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Attualità
LE POTENZIALITÀ DELLA DIAGNOSTICA OLFATTIVA CANINA SONO OGGETTO DI MOLTI STUDI IN DIVERSI CAMPI E OGGI SE NE VALUTANO LE APPLICAZIONI ANCHE NELLA LOTTA ALLA PANDEMIA
IL FIUTO ANTI COVID-19
Dimitris Vetsikas - Pixabay
Alessio Arbuatti Grazie a 300 milioni di specifici recettori, è ancora limitato a specifici settori e la capacità olfattoria canina è fino a alcune potenzialità olfattive sono an100.000 volte superiore rispetto a cora poco indagate, o semplicemente quella umana. Questa dote da sempre non ancora diffuse su larga scala. In trova nella caccia la sua principale medicina umana e in medicina veteapplicazione sul campo, ma è solo a rinaria l’olfatto del medico è ancora partire dal XX secolo che si sono uno dei sensi utilizzati durante l’esame potuti formare cani utili per la ricerca clinico per indirizzare verso la diagnosi di composti di diversa natura, grazie di specifiche condizioni patologiche. agli studi scientifici sull’anatomia, sulla Basti pensare solo all’odore delle ganfisiologia dell’olfatto e sull’etologia ca- grene o della chetoacidosi diabetica. nina. Tuttavia l’impiego di questi cani Ma, a fronte di un senso dell’olfatto
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canino ben più sviluppato del nostro, quali sono allora le potenziali applicazioni in campo medico?
L’acronimo inglese VOCs indica i composti organici volatili, molecole di composizione chimica variabile che sono prodotte dall’organismo e contengono informazioni sui processi metabolici in atto nel corpo. Questi composti o biomarker sono dapprima rilasciati nel circolo sanguigno per poi essere eliminati attraverso il sudore, il sebo, le urine, il respiro o per via fecale. Numerose alterazioni organiche e patologie comportano il rilascio di specifiche molecole sotto forma di composti volatili, differenti in relazione alla condizione sottostante. Sono proprio questi il target dei cani utilizzati negli studi di diagnostica olfattiva medica e la bibliografia sulla tematica è particolarmente ricca.La bibliografia scientifica include più di 2600 studi sulla capacità dei cani appositamente addestrati nel riconoscere le forme neoplastiche annusando pazienti o campioni di varia origine. Pur essendo una teoria che ha radici lontane che arrivano a fine ’800, è solo a partire dal 2010 che sono stati condotti numerosi studi clinici rivolti verso la capacità dei cani nel riconoscimento di melanomi, tumori prostatici, polmonari, epatici e colon-rettali. Sempre nell’ambito delle malattie non infettive, sono stati formati esemplari capaci di riconoscere in anticipo le modificazioni glicemiche nei proprietari diabetici e i segnali di prossime crisi epilettiche nelle persone affette da tale patologia.
Studi sperimentali per lo screening del Covid-19
Quelle appena descritte sono patologie di origine non infettiva, diversi studi hanno però dimostrato anche la possibilità di poter addestrare i cani per il riconoscimento di persone colpite da alcune patologie batteriche e persino parassitarie come la malaria. Ma i virus? Questi patogeni, a differenza di batteri e parassiti, sono solo porzioni di materiale genetico incapaci di riprodursi se non penetrando nella cellula e sfruttandola. Nel novembre 2020 l’eminente rivista scientifica Nature ha dedicato un articolo ad alcune delle principali ricerche scientifiche preliminari nate per indagare se fosse stato possibile utilizzare i cani anche per il riconoscimento dei campioni positivi e negativi al Covid-19 (Fig. 1). Un’équipe mista della Facoltà di Medicina Veterinaria di Hannover e di quella di Medicina di Amburgo ha addestrato per una settimana otto esemplari utilizzando campioni inattivati umani di origine respiratoria, in precedenza analizzati tramite Real time PCR per stabilirne la positività o negatività laboratoristica. I risultati hanno dimostrato una capacità media del 94% (+/3,4%) nel riconoscere lo stato sanitario dei campioni. Nello specifico, è stata ottenuta l’individuazione corretta di 157 campioni positivi, di 792 campioni negativi a fronte di solo 33 indicazioni di falsi positivi e 30 di falsi negativi. Nella discriminazione tra campioni infetti e non infetti i cani hanno dimostrato una sensibilità diagnostica dell’82% e una specificità del 96,35%. Un altro studio scientifico ha visto la cooperazione tra la Facoltà di Medicina Veterinaria di Alfort in Francia, l’Università della Corsica, l’Università Franco-Libanese di Beirut, un nutrito gruppo di ospedali, gendarmeria e vigili del fuoco francesi con le rispettive unità cinofile. Per lo studio sono stati utilizzati 18 cani quasi tutti di razza Pastore Belga Malinois (Fig. 2) appartenenti per lo più alle unità dei vigili del fuoco e provenienti dalle sezioni di ricerca in superficie, ricerca di esplosivo e ricerca di neoplasia colon rettale. I 198 campioni di sudore ascellare provenienti da pazienti positivi e negativi sono stati presentati attraverso un sistema posto in serie costituito da specifici coni olfattivi. Al termine del periodo di training tre dei cani non si sono dimostrati idonei per questa attività mentre otto necessitavano di un maggior tempo di formazione. I risultati ottenuti dai sette esemplari che hanno completato tutto il percorso di formazione mostrano una capacità di riconoscimento corretto tra l’84% e il 100%. In aggiunta due campioni forniti da un ospedale come negativi sono stati riconosciuti al contrario come positivi
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da due cani. Informato il laboratorio, a seguito di un’ulteriore PCR i test si sono dimostrati positivi. Ulteriori studi che stanno iniziando a confermare le potenzialità canine sono in corso presso altre unità di ricerca come quella della Penn Vet Working Dog Center, dell’University of Pennsylvania a Philadelphia. Qui l’équipe della Dr.ssa Cynthia Otto sta conducendo uno studio utilizzando campioni di urina e di sudore provenienti da pazienti positivi e negativi.
Prospettive di un eventuale impiego dei cani
Deve essere ben chiaro che in un contesto di pandemia mondiale in corso, qualora ulteriori e più approfonditi studi su larga scala dovessero confermare le capacità canine nel riconoscere lo stato sanitario dei campioni, l’utilizzo attivo sul campo non porterebbe alla sostituzione delle moderne e sensibili tecniche diagnostiche di laboratorio (Fig. 3). Speciali unità cinofile potrebbero però divenire un utile strumento a supporto della diagnostica standard in quei particolari contesti e ambienti che richiedono degli screening preliminari. Si potrebbe pensare al possibile utilizzo in quei luoghi dove si hanno movimentazioni di persone, entrate a scaglioni, o laddove il tempo diviene un fattore limitante. Stazioni, imbarchi, uffici potrebbero essere siti candidati e idonei per le prime prove riconosciute su larga scala.
In alcuni aeroporti in Libano e Finlandia si stanno attuando degli studi sulla tematica. I cani potrebbero per esempio affiancare quei sistemi di diagnostici di screening rapido, come i tamponi rapidi. In riferimento all’ipotetico utilizzo attivo sul campo, le unità cinofile potrebbero divenire molto utili in quelle nazioni che hanno una minor dotazione laboratoristica. Allo stesso tempo bisogna considerare che sarebbe necessario un numero ben calcolato di esemplari idonei e formati per ogni sito, così come di personale umano d’accompagnamento. Questo aspetto è importante poiché le performance dei cani diminuiscono con il passare delle ore e dunque, come per tutti gli esemplari che si occupano di ricerca, sono fondamentali periodiche pause. Come emerge inoltre dalla lettura dei lavori scientifici sui cani da diagnosi, vi sono numerosi altri aspetti non secondari da considerare, tra questi lo stato di salute del cane che deve essere sempre ottimale e la disponibilità di un ambiente chiuso per sottoporre i campioni al fiuto evitando così che alcuni composti vengano a disperdersi in ambienti aperti. Tra i diversi quesiti ancora da chiarire, alcuni ricercatori si chiedono giustamente se concomitanti patologie che affliggono le persone o modificazioni periodiche ormonali possano comportare errori di valutazione da parte dei cani. Tutto ciò premesso, al momento i dati disponibili, seppur incoraggianti, sono ancora pochi per poter sostenere appieno un impiego diretto delle unità cinofile sul campo. ●
UNA FORMAZIONE A TUTTO TONDO
I primi cani addestrati nel ri-
conoscere specifici composti 4
sono comparsi nel 1940 sui campi di battaglia del Nordafrica, facevano parte dell’esercito americano ed erano utilizzati nella ricerca delle mine. Oggi l’utilizzo di questi cani è maggiore e rivolto verso un’ampia gamma di composti e molecole di molteplice natura. Esplosivi, stupefacenti, liquidi infiammabili, denaro e armi da fuoco sono i settori più noti al grande pubblico (Fig. 4). Allo stesso modo i cani da valanga, quelli da ricerca in superficie e quelli da ricerca su macerie sono ampiamente utilizzati in vari scenari mondiali. Vi sono poi ulteriori campi d’applicazione, seppur molto meno noti, che vedono protagonisti cani addestrati nello scovare esemplari appartenenti a specie animali in via d’estinzione commercializzati illegalmente, ma anche nel riconoscere la presenza di muffe, di insetti infestanti, delle termiti che possono minare la stabilità delle abitazioni e persino di reperti archeologici trafficati illegalmente. Dal 2018, presso il Museum of Fine Art di Boston, è in servizio Tyler, un esemplare di Weimaraner addestrato nel riconoscere l’odore di quei parassiti e insetti che possono danneggiare le preziose tele. In tal modo si rende possibile l’intervento precoce dei restauratori.
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