativa 100+ Accelerator, gli innovatori potranno sfruttare il nostro mix di risorse, esperienza e presenza globale per velocizzare i progressi e la scala d’azione». I progetti selezionati saranno annunciati a settembre 2018 e invitati a far parte dell’iniziativa 100+ Accelerator, che sarà inaugurata ufficialmente a New York City in ottobre e durerà sino a marzo 2019 Il lancio del programma 100+ Accelerator scaturisce dal recente annuncio 2025 Sustainability Goals effettuato da AB InBev che è una multinazionale quotata in borsa, con base a Lovanio, in Belgio. AB InBev è impegnata nella valorizzazione di grandi brand che resistono alla prova del tempo, producendo le migliori birre a partire dalle più pregiate materie prime. Il portfolio di AB InBev include oltre 400 brand, globali e locali, come Corona®, Leffe®, Beck’s®, Stella Artois®, Hoegaarden®, Bud Light®, Brahma® e Jupiler®. Con una storia e tradizione di oltre 600 anni, i brand del gruppo hanno attraversato continenti e generazioni, dal Belgio, agli Stati Uniti, fino al Sud Africa e al Brasile, consolidandosi in ogni mercato, emergente e non. AB InBev conta su 200.000 dipendenti in oltre 50 paesi in tutto il mondo e nel 2016 il gruppo ha realizzato un fatturato di 45.5 miliardi di dollari.

A

nheuser-Busch InBev invita esponenti accademici, scienziati ed esperti di tecnologia a partecipare alla propria iniziativa 100+ Accelerator, nata allo scopo di mobilitare i migliori cervelli del pianeta per risolvere alcune delle più urgenti sfide globali relative alla sostenibilità. AB InBev è infatti alla ricerca di partner che siano in grado di compiere rivoluzionari passi avanti in una serie di aree come la conservazione delle risorse idriche, la produttività agricola, il riciclo e riutilizzo dei prodotti, l’approvvigionamento responsabile e la logistica green. Le startup interessate possono partecipare con le proprie soluzioni alle 10 sfide che sono state identificate con il contributo di stakeholder interni ed esperti esterni di tutto il mondo. I progetti ammessi riceveranno mentoring, finanziamenti e accesso a nuovi network. «Le aziende globali sono invitate a contribuire in modo più determinante alla creazione di un mondo migliore per tutti”, ha diThe Italian Wine Journal

76

giugno 2018


Birra

Peroni Gran Riserva, arriva Bianca: ecco la prima weiss della famiglia

«ìOì», la birra gluten free del birrificio agricolo e naturale Gjulia

L

«i

a gamma Peroni Gran Riserva si allarga con una Weizen destinata a tutti coloro che vogliono apprezzare il gusto autentico di una birra prodotta con Malto 100% Italiano e nel pieno rispetto dello stile birrario di riferimento. La prima Weiss del birrificio italiano nato nel 1846 nasce infatti nel solco di un’esperienza birraria che affonda le sue radici nell’antichità, fino all’Età del Bronzo. È quella l’epoca del primo residuo di produzione di una birra di frumento, trovato in Baviera all’interno di un’anfora risalente a più di 2.800 anni fa e che ha dato vita ad una tradizione tramandata fino ai giorni nostri. Piacevolmente beverina, caratterizzata da un gusto aromatico e fresco e da una schiuma bianca e persistente, Peroni Gran Riserva Bianca deve le sue caratteristiche al processo produttivo e ai suoi ingredienti principali: è infatti prodotta secondo un metodo tradizionale che prevede l’utilizzo di lieviti ad alta fermentazione, tipico delle birre Weiss, utilizzando malto d’orzo e di frumento e Malto Italiano Chiaro di qualità selezionata che donano al prodotto un elegante colore biondo torbido e un aroma fruttato e speziato, con un particolare sentore di chiodi di garofano. Prodotta nei formati fusto da 16L e bottiglia da 50Cl, sarà presente sia nella GDO che nel “fuori casa” (Ristoranti, Pub, Pizzerie, Bar).

The Italian Wine Journal

Oi» è una birra di malto d’orzo senza glutine che mai farà rimpiangere la birra tradizionale. È prodotta esclusivamente con malto d’orzo (un cereale con glutine, dunque!), ma durante la lavorazione, al momento dell’inseminazione del lievito, viene aggiunto un enzima chiamato endo-proteasi che si occupa dell’estrazione completa del glutine senza alterare il sapore della vera birra artigianale. Grazie a questo processo completamente naturale, a fine fermentazione, la birra ottenuta è perfettamente gluten free: bionda, dal colore giallo carico con riflessi aranciati, al naso giunge con profumo di agrumi, al palato trasmette freschezza e assicura abbinamenti perfetti per qualsiasi occasione. Il suo tenore alcolico, 4,7% vol, infatti, la rende adatta a ogni modalità di consumo e a diversi abbinamenti, dalla pizza alle carni bianche al pescato, nonché assolutamente godibile da sola. Insomma, una birra davvero all day round la cui principale caratteristica è quella di essere buona, prima ancora che senza glutine. Rifermentata ed affinata in bottiglia, da servirsi a una temperatura tra gli 8 e i 10 °C, non è filtrata né pastorizzata ed è realizzata completamente con malto di produzione propria. Il birrificio Gjulia, infatti, si avvale dell’acqua del vicino Monte Mia, risultata dalle analisi la migliore per praticare la nobile arte del brassaggio, e di ben 14 ettari di orzo. Caratteristiche che, insieme al fatto che l’energia utilizzata proviene direttamente da fonti rinnovabili, fanno sì che questo birrificio venga considerato «agricolo» oltre che «artigianale». La «ìOì», infatti, è realizzata usando solo prodotti che per più del 51% provengono direttamente dai campi di proprietà dell’azienda. Una realtà, quella guidata dai fratelli Marco e Massimo Zorzettig, che già vanta un’ottima reputazione in fatto di vino visto che due titolari sono il volto e il cuore delle aziende vitivinicole La Tunella e Altùris. E con la stessa passione hanno iniziato a occuparsi di birra, partendo – da vignaioli doc quali sono! – dalle materie prime quali orzo, frumento, luppolo e, appunto, acqua.

77

giugno 2018


Distillati

Talisker 40 anni Bodega: uno dei rilasci più maturi ed eleganti di sempre affinato in botti da sherry

A

Questa nuova serie condurrà i collezionisti in un eccezionale viaggio per mare, dall’isola di Skye fino alla Spagna, e nelle storiche cantine del celebre “Triangolo dello sherry”, dal quale un tempo Talisker faceva giungere le proprie botti. Il distillato è stato sapientemente affinato usando botti da sherry molto speciali e inconsuete, al fine di rievocare l’antico rapporto, basato su perizia ed eccellenza, tra Talisker e Delgado Zuleta, una delle migliori e più antiche cantine che producono sherry. Situata nella regione vinicola del Marco de Jerez, questa cantina sorge nei pressi di Sanlucar de Barrameda, città costiera sede delle collaborazioni commerciali con Talisker già dagli inizi del secolo scorso. Per reinterpretare gli aromi del passato e rievocare antichi rapporti, il Master Blender di Talisker ha contribuito a creare questo raffinato distillato, grazie a una selezione dei più maturi e reputati whisky

rriva in Italia Talisker Bodega Series, l’eccezionale frutto dell’affinatura dei più sofisticati single malt in botti da sherry. Riuscita celebrazione del secolare rapporto con lo sherry, che risale ai primi del Novecento, il Talisker Bodega Series rende omaggio agli albori della produzione Talisker, quando il whisky Talisker single malt veniva fatto maturare quasi esclusivamente in botti che avevano contenuto sherry. Questo Talisker invecchiato 40 anni è il primo ed esclusivo whisky della serie Bodega. Prodotto ultra premium, questo whisky è uno degli imbottigliamenti con il maggiore invecchiamento nella storia della distilleria dell’isola di Skye e si preannuncia come uno dei Talisker più raffinati di sempre. Con appena 2.000 bottiglie prodotte, non sarà soltanto uno dei più maturi, ma anche uno dei più rari e costosi mai imbottigliati.

The Italian Wine Journal

78

giugno 2018


Distillati

Talisker del 1978, invecchiati 40 anni in botti di secondo passaggio. Collaborando con i maestri dello sherry della bodega Delgado Zuleta, per l’affinatura del Talisker gli esperti hanno scelto, una per una, cinque tra le migliori botti che avevano contenuto il pluripremiato e ricercatissimo sherry Amontillado invecchiato 40 anni, il meglio della produzione di sherry della cantina. Queste botti hanno attraversato il mare fino all’isola di Skye per concludere il viaggio di un altrettanto speciale Talisker, anch’esso invecchiato 40 anni. Il risultato è una sensazionale eco del vecchio Talisker, impreziosita dal delicato accento conferito dalle botti di sherry Amontillado: ricchi aromi speziati e di uva passa, una caratteristica e opulenta dolcezza e un fruttato sentore affumicato. La profondità delle botti di Amontillado Delgado Zuleta si riflette nelle piacevoli ondate dolci e fruttate, che promettono un contrasto ricco e raffinato con la tradizionale nota speziata del Talisker, dando vita a un whisky estremamente vigoroso e meraviglioso da assaporare. Donald Colville, ambasciatore di Talisker nel mondo, commenta: “Il Talisker invecchiato 40 anni è un whisky scozzese single malt davvero eccellente. Grazie all’antico rapporto di collaborazione con la cantina Delgado Zuleta e alla sofisticata maestria in ogni fase di produzione, questo raro distillato è pregno di storia e tradizione, un’autentica espressione del lusso! Si tratta di un buon vecchio Talisker, forte e affascinante, ricco di tutta la raffinatezza conferita dal tempo, ma ancora pieno di vita e dell’inconfondibile carattere del brand. Conoscitori e collezionisti faranno a gara per assicurarsi una bottiglia di Talisker invecchiato 40 anni... Questo whisky, dorato e squisito, è sorprendente e unico nel suo genere per

The Italian Wine Journal

via delle inconsuete tecniche di produzione e per la ridotta quantità prodotta”. La bottiglia, serigrafata e realizzata in soli 2.000 esemplari, è racchiusa in una custodia in legno fabbricata a mano che evoca le numerose fasi della straordinaria storia di questo whisky. Il sontuoso disegno è ispirato agli eleganti archi delle cantine in cui si produce lo sherry e alla struttura della meridiana di Sanlucar de Barrameda, località in cui venivano stoccate le botti Delgado Zuleta. Talisker ha unito le abilità artigianali della tradizione e le tecniche di affinatura della modernità per creare un whisky raro e prezioso, perfetta incarnazione di un rapporto reso più forte dal passare del tempo. Questo whisky scozzese single malt in edizione limitata diventerà protagonista delle più raffinate collezioni di whisky in ogni parte del mondo. “Si tratta di un magnifico esempio della qualità Talisker: consistente e profondo, proprio come ci si aspetta dal prolungato invecchiamento, ma ancora vitale e ricco del carattere marino e speziato tipico del marchio. È un vero privilegio poter assaporare un distillato così unico!”. Charlie MacLean, scrittore ed esperto di whisky.

79

giugno 2018


Ultima pagina

Torna “Life of Wine”: ai banchi di assaggio sessanta grandi produttori da tutta Italia, oltre 200 etichette e più di 130 vecchie annate

L

ife of wine, evento unico nel mondo del vino interamente dedicato alle vecchie annate ed ai vini dal lungo percorso, si appresta alla sua settima edizione. Domenica 28 ottobre a Roma, nelle sale dell’Hotel Radisson Blu (via Filippo Turati 171, di fronte alla Stazione di Roma Termini), sessanta produttori da tutta Italia, fra grandi nomi e piccoli vignaioli di alta qualità, proporranno in degustazione ai banchi di assaggio altrettante microverticali delle loro etichette più rappresentative, per un viaggio unico nel tempo fra oltre 200 etichette e più di 130 vecchie annate rare e preziose. Ad attendere il pubblico ci saranno anche degustazioni guidate (a numero limitato, a pagamento ed

Direttore responsabile: Beppe Giuliano email: boss@euposia.it telefono +39 045 591342 Vicedirettore: Nicoletta Fattori email: fattori@euposia.it telefono +39 045 591342 Redazione e Degustazioni (dove inviare i Campioni): Via Luigi Negrelli, nr 28 37138 Verona tel. fax. 045.591342 email: desk@giornaleadige,it Enzo Russo Caporedattore Enogastronomia email: desk@giornaleadige.it Hanno collaborato a questo numero: Alessandra Piubello, Elisabetta Tosi, Carlo Rossi, Giulio Bendfeldt, Magda Beverari, Daniela Scaccabarozzi, Emanuele Delmiglio

accessibili con prenotazione sul sito www.lifeofwine.it da metà settembre); incontri tematici, alla presenza di alcuni produttori di Life of Wine, condotti grandi firme del mondo vinicolo italiano ed estero. Life of wine, manifestazione ideata e curata da Studio Umami (www.studioumami.com) – agenzia specializzata in comunicazione ed organizzazione di manifestazioni enogastronomiche – si avvale anche quest’anno della collaborazione del wine writer FRrancesco Falcone e da questa nuova edizione anche di quella del giornalista Maurizio Valeriani entrambi impegnati a rafforzare la selezione delle aziende per renderla ancor più rappresentativa delle tante anime del vino italiano. Il costo delle degustazioni guidate ed il loro programma saranno presto on line (www.lifeofwine.it).

Impaginazione: Delmiglio email: redazione@delmiglio.it telefono: 045 6931457 Copertina: Archivio Genagricola Concessionaria per la pubblicità: Fantasia Edutainment SRLS-Verona email: fantasiaverona@gmail.com Per il sito www.challengeeuposia.com Fantasia Edutainment SRLS email: fantasiaverona@gmail.com Per il sito: www.italianwinejournal.com Fantasia Edutainment SRLS email: fantasiaverona@gmail.com Stampa: Giorgione Communication Rossano Veneto (Vi)

The ItalianWineJournal

Challenge Euposia @Challengeuposia

Distribuzione per le edicole Sodip Spa, via Bettola, 18 20092 Cinisello Balsamo Prezzo della rivista: 5 euro Arretrati: 8 euro + spese di spedizione Per informazioni: tel. 045.591342 Editore: Fantasia Edutainment Srls, via Leone Pancaldo 32, 37138 Verona Iscr. Roc n. 12207 del 02/XI/2004 Registrazione Tribunale di Verona n. 1597 del 14/05/2004



Prosecco a Valdobbiadene dal 1952 Il 1952 è l’anno di inizio del nostro percorso legato al Prosecco Superiore Valdobbiadene D.O.C.G. Ecco perché, quando abbiamo raggiunto l’espressione più raffinata di una storia, di un territorio e di una passione che dura da 60 anni, abbiamo pensato che il suo nome potesse essere uno solo: 52.

www.santamargherita.com

Sagrantino di Montefalco 2014 - Nobile di Montepulciano 2015 - Bonarda Oltrepo - Sangiovese di Romagna - Montonale - Rosè Santa Margherita GV - Cava - Cantina Coffele - Sangiovese di Romagna, Riserva 2015 - Montonale, Orestilla 2016 - Cava, bilancio di un anno - Bollicino Matito della Taverna Kus - Rosati, dall’Alto Adige alla Maremma

VALDOBBIADENE PROSECCO SUPERIORE “52” SANTA MARGHERITA:

The Italian Wine Journal La Rivista

del

Vino

Per chi ama il vino e per chi vuole conoscerlo - Anno II - n. 3 - Euro 5 - estate 2018

Sagrantino: i nostri preferiti del millesimo 2014 Nobile di Montepulciano in crisi di identità Oltrepo Pavese: la riscossa della Bonarda

www.italianwinejournal.com Sangiovese di Romagna, Riserva 2015 - Montonale, Orestilla 2016 - Cava, bilancio di un anno - Bollicino Matito della Taverna Kus Rosati, dall’Alto Adige alla Maremma - Otto vini per l’ombrellone - Cantina Coffele - Birra, record italiano - Talisker 40 anni Bodega BIMESTRALE - “Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 NE/VR


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.