The Italian Wine Journal - # 7 dicembre 2019

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The Italian Wine Journal La Rivista

del

Vino

Per chi ama il vino e per chi vuole conoscerlo - Anno IV - n.7 - Euro 5 - dicembre 2019 T he I talian W ine J ournal , anno IV numero 7, dicembre 2019 – L a V ersa - C hallenge E uposia , i vincitori 2019 - P anettoni artigianali - C ava - D olcetto - L ambrusco di M odena e R eggiano - P rosciutto di C arpegna

La Versa, rinascita in Oltrepò

Paul Chollet e Camel Valley vincono il Challenge Euposia Ecco i migliori panettoni artigianali d’Italia

www.italianwinejournal.com Vigneto Veneto, Prosecco e Pinot grigio dominano - Ribera del Duero, arriva l’Albilla Mayor – Cava, arriva la zonazione – Orvieto DOC, così torna un territorio antico – Lambrusco di Modena - Dolcetto, l’eclettico – Lambrusco Reggiano – Cantina di Soave, bilancio record – Vallepicciola – Prosciutto di Carpegna, dolcezza in cucina BIMESTRALE - “Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 NE/VR






Sommario

Reportage

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Vigneto Veneto, Prosecco e Pinot grigio dominano la superficie vitata Ribera del Duero, arriva il vitigno Albilla Mayor Cava, quattro aree in Spagna e cinque sottozone in Catalogna per sconfiggere la sfida dei picoli vigneron La Versa, torna il Testarossa Orvieto DOC, cos’ rinasce un territorio antico Lambrusco di Modena, bollicine da tradizione Dolcetto, l’eclettico Lambrusco Reggiano, la forza del blend

Cantine

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Buglioni, l’ancestrale della Valpolicella Cantina di Soave, continua la crescita. Bilancio record Cremant de Bourgogne Paul Chollet, campione del mondo Vallepicciola, sentinella del Chianti Fondo Antico, arriva lo zibibbo “Bello mio” Le Marchesine, matching col salmone

Wine & Food Prosciutto di Carpegna, dolcezza in cucina Panettoni artigianali, ecco i dodici migliori d’Italia Formaggio Asiago, quarant’anni di crescita

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Tasting si ai 300 metri sul livello del mare. Il Chianti Classico Riserva 2015 viene realizzato seguendo la più classica delle tradizioni: lunga macerazione sulle bucce, affinamento di quattordici mesi in barrique e tonneaux, altri nove mesi in bottiglia prima di sbarcare nelle enoteche e nella ristorazione d’alta gamma. Per chi ama il Chianti, questa Riserva è una grande conferma: potente sin dal colore nel bicchiere, sprigiona immediatamente profumi di frutta nera, sottobosco, ciliegia sottospirito, un accenno balsamico. E, ancora, le classiche note dell’affinamento: spezie, cuoio, un finale di the nero. Il palato è altrettanto potente, ampio e caldo, con un primo impatto di grande intensità cui segue un grande equilibrio. Tornano le note fruttate, la ciliegia, la prugna, il rabarbaro. Mai pesante, mai soverchiante, impone la sua “presenza” con una grandissima eleganza. E’ molto lungo, ha un finale sapido che si chiude su una nota di marasca. E’ molto invitante alla beva, e non fa avvertire il suo grado alcolico. Soprattutto, riesce a star bene con tutto. Un vero compagno di tavola, un amico da avere sempre in cantina.

Villa Cerna (famiglia Cecchi) Chianti classico Riserva 2015: la degustazione Nel 1893 Luigi Cecchi, “palatista” di Poggiboni, mise a frutto la sua capacità di assaggiare professionalmente il vino ed avviò l’azienda vinicola che, 125 anni dopo, ancora porta il suo nome. Cecchi è una delle maison toscane più note al grande pubblico – il suo Morellino di Scansano è stato uno dei primi clamorosi successi delle enoteche nella grande distribuzione ed è ancor oggi la prima etichetta venduta nel canale moderno – e dagli Anni Sessanta in poi è stata protagonista di una importante politica di crescita e di acquisizioni. Partendo da vigneti in Toscana aggiungendo al Chianti Classico la Maremma, Scansano, San Gimignano per arrivare poi in Umbria col Sagrantino di Montefalco. Ad oggi, la famiglia Cecchi possiede 400 ettari vitati di cui 230 sono a conduzione biologica a conferma dell’attenzione al tema della sostenibilità che vede la maison toscana impegnarsi fortemente nel riutilizzo delle acque reflue per combattere lo spreco di acqua dolce. «In effetti – spiega Andrea Cecchi, quarta generazione in azienda, oggi amministratore delegato – la Toscana non ha soltanto un grande passato nel vino, ma ha soprattutto un grande futuro. Abbiamo riscoperto la territorialità, stiamo valorizzando i nostri autoctoni, e stiamo spingendo fortissimo sulla sostenibilità ambientale e sociale: questa regione, fatta di alternanza nelle coltivazioni, con una quota importante di patrimonio boschivo, beneficiata da un clima unico, è la culla ideale per il biologico, un progetto che coinvolge tantissime imprese “appassionate“». Villa Cerna è stata la prima grande acquisizione della famiglia Cecchi. Ubicata alla porta d’ingresso del Chianti classico da nord, affacciata verso Castellina, vigneto sin dall’anno Mille, è stata oggetto di importanti lavori nella sistemazione della campagna e nella costruzione della cantina e della Foresteria che permette ai winelover di godere in loco dei frutti della Villa: 80 ettari complessivi di vigneto a Sangiovese, Colorino e Cabernet sauvignon su una collina che arriva sino qua-

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Buglioni: Valpolicella Classico “L’Imperfetto 2016” e Metodo ancentrale zero dosage “Molì” 2016, la degustazione Start-up nel 1993 coi primi tre ettari e mezzo acquisiti in Valpolicella, Buglioni è oggi diventato uno dei player più interessanti del distretto scaligero. Gli ettari vitati sono saliti a 46 (alla sede originaria di Corrubio si sono aggiunti nuovi vigneti a Sant’Ambrogio di Valpolicella ed a San Pietro in Cariano); le bottiglie prodotte a 150mila l’anno, ma soprattutto è diventata una sorta di modello per l’integrazione avviata sin da subito col turismo. Oggi un Relais – la Dimora del Bugiardo -, una Locanda di charme e, soprattutto, tre Osterie del Bugiardo nel cuore storico di Verona (in Corso Porta Borsàri, a pochi metri da Piazza delle Erbe), a Villafranca di Verona ed a Santa Maria di Negrar. Le Osterie hanno rappresentato una delle chiavi del successo per Buglioni – lo skill del fondatore Alfredo Buglioni vede non a caso una solida esperienza nel tessile-abbigliamento, dalla produzione alla vendita – diventando il primo punto di vendita e promozione della cantina, un modello seguito ancora con troppa titubanza dal settore rappresentando però una delle chiavi per una ottimale e profittevole gestione.

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Tasting Grande il lavoro fatto sulla qualità dei vini partendo dai classici della Valpolicella – Amarone, base e Riserva, Recioto, Ripasso (un “falso” Amarone da cui deriva tutta l’efficace strategia di comunicazione del brand), Valpolicella – basati sugli autoctoni corvina, corvinone, rondinella e molinara cui si sono aggiunti più recentemente oseleta, croatina e garganega. Come conseguenza dei nuovi impianti anche due metodi charmat e un nuovissimo metodo ancestrale su base molinara.

viene assemblato con quello da uve passite vinificate a novembre. Fermentazione malolattica svolta. Affinamento in tonneaux di rovere per 6/8 mesi . La degustazione dell’Imperfetto è davvero appagante. Già al naso è un’esplosione di profumi caldi e profondi, molto netti. Frutta rossa matura, ciliegia in confettura, rabarbaro, sottobosco e cuoio. Il palato è estremamente coerente col naso, molto caldo, ricco: tornano le note fruttate, marasca e durone sotto alcol, prugna, tabacco e cuoio. Un finale maschio segue un ingresso morbido. Molto persistente, dal finale interminabile. Di grande soddisfazione, invitante nonostante un’impronta alcolica che si palesa importante. Un grande vino, un ottimo testimonial per Buglioni.

Molì Metodo ancentrale zero dosage 2016 Grande la curiosità per questo vin mousseaux che nasce dalla più tradizionale tecnica per arrivare ad un vino frizzante/spumante: leggera pressatura delle uve per estrarre i lieviti autoctoni presenti sulle bucce; fermentazione in acciaio inox a temperatura controllata, di solito a bassa temperatura. Qui la fermentazione viene prima rallentata e poi bloccata conservando un contenuto di zuccheri sufficiente per la rifermentazione in bottiglia, senza ulteriori aggiunte di zuccheri e lieviti. Con la riscoperta dell’interesse per vini “naturali” ha ripreso forza questa tecnica di spumantizzazione che trova importanti testimonianze in Champagne, a Limoux e in Italia, Lambrusco ad esempio, ma non soltanto. In questo caso, le uve utilizzate sono di molinara, la pressatura ha quindi evitato il contatto mosto/bucce, un blanc-de-noirs se vogliamo tirarcela un po’. Nel bicchiere, ovviamente, il vino è un po’ torbido (ma è normale che sia così, guai fosse il contrario…), con un perlage però di bella consistenza. Al naso sono immediati i profumi di lievito e di frutta a pasta bianca; il palato è bello vibrante, tornano note fruttate e si evidenzia una spalla acida importante. Note aromatiche ed un finale di frutta secca con mandorla amara a rendere non stucchevole il vino e invitante ad una ulteriore beva. Poche le bottiglie in circolazione – appena mille200 -; consideriamolo quindi un primo passo verso una produzione più importante, del resto giustificata dalla qualità del Molì.

Castello di Spessa, Pinot Bianco Santarosa DOC Collio 2018: la degustazione È il vino più premiato di Castello di Spessa, tenuta agricola con annesso resort e golf nel cuore del Collio goriziano di proprietà della famiglia di mobilieri friulani guidata da Loretto Pali, e proviene dalla “Vigna dei 3 Pinot” a Capriva avviata nel duemila affidata al maestro dei potatori Marco Simonit. In questa vigna si è scelto il guyot, forma di allevamento poco utilizzata nel Collio, che ha lo scopo di preservare la vite e portare l’età utile del vigneto sino a sessant’anni. Il terreno su cui poggia il vigneto è la classica ponca costituita da marne ed arenarie, tipica delle colline che segnano il confine fra Italia e Slovenia. Alla pressatura le bucce vengono immediatamente separate dal mosto; segue una fermentazione classica in acciaio a temperatura controllata con affinamento sulle fecce sino al marzo successivo la vendemmia. Segue poi l’imbottigliamento. Al naso profumi immediati di fiori bianchi, frutta a pasta bianca ed acacia; il palato è ampio con note fruttate di mela gialla, pera williams, cui si aggiungono note tropicali più dolci ed avvolgenti. Persistente, finale lungo, molto appagante ed invitante. Dal vigneto di Capriva arrivano anche altri due

Valpolicella Classico Superiore DOC “L’Imperfetto” 2016 Ecco, se cercate un Valpolicella “classico”, un vino che sia il testimone ideale della denominazione, con L’Imperfetto lo avete trovato. L’uvaggio vede 50% corvina, 20% corvinone, 25% rondinella e croatina a chiudere. Le note tecniche segnalano una macerazione di 10 giorni per le uve fresche e di 20 per quelle appassite. Il vino ottenuto dalle uve fresche a settembre

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Jako Wine Pas dosè 2015 metodo classico: la degustazione È nell’amicizia che nasce il vino. Racconta l’imprenditore di lungo corso Luca Berti, Ceo e founder di Jakowine. “Jako Wine trae origine dall’incontro tra un enologo di rara sapienza ed un esperto instancabile ambasciatore del vino. Il progetto Jako Wine nasce nel 2015, dalla produzione di uno spumante metodo classico, condiviso agli inizi esclusivamente per gli amici: poche bottiglie degustate in compagnia durante le occasioni di incontro e di festa. A quel tempo non avevamo ancora il progetto di vendere un prodotto così prezioso e vicino al nostro cuore.” La pienezza di questo vino evoca perfino il gesto della sua pigiatura, sotto un sole autunnale. Dorato splendore e sfumature di grano. Candide gocce di ambrata rugiada al colore si mescolano con riflessi giallo-paglierino dorati. Al naso un fresco bouquet espande note di fiori bianchi e frutti a pasta bianca. Equilibrato, cremoso e fruttato al palato a tal punto da invitarti a bere ancora. Il suo sapore pieno e avvolgente, bene si lega alla texture, di un perlage fine e persistente. Cinque ettari di terreno vitato di tipo morenico, situato a sud del Lago di Garda con esposizione Nord/Sud, con un sistema di allevamento a Guyot, evidenziano l’ottimale, dato dalla densità d’impianto di 3500/4000 per ettaro. Talvolta si interviene con potatura estiva se necessario. Un vino – il blend vede chardonnay al 60% e garganega – prima che uno spumante, che si fa bolla leggiadra e carezzevole. Nato grazie alla collaborazione con il guru Severino Barzan, una delle personalità più conosciute nel mondo del The Italian Wine Journal

È Gavino Piu il vincitore della prima edizione del “Premio Mesa” dedicato ai giovani chef emergenti della Sardegna promosso da Cantina Mesa È Gavino Piu, 29 anni, touche blanche dello Janas Restaurant di Alghero, il vincitore della prima edizione del Premio Mesa. “Filetto di vitello al Buio Buio, come una volta”, una rivisitazione in chiave moderna di un’antica tecnica di cottura della carne e un omaggio agli allevatori sardi, presentato in abbinamento al Carignano del Sulcis Riserva Buio Buio 2016 di Cantina Mesa: questa la formula vincente per aggiudicarsi il gradino più alto del podio del Premio Mesa, contest lanciato da Cantina Mesa per premiare la crescita della ristorazione sarda attraverso i suoi protagonisti, gli chef. I tre finalisti in gara – preselezionati tra le oltre venti candidature di giovani chef attivi nell’Isola di età compresa tra i 20 e i 35 anni – si sono sfidati lunedì 2 dicembre presso l’Hotel Regina Margherita di Cagliari, per convincere una giuria d’eccezione: Giovanni Fancello, giornalista, gastronomo e scrittore; Ivan Paone, vice direttore de L’Unione Sarda; Anais Can-

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vino e dello sparkling in particolare. “La ricerca condotta dal nostro wine maker e dal nostro agronomo ha portato a identificare i migliori terroir. Dalla preparazione del terreno alla gestione del vitigno, tutto è gestito con una logica di perfezione maniacale. Anche la raccolta (rigorosamente a mano) e la vinificazione seguono logiche dettate dai nostri esperti. Il risultato finale è un prodotto di grande qualità. La preparazione e la scelta del Cru esigono una specializzazione aziendale che determina l’impronta del vino. E’ guida per la nostra migliore produzione. Ogni fase del processo successivo prevede la conservazione dei vini in ambienti rigorosamente climatizzati. Il loro trasporto è compiuto in temperatura controllata in modo tale da mantenerne aromi e qualità. Non solo la geografia o il metodo di produzione, ma la costante dedizione assicurano sempre la migliore qualità alle 4000 bottiglie prodotte nell’espressione 2015” dice Berti.

cru: il Pinot Grigio Joy ed il Pinot Nero Casanova che compongono il trittico di punta di questa tenuta che si articola su 28 ettari di vigneto sul Collio cui si aggiungono altri settanta circa nella DOC Isonzo.


Tasting cino, @Wineteller; Albero Piras, sommelier de Il Luogo di Aimo e Nadia, ristorante **Michelin di Milano; e Gavino Sanna, il pubblicitario italiano più famoso e premiato, fondatore di Cantina Mesa. E proprio di Gavino Sanna il commento di apertura della finale: «Ho lanciato una sfida ai giovani chef di Sardegna per guardare insieme al futuro di questa regione, e la risposta è stata straordinaria. Sono molto felice per l’interesse che questo Premio ha suscitato e soprattutto per il grande valore delle proposte ricevute. Oggi vedremo come l’intreccio tra storia, cultura, agricoltura e gastronomia costituisce un grande valore per la Regione Sardegna». La Sardegna vanta infatti un eccezionale patrimonio culturale e, in questo, l’evoluzione e l’affermazione della sua tradizione gastronomica possono rappresentare un volano di prim’ordine verso un nuovo modello di sviluppo per l’intera Regione, capace di creare occupazione e ricchezza nel totale rispetto del territorio, della sua identità e della massima sostenibilità. Prossimo passo per il vincitore Gavino Piu sarà godersi il premio messo in palio da Cantina Mesa: un Master di alta formazione presso l’Accademia Niko Romito, proposto con l’obiettivo di aumentare il patrimonio di competenze da poter restituire al territorio. Fabio Bucciarelli, Direttore dell’Accademia, commenta «Siamo onorati di essere stati scelti come premio per questa importante iniziativa. Ci è piaciuta molto l’idea promossa dal Premio Mesa di valorizzare la cucina sarda, che ha ancora tanto da esprimere ma poggia le basi su una grande ricchezza». Parallelamente Cantina Mesa si prepara per il bando della seconda edizione del Premio, come anticipato da Gavino Sanna: «Siamo giunti al termine di una bellissima avventura, fortemente voluta e a lungo desiderata. La prima di una lunga serie».

Valpolicella, Soave e Durello – è anche l’ultimo firmato da Bruno Trentini come direttore generale. Il manager atesino ha traghettato Cadis dal cooperativismo del passato ad una realtà imprenditoriale moderna, fortemente patrimonializzata, capace di premiare i soci (oltre 2mila300) e di mettere contemporaneamente in cascina risorse sufficienti per finanziare in-house una campagna di crescita attraverso acquisizioni e la costruzione di un moderno centro d’imbottigliamento e direzionale che assicura alla Cantina uno sviluppo armonico nei prossimi anni. Una realtà che ha investito essenzialmente nel suo territorio tutti i quattrini utilizzati per il nuovo centro – 90 milioni € cash nel raggio di 40 kilometri – e che ogni anno inietta nell’economia locale oltre 11 milioni fra stipendi e contributi. A questi vanno aggiunti i 74 milioni (più Iva) versati ai soci conferitori per le loro uve: un rendimento superiore ai 13mila euro/ettaro. In altre parole, Viale della Vittoria a Soave potrebbero nominarlo tranquillamente Viale Trentini e nessuno troverebbe qualcosa da ridire. Vediamo le cifre del bilancio chiuso al 30 giugno scorso: Cantina di Soave chiude il bilancio 2018/2019 con un fatturato consolidato di 136 milioni di euro, nonostante un mercato in discesa sui prezzi. In termini di valore, il fatturato è determinato per il 65% dalle vendite nazionali e per il 35% da quelle internazionali. I mercati esteri hanno registrato un leggero aumento (+6%) a livello europeo, grazie alle buone performance di Germania, Svizzera e Austria che hanno compensato le sofferenze in UK e Danimarca. Le soddisfazioni migliori nell’esercizio chiuso a giugno 2019 sono però arrivate da oltreoceano, in particolare dal Canada (+71%), grazie ai pregiati e pluridecorati vini rossi Ripasso e Amarone e dal Giappone (+154%), grazie al sempre apprezzato vino Soave. Degni di rilievo, in un’annata caratterizzata da volumi produttivi particolarmente elevati e quotazioni dei vini in calo, i valori medi/litro realizzati sui prodotti imbottigliati a marchio: +9% Rocca Sveva e +15% Cadis. Riconfermato l’equilibrio tra le vendite di imbottigliato e sfuso, rispettivamente il 42% e il 58% del fatturato. Per quanto riguarda lo sfuso si registra un +9% in volume, dovuto alla vendemmia 2018 particolarmente abbondante, e un -6% in valore. L’imbotti-

Cantina di Soave, la vendemmia del secolo non deprime i conti: fatturato a 136 milioni € grazie al boom dell’imbottigliato L’ultimo bilancio di Cantina di Soave – il primo player di Verona che “controlla” le denominazioni The Italian Wine Journal

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gliato mostra un aumento del 13% in volume e un confortante più 11% in valore. All’interno dell’imbottigliato emerge una buona ripartizione tra le vendite a marchio e le private label, rispettivamente 46% e 54%. il patrimonio netto supera i 65 milioni € , a fronte di un cash flow operativo di 9,5 milioni € e un utile d’ esercizio di 1,9 milioni €. Buona la disponibilità liquida di 25,4 milioni €, pur in presenza di investimenti nel corso dell’esercizio per 18 milioni €. Il totale dei conferimenti risulta pari a 91 milioni €ed è da record la liquidazione – come prima accennato – destinata alla remunerazione delle uve conferite dai soci viticoltori: oltre 74 milioni €. Cosa può mettere a rischio il sistema Cantina di Soave? Più che preoccupazioni legate al prossimo cambio al timone – a Bruno Trentini subentra infatti Wolfgang Raifer, altoatesino, entrato a inizio 2017 che prenderà le redini della cantina dopo due anni di apprendistato (a sinistra, nella foto di Matteo Scolari-Pantheon Verona) – è il “sistema-Italia” del vino che lancia qualche segnale di allerta. In Valpolicella ci sarà da gestire un eccesso produttivo; il Pinot grigio vedrà emergere sempre più produttori competitivi negli Usa e in Australia; la Brexit renderà il mercato inglese un vero e proprio rompicapo nei prossimi quarter e tutte le denominazioni italiane dovranno lottare per mantenere le proprie quote di mercato. «Ci allarghiamo a Bardolino e Custoza proprio per completare il nostro portafoglio nelle denominazioni scaligere – commenta il presidente Roberto Soriolo – e puntiamo molto sulla denominazione Garda che ha un fascino evocativo dal grande potenziale così come la produzione bio». Cantina di Soave chiude l’ennesimo esercizio in positivo. Un’era si è chiusa, indubbiamente, ma quella che arriva si trova con le casse in ordine e la macchina tirata a lucido. Una bella eredità, non c’è dubbio, ed anche una grande responsabilità.

costante dovuta per lo più alla spinta delle varietà Glera-Prosecco (+167%) e Pinot Grigio (+132,6%), che si pone in controtendenza rispetto al trend nazionale, che nel 2018 ha segnato un -8,7% rispetto al 2009. Relativamente alla vendemmia 2019, sicuramente di buona qualità, si stima una produzione di uva di 12,9 milioni di quintali, in calo (-13,2%) rispetto all’abbondantissima raccolta del 2018. Il Report di Veneto Agricoltura indica che nel 2019 la produzione stimata di vino veneto è di 11,3 milioni di ettolitri, segnando un calo di -2,1 milioni di ettolitri rispetto al 2018, in linea peraltro con quello complessivo dell’Italia (-16%). Più specificatamente, la perdita stimata di prodotto si è mostrata più sensibile nell’area Occidentale del Veneto (-20%), rispetto al Centro e all’area Orientale (-8%). Il pericolo però è legato al sovradimensionamento produttivo rispetto alle capacità di assorbimento del mercato. Questo, in modo particolare, si avverte proprio col Prosecco” con nuovi vigneti a Glera che non sarà possibile rivendicare a Prosecco DOC ed al Pinot Grigio Venezia DOC e delle Venezie DOC. Non a caso, nel distretto delle bollicine sono state intraprese più azioni per disciplinare questo trend: dal primo di agosto i nuovi impianti non potranno rivendicare la DOC, ma resteranno confinati nell’IGT; è stata decisa la riduzione delle rese/ettaro tanto per la DOCG (da 135 a 120 quintali per ettaro) che per la DOC (da 180 a 150 quintali); le riserve dell’ultima vendemmia saranno sbloccate soltanto se il mercato potrà assorbirle altrimenti verranno declassate e vendute sfuse; infine, bisognerà attendere il gennaio successivo alla vendemmia per mettere in commercio la nuova annata. Tutto, insomma, per rallentare la corsa al down-grading del Prosecco sugli scaffali. Glera e Pinot Grigio, inoltre, sono le varietà che sono più che raddoppiate nell’ultimo decennio a scapito di vitigni più territoriali come Garganega, Rondinella, Merlot e Cabernet sauvignon e franc. Il vitigno base per il Prosecco è coltivato in ben 34mila ettari, il 36% del vigneto regionale. Se a questi si aggiungono

Vigneto Veneto: più 34% in dieci anni a oltre 94mila ettari. Ma Prosecco e Pinot Grigio iniziano ora valutano il sovradimensionamento produttivo Nell’ultimo decennio (2009-2018) la superficie del vigneto veneto ha avuto un incremento del +33,9%, raggiungendo nel 2018 (ultimi dati disponibili) i 94.414 ettari. Si tratta di una crescita decennale The Italian Wine Journal

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Tasting quelli riservati al Pinot Grigio ( 15mila ettari, il 16% del totale) non possiamo non notare come vi sia una fortissima dipendenza del sistema veneto dal successo di questi due vini e dal pericolo insito in un cambio di scenario nei mercati. Venendo proprio ai dati di mercato: il Veneto nel 2018 ha esportato vino per 2,2 miliardi €, un terzo dell’intero export nazionale, migliorando il record del 2017 e registrando una crescita in valore del 4,3%. Questo a fronte di una riduzione importante dei quantitativi – meno 5,1% per 678 milioni di kg – ed una crescita del 9.8% del prezzo medio, salito a 3,27 €/kg. In dieci anni gli incassi dall’export sono saliti del 116.1% e il prezzo medio è cresciuto del 58.4%. Le nostre esportazioni dipendono essenzialmente da tre mercati strategici: Stati Uniti (443,6 milioni €), Regno Unito (443,3 milioni €) e Germania (348 milioni €). La loro crescita in dieci anni è stata del 175% per gli USA, del 262% per il Regno Unito e del 27,5% per la Germania. Ora, sugli Stati Uniti pende la minaccia di dazi commerciali legati al crescere del contenzioso fra Washington e l’Unione Europa o alcuni suoi Stati membri. Nel Regno Unito siamo al conto alla rovescia per la Brexit e dobbiamo attendere le decisioni del governo che uscirà dalle prossime elezioni. In Germania, l’economia non è così espansiva come nel passato. Il Regno Unito è il principale acquirente del nostro Prosecco – ben 319 milioni €, pari al 72% delle importazioni complessive di vino veneto da parte di Londra – e su quel mercato, così come in Germania, si vanno concentra la competizione di tutti i produttori: non a caso, qui si hanno le recenti, massicce, campagne di promozione del Cava spagnolo, il nostro principale competitore in termini di prezzo (3,23 $/litro contro i 4,61 $/litro per il Prosecco). Su 10 bottiglie di Prosecco vendite nel mondo, ben 4 vanno in Germania e Regno Unito. Difendere la leadership non sarà né semplice né a buon mercato.

al nuovo Direttore Andrea Bottarel. Una scelta mirata e strategica quella del Consiglio, che manifesta – in una fase di espansione e crescita per la Denominazione gardesana – la propria volontà di evolvere, mettendo al vertice un giovane manager del vino, competente, creativo ed entusiasta, che arriva da una lunga formazione nel settore fatta di studi tecnici e di importanti esperienze professionali, che hanno occupato gli ultimi dieci anni della sua carriera. Andrea Bottarel ha 37 anni, vanta una Laurea in Lingue e Culture dell’Asia Orientale e una in Viticoltura ed Enologia. Grandi passioni personali che portano subito il neolaureato veneziano a collaborazioni con importanti aziende vinicole estere – in Germania, Nuova Zelanda e Canada – e che nel 2013 lo fanno tornare in Italia per iniziare il suo percorso come Export Manager, sfruttando la sua ampia conoscenza delle lingue straniere e specializzandosi nelle aree Asia Pacific e DACH.

Ribera del Duero per la prima volta produrrà e venderà vini bianchi dall’autoctono Albilla mayor Per la prima volta dalla sua creazione nel 1982, la Denominazione d’origine di Ribera del Duero produrrà vini bianchi quest’anno. Entro un anno, le prime bottiglie di bianco coperte dalla denominazione inizieranno ad essere commercializzate, grazie a 600.000 chili di uve albilla mayor, una varietà autoctona, raccolta nella vendemmia 2019, che si è appena chiusa con una produzione totale di 96.000 tonnellate, il 23,2% in meno rispetto alle 125.000 dell’anno precedente. Non sarà la prima volta che Ribera del Duero usa l’albilla mayor. Infatti, dall’origine del DO, questa varietà è stata utilizzata, non più del 5%, per integrare e migliorare i rossi e i rosé, unico impiego ammesso secondo lo statuto della DO, come spiegano Enrique Pascual e Miguel Sanz, presidente e ceo del consiglio di regolamentazione

Andrea Bottarel è il nuovo direttore del Consorzio Tutela Lugana DOC Il Consorzio Tutela Lugana DOC dà il benvenuto

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vini di meno di 14 gradi, che sono poco prodotti nei 23.000 ettari del Do Ribera del Duero , che è diviso tra le province di Burgos, Valladolid, Soira e Segovia.

Apre la locanda Le Tre Rane di Ruffino a Poggio Casciano. La conduzione gastronomica affidata al cuoco fiorentino Stefano Frassineti Apre la locanda toscana “Le Tre Rane – Ruffino” all’interno dell’agriturismo Tenute Ruffino a Poggio Casciano, nel comune di Bagno a Ripoli, prevista per giovedì 10 ottobre, . La conduzione gastronomica de Le Tre Rane è affidata alle mani (e al cuore) di Stefano Frassineti. Nato nelle terre del Chianti, cuoco di vocazione da quasi trent’anni, creativo e istrionico, Stefano crede in una cucina che dalla tradizione sappia evolversi in identità: una partitura toscana quindi, di materie prime regionali fresche e di stagione, da piccoli selezionati fornitori, interpretata con curiosità, voglia di sperimentare e fantasia. Ci saranno otto menù stagionali a rotazione durante l’anno e un menù alla carta con proposte afferenti la cucina toscana di terra (con qualche incursione al mare). Il vino Ruffino sarà assoluto protagonista: tutte le referenze toscane al calice e a bottiglia e la possibilità di scegliere vecchie annate e grandi formati scendendo direttamente nella suggestiva cantina di Poggio Casciano. Non solo: ogni piatto è pensato per esaltare il vino e viceversa, e insieme sublimare il gusto dello stare insieme, come da millenni avviene in ogni tavola toscana. Il progetto de “Le Tre Rane – Ruffino” è stato curato dalla Studio Qart di Firenze, nella figura dell’architetto Matteo Fioravanti. L’obiettivo è stato far vivere, attraverso le forme e le linee della locanda, i valori portanti di Ruffino: l’autenticità toscana, la convivialità e la reinterpretazione. L’esecuzione ha quindi guardato al mondo della casa del fattore, quella sublime via di mezzo che nell’ordito del sistema mezzadrile si situa fra il contadino e il signore. Il fattore viveva in campagna, a differenza del signore, ma aveva un po’ di più dei contadini: la casa con qualche decorazione; fra i mobili in arte povera, quelli un po’ più ricercati; non le seggiole, ma le sedie. Del cibo, gli ingredienti migliori; delle interiora, le più nobili; del vino, la riserva sempre in tavola. Infine, il nome. Si dice, fra leggenda e verità, che Le Tre Rane fosse una locanda che un giovane Leo-

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di DO. Tuttavia, il regolamento è stato recentemente modificato per consentire – appunto – la produzione di vini bianchi, con almeno il 75% di albilla mayor, varietà che una volta raggiungeva il 30% della superficie della zona e che oggi raggiunge appena il 3%. «L’albillo rischia di scomparire» dice Pascual, che spera che la produzione di vini bianchi serva a recuperare la varietà. In ogni caso, non sarà una grande produzione, circa 50.000 bottiglie. «È un vitigno difficile, un vino di alta qualità e poca quantità: il suo obiettivo commerciale non sarà quello di competere con i bianchi delle denominazioni Rueda o Rioja» auspicio Sanz. Dovremo aspettare circa un anno per assaggiare le prime bottiglie, mentre negli anni a venire arriveranno le riserve. Nonostante la novità, i bianchi saranno solo una piccola parte della produzione, quella del 2019, che ha raggiunto i 96 milioni di chili. Sono 29 in meno rispetto ai 125 dello scorso anno, quando è stato raccolto il secondo raccolto più alto nella storia del fare, dopo il 2016, con 133 milioni di chili. «È stato un anno secco, che ha ottenuto una spinta dell’ultimo minuto dal tempo, con le piogge di fine agosto e settembre, che ha dato all’uva una qualità molto buona» dice Pascual. Il 30% saranno vini giovani e il resto passerà attraverso le botti. Il raccolto 2019 consentirà la produzione di 85 milioni di bottiglie, che saranno vendute ad un prezzo medio di circa cinque euro: il 10% destinate all’estero. Nel 2018 le esportazioni sono state pari a 11 milioni di litri, che hanno portato 123 milioni di euro ai viticoltori DO, ad un prezzo medio superiore a 11 euro al litro, che contrasta con la media di 2,42 euro al litro di tutti i vini spagnoli confezionati expo 2018. Le principali destinazioni per i vini Ribera del Duero sono Svizzera, Messico, Stati Uniti, Germania e Cina. La recente imposizione da parte degli Stati Uniti di tariffe del 25% su prodotti spagnoli e altri europei non influisce troppo sul DO, perché tassano


Tasting nardo da Vinci avesse aperto sul Ponte Vecchio di Firenze, nella visione che la cucina potesse esprimere il bello e il buono, anche con ingredienti salutari, come le verdure, ed esaltare il gusto dello stare insieme. Una esperienza conclusasi in poche settimane: il pubblico fiorentino, restio alle novità, deluso dalle parche dosi portate in tavola, aveva costretto ben presto il nostro a chiudere e a fuggire in quel di Milano, ai servigi dello Sforza…

E non è l’unica nuova stella che arricchisce il firmamento della gastronomia trentina: il 2019 ha visto anche il ritorno di Peter Brunel, a conclusione della fortunata esperienza a Firenze, in qualità di executive chef del ristorante Borgo San Jacopo, per la famiglia Ferragamo. A 44 anni compiuti lo chef originario della Val di Fassa, dopo varie esperienze e la stella Michelin (già conquistata a soli 28 anni, presso “Villa Negri” a Riva del Garda), è tornato finalmente in Trentino aprendo ad Arco il primo ristorante a suo nome, non lontano dalle sponde del lago di Garda. Inaugurato nel cuore dell’estate, il suo progetto solista ha preso corpo in uno spazio luminoso, arredato con gusto minimalista, con tre salottini con caminetti librerie e poltroncine colorate, e due sale affacciate sulla cucina e sul giardino per complessivi 30 coperti, a pranzo e cena tutto l’anno. La proposta gastronomica è sia di menù alla carta che di percorsi degustazione (“Le famiglie degli ortaggi e l’oliva del Garda” ed “Experience”), con il comune denominatore della sperimentazione rispettosa delle materie prime locali. Da provare “l’Orto d’estate”, piatto di soli vegetali, quinoa ed erbe aromatiche; ma anche i “gamberi marinati al lime e barbabietola con la sua spuma e bocconcini di mozzarella fatta in casa”, “il risotto cotto nel centrifugato di mela con rafano bianco e polvere di lamponi”; “la trota con infuso di funghi, zafferano e maggiorana”. Ovviamente ci sarà anche il piatto divenuto firma di Brunel: “gli spaghetti di patata, conditi con taccole e salsa al pesto genovese”.

Trentino, Alfio Ghezzi alla Caffetteria del Mart di Rovereto, Peter Brunel riparte da Arco Cucina, arte, design, tre parole che caratterizzano il made in Italy. Il presidente Vittorio Sgarbi lo aveva detto: “Vorrei uno chef stellato per il ristorante del Mart”. Ed è stato accontentato, perché la Caffetteria del Museo a Rovereto sarà gestita da Alfio Ghezzi, che degli chef trentini in attività è il più stellato. Per quasi un decennio al comando della Locanda Margon, già allievo di Gualtiero Marchesi, Alfio Ghezzi è già stato insignito di due stelle Michelin, la prima assegnata nel 2011 e la seconda cinque anni dopo. Come da prassi comune ormai a molti dei più importanti musei mondiali, l’ambizioso progetto di Ghezzi si svilupperà in una logica di dialogo tra la cucina e le collezioni d’arte moderna e contemporanea del Mart, e la gioia di gustare le sue creazioni sarà parte stessa del piacere della visita a mostre ed esposizioni museali. Non a caso i locali della caffetteria sono stati rinnovati con la guida dello stesso architetto Mario Botta che, insieme allo studio Baldessari e Baldessari, ha scelto arredi ed oggetti di design del xx secolo, tutti rigorosamente made in Italy. “Fin da bimbo sono stato abituato ad una cucina schietta di montagna, abituati com’eravamo a pochi ingredienti locali non serviva molto per stupirci ed il tonno all’olio aveva sicuramente un non so ché di esotico, di lontano. Così una domenica quando alle farfalle con grana, burro e salvia mia madre aggiunse qualche tocchetto di tonno fu davvero una sorpresa, un’emozione che è rimasta viva fino ad ora tanto da farmi riprendere in mano la ricetta e riproporla con i dovuti aggiustamenti che la professione e l’epoca contemporanea in cui viviamo mi hanno suggerito”.

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Cava, parte la rivoluzione. Al via quattro aree in tutta Spagna e cinque sottozone in Catalogna. Quattro macroregioni in Spagna per produrre metodo classico e cinque sottozone in Catalogna: il CDA della Denominazione Cava, guidato dall’ex ceo di Codorniù Javier Pagés, preme sull’acceleratore per uscire dall’impasse: crescita relativa nell’export, estrema sofferenza dall’aggressiva presenza di Prosecco e degli altri “nuovi” spumanti; spinte centrifughe avviate da Pepe Raventòs (guida di Raventòs i Blanc, maison fra le più antiche in Catalogna che ha avviato la sua propria denominazione: Conca del Riu Anoia) e concretizzate anche da Corpinnat, l’unione delle bodegas più di prestigiose che sono di fatto uscite dalla Deno-

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Nuova segmentazione: la produzione di cava sarà suddivisa in due grandi segmenti, uno che comprenderà i Cava premium a lungo invecchiamento – il 15% del volume attualmente – e un’altra per le gamme più elementari o le giovani. Verranno creati due marchi o timbri in modo che i consumatori possano facilmente visualizzare se una cantina appartiene a una categoria o un’altra. Ulteriori requisiti: il segmento di fascia alta includerà la Riserva, la Gran Riserva e i Cava de paraje calificado, tre categorie che non variano, ma i loro regolamenti saranno rafforzati. Ciò significa che i criteri che una cava deve soddisfare per essere una riserva o una grande riserva saranno molto più impegnativi per aumentare ulteriormente la qualità. Tra le altre misure, la resa del vigneto sarà ridotta. Riserve di 18 mesi: una delle principali modifiche è che d’ora in poi il Cava Riserva deve avere un invecchiamento minimo di 18 mesi, rispetto agli attuali 15 mesi. Data di sboccatura: i nuovi regolamenti non richiedono l’aggiunta della data di sboccatura alle etichette, ovvero il momento in cui i lieviti della madre vengono rimossi dalle bottiglie e viene inserito il tappo di sughero finale. Proprio vigneto: anche la possibilità di informare il consumatore se un Cava è prodotto con uve provenienti dai vigneti dell’azienda stessa è stata al centro della discussione. È stato deciso di non rendere visibile questo elemento, tenendo conto del fatto che ci sono molte cantine che non hanno vigneti o acquistano parzialmente l’uva. Inoltre, si ritiene che le uve acquistate possano essere della stessa qualità o di qualità superiore alla propria. Vinificazione propria: al contrario, verrà creato un timbro o un’espressione per identificare le cantine che producono completamente tutta la produzione, cioè quelle che pressano l’uva nelle proprie strutture e non acquistano vino base. Questa sommatoria di misure dovrebbe secondo Javer Pagés convincere i produttori che aderiscono a Corpinnat a rientrare nella Denominazione chiudendo una frattura dolorosa e rimettendo in linea i Cava nella competizione internazionale nel segmento che ancora oggi è quello che traina i numeri del mercato globale.

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minazione e si presentano unite sui mercati internazionali all’insegna di una qualità “vera” del Cava. Alla zonazione si aggiungono regole più stringenti per i Cava di alta qualità ed un invecchiamento minimo di 18 mesi (e non più 15) per le Riserve. La zonazione vuole porre fine a uno dei peccati originali con cui è nato la DO Cava: la sua scarsa identificazione con una specifica area geografica. I nuovi regolamenti della Denominazione Cava saranno approvati in una sessione plenaria straordinaria prima della fine dell’anno, in modo che sia pienamente efficace a partire dall’annata del 2020, dopo il via libera del Ministero dell’agricoltura di Madrid e dell’UE. Quattro le macro- zone: la Denominazione Cava sarà divisa da ora in quattro aree geografiche che possono essere scelte dai produttori a seconda dell’origine delle uve. I nomi ufficiali con i quali ciascuna di queste regioni saranno nominate non sono ancora stati scelti, ma le aree consentiranno la differenziazione alle cantine di: Catalogna; Requena (Valencia); Almendralejo (Estremadura) e Valle del Ebro (Aragona e La Rioja). Secondo Javier Pagés, nel caso della regione catalana, si sta cercando un nome per identificare l’origine catalana del prodotto sulle bottiglie, ma la parola Catalogna non verrà utilizzata esplicitamente. Per le cantine, compresa la regione di origine nelle etichette delle bottiglie sarà totalmente facoltativo. Sarà obbligatorio solo nelle riserve e nelle grandi riserve. Cinque le sottozone della Catalogna: per i Cava elaborati in Catalogna – la regione concentra il 95% della produzione iberica di bollicine – verrà introdotta anche la possibilità di incorporare una sottozona per delimitare ulteriormente l’origine. Pertanto, i Cava possono essere individuati come: Penedès, Conca de Barberà, Alella, Tarragona e Costers de Segre, ma anche queste sono sottozone provvisorie. L’uso di questa suddivisione in zone sarà facoltativo. Pertanto, un’azienda vinicola potrà mostrare sull’etichetta il nome dell’area e della sottozona, solo l’area, solo la sottozona o non identificare l’origine. Non ci saranno, per ora, aree geografiche più piccole, cioè micro-aree all’interno delle sotto-zone, quindi se un elaboratore vuole identificare una trama o un terroir specifici, dovrà optare per la categoria superiore di Cava de paraje calificado.


Oltrepò di Carlo Rossi

La nuova vita del più importante gruppo cooperativo dell’Italia di Nord Ovest La Versa: dalla fondazione nel 1905 all’arrivo di Terre d’Oltrepò e dei trentini di Cavit. E un grande progetto di rilancio basato sul Pinot nero e sul Metodo classico

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È

davvero un piacere tornare a raccontare di un marchio leggendario nel campo della spumantistica a metodo classico, non solo nazionale, che ha ritrovato slancio grazie ad un management giovane ed entusiasta e ad un deal che ha fatto molto rumore. Con esso ritrova il posto che spetta di diritto la più grande area a pinot nero d’Italia. Quell’ Oltrepò Pavese che ha goduto fasti di notorietà degli Anni Novanta, grazie proprio alle storiche sponsorizzazioni di La Versa. Ripartono etichette famosissime come Testarossa, nella espressione 2015, metodo classico, nata nel lontano 1989, la cuvée top di gamma della cantina di Santa Maria della Versa del quale dunque quest’anno è stato festeggiato il trentennale. «Da Maranello hanno provato a farci desistere dall’utilizzo del nome Testarossa - mi racconta il presidente di Terre d’Oltrepò che possiede il brand La Versa, Andrea Giorgi, classe 1977 - ma noi avevamo registrato il marchio molto prima». È il mitico Gianni Brera, in un gustoso aneddoto a coniare la definizione di “grappolo d’uva” per la conformazione di questo fazzoletto al confine tra Appennino e Alpi, derivandone enorme risonanza mediatica. Un quadrante geografico, un territorio tra tre regioni, Lombardia, Liguria, Piemonte: è l’area della provincia di Pavia, sulla destra del Po, che si incunea a triangolo fra le province di Alessandria, Genova, Piacenza, dove si va da zero a quasi 2000 metri in soli circa 1100 chilometri quadrati. Al basso Vogherese, prossimo al Po, che è una pianura, coperta da alluvioni recenti, boscosa lungo il fiume, nel resto coltivata a cereali e marginalmente a viti, segue una regione più decisamente collinare, disegnata

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proprio dal caratteristico paesaggio vitato. Più a sud si sale, con il Monte Lesima, fino a 1724 metri, e questa parte più meridionale è coperta di prati e boschi. Un territorio dove le pendenze per i vigneti, spesso coltivati a ritocchino, sono assai significative. Terre d’Oltrepò ha la propria sede produttiva a Broni, dalle quali escono 300.000 bottiglie all’anno. La fondazione avvenne nel 1905. Il primo spumante metodo classico millesimato italiano nasce qui, in Val Versa nella cantina dall’ingegnere Cesare Gustavo Faravelli. «Una trama fatta di qualità e maestria che arriva fino ad oggi. Entro quelle stesse antiche mura, dove nascono ancora i nostri vini nel rispetto di quella grande eredità si ritrova la nostra anima e la nostra passione» sottolinea Giorgi. Nel 1930, ottantanove anni fa, veniva avviata la produzione di spumanti metodo Champenoise. Nel 1935 degorgiate e commercializzate le prime bottiglie di Gran Spumante La Versa, il quale diventa così il primo spumante metodo classico millesimato d’I-

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talia. Viene insignita del Grand Prix all’ Esposizione Internazionale di Parigi del 1937. Le uve, pinot nero ovviamente. In pochi anni la produzione arriva ad un regime di 40.000 bottiglie di media. Nel 1950 la coop viene trasformata in Cantina Sociale di Santa Maria della Versa S.p.A. Nel 1975 La Versa è tra le sei aziende fondatrici dell’ Istituto Italiano Spumante Classico, che si occuperà della tutela dello spumante di qualità e il presidente Antonio Giuseppe Denari ne assume la presidenza. Andiamo proprio nella prima antica sede della cooperativa, emblema già all’epoca d’eccellenza , in quella che fu la stazione ferroviaria di Santa Maria della Versa - della quale è stato mantenuto l’ originario profilo - oggi sede delle assemblee dei soci della newco e del prezioso caveau che racchiude i tesori di La Versa. Con l’ingresso nel Gruppo Terre d’Oltrepò-Cavit, si è deciso di puntare con determinazione su due asset fondamentali: recupero del gap di reputazione e qualità totale. E quindi non si poteva prescindere dalla competenza di un supervisor del calibro di Riccardo Cotarella, presidente dell’Associazione Mondiale degli Enologi, italiano, che qui coordina l’equipe tecnica fatta di giovani agronomi, commerciali, enologi dalle ottime prospettive. Come Andrea Rossi, che ci accompagna nel caveau

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di La Versa. Un ambiente dalle energie ed atmosfere quasi magiche. Un luogo particolare, che, proprio grazie alla nuova Presidenza, si sta facendo conoscere, con , ad esempio, visite mirate, al grande pubblico dei winelovers. «Qui avviene “il miracolo”, ovvero “la fase cruciale dello spumante a Metodo Classico, il momento in cui finalmente si imbottiglia la base che abbiamo scelto per la seconda fermentazione all’interno del suo contenitore di vetro” dice Andrea Rossi “Nella fase del tiraggio aggiungiamo lieviti selezionati e il

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cosiddetto “liqueur de tirage“ secondo la nostra tradizione. Poi imbottigliamo, dimenticandoci quasi del vino, sulle cataste per un periodo molto lungo. La bottiglie vengono infine chiuse con la bidule e il tappo corona, per rimanere quindi coricate “in pancia”, di modo che la superficie del vino e quella dei lieviti siano più ampie possibili per trasmettere tutti i sentori che cerchiamo. La storia di La Versa dice che la bottiglia debba uscire dopo un tempo minimo di almeno 48 mesi. In Cantina sono presenti annate che vanno dal 2004 al 2009 e una collezione di Cu-

vée Storica che va dal 1984 al 1991, ancora di ottima qualità». L’altro cavallo di battaglia nella strada della qualità per La Versa. «Tengo a sottolineare come dal Gruppo Cavit siano giunti solamente segnali sin qui di apprezzamento per le nostre uve ed il territorio, rispettando quindi appieno, ed è anche questo stato uno dei temi a favore del deal, il rispetto per le caratteristiche e peculiarità della nostra storia produttiva, diverse ovviamente dal Trento Doc» aggiunge il Presidente, Andrea Giorgi. Se, come pare, gli emissari dei Gancia cercarono proprio in Oltrepò le conferme della possibilità di espressione per un metodo classico importante, ciò è dovuto alla particolare escursione termica. Soprattutto evidente in epoca antecedenti gli ultimi dieci anni. Il clima rigido invernale, dove sempre nevicava in abbondanza, ha offerto un elemento decisivo in favore della crescita del pinot nero in particolare. Qui in Oltrepò il clima è quindi perfetto per il suo corretto sviluppo, nonché per l’esaltazione delle sue peculiarità. Il Pinot nero prodotto in climi freddi e da uve con la giusta maturazione ha un gusto che ricorda aromi vegetali, come la menta, l’aneto e la frutta come ciliegia e lampone. Quello invece prodotto in climi caldi ha un aroma di frutta matura e di bosco,

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La Versa e il Ristorante Bazzini, le due rinascite

come amarena e mora, e di fiori di primavera come violetta e rosa. Entusiasmo è la parola che meglio riassume lo stato dell’arte del Progetto Qualità, il programma produttivo – improntato alla realizzazione di vini d’eccellenza – stabilito tra Terre d’Oltrepò, e Riccardo Cotarella. Terre D’Oltrepò è nata nel 2008 dalla fusione della Cantina Sociale Intercomunale di Broni con la Cantina di Casteggio, ed è oggi la più importante realtà vitivinicola di tutto l’Oltrepò Pavese e dell’Italia Nord-Occidentale, con 900 aziende viticole per 4.500 ettari di vigneto specializzato producono annualmente oltre 400.000 quintali di uve tra cui primeggiano per quantità e qualità il Pinot Nero, il Pinot Grigio ed il Riesling, e che sono ben remunerate. E proprio Terre D’Oltrepò in cordata con Cavit, cooperativa trentina, ha acquisito cantina La Versa grazie ad un’offerta di 4,2 milioni di euro creando la newco “Valle della Versa”. «Posso dire che, per la nostra azienda, è in atto un vero e proprio cambio di passo. Terre d’Oltrepò è realtà simbolo del territorio e lo sta dimostrando, in modo tangibile, attraverso un percorso con cui confidiamo di dare ai nostri soci buoni frutti e una remunerazione sostenibile nel tempo» aggiunge Giorgi.

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Anche gusto e cucina del territorio risentono delle influenze di tre regioni. E’ la stagione delle caldarroste, dei cambiamenti, delle foglie secche che cadono dagli alberi, mutando il colore delle strade. Il clima ancora mite, piacevole, invita a trascorrere più tempo fuori casa. Una grande golosità è rappresentata dal cotechino e dai salumi, che definire sublimi è poco, come i formaggi e quelli proposti dallo storico Ristorante Bazzini oggi gestito, con grande attenzione e passione, da Mariella Mariotti e Riccardo Rezzani, che si avvalgono della collaborazione di tre giovani ed entusiasti chef. Anche questa storia simile a quella di morte e rinascita della cantina di La Versa. Un prestigioso locale che ha riaperto dopo l’attento, lungo lavoro di ristrutturazione, rinnovo degli ambienti e degli arredi, avvenuto nel pieno rispetto della tradizione. La straordinaria accoglienza di Mariella, Riccardo e dei collaboratori di sala, tutti giovani e preparati, ti fanno sentire parte della famiglia e della tradizione Bazzini, rendendo un’esperienza unica il pranzo della domenica, come la vista fantastica di cui si gode dalla splendida terrazza distesa sull’Oltrepò. Fondato nel 1938, il Ristorante Bazzini, come la cantina La Versa, ne ha viste tante. E’ situato nel comune di Canneto, a pochi chilometri dalla sede de La Versa, da dove mi porta, con il meglio degli spumanti, il Presidente Andrea Giorgi. Il ristorante è immerso nel verde, tra le belle colline della Val Versa. E così prende vita uno spettacolo affascinante, tra piatti e bicchieri. Un esempio: lo “sposalizio” del Collezioni 2007, con un menù che si rinnova settimanalmente, mantenendo però sempre presenti i cavalli di battaglia della tradizione culinaria locale. Tra questi non si può fare a meno di provare l’agnolotto grande di Canneto, il cosiddetto Bata Lavar. Un incontro davvero epico con il 2007 . Una sintesi perfetta di equilibri dalle assonanze piemontesi (come ad esempio i famosi plin) , lombarde e liguri. La Versa e Ristorante Bazzini, due “vite che ricominciano”.

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Challenge di Giulio Bendfeldt

La prima volta per Borgogna e Alsazia La 12.ma edizione del Challenge Euposia segna il ritorno della Francia al vertice del nostro campionato del mondo. Grande affermazione per Camel Valley – nella storia il Rosé più premiato – e per Nautilus, l’autoctono della Val Camonica affinato nelle fresche acque del Lago d’Iseo

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a prima volta della Borgogna e dell’Alsazia: due delle più belle regioni vinicole del mondo portano in Francia l’edizione 2019 del Challenge internazionale Euposia: Paul Chollet, maison di Savigny-lès-Beaune, è il nuovo “campione del mondo” affiancato dall’alsaziano Eric Rominger, grand-cru di Westhalten, che si pone sul tetto del mondo nella speciale classifica dei Metodo classici provenienti da coltivazioni biologica. A confermare, invece, la leadership italiana negli spumanti realizzati con uve autoctone è quest’anno Alex Belingheri, coi suoi vigneti eroici della Val Camonica, che ha visto premiato il lungo lavoro di sperimentazione del suo Nautilus affinato nelle acque del Lago d’Iseo. Quanto ai Rosé, l’edizione 2019 del nostro Challenge – che per la prima volta è uscito dai confini scaligeri per trovare ospitalità a Orvieto, grazie al suo Consorzio di tutela – ha confermato l’assoluta eccellenza della più antica cantina del Regno Unito: Camel Valley, iconica maison lungo l’omonimo fiume in Cornovaglia, ha visto premiato il suo Brut Rosé, quest’anno col millesimo 2016: le bollicine della Regina Elisabetta hanno conquistato anche i trenta giurati del nostro concorso provenienti da cinque Paesi (Cina, Giappone, Regno Unito, Svezia e Italia) guidati da Riccardo Cotarella, presidente mondiale degli enologi, col supporto di Severino Barzan, del Grand Jury Européen, e dell’enologo Fabio Mecca. Per Bob Lindo – titolare con la moglie Annie della maison oggi diretta dal figlio Sam – si tratta del terzo titolo conquistato in dodici anni, cui vanno aggiunti due titoli nazionali, guidando così il plotone della oramai “non-più-nuova” scuola inglese che si era imposta anche nel 2009 e nel 2012 nella classifica generale con Nyetimber e Ancre Hills. Ad affiancare sul podio Camel Valley, due Meto-

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do classico italiani, provenienti dal nord e dal sud: Cantina sociale di Trento, col suo Trentodoc da coltivazione sostenibile, e Dragone, da Matera, che ha conquistato il premio per miglior Rosé da vitigno autoctoni, in questo caso un blend di Greco e Malvasia. I premi. Complessivamente sono stati assegnati, Rosé inclusi, 28 riconoscimenti ufficiali, oltre il 20% dei vini messi in gara. Un approccio molto severo (col metodo dei “bicchieri” adottato in contest similari, avremmo avuto quasi il 100% di Tre Bicchieri, o due/terzi dei partecipanti premiati coi Cinque Grappoli per usare un altro metodo di valutazione), ma che riteniamo più adeguato per una tipologia di vini che già di per sé rappresenta un’eccellenza produttiva. I premi vengono assegnati sulla base della classifica comune elaborata sulla scorta della media dei voti, chi prende – può accadere - più premi si vede assegnato quello più “pesante” liberando le altre posizioni eventualmente raggiunte. Nel tempo, al titolo unico di “Campione del mondo” sono stati aggiunti, via via, quello specifico per i Rosati (il cui peso sta costantemente crescendo sul mercato) e, inoltre, abbiamo voluto premiare chi si impegna nelle coltivazioni biologiche e coi vitigni autoctoni dove la sperimenta-

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zione comporta maggiori rischi imprenditoriali. Da uno, insomma, a sei campioni del mondo. Parrebbe un ossimoro, ma non lo è… La gara. La competizione si è svolta come da regolamento. Tutti i giurati – complessivamente nelle tre sessioni di degustazione si sono alternati ventitre giurati per poco meno di 2mila 900 giudizi assegnati – hanno degustato alla cieca tutti i vini; rispetto alle precedenti edizioni, il presidente Riccardo Cotarella ha inserito anche delle sessioni di discussione, post assegnazione del voto, così da valutare i differenti approcci da parte delle diverse “scuole” presenti: enologi, giornalisti, sommelier, professionisti del mondo del vino non enologi, italiani, non italiani. La competizione ha confermato la forza della tradizione francese – ben nove vini nei dieci primi classificati – e la vitalità della produzione italiana che fa forza proprio sul grandissimo patrimonio ampelografico nazionale: tantissimi i vitigni autoctoni, enormi le differenze di clima e suolo, ma una grande tensione alla crescita qualitativa. Basti pensare che, fra il primo assoluto, ed il primo degli Italiani (Alex Belingheri, campione del mondo per gli autoctoni) non c’è nemmeno un punto percentuale di differenza, ma soltanto 72 centesimi.

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Challenge Metodo identico anche per i Rosati: l’Alta Langa di Antonio Colombo è il miglior Italiano seguito da Terra dei Re come VSQ e da Kettmeir, Cesarini Sforza, Rebollini e Cavicchioli come migliori fra, rispettivamente, Alto Adige DOC, Trentodoc, Oltrepò Pavese e Lambruschi. I premi speciali. Il Premio Severino Barzan “vielles vignes” che va a premiare la storicità delle produzioni è stato attribuito a Villa Rinaldi, maison veronese, che ha fatto dell’eccellenza il suo tratto distintivo, mentre il Premio Peugeot-PSA riservato alle realtà che più si impegnano per la sostenibilità ambientale va quest’anno all’Associazione dei vignaioli del Regno Unito proprio per la generale attenzione all’ambiente ed al paesaggio che sta caratterizzando questi produttori impegnati anche nella salvaguardia di tenute e dimore storiche.

I migliori italiani. Come detto, gli Italiani non hanno sfigurato nella competizione. Anche in questo caso, nemmeno un punto percentuale separa il campione del mondo dal miglior Metodo classico italiano: l’Equipe 5 millesimo 2014 di Cantina di Soave. Lo spumante creato da cinque fra i più innovativi enologi trentini negli Anni Sessanta che già nel 2010 aveva conquistato il titolo di “miglior metodo classico del Veneto”. Alle sue spalle, Decugnano dei Barbi che viene premiato in quanto miglior metodo classico italiano non proveniente da una denominazione, ma dichiarato semplicemente VSQ: volevamo infatti riconoscere ufficialmente chi si impegna nella spumantistica sebbene non in terroir tradizionalmente vocati a questa tipologia produttiva, una sfida nella sfida. Cantina d’Isera, I Barisei, Fongaro, Valle delle Versa e Lorenz Martini si pongono invece al vertice delle classifiche delle rispettive denominazioni.

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Vincitori

CREMANT DE BOURGOGNE BLAC DE BLANC CREMANT D’ ALSACE BRUT NAUTILUS CRU STORICO BLANC DE N. PAS DOSE’ 2013 EQUIPE 5 MET. CL. BRUT. MILLESIMATO 2014 RISERVA DEL FONDATORE -RISERVA MET. CL. EXTRA BRUT 2008 METODO CLASSICO BRUT 2014 METODO CLASSICO BRUT 2013 1907 BRUT SBOCC. 2019 SATEN BRUT 2014 COMITISSA - PAS DOSE’ RISERVA METOD. CL. 2015 MALMA EXTRA BRUT COUVEE RESERVE SPUMANTE METODO CLASSICO BRUT RISERVA 2011 TESTAROSSA METODO CL. BRUT 2015 BULARI BRUT BRUT TRADITION CHAMPAGNE

Campione del mondo Rosè CAMEL VALLEY CORNOVAGLIA INGHILTERRA BRUT ROSE’ 2016 Campione del mondo Rosè – Vitigni autoctoni DRAGONE ITALIA CENTO SANTI BRUT MET. CL. DOP MATERA SBOCC.2015 Campione del mondo Rosè da lotta integrata CANTINA SOCIALE TRENTO ITALIA ZELL ROSE’ - BRUT MET. CL. ROSE’ Miglior metodo classico Rosè Francia PERRIER JOUET CHAMPAGNE FRANCIA CHAMPAGNE BLASON ROSE’ Miglior metodo classico italiano Rosè COLOMBO ANTONIO E FIGLI ITALIA COLOMBO ALTA LANGA ROSE’ RISERVA 2013 Miglior metodo classico italiano Rosè Vsq TERRA DEI RE ITALIA VULCANO 800 METODO CLASSICO BRUT ROSE’ 2014 Miglior Alto Adige/Sud Tirol Rosè KETTMEIR ITALIA BRUT ROSE’ 2016 Miglior metodo classico Rosè Regno Unito SHARPHAM INGHILTERRA SHARPHAM PINK 2016 Miglior Lambrusco CAVICCHIOLI U. & F. ITALIA ROSE’ DEL CRISTO LAMBRUSCO DI SORBARA D.O.C. 2015 Miglior Trentodoc Rosè CESARINI SFORZA ITALIA 1673 BRUT ROSE’ 2013 Miglior Oltrepò Pavese Rosè REBOLLINI ITALIA CRUASE SPUMANTE MET. CL. MILLESIMATO 2012

Rosè

Campione del mondo PAUL CHOLLET FRANCIA Campione del mondo biologico ERIC ROMINGER FRANCIA Campione del mondo - vitigni autoctoni BELINGHERI ALEX ITALI Miglior metodo classico d’Italia CANTINA DI SOAVE ITALIA Miglior metodo classico del Veneto ZAMUNER DANIELE ITALIA Miglior metodo classico d’Italia Vsq DECUGNANO DEI BARBI ITALIA Miglior metodo classico d’Europa EDOARDO MIROGLIO BULGARIA Miglior Trento Doc CANTINA D’ ISERA ITALIA Miglior Franciacorta I BARISEI FRANCIACORTA ITALIA Miglior Alto Adige/Sud Tirol Doc LORENZ MARTINI ITALIA Miglior metodo classico Americhe MALMA ARGENTINA Miglior Lessini Durello FONGARO ITALIA Miglior Oltrepò Pavese VALLE DELLA VERSA ITALIA Miglior metodo classico Regno Unito POULTON HILL ESTATE INGHILTERRA Miglior metodo classico Francia CHAMPAGNE GARDET FRANCIA

Premio Severino Barzan “Vielles vignes” VILLA RINALDI ITALIA RINALDI SUPREME CUVEE PRIVEE RINALDO RINALDI EXTRABRUT 2005 Premio Peugeot-Psa alla sostenibilità ambientale UK-WINES ASSOCIAZIONE PRODUTTORI SW DEL REGNO UNITO

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Orvieto di Giulio Bendfeldt

La rinascita dell’Orvieto

Il bianco dell’Umbria è passato dall’essere un “grande” d’Italia richiesto nel mondo a uno “dei tanti” sul mercato. Un downsizing frutto del cambiamento delle mode. Così adesso i produttori hanno deciso di invertire la tendenza puntando sulla forza del territorio

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on è mai facile stare al passo coi mercati. A volte non basta più fare un buon prodotto, collocarlo nella giusta fascia di prezzo, trovare gli interlocutori giusti per la commercializzazione. A volte, semplicemente, i winelover che sino a ieri ti hanno cercato rivolgono le loro attenzioni ad altro. Che siano bollicine, vini esotici, blasonati vini francesi: alla moda del momento è difficile talvolta porre argine. E’ quanto è accaduto a moltissimi vini italiani che, dopo i furori del ventennio sessanta-ottanta, hanno passato un periodo di scarsa affezione. La risposta, in generale, è stata pari alla sfida: i produttori hanno fatto un passo indietro, hanno rinunciato alle quan-

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tità (che tanto il mercato non avrebbe assorbito) e si sono messi a lavorare duro sulla qualità. Analisi dei suoli e zonazione; lavoro su innesti, cloni e sistemi di allevamento; recupero delle varietà autoctone anche di minore “peso” produttivo, ma in grado di apportare unicità e identità; lavoro sulla propria identità per non venir confusi e banalizzati sui mercati. Un “back-to-the-roots” che ha portato risultati importanti in non poche denominazioni – nei fatti, l’unico “fallimento” del vino italiano negli ultimi anni è il Novello finito oramai a trainare le vendite autunnali della Gdo e soltanto per una quindicina di giorni – e che ha iniziato i propri passi anche nell’Orvieto DOC. Una denominazione che è nella storia del vino del nostro Paese, che vanta su un re-

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Orvieto

taggio di primaria grandezza, che ha raggiunto nel suo percorso risultati importanti e che sta reagendo alla stanchezza dei winelover lavorando con decisione sui propri fondamentali. La zona di produzione della DOC è divisa fra Orvieto Classico, la zona storica a ridosso della città, e Orvieto: un areale che coinvolge ben 18 Comuni (13 in Umbria e 5 nel Lazio) con un potenziale produttivo di 2mila 200 ettari di vigneti, ed una produzione nel 2018 di 138mila quintali e circa 12 milioni di bottiglie commercializzate nel passato esercizio. Una denominazione molto ampia – circa 46 kilometri in lunghezza e 16 in larghezza che vanta una ampia gamma di suoli: argilloso, vulcanico, alluvionale e sabbioso -. Per molti anni, l’Orvieto è stato il vino bianco necessario alle cantine toscane per completare la propria gamma godendo poi del vantaggio di essere logisticamente ad un passo dalla prima piazza di smercio del vino italiano, Roma. Nei fatti, uno dei vini italiani più famosi nel ondo. I vitigni utilizzati per l’Orvieto sono il Trebbiano toscano, detto anche Procanico, cui si affianca il Grechetto. Assieme, questi due vitigni apportano il 60% dell’uvaggio complessivo cui possono esserne aggiunti altri. Dai locali Drupello, Verdello e Malvasia toscana agli internazionali come Chardonnay e Sauvignon. Un vino legato alla storia, un vino di tale qualità che venne usato per pagare i lavori per la costruzione del Duomo di Orvieto, e che nel recente passato ha chiamato in zona alcuni dei nomi più importanti del mondo del vino nazionale - Ruffino, Antinori, Gruppo italiano Vini, Incisa della Rocchetta – che si sono aggiunti ai produttori locali. Tutto questo, assieme al lavoro di ri-valorizzazione impostato dal Consorzio di tutela e da una nuova generazione di enologi

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e vigneros, si può intravvedere già con chiarezza nel bicchiere. Lo svolgimento ad Orvieto della 12.ma edizione del Challenge internazionale Euposia ha consentito ad una ventina di giudici italiani ed internazionali (questi ultimi provenienti da Cina, Giappone, Svezia e Regno Unito) di assaggiare una ventina di Orvieto della zona classica ed “allargata” e di Superiore (qualificazione che obbliga ad una ulteriore riduzione della resa per ettaro ed al conseguente innalzamento della gradazione alcolica minima da 11,5 al 12%). Degustazione ovviamente alla cieca, con un successivo confronto fra i giurati e gli enologi che quei vini hanno prodotto, moderata e impreziosita dal leggendario know how di Riccardo Cotarella. Testati anche quattro vini dolci – da vendemmia tardiva e muffa nobile – e quattro sperimentazioni provenienti dalle quattro tipologie di suoli presenti nella denominazione. I vini in degustazione li trovate a pagina 31. Non essendo un concorso, non riporteremo i giudizi dei singoli vini – lo scopo della degustazione non era trovare il “migliore” quanto comprendere il potenziale di questo vino bianco – ,ma un a valutazione più generale. Anche perché una tale libertà nell’uvaggio permette all’enologo di realizzare un vino in linea tanto con la tradizione della denominazione, ma – volendo – anche uno più attento ai canoni stilistici della cantina e dei suoi mercati di riferimento. E non sarebbe una scelta azzardata, anzi. Un giudizio “riassuntivo” per punti: 1. Grande pulizia all’olfatto e grande coerenza fra olfatto e palato. Le scelte dell’enologo debbono poter essere comprensibili già al primo accostamento al bicchiere ed è fondamentale che la promessa iniziale venga mantenuta durante tutta la beva. In fondo, l’olfatto ci dice se quello che ci accingiamo a bere o mangiare ci può far bene o male, è il nostro

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Orvieto

primo “controllo”. In questo, ho trovato una grande attenzione come l’assenza di imperfezioni. 2. Ampiezza di profumi e sapori: gli Orvieto degustati non sono mai stati banali o ripetitivi, tutti hanno mostrato un proprio personale carattere e, in generale, una grande ricchezza di profumi, uno spettro molto ampio in grado di appagare un winelover alle prime armi quanto un degustatore esperto e, soprattutto, far esplodere le potenzialità di abbinamento dell’Orvieto. «E’ il tratto che più mi ha stupito – sottolinea Goran Amnegard, chef svedese stellato, produttore di Icewein in Canada e in Svezia – e che mi ha portato naturalmente ad immaginare abbinamenti ed utilizzi nella mia cucina che, ovviamente, non è vicina a quella del territorio. Il fatto che abbia trovato così tante connessioni è, a mio giudizio, un fattore molto positivo per una ritrovata crescita dell’Orvieto sui mercati internazionali». 3. Sapidità, note legate alla liaison vulcanica, sensazioni fruttate: nel vostro palato ritroverete a lungo queste sensazioni che non verranno meno facilmente. Anche quando si è fatto ricorso a Chardonnay e Sauvignon non si è lavorato per un vino piacione a tutti i costi, ma capace di raccontare sempre il proprio vigneto d’origine. 4. Una grande sorpresa sono stati i vini passiti: ora, è vero che per i vini dolci non è un gran momento – i consumi sono limitati, legati ad occasio-

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ni particolari, e le continue informazioni dietetiche non fanno che aumentare il divario coi consumatori – però va riconosciuto a chi si ostina a farli che il gran lavoro svolto nel bicchiere porta a risultati straordinari: dal tropicale, al miele di agrumi…il corredo sensoriale è davvero molto ampio e quello che più ci è piaciuto è la grande raffinatezza ed eleganza. Il dolce non è debordante e non copre la ricchezza di questi vini. Forse è il caso di ripensare allo (scarso) utilizzo che facciamo di questi vini preziosi sbattendocene un po’ della dieta (oppure, come alternativa, allungando di un paio di kilometri la nostra passeggiata/corsetta quotidiana). Vogliamo cercare una pecca? L’immagine è sostanza considerando che una percentuale molto alta degli acquisti allo scaffale dipende essenzialmente dall’etichetta. Orvieto deve lavorare di più su questo, evitando la “fantasia al potere” e il piacere individuale del vigneron, magari, puntando ad un qualcosa che caratterizzi tutti i produttori lasciandoli però comunque individuabili. Io, al posto loro, farei un giretto in Collio dove le individualità non mancano, i personalismi neppure, però un minimo comune denominatore è stato trovato ed è diventato un fattore di identità dell’intero territorio portando nelle varie cantine tanti winelover. Mancherei ai miei doveri se, in questo quadro di assoluta eccellenza, una degustazione davvero felice, non vi dicessi i tre/quattro vini che più mi sono piaciuti: Barberani, Tenuta di Freddano, Giv (Bigi) e, dulcis in fundo, Custodi. Ma questo è solo il mio giudizio. Vale per me. Voi, fatevi il vostro. A Orvieto vi aspettano a braccia aperte.

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Orvieto

Cantina

Vino

Tipologia

Annata

Settore

Altarocca

Albaco

Orvieto Cl. Sup.

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Orvieto Doc Settore Nord

Tenuta Di Freddano

Spes

Orvieto Cl. Sup.

2018

Orvieto Classico versante orientale

Cantine Monrubio

Soana

Orvieto Cl.

2018

Orvieto Doc settore nord

Barberani

Luigi e Giovanna

Orvieto Cl. Sup.

2016

Orvieto Classico versante orientale

Barberani

Calcaia

Orvieto Cl. Sup. M.n.

2016

Orvieto Classico versante orientale

Argillae

Panata

Orvieto Cl. Sup.

2018

Orvieto Doc settore nord

Argillae

Orvieto D.o.c.

Orvieto D.O.c.

2018

Orvieto Doc settore nord

Il Bianco

Orvieto Cl. Sup.

2017

Orvieto Classico versante orientale

Decugnano dei Barbi Pourriture Noble Orvieto Cl. Sup. M.n.

2015

Orvieto Classico versante orientale

G.i.v. Bigi

Orvieto Classico

Torricella

2018

Orvieto Doc settore nord

Custodi

Orvieto Classico

Belloro

2018

Orvieto Classico versante occidentale

Custodi

Pertusa

Orvieto Cl. Sup. V.t.

2017

Orvieto Classico versante occidentale

Cardeto

Donna Armida

Orvieto Cl. Sup. V.t.

2018

Orvieto Doc settore nord

Antinori

San Giovanni

Orvieto Cl. Sup.

2018

Orvieto Classico versante orientale

Poggio Calvelli

Orvieto Cl. Sup.

2018

Orvieto Classico versante occidentale

Orvieto Cl. Sup.

2018

Orvieto Classico versante orientale

Orvieto Cl. Sup.

2018

N.a.

Ruffino

Orvieto Classico

2018

N.a.

Piccini

Orvieto Classico

2018

N.a.

Orvieto Classico

2018

N.a.

Decugnano dei Barbi

La Carraia Castello di Corbara I.r.e.u.

M.g.m.

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Lunato

La Piuma

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Focus di Daniela Scaccabarozzi

Vallepicciola: connubio tra classicità e modernità

L

a via per arrivare alla cantina Vallepicciola percorre un lungo tratto nell’affascinante campagna senese, dove è possibile ammirare uno splendido scenario fatto di oliveti, vigneti e boschi. Strade asfaltate e poi un largo sentiero bianco e polveroso, conducono fino all’ingresso, dove troviamo un cancello in ferro sul quale troneggia il simbolo (ed il logo) dell’azienda: il volto di un re menestrello barbuto che ci dà il benvenuto. Questa simpatica figura allegorica ci accompagnerà sempre nella nostra visita e sarà il leitmotiv che ritroveremo anche su tutte le etichette. Siamo a Castelnuovo Berardenga, nell’estremo sud della zona del Chianti Classico, patria del sangiovese, in un paesaggio agreste interamente punteggiato da splendide ville signorili, fatte costruire dagli aristocratici senesi nel corso dei secoli. Territorio di antico insediamento, conobbe un grande sviluppo economico e demografico nel XII e XIII se-

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colo, duranti i quali furono costruite numerose pievi romaniche. Nata commercialmente intorno al 2016 per mano dell’imprenditore Bruno Bolfo e di sua sorella Giuseppina (anima del resort collegato) la tenuta si estende per 265 ettari complessivi, di cui 95 vitati. Vallepicciola è posta su una collina che sovrasta le valli ed i terreni circostanti. Al centro di grandi vigneti, delimitati da ampi boschi, occupa una posizione aperta e soleggiata, da dove si gode uno splendido panorama. I vigneti, orientati prevalentemente a sud ovest ad un altitudine compresa tra i 290 ed i 440 mt., sono posti su territori collinari a sinistra del fiume Arbia e sono stati selezionati ed impiantati seguendo la composizione dei suoli costituiti da argilla, marne calcaree e bluastre, tufo, arenarie e sabbie. La grande varietà di questi terreni ha permesso all’azienda di coltivare non solo il sangiovese, dal quale nascono alcune varianti del Chianti classico, ma di testare

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Focus

coraggiosamente anche alcuni vitigni internazionali come il Pinot Nero, il Merlot, il Cabernet Franc, il Cabernet Sauvignon, il Petit Verdot e lo Chardonnay, a dimostrare come la ricchezza e la variabilità di questo straordinario terroir possa dare vita a vini così diversi tra loro, ma che sono figli della terra in cui crescono, capaci quindi di raccontare la loro unicità. La sperimentazione di questi vini ha dato vita a nuovi stimoli e nuovi orizzonti per l’azienda, ottenendo eleganza, personalità ed un taglio moderno nel bicchiere. La salvaguardia e la valorizzazione del sangiovese invece, coltivato per un terzo rispetto a tutte le altre uve, è frutto di un connubio tra terra e vitigno, cultura e fatica dell’uomo, scienza enologica e sapienza del cantiniere ed è la costante di un lavoro che dà senso alla parola tradizione, donando vini dal penetrante bouquet con aromi di frutta, tabacco, macchia mediterranea e sentori di spezie. La filosofia aziendale per di più, è strettamente

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legata alla sua terra ed al suo rispetto, per questo si è imposta di ridurre sia l’impiego di diserbanti, sia i trattamenti in vigna, con l’obiettivo di preservarne l’ambiente, dando anche vita a prodotti sempre più salubri e genuini. Inoltre, dal 2017, con l’aiuto del Wine Research Team, gestito da Riccardo Cotarella (loro enologo consulente) e dall’AGER, spin off dell’Università di Milano, Vallepicciola sta perseguendo una migliore e più scientifica gestione delle attività agricole, al fine di ottenere un importante risparmio di acqua, energia e tempo. Il primo passo è già stato compiuto: un nuovo impianto fotovoltaico è infatti già operativo e la cantina è ad oggi energeticamente autosufficiente per buona parte. Visitandola, ci rendiamo conto dell’importante investimento che la famiglia Bolfo ha portato avanti e di come sia stata costruita ad immagine e somiglianza dell’impresa stessa, dei suoi vini e del territorio,

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Focus

catura a mano e portate, in brevissimo tempo, ad un frantoio vicino, dove, grazie al sistema della molitura “a freddo” sono trasformate in olio extravergine di oliva, non filtrato. Le bottiglie annue ottenute si aggirano intorno alle 5000/6000 unità e, per la loro ridotta quantità, vengono commercializzate prevalentemente in Toscana.

unendo utilità e funzionalità alla bellezza estetica. Un binomio inscindibile, in cui il vino è sempre messo al centro. Una cantina vera, sostenibile e rispettosa dell’ambiente, che è piena espressione del luogo. Si tratta di circa 6.000 mq posti in un edificio semicircolare e dalle forme innovative, che si integra perfettamente con il paesaggio naturale nel quale si trova. Un gioiello architettonico dal design attuale, ispirato ai principi dell’architetto statunitense Frank Lloyd Wright, è tecnologicamente avanzata ed efficiente, per ottenere il meglio della qualità enoica. E’ inoltre interrata per l’80% ed è caratterizzata dal processo per caduta naturale delle uve. Bellissimo anche lo spazio dedicato alla barricaia, moderno e dalle linee pulite, spesso adibito alle degustazioni. Attualmente vengono prodotti dodici vini per un totale di 320.000 bottiglie, con l’aspettativa di arrivare a 600.000 non appena entreranno in produzione gli ultimi vigneti impiantati. Le vendite sono prevalentemente in Italia (70%) mentre il restante è destinato per lo più all’America del Nord, all’Asia ed all’Europa. Come da antica tradizione toscana, la coltivazione della vite è affiancata a quella dell’olivo. L’azienda possiede infatti 5000 piante di cultivar Moraiolo, Leccino e Frantoio, che vengono raccolte con bru-

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I vini più rappresentativi:

Lugherino 2017 – Rosato Igt Uve: Pinot nero 100% Colore: rosa intenso Naso: fragrante, con note fruttate di fragoline di bosco e ribes, ma anche fiorite come la rosa ed il biancospino. Bocca: croccante ed improntata su toni fresco-minerali, si distingue per la finezza espressiva ed una gradevolissima piacevolezza di beva. Finale sapido e caratterizzato da media persistenza.

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Focus Boscobruno 2016 – Rosso Igt Uve: Pinot nero 100% Colore: rosso granato Naso: si apre dolce ed elegante, con profumi di ciliegia sotto spirito, prugna, lampone, viola, mirto, completati da fragranze di cuoio, cioccolato e soffi balsamici. Bocca: stuzzicante sapidità in evidenza, con un apporto acido ben presente. I tannini sono giovani, ma ben amalgamati. Chiusura persistente.

Chianti classico riserva 2016 – Rosso Docg Uve: Sangiovese 100% Colore: rosso rubino intenso Naso: il ventaglio olfattivo è variegato ed ammaliante: marasca, fragola, frutti rossi, emergono poi viola, tabacco, liquirizia e cioccolato. Bocca: è morbido ed avvolgente, segnato da tannini ancora scalpitanti ed una sapidità ben presente.

Pievasciata 2016 – Rosso Igt Uve: Cabernet Sauvignon 60% - Cabernet Franc 15% - Merlot 15% - Sangiovese 10% Colore: rosso rubino carico Naso: impatto olfattivo avvolgente di frutta scura e viola, per poi sfumare su note balsamiche, cacao, cuoio e sottobosco. Bocca: al palato è incisivo: l’acidità si integra con un discreto tannino e da una sapidità spiccata che allunga la persistenza finale, che chiude con una nota di liquirizia.

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Quercegrosse 2016 – Rosso Igt Uve: Merlot 100% Colore: rosso rubino con leggeri riflessi violacei Naso: esordisce con sentori di ciliegia sotto spirito, lamponi, seguiti da toni balsamici ed erbacei, per finire con profumi speziati. Bocca: al palato spiccano eleganza e corpo sorretti da freschezza ed intrigante sapidità. I setosi tannini si fondono con un tenore alcolico di tutto rispetto. Note di china sul finale.

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Lambrusco di Enzo Russo

La grande sfida della qualitĂ

Salvaguardia della denominazione, nuovi investimenti in strutture ricettive, crescita del metodo classico, valorizzazione degli autoctoni: cosĂŹ il Lambrusco di Modena vuole continuare a crescere

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Lambrusco

I

ncontriamo Claudio Biondi nel suo ufficio mentre è intento a bere un caffè con Giacomo Savorini che dal prossimo primo gennaio diventerà direttore del Consorzio al posto di Ermi Bagni che lascia per godersi la pensione, continuando però a collaborare con il Consorzio. A tre anni dalla nomina a Presidente del Consorzio del Lambrusco di Modena, le chiedo un bilancio della sua presidenza. “Sono stati tre anni intensi e positivi. Innanzitutto, il Consorzio del Lambrusco di Modena nel 2020 sarà impegnato nella ricorrenza dei 50 anni delle DOC “Lambrusco di Sorbara”, “Lambrusco Salamino Santa Croce” e “Lambrusco Grasparossa di Castelvetro”. Faremo poche autocelebrazioni e vorremmo indicare cosa fare per i prossimi 50 anni con i nostri Lambruschi DOC mantenendo il nostro impegno: noi rappresentiamo la filiera completa, la produzione, la trasformazione e la commercializzazione, affinché il Consorzio possa continuare ad esistere bisogna che tutti questi attori abbiano il giusto riconoscimento economico. Il Consorzio del Lambrusco in tutti questi anni ha saputo coniugare la qualità con un prezzo accessibile a tutti e il nostro proposito è quello di continuare a rimanere sulla tavola degli italiani, tutti i giorni. Siamo una grande squadra che ha maturato una grande esperienza in Europa e oltre Oceano ed è questo che dobbiamo continuare a fare. Il nostro Lambrusco è il vero Lambrusco doc, ma alla fine il consumatore ci premia perché riconosce la qualità, l’origine di questo vino, le cui radici profonde che affondano in un territorio con una lunga tradizione enogastronomica unica nel suo genere che vanta ben 24 produzioni a Denominazione di Origine, 11 DOP e 13 IGP. Il Lambrusco è il vino italiano più venduto nella Grande distribuzione, però non è sufficiente. Per questo ragioniamo sempre più in termini di territorio, per me il Lambrusco vuol dire Modena e Reggio

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Emilia e qualche cosa nel mantovano. In questi tre anni il compito del Presidente è stato quello di tener riuniti i soci che hanno anche idee e interessi anche diversi: abbiamo dei produttori – aggiunge Claudio Biondi - che devono consolidare una produzione lorda vendibile per ettaro soddisfacente; abbiamo la commercializzazione deve vendere un numero importante di bottiglie con il valore della materia prima che deve essere equilibrato; abbiamo investimenti che sarà necessario fare per contenere il cambiamento climatico. Il 2019 è stato l’anno in cui è successo di tutto, come per esempio due eventi meteorologici che hanno condizionato la produzione in termini quantitativi: siamo partiti con una fase di vegetazione molto tardiva per effetto del freddo secco che ha determinato per il Lambrusco Salamino un forte ritardo per l’aspetto vegetativo legato ad un problema di allegagioni, in particolar modo al Lambrusco di Sorbara che ha bisogno di una impollinazione importante. Poi la grandine del 22 giugno che definirei devastante, che ha interessato un vasto territorio nelle province di Modena e di Reggio Emilia. Per questo il 2019 è stato un anno che ha presentato sotto l’aspetto quantitativo un forte calo del Lambrusco Salamino e Sorbara, mentre abbiamo la produzione tipica della pedecollinare che è il Lambrusco di Castelvetro che ha mantenuto gli standard numerici in linea con le altre annate”. Si ritiene soddisfatto di questi tre anni di presidenza? “Abbiamo mantenuto l’obbiettivo che mi ero dato: non parlare soltanto agli addetti ai lavori. Abbiamo fatto delle importanti iniziative con il Gambero Rosso a Roma e a Milano dove abbiamo parlato con i ristoratori perché sia presente sempre di più nella Carta dei Vini il Lambrusco di Modena e Reggio Emilia. Un’altra questione che mi preme sottolineare è come in tutti questi anni con il Consorzio Tutela Vini Emilia è stata svolta una intensa attività di mo-

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Lambrusco

nitoraggio mondiale per la tutela e salvaguardia della denominazione “Lambrusco”. Noi ogni anno siamo impegnati in più Paesi a contrastare questo fenomeno di contraffazione: in alcuni “emergenti” tendono a plagiare la dicitura Lambrusco, un nome che ha una forte risonanza mondiale. Non spetta al Presidente giudicare in positivo o negativo: debbono parlare i fatti. Debbo dire che siamo riusciti come Consorzio, grazie al nostro Consiglio d’amministrazione, a mantenere seduti attorno al tavolo tutti gli attori importanti perché questo era l’obbiettivo: mettere insieme produzione, trasformazione e commercializzazione. Viviamo in un territorio dove l’85% del Lambrusco è controllato da molte cooperative, per cui abbiamo delle Cantine sociali che hanno cento anni, qualcosa vorrà pur significare. Un elogio va fatto all’aspetto enologico, perché in questi anni abbiamo assistito alla presentazione di prodotti nuovi, come il Metodo Classico di Lambrusco che fino a qualche anno fa era impensabile. Abbiamo dei prodotti che sposano con eleganza la cucina, soprattutto per l’aperitivo, come il Sorbara, un rosé profumato, spumeggiante che primeggia per

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le sue caratteristiche organolettiche. Siamo diventati forti anche nella produzione Bio che ha raggiunto livelli importanti: cresce a due cifre ogni anno. Di eccellenze, nel nostro territorio ce ne sono tante e ne siamo orgogliosi, questo lo dobbiamo alle nostre Aziende che ogni giorno si impegnano nella ricerca e sperimentazione. Sta a noi promuoverle e farle conoscere”. Claudio Biondi ci lascia nelle mani del direttore Ermi Bagni; la nostra Peugeot 508 S.W. turbo ci aspetta per portarci in giro sulle vie del Lambrusco, dove si sentono i profumi della vendemmia ancora in corso con i carri pieni di uve sulla strada che vanno a consegnarla alle cantine. E’ un gran bello spettacolo da vedere. Direttore Bagni, siamo alla metà di ottobre e la vendemmia è quasi finita, come sta andando?. “Quest’anno la vendemmia è in ritardo, perché da circa 15 anni eravamo abituati ad una vendemmia che finiva verso la metà di settembre, quest’anno siamo tornati verso una vendemmia più in linea con le date del passato: la raccolta delle uve Salamino, la più precoce, avviene con alcune settimane di ritardo e quelle di Sorbara tra circa 8 giorni. E’ un anno particolare,

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Lambrusco

tutto da decifrare, è una vendemmia difficile dal punto di vista della gestione enologica e della trasformazione in cantina perché abbiamo delle acidità molto alte e la resa uva/vino è più contenuta rispetto agli anni scorsi. La Grasparossa sarà vendemmiata alla fine di ottobre.” Ma nell’insieme come si prospetta la vendemmia? “Il prodotto è di buona qualità perché le caratteristiche delle uve sono ottime per ottenere un vino Lambrusco ricco di profumi che ricordano la campagna e frutti del sottobosco. Per esempio, il Sorbara erano anni che non dava un’acidità così elevata e quindi un prodotto che avrà una stabilità importante e che si presterà a delle rifermentazioni naturali in bottiglia o in autoclave e nella spumantizzazione per dare forza e qualità al Lambrusco che, con il passare degli anni, si è evoluto, tanto da fare concorrenza alle classiche bollicine”. Parliamo del mercato del Lambrusco, in Italia e all’estero. Come chiuderà il 2019? “Credo bene. Il primo semestre ha dato buoni risultati rispetto alle aspettative dei produttori. Per come stanno andando le cose,

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il secondo semestre credo che rispetterà il trend positivo, sia in termini di quantità sia economico”. Questi buoni risultati da cosa dipendono? “Innanzitutto, il Lambrusco è un vino che piace. Poi, in questi ultimi anni, è stato fatto un buon marketing, abbiamo finalmente capito quali sono le tecniche di promozione affiancate alla comunicazione che sono l’asse portante per vendere il Lambrusco. Bisogna essere una squadra compatta, perché, come si dice, l’unione fa la forza. Quando ci si presenta sui mercati mondiali uniti, Modena e Reggio, raccontando il nostro territorio, ricco di tradizioni gastronomiche, i nostri interlocutori rimangono affascinati da quello che viene prodotto dalle nostre aziende: dal prosciutto di Modena con zampone e cotechino, dall’aceto Balsamico, al formaggio Parmigiano Reggiano, alle tante altre eccellenze che si abbinano perfettamente con il Lambrusco. Tutto questo fa sì che il Lambrusco diventi il filo conduttore di tutta la nostra filiera agroalimentare invogliando le persone a visitare il nostro territorio. E da alcuni anni le nostre aziende vitivinicole grandi, medie, piccole si sono attrezzate per accogliere e ospitare visitatori che arrivano da ogni angolo del mondo”.

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Lambrusco

Dalle grandi alle piccole aziende Il La mbrusco è sempre più buono Nel distretto del Lambrusco della Provincia di Modena ci sono tante realtà produttive, si va dalle grandi aziende che hanno fatto la storia del Lambrusco a quelle piccole che presidiano il territorio con produzioni di alta qualità sorprendenti e piacevoli al palato, per i profumi e l’effervescenza dinamica e briosa del vino. Una interessante realtà che vale la pena di scoprire e visitare anche per bere un buon bicchiere di Lambrusco. Ci si ritrova catapultati in una atmosfera di ospitalità contadina, che fa capire quanta passione e dedizione ci mette l’uomo per offrire un dono della natura. Ne abbiamo conosciute alcune, ve le presentiamo.

AZIENDA AGRICOLA IL BORGHETTO Via della Saliceta 5 41036 Medolla (MO) www.ventiventi.it È un azienda vitivinicola nuova che colpisce subito per la sua imponenza e per l’architettura moderna. Costruita con materiale antisismico, dove l’acciaio è preminente, è collocata al centro di vigneti di Lambrusco. Nell’ampio locale della cantina, dove

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sono installate tecnologie di ultima generazione, il titolare Vittorio Razzaboni ci aspetta per parlare di questa nuova realtà che ha costruito, non tanto per sè ma per i suoi figli Riccardo, Andrea e Tommaso. “Ho fatto tutto questo per loro”, ci dice Razzaboni con orgoglio, perché io faccio tutt’altro, lavoro nel settore metalmeccanico”. Come è nata l’dea di costruire una cantina vitivinicola, visto che nella vita lei è tutt’altro e poi con poco legno e tanto acciaio? “Il progetto è partito nel 2014 quando abbiamo deciso di creare una diversificazione alla mia azienda principale che fa parte del settore metalmeccanico. Avendo tre figli ed essendo in società con mia sorella, abbiamo deciso di fare questo investimento. Perchè l’idea del vino e della campagna mi affascina, mi dà un senso di tranquillità, mi rilassa e mi fa sentire a contatto con la natura. Queste sono le motivazioni principali”. Tutti questi vigneti che sono attorno all’azienda, quale tipologia di Lambrusco producono? “Noi abbiamo acquistato un dozzina di ettari. Siamo partiti con 20 ettari e oggi sono 45, dei 18 sono già vitati a Pignoletto, Cabernet, Salamino, Sorbara, Ancellotta, Nettuno bianco e il Traminer. A primavera del 2020 metteremo anche 12 ettari di vigneti a Chardonnay, Salamino e Sorbara. Attualmente produciamo un Salamino di Santacroce, poi uscirà a febbraio il metodo classico Sorbara e dopo un vino rosé tranquillo ottenuto da uve lambrusco di Sorbara, una novità assoluta del settore”. Quali sono gli obbiettivi che vi siete dati? “Il nostro primo obbiettivo è di cercare di fare una linea di vini indirizzati ad un target alto, non pensiamo di fare quantità ma alta qualità. Siamo partiti con 22 mila bottiglie di Metodo Classico, per il 2020 ne prevediamo 35 mila. Per quanto riguarda la vendita, per ora soltanto in cantina, ma nel breve pensiamo ad una rete vendita, sia in Italia sia all’estero. Noi ab-

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con il Gruppo Italiano Vini a cui abbiamo ceduto il marchio della Cavicchioli e lo stabilimento industriale di San Prospero. Siamo rimasti io e Claudio che si occupa delle vendite indirizzate alla GDO di tutto il territorio italiano ed io continuo ad occuparmi della cantina per fare quello che ho sempre fatto nella vita, del buon vino Lambrusco Cavicchioli. Come si vede, poco è cambiato. Anzi oggi è cambiato perché riesco a fare dei vini sempre più buoni in questo stabilimento, tutto il vino viene prodotto con l’uva dei soci della cooperativa, quindi possiamo dare una tracciabilità completa di tutta la filiera produttiva ai consumatori”. Dalla cantina quante tipologie di vino escono? “La Cavicchioli si è sempre sviluppata nell’area storica dei vigneti del comprensorio, per cui parliamo di un 70% di vini doc della zona di Modena, come il Lambrusco di Sorbara dove siamo leaders sul mercato, il Salamino e il Grasparossa, Lambrusco di Modena e un po’ di Lambrusco dell’Emilia. Poi abbiamo introdotto la produzione del Pignoletto frizzante e spumante con uve grechetto gentile che stanno avendo un notevole successo di gradimento. In ogni caso, questo 70% di vino è fatto per il 90% da Lambrusco. Abbiamo poi sviluppato una linea che corrisponde ad un 30%, sul mercato estero grazie alla collaborazione del GIV che ha una notevole entratura su quasi tutti i mercati del mondo”. Questa è la sua attività di enologo o si sono altri interessi? “Come detto, la vendita della Cavicchioli è stato soltanto uno scorporo di un ramo dell’azienda. La società è rimasta con la proprietà del 100% della cantina Castel Faglia in Franciacorta, è rimasta al 100% dell’azienda Francesco Bellei che è una piccola realtà locale a produzione esclusiva di rifermentazione in bottiglia o Metodo classico e metodo ancestrale. Siamo rimasti con la nostra stazione di pigiatura dove pigiamo tutte le uve di famiglia che continuiamo a coltivare”. L’azienda che ha in Franciacorta è completamente autonoma? “Nel 2018 abbiamo prodotto e venduto circa 600 mila bottiglie di bollicine, prodotte e marcate dall’azienda agricola Castel Faglia a Cazzago San Martino. Le bollicine Franciacorta Castel Faglia, vengono vendute nella Gdo, col nome Castel Faglia, mentre l’altro marchio Monogram viene distribuito in esclusiva dal GIV nel canale horeca”. E a proposito di buon vino, Cavicchioli ci ha fatto degustare un Lambrusco doc Vigna del Cristo, che si

CANTINA CAVICCHIOLI GRUPPO ITALIANO VINI Via Canaletto 52 41030 San Prospero (Mo) www.cavichioli.it Incontriamo Sandro Cavicchioli nella sua storica cantina assieme a Gabriele Lechthaler, direttore dello stabilimento di produzione. E’ circa 12 anni che non lo vediamo. E’ trascorso molto tempo, ma nel contempo sono successe tante cose, come per esempio la sua azienda è confluita nel GIV, una decisione importante. Quali sono state le motivazioni che l’hanno spinta a fare questa scelta? “E’ successo che nel 2010 la famiglia si era allargata, la proprietà era di tre fratelli ed è stato naturale una ritirata di alcuni componenti della famiglia. Invece io e mio fratello abbiamo pensato di continuare

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biamo una potenzialità per produrre oltre 400 mila bottiglie ma tutto sarà graduale anche in base alla risposta del mercato. Abbiamo una eccellente materia prima e macchinari all’avanguardia che possono soddisfare qualsiasi richiesta”. La Vendemmia come sta andando? “Bene, stiamo raccogliendo il Pinot bianco, Pignoletto, Ancellota, Sorbara, Salamino di Santacroce e poi tutte le altre uve. La raccolta delle uve viene fatta meccanicamente”. Alla fine, Razzaboni con i figli ci fa degustare alcuni vini non ancora in vendita, come Sorbara Metodo Classico, un Salamino spumantizzato molto profumato con una buona acidità, il Pignoletto Metodo Classico ed infine la novità, il Sorbara fermo ricco di profumi che ha sorpreso il palato per la freschezza e la personalità, lungo, persistente e ben strutturato. E’ un vino che farà molta strada. Salutiamo Razzaboni, il “metalmeccanico vignaiolo”, facendogli tanti auguri.


Lambrusco presenta di colore rosso rubino chiaro, ricco di spuma, al naso regala intensi profumi floreali e di frutta. In bocca risulta equilibrato e fresco e gradevolmente aromatico e di buona persistenza. Non ha un difetto. Un bravissimo all’enologo Cavicchioli.

Come sta andando la vendemmia quest’anno? “Si sta presentando bene con una giusta produzione e di buona qualità . E’ una vendemmia tardiva, causata da un Maggio freddo, con una resa bassa ma con un prodotto finale molto buono. Noi facciamo delle potature per avere delle rese basse per avere una buona gradazione e un buon colore”. Vedo che ci sono già dei bicchieri in tavola, cosa ci farà degustare? “ Degusteremo tre Grasparossa, i miei cavalli di battaglia, che sono il Bruno Zanasi dedicato al nonno fondatore che caratterizza la più alta espressione delle uve collinari, Sasso Storno che viene fatto nel vigneto situato sulla riva del fiume Tiepido a Castelnuovo Rangone e poi un Grasparossa Bio che abbiamo iniziato a produrlo lo scorso anno. E’ una prova per decidere se sarà possibile passare al biologico. Infine il 1984 Rosè, un metodo classico 24 mesi, fatto con uve Grasparossa e Sorbara”. Tutti buoni, li abbiamo degustati con attenzione e tra questi, quello che ci ha colpiti di più è stato il Grasparossa Zanasi dal colore rosso intenso, per i profumi di frutti di sottobosco, risultando al palato fresco e pulito.

ZANASI SOCIETÀ AGRICOLA Via Settecani Cavidole 53 41051 Castelnuovo Rangone (località Cavidole (Mo) www.zanasi.net Il viale che ci porta alla Cantina Zanasi ci fa subito vedere la bellezza dei vigneti che circondano l’azienda, con una lunga storia iniziata nel 1883 da Luigi Zanasi e che le nuove generazioni hanno trasformata cambiando sede, fatta crescere con pazienza e passione, sempre alla ricerca del meglio nella produzione di Lambrusco. Incontriamo Marco Uccellari figlio della signora Zanasi in cantina, dove è intento a controllare la vendemmia ancora in corso. Quando nasce la nuova cantina? “E’ stata fondata nel 1984 da mio nonno Bruno Zanasi che si trasferì dalla località Settecani nella campagna dove ci troviamo ora ed era formata da 10 ettari di vigneto. Attualmente ne abbiamo 22 che sono dislocati tra Spilambergo e Castelvetro. Per la maggior parte sono coltivati a Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, poi ci sono 5 ettari di Pignoletto e mezzo ettaro di Trebbiano”. Quante tipologie di vino escono dalla cantina? “ Di Grasparossa secco ne produciamo cinque tipologie, un semisecco ed un amabile. Poi abbiamo il Pignoletto frizzante secco ed il Trebbiano per un totale di 200mila bottiglie che vengono vendute per circa il 20% negli Stati Uniti, Canada, Nord Europa, Giappone e poche bottiglie in Cina. Il rimanente è soprattutto rivolto al mercato locale, Modena, Reggio Emilia e Bologna. Siamo presenti a Milano e Roma”.

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OPERA O2 DI CA’ MONTANARI Via Medusia 32 41014 Levizzano di Castelvetro (Mo) Opera 02 è un bellissimo complesso che si trova sul cucuzzolo di una collina dove si può ammirare un bellissimo panorama verdeggiante dove primeggiano vigneti di Lambrusco Grasparossa che in questi giorni di ottobre soleggiato, le uve vengono raccolte per la vendemmia. Dal terrazzo dell’azienda, che sembra proiettarsi nel vuoto, sembra di vedere un quadro vivente, persone che si muovono tra i vigneti con le ceste piene di grappoli e i colori autunnali che

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cantina per la produzione del Lambrusco Grasparossa classico declinato in rosé e un cru in produzione limitata. Stiamo uscire con un metodo classico Grasparossa. Produciamo 70 mila bottiglie, molte vendute negli Stati Uniti e poi in Europa e in Italia”. E i clienti? “Molti sono di Maranello, vengono manager , piloti e alcune volte è venuto anche Marchionne in elicottero. Poi artisti del modo del cinema e della canzone. La moda è molto presente”. Finiamo l’intervista a tavola, dove il giovane e determinato imprenditore Mattia, ci fa degustare uno spumante Grasparossa rosè di ottima fattura, profumato e delicato che soddisfa il palato. Una vera opera d’arte.

CANTINA FORMIGINE PEDEMONTANA Via Radici in Piano 228 41043 Corlo di Formigine (Mo) www.lambruscodoc.it Quando arriviamo alla Cantina Formigine Pedemontana, ci colpisce subito la colonnina per “rifornire” le auto elettriche, posta a margine del marciapiede. E’ un segnale di come opera l’azienda vitivinicola. Incontriamo il Presidente della cantina Dante Chiletti nel suo ufficio per conoscere questa importante realtà. Quando nasce la cantina? “Nasce nel 1920, di fatto erano due, una a Formigine e l’altra a Sassuolo, poi nel 2005 si sono unite dando vita alla nuova Cantina Formigine Pedemontana su 10 mila mq, viene attrezzata con nuovi macchinari di ultima generazione per soddisfare le richieste del mercato”. Quali sono i vini che escono dalla cantina? “In questa zona c’è il Lambrusco Grasparossa doc , siamo nella fascia della collina pedecollinare, poi ci sono altre varietà come l’Ancellotta, il Malvo, Trebbiano modenese”. Quanti sono i soci? “Sono 280, di cui 240 sono conferenti e 40 sono soci ono-

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vanno dal verde al rosso mattone, lo fanno sembrare ad un’opera d’arte di Vincent Van Gogh. Siamo talmente affascinati dello spettacolo che non ci accorgiamo dell’arrivo di Mattia Montanari, l’amministratore delegato dell’azienda a cui chiediamo subito quando è nata questa struttura, molto bella e articolata su due piani in un luogo che sembra un eremo di preghiera e contemplazione. “E’ nata prendendo il nome dell’anno 2002, l’anno di fondazione dell’azienda Ca Montanari con appena quattro ettari di vigneto a Grasparossa, per passione dell’aceto Balsamico che da generazioni ci accompagna in questa tradizione. Nel 2005 abbiamo avuto l’occasione di comprare questa vecchia stalla per realizzare questo progetto e fantasticare per promuovere questo territorio che è famoso per i motori, siamo a tre chilometri da Maranello e a dieci chilometri dalla Maserati e di altre aziende di risonanza mondiale. Abbiamo realizato questo complesso cercando di valorizzare al massimo il Lambrusco che è il nostro vino. Noi siamo cresciuti con il Grasparossa e quindi abbiamo voluto dare un supporto a tutto il territorio e al prodotto valorizzandoli. Nel contempo far conoscere queste dodici colline, che per me sono una piccola Toscana. Ma soprattutto ci tengo a far conoscere questo Lambrusco Grasparossa perchè fuori dal nostro territorio a volte viene considerato un vino di secondo livello. E quindi abbiamo pensato di costruire questo complesso guardando in particolare al turista europeo ma anche di oltre Oceano di target medio alto che cerca la tranquillità, il relax e comodità di servizi. Famiglie o coppie che desiderano visitare le ricchezze del nostro territorio, dai castelli ai borghi medievali all’enogastronomia, vanno a Maranello a vedere la Ferrari oppure la Maserati. Quando tornano, alla sera vogliono stare tranquilli sorseggiando un bicchiere di Lambrusco Grasparossa”. Chi l’ha progettato e come è fatto il complesso? “Il progetto è di mia madre Lorella Zanantoni, architetta designer di interni, che ha immaginando un concetto nuovo di questo tipo di agriturismo resort, moderno: siamo riusciti a mixare questi due concetti il moderno che si fonde con l’antico. L’agriturismo si presenta con al piano terra il ricevimento con un ampio salone per la degustazione e colazione, la parte ristorazione e otto camere personalizzate a fianco dell’acetaia, fuori un ampio terrazzo panoramico con la piscina sottostante. Nel piano di sotto c’è un centro benessere con sauna e bagno turco e poi la


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rari. La cantina lavora circa 110 mila quintali di uva, di cui l’80% Gasparossa e il rimanente 20% sono altre varietà, per un totale di 75 mila ettolitri di vino”. Come viene venduto? “ Sono due le tipologie di vendita, quella in cisterna che viene acquistata dagli imbottigliatori ed è circa l’80%, il rimanente viene imbottigliato, sono 1 milione e 300 mila bottiglie di diverse tipologie che vengono vendute nel nostro punto vendita, localmente, nelle GDO, nel canale horeca e poi all’estero”. Cosa prevedete nei prossimi anni, un aumento della produzione? “ Non pensiamo di aumentare la produzione in quanto pensiamo di aver raggiunto un giusto equilibrio, pensiamo invece, di aumentare la produzione di qualità mediante un severo controllo di tutte le fasi della filiera produttiva questo perché oggi il consumatore è diventato più esigente, desidera avere sul tavolo un vino che soddisfi il palato e quindi l’alta qualità fa la differenza. Negli ultimi anni la cantina si sta sempre più indirizzando verso prodotti a basso impatto ambientale, nel senso che cerchiamo di lavorare nel rispetto della natura e il prodotto biologico è quello che ci aiuta a far capire al consumatore che usiamo pochi pesticidi e diserbanti e il prodotto BIO è quello che ci sta dando più soddisfazione”. Rispetto alla produzione tradizionale e quella biologica, ci sono costi in più? “Più che altro è il viticoltore che va incontro a una perdita, perché è molto più condizionato dal non potere fare ricorso a mezzi tecnici curativi, ma solamente a prodotti di copertura come rame e zolfo consentiti nella lotta guidata preventiva. La nostra cantina riconosce 110 euro in più al quintale perché sappiamo quanto costa il biologico”. AZIENDA AGRICOLA GAVIOLI Via Provinciale Ovest 55 41015 Nonantola (Mo) www.gaviolivini.com Antonio Giacobazzi ci aspetta a Modena nella sede del Gruppo Donelli, la holding di famiglia che comprende le cantine Giacobazzi e Gavioli. Neanche il tempo di ammirare, nella sala degli ospiti le tante bottiglie esposte che raccontano la storia del Lambrusco e il vissuto di Giacobazzi con in bella vista un bel bronzo raffigurante Enzo Ferrari e Gilles Ville-

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neuve, che ci porta a Nonantola nell’azienda Agricola Gavioli. E’ qui, in questa bella struttura, fiore all’occhiello del Gruppo, adibita alla degustazione e vendita delle varie tipologie di vino, che iniziamo a parlare mentre entriamo in un ampio salone dedicato al settore agricolo ed enologico dove, con un tuffo nel passato, si possono ammirare oggetti e macchinari antichi, poi un altro dedicato al mondo dei motori, altra sua passione, dove sono esposte alcune auto d’ epoca che fanno da contorno a due gioielli della Formula 1, la Ferrari di Villeneuve e la Williams di Senna. Poi, in un’altra sala c’è la bottaia, dove il vino riposa in grandi botti di rovere di Slavonia. «Non ci sono barriques, perché alterano il vino nelle sue caratteristiche sensoriali», spiega. Si scende poi nella zona interrata, un tempo cisterne in cemento adibite allo stoccaggio dei vini sfusi, questo consentiva il doppio recupero della superficie e la possibilità di mantenere il vino in ambiente più fresco anche nel periodo caldo. «Oggi vi riposano tante bottiglie messe a fermentare lentamente per almeno 30 mesi per ottenere così un pregiato Metodo Classico di vino Lambrusco frutto dell’uva dei nostri vigneti». Mentre ci accomodiamo per degustare una flûte di Lambrusco metodo classico con un tocchetto di parmigiano, iniziamo a parlare del Lambrusco e di come è andata la vendemmia di quest’anno della Gavioli: “La situazione meteorologica di quest’anno non è stata molto favorevole, specialmente con la grandine, abbiamo raccolto poca uva e a Nonantola quasi niente. A pochi chilometri di distanza, vicino Modena, la quantità è stata scarsa ma di qualità fan-

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tastica. Poi abbiamo avuto un altro vigneto a Sorbara che ci ha dato una buona qualità e una discreta quantità. In certe zone i danni sono stati enormi, vanno dal 70% al 100%, sono venuti a mancare circa 6 mila quintali di uva. In alcuni vigneti è andata bene in altri la produzione è stata scarsa”. Quando si parla di vigneti a quale tipologia di uva si riferisce? “Soprattutto al Sorbara che ha sofferto per la grandine, per il Pignoletto siamo andati abbastanza bene come per il Grasparossa, il Reggiano Lambrusco doc e altre tipologie di Lambrusco. La vendemmia 2019 sarà ricordata per i repentini cambiamenti climatici e alle enormi difficoltà e danni procurati, sia economici sia per la scarsa raccolta delle uve”. Qual è il mercato che maggiormente vi dà soddisfazione? “A seconda dei prodotti, tutti ci soddisfano. Donelli è un marchio forte in Giappone già da diversi anni con un ottimo trend di crescita. Gavioli si sta inserendo in maniera sempre più decisa sul mercato locale e trova approvazione anche con le declinazioni più estreme delle uve Sorbara con gli spumanti Metodo Classico e Ancestrale. Infine c’è Giacobazzi che lavora molto bene negli Stati Uniti, Canada e in Europa, senza dimenticare il mercato cinese”. La Cina come sta andando? “Sta crescendo piuttosto bene. Abbiamo la fortuna di poter lavorare con una delle più grandi aziende produttrici, importatrici e distributrici di tutto il mercato cinese. Con questa azienda siamo partiti a piccoli passi e stiamo crescendo sempre di più dopo aver maturato una buona esperienza sul mercato. Lì c’è un enorme futuro, ci sono circa 300 milioni di benestanti che possono comprare vino e le previsioni dicono che nel 2021 diventeranno 600 milioni. Un bel mercato”.

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Sulle strade del lambrusco con la nuova Peugeot 508 sw Nella foto il direttore del Consorzio del Lambrusco di Modena Ermi Bagni e la nuova Peugeot 508 sw turbo, un 1.6 benzina, 225 c.v. con cambio automatico a 8 rapporti che ci ha accompagnati tra i vigneti di Lambrusco, dove i profumi delle uve, che arrivano attraverso il finestrino aperto, sembra quasi di bere il vino. La giornata è bella e soleggiata e con la Peugeot 508 ci godiamo comodamente lo spettacolo dei vigneti con le foglie che iniziano a prendere i vari colori dell’autunno. Ma è anche bello viaggiare con la Peugeot 508, sicura e molto aderente alla strada, perchè si fa notare per un look moderno e ricercato. E’ una sorprendente famigliare dalla linea quasi sportiva. Gli ingegneri della Casa del Leone l’hanno progettata con cura, dandole slancio, bellezza e signorilità. Sono tanti i sistemi di ausilio per una guida sicura. L’abitacolo, ben rifinito, è ampio e luminoso e ha un aspetto personale, grazie alla plancia disposta su due piani e alla consolle avvolgente. La guida è sorprendentemente agile e con una buona tenuta di strada e l’impianto frenante ci da sicurezza. Il baule è ben sfruttabile con la soglia di accesso alta 65 cm da terra.Velocità massima intorno ai 250 Km/h, da 0 a 100 Km/h in 7,3 secondi. Sistema Start&Stop e possibilità di cambiare marce manualmente grazie ai paddle montati sul volante. Interni di pregio in pelle e legno e tanta tecnologia a bordo con l’innovativo i-Cockpit. Le prestazioni più che soddisfacenti, si abbinano a una guida facile e non stancante, ce n’è abbastanza per godersi un bel viaggio con la famiglia.

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Dolcetto di Daniela Scaccabarozzi

L’ecletticità del Dolcetto

I

l 2019 è stato proclamato l’anno del Dolcetto dalla Regione Piemonte, la quale vuole dare nuovo smalto ad un vino che si è un po’ appannato nel corso degli ultimi venticinque anni circa. Nessun vino però può considerarsi più piemontese di lui, delicato ed esigente per quanto riguarda l’esposizione, precoce ed amante delle forti escursioni termiche, è coltivato in oltre cento Comuni. Tanti sono infatti i Dolcetti che si trovano in questa regione. Il più diffuso è sicuramente il Dolcetto d’Alba. Rosso rubino intenso con riflessi violacei , aromi vinosi e molto fruttati con sapore secco, pieno ed equilibrato, discreta acidità e tannini un po’ rustici, attenuati da una buona morbidezza complessiva, sono le sue principali caratteristiche. Abbastanza simile è quello di Diano d’Alba , la cui produzione è però più limitata. Il Dolcetto di Dogliani è un po’ meno strutturato dei precedenti ed esprime doti di giovialità e fragranza. Le caratteristiche si collocano su toni un po’ smorzati, mentre briose sono le note fresche e profumate della frutta, come per il Dolcetto delle Langhe Monregalesi. Or-

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mai prodotto in quantità sempre più limitate, leggero e beverino, si presenta con delicate e gradevoli note amarognole. E poi il Dolcetto d’Asti, d’Acqui e di Ovada. Paragonato ai precedenti, il Dolcetto d’Asti evidenzia una maggior morbidezza ed eleganza. Anche il Dolcetto di Acqui esibisce spesso una piacevole morbidezza, tannicità poco evidente, buona freschezza e corpo limitato. Il Dolcetto di Ovada infine è probabilmente il più strutturato, con una componente tannica più evidente, che non lo rende tuttavia né grossolano né aggressivo, soprattutto se degustato dopo un periodo di affinamento adeguato. Il suo colore è rosso rubino intenso ed anche i suoi profumi si contraddistinguono per una maggiore personalità. Sembra inoltre sviluppare i migliori sentori non prima di tre anni circa di maturazione, nel corso dei quali gli aromi fruttati diventano più equilibrati ed un po’ più intensi e le note speziate aumentano, diventando sempre più morbide, mentre le note della viola virano lentamente verso quelle della rosa, rendendo il vino più elegante.

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MI TO

Ovada Belforte Monferrato Bosio Capriata d’Orba Carpeneto Casaleggio Boiro Cassinelle Castelletto d’Orba

Cremolino Lerma Molare Montaldeo Montaldo Bormida Mornese Morsasco Parodi Ligure

Prasco Rocca Grimalda San Cristoforo Silvano d’Orba Tagliolo Monferrato Trisobbio

GE VALENZA

ALESSANDRIA

TORTONA

CAPRIATA D’ORBA NOVI LIGURE

ACQUI TERME

BIODIVERSITÀ

CASTELLETTO D’ORBA CARPENETO Castello di Carpeneto

Castello di Castelletto d’Orba

Castello di San Cristoforo

ROCCA GRIMALDA

MONTALDEO

Castello Malaspina - Grimaldi

Castello di Montaldeo

TRISOBBIO

MORNESE BOSIO

LERMA OVADA

MOLARE Castello Chiabrera

Tempi di percorrenza Da Milano 115 km Da Genova 50 km Da Torino 125 km

Castello di Grillano

Orba

Castello di Tagliolo Monferrato

CASTELLI E MONUMENTI

1,15 h circa 50 m circa 1,25 h circa

CASALEGGIO BOIRO Castello di Casaleggio Boiro

BELFORTE MONFERRATO

ENOGASTRONOMIA

CASSINELLE

Laghi del Gorzente

orz G

en

te

Piota

Monte Tobbio

Terra di confine tra Piemonte e Liguria, l’ovadese esprime una tradizione gastronomica frutto di uno speciale mix di sapori e saperi tra cucina monferrina e genovese. Ovada DOCG, uno dei grandi rossi piemontesi. La Farinata di Ovada Originaria della vicina genova, oggi è lo street food di eccellenza dell'ovadese.

Parco Naturale Capanne di Marcarolo

DOCG

#ovadarevolution

La Peirbureira Tradizionale piatto di pasta e fagioli con ricette segrete tramandate di famiglia in famiglia. Festa della Perbureira, ultima domenica di agosto a Rocca Grimalda. Il tartufo bianco dell’Alto Monferrato Ovadese Con i trifolai e i loro cani alla ricerca di uno dei più pregiati frutti del territorio piemontese. I Biscotti della Salute Tipici di Ovada, hanno una forma allungata ovale, sono friabili e profumano delicatamente di anice.

stata un antico insediamento celto-ligure e poi una tappa molto importante lungo la via del sale, sempre sotto l’influenza della Repubblica di Genova, grazie alla quale furono costruiti, sulle colline più alte, gli imponenti castelli di cui parlavamo. Il Dolcetto di Ovada DOCG è prodotto in ventidue Comuni dell’Alto Monferrato Ovadese e nei suoi immediati dintorni, ad una altitudine tra i 200 ed i 400 mt. I terreni sono invece di matrice diversa. La terra argillosa delle vigne che si estendono verso la pianura conferiscono al vino struttura e colore, mentre la bianca terra calcarea verso l’Appennino gli trasmette mineralità ed acidità. Alcuni vitigni presentano una combinazione di terreno calcareo ed argilloso, rendendo la coltivazione piuttosto complessa. Non è un vitigno rigoglioso, così come non ama né terreni leggeri né troppo fertili. Presenta inoltre un’ottima resa in termini di estratto secco ed una grande qualità finale, grazie anche al disciplinare che ha introdotto nel 2008 delle regole più ferree ed ha confermato che questo vino deve essere prodotto ma anche imbottigliato esclusivamente in loco.

In questa zona viene sfatata quindi la convinzione che il Dolcetto sia un vino di pronta beva, facile da capire e soprattutto da bere giovane perché le degustazioni fatte hanno davvero sorpreso per la sua longevità e spesso freschezza dopo anni di imbottigliamento. Ciò è dovuto anche alle caratteristiche del terreno dell’Ovadese e per il suo microclima. Collocato a metà tra il Piemonte e la Liguria, baciato dalle brezze marine e con una grande tradizione per quanto riguarda la coltura vitivinicola (qui le prime tracce della coltivazione del Dolcetto risalgono addirittura alla fine del ‘200, testimoniate da alcuni atti notarili dell’epoca) presenta un paesaggio davvero rilassante con panorami ricchi di vegetazione. Ripide colline intervallate da boschi si incontrano infatti al di qua ed al di la delle strade che si percorrono per spostarsi da un borgo ad un altro, dove scopriamo una molteplicità davvero inusuale di antichi castelli che da soli valgono il viaggio e ci rendiamo conto che questa è invece una zona davvero poco sfruttata e misconosciuta dal turismo e dall’enoturismo stesso. Dal punto di vista storico questa terra, che si trova in provincia di Alessandria, è

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Bretella di collegamento A7-A26 (Genova Voltri – Gravellona Toce) USCITA OVADA

Castello Spinola

TAGLIOLO MONFERRATO

Il Torrente Gorzente Il Torrente Piota Il Fiume Orba

COME ARRIVARE

Abbazia di San Remigio

Castello di Trisobbio

PRASCO CREMOLINO

TORRENTI E CORSI D’ACQUA BALNEABILI

SAN CRISTOFORO

Situata a 186 mt sul livello del mare tra le colline piemontesi di Gavi e Acqui Terme in Provincia di Alessandria, la città di Ovada è ubicata sulla confluenza dei fiumi Stura e Orba. Da tempo importante crocevia per le rotte commerciali, stradali e ferroviarie, è agevolmente raggiungibile sia dal Ponente Ligure che dalle grandi città del Nord come Torino e Milano. Il nome Ovada deriva infatti dal latino Vadum (guado) a indicare che già in epoca romana era luogo di transito e fulcro di affari.

SILVANO D’ORBA PARODI LIGURE

MORSASCO Castello di Morsasco

Castello di Cremolino

Le colline dell’ovadese sono costellate da 19 manieri, fortezze e castelli. I più antichi, il Castello di Carpeneto e quello di Casaleggio Boiro, risalgono al X° secolo. La Strada dei Castelli dell'Ovadese, un percorso cicloturistico che parte da Ovada, permette di ammirare alcuni degli imponenti castelli tra cui quelli di Belforte Monferrato, Tagliolo Monferrato, Casaleggio Boiro, Mornese e Montaldeo. Attraverso dolci saliscendi si raggiunge Novi Ligure per una visita al Museo dei Campionissimi, dedicato ai grandi campioni del ciclismo. Fausto Coppi e Costante Girardengo hanno vissuto e si sono allenati tra le colline ovadesi.

OVADA

MONTALDO BORMIDA Orba

L'ovadese è un territorio collocato sulla cintura di confine tra Piemonte e Liguria. Presenta molte diversità sia in termini di colture che di biodiversità con boschi di pioppi, querce e tigli, vigneti e pascoli. Ricco di percorsi che si snodano tra tortuosi sentieri, rinfrescanti torrenti e rigogliosi boschi, il territorio è meta degli amanti del trekking. Vi sono itinerari da percorrere a piedi o in bicicletta per piacevoli passeggiate e percorsi più impegnativi, anche per mountain bike, con notevoli dislivelli raggiungendo oltre 700mt di altezza.

POSIZIONE GEOGRAFICA

CASALE MONFERRATO

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22 COMUNI


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Visitando poi le realtà locali scopriamo che vi sono delle belle cantine strutturate, di impronta per lo più famigliare e di tradizione, attente al territorio ed a una viticoltura responsabile, dove i vignaioli nutrono davvero tanta passione per questo mestiere e credono molto nelle uve che coltivano. Non è un caso quindi se molte sono le aziende che lavorano ormai in biologico. E’ per questo che nel 2013 hanno pensato di dare vita al Consorzio di Tutela dell’Ovada DOCG, per fare squadra e dare voce ad un territorio genuino e determinato nel rilanciare il Dolcetto di Ovada Superiore, ormai noto anche solo come Ovada DOCG, denominazione ottenuta nel 2008, grazie proprio alla tipicità del vino, alla sua grande capacità di invecchiamento, alla struttura importante ed al costante lavoro di selezione dei produttori, ben lontani dalla coltura intensiva. “Il Dolcetto è un vitigno che ha potenzialità intrinseche per stare al fianco dei grandi rossi pientontesi famosi in tutto il mondo. Con il nostro Ovada DOCG vogliamo dimostrarne la grande versatilità” afferma Italo Danielli, Presidente del Consorzio. Al momento vanta una produzione di 100.000 bottiglie, in cresci-

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ta nell’ultimo biennio con percentuali superiori al 20%. Le vendite avvengono principalmente in Italia (90%), mentre il restante (10%) viene esportato. Gli ettari vitati totali sono invece 110 e sono circa 50 le realtà produttrici, il 70% delle quali associate al Consorzio di Tutela dell’Ovada DOCG.

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Schede vino: Ovada DOCG 2016 – “Premagon” Casa Wallace Naso: Complesso ed etereo, profuma di ciliegia sotto spirito, prugna, fino ad arrivare a note di viola e di smalto. Conclude un po’ terroso. Bocca: Gustoso e leggermente vinoso, rivela una spiccata acidità accompagnata da tannini piuttosto evidenti. Ciliegia che ritorna sul finale. Biodinamico. Voto: 83/100 Ovada DOCG 2015 “Moongiardin” – Ca’ Bensi Naso: intrigante, esordisce con note di arancia rossa e ciliegia sotto spirito, seguito da frutti rossi ed una speziatura dolce, per terminare con una nota di caramello ed uno sbuffo mediterraneo. Bocca: E’ molto armonico, con una bella acidità in evidenza, mitigata da una giusta tannicità. Chiude con una nota di liquirizia. Sorprendente per la lunghezza gustativa. Voto: 91/100

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Dolcetto di Ovada DOC 2014 “Marne Nero” Le Marne Naso: ha un esordio olfattivo dominato da frutti in piena maturazione (marasca, prugna e confettura), avvolti da sentori floreali di viola ed una punta erbacea. Bocca: corposo al sorso, mostra un tannino ancora ruvido padrone della scena, corredato da una bella freschezza e da una scia di liquirizia e pepe nero. Lungo. Biologico Voto: 85/100 Dolcetto di Ovada Superiore 2007 “La Bocassa” – Cascina La Signorina Naso: ampio e dolce di frutta macerata (ciliegia e prugna) a cui seguono la viola ed una speziatura sempre dolce di cuoio e tabacco. Bocca: l’ingresso è morbido ed avvolgente. I sentori di ciliegia e la speziatura ritornano sul finale a supportare una fine trama tannica. Molto buona la persistenza. Biologico. Voto: 90/100

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Ovada DOCG Riserva 2015 “ Nonno Rucchein” Cascina Boccaccio Naso: elegante ed appagante, giocato principalmente sulla frutta rossa (marasca in primis ed arancia rossa), per poi virare sulla viola e sulle spezie che richiamano cuoio, cioccolato e pepe nero. Bocca: beva potente, strutturata e carnosa, con la liquirizia in primo piano. Freschezza e tannini ben equilibrati. Il finale è lungo con ricordi di mora. Biologico Voto: 92/100 Ovada DOCG 2011 “Tre lustri – Cà del Bric Naso: olfazione di fascino. Esuberante nelle sue note dolci di ciliegia, sottobosco e rosa; seguono il cacao ed il cuoio. Bocca: l’eloquio gustativo è di sorprendente freschezza ma morbido, lungo e vibrante. Sbuffi minerali e liquirizia accompagnano i tannini ancora vivi, pur mantenendo eleganza ed una estrema piacevolezza di beva. Un’ottimo Dolcetto. Biologico. Voto: 95/100

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Ovada DOCG 2016 – Tenuta Elena Naso: tipico ed etereo, apre su sensazioni di marasca sotto spirito, frutti rossi, viola, smalto e speziatura di cuoio e cioccolato. Bocca: è pieno, con freschezza e sapidità in primo piano, capaci di smorzare la componente alcolica. I tannini sono ancora un po’ ruvidi. Sfumature di terra e discreta persistenza. Voto: 82/100 Ovada DOCG Riserva 2014 “L’Arciprete” Azienda Agricola Ghio Naso: un profilo centrato sulla ricercata dolcezza. Parla infatti di ciliegia, prugna, arancia rossa, confettura, viola ed un soffio di menta. Bocca: svela tutta la sua concretezza, fatta di corpo e freschezza, accompagnate da un tannino che vibra e sinuosa sapidità. Biologico. Voto: 87/100

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Dolcetto

Ovada DOCG Superiore 1998 “L’Arciprete Drac rosso” Azienda Agricola Ghio Naso: le sfumature aranciate non devono trarre in inganno. E’ un Dolcetto che si inserisce a pieno titolo tra i migliori dell’intera denominazione. Decisamente molto complesso, gode di notevole personalità, offrendosi con suadenti nuances di ciliegia sotto spirito, arancia rossa, mora, albicocca, caramello salato, tabacco, cacao, fino ad arrivare alle erbe aromatiche come il rosmarino. Bocca: Al gusto conferma tutto, nella fresca piacevolezza, nella sapida persistenza e nel nobile tannino. E’ armonico ed equilibrato, con una nota burrosa, per terminare su una scia di erbe aromatiche. Lunghissimo. Un grande vino da meditazione. Biologico. Voto: 97/100

Ovada DOCG 2015 “Gesusio” Azienda Agricola Rocca Rondinaria Naso: Marasca e frutti rossi si contendono la scena, poi entrano come comprimari la viola ed un cenno di erbe aromatiche. Acidità e tannini bilanciano il dolce sorso per poi sfumare su sensazioni di arancia rossa. Discreta persistenza. Biologico. Voto: 75/100 Ovada DOCG 2016 Riserva Azienda Agricola La Valletta Naso: massa olfattiva tradizionale, ciliegia sotto spirito, frutti rossi, viola, note di cuoio e cacao; un susseguirsi di belle sensazioni, fitte ed invitanti. Bocca: ha media profondità, sorretta da una robusta spina acida. Sapore tannico e caldo con buoni ritorni di frutta. Voto: 77/100

Ovada DOCG 2015 – Azienda Agricola Ghera Naso: esprime subito una ventata balsamica. Poi arrivano la ciliegia, la viola e l’arancia rossa. Bocca: il sapore è incentrato sulla sapidità, ma non manca la freschezza. I tannini sono ben amalgamati con una chiusura di liquirizia. Voto: 76/100

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Lambrusco di Enzo Russo

Lambrusco Reggiano, spazio alla personalizzazione Nell’assemblaggio dei vini emerge la mano e la competenza dei produttori, una specializzazione tipica di questo territorio

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che punto sta il Reggiano Lambrusco doc? Ne parliamo con il Presidente del Consorzio dei vini Reggiani Davide Frascari che è molto preso dalla vendemmia ancora in corso, ma sempre disponibile a parlare dello spumeggiante Lambrusco. I vini reggiani sono una importante realtà della Provincia di Reggio, un territorio ricco di storia, dove i vigneti sono una delle principali fanti di lavoro di migliaia di persone coinvolgendo famiglie, piccole e medie aziende e grandi realtà. Tutti i giorni seguono la filiera produttiva con professionalità e competenza con risultati sorprendenti, come la qualità, sia per i rossi sia per i bianchi, soprattutto del Reggiano Lambrusco doc che ha conquistato moltissimi mercati esteri. Nel territorio della Provincia di Reggio Emilia,

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che è parte predominante del distretto del Lambrusco, abbiamo una superficie vitata di circa 7.000 ettari di cui il 50% investiti a Lambrusco e l’altro in Ancellotta e poi abbiamo una piccola quota del 5% di uve bianche, è un vitigno autoctono la Spergola che si trova nella zona collinare di Reggio. Per quanto riguarda il numero di viticoltori, abbiamo oltre 3.000 famiglie. Da qui si desume una media poderale di circa 2,5 ettari, all’interno della quale abbiamo una grossa discrepanza, cioè abbiamo aziende strutturate che sono cresciute in modo esponenziale in questi ultimi anni perché questo processo di sviluppo di riduzione delle aziende e di aumento della superficie unitaria dell’azienda è un percorso che ha attraversato tutto il Paese. Questo ha fatto sì che i giovani figli dei viticoltori siano rimasti nell’azienda perché è aumentata la su-

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Lambrusco significa che l’azienda vinicola di Reggio è da sempre abituata a fare un blend di vari lambruschi e le varie composizioni in percentuali di uve ha dato la possibilità alle aziende di personalizzare il Lambrusco. Nel territorio modenese la caratterizzazione è data dal vitigno, infatti si vinifica mono vitigno, come il Sorbara o il Grasparossa che sono al 100% in purezza. Quindi la tendenza principale che distingue Reggio da Modena è che a Reggio i lambruschi vengono mescolati in percentuali differenti a secondo del Lambrusco che si vuole ottenere. Questo fa si che il Lambrusco venga personalizzato legandosi sempre più all’azienda. Tutto questo è previsto dal disciplinare di produzione”. “Nel territorio di Reggio, dove si coltiva per il 50% l’Ancellotta, il disciplinare ne prevede l’impiego fino ad un massimo del 15% per dare maggior colore, corpo e struttura alle varie tipologie del Reggiano Lambrusco dop. Ecco perché, per un consumatore medio, il Lambrusco Reggiano è facilmente riconoscibile, proprio per il colore rosso intenso”.

perficie permettendo l’aumento della meccanizzazione e di conseguenza anche gli investimenti sono aumentati. I viticoltori sono distribuiti quasi interamente sul territorio provinciale e questo è un po’ il bello della caratteristica del Lambrusco. Qual è la differenza tra il Lambrusco Reggiano e quello Modenese? Il nostro Lambrusco lo abbiamo chiamato Reggiano Lambrusco dop a differenza dei lambruschi modenesi che vengono chiamati con il nome del territorio, Lambrusco di Sorbara, Lambrusco di Santacroce e Lambrusco di Castelvetro. Invece noi abbiamo invertito mettendo davanti Reggiano perché a Reggio Emilia la vinificazione del Lambrusco ha una lunga storia. Il vino nasce un po’ personalizzato, ogni azienda fa un uvaggio di varietà differenti di Lambrusco, essendo la famiglia dei lambruschi composta essenzialmente dal Salamino che è il più diffuso, poi il Grasparossa, dal Sorbara, Maestri, Marani, Lambrusco di Monte Ricco e altre minori varietà. Nei vigneti reggiani, spesso si trova più di una varietà di Lambrusco, mentre nei vigneti modenesi, in linea di massima, c’è soltanto una varietà. Questo

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Davide Frascari, lei è anche il Presidente di Emilia Wine, la più importante realtà del territorio con 720 soci conferitori, come sta andando la vendemmia? “Siamo abbastanza contenti di quest’annata, perché l’azienda segna un calo produttivo leggermente inferiore rispetto alla provincia, dato non trascurabile e questo è anche un segnale di fiducia da parte dei soci che hanno mantenuto gli impegni di conferimento. Le uve sono buone quasi ottime e in particolar modo quella bianca che ha un equilibrio e delle caratteristiche minerali esaltanti. Nell’insieme è andato tutto bene, perché l’andamento climatico di quest’anno ci ha allertato parecchio, sia per la matu-

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razione delle uve sia per la qualità. Finita l’intervista, Davide Frascari c’invita al Ristorante Rostaria al Castello – Arceto di Scandiano (Re), dove una brigata di giovani, capitanata dalla chef Chiara Cattini, ci propone una serie di piatti creativi legati alla tradizione gastronomica del territorio, dove il tartufo bianco e il pesce si fanno gustare con raffinatezza, accompagnati da ottimi vini, come la Spergola metodo classico Càbesina, un vino spumeggiante di grande personalità e poi Feudi del Boiardo – Colli di Scandiano e di Canossa dop Lambrusco dal colore rosso rubino dal profumo intenso di frutta, elegante, secco e di buona acidità. Una cena all’insegna del buon bere e del buon mangiare.

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Davide Frascari, presidente di Emilia Wine, e la nuova Peugeot 508 sw turbo, un 1.6 benzina, 225 c.v. con cambio automatico a 8 rapporti

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Il distretto del Lambrusco della Provincia di Reggio Emilia, è come una miniera a cielo aperto, si coltiva “l’oro rosso” fin dall’antichità. Oggi ci sono tante realtà Produttive che presidiano il territorio. Ne abbiamo scelte alcune, su proposta del Presidente Davide Frascari, che vale la pena di visitare e bere un buon bicchiere di Lambrusco anche per capire come il Mitico viene interpretato dalle varie cantine.

AZIENDA VINICOLA ALFREDO BERTOLANI Via Pedemontana 10 42019 Scandiano (Re) www.bertolanialfredo.it E’ una cantina che si trova in mezzo alla campagna di Scandiano, molto grande e spaziosa e a vista ci colpisce subito i tavoli d’assaggio fatti con seducenti botticelle. Andrea Bertolani ci aspetta, anche se è una mattinata dove c’è un via vai di persone che caricano cartoni di vino Lambrusco in partenza per l’estero, ma

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è ben disposto a raccontarci e parlarci dell’azienda. “Ufficialmente, la cantina è nata nel 1925, ma è stata fondata dal mio bisnonno Alfredo verso la fine dell’800, in quanto era un mediatore di uve. A Scandiano siamo l’azienda vinicola più antica”. E per quanto riguarda i vigneti? “Noi non abbiamo mai avuto vigneti di proprietà, compriamo l’uva da piccoli coltivatori della zona. Siamo vinificatori e imbottigliatori”. Per quanto riguarda la scelta delle uve, come vi comportate per sapere se questa è buona e quell’altra non va bene? “Abbiamo una consulenza di enologi e agronomi per quanto riguarda le scelte di maturazione e l’acidità. Per esempio facciamo diversi vini con il Malbo gentile perché ha un certo tipo di struttura e quindi interpretiamo il Lambrusco nella linea della tradizione”. Dalla cantina quante bottiglie escono? “Circa 450.000 vendute per il 30% all’estero e il resto sul mercato nazionale del Nord Italia e qualcosa nel centro Sud”. Quali sono le tipologie di vino che producete? “Fondamentalmente sono vini bianchi, il 90% è di Spergola che viene fatto fermo, due tipologie di metodo Charmat, frizzante e spumante, dolce e infine un metodo classico brut che rimane sui lieviti 40 mesi. Vinifichiamo soprattutto Salamino, Grasparossa, Marani e Ancellotta. I nostri lambruschi sono per la maggior parte uvaggi per esaltare le caratteristiche di colore, acidità e struttura delle varie tipologie di uve. Facciamo un unico Lambrusco in purezza, il Grasparossa. Noi abbiamo due denominazioni di vini doc, il Reggiano Lambrusco doc e Scandiano di Canossa doc che comprende i bianchi”. Quante etichette in cantina?

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Lambrusco

Le declinazioni del Reggiano Lambrusco d.o.c.


Lambrusco

“ Sono una decina di Lambrusco, sei di Spergola e poi alcune etichette di Cabernet Sauvignon e Malvasia dolce”. Finiamo l’intervista con la degustazione di una Spergola spumante Brut dal colore giallo chiaro, secco con una buona acidità, ricco di profumi e ben strutturato. Ottimo per un aperitivo. E di un Lambrusco Oro – Metodo Charmat – Fatto con Salamino e Malbo gentile che si presenta con un bel colore rosso spumeggiante con profumi di sottobosco di frutta, una buona acidità e in bocca risulta equilibrato.

sce dal movimento cooperativo. Sono cinque le famiglie che danno inizio all’attività di raccolta, trasformazione e lavorazione del vino. Oggi la cantina vanta 180 soci che rappresentano 220 ettari di vigneto per una raccolta di circa 40 mila quintali d’uva. La notorietà dell’azienda in questi 81 anni di storia nasce dal fatto che la cantina raccoglie uva di collina con una lavorazione tradizionale nei campi, rispettando l’ambiente. La nostra filosofia è raccogliere non quantità importanti di uva bensì la migliore. La collina di Reggio Emilia, colli di Scandiano di Canossa, è la prima denominazione doc del nostro territorio ed è la zona più antica in cui si è sempre lavorato il vino di qualità”. Quando si parla di collina, di quale altitudine? “Noi siamo a 120 mt e lavoriamo uve fino 400 mt d’altezza. Ora stiamo raccogliendo uva Cabernet che fa parte della nostra produzione”. Quando inizia la raccolta delle uve? “Partiamo in agosto raccogliendo l’uva principe, la Spergola, che è una bacca autoctona storica del nostro territorio con cui facciamo un vino frizzante, spumante e il passito. Poi abbiamo altri vitigni a bacca bianca come la Malvasia, Chardonnay e Pinot nero. Per quanto riguarda il Lambrusco, sono diverse le tipologie di uve che lo compongono. Noi coltiviamo il Lambrusco Marani, Maestri, Lancillotta e poi due vitigni storici di collina che sono il Monte Ricco e Barghi”. In cantina quante etichette di Lambrusco avete? “Sono 12 tipologie che nascono o da un vitigno in purezza come l’Amarcord, 100% Monte Ricco, è il nostro vino più importante e più venduto oppure sono dei blend con percentuali di Lambrusco diverse. Abbiamo due Malvasia, secca e dolce, una di Chardonnay, Cabernet Sauvignon per un totale di 20 etichette. Altra cosa importante è la raccolta dell’uva, viene fatta manualmente senza macchinari, e le irrigazione del terreno che sono naturali. Tutto questo comporta avere rese inferiori ai limiti delle rispettive doc”. Il vino viene venduto imbottigliato e sfuso? “Oggi abbiamo tre canali di vendita: in damigiana, un 10% agli imbottigliatori e 1 milione 200 mila

CANTINA SOCIALE DI PUIANELLO E COVIOLO Via C. Marx 19/a 42020 Puianello di Quattro Castella (Re) La Cantina Puianello è una struttura moderna ed accogliente. Entrando c’è un ampio salone con il punto vendita dove sono ben esposti i vini che l’azienda produce con relativi tavoli per la degustazione. E subito a fianco un punto vendita di prodotti gastronomici dove sono in bella mostra salumi di ogni genere, fa bello spicco un buonissimo prosciutto crudo, prodotto nelle colline circostanti, che abbiamo gustato con piacere con uno spumante di Spergola: una delizia per il palato. Andrea Barozzi, responsabile vendite e marketing: “La Cantina Sociale di Puianello nasce nel 1938, in piena era fascista ed è particolare perché na-

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Conti Galliani, i Conti Ancini, e infine nell’ottocento, come residenza del marchese Manodor. L’azienda agricola nasce nel 1976 come produttrice di vini. Tre anni fa abbiamo festeggiato i 40 anni di attività e a questo evento abbiamo dedicato un nostro vino chiamandolo Quaranta. E’ una azienda vinicola storica del territorio reggiano, non molto grande, che produce Lambrusco e spumanti. E’ stata la prima cantina dell’Emilia Romagna ad essere certificata biologica nella produzione di vini. Noi, come proprietà, l’abbiamo rilevata 5 anni fa dalle famiglie Venturini e Baldini con un progetto di rilancio molto ambizioso, produrre vini di altissima qualità che è quello che ha sempre rappresentato nel mondo del Lambrusco reggiano”. Ci troviamo in una bellissima tenuta, quanto è grande? “Sono 130 ettari che si sviluppano da un’altitudine che va dai 150 ai 350 metri. Abbiamo 32 ettari di vigneto in produzione, di cui 20 sono qua attorno e sono uve rosse, mentre gli altri 12 ettari si trovano tra i 300/350 mt sono a uve bianche. La Venturini e Baldini fu una delle prime aziende, circa 25 anni fa, ad investire in vitigni internazionali come il Pinot, Graniers-Malvasia e Chardonnay che si trovano impiantati nella parte alta”. Per quanto riguarda i vini del territorio, quali vigneti avete? “Tutti quelli classici del Lambrusco: Marani, Monte Ricco, Salamino, Maestri, Malbo gentile e poi abbiamo una Malvasia di Candia storica, è aromatica molto secca e forte di altissima qualità. Con questi vitigni facciamo quattro varietà di Lambrusco”. Quali sono le tipologie di Lambrusco che escono dalla cantina? “Sono tutti Reggiano Lambrusco doc, più un Lambrusco Salamino doc al 100%: Il Marchese Manodori frizzante fatto con quattro vitigni, Rubino del Cerro Spumante, viene fatto tra uve diverse, il Metodo Ancestrale, rifermentato in bottiglia 18 mesi, fatto con il Monte Ricco 100%, Quaranta extra Brut, fatto con quattro vitigni e poi un Emilia igt-Metodo classico-Spumante Brut che viene fatto con il Pinot nero e Chardonnay. La produzione è mediamente di 80 quintali per ettaro e dalla cantina escono 160 mila

SOCIETA’ AGRICOLA VENTURINI BALDINI Via F. Turati 24 42020 Roncolo di Quattro Castella (Re) www.venturinibaldini.it L’azienda Venturini Baldini è una cantina che si trova all’interno di una tenuta di 130 ettari. Quando arriviamo rimaniamo colpiti per lo splendido scenario naturalistico, sembra un’oasi d’altri tempi con prati e boschi, tutto curato alla perfezione. Il Presidente Giuseppe Prestia ci accoglie nella sala degustazione dove sono in bella mostra bottiglie di vino ben disegnate che colpiscono subito l’occhio. Prima di parlare del Lambrusco, Prestia ci racconta un po’ di storia del complesso. “La tenuta ha un ricco patrimonio storico costruito su fondamenta Matildiche e l’attuale Villa Manodori risale ai primi anni del cinquecento. Ancora oggi ricorda le antiche glorie delle famiglie nobili che la chiamavano casa, dai Marchesi Fontanelli, ai

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Lambrusco

lo vendiamo in bottiglia di cui il 35% all’estero, in Europa e oltre Oceano”. Prima di lasciarci, Borozzi ci fa degustare due vini importanti. Il Lambrusco Amarcord fatto al 100% con uve Monte Ricco che si presenta spumeggiante ricco di profumi floreali, pulito con una acidità equilibrata. E il Lambrusco – Contrada Borghetto, fatto con uve Marani, Maestri, Salamino e Ancellotta, sprigiona profumi che ricordano la campagna, è un semi secco che si fa bere molto volentieri.


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bottiglie che vengono vendute all’estero per il 50% e il rimanente in Italia”. “ In Emilia Romagna – aggiunge Giuseppe Prestia - non c’è una dotazione naturalistica come questa, poi c’è una quarantennale storia della Venturini Baldini lastricata di successi. Quello che abbiamo “fotografato” ci ha convinto di investire e di rilanciare partendo dal marchio, svecchiarlo e farlo conoscere alle nuove generazioni. La seconda sfida è cercare di rilanciare un marchio che ha bisogno di progetti di qualità alta come il Lambrusco. Ci sono produttori che da anni portano avanti un progetto di qualità e noi siamo tra questi. Questa è la sfida, fare altissima qualità con un marchio storico”. Quando si è avvicinato al mondo del vino? “Da poco, saranno circa dieci anni, attraverso amici che erano produttori e per aiutare uno di questi che era in difficoltà mi sono avvicinato al vino e poi ho avuto degli insegnanti, come Carlo Ferrini, che mi hanno guidato a bere e apprezzare il buon vino”. Lei non è emiliano, ma di Palermo dove c’è il sole e tanto mare, come si trova in questa terra dove fa freddo e spesso c’è la nebbia che la fa da padrona? “Sono due realtà diverse, ma quello che mi unisce con Palermo sono le persone ho trovato, calde e sincere, le ho trovate aperte, socievoli, disponibili e per la mia famiglia è stato facilissimo inserirsi nel tessuto sociale e fare amicizia”. Siamo alla fine e Prestia con l’enologo Bini ci fanno degustare alcuni lambruschi di indubbia qualità. Iniziamo con Quaranta-Extra Brut, fatto con uve Marani, Maestro, Monte Ricco e Malbo gentile. Si presenta di colore rosso carico, secco e con buona acidità, di buona struttura, in bocca si apre piacevolmente e l naso tanti profumi floreali. Reggiano Lambrusco doc Rubino del Cerro, un brut fatto con Grasparossa, Salamino e Maestri, si nota subito dalla bella spuma cremosa e dai profumi di fiori, ottima acidità, fresco e pulito in bocca. Ottimi vini che si fanno bere con piacere.

Il giovane Mattia Medici, figlio del titolare, ci aspetta sulla porta dell’azienda, dove sono in corso lavori di ammodernamento della cantina che ha una lunga storia. “La cantina”, ci dice Mattia, “è nata verso la fine dell’800 da un idea di Remigio Medici che aveva una piccola osteria, io rappresento la quinta generazione, quando decise di specializzarsi nella produzione del Lambrusco. Purtroppo per ragioni burocratiche, ufficialmente la cantina risulta essere nata nel 1911, come attesta la pergamena appesa al muro, quando vinse il premio Croce al merito Medaglia d’Oro all’Expo di Roma. Da qui ai prossimi cinque anni dovremmo finire di ristrutturare tutta la parte più antica della cantina, trasformandola in una sala museo degustazione e con i nuovi uffici”. Una cantina all’avanguardia: “Si ma noi abbiamo sempre lavorato con le tecnologie più moderne, come la fermentazione del vino e la tecnologia del freddo, usando solo dei lieviti selezionati per far partire la fermentazione, teniamo i mosti stoccati a meno due gradi centigradi per tutto l’anno. Questo comporta dei costi elevati per la produzione del vino. Fermiamo la fermentazione raffreddandolo”. Quindi voi producete i vini non attraverso i vostri vigneti ma acquistando i mosti: “Li compriamo dai nostri fornitori con cui abbiamo rapporti da più di trent’anni e nella fase della vendemmia andiamo a scegliere i mosti migliori per fare il vino”. Quali tipologie di vino lavorate? “Per 99% è Reggiano Lambrusco doc, abbiamo

CA’ DE’ MEDICI Viale Della Stazione 34 42124Cadè (Re) www.cademedici.it

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suo agio e farci accomodare in un angolo del cortile dove c’è un tavolo ben apparecchiato con bicchieri e bottiglie di vino pronte per essere degustate. “La cantina nasce nel 1925 quando il nonno Dante inizia a vinificare le uve dell’azienda del suo datore di lavoro, perché lui era il mezzadro e la sua parte di vino la trasportava nelle botti sul carro trainato dai cavalli vendendolo nei mercati di Reggio e Parma. Ma nel 1960 il nonno decide di costruire una propria azienda agricola assieme a mio padre e allo zio comprando un podere”. Poi cosa succede? “ Iniziano ad impiantare vigneti e negli anni ‘70, nel pieno del boom economico escono dalla cantina 90 mila bottiglie di Lambrusco a fermentazione naturale che viene venduto localmente ma anche in Lombardia, Veneto e Piemonte. All’epoca c’erano 17 cantine a Bibbiano, il lavoro non mancava. Negli anni ‘80 il mercato cambia, non c’era più quel tipo di richiesta e quindi decidiamo di fare una linea di Lambrusco metodo charmat affidandoci ad una struttura esterna. Negli anni ‘90 ci mettiamo in proprio acquistando i macchinari necessari. Questa scelta ci ha premiato perché ci ha dato modo di controllare tutto il processo produttivo e di fare dei vini di alta qualità”. Quanti ettari di terreno avete? “Sette ettari di vigneti coltivati soprattutto a Lambrusco nelle diverse tipologie. Quelle che usiamo noi sono il Grasparossa, Maestri, Marani, Malbo gentile e poi la Sgavetta, un vitigno antico della zona collinare che noi utilizziamo per produrre, sia uno spumante sia un rosè. Abbiamo sempre lavorato la Malvasia e il Sauvignon, dal 2006 grazie agli studi del nostro enologo e agronomo Grasselli, abbiamo deciso di piantare la Sgavetta e la Spergola che ci sta dando parecchia soddisfazione, nella declinazione charmat, metodo classico, bianco fermo e rifermentazione in bottiglia”. Quante etichette avete? “ Tredici referenze, di cui sei di Lambrusco e un passito, poi uno tradizionale Reggiano Lambrusco doc fatto con Grasparossa e Maestri, un Ancestrale, Spumante Sgavetta, Marani rosato, Lambrusco amabile e rosè”. Dalla cantina quante bottiglie escono?

AZIENDA AGRICOLA CANTINA FANTESINI Di Bigi Cesare e Fantesini Chiara Via Franchetti 35 42021 Bibbiano (Re) www.cantinafantesini.it L’ agricola Fantesini è una media cantina molto curata, circondata da vigneti con un passato ricco di storia e di tradizioni. Chiara Fantesini ci aspetta nel cortile della azienda mentre segue la vendemmia delle ultime uve Lambrusco. “Siamo alla fine della raccolta e questo è l’ultimo carro”, ci dice Chiara con un sorriso solare di contentezza, prima di mettersi a

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poi delle piccole selezioni di una linea dedicata al fondatore dove produciamo un Grasparossa dei Colli di Scandiano Canossa, un Lambrusco di Sorbara e un Ancellotta dolce, molto particolare”. Quante bottiglie escono dalla cantina? “Da 1milione e mezzo ai due milioni, dipende dagli anni. Vengono vendute per il 60% all’estero, in particolar modo in Europa, come Belgio, Spagna e Germania, molto bene oltre Oceano, negli Stati Uniti siamo presenti fin dagli anni ‘70”. E in Italia? “Vendiamo circa il 40% della nostra produzione, con prodotti di nicchia e alta qualità, ai ristoranti e siamo presenti nella Grande Distribuzione, ma soltanto in quei supermercati che hanno allestito una cantinetta”.


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“Sono 85 mila e vendute in Provincia di Reggio e nel Nord Italia”. Finita la chiacchierata, Chiara ci fa degustare alcuni vini, il primo è Battagliero, una Spergola Emilia igp - fermentazione naturale in bottiglia dal colore giallo paglierino, fresco dal gusto deciso e ricco di profumi. Perlida – Spumante di Spergola Brut dal bel colore giallo paglierino, si sentono i profumi di fiori e mela, al palato risulta armonico e persistente. Gradisca – Spumante rosso Brut, fatto con uve Sgavetta e Grasparossa dal colore rosso rubino, una bella schiuma dal profumo di frutta, al palato risulta corposo e caldo. Rosso del Fante – Lambrusco dell’Emilia igp, fatto con uve Grasparossa e Maestri, colore rosso intenso, bella schiuma con profumi intensi di ciliegia e ribens, gusto secco con buona acidità. Quattro buoni vini di ottima fattura che ci hanno conquistato.

CANTINA SOCIALE DI SAN MARTINO IN RIO Via Roma 123 42018 San Martino in Rio (Re) www.cantinesanmartino.it La cantina San Martino in Rio si trova quasi nel centro del paese, vederla nel suo insieme è come fare un tuffo nel passato. E’ una struttura dove si respira aria contadina, l’ampio cortile ci fa pensare a quando si portava l’uva con i carri trainati dai cavalli. Siamo

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quasi alla fine della vendemmia e l’enologo Fabrizio Bocedi, che sta seguendo con attenzione le ultime fasi della raccolta dell’uva, ci aspetta nella sala di degustazione, dove al centro c’è un grande tavolo in noce, probabilmente antico, per parlare della cantina e dei vini. “La cantina nasce nel 1907 per volontà di 15 soci, prevalentemente proprietari terrieri, che volevano valorizzare il prodotto del loro lavoro, le uve. Da all’ora la cantina si è sempre più sviluppata aumentando la superficie impiantata e ovviamente i quantitativi. Oggi ci troviamo ai massimi conferimenti, proprio l’anno scorso è stato fatto il quantitativo record di 300 mila quintali di uva pigiata”. Quanti sono i soci conferitori? “Sono 320 ma il dato interessante è che sono soci professionalmente preparati che sanno cosa fare per produrre uve di qualità”. Quanto è la superficie vitata? “Sono circa 1200 ettari su cui nasce l’uva”. Quali sono le tipologie di uve che lavorate? “Sono due le categorie, una è finalizzata ad un approccio più tecnico che si chiama Ancellotta, è un vitigno che viene utilizzato per fare prodotti ad alte intensità coloranti per ottenere un vino dal colore rosso intenso. Questo lo si fa quando i vini sono bassi di colore e l’altra tipologia, forse la più diffusa, è il Lambrusco nelle sue diverse varietà, come il Salamino, Sorbara e il Grasparossa. Se invece parliamo della doc, quella importante per la nostra provincia, è il Reggiano Lambrusco doc”. E per quanto riguarda i vini bianchi? “Abbiamo una piccola produzione, in particolare il Pignoletto proveniente dai soci della Provincia di Modena”. Tutto il vino che producete, quanto viene imbottigliato e quanto venduto sfuso? “Questa è una cantina che rifornisce grandi marchi d’imbottigliamento, poi abbiamo una produzione di 200 mila bottiglie, tra Lambrusco e Pignoletto, che vengono distribuite in diverse regioni che spesso ricevono riconoscimenti”.

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Lambrusco dedicato un vino al nostro e grande tenore Luciano Pavarotti, chiamandolo Lirico, perché abbiamo saputo che per 40 anni ha sempre comprato e bevuto il nostro Lambrusco. Abbiamo parlato con Nicoletta Mantovani del progetto, spiegando le caratteristiche del Lambrusco, dedicato al Maestro, e con il suo assenso abbiamo iniziato a produrlo. Per ogni bottiglia venduta, 20 centesimi vanno alla Fondazione. Prossimamente uscirà una nuova produzione di Lirico in versione Lambrusco rosè”. Alla fine, Marco Nicioli ci propone una degustazione della nuova linea indirizzata ad un target medio alto e le sette bottiglie che mette in bella mostra sul tavolo, colpiscono subito l’occhio per come sono vestite, un packaging veramente bello, elegante e giovane. I vini non sono da meno, buoni e di qualità che appagano il palato per la loro freschezza. I profumi sono floreali con sentori di frutta di sottobosco.

Siamo qua proprio nel periodo della vendemmia, come sta andando? “Abbastanza bene, perché si pensava di avere un grosso calo produttivo, alla fine abbiamo recuperato, perché molti produttori hanno mantenuto il livello di produzione e quindi il calo è stato solo del 15%, ma la qualità è buona”. Fabrizio Bocedi ci saluta, le uve non possono aspettare, lasciandoci con Marco Juri Nicioli, responsabile commerciale della Cantina San Martino e della nuova linea di vini RIO’. “ Abbiamo realizzato questo progetto per far sì che le uve migliori, raccolte e selezionate dessero vita a dei vini di alta qualità, identificando i vari vitigni, dal modenese al reggiano, per creare una linea giovane chiamandola i “colori del Lambrusco”, dove troviamo il Sorbara, Grasparossa secco e amabile, Salamino, Nero di Conte Lambrusco Reggiano doc, Pignoletto e poi abbiamo

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Wine&Food di Enzo Russo

Prosciutto di Carpegna: dalle Marche alla conquista di New York

Fratelli Beretta, 19 Dop e Igp uniche per salvaguardare e valorizzare il made in Iltaly

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l Salumificio Fratelli Beretta da oltre 200 anni produce salumi di qualità, sono conosciuti in tutto il mondo e ogni giorno milioni di persone li degustano. Ma qual’è il segreto di questo di questo alto gradimento per stare sempre in prima fila? Ne parliamo con il responsabile marketing Enrico Farina che da anni conosce gli umori dell’azienda e le strategie, ma soprattutto conosce il prodotto in tutta la sua filiera produttiva. “Da 200 anni l’azienda è sempre stata a conduzione familiare e oggi, più che mai, la famiglia Beretta è sempre presente per sviluppare e conquistare nuovi mercati. La salumeria è un settore un po’ particolare nel mondo del food. Le peculiarità del territorio, la passione che si ha nel fare il proprio lavoro, sono elementi importanti che contribuiscono a raggiungere gli obiettivi. Il fatto che questa azienda sia rimasta per 200 anni nelle mani della stessa famiglia Beretta ne è la testimonianza più concreta. Negli ultimi dieci anni sono entrate delle multinazionali ma non sono riuscite

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a rimanere, perché le logiche dello sviluppo e mantenimento e i segreti delle tecniche di produzione sono diverse dalla visione che ha una multinazionale”. Quindi essendo un azienda a conduzione familiare, le decisioni vengono prese con più agilità: “Non è soltanto questo, anche se è un elemento molto importante, ma il fatto che il tutto sia in mano a poche persone della famiglia e che queste siano in sintonia con le decisioni che vengono prese, tutto diventa più snello e agile dando un vantaggio enorme su come procedere. La storia del Salumificio Fratelli Beretta sta a dimostrare cosa è stato fatto. Una bottega che, fondata nel 1812 a Barzanò dai fratelli Felice e Mario Beretta, è diventata una delle più importanti realtà nel panorama della lavorazioni delle carni suine. Questo primato, faticosamente conquistato nell’arco degli anni è il frutto delle generazioni che si sono succedute che hanno scelto di proseguire sul solco tracciato dal capostipite, sempre alla ricerca della migliore qualità artigianale che è risultata vincente”.

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Wine&Food Accordo con la squadra di basket VL Pesaro che giocherà in serie A con le maglie color giallo orange del Carpegna 20 mesi.

Accanto ai salumi, fiore all’occhiello dell’azienda, dove siete leader di mercato, avete aggiunto altri prodotti, avete allargato i vostri orizzonti commerciali. “Si di diversificazioni ce ne sono state alcune perché l’obiettivo era quello di far crescere l’azienda e offrire al consumatore un ventaglio di prodotti sempre buoni e di qualità. Iniziamo dagli anni’60 quando in Italia nascono i primi supermercati. E nel panorama della Salumeria Italiana, Giuseppe e Vittore Beretta credono nello sviluppo e crescita di questo nuovo canale di vendita che preludeva ai cambiamenti di stili di vita dei consumatori che nel futuro avranno sempre minor tempo per fare la spesa. E’ da qui l’idea di produrre prodotti a libero servizio per la distribuzione moderna. Il consumatore, si rende conto che le confezioni di salumi mantenevano intatte tutte le fragranze, le qualità e la freschezza di un salume appena tagliato e in più, conservati in frigorifero, avevano il vantaggio di mantenere inalterati sapori e profumi per parecchi giorni, fino alla naturale scadenza indicata sulla confezione. Una scelta vincente. Negli anni 70, con il nuovo stabilimento specializzato nella produzione di wurstel, viene lanciato sul mercato la marca leader Wuber. Agli inizi del 2000, l’orizzonte del Salumificio Beretta si amplia per venire incontro alle esigenze dei nuovi consumatori che cercano prodotti con elevato contenuto di servizio: piatti pronti e snack che fanno parte della tradizione gastronomica italiana”.

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Parliamo adesso dei piatti pronti, una grande e felice intuizione che ha inciso sulla quotidianità di molti consumatori. “Partendo dalle lasagne e cannelloni al ragù, è stata creata la linea “Viva la Mamma Beretta”. Nel tempo la linea si è arricchita di nuove ricette con una forte connotazione tradizionale come le zuppe, i minestroni oppure piatti freddi come le insalate di riso o di orzo fino ed alcuni secondi. Tutti questi piatti vengono realizzati da noi, dove i nostri cuochi, nutrizionisti e tecnici controllano la filiera produttiva, dalla ricerca delle materie prime, alla lavorazione, fino alla conservazione tramite pastorizzazione. I tempi di sviluppo dei piatti pronti sono stati particolarmente veloci anche perché abbiamo cercato un partner importante e l’abbiamo trovato in Fleury Michon, azienda francese leader dei piatti pronti freschi in Francia che ci ha dato tutto il suo know-out adattandolo al gusto italiano” “Poi ci siamo posti una domanda: Qual’è il panino, lo spuntino, la merenda, il sostituto del pranzo più consumato in Italia? E’ sicuramente il salume: con un panino, una piadina, dei panetti croccanti, con un toast, sulla pizza, etc. . Abbiamo così ideato e lanciato sul mercato la nuova brand Zero24 con una gamma di spuntini e merende pronte con salumi. Ad esempio produciamo sandwiches al prosciutto crudo e al salame in una confezione con dentro due mini panini pronti da gustare ma anche un altro compagno di gola come la Piadina Classica e in versione mini farcite con

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Wine&Food formaggio prosciutto cotto o crudo. Una novità, unica nel suo genere, è la Spalmosa Zero24, è una vera crema fresca di prosciutto cotto, ricca di sapori e pronta per essere gustata spalmata su una fetta di pane leggermente tostato o con i grissini”. “La produzione di salumi Beretta si è poi arricchita di una novità, Frutti dei Sogni, una linea Premium di affettati a peso variabile, che nasce con l’obiettivo di fornire ai veri intenditori del salume il meglio della tradizione della salumeria italiana abbinando la freschezza di un salume tagliato ad arte al momento con la più alta componente del servizio (confezionamento in vaschetta in atmosfera modificata), è dettata dal crescente interesse dei consumatori per il segmento denominato dagli addetti ai lavori “take away”, ovvero le vaschette supertrasparenti, con la marca spesso non presente oppure quando è presente/visibile solo in modo discreto per meglio rappresentare l’artigianalità di un prodotto appena tagliato e imbustato direttamente da un salumiere del punto vendita. La linea si contraddistingue per una forte presenza nella gamma di salumi italiani DOP e IGP tra gli altri il Prosciutto di Parma, il Prosciutto San Daniele, il Salame Brianza e il Salame Felino e alcune specialità internazionali come il Jambon Serrano e Iberico. Inoltre tutte le referenze della gamma Frutti dei Sogni sono senza glutine, come ben evidenziato in etichetta, a testimonianza della forte attenzione del brand per queste problematiche crescenti. Nel corso degli anni si è cresciuti sempre di più per arrivare alle famose 19 dop e igp uniche, che l’azienda produce in proprio. Noi non siamo solo salumi ma abbiamo un bouquet molto ampio di nuove offerte. Alcuni anni fa si è presentata l’opportunità di entrare nel mercato ittico, salse, insalate russe e di riso, pasta fresca, da qui la crescita è stata in crescendo. Abbiamo una divisione che copre tutto quanto riguarda la gastronomia”. Per quanto riguarda i salumi, oggi siete al top per qualità e prodotti: “Noi avevamo bisogno di completare la nostra offerta con un prodotto che fosse unico nel suo genere, non riproducibile, un campione di eccellenza e questo l’abbiamo trovato nel Prosciutto di Carpegna dop che viene prodotto nelle Marche e che ha delle caratteristiche organolettiche uniche. Viene fatto con una materia prima selezionata”. È un prosciutto che si distingue dagli altri per cosa?

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“E’ un prosciutto che si avvicina a quello di Parma per caratteristiche di struttura, ma si distingue di temperatura e stagionatura, di profumo e sapore, poi il sale usato è molto dolce e lo stucco è aromatizzato con degli aromi particolari, rende il Carpegna dolce, molto morbido con delle note aromatiche che sono decisamente differenti dal Parma”. Da quando tempo il Prosciutto Carpegna fa parte del Salumificio Fratelli Beretta? “Sono sette anni”. Un bilancio: “Da quando abbiamo acquisito l’azienda, il primo anno abbiamo commercializzato il prosciutto che era già pronto facendo contemporaneamente degli ammodernamenti aumentando la capacità produttiva per soddisfare le richieste. Poi si è passati alla seconda fase, quella della promozione su tutto il territorio. Le vendite sono e stanno andando bene. I consumatori ci premiano. Sull’onda di questo successo siamo sbarcati in America, a New Jork sta avendo un alto gradimento”. Il prosciutto di Carpegna vuole le bollicine Franciacorta Per quanto riguarda i vini da accostare al Prosciutto Carpegna, vanto della Salumeria Italiana, protagonista della tavola, proponiamo, per gustarlo al meglio in tutti i suoi particolari sapori, una super bollicina dell’Azienda agricola Le Marchesine, che sa donare anche, assieme all’allegria, una perdurante gradevolezza al palato e al cibo, perché le fantastiche che sollecitano la vista, sollecitano il naso e puliscono la bocca preparandola al boccone successivo. Nel vasto panorama degli spumanti, abbiamo scelto un Franciacorta docg Secolo Novo Brut Millesimato che nasce da selezioni clonali di uve Chardonnay con vendemmia a mano. Le bottiglie vengono accatastate in locali di affinamento a temperatura controllata (12° - 14°) per almeno 36 mesi che lo portano ad assumere un particolare profumo, sapore con un lungo e finissimo perlage. Si presenta di colore giallo paglierino brillante con riflessi oro-verde. Al naso si percepisce la nocciolina tostata, margarina, note mentolate e di cedro candido. Avvolgente e rotondo al gusto e grande equilibrio tra acidità e sapidità. Nell’insieme è un vino elegante e dalle grandi occasioni.

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Massimo Cocchi: ecco perché il prosciutto di Carpegna è buono e fa bene Al “Prosciutto di Carpegna” mi legano due momenti d’affetto importanti. Dapprima l’amicizia con il fondatore del prosciuttificio Silvano Zavaglia, poi con il premio Nobel Kary Mullis. Mondi completamente diversi che si riunirono, come per magia, davanti a un ricco banchetto a base di profumate fette di Prosciutto di Carpegna dal sapore ineguagliabile. In quel pomeriggio mi trovai a riflettere sulla genialità dell’uomo. Kary Mullis che aveva rivoluzionato il mondo scientifico con la scoperta della PCR, cioè, quella sequenza di reazioni che portava alla riproduzione del DNA, una scoperta che andava alle radici della vita. Silvano Zavaglia che aveva avuto l’idea di creare un prosciutto in quel pugno di terra affascinante che si incornicia fra il Montefeltro, la Romagna e la Toscana. Una rivoluzione per il prosciutto, difficile dal ripetersi. Quel giorno davanti a meravigliose fette di prosciutto, davanti a un Sangiovese di alta fattura, tutti dimenticammo le genialità assaporando quell’inconfondibile profumo del prosciutto di Carpegna e del Sangiovese di Romagna. Oggi l’azienda è gestito dal gruppo Beretta e, incredibile a dirsi, debbo un pensiero di riconoscenza. Erano gli anni in cui avevo spostato le mie ricerche e l’insegnamento in Scozia presso un prestigioso e famoso Istituto lo “Scottish Agricultural College”. Mentre ci occupavamo di sofisticate ricerche sul destino dei lipidi e degli acidi grassi nel cervello durante lo sviluppo embrio-fetale del pollo, fu istintivo pensare a come certi famosi acidi grassi, noti come Omega 3, potevano essere inseriti nelle carni del maiale senza alterarne le caratteristiche e mantenendo immodificate le caratteristiche organolettiche. I fratelli Beretta vennero in soccorso e, grazie a una The Italian Wine Journal

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Laureato a Bologna nel 1971 in Medicina e Chirurgia Nel 1990 è stato nominato Lecturer di Biochimica della Nutrizione presso lo Scottish Agricultural College. Nel 1995 è stato nominato Professore di Biochimica della Nutrizione presso lo stesso College. Nel 1999 ha fondato la rivista scientifica PROGRESS IN NUTRITION. Nel 2003 è stato nominato Presidente della Società Scientifica “Associazione Ricercatori Nutrizione e Alimenti” (ARNA) Dal 2005 è Professore a Contratto di Alimenti e Nutrizione Umana presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Bologna oggi Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie.Nel 2016 è stato eletto Presidente della Società Italiana di Biologia Sperimentale. Nel 2017 è stato nominato Presidente del QPP Research Institute for Quantitative and Quantum Dynamics of Living Organisms & Center for Medicine, Mathematics & Philosophy Studies.

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munifica donazione, resero possibile, credo per la prima volta al mondo, la sperimentazione che ci chiariva ulteriormente il destino di questi preziosi acidi grassi e la loro collocazione nelle membrane delle cellule dei tessuti. Si realizzò, in questo modo, il primo prosciutto con Omega 3. Le caratteristiche nutrizionali del prosciutto rappresentano, simbolicamente, anche le caratteristiche nutrizionali generali delle altre carni del maiale. Spicca in particolare la presenza di una consistente concentrazione di Acido Oleico, quello prezioso dell’olio extravergine di oliva, noto per l’efficace protezione che esercita sul processo aterogenetico e, quindi, nella protezione cardiovascolare. La quantità di acidi grassi insaturi prevale su quella dei saturi rendendo la fetta di prosciutto una scelta alimentare molto importante dal punto di vista nutrizionale ed è bene sapere che non si dovrebbe privare

tale fetta del suo grasso. L’eliminazione dei grassi dalla dieta gornaliera, così prepotentemente invocata da una dietologia approssimativa, rappresenta una possibile induzione di danno a carico del patrimonio vitaminico liposolubile, ad esempio, la Vitamina E così preziosa nella protezione delle membrane cellulari dai fenomeni ossidativi. Profumo e sapore del prosciutto sono anche riconducibili alla presenza di preziose sostanze che chiamiamo polifenoli, antiossidanti, che, in giusta misura contribuiscono anche al mantenimento della protezione del microbiota intestinale e all’integrità dell’epitelio intestinale. Dovrebbe finire il tempo della demonizzazione della carne di maiale. In una buna fetta di Prosciutto di Carpegna ritroviamo un momento di conviviale amicizia.

Claudio Sadler: prosciutto inconfondibile da degustazione Incontriamo il maestro Claudio Sadler nel suo “santuario” mentre i suoi collaboratori, una brigata di giovani chef molto motivati, sono ai fornelli per preparare l’evento della serata. I molteplici profumi che invadono la cucina sono invitanti, preannunciano piatti gustosi di alta qualità. “La mia è una cucina contemporanea” ci dice Sadler mentre è intento a mettere nel morsetto un bellissimo prosciutto Carpegna, “radicata nella tradizione della cucina italiana fatta con i migliori prodotti del mercato e quindi la mia concentrazione è su questa ricerca assieme ai miei ragazzi con cui condividiamo la scelta dei menù. E’ una cucina moderna e contemporanea basata sul gusto e il piacere del cibo, non mi interessa l’estetica ma rassicurare”. Quindi sono piatti realizzati con una certa tecnica, “Assolutamente si, sono piatti che hanno una applicazione con le tecniche più moderne e attuali che permettono di cucinare al meglio in maniera più sana e naturale e

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rispettosa dell’ambiente. Queste sono le cose giuste da fare. Non sono un fanatico del km 0 anche perché a Milano sarebbe impossibile, ma in cucina usiamo sempre prodotti di alta qualità garantita. L’80% dei nostri prodotti è pesce, tanta verdura e poi un po di carne e prodotti della filiera alimentare italiana come i formaggi e salumi, tra questi, il prosciutto di Carpegna che a me piace molto, lo trovo particolarmente indicato per la mia cucina. Perché non è un prosciutto comune, non è marcatamente salato, ha un buon profumo che ricorda la frutta secca, i funghi e altri sentori che lo fanno diventare appetitoso. Quando lo si assapora, lo si degusta, si capisce che ha qualcosa di particolare, di eccezionale, è inconfondibile e poi piace alla mia clientela che lo degusta con piacere”. Ci sono alcuni piatti di pesce che le danno soddisfazione nella preparazione e che incontrano il gusto della clientela? “Uno su tutti, è un piatto molto semplice che

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Wine&Food A Milano in via Ascanio Sforza 77, sui Navigli milanesi, ci sono due stelle che brillano sempre, giorno e notte, sono quelle del ristorante stellato Sadler dove impera una cucina che spazia da nord a sud, con piatti creativi ed innovativi di alta classe, che il maestro Claudio Sadler reinterpreta partendo dalle antiche tradizioni gastronomiche della cucina italiana. A fianco c’è poi un secondo locale, la Trattoria Moderna “Chic’n Quick” che offre a mezzogiorno una ristorazione più informale e veloce ma sempre nello stile del maestro. Quella di Sadler, è una storia lunga scandita da successi e soddisfazioni che arrivano fino al Giappone, in Cina con l’apertura di un ristorante a Tokyo e uno a Pechino. E poi alcuni ristoranti a Milano. E’ stato uno dei fondatori dell’Associazione “Jeunes Restaurateurs d’Europe”, consulente gastronomico per diverse aziende. E’ consigliere dell’Associazione Provinciale Milanese dei Pubblici Esercizi e della Scuola Superiore del Commercio del Turismo dei Servizi e delle Professioni di Milano. Dal 2012 è inoltre presidente dell’Associazione “Le Soste”, che si occupa di diffondere e valorizzare in tutto il mondo l’eccellenza della cucina italiana e che vanta 94 ristoranti membri tra i più prestigiosi in Italia e in Europa. Nel dicembre 2018 è stato insignito dell’Ambrogino d’Oro, la massima onorificenza del Comune di Milano.

facciamo da più di vent’anni, è un sautè di crostacei composto da aragosta, scampi, gamberi, mazzancolle, astice, granchio e canocchie. Poi ce ne sono tanti altri, come il cruditè fatto con diverse qualità di pesce fresco che viene servito con tre salse”. Il suo ristorante è molto particolare nella composizione dei locali. “ Noi non siamo nel centro di Milano, non c’è un grande passaggio, quindi abbiamo deciso di fare un ristorante molto intimo e personalizzato per dare alle persone la possibilità di trascorrere una serata tranquilla e rilassante ed essere protagonisti della tavola. Infatti nelle tre sale vengono serviti massimo 35 coperti”. Quante persone lavorano con lei? “Sono 20 persone, tra i due ristoranti, tutti giovani che hanno una gran voglia di lavorare e imparare. Il nostro è un lavoro faticoso, sempre in piedi, ma che da tante soddisfazioni quando si crea un piatto ma soprattutto quando si riesce a soddisfare il cliente, è il massimo della gratificazione”. Maestro come si sente oggi, contento, appagato? “Sono contento, ho realizzato tutto quello che volevo ma non sono sazio di tutto quello che ho, non perché io sia egoista e voglio di più, ma perché vorrei più sicurezza nel lavoro visto i tempi che corrono. In questi ultimi anni sono nati tanti ristoranti e il cliente fidelizzato non c’è più è diventato curioso, giustamente, oggi viene domani va da un altra parte perché vuol fare altre esperienze gastronomiche” Dopo una lunga chiacchierata ci lasciamo con l’impegno di rivederci per gustare il piatto di pesce che fa da vent’anni.

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Wine&Food di Enzo Russo

Le bollicine Franciacorta Le Marchesine incontrano il salmone

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n Franciacorta si produce con passione e cura le bollicine Franciacorta. Un legame profondo vincola i produttori a questo territorio e la loro ricerca dell’eccellenza non è solo una missione commerciale, ma soprattutto una vocazione e un gesto d’amore. Se ne accorge anche il viaggiatore quando va per cantine e ad accoglierlo non trova l’impeccabile e freddo benvenuto standardizzato di strutture pensate come attrazioni turistiche, ma il fascino autentico della storia e dell’attualità del Franciacorta e il calore e l’entusiasmo di chi, con spirito di sacrificio tutto bresciano, ha dedicato la vita a queste vigne. Ogni cantina racconta la sua storia unica che rende l’esperienza della

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degustazione più completa e gratificante. Una di queste è certamente l’Azienda Agricola Le Marchesine – Passirano (Bs), una delle principali realtà vitivinicole del comprensorio che produce oltre 500 mila bottiglie di diverse tipologie, tra millesimati Docg e non, che in questi anni ha ricevuto numerosi riconoscimenti puntando sulla qualità. Dalla critica più severa sono arrivati i Tre Bicchieri del Gambero Rosso e le Cinque Sfere di Sparkle per il Secolo Novo Dosaggio Zero Riserva 2011, i Cinque Grappoli di Bibenda per il Secolo Novo Brut 2011, i Quattro Tralci dell’Ais per il Rosè 2015. Una gran bella soddisfazione per il patron della cantina, da sempre alla ricerca della migliore qualità,

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che gira il mondo come un globetrotter per promuovere e vendere le sue bollicine. E’ infaticabile, sempre con il sorriso aperto e sempre disponibile. Anche quest’anno, è appena rientrato da una serie di visite dei suoi clienti in Calabria e Sicilia, Loris Biatta patron de Le Marchesine ci accoglie nella sua azienda, ma prima di iniziare a degustare alcune tipologie di bollicine con alcune varietà di salmone, ci fa vedere la nuova cantina che sta sorgendo a fianco. Dopo lungaggini burocratiche è finalmente riuscito a realizzare un sogno che coltivava da diversi anni. Entro la fine del 2020 dovrebbe iniziare a funzionare con un investimento di 5 milioni di euro. Dopo la visita al cantiere, dove si vedono già le fondamenta e i pilastri, Loris Biatta ci fa accomodare nella sala dove c’è un lungo tavolo apparecchiato. Quest’anno propone un classico della enogastronomia “salmone&bollicine”, chiamando un esperto come Gianpaolo Ghilardotti, chef e amministratore della Food Lab di Polesine Zibello, una delle realtà più importanti in Italia nella lavorazione artigianale del salmone, un esperto con la giusta sensibilità per scegliere varietà e tipologie più adatte ad essere esaltate nell’accostamento alle bollicine, un abbinamento perfetto con un ritmo di acido scalpitante. Le bollicine poi, sviluppano un’azione sgrassante

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sul palato, hanno tutte le carte in regola per essere un ottimo vino da tutto pasto da abbinare a una vastissima rosa di piatti, dagli antipasti alle carni, dal pesce di mare a quello di lago. Il salmone coniuga gusto, praticità e versatilità, è un prodotto sicuro, perché piace e fa la sua bella figura con classe. Tra le varietà di salmone ci sono quello dell’Atlantico Salmo Salar pescato lungo le coste atlantiche del Canada e dello Stato di Washington (USA), l’Oncorhynchus che si pesca in Alaska e lungo le isole del Giappone, mentre quello europeo è assai più raro perché minacciato dall’inquinamento al punto tale che in commercio si trovano per lo più i salmoni d’allevamento della specie Salmo Salar. Vi sono, inoltre, altre specie di salmone selvaggio del Pacifico ricercati dai pescatori e buongustai come il Chinhook, ed il Sockeye che costituisce un quarto del totale del pescato. I più conosciuti in Europa sono quello Scozzese, Danese, Irlandese e Norvegese. Ma quali bollicine scegliere per non coprire il gusto del salmone. Dipende dal sapore, dall’affumicatura e marinatura e da altri ingredienti che compongono il piatto. Il percorso pensato da Ghilardotti e Biatta ha messo a confronto due grandi famiglie del

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Salmone:l’Oncorhynchus (gli splendidi esemplari selvaggi dell’Alaska) e quello Scozzese Salmo Salar dell’Atlantico, ormai quasi totalmente allevato, dai sapori unici e inconfondibili. In questo caso sono tre i Franciacorta Le Marchesine che si sono “aggiudicati” gli ideali abbinamenti con i piatti realizzati dallo chef Gianpaolo Ghilardotti. Sono bollicine importanti che testimoniano quanto la famiglia sia impegnata e coinvolta, dai figli alla mamma, per produrre vini di alta qualità.

finissimo e persistente. Aroma fine e complesso, sapore asciutto, secco con vena acidula e nervo caratteristico, elegante e pieno al gusto. A tavola le bollicine si sono esaltate ancora di più donando al palato molteplici sapori con due piatti da grand gourmet, Annata 2001 con la “Tartare di salmone Scozzese, servita con insalatina di avogado, mela verde e cereali croccanti, un piatto molto complesso che unisce la croccantezza dei cereali con la cremosità dell’avoca-

Brut Blanc de Blancs docg millesimato 2001 e 2004: due annate che nascono da selezioni clonali di uve Chardonnay. Due grandi vini che hanno saputo mantenere intatte le qualità organolettiche e le caratteristiche di profumo e sapore considerando gli anni. Il 2001 si presenta di colore giallo intenso e il 2004 di colore giallo chiaro, Ma in comune le due annate si sono mantenute ancora fresche, con buona carica e riflessi verdolini. Perlage

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do. E l’annata 2004 con il Carpaccio di salmone selvaggio d’Alaska Sockeye con contorno di insalatina di rucola e yogurt. In bocca i due attori recitano con una sinfonia di sapori. Brut Secolo Novo docg millesimato 2004 e annata 2006: due grandi vini fatti con Chardonnay in purezza. In bocca risultano strutturati dal sapore asciutto e secco, eleganti e pieni al gusto. Il perlage finissimo e persistente si fa ancora ben sentire nel 2004 che è stata una grande annata per lo Chardonnay. Risultano perfetti con il Sushi di salmone affumicato: selvaggio d’Alaska “sockeye” e Red King pescato ad amo con spuma di parmigiano e croccante alle mandorle. Un piatto fatto veramente bene ed elegante nei sapori. In bocca i due prodotti si esaltano e l’un l’altro sono sono in sintonia con i palato. Franciacorta Dosage Zero Secolo Novo Riserva 2008: Chardonnay in purezza. E’ un vino dal colore giallo di buona carica con riflessi verdolini dal perlage finissimo e persistente. L’ aroma è fine e complesso e il sapore asciutto, secco con vena acidula e nervo caratteristico, elegante e pieno al gusto. Per le sue caratteristiche si abbina con classe al salmone Scozzese e al selvaggio d’Alaska. Lo chef lo ha proposto tagliato a fettine sul tagliere, è stato un vero piacere degustarlo in naturalezza con le bollicine che si dono dimostrate di grande forza e personalità. Azienda Agricola Le Marchesine Via Vallosa 31 – 25050 Passirano (Bs) www.lemarchesine.com Si ringrazia per la degustazione del salmone: Food Lab Strada Provinciale 97 43016 Polesine Zibello (Pr)

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Food di Daniela Scaccabarozzi

La scalata dei panettoni artigianali

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Ecco come riconoscerlo ed i top 6 da acquistare

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alde atmosfere, tavole allestite con cura, luci sfavillanti, visi sereni e sorrisi radiosi. Tutto è pronto per celebrare il Natale, ma in questo giorno di festa non può mancare il re del desco: il panetto-

L’ardua scelta dei migliori è stata effettuata all’interno di una delle più interessanti manifestazioni dal nome “I maestri del panettone” svoltasi a Milano, che ha riunito i 26 migliori lievitisti italiani. Ognuno di loro ha presentato poi sia la classica versione tradizionale che le nuove proposte, mettendo a punto nuovi ed, a volte, anche insoliti abbinamenti, tutti da provare.

E allora via, alla ricerca del panettone più particolare, per chi ama i nuovi trend oppure classico, per chi non vuole rinunciare invece alla tradizione. Il dolce più amato dai milanesi, e non solo, continua ad essere di gran moda tra i giovani e gli adulti, è diventato innovativo, versatile e spopola ormai non solo a Natale ma anche in altri periodi dell’anno, grazie alla sua destagionalizzazione. L’artigianalità poi è sempre più ricercata tra i consumatori, merito anche delle numerose manifestazioni che hanno fatto conoscere al grande pubblico i migliori maestri pasticceri provenienti da tutto lo stivale e che propongono panettoni miscelando gli ingredienti più inediti, dando vita a dei veri e propri capolavori. Ma diamo due dati per capire il business, visto che si tratta di un mercato in costante crescita. Secondo un’indagine Nielsen, nel 2018 sono stati prodotti in Italia 28,7 milioni di Kg. complessivi, di cui 5,3 milioni di Kg. di soli panettoni artigianali, che costituiscono il 18% del totale. L’aumento delle vendite relative al panettone artigianale è stato invece dell’8%. Per quanto riguarda il fatturato, il valore ammonta a 217,1 milioni di euro, di cui 107,3 milioni imputabili al settore artigianale (sempre nel 2018). Ma quali sono i criteri per capire se un panettone è davvero artigianale? Ecco tre punti cardine: ALVEOLATURA: vale a dire ogni cavità prodotta dalla lievitazione naturale, che deve essere allungata ed omogenea BOUQUET: il profumo deve essere fresco, avvolgente e l’aroma persistente. E’ possibile infatti riconoscere molti degli ingredienti proprio dal profumo CONSISTENZA: la struttura deve essere morbida e leggera. E’ realizzato con lievito madre, una pasta acida autoprodotta e mantenuta senza aggiunte di start e lieviti disidratati di qualsivoglia natura e per questo il panettone artigianale ha una durata limitata che non supera mai i 60 giorni. Banditi anche i mono-digliceridi, gli aromi artificiali e qualsiasi genere di additivo chimico.

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Pasquale Marigliano – Ottaviano (NA) Panettone al limoncello Pasquale Marigliano possiede uno charme ed una eleganza unici che trasmette alle sue creazioni con passione e meticolosità. Napoletano di nascita, ha perfezionato i suoi studi in Francia presso i più famosi maitres patissiers acquisendo grande maestria in questa disciplina. Campione italiano di pasticceria al Sigep 2003 e da anni presente sulla guida del Gambero Rosso, i suoi panettoni sono un inno alla bontà più assoluta, grazie all’utilizzo delle migliori materie prime, unite alla sua ricerca per la lavorazione. Sapori armoniosi, impasti soffici e dalla grande digeribilità, costituiscono il successo dei suoi lievitati. Tra questi abbiamo scelto il panettone al limoncello, un omaggio alla sua terra ed ai suoi splendidi frutti. Lievitato per 36 ore è la conseguenza di una fusione di farina di grano tenero, burro belga, tuorli d’uova di cat. A allevate a terra, miele d’acacia italiano, cioccolato bianco e crema di limoncello artigianale ricavata da limoni di Sorrento. La cupola sferica è pettinata con il cioccolato bianco, con l’interno giallo di pasta soffice e dalla fitta trama. All’assaggio abbiamo particolarmente apprezzato la perfetta inzuppitura unita alla cremo-

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Pasticceria Merlo – Pioltello (MI) Panettone tradizionale Maurizio Bonanomi è un artigiano nel vero senso del termine, un tradizionalista profondo, che affascina per il rigore e la disciplina con cui approccia la sua professione. Brianzolo di nascita, è stato letteralmente folgorato dai profumi della pasticceria che si trovava sul cammino che lo portava a scuola, tanto da indurlo a frequentare l’alberghiero, specializzarsi nella pasticceria e cominciare la sua attività. C’è da dire che possiede una grande conoscenza dei lievitati, che produce con uno stile sartoriale, che sa di tempi antichi. La selezione delle materie prime viene infatti seguita in prima persona, con una ricerca ed una cura quasi maniacali. La sua parola d’ordine è: naturalità ed è anche per questo che la shelf life delle sue creazioni non supera i 30 giorni. Per il suo panettone tradizionale, lievitato a 36 ore, sceglie arance di Sicilia, cedro calabrese (di Diamante), uvetta australiana sei corone extra, vaniglia del Madagascar e della Polinesia miscelate insieme, burro di Normandia, miele d’acacia e grani teneri. Ad arricchire il tutto viene aggiunta anche una purea di mandarini tardivi di Ciaculli che conferiscono una nota aromatica al prodotto finale. Il risultato è un panettone dall’intenso profumo di burro. L’anima dolce è morbida ed elastica, ben lievitata, con una pasta gialla di tuorli che spiccano. L’uvetta si inserisce perfettamente nell’impasto ed i canditi sono “croccanti”, diamanti incastonati negli

Pasticceria Martesana - Milano Panettone Strudel Pugliese di nascita, ma milanese di adozione, Vincenzo Santoro è ormai un istituzione a Milano dove vanta ormai tre punti vendita ed è entrato quest’anno nell’Albo delle Botteghe Storiche della città per avere superato i 50 anni di attività. Pluripremiato anche dalla guida del Gambero Rosso e creatore di numerose versioni, Santoro possiede grande esperienza nel realizzare i lievitati. Il suo panettone Strudel è fragrante e ricco di aromi che ricordano il Natale. Mela renetta, macerata nel marsala con uvetta e cannella, con l’aggiunta di pinoli sul finale, danno vita a questo panettone, lievitato anche lui per 36 ore. Il colore del tuorlo dell’impasto è leggermente più scuro per la presenza della cannella. Per finire una copertura glassata su un letto di filetti di mandorle, zucchero ed albume per conferire croccantezza e bellezza visiva.

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Il risultato è un prodotto perfettamente riuscito, dalla giusta umidità e dal gusto intenso. Piacevolissima la farcitura di cubetti di mela, croccante e morbida insieme.

sità del limoncello, un connubio splendidamente riuscito che dona equilibrio, raffinatezza e gusto al prodotto finale.


Food brato ed elegante. L’albicocca candita (varietà pellecchiella), che Pepe acquista direttamente da un contadino locale, è un frutto storico che proviene dal Parco Nazionale del Vesuvio ed è di una dolcezza straordinaria, capace di donare freschezza nell’insieme.

alveoli. Il gusto è un esplosione di aromi tradizionali e calibrati che si fondono insieme ed appagano il palato.

Pasticceria Pepe Sant’Egidio del Monte Albino (SA) Panettone alle albicocche Alfonso Pepe non ha bisogno di presentazioni. Primo campano ad avere realizzato un panettone artigianale nei primi anni ‘90, è un lievitista nato, vero appassionato di questa categoria, che gli ha valso numerosi premi e riconoscimenti (tra cui due volte miglior panettone d’Italia), grazie all’impegno ed alla caparbietà che lo contraddistinguono. In anni in cui la pasticceria artigianale di qualità non era di moda ed il consumatore non abituato, Pepe si è prodigato per cambiare la mentalità della clientela, educandola piano piano, con pazienza e costanza, alla qualità delle sue creazioni. Pioniere del panettone made in Sud, che sempre più miete consensi, Alfonso Pepe afferma che il suo segreto sta nella lievitazione (36 ore) e negli ingredienti (tutti italiani tranne l’uvetta australiana e la vaniglia del Madagascar) di eccellente qualità. Tra le tante varianti, proponiamo quello alle albicocche del Vesuvio, a testimoniare, come per altri suoi lievitati, la grande attenzione per il territorio. Ammaliante è il colore del tuorlo dell’impasto, con una alveolatura ben strutturata. La consistenza è sofficissima e lieve, denotando una cottura perfetta. Il profumo è inebriante ed il gusto di una rotondità senza precedenti. E’ ricco e sontuoso eppure equili-

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Pasticceria Tabiano - Tabiano (PR) Focaccia ai grani antichi Claudio Gatti ha “inventato” da anni un panettone atipico che ha chiamato focaccia, recuperando un dolce locale, rinnovandolo. Si chiama focaccia proprio perché contiene l’11,3% di grassi contro il 16% minimo del disciplinare del panettone. Pasticcere dalla grande sensibilità e focalizzato sulla salute e sul benessere fisico, Gatti investe molto sulla ricerca degli ingredienti utilizzati come gli zuccheri non raffinati, che sviluppano un picco glicemico inferiore, piuttosto che sulle farine integrali macinate a pietra, sul biologico e sul “light”. Leggerezza e digeribilità sono quindi i suoi punti di forza. Allo stesso tempo è un promotore del suo territorio ed è incessantemente proteso all’innovazione. Questa focaccia lievitata 36 ore non è che un esempio. Realizzata con i grani antichi coltivati e raccolti all’interno della Food Valley: orzo ed il grano del miracolo, che vengono poi tostati ed uniti al cioccolato bianco. Pur non presentando un particolare appeal estetico, questo prodotto si differenzia per la particolare sofficità e leggerezza. All’assaggio è goloso, un tripudio di sensazioni cremose e decise, che mettono

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in evidenza il gusto del cioccolato e della tostatura dei grani. Uno sciroppo leggermente alcolico ed aromatizzato all’orzo gli dà inoltre una spinta in più, regalando un profumo intenso ed un aroma persistente al palato.

Con Michele Turco 1909 torna il “pandoro delle origini”: a Verona un temporary shop in Piazzetta Monte In Piazzetta Monte a Verona, torna lo Store “Michele Turco 1909” a 110 anni dalla nascita del capostipite Giuseppe Turco, da cui appunto il brand 1909. La famiglia Turco, per oltre un secolo socia di Melegatti, ha aperto un negozio dove vendere il Pandoro, il Panettone e altri lievitati, con il nome “Michele Turco 1909”. La famiglia è legata al Pandoro, dolce di Verona, da quattro generazioni. La storia inizia ai primi del ‘900 quando Virgilio Turco, padre di Giuseppe e nipote acquisito di Domenico Melegatti raccoglie il testimone da quest’ultimo proseguendo e sviluppando l’attività dolciaria. Michele Turco, nipote di Virgilio, per più di quarant’anni in Melegatti, insieme ai figli Giuliomaria e Melania, ha lanciato la nuova proposta con il marchio 1909. Il punto vendita si trova nel cuore di Verona, in Piazzetta Monte e il sito produttivo ad Illasi. I prodotti a marchio “Michele Turco 1909” non si trovano nella Grande Distribuzione: “Il primo prodotto fu sfornato un anno fa – racconta il figlio di Michele Turco, Giuliomaria -, tra Pandoro, Panettone e Colomba, produciamo diecimila pezzi. Una quantità limitata, indirizzata ai canali retail e horeca. Un prodotto che si colloca su fascia media. Questo è il primo nostro punto vendita, l’idea sarebbe di aprirne altri nelle maggiori città italiane ed europee.” Lievito madre, burro, farina, uova, acqua e zucchero: “l’è proprio un pan de oro” esclamò Domenico Melegatti lo vide la prima volta uscire dal forno: “Nostro padre, mette una cura maniacale nella ricerca della qualità massima degli ingredienti – prosegue Giuliomaria -, oggi non produciamo solo prodotti da ricorrenza ma anche altre referenze per ridurre la stagionalità della produzione. Un anno fa, col patatrac definitivo di Melegatti, è stato come perdere un figlio per noi. Con questo progetto ne è nato un altro”.

Tiri 1957 – Acerenza (PZ) Panettone tradizionale Vincenzo Tiri è figlio d’arte e conduce la pasticceria di famiglia giunta ormai alla terza generazione, specializzata nella produzione di panettoni, pandori e colombe. Schivo e riservato, Tiri riversa tutto il suo entusiasmo ed il suo innato talento nella creazione dei suoi lievitati, avendo respirato i profumi della pasticceria fin da piccolissimo. Premiato ben cinque volte come miglior panettone d’Italia, risulta essere il pasticcere che ha ricevuto più riconoscimenti. Dopo la formazione ricevuta da nonno Vincenzo e papà Michele (suoi grandi maestri), Tiri approfondisce i suoi studi oltre che in Italia, anche in Francia ed in Giappone. Il suo segreto sta nella lavorazione a tre impasti (72 ore di lievitazione) concetto cardine della sua filosofia. Il fiore all’occhiello di tutta la produzione è il panettone tradizionale, che è anche il più premiato in assoluto. Partiamo dall’intenso profumo che emana e che evoca subito burro, zucchero e vaniglia. Il colore dell’impasto è di un colore giallo vivo, quasi fluorescente e l’alveolatura perfetta. L’uvetta australiana utilizzata è carnosa e la scorza d’arancia staccia lucana dolce e morbida. Inoltre è molto soffice, con lo strappo netto e preciso, come deve essere. All’assaggio è una sinfonia per il palato, rivelando una pulizia esemplare sul finale. Un capolavoro.

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Consorzio Tutela Formaggio Asiago: raddoppiata la produzione in 40 anni

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l Consorzio Tutela Formaggio Asiago festeggia quarant’anni di crescita e successi del suo impegno nella promozione, tutela e promozione dell’unicità di Asiago DOP, quarta specialità di latte vaccino italiana, riconosciuta ed apprezzata in tutto il mondo. In quarant’anni, la produzione di Asiago DOP è quasi raddoppiata arrivando alle odierne 1.582.108 forme. Un risultato frutto del lavoro compiuto dal Consorzio Tutela Formaggio Asiago per diffondere e tutelare, a partire dal 1979, il prodotto in Italia e nel resto del mondo, premiato ora dalla presenza di Asiago DOP in oltre cinquanta paesi, con un fatturato generato solo dall’export di oltre 10 milioni di euro e attività in mercati in grande sviluppo come il Giappone, la Cina e il Messico. Allo stesso tempo, Il Consorzio ha sempre agito in maniera proattiva nell’ambito della tutela internazionale sia attraverso la registrazione del marchio che opponendosi fermamente ad ogni tentativo di usurpazione del valore e significato della DOP.

nianze di questa lavorazione a partire dalla presenza di alcuni colini con fori che servivano per la separazione del siero dal formaggio”. Il Consorzio di Tutela, in questi 40 anni d’attività, ha puntato anche sull’innovazione, nel pieno rispetto della tradizione, con scelte che hanno spesso anticipato lo sviluppo del mercato come, ad esempio, l’analisi sensoriale, a ulteriore garanzia di qualità del prodotto. Nel 2006, il formaggio Asiago DOP è stata la prima DOP europea ad introdurre la tipologia “Prodotto della Montagna”, istituita per tutelare il delicato territorio montano, nonché mantenere intatta la tradizione nella culla millenaria del formaggio Asiago DOP. Un impegno che ha puntato, contemporaneamente, ad una maggiore differenziazione con eccellenze assolute come l’Asiago DOP Stravecchio presidio Slow Food. “Siamo orgogliosi del percorso realizzato dell’Asiago DOP, diventato determinante volano per l’economia del territorio e ambasciatore dell’alta qualità casearia italiana nel mondo - afferma il Presidente del Consorzio Tutela Formaggio Asiago, Fiorenzo Rigoni. - Ora puntiamo a rafforzare la distintività della produzione e a proseguire nella presenza internazionale, passo importante per le sfide di domani.”

Le aziende associate al Consorzio sono oggi 45, di cui 39 di produzione e 6 di stagionatura e lavorano quasi 194.000 tonnellate di latte all’anno per produrre 21.000 tonnellate di Asiago DOP la cui origine è considerare tra le più antiche al mondo. “Riteniamo che la lavorazione del formaggio, nelle zone dell’attuale Altopiano di Asiago e dei 7 Comuni, sia da datare intorno a cinquemila anni prima di Cristo - afferma Armando De Guio, professore di “Archeologia del territorio” del dipartimento dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Padova. -- Un’evidenza che mostrerebbe l’importanza millenaria di questi territori per l’arte casearia. A conferma di ciò, intorno al 1200 avanti Cristo, abbiamo già nutrite testimo-

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Citroen C5 Aircross Un SUV con tanta tecnologia

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a Citroen C5 Aircross l’abbiamo provata in città e in autostrada. Le sorprese sono state tante. Colpisce subito il design dalla forte personalità e poi l’abitabilità, sembra fatta apposta per la famiglia. A bordo non manca certo lo spazio con i sedili posteriori individuali, reclinabili e scorrevoli fino a 15 centimetri, con la possibilità di modulare così lo spazio sia all’interno dell’abitacolo che per il bagagliaio, in base all’esigenza del momento. Il volume del bagagliaio è di 580 litri, ma può arrivare a 1630 litri, con i sedili della seconda fila tutti ribaltati. Molto comodi i sedili anteriori, per non parlare di quelli posteriori, parliamo di 3 posti veri, comodi, che permettono ai passeggeri di trascorrere il tempo in auto in assoluto relax. Non mancano numerosi vani portaoggetti dove poter riporre bottiglie d’acqua, cellulari e molto altro. Guidarla in città, si dimostra maneggevole e pratica. Poi c’è la tecnologia con il display digitale per le informazioni ed il touch pad da 8” per gestire il sistema di infotainment, con la funzione Mirror Screen per poter utilizzare Apple CarPlay e Android Auto, replicando così il proprio smartphone sullo schermo e potendo guidare senza distrazioni. C’è anche la retrocamera per il parcheggio. Sotto al cofano della Citroen C5Aircross ci sono 180 CV che fanno correre il 1.6 a benzina. E’ un motore PureTech che soddisfa le restringenti norme Euro 6d-Temp sulle emissioni, grazie all’introduzione del filtro anti-particolato anche sulle motorizzazioni a iniezione diretta. Nonostante la mole, 4.500 mm lunghezza x 1.969 mm larghezza x 1.689 mm altezza, il SUV francese è una vettura brillante e fluida con un ottima ripresa che aiuta ad es-

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sere sicuri nei sorpassi. Ottimo il cambio automatico EAT8, ad otto rapporti, comodissimo e preciso in città e alle velocità più blande, dove non ha mai sbagliato un rapporto o tirato inutilmente le marce consentendo, così, un’andatura omogenea e senza strappi. Nessuna vibrazione sia in città o quando ci si lancia in autostrada. I consumi sono contenuti: consumo medio di 6.0 l/100 km in un percorso urbano, 5.0 l/100 km in un percorso extraurbano e 7 l/100 km nel ciclo misto. Mettersi al volante della Citroen C5 Aircross e guidarla, è un piacere. Silenziosa, sobria, confortevole, sicura e soprattutto bella fuori con un look moderatamente aggressivo che nella tinta bianca si sposa egregiamente. Il posto di guida è ok e si ha tutto a disposizione, in un abitacolo molto moderno e tecnologico. Per quanto riguarda il capitolo emissioni di CO2 su questo motore sono comprese tra 129 e 132 g/km in base alle dimensioni degli pneumatici. Il Nuovo SUV Citroën C5 Aircross con motore a benzina PureTech 180 S&S EAT8 è disponibile negli allestimenti Feel e Shine ad un prezzo, chiavi in mano, rispettivamente di 33.200 euro e di 35.700 euro.

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Cantina Fondo Antico Nato Bello mio, uno zibibbo secco

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ondo Antico è una cantina dove si respira ancora un profondo legame col territorio e con le tradizioni vinicole siciliane. L’azienda è ubicata in aperta campagna, tra Trapani e Marsala, dalla cui cantina escono circa 400.000 bottiglie di vino bianco e rosso di alta qualità, vendute nel canale horeca e nei mercati esteri. Il patron dell’Azienda, Giuseppe Polizzotti ci accoglie all’ombra del porticato, dove una leggera brezza marina ci allevia dal caldo, offrendoci un fresco autoctono Grillo Parlante dal colore giallo paglierino e un profumo delicato, gradevole, con una equilibrata acidità e un sapore armonico e pieno. Ci accomodiamo per parlare dell’Azienda, dei vini e della vendemmia. Come sta di salute Fondo Antico? “Sta bene, stiamo puntando sull’estero dove stiamo ottenendo dei buoni riscontri, quest’anno ci stiamo dedicando agli Stati Uniti e al Canada per rafforzare la nostra presenza sul territorio. I nostri vini, in particolar modo, il Grillo Parlante e il Nero d’Avola sono tra i più richiesti”. Il mercato che le da più soddisfazione? “ E’ la Germania, dove apprezzano tutti i nostri vini”. Parliamo della vendemmia di quest’anno che sta per finire: “Si prevede un uva di primissima qualità purtroppo con un calo di produzione dovuto ai fattori climatici che ci sono stati nel periodo della fioritura e per quanto riguarda la produzione pensiamo che il calo si aggirerà attorno al 20%”. Questo significherà un aumento dei prezzi? “Non dovrebbero esserci perché noi usiamo soltanto le nostre uve, ma poi il prezzo lo fa il mercato, ma penso che ci sarà una stabilizzazione dei prezzi”. Dalla cantina quante tipologie di vino escono? “ Quattro vini bianchi, due rosati e tre di rosso che vengono venduti per il 35% all’estero, il resto in Italia”. E ora parliamo dell’ultimo vino dell’azienda con l’enologa Lorenza Scianna, che è un po la colonna portante dell’azienda. In questi anni ha porta-

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to avanti ricerche e sperimentazioni che poi si sono tramutate spesso in grandi vini, come l’ultimo, Lo Zibibbo. Come è nato? “E’ un vino nato da una ricerca tra le varietà più antiche presenti in Sicilia e il trend di mercato che ci ha portato alla scelta di vini aromatici per l’aperitivo o per diverse occasioni di consumo e questo ci ha guidati verso questa preferenza di varietà aromatica. Quindi abbiamo deciso per lo Zibibbo, fa parte dei nostri vigneti, sono 80 ettari, che tradizionalmente viene usato nella vinificazione del passito, di fare un vino secco e piacevole e che io ho interpretato come un benvenuto in Sicilia. Ha un grado alcolico moderato del 12,50°, un vino che ha i profumi di zagara, viene raccolto con una maturazione accennata che regala freschezza con sentori di fiori. E’ un vino giovane per giovani, non è impegnativo ma si fa bere con piacevolezza. L’abbiamo chiamato Bello Mio, va bene per l’antipasto e si abbina gradevolmente con pesce o formaggi stagionati”. (Enzo Russo)

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Citroen Spacetourer, l’inaspettata e piacevole seconda vita del van

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a prima domanda è scontata, è quella che si fanno tutti: per chi è questa macchina? Un van otto posti di derivazione commerciale, a chi può mai servire? Adesso che ci siamo fatti la domanda, proviamo a salire a bordo e facciamo la conoscenza con questa vettura. Altezza da terra non impossibile ( massimo fissato a 190 cm, così da poter entrare in tutti i parcheggi coperti delle città) è quella di un Suv, con tutti i vantaggi del caso dati da un controllo della strada che conforta; plancia e quadro comandi molto chiari ed intuitivi spazio interno e sopra la testa adeguato; abitacolo pieno di luce. L’idea del van commerciale è già scomparsa. Poi, basta iniziare a far muovere la Spacetourer. Inserendo la retromarcia il visore in plancia ci dà una perfetta raffigurazione dello spazio che abbiamo sul posteriore, gli ingombri laterali ed i punti di possibile contatto. Il passaggio dalla marcia indietro alla marcia avanti è semplice e veloce, una comoda rotazione della ghiera, senza allontanare troppo la mano dal volante, e questa Citroen inizia a divorare la strada. Il motore, un 2 litri diesel da 180 cavalli, 144 grammi/ km di emissioni, non si fa sentire; l’accelerazione è potente; l’elasticità del motore toglie preoccupazione ed ansia nel traffico intenso della città; i sedici sistemi di assistenza alla guida (dall’angolo cieco al supporto in partenza in salita) e persino lo start-andstop riescono a diventare una piacevole consuetudine su cui misurare le proprie capacità di reazione. In autostrada la guida è leggera e mai stancante, l’unico rischio è quello di non prestare troppa attenzione agli allarmi del Connect Nav, lasciarsi prendere la mano e scavallare senza accorgersene i limiti

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di velocità. Stabile e ben attaccata al terreno macina chilometri senza affaticare chi guida a chi si gode le tre comode fila di sedili. Ehi, ma così è una vettura da Ncc…ok, usciamo dall’autostrada ed affrontiamo una strada fatta per dare il piacere di guidare. Entriamo ed usciamo dal Chianti classico, salendo e scendendo la collina attorno a Greve. Se fino ad adesso non avete prestato molta attenzione alle palette del cambio posizionate dietro al volante, beh…adesso è il caso di iniziare ad impratichirsi un po’. Perché con quelle palette, anticipando la risposta – di per sé già molto reattiva del nuovo ed efficientissimo cambio EAT a 8 rapporti – la guida può diventare davvero divertente: lo Spacetourer entra nelle curve con precisione e decisione, le sospensioni indipendenti sulle quattro ruote mantengono sempre la vettura ancorata a terra, e la lunghezza non si fa sentire. Si entra e si esce da un tornante in un soffio. Rollio a zero, per il massimo comfort dei passeggeri. Ripresa immediata nei tornanti in salita, ottimo il raggio di sterzata, grande sensazione di sicurezza nei tratti in discesa. Per chi guida il divertimento è assicurato. Quindi, per chi è questa macchina? A parte che le definizioni finiscono sempre per risultare sempre strette, lo Spacetourer va bene a chi professionalmente deve condurre passeggeri in comodità, ma anche a famiglie – non necessariamente numerose, del resto dove trovarle? – e non come veicolo ricreativo, ma come valida soluzione per una vettura di tutti i giorni, ideale per portare i ragazzi a scuola e poi in palestra, infilandoci in mezzo lo shopping o le borse del lavoro. Senza rinunciare, quando serve, a quella brillantezza ideale per districarsi al meglio nel traffico.

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A Partinico l’eccellenza gastronomiche italiana: “inchino” a Maria Cristina

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uando le eccellenze del Nord e del Sud s’incontrano a tavola, riescono a coniugare i sapori e i profumi delle tradizioni enogastronomiche del nostro Paese. Stiamo parlando di una delle più importanti pasticcerie di Palermo, Salvo Albicocco, e delle bollicine Franciacorta Le Marchesine, i cui vini sono conosciuti in tutto il mondo. L’occasione dell’incontro sono stati i 60 anni di Maria Cristina che ha festeggiato nella sua location di campagna a Partinico (Pa). Una serata, dove amici e parenti hanno trascorso alcune ore conviviali e in allegria, gustato un menù ricco di piatti della tradizione culinaria siciliana, circa venti portate, realizzate con professionalità dal catering Il Ghiottone Raffinato di Palermo, che ha preparato piatti di alta cucina siciliana. Il finale, con i fuochi d’artificio, è stata la grande torta preparata per cento persone dal maestro pasticcere Salvo Albicocco, un artista che ha saputo dare quel toc-

Direttore responsabile: Beppe Giuliano email:boss@giornaleadige.it mailto:boss@giornaleadige.it telefono +39 045 591342 Vicedirettore: Nicoletta Fattori email: fattori@giornaleadige.it mailto:fattori@giornaleadige.it telefono +39 045 591342 Redazione e Degustazioni (dove inviare i Campioni): Via Luigi Negrelli, nr 28 – 37138 Verona tel. fax. 045.591342 email: desk@giornaleadige,it Enzo Russo Caporedattore Enogastronomia email: desk@giornaleadige.it mailto: desk@giornaleadige.it Hanno collaborato a questo numero: Alessandra Piubello, Elisabetta Tosi, Carlo Rossi, Giulio Bendfeldt, Enzo Russo, Daniela Scaccabarozzi

co di magia alla torta, molto ben preparata, delicata, dandole sapori unici. Il tutto è stato annaffiato da due bollicine della cantina Le Marchesine di Loris Biatta, il Franciacorta Brut millesimato doc e dal Franciacorta Brut rosè Millesimato che nasce dallo Chardonnay e Pinot nero. Due importanti vini che hanno accompagnato la serata, finita con musica e danze.

Impaginazione: Delmiglio email: redazione@delmiglio.it mailto: redazione@delmiglio.it telefono: 045 6931457 Copertina: Archivio La Versa Concessionaria per la pubblicità: Fantasia Edutainment SRLS-Verona email: fantasiaedutainment@pec.it mailto:fantasiaedutainment@pec.it CF/P.IVA 04415310236 Codice unico destinatario: M5UXCR1 Stampa: Tipografia Milani, Verona

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Distribuzione per le edicole Sodip Spa, via Bettola, 18 20092 Cinisello Balsamo Prezzo della rivista: 5 euro Arretrati: 8 euro + spese di spedizione Per informazioni: tel. 045.591342 Editore: Fantasia Edutainment Srls, via Leone Pancaldo 32, 37138 Verona Iscr. Roc n. 12207 del 02/XI/2004 Registrazione Tribunale di Verona n. 1597 del 14/05/2004


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del

Vino

Per chi ama il vino e per chi vuole conoscerlo - Anno IV - n.7 - Euro 5 - dicembre 2019 T he I talian W ine J ournal , anno IV numero 7, dicembre 2019 – L a V ersa - C hallenge E uposia , i vincitori 2019 - P anettoni artigianali - C ava - D olcetto - L ambrusco di M odena e R eggiano - P rosciutto di C arpegna

La Versa, rinascita in Oltrepò

Paul Chollet e Camel Valley vincono il Challenge Euposia Ecco i migliori panettoni artigianali d’Italia

www.italianwinejournal.com Vigneto Veneto, Prosecco e Pinot grigio dominano - Ribera del Duero, arriva l’Albilla Mayor – Cava, arriva la zonazione – Orvieto DOC, così torna un territorio antico – Lambrusco di Modena - Dolcetto, l’eclettico – Lambrusco Reggiano – Cantina di Soave, bilancio record – Vallepicciola – Prosciutto di Carpegna, dolcezza in cucina BIMESTRALE - “Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 NE/VR


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