LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO ESTATE
2015
Numero
10
ICONE
SORRENTINO GARRONE MORETTI I nuovi classici
SMART TV
L’EVOLUZIONE DELLA SPECIE
Come i nuovi player scalzeranno i “dinosauri” televisivi
SOUNDTRACK
MARCO FASOLO, JENNIFER GENTLE “Niente è più potente della simbiosi tra immagini e musica”
TUTTO IL POTERE AL POPOLO (DEL WEB) Il nuovo cinema nasce anche dalla rete, come ci racconta Claudio Di Biagio
S
CI HANNO UCCISO I NONNI FORMIA FILM FESTIVAL
RECCHIONI
PURPLE CARNIVAL
SOMMARIO
MARIO&THECITY
Pubblicazione edita dall’associazione culturale Indie per cui Via Francesco Ferraironi, 49 L7 (00177) Roma www.fabriqueducinema.it
CLAUDIO DI BIAGIO
IO TRA 20 ANNI
Registrazione tribunale di Roma n. 177 del 10 luglio 2013 DIRETTORE RESPONSABILE Ilaria Ravarino SUPERVISOR Luigi Pinto DIRETTORE ARTISTICO Davide Manca GRAFICA E IMPAGINAZIONE Giovanni Morelli DIRETTORE EDITORIALE Elena Mazzocchi STRATEGIC MANAGER Tommaso Agnese PARTNER ISTITUZIONALI Sonia Serafini PHOTOEDITOR Francesca Fago MARKETING Federica Remotti EVENTI Isaura Costa Consuelo Madrigali Simona Mariani AMMINISTRAZIONE Katia Folco UFFICIO STAMPA Patrizia Cafiero & Partners in collaborazione con Sara Battelli PUBBLICITÀ APS Advertising srl Via Tor de Schiavi, 355, 00171 ROMA info@apsadvertising.it STAMPA Press Up s.r.l. Via La Spezia, 118/C 00055 Ladispoli (RM) DISTRIBUZIONE SAC WEB MASTER Nuts&Seeds Finito di stampare nel mese di giugno 2015
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO ESTATE
2015
Numero
10
ICONE
SORRENTINO GARRONE MORETTI I nuovi classici
SMART TV
L’EVOLUZIONE DELLA SPECIE
Come i nuovi player scalzeranno i “dinosauri” televisivi
SOUNDTRACK
MARCO FASOLO, JENNIFER GENTLE “Niente è più potente della simbiosi tra immagini e musica”
TUTTO IL POTERE AL POPOLO (DEL WEB) Il nuovo cinema nasce anche dalla rete, come ci racconta Claudio Di Biagio
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IN COPERTINA Claudio di Biagio
4 EDITORIALE 6 RADIO FESTIVAL 8 COMICS/1 10 COMICS/2 11 RADIO 12 COVER STORY 20 NAZIONE WEB 22 FUTURES 26 SPECIALE MESTIERI 32 DOSSIER 42 DOSSIER ATTORI SOUNDTRACK 48 WORKSHOP 50 MACRO 54 LA DEA DEL CINEMA 56 COSTUMING 58 MAKING OF 60 EFFETTI SPECIALI 62 FUMETTO 66 DIARIO 68 DOVE 69
16 OPERA PRIMA CLORO ACQUA E PIETRA
ENECE
CASTING DIRECTOR
LA NUOVA TV È SMART
HIT AND RUN
MARCO FASOLO
WEBSERIE E NUOVI MERCATI
LA PISTOLA FUMANTE
HEBE
501ST LEGION
36 ICONE SORRENTINO GARRONE MORETTI TRE X UNA (ICONA)
BITE
FANTASTICHERIE DI UN PASSEGGIATORE...
LA POLITIQUE DES AUTEURS
GLI EVENTI DI FABRIQUE
COME E DOVE FABRIQUE
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E EDITORIALE
di ILARIA RAVARINO foto ROBERTA KRASNIG
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Oggi, apriti cielo, qualcosa sta cambiando: i vivi hanno cominciato a parlare più forte dei morti e i giovani li stanno ascoltando. Ci volevano tre registi così, con le loro storie (quelle personali, quelle sullo schermo), capaci di lanciare un gancio alle generazioni più giovani senza dimenticare quelle che li hanno preceduti. Registi che parlano davvero a tutti, che sanno ascoltare ciò che accade loro intorno restituendolo in una lingua leggibile e potente: quella del cinema, delle immagini, del sentimento.
Adesso tocca a noi.
Ma se Fabrique ha scelto tre come Moretti, Garrone e Sorrentino, è anche perché sono proprio loro le icone che hanno preso il posto, nell’immaginario di chi fa cinema oggi, dei grandi di ieri. Fino a dieci anni fa, citare un maestro del cinema italiano significava aprire il Morandini alla “F” di Fellini. O snocciolare, con scolastica diligenza, le cinquanta sfumature del neorealismo italiano, un Pasolini a piacere, un Antonioni, un Germi, un mai abbastanza rimpianto Monicelli. Dopo di loro, il tabù.
i fratelli maggiori hanno ucciso i nonni.
Moretti, Garrone, Sorrentino. Sono le icone che Fabrique ha scelto per costruire, su questo numero, un ponte ideale tra il cinema di oggi e quello di domani. Tre storie di successo non scontato, ma coltivato e fortissimamente voluto a dispetto di caste, gufi, invidiosi. Storie come quella di Lamberto Sanfelice, Opera Prima di questo numero, esordiente con un bel film, Cloro, costruito dopo anni di studi, lavoro e sacrifici. Un film arrivato in Italia in terza battuta: prima il Sundance, poi la Berlinale, infine noi.
Noi ci siamo arrivati un po’ tardi. E non abbiamo più scuse:
C’è un regista, ha scritto una sceneggiatura. Ma è uno talmente fuori “dal giro” che non riesce a trovare nessuno che gliela legga. Figuriamoci un produttore. Quindi vende la cosa più preziosa che ha, una collezione di francobolli (abbiate pazienza, siamo nei primi Settanta), e il film se lo gira da solo. Ce n’è un altro, invece, che in curriculum ha più premi che diplomi. Piace un casino alla critica, ma il pubblico è diffidente e i produttori, le banche, gli sbattono la porta in faccia. Quindi guarda altrove. E gira in inglese, coprodotto in Francia. L’ultimo è un enfant prodige, un talento nato. Gira film, il pubblico lo adora, la critica pure. Ma ai festival vince poco, niente. Troppo giovane forse, troppo spericolato. Quindi? Se ne frega. Tiene stretti quelli che credono in lui, addestra il suo talento. E li porta molto, ma molto, lontano.
Per diventare adulti, diceva Sigmund Freud, bisogna liberarsi dei padri.
CI HANNO UCCISO I NONNI
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- Radio Festival -
FORMIA FILM FESTIVAL La prima edizione del Formia Film Festival è stata un successo. Raccontiamo insieme a Daniele Urciuolo, giovane ideatore e direttore del festival, com’è nato e quali sono i suoi obiettivi.
di SONIA SERAFINI
La giuria: Adelmo Togliani, Cristina Puccinelli, Lorenzo Aloi, miglior attore per il corto Due giorni d’estate, Daniele Di Biasio e Daniele Urciuolo.
Come hai avuto l’idea di dar vita a un festival di corti in una città fuori dalle classiche “rotte del cinema”? Tutto è cominciato l’anno scorso, quando ero in concorso al festival di Catania con un cortometraggio da me prodotto dal titolo Yet, the best universe ever, per la regia di Edoardo Palma. Sono rimasto affascinato dalla realtà dei festival, che secondo me sono occasioni uniche per arricchire e condividere una passione comune come quella per il cinema. Ho coordinato delle rassegne cinematografiche sia a Roma sia a Milano, ma mai un vero e proprio festival. Così ho pensato organizzare dal 14 al 16 maggio un piccolo festival nella mia città d’origine, Formia, in provincia di Latina, a metà tra Roma e Napoli, che non ospita un festival da decenni nonostante sia stata in passato scenario di molti film italiani con attori come Alberto Sordi o Bud Spencer che hanno sempre ricordato con affetto i periodi di lavoro trascorsi a Formia. Inoltre la scomparsa prematura di un giovane sceneggiatore formiano con il quale collaboravo, Christian Repici, mi ha spinto ancor di più ad accelerare i tempi. Il festival è infatti dedicato a lui. In che modo la vostra offerta culturale si colloca rispetto agli altri festival di corti, che sono numerosi anche nel Lazio? Oltre alla visione dei cortometraggi in gara, abbiamo offerto una selezione di opere prime fuori concorso come Bolgia totale di Matteo Scifoni e Sarà un paese di Nicola Campiotti, cortometraggi fuori concorso come Non senza di me di Brando De Sica e Senza parole di Edoardo Palma, e una serie di incontri tematici su cineturismo, crowdfunding, nuove strategie di distribuzione, webserie. Senza dimenticare gli
ospiti di alto livello e una giuria tecnica di qualità, composta dall’attore e regista Adelmo Togliani, l’attrice Cristina Puccinelli, lo sceneggiatore e regista Daniele Di Biasio e il costumista Roberto Conforti. Quali obiettivi vi proponete di raggiungere? Abbiamo ottenuto un discreto risultato, ma l’obiettivo è quello di crescere ancora e migliorare l’offerta artistica regalando ai partecipanti la possibilità di vivere una esperienza da grande festival. Quest’anno è stato un piacevole esperimento, l’anno prossimo alzeremo l’asticella. Cannes e RIFF sono avvisati! Qual è l’idea-guida della vostra selezione di film? Diamo priorità alle opere prime di giovani autori e quest’anno sono molto soddisfatto di aver portato registi come Laura Bispuri, Nicola Campiotti, Matteo Scifoni, Edoardo Palma, Brando De Sica, tutti giovani, pieni di talento e “italianissimi”. Due parole sul premio Fabrique: come nasce questa collaborazione? Io apprezzo Fabrique perché ha la mia stessa “vision”, e cioè quella di sostenere il cinema giovane italiano. Ho incontrato la rivista la prima volta alla Mostra di Venezia due anni fa e ho letto con stupore delle coraggiose produzioni dei film di Roan Johnson e Ciro De Caro. È nato subito un feeling che si è rafforzato nel tempo, e alla prima occasione ho deciso che il media partner ideale per il mio festival doveva essere proprio Fabrique. Il premio Fabrique quest’anno è andato a Valentina Bellè, che abbiamo visto in molti film, da La vita oscena di Renato De Maria a Maraviglioso Boccaccio dei Taviani passando per La buca di Daniele Ciprì.
«QUEST’ANNO È STATO UN PIACEVOLE ESPERIMENTO, L’ANNO PROSSIMO ALZEREMO L’ASTICELLA. CANNES E RIFF SONO AVVISATI!».
Per info: www.formiafilmfestival.com 6
I FESTIVAL DA GIUGNO AD AGOSTO GIUGNO Biografilm Bologna dal 5 al 15 giugno Cinè giornate estive di cinema Riccione dal 30 giugno al 3 luglio Festival dei due Mondi Spoleto dal 26 giugno al 12 luglio Taormina Film Fest Taormina dal 13 al 20 giugno Pesaro Film Festival Pesaro dal 20 al 27 giugno LUGLIO Social World Film Festival Vico Equense dal 4 al 12 luglio International Shorts Film Festival Trieste dal 2 al 10 luglio Giffoni Film Fest Giffoni dal 17 al 26 luglio Ischia Film Fest Ischia dal 30 giugno al 7 luglio Figari Film Fest Golfo Aranci dal 30 giugno al 5 luglio AGOSTO Locarno Film Fest Locarno dal 5 al 15 agosto
- Comics/1 -
RECCHIONI
IL CAVALIERE
OSCURO RECCHIONI È UN AUTORE, SCENEGGIATORE, FUMETTISTA E OGGI UNA SORTA DI PRODUTTORE CHE SCOVA ALTRI ARTISTI, GLI SCAVA DENTRO L’ANIMA CREATIVA E TIRA FUORI QUANTO DI PIÙ BELLO HANNO DA DIRE. di PIERLUCA DI PASQUALE
L
ui forse non se n’è accorto, ma insieme a Leo Ortolani, Gipi e Zerocalcare è uno dei quattro giganti del fumetto attuale. Nella sede di Uno Studio in Rosso, il luogo che ha creato insieme ad altri sette sceneggiatori e fumettisti, Roberto ha la sua postazione al centro della sala e, al fianco della sua statuetta di The Dark Knight, a cui chiede spesso consiglio, controlla le sorti dello studio ma anche del futuro del fumetto italiano. È un cavaliere a sua volta perché sta contribuendo ad arginare l’erosione di cultura in Italia. L’edicola e le librerie hanno vissuto un periodo di crisi profonda. La rivoluzione che sta vivendo il fumetto però sta arrestando questa crisi e la nuova generazione di fumettisti sta costringendo a suon di vendite le librerie ad aprire un reparto comics. Recchioni è uno degli artefici di questo cambio di rotta. Emblematico quello che è successo da quando è diventato il responsabile editoriale di Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo creato da Tiziano Sclavi. È il secondo fumetto più venduto in Italia, ma nel momento in cui gli è stato chiesto di diventarne il curatore soffriva di una forte emorragia di lettori che andava arrestata.
Roberto Tiziano ha fatto il mio nome, io ci ho pensato molto perché la mole di lavoro e la responsabilità erano enormi, bisognava prendersi grossi rischi e fare scelte complicate. Ma sapevo di essere la persona giusta, perché non ho nessuno spirito di sopravvivenza. Se mi affidi una sfida rischiosa tendo ad accettarla perché non temo il fallimento, il fallimento ci può stare. È stato un lavoro molto faticoso in cui Recchioni ha dovuto innanzitutto, il primo anno, gestire e recuperare una serie di storie che erano già in magazzino. Mentre la seconda fase è stata molto ambiziosa, perché la sfida era rilanciare il personaggio agli occhi di lettori affezionati ma sempre in diminuzione. La sua capacità di rimanere fedele pur cambiando tutto è stato il segreto. R I suoi primi successori hanno tentato di codificarlo, ma l’hanno fermato nel tempo. Ora, per me Dylan non è un personaggio fermo, tradire Dylan non è dargli un cellulare, semmai mettere il personaggio in una condizione di non azione. Quindi riportare Dylan in uno stato sempre mutevole per me è nel pieno rispetto del personaggio. Il lettore nostalgico, che dire… la nostalgia non si può vincere del tutto. In realtà la battaglia è stata vinta. Oggi la perdita dei lettori è stata ar-
«Non riesco a pensare ad altro se non che il gesto che faccio deve essere significativo. Deve “riverberare”».
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Nella pagina accanto, la copertina di Ringo (Orfani), in questa pagina Dracula dei Maestri dell’orrore e le cover di Battaglia e Mater Morbi.
restata e la Bonelli sta iniziando ad acquistarne di nuovi. Tra i segreti anche quello di portare nelle storie la più stretta attualità. Così come Roberto fece da sceneggiatore per l’albo Mater Morbi, uscito nel gennaio 2010 ma scritto nel pieno caso Englaro. R Tiziano guardava la realtà e la raccontava attraverso i suoi occhi e la veicolava attraverso Dylan Dog. È quello che ho chiesto di fare a tutti gli sceneggiatori. Non tutti i mesi ci riusciremo, qualche volta ci sarà la storia di alleggerimento, però lo scopo è quello. Scrivere storie che risultino significative, se no è niente. Recchioni è onnipresente. Lui dice spesso che il fumetto, la letteratura e il cinema sono tre linguaggi ben distinti ma dietro c’è sempre la stessa cosa, scrivere. E lui scrive. Stanno arrivando tre romanzi per la Mondadori, il primo in uscita a ottobre. È in pre-produzione il primo lungometraggio di cui è autore. La sua serie Orfani, di cui sta preparando la quarta stagione oltre alle edizioni deluxe per la Bao Publishing, è pronta per diventare una serie tv. Praticamente ogni mese esce una novità a fumetti con la sua firma, da Battaglia ai prossimi I maestri dell’orrore, o come l’ultima nata The 4 Hoods, la prima serie per ragazzi della Sergio Bonelli Editore. R Il bello della scrittura è che la declini e la trovi dietro ogni forma di espressione. Il mio ambito è il fumetto e rimarrò sempre nei fumetti.
Poi mi permetto esperienze in altri media, l’importante è pensare che questi linguaggi si parlino. Se domani Orfani diventerà una serie televisiva è perché è stata pensata per avere anche un tipo di sfruttamento in quel senso. P Hai la percezione di come il mondo ti osservi? R Di solito mi insultano... Mi piacerebbe essere ricordato in una maniera rilevante. Non riesco a pensare ad altro se non che il gesto che faccio deve essere significativo. Deve “riverberare”. Il dinamismo è il cardine del mio stato d’essere. Combattere le critiche è semplice, basta continuare a seppellirle di fatti. Forse chi guarderà a questo periodo tra decenni si accorgerà che si è trattato di uno dei momenti di svolta nella cultura italiana. Roberto Recchioni ha già segnato il nostro tempo. Ha spazzato via il terrore di vivere in una stagione culturale vuota e lo ha fatto insieme alla generazione degli autori che oggi parla e soprattutto scrive costantemente, ricordando che dietro a quei “pupazzi” ci sono esseri umani. P Il tuo primo ricordo legato al fumetto? R Molti ricordi, ma uno in particolare riguarda Topolino: quando l’ho visto per la prima volta ho chiesto a mia madre come facevano a farlo e lei mi rispose “con gli stampini”. Ecco, mi sono detto subito, da grande voglio fare gli stampini.
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- Comics/2 -
PURPLE CARNIVAL
VENERI
IN PELLICCIA
di MIRKO OLIVERI
È INDUBBIAMENTE UN PORNO, ANCHE SE DI ALTA CLASSE, QUELLO CHE PROPONIAMO NELLA NOSTRA RUBRICA DEDICATA AL FUMETTO SUL WEB: PURPLE CARNIVAL, UN FURRY RIVISTO E CORRETTO À LA JODOROWSKY.
L
a biologia, in secoli di darwiniano perfezionamento, ha collegato le sensoriale erotico hai bisogno di un trucco, devi mascherarti del tuo volto sensazioni più piacevoli al sesso per garantire la salvezza del genere animalesco. Puoi farti aiutare dal tuo partner a indossare gli abiti di scena, umano. E i pubblicitari hanno da sempre usato il richiamo della libi- puoi mascherare anche la tua camera da letto, stiamo mettendo in scena do per indurre al consumo. Lo scenario comunicativo della società indu- un’opera teatrale che ti sconvolgerà la vita. Finiti i preparativi, indossati striale sembra disegnato da una sola persona: gli indumenti sono sempre i costumi, sistemate le luci, si alzi il sipario, che il tuo carnevale porpora raffinati e costosi, i corpi sono glabri e anabolizzati, tempestati di tatuaggi abbia inizio. Tutti i partecipanti devono interpretare l’animale che hanno citazionisti. Tutto quello che ci circonda è semanticamente pornogra- scelto per rappresentarsi. Il copione si improvvisa, l’importante è che gli fico, ed è bellissimo. Ti basta il minimo contatto con la comunicazione attori si trasformino con sincerità e assecondino il proprio godimento. pubblicitaria per percepirlo. Questa esperienza è banale, la pubblicità te La disinibizione ti libererà dal ricatto commerciale e sarai catapultato in l’ha promessa milioni di volte: tuttavia, malgrado le delusioni, continui un autentico territorio di piacere. Questo è il concetto sul quale si fonda ad amare questa bugia. Questa esperienza abbandonerà la consistenza Purple Carnival, fumetto realizzato per il web dallo sceneggiatore Sergio del miraggio per materializzarsi nella tua vita solo se avrai il coraggio di Lingeri e disegnato dal muscolarmente “psicadelico” Enrico Bettanin. Le affrontare il Purple Carnival, il carnevale celebrato dall’omonimo fumet- vicende si svolgono in un mondo popolato di uomini e animali antroto che appare come un porno e nasconde un insegnamento. Il carnevale pomorfi recepiti dalla tradizione pornografica giapponese denominata “furry”, che vanta numerosi adepti porpora è un esercizio psicomaanche in occidente e che consiste gico. Jodorowsky ha teorizzato e La weblettura è sconsigliata in ufficio o in pubblico, perché ormai nell’immedesimarsi in una parpraticato la psicomagia per anni la società non accetta la comunicazione erotica se non ha scopi ticolare specie animale per scopi nel cinema, nei fumetti e sopratpubblicitari. Leggilo a casa, serenamente, col tuo partner. sessuali. Trovo il movimento furry tutto nella vita. Banalizzando, la Prendi spunto, vaga in questo mondo e pratica il carnevale porpora. artisticamente arido, ma Purple psicomagia si può definire come Carnival va molto oltre, partendo una messa in scena o l’esecuzione dall’antropomorfizzazione erotidi un copione teatrale da condurre individualmente per risolvere i nostri problemi interiori. Il webcomic ca per dare vita a mondi lontanissimi, ipertecnologici e allo stesso tempo Purple Carnival è una sorta di applicazione della psicomagia alla sfera fiabeschi come nelle Mille e una notte. Le possibilità narrative sono infisessuale. Ti è stato promesso il territorio del lusso erotico solo in cambio di nite e lo scopo di questo vagare nel mondo ideale e immateriale con la denaro, in realtà non è così semplice: per appropriarti del tuo patrimonio fantasia è quello di concretizzare nella tua vita la gioia del sesso.
NB Tutti gli episodi su: www.verticalismi.it
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MARIO&THECITY
OVVERO QUANDO LA RADIO TI ENTRA NEL DNA AUTOINTERVISTA “A PELLE” DI MARIOLINA
Mi chiamo LaMario (e spiegarne i motivi mi costerebbe parecchi dei 2500 caratteri che ho a disposizione), lavoro per m2o da qualche anno anche se a guardarmi indietro mi sembra di stare davanti al microfono della radio da sempre e sono il “sindaco” della “City”. Legittima la domanda: cos’è la City? Felice di darvi una risposta: la City è quel posto immaginario ma ben radicato nella realtà che prende vita tutti i giorni dal lunedì al venerdì dalle sei del pomeriggio in diretta su m2o. È la mia bimba cresciuta, la mia isola felice, il laboratorio dove posso sperimentare linguaggi, mettere a fuoco le idee, proporre le mie battaglie.... Perché proprio la radio? (altra logica domanda alla quale non mi sottraggo) Perché dopo tanti anni passati in tv (Videomusic, RAI, Sky) ho iniziato a stancarmi delle solite facce storte dei produttori di fronte ai miei tatuaggi e delle solite domande stupide degli autori sempre e solo sui miei tatuaggi… Volete che vi faccia qualche esempio di domanda stupida? - quanti ne hai? - e questo che cosa significa? - ma quando sarai vecchia, ci pensi mai alla fine che faranno questi scarabocchi? - uhm, quello dietro la schiena non mi piace molto, io l’avrei fatto altrove (ecco bravo TU, non io, quindi adesso lasciami in pace). Insomma mettetevi anche solo per un attimo nei miei panni, pardon nei miei tatuaggi, e capirete perché come una bottiglia di acqua Evian alla fine di una maratona nel deserto ho afferrato al volo la radio… Il nostro è un matrimonio quasi perfetto, mentirei se vi dicessi che non ci sono alti e bassi, ma abbiamo superato a testa alta la crisi del settimo anno e nonostante covi ancora la speranza di recitare per il grande schermo o per una serie tv nei panni della poliziotta mi considero una “femmina felice”: questo lavoro permette di unire le mie tre più grandi passioni, la musica, i libri e il cinema. Sulla musica mi limiterò a dirvi che al momento non posso fare a meno di Charlie Winston, sui libri ho da fare solo una confessione – ne leggo almeno tre contemporaneamente e spesso confondo i protagonisti – e a proposito di cinema adesso le domande le faccio io: avete visto Il nome del figlio? Certo, io sono di parte amando follemente la Golino, ma l’ho trovato incredibile, mi sono persa anche nei silenzi di Ambra Angiolini e della sua Scelta, ancora non ho capito se mi piace il cinema di Sorrentino (comunque non ho fretta quindi mi prendo qualche anno per decidere), mentre su una cosa non ho assolutamente dubbi: se rinasco voglio essere l’Imperatrice Furiosa.
SIMONE ALIAS LAMARIO
«LA CITY È QUEL POSTO IMMAGINARIO MA BEN RADICATO NELLA REALTÀ CHE PRENDE VITA TUTTI I GIORNI DAL LUNEDÌ AL VENERDÌ DALLE 18 IN DIRETTA SU M2O. È LA MIA ISOLA FELICE, IL LABORATORIO DOVE POSSO SPERIMENTARE LINGUAGGI, METTERE A FUOCO LE IDEE, PROPORRE LE MIE BATTAGLIE».
In diretta su: www.m2o.it 11
- Cover story -
CLAUDIO DI BIAGIO
NON CHIAMATELO
YOUTUBER
SUL WEB BATTE ANCORA LA CONCORRENZA NONOSTANTE SIA UNO DEI PIÙ LONGEVI YOUTUBER ITALIANI: CLAUDIO DI BIAGIO È TRA QUEI POCHI CHE HANNO CONTRIBUITO A DARE FORMA ALL’INTRATTENIMENTO ONLINE IN ITALIA, MA LUI CI TIENE CHE SIA BEN CHIARO: NON CHIAMATELO SOLTANTO YOUTUBER. 12
di TOMMASO RENZONI foto ROBERTA KRASNIG
Q
Questa non è la solita intervista al personaggio del web. Conosco Claudio da un po’, e da quando ci siamo incontrati tra di noi è nata una bella amicizia e soprattutto una solida intesa professionale. Per questo quando Fabrique mi ha contattato per intervistare proprio lui, subito è nata l’idea di immaginare qualcosa di assolutamente non ingessato, sul tipo: due chiacchiere con il mio amico Claudio. Anzitutto partiamo con le cose importanti: l’idea è di fare tappa in un buon ristorante di vera cucina romana, e dopo una lunga sessione di brainstorming, trovato il posto che fa per noi arriviamo e però lo troviamo chiuso, ripiegando quindi mestamente su una pizzeria a taglio. E mentre ci scaldano la pizza mi rendo conto che c’è una domanda che non gli avevo mai fatto.
Perché hai deciso di fare lo youtuber? Ho sempre avuto la passione per il cinema, anzi, io ho sempre saputo di voler fare il regista. Youtube è un altro mezzo per esprimere lo stesso talento. E allora mi ci sono buttato, ho costruito negli anni un percorso personale, a volte in modo anche irrazionale, scoprendo cosa piaceva a me e al pubblico di video. Ecco, questa è la cosa di te che mi ha colpito da subito, il desiderio di fare cinema, nel senso pratico del termine. Il web mi ha sicuramente aiutato in questo. Se da una parte fare i video per internet non ti forma necessariamente alla tecnica del cinema, dall’altra mantiene viva quella parte ludica che si diverte a emozionare, a strappare una risata. Tu però, anche se non hai mai smesso di fare video, sei passato molto presto a progetti più impegnativi: penso a Freaks, che è una delle prime webserie italiane, ma anche al cinema.
Da autodidatta mi sono subito ritrovato a lavorare con professionisti che ne sapevano sempre più di me. A capire presto magari rispetto ad altri youtubers il valore del lavoro di squadra. In questo senso io dico sempre che sono il meno bravo di tutti. Cosa hai pensato il primo giorno di vero set della tua vita? Mi ricordo che eravamo sul set insieme a Matteo [un altro youtuber famoso, conosciuto sul web come Canesecco]; lui è spesso il mio direttore della fotografia, e come abbiamo battuto il primo ciak non riuscivamo a trattenere le risate perché c’era tantissima gente, una troupe vera, non eravamo per niente abituati a tutte quelle persone. Poi abbiamo imparato. Anche perché poi si è mosso tutto molto velocemente. Beh sì, Freaks è stato un gioco anche d’astuzia per costruire la mia credibilità e dare al pubblico di ragazzi che mi seguono una serie moderna che avesse nel cast oltre a me anche altre star di Youtube. Ed è
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«DA AUTODIDATTA MI SONO SUBITO RITROVATO A LAVORARE CON PROFESSIONISTI CHE NE SAPEVANO PIÙ DI ME. IN QUESTO SENSO DICO SEMPRE CHE SONO IL MENO BRAVO DI TUTTI».
stato un successo. Poi c’è stata la regia di Andare via per RAI Cinema e poi Dylan Dog - vittima degli eventi che ho creato insieme a Luca [Vecchi, dei The Pills]. Ed è stato proprio mentre lavoravi a Dylan Dog che abbiamo iniziato a collaborare, mi ricordo che in quei giorni eri frenetico . Sì, Dylan Dog è stato un progetto molto ambizioso, mi ha portato via tantissime energie. Però mi ero sempre detto che sarei diventato un regista e che avrei fatto un film sull’indagatore dell’incubo, e sono contento di aver avuto questa occasione proprio grazie al pubblico del web che ha sostenuto anche economicamente il progetto. È stato il loro aiuto a farmi andare avanti nonostante tutte le difficoltà. E dire che all’inizio io avevo paura di trovarmi di fronte una primadonna del web, invece mi ha colpito proprio la tua immediatezza. E poi, da sceneggiatore devo dire (perché è sempre più raro) che il fatto che dopo la fase di ideazione tu non voglia entrare nello specifico della scrittura mi ha colpito molto. Su questo ho una visione precisa. Credo moltissimo nel lavoro di squadra, come ti dicevo, proprio perché ho visto con i miei occhi come un progetto migliora quando ognuno aggiunge qualcosa di suo. Piuttosto cerco di scegliermi con cura le persone con cui lavorare. Il regista è un creativo, un leader, lo sceneggiatore è un matematico oltre che un autore, i due ruoli si completano ma sono due mondi diversi. In effetti lavorando insieme a te mi sono reso conto che fai molta attenzione a scegliere la tua “squadra”. Ti è mai capitato che fosse difficile farti prendere sul serio, venendo dal mondo di Youtube? Ognuno fa il proprio percorso, chi è convinto che convincere un pubblico a guardare i propri video di Youtube sia più facile che convincere un produttore a produrre il proprio film, non è una persona di cui mi interessa avere il rispetto. Per fortuna, in confronto ad altri che vengono dal web io sono tra quelli che ha costruito maggiormente la propria serietà. Ormai quando mi chiamano per un progetto, per
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capirci, non è perché sono la gallina dalle uova d’oro, ma per la qualità di quello che faccio. Questo è un pensiero fisso che hai, salta sempre fuori quando parliamo: il tuo pubblico è per te importantissimo, hai un grande rispetto di chi ti segue e cerchi di dargli sempre il meglio di quello che fai. Intanto c’è da dire che per come ho impostato il mio canale, più che un pubblico ho costruito una community. Spesso li incontro, cerco da anni di conoscerli tutti, andando in giro per l’Italia [con la sua Clio scassata]. Poi sul web spesso capita che attraverso un video si apra un dibattito: per esempio quando ho caricato il video su Still Alice abbiamo parlato di Alzheimer. Mi seguono da quando ho iniziato, sono la mia forza, e sono tanti: quasi 200mila iscritti su Youtube, 100mila su Facebook, 71mila su Twitter e 60mila su Instagram: sto in fissa! Oh! Sto in fissa! Visto che l’hai detto, mi spieghi una volta per tutte questo “sto in fissa”? È il mio motto, ma è una filosofia specifica. Serve a non scordarmi mai che bisogna stare un po’ più in fissa con le cose quando si fa questo mestiere, perché ci sono tante delusioni, sempre tanti ostacoli da superare. E allora non bisogna voler fare una bella cosa, bisogna proprio starci in fissa! E poi, è fanciullesco, nel senso migliore del termine. È quel modo genuino che abbiamo da ragazzini, di appassionarci, emozionarci. E che non dobbiamo mai perdere. Con cosa stai in fissa in questo periodo? Sto entrando nel trip dei fumetti: volevo espandere il mio universo narrativo, lavorare sul transmedia storytelling. E poi sto facendo il “Pensavo meglio Show” anche insieme ai Cool and the Game, gli Zero, Canesecco, Adriano Santucci e altre capocce spostate come la mia e mi sta dando delle belle soddisfazioni, perché in fondo Youtube sta andando nella direzione del live, e invece noi il live lo facciamo sul serio! Sono totalmente convinto di essere portato, e il mio pubblico come me, per un audiovisivo d’impatto, di genere, vorrei avere questo tipo di possibilità di direzione ed espressione artistica, vediamo chi si fa avanti.
- Opera prima -
CLORO Presentato al Sundance, l’esordio dallo stile essenziale di Lamberto Sanfelice racconta un percorso di crescita forgiato dall’asprezza della montagna e dall’abbraccio accogliente dell’acqua. di TIZIANA MORGANTI
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ACQUA E
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agli Appennini abruzzesi fino al Sundance e al Festival di Berlino. Si può dire che il cinema fa il suo giro e quando a compierlo è quello italiano c’è molto più gusto nel raccontare la storia. Protagonista di questa avventura eccezionale è Cloro, pellicola d’esordio del romano Lamberto Sanfelice che, come suo primo banco di prova assoluto ha affrontato niente meno che lo storico festival di Park City. La prova è stata superata più che brillantemente, ottenendo l’attenzione non solo degli addetti ai lavori, ma soprattutto del pubblico. Una soddisfazione ancora più grande se si pensa che lo spettatore americano medio ha poca abitudine ai sottotitoli e ancor meno pazienza nei confronti di storie intimiste. La forza di Cloro, però, è rappresentata dall’onestà della vicenda narrata e dal tono e dal linguaggio utilizzato che, con naturalezza, trasformano questo film in un viaggio tra sogno e forte senso della realtà. Figura centrale è quella di Jenny, una diciassettenne che accarezza il desiderio di diventare una campionessa di nuoto sincronizzato. Le sue ambizioni, però, si scontrano con le difficoltà della vita, rappresentate dalla morte della madre, la depressione del padre e la necessità di lasciare Ostia per trasferirsi in una valle solitaria e desolata in Abruzzo. Qui rinuncia alla leggerezza dei suoi anni per assumersi la responsabilità del fratello minore, diventando simbolicamente ed economicamente un capo famiglia. In questo modo si definisce un percorso di evoluzione personale e crescita precoce senza concedere alcuna facilitazione ai personaggi. Il tutto con un tocco minimalista che aumenta il senso di realtà e protegge da sentimentalismi ridondanti. A raccontarci l’evoluzione di questa storia è proprio il regista Lamberto Sanfelice.
PIETRA «LA PISCINA È IL LUOGO DOVE LA PROTAGONISTA È CRESCIUTA, DOVE SI ESPRIME ATLETICAMENTE E FISICAMENTE. È IL LIQUIDO AMNIOTICO IN CUI È COMPLETAMENTE E NATURALMENTE FELICE».
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«IO AMO UN CINEMA CHE CREI PARTECIPAZIONE. HO INTERESSE PER QUEI RACCONTI CHE CHIEDONO AL PUBBLICO DI METTERE DEL SUO PER VIVERE PIENAMENTE LA STORIA».
Il film, hai detto, nasce da un’immagine ben precisa, quella di una ragazza che, a una fermata dei pullman in una località di montagna, litiga con un bambino mentre lo tiene per mano. Cosa ti ha colpito di quella scena tanto da trasformarla nella scintilla creatrice del tuo film? Non lo so, probabilmente il fatto che fossero completamente fuori contesto. C’era questa lite in atto tra i due che ha richiamato la mia attenzione, tanto che nei giorni successivi ho continuato a ripensarci. Ogni tanto ci sono delle cose che ti colpiscono e ti suscitano dei movimenti interiori. In realtà è un processo che non cerco nemmeno di spiegare. Per me fondamentale è l’emozione che provo e se qualche cosa è in grado di suscitare questo sentimento, vuol dire che mi interessa. Poi non cerco di fare l’analisi intellettuale delle ragioni e delle motivazioni, altrimenti la scrittura rischia di diventare uno strumento di autoanalisi e credo che questo limiterebbe anche la storia. Cloro, però, nasce anche da un viaggio in giro per l’Abruzzo. La sera mi fermavo e scrivevo ispirato dal paesaggio. Uno degli elementi determinanti del tuo film è proprio l’ambiente, che si mostra fin dalle prime immagini in un confronto costante tra montagna e mare. E tra di loro s’inserisce l’elemento della piscina. Come hai gestito il rapporto tra questi luoghi così diversi e cosa rappresentano all’interno della narrazione? La storia parte da un posto di mare come Ostia, per poi svolgersi in un altipiano dell’Appennino. Questo perché volevo creare un film capace di parlare di cambiamento e isolamento, catapultando i personaggi in una situazione completamente nuova. Avevo bisogno di un posto che fosse in grado di farli reagire. La mia attenzione è rivolta principalmente ai contrasti e, quando questi si verificano, viene sempre fuori qualche cosa di interessante. Da qui nasce la contrapposizione tra mare e montagna. Tra di loro, poi, s’inserisce la piscina, ossia il luogo dove la mia protagonista è cresciuta, dove si esprime atleticamente e fisicamente. È il liquido amniotico in cui è completamente e naturalmente felice. Però, allo stesso tempo, è come se questo luogo, nel corso del film, le si restringesse attorno e i bordi diventassero più chiari e vivi. Così, da posto deputato alla sua espressione creativa diventa quasi costrittivo. Per questo ho desiderato che il finale avvenisse in mare. Il film non vuole dirci cosa succederà dopo e quali saranno le scelte di Jennifer. In realtà non lo so nemmeno io e non mi interessava raccontarlo. Ho piuttosto utilizzato l’infinità e la vastità del mare per rappresentare le scelte illimitate messe a disposizione della ragazza. Il film rimane molto aperto, nel senso che offre allo spettatore la possibilità di entrare a suo modo nella storia e di trarne considerazioni personali senza dare troppe spiegazioni. Si tratta di una scelta ben precisa, presente fin dalla sceneggiatura, oppure è avvenuta dopo? Io amo un cinema che crei partecipazione. Ho interesse per quei racconti che chiedono al pubblico di mettere del suo per vivere pienamente la storia. Partendo da questo, Cloro è sicuramente un film che chiede molto allo spettatore e, per certi versi, potrebbe risultare anche respingente. D’altronde non ha empatia con il personaggio, vive attraverso molte sfumature e racconta un cambiamento interno dell’anima più che dei fatti concreti. Tutti elementi presenti fin dalla prima bozza della sceneggiatura. A un certo punto ho chiesto a Elisa Amoruso di collaborare con me alla scrittura, lasciando che molto del film venisse fuori chiacchierando e confrontandoci. Anzi, raccontando a lei quello che desideravo da questa storia, come il percorso evolutivo di Jennifer, l’ho capito meglio anche io. Nella scrittura lo scambio di idee è fondamentale. Non amo lavorare da solo. Non sono certo il tipo solitario che si rinchiude in una stanza alla sua scrivania.
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Il nuoto sincronizzato è uno sport molto particolare, che abbina la bellezza estetica mostrata in superficie con la fatica svolta sott’acqua. Come mai la tua scelta è caduta proprio su questa disciplina? È vero. Per creare la bellezza estetica le atlete compiono una fatica quasi disumana e i loro allenamenti sono di una intensità incredibile. E sono stati proprio questi due elementi che hanno attratto la mia attenzione. In più, siccome il film racconta di una ragazza cui viene rubata la vita, l’adolescenza, il quotidiano e, soprattutto, il suo sogno, mi piaceva che questa ambizione sportiva avesse sia una parte atletica che una artistica. E il nuoto sincronizzato riunisce perfettamente le due anime. Una scelta che mi ha convinto pienamente dopo aver visto le prime immagini del girato. L’esplosione creativa e artistica che si realizza nella sincronia dei corpi è stata fortissima. Uno dei punti di forza del nuoto sincronizzato, infatti, è che non si svolge in solitudine ma ha bisogno di una squadra per ricreare l’armonia della coreografia. Tanto che, quando Jennifer rimane sola nella piscina senza la sua compagna, sembra una di quelle bambole da carillon destinate a danzare da sole per il resto della loro esistenza. La ricerca di Jennifer ha richiesto tempo e attenzione, fino a che non è comparsa Sara Serraiocco. Il suo arrivo ha in qualche modo modificato il personaggio? L’arrivo di Sara ha modificato molte cose. Io, forse perché avevo sceneggiato il film, mi sono sempre sentito libero di rivedere tutto il lavoro fatto. Questo vuol dire che, una volta trovati i collaboratori giusti, ho lasciato libertà di portare delle modifiche a tutto il cast. Con Sara, poi, abbiamo fatto un lavoro diverso. Non solo ho cercato di aiutarla a compiere un percorso verso il suo personaggio, ma ho anche spinto Jennifer verso la sua interprete. Perciò, quando si sono presentati degli elementi poco affini a lei come persona, e non come attrice, li abbiamo modificati senza nessun problema. Questo perché io credo che fare cinema vuol dire anche affrontare una ricerca costante. Possiamo avere dei punti solidi dai quali partire, ma non è assolutamente detto che si debba sapere dove arrivare. Inoltre, dal mio punto di vista, la ricchezza del linguaggio cinematografico nasce dall’interpretazione e dagli attori. Per questo motivo tengo particolarmente alla collaborazione e mi piace sentirmi sorpreso da loro.
Il film ruota intorno all’ottima performance di Sara Serraiocco, protagonista agli albori della sua carriera di un servizio fotografico di Fabrique sui giovani attori di talento. Avevamo visto giusto…
«DAL MIO PUNTO DI VISTA, LA RICCHEZZA DEL LINGUAGGIO CINEMATOGRAFICO NASCE DALL’INTERPRETAZIONE E DAGLI ATTORI. PER QUESTO MOTIVO TENGO PARTICOLARMENTE ALLA COLLABORAZIONE E MI PIACE SENTIRMI SORPRESO DA LORO». 19
- Nazione Web -
ARRIVANO GLI SHOWRUNNERS! Nel nuovo panorama della serialità italiana si sta imponendo la figura anglosassone dello showrunner, l’autore o il gruppo di autori che seguono una serie dalla scrittura fino ai più piccoli dettagli produttivi.
I
di TOMMASO RENZONI
In Italia l’esempio di maggior successo è 1992, ma ci sono realtà più piccole che stanno scommettendo su questo paradigma. Una di queste è Io tra 20 anni, spinoff web della serie Una grande famiglia. Fabio Paladini e Sara Cavosi, i due giovanissimi showrunner della Cross produzioni che l’hanno curata, ci raccontano la loro esperienza.
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Sara, sei appena uscita dal Centro Sperimentale di Roma e ti sei subito trovata in questo progetto ambizioso. Come sei approdata a Io tra 20 anni? Sara Avevo saputo che alla Cross stavano cercando una figura giovane, uno sguardo femminile, e così ho deciso di inviare il mio curriculum e alcuni miei scritti. Fabio già lavorava lì (tra l’altro ho scoperto che anche lui aveva letto le mie cose, le ho trovate in un cassetto!). Dopo un colloquio ho iniziato, e già allora il progetto era nell’aria: la RAI voleva sperimentare con una serie che raccontasse i personaggi della serie principale, vent’anni prima. Ricordo una riunione in produzione insieme alla RAI e a Ivan Silvestrini: Ivan ha spiegato che cercava una ragazza da affiancare a Fabio ed «eccola, ce l’abbiamo!», hanno risposto. Per me è stato un battesimo. Quindi iniziate subito a lavorare insieme al regista della serie, Ivan Silvestrini, e allo showrunner della serie principale, Ivan Cotroneo.
Sei personaggi, sette puntate in onda sulla piattaforma web della RAI, www.ray.rai.it.
S Silvestrini ha subito creato un team che funzionava, facendoci sentire che eravamo importanti, che il progetto sarebbe stato “nostro”, di tutti e tre. Cotroneo ci ha seguito nell’ideazione delle puntate perché tiene tantissimo a Una grande famiglia, e ai suoi personaggi. Poi, in un secondo momento, ci ha lasciati molto più liberi.
Fabio Sì, ci siamo trovati a lavorare con questi elementi: verticalità, casa sull’albero, capsula del tempo, personaggi di Una grande famiglia. Parlando di questi elementi, da cosa nasce l’idea della capsula del tempo? F Da Ivan, e questo è un aneddoto divertente. Lui ha una figlia, per cui un giorno arriva e ci dice tutto entusiasta: «Ho visto Peppa Pig, in una puntata c’è una capsula del tempo, facciamolo anche noi!», e l’abbiamo fatto! Dopo il percorso di scrittura, a differenza di quello che succede di solito, avete seguito il regista anche nella produzione e addirittura sul set. S Il momento più folle è stato forse al tecnopolo, dove abbiamo girato gli interni della casa sull’albero. Ci avevano assicurato che ci sarebbe stato il wifi, invece non c’era e noi dovevamo fare dei cambiamenti da inviare di corsa alla produzione… Abbiamo dovuto disperatamente cercare una connessione internet! Il ritmo era molto serrato. F Si è girato tutto in sei giorni. È stato molto divertente. Questo coinvolgimento per tutta la fase produttiva e di riprese, come ha influito sul copione che avevate scritto? F Ivan ci ha voluto con lui a seguire i casting sin dal primo momento.
Fabio, tu in particolare vieni da una formazione ibrida, di sceneggiatore televisivo da una parte e di filmmaker web dall’altra. F Ho frequentato il Centro Sperimentale di Milano, poi sono venuto a Roma e da lì ho iniziato a lavorare in reparti di scrittura. Ho vissuto una certa flessione del mercato televisivo rispetto a Sara, perché ho iniziato a lavorare a Roma nel 2007 e fino al 2010 la situazione a livello lavorativo era molto diversa, c’erano produzioni che investivano su giovani sceneggiatori perché producevano lunga serialità consolidata. Dopo è cambiato tutto. Io però ho anche una formazione di filmmaking, e a un certo punto ho deciso di investire sul web. A posteriori mi rendo conto che è stato un po’ tutto questo a portarmi dove sono adesso. Se non avessi fatto Soma [la webserie di cui ha firmato i primi due episodi, premiata con cinque awards al LosAngelesWebFest] non avrei conosciuto Ludovico Bessegato [della Cross production, la produzione dietro a Io tra 20 anni]. Com’è successo?
S Il caso sicuramente più interessante è stato quello di Marta Jacquier. Quando l’abbiamo vista ci ha colpito subito, sia noi che Ivan la volevamo nella serie. Il personaggio inizialmente era molto più svampito di com’è lei: Marta ha uno sguardo molto consapevole, maturo. Quando l’abbiamo vista ai provini, abbiamo deciso di ricalibrare il personaggio su di lei e ha funzionato. F Siamo stati responsabili di scelte importanti, che vanno al di là del solito lavoro dello sceneggiatore: trattandosi sempre di una webserie (anche se per essere una webserie ha un impianto solido), è una di quelle situazioni in cui ti trovi a dover fare un po’ tutto: ci siamo trovati a dover girare i contributi extra per il portale, come le clip in cui si presentavano i personaggi, perché in sei giorni Ivan non poteva seguire tutto. E allora ci siamo armati di telecamera, siamo andati e abbiamo girato.
F Un giorno un’amica comune mi dice: «Dovresti farti due chiacchere con Ludovico». Ci siamo presi un caffè e gli ho parlato dei miei progetti da filmmaker, così chiacchierando ha scoperto che in realtà venivo dalla televisione più classica, non ero solo il filmmaker fricchettone che faceva i fantathriller! Da lì ho iniziato a lavorare con lui. Avevo scritto delle puntate anche di prima serata, ad esempio quando lavoravo su La Squadra, però ecco, ero sempre stato un autore di puntata, mai curatore di un’intera serie. Dopo questa esperienza, voi invece come vi vedete tra vent’anni? F Io starò pagando l’università a mio figlio, che adesso ha due mesi! Mi piacerebbe continuare a lavorare con questo sistema, a essere showrunner e scrivere belle serie.
S E poi se sei sul set gli attori vengono da te... F “Come devo dire questa battuta, quest’altra non mi torna…” È un tipo di lavoro molto interessante, nuovo, per chi viene da una preparazione classica.
S Ho in mente anche il cinema, vorrei scrivere un film. Ma le possibilità di racconto che ti dà una serie mi affascinano. Siamo cresciuti con le serie internazionali, spero che un giorno potrò dire di averne scritta una anche io.
Irene Casagrande, Pierpaolo Spollon, Romano Reggiani, Marta Jacquier, Vincenzo Zampa, Irena Goloubeva sono gli interpreti della serie.
«SIAMO STATI RESPONSABILI DI SCELTE IMPORTANTI, CHE VANNO AL DI LÀ DEL SOLITO LAVORO DELLO SCENEGGIATORE». 21
- Futures -
GUGLIELMO TRUPIA
ENECE È un collettivo composto da giovani cineasti milanesi che riunisce varie professionalità, dalla fotografia alla ripresa, dal montaggio alla fonica, e non disdegna di sfruttare tutte le proprie potenzialità mescolando costantemente i piani di realtà e finzione. di VALENTINA D’AMICO foto MASIAR PASQUALI
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TOMMASO PERFETTI
PRIMA L’UOVO
ELVIO MANUZZI
CHIARA TOGNOLI
PIETRO DE TILLA
GIULIA LA MARCA
E
nece, deformazione del latino index, è un uovo lanese di marionette di Carlo Colla. Il lavoro successivo, Il di marmo usato dalle contadine per stimolare le turno, ha visto una regia a tre fatta da me, Pietro ed Elvio. galline a fare le uova nel nido e non in giro per Questa esperienza ci ha convinto a dar vita a un gruppo. È l’aia. Brillante artificio, finzione che ha lo sco- stato importante per l’identità di Enece trovare una sede, po di dare un indirizzo alla realtà, influenzandola e pla- a Milano, divenuta un punto di riferimento anche per arsmandola. «Con Atelier Colla e Il turno, i nostri primi due tisti esterni che collaborano con noi». lavori, abbiamo sperimentato il cinema d’osservazione La collaborazione è una delle parole chiave che sottendodel reale tout court seguendo le orme di Frederick Wise- no l’esperienza di Enece film. Aggiunge Guglielmo Trupia: man, la nostra principale fonte d’ispirazione» ci racconta «Ospitiamo in sede un musicista che ha lavorato con noi Pietro de Tilla, uno dei fondatori. «In Unità di Produzione in Unità di Produzione Musicale, uno sceneggiatore e un Musicale abbiamo fatto la stessa cosa, ma calando un nu- esperto di grafica, tutte persone che collaborano con noi utilizzando i notrito gruppo di stri spazi. In più musicisti/operai «SIAMO CINEFILI A TUTTO TONDO, GUARDIAMO OGNI TIPO DI FILM. Tommaso sta in un ambiente TUTTO IL CINEMA CHE VEDIAMO CI ISPIRA, NON ABBIAMO PRECONCETTI». lavorando a un che non esiste, progetto di anicreato da noi. Un mazione con involucro fictional, ma ciò che accade all’interno è reale. Usare un uovo un’animatrice italiana che lavora in Francia. Siamo uniti da finto per stimolare reazioni vere: mettiamo in pratica l’in- affinità artistiche, ma al nostro interno trovano spazio anime diverse e vari progetti individuali». Dietro una coerenza segnamento contenuto nel nome del collettivo». Enece film nasce nel 2012. I fondatori sono Pietro de Til- programmatica e stilistica, i membri di Enece film negano, la, Gugliemo Trupia, Tommaso Perfetti, Elvio Manuzzi e però, qualsiasi dogmatismo e la natura differente dei lavori Chiara Tognoli, montatrice e prima donna del gruppo, realizzati finora testimonia una duttilità e un’apertura verso a cui si aggiungono l’esperta di audio Giulia La Marca e varie forme espressive. Pietro de Tilla conferma questa tenPaolo Romano, che si occupa di post produzione delle sione verso la sperimentazione: «Finora abbiamo realizzato immagini. «L’idea di fondare un vero e proprio collettivo» lungometraggi, corti, documentari e webserie; spaziamo in spiega Tommaso Perfetti «è nata dopo la realizzazione di modo agile tra i vari formati a seconda delle necessità. Ora Atelier Colla, documentario sulla storica compagnia mi- Y, la webseries, si trasformerà in qualcos’altro.
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«NELLE NOSTRE PRODUZIONI CERCHIAMO DI COMBINARE LA RICERCA FORMALE CON IL TENTATIVO DI RENDERE FRUIBILE AL NUMERO PIÙ AMPIO POSSIBILE DI SPETTATORI IL CONTENUTO. L’OBIETTIVO È CONCILIARE PIANO NARRATIVO E PIANO ESTETICO». Il nostro obiettivo è esplorare le varie forme dell’audiovisivo veicolando una narrazione al pubblico. Il nostro è un cinema indipendente, ci piace sperimentare e testare le potenzialità del linguaggio spingendolo in determinate direzioni. Non so se riusciremmo ad adattarci al cinema mainstream, ma siamo cinefili a tutto tondo, guardiamo ogni tipo di film. I nostri modelli sono Wiseman ed Herzog, che lavora a cavallo tra finzione e realtà, ma Guglielmo ama molto anche la fantascienza e i suoi gusti influenzano il suo modo di montare. Tutto il cinema che vediamo ci ispira, non abbiamo preconcetti». Nonostante la capacità di adattarsi a committenze e fonti di ispirazione diverse, una realtà di nicchia come Enece film non sottovaluta la difficoltà nel conciliare ambizioni artistiche ed esigenze commerciali e si preoccupa di trovare la forma di distribuzione più adatta per i vari lavori. «Tutti i film realizzati finora avevano un target preciso» spiega Guglielmo Trupia. «Atelier Colla è un’opera indirizzata a un pubblico di appassionati del circuito teatrale, perciò è stato distribuito in home video e su Skyarte dove ha avuto un buon riscontro. Il turno, che è un film d’autore, è andato al festival Visions Du Réel e poi è uscito in DVD. Unità di Produzione Musicale è un ibrido, un misto tra film e performance, perciò dovremo inventarci una forma di distribuzione alternativa attraverso una serie di eventi mirati, tra cui Biografilm. Il nostro nuovo lavoro, Unità di Sonorizzazione, si avvicina a Unità di Produzione Musicale ed è stato proposto alla Stazione Leopolda di Firenze nell’ambito di Fabbrica Europa. Per ogni lavoro dobbiamo inventarci una forma di distribuzione diversa, ogni volta è una sfida. Amiamo molto di più la fase creativa, ma da Unità di Produzione Musicale in poi abbiamo iniziato a occuparci anche della parte di promozione commerciale che è una necessità». Tommaso Perfetti approfondisce la questione legata all’esigenza di conciliare forma artistica e contenuto divul-
gativo: «Molti di noi vengono dalla fotografia, perciò abbiamo un’attitudine alla ricerca estetica nell’immagine. Nelle nostre produzioni cerchiamo di combinare la ricerca formale con il tentativo di rendere fruibile al numero più ampio possibile di spettatori il contenuto. L’obiettivo è conciliare piano narrativo e piano estetico. Unità di Produzione Musicale è un film dotato di un impianto visivo cinematografico molto complesso, ma lo stile usato denuncia anche il tentativo di veicolarne il contenuto. Quasi tutti noi amiamo l’immagine un po’ sporca, autoriale, ma ci sta a cuore anche la narrazione. Un po’ Sokurov, un po’ cinema classico americano, per intenderci». Ma quali sono, in fin dei conti, gli ambiti del reale che Enece film si propone programmaticamente di rappresentare? Dove si orienta la ricerca che caratterizza i lavori del gruppo, a cavallo tra documentario e finzione? «L’oggetto della nostra ricerca spesso viene scelto in modo inconsapevole» confessa Pietro de Tilla. «Ciò che realmente ci interessa è il rapporto dell’essere umano con l’ambiente che lo circonda; questa è la linea che caratterizza i nostri progetti, o meglio, che ha caratterizzato ciò che abbiamo realizzato finora. Adesso siamo in una fase di bilanci, stiamo cercando di dare una direzione alla nostra produzione futura e siamo aperti a ricevere nuovi input». In futuro, tra i progetti che vedranno impegnato il collettivo, potrebbe farsi strada anche la possibilità di dirigere un lungometraggio di finzione? «Non è un progetto che vediamo nel nostro prossimo futuro, ma un film come La pivellina è nelle nostre corde. Un’altra pellicola che ci ha colpito molto è Piccola patria, che racconta una determinata regione utilizzando attori giovani. A noi interesserebbe raccontare il Nordest inserendo elementi documentaristici in un contesto fictional e questo sarebbe un tipo di progetto in linea con il nostro background. Poi chissà, magari ci ritroveremo a fare un film di fantascienza».
www.enecefilm.com 24
- Speciale Mestieri -
CASTING DIRECTOR
KING foto FRANCESCA FAGO
È FONDAMENTALE PER LA RIUSCITA DI UN FILM, MA IL SUO RUOLO NON È ANCORA ADEGUATAMENTE CONOSCIUTO E RICONOSCIUTO: PARLIAMO DEL CASTING DIRECTOR, CHE IN ITALIA SPESSO È TUTTORA CONSIDERATO UN ESPONENTE DEL REPARTO REGIA.
MAKERS
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Dario Ceruti
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K Francesca Borromeo
Chiara Natalucci
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K
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Stefania Rodà
Chiara Agnello
In realtà, come spiega Costanza Boccardi, che ha lavorato con Martone, Sorrentino e Garrone, «la direzione del casting è un lavoro autonomo e complesso che richiede precise competenze di base e un adeguato livello di preparazione; sono necessari un’ampia conoscenza della storia del teatro e del cinema, del lavoro attoriale, oltre allo svolgimento di un ruolo di mediazione tra le richieste economiche e artistiche, poiché spesso le scelte della produzione e della regia sono guidate da motivazioni divergenti». Il casting director deve interpretare l’idea del regista aiutandolo a trovare i volti e i corpi che animeranno il suo universo, ma senza mai «sovrapporre la propria visione a quella del regista». Un compito che ha quasi «qualcosa di divinatorio». Per dare visibilità a questa figura e difederne i diritti professionali è nata l’UICD, associazione che riunisce 60 casting director cinematografici, teatrali, televisivi, pubblicitari e new media. In particolare l’esigenza, spiegano i soci, era quella di avere uno spazio di confronto su molteplici aspetti, dalla promozione della figura professionale del casting director nello spettacolo, all’introduzione della categoria all’interno delle giurie dei festival, alla creazione anche in Italia di un premio per il miglior casting, sulla scia degli Emmy Awards, degli Artios Awards, dei Canadian Screen Awards e della recente istituzione del “branch” casting director nel board dell’Academy che assegna gli Oscar, quale segno di riconoscimento che il cd «svolge un ruolo essenziale nel processo di realizzazione di un film». Proprio insieme a UICD abbiamo voluto raccontare il percorso formativo e le storie di alcuni giovani esponenti di una professione che sempre più contribuisce a rinnovare il cinema italiano.
Per la location del servizio Fabrique ringrazia il Kino, via Perugia 34, Roma.
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CHIARA AGNELLO
Ho cominciato a lavorare sui set dopo una laura in storia del cinema; assistente alla regia con Roberto Andò e Roberta Torre, dopo qualche tempo mi si presentò la bellissima opportunità di curare i piccoli ruoli come casting locale per Il regista di matrimoni di Bellocchio, che si girava in Sicilia (io sono siciliana). Da allora non ho più smesso, e ho avuto la fortuna di lavorare presto con progetti come Baaria, Montalbano, Terraferma e di collaborare con casting di grande esperienza come Alberto Mangiante, Pino Pellegrino, Adriana Sabbatini. Certo, agli inizi ero molto giovane e inesperta, ho imparato da sola a capire come si gestiscono i rapporti con le agenzie e come si fanno i provini con le star. Avrei avuto bisogno allora della UICD, dove oggi è possibile confrontarsi con nomi come Jorgelina Depetris, Beatrice Krugher, Francesco Vedovati o Claudia Marotti e molti altri ai quali dobbiamo il fatto che oggi in Italia la figura del casting è diventata imprescindibile per la realizzazione di un buon film. Uno dei momenti che preferisco è l’emozione che provo ogni volta che davanti a me si siede un attore sconosciuto che riesce a incarnare con naturalezza proprio quello che stavo cercando. Oppure il poter lavorare con registi esordienti, come Fabio Grassadonia e Antonio Piazza che mi chiamarono per il loro Salvo: dopo una lunga ricerca ci imbattemmo in una sconosciuta ma già straordinaria Sara Serraiocco, che poi ho ritrovato in Cloro e che mi ha pubblicamente ringraziato alla prima del film al festival di Berlino per avere creduto in lei. Ora sto lavorando a un progetto per il cinema scritto da Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli, autori di Gomorra - La serie, che debuttano alla regia, per i quali ho già cominciato la ricerca dei protagonisti con un occhio al web, perché oggi è lì che puoi trovare nuovi talenti. Dico sempre scherzando è che il lavoro di casting è simile a quello degli analisti: da un casting puoi capire tutti i traumi infantili del regista...
CHIARA NATALUCCI
«IL LAVORO DI CASTING È SIMILE A QUELLO DEGLI ANALISTI: DA UN CASTING PUOI CAPIRE TUTTI I TRAUMI INFANTILI DEL REGISTA...». C.A.
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Studiavo filosofia e amavo il cinema. Durante uno degli ultimi esami ho incontrato un aiuto regista che conoscevo e gli ho detto che mi sarebbe piaciuto fare il suo lavoro; mi ha risposto «laureati e poi richiamami». E così ho fatto. Ho cominciato come assistente alla regia su una serie RAI prodotta da Sergio Silva (l’inventore de La piovra); durante la preparazione, essendo l’ultima arrivata, mi occupavo di tutto, e molto spesso dei provini. Davo le battute agli attori, ero piccolina e il regista mi costringeva sempre a mettere due elenchi sotto i piedi perché lo sguardo del candidato non andasse troppo in basso. La cosa divertiva tutti e anche me. Ho lavorato per qualche anno su vari set, quindi come planner in Taodue. Il ruolo di casting e casting director ha preso il sopravvento dopo poco: prima come assistente di Lilia Trapani e poi con Marita D’Elia, Adriana Sabbatini e Betta Curcio in Taodue per tutte le serie che Pietro Valsecchi ha prodotto tra il 2008 e il 2012 (fra cui Distretto di polizia, Squadra antimafia). Amo molto fare i provini sui tanti ruoli, grandi e piccoli, per una serie: ti dà la possibilità di vedere molti attori e capire di ciascuno, anche in poco tempo, cosa sfruttare. Paradossalmente penso che il mio lavoro sia molto più prezioso in questi casi: il ruolo è appena descritto, ma fondamentale nello sviluppo della storia, il regista ha poco tempo e probabilmente sta già girando, la produzione, costumi, parrucchieri e truccatori non ne parliamo. Molto dipende quindi dal proporre l’attore giusto, capace in un tempo limitato di creare un ruolo e far procedere l’azione insieme agli altri protagonisti. In questo momento sto dirigendo il casting di due film: Tutto quello che vuoi di Francesco Bruni e Lasciati andare di Francesco Amato. Ho da poco chiuso il casting del nuovo film di Gianni Zanasi La felicità è un sistema complesso con Valerio Mastandrea, Giuseppe Battiston, Hadas Yaron. Il nostro è un lavoro che, fatto con competenza e creatività, può avere
un peso determinante per la riuscita di un prodotto cinematografico o televisivo. Spesso la composizione del cast contribuisce ad assicurare al progetto una parte dei finanziamenti, un prestigio che lo rafforzerà nella promozione e distribuzione e infine, ma prima di tutto, i volti che incarneranno il film stesso agli occhi del pubblico. I provini rappresentano un passaggio importante e delicato per i registi, per gli attori, ma anche per noi casting. Fare un buon provino per me vuol dire molte cose, ma soprattutto capire insieme all’attore quale può essere il suo contributo specifico e vincente per un dato ruolo. Io sono inoltre convinta del valore del provino come momento formativo dell’attore e del progetto. Dopo un provino l’attore a volte è cresciuto, ha scoperto cose di sé, di un testo, della recitazione che prima non sapeva, e forse al prossimo provino sarà un attore nuovo.
DARIO CERUTI
Da bambino sono rimasto impressionato da Richard Donner, venuto vicino a casa per girare alcune scene di Ladyhawke. Mi sono avvicinato giovanissimo al teatro con una piccola compagnia locale, ma è stato Ovosodo di Virzì che mi ha entusiasmato: seduto sulle scomode poltrone del mitico “Astor”, un cinemino di provincia, ho iniziato a fantasticare e a chiedermi come fare a entrare nel mondo “dietro lo schermo”. Stabilito che avrei voluto essere “operaio” e non attore, dopo un master in comunicazione sono partito per Roma con l’idea che il cinema fosse un lavoro di squadra inclusivo, dove si dialoga e si cerca una soluzione condivisa. Ho iniziato a lavorare per i film come “garzone della cattedrale”: prima da volontario, poi assistente alla regia. Ma lo sguardo andava sempre verso quel mestiere oscuro quanto essenziale, quello del casting director, oggi segmento nevralgico della macchina cinema. Dopo la ricerca di Alice per Caterina va in città, aver girato (nel senso letterale) la sedia della Ferilli in Tutta la vita davanti, aver provinato (anche grazie ai miei storici amici-colleghi Elisabetta Boni e Lorenzo Grasso) più di 6000 bambini per La prima cosa bella sto preparando La pazza gioia, il nuovo film dell’autore che mi ha fatto innamorare del mestiere del cinema: Paolo Virzì. Quando leggerete questo articolo saremo sul set. I miei lavori hanno sempre spaziato tra cinema, teatro e tv, collaborando con registi come Archibugi (Lezioni di volo), Pellegrini (I liceali), Cappuccio (I delitti del Bar Lume), Guzzanti (La trattativa), Halilovic (Io rom romantica), Veltroni (I bambini sanno), Falcone (Se Dio vuole). Non ho mai fatto distinzione sulle metodologie di ricerca degli attori: ho trattato gli script del cinema, del teatro e della tv sempre con la stessa passione e dedizione guardando al modello anglosassone o americano. Mi auguro per il prossimo futuro di poter partecipare a progetti nazionali che si ispirino alla
«IO SONO CONVINTA DEL VALORE DEL PROVINO COME MOMENTO FORMATIVO DELL’ATTORE E DEL PROGETTO». C.N.
FRANCESCA BORROMEO
«BISOGNA ESSERE CURIOSI E PORSI IN ASCOLTO». D.C.
«IL CASTING È E DOVREBBE ESSERE SEMPRE IL MIGLIOR COLLABORATORE DELL’ATTORE». F.B.
qualità de Les revenants, Transparent di Jill Soloway o Orange is the new black ideata da Jenji Kohan. Cosa vuol dire essere un casting director? Esercitare la propria professione con dignità, coscienza, integrità e umanità (articolo 8 dello statuto dell’UICD). Ma a mia madre ho risposto: bisogna essere curiosi e porsi in ascolto.
Durante gli anni universitari ho frequentato la scuola “Professione Cinema”, nella quale ho seguito le lezioni tenute da Citto Maselli, Alessandro D’Alatri, Maurizio Sciarra e molti rappresentanti dei reparti artistici e tecnici del cinema italiano, e contemporaneamente ho affrontato le mie prime esperienze di set come assistente volontaria di regia. Ben presto ho capito che il punto focale della mia passione per il cinema ruotava intorno all’incontro tra il processo creativo registico e quello attoriale e mi sono definitivamente impegnata nell’attività di casting. Ho iniziato come assistente di Francesco Vedovati, che è stato un maestro insostituibile per me. Oggi porto avanti un percorso professionale che mi ha condotto a firmare film e serie come Cosmonauta di Susanna Nicchiarelli, L’ultimo terrestre di Gipi, Gianni e le donne di Gianni di Gregorio, Smetto quando voglio di Sydney Sibilia, La mafia uccide solo d’estate di Pif, Vergine giurata di Laura Bispuri, Noi e la Giulia di Edoardo Leo, la serie 1992, Italian Race di Matteo Rovere (di prossima uscita nelle sale). A mio modo di vedere il lavoro di casting si fonda su tre cardini: preparazione attoriale, visione e capacità di riconoscimento del talento. Il nostro compito inizia con la lettura della sceneggiatura, e quando la sentiamo vicina alla nostra sensibilità, già molti
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«CIÒ CHE MI INTERESSAVA DAVVERO NON ERA LA MIA RECITAZIONE, MA LA RECITAZIONE TOUT COURT». S.R.
volti iniziano a prendere forma. Poi viene il primo incontro con il regista, l’inizio di un viaggio che porterà a condividere l’essenza del film. Occuparmi di film d’autore ma anche di molta commedia e di opere prime è la linea che ho perseguito in questi anni: sostenere la nascita di un autore e aiutarlo a prendere scelte libere e rischiose mantiene forte il senso del mio lavoro. La mia attività quotidiana è fatta di incontri con gli attori, e soprattutto di provini. Vorrei dire a quegli attori che ancora pensano che il casting sia solo un selezionatore altero, antipatico e nemico, che invece è e dovrebbe essere sempre il loro migliore collaboratore e che durante il provino siamo in due a giocarci molto: è un incontro che si basa esclusivamente sulla reciprocità degli intenti e sul principio di una crescita comune.
STEFANIA RODÀ
Sono nata in un paesino della Liguria dove il cinema semplicemente non esisteva e non esiste tutt’oggi, l’unico riferimento era l’insegna “Cinema Ariston” che si reggeva per misericordia ancora al muro e che sovrastava una ex sala ormai sventrata. Per vedere un film era necessario prendere un mezzo e pazientare almeno mezz’ora. Mi trasferisco a Torino per l’università e, per una rocambolesca concatenazione di eventi, mi ritrovo iscritta a un corso di recitazione. Torino cinematograficamente in quel periodo viveva un momento magico, a
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ogni angolo erano parcheggiati mezzi di produzioni che stavano girando film o serie tv. Comincio a farmi le ossa con piccoli ruoli, ma ben presto capisco che: 1) volevo lavorare nel cinema 2) ciò che mi interessava davvero non era la mia recitazione, ma la recitazione tout court. Appallottolato il diploma di laurea di interprete mi trasferisco a Roma, continuo gli studi di recitazione con l’immensa Beatrice Bracco e comincio a lavorare come assistente alla regia, poi come secondo aiuto e infine come acting coach soprattutto per bambini e
ragazzi, attività che svolgo tuttora. A 27 anni la prima occasione come casting director con Il commissario Manara. Seguono casting di film come Boris-Il film e Ogni maledetto Natale di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo, ma soprattutto opere prime: Italo di Alessia Scarso, Banana di Andrea Jublin, Come non detto di Ivan Silvestrini, Pulce non c’è di Giuseppe Bonito. Lavoro poco per la televisione e più per il cinema, in particolare cinema indipendente, intervallato a progetti con budget più alti. Sempre un’opera prima è il film appena terminato Pecore in erba regia Alberto Caviglia, progetto low budget che come tale ha richiesto molto ingegno per raggiungere un buon livello di cast. Ogni film è un viaggio a sé, ogni regista è un mondo e capire chi sta cercando è la sfida più grande. La fase del casting è sempre molto delicata per un regista, la scelta degli attori dà vita a personaggi fino a quel momento scritti solo su carta e questo ha sempre un che di magico. A volte bastano il materiale fotografico e i provini tradizionali, per altri ruoli invece è necessaria un’altra strada, la mia preferita: lo street casting aperto ad attori non professionisti, un lavoro lungo e capillare sul territorio, ma che riserva delle sorprese incredibili. Ad esempio per Pulce non c’è la protagonista Giovanna, 13 anni, e la sorella autistica Margherita (Pulce) di 8, sono state trovate dopo un lavoro massiccio di street casting durato mesi in cui ho incontrato 4.000 ragazzine senza esperienza di set a Torino e provincia. Oggi la protagonista è una giovane attrice a tutti gli effetti e in questo momento sta girando una fiction. Questo dovrebbe essere uno degli obiettivi dei casting director, scovare talenti fuori dai circuiti tradizionali. Lo scouting immette linfa vitale in un ambiente che altrimenti rischierebbe di rimanere chiuso e stantio. È quindi fondamentale per un cd andare a teatro il più possibile, vedere corti, serie web e tutto ciò che può arricchire la sua conoscenza di attori per non rischiare di ricorrere sempre ai soliti nomi.
- Dossier -
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NUOVE (TELE) VISIONI
LA REGINA DEL SALOTTO È
SMART Lo scorso 7 aprile, in un altrimenti anonimo martedì post-pasquale, i media di tutto il mondo salutano un avvenimento atteso da mesi: la tv via cavo americana HBO lancia ufficialmente la propria versione online, sempre a pagamento, ma aperta a tutti i possessori di dispositivi iOS e non solo agli spettatori già abbonati al suo pacchetto di pay-tv.
di LAURA CROCE illustrazioni LORIS NESE
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L
a destinazione si chiama HBO Now e non è sola nell’universo della rete: altre emittenti americane nel frattempo sono sbarcate sul web con un’offerta cosiddetta standalone, cioè autonoma rispetto a quella veicolata attraverso i canali tradizionali di distribuzione dei programmi tv quali cavo, etere e satellite. Tra queste il potente broadcaster CBS e Sling TV, costola della satellitare Dish, che tra l’altro include contenuti di altri canali proponendosi perciò come aggregatore di programmi tv con costi diversi e offerte diverse ritagliate sulle esigenze dei nuovi utenti della tv online. Quelli che negli USA hanno da tempo battezzato cord cutters e che stanno tagliando il “cordone ombelicale” della cable tv per rivolgersi a nuovi operatori, detti over the top (OTT), capaci di trasmettere direttamente su internet e bypassare con lo streaming i vecchi modelli di business e di comunicazione, abbattendo di conseguenza anche i prezzi proposti al pubblico. Morale della favola? Dopo un braccio di ferro andato avanti per anni con HBO, i fan di Game of Thrones che non intendevano acquistare l’abbonamento alla pay-tv solo per vedere la loro serie preferita, alla fine hanno vinto e si sono potuti godere legalmente in streaming l’inizio della quinta stagione. Può sembrare assurdo a un pubblico
come il nostro, abituato in larga parte ad aspettare i nuovi episodi rigorosamente in versione pirata il giorno dopo la messa in onda dall’altra parte dell’Atlantico, ma nel 2012 gli spettatori USA lanciarono addirittura una petizione sul web, Take My Money, HBO!, per convincere il canale a sganciare la sua app per la tv everywhere dal costoso pacchetto via cavo, permettendo così agli internauti di pagare per vedere con tranquillità la loro serie
anziché rivolgersi all’offerta illegale. Il paradosso è che fino allo scorso aprile ciò non è avvenuto, lasciando che il serial balzasse ogni volta in cima alla classifica degli show più piratati sul web. A convincere HBO a fare il salto verso internet non sono stati perciò i tanto vituperati “scariconi”, che a quanto pare non hanno mai inciso tanto sugli introiti del network da spingerlo ad abbandonare le rendite assicurate dal vecchio modello distributivo:
a determinare il cambiamento è stato invece l’incalzare dello streaming legale offerto proprio dagli OTT, i cui nomi sono ormai noti a livello mondiale. Si tratta dei famosi servizi di video on demand come Netflix, che con meno di 10 dollari al mese permettono di accedere a un catalogo con migliaia di titoli tra film e serie tv, tra cui spiccano anche titoli autoprodotti e presenti in esclusiva sulla piattaforma, come il celeberrimo House of Cards. Ma ci sono molti altri servizi di video on demand ad abbonamento (SVOD), come Amazon Prime, che dopo aver contribuito a “smaterializzare” l’home entertainment, restringendo in modo significativo il già sofferente mercato di DVD e Blu-ray, oggi stanno contribuendo a definire anche un nuovo modello di fruizione del prodotto audiovisivo all’interno delle mura domestiche, costringendo all’evoluzione perfino i sonnacchiosi “dinosauri” televisivi.
«I NUOVI UTENTI DELLA TV ONLINE NEGLI USA LI HANNO BATTEZZATI CORD CUTTERS, PERCHÉ STANNO TAGLIANDO IL “CORDONE OMBELICALE” DELLA CABLE TV PER RIVOLGERSI A NUOVI OPERATORI». 33
LA NUOVA
«IL DISPOSITIVO PIÙ POPOLARE PER CONNETTERE IL PICCOLO SCHERMO IN RETE PER ORA RESTANO LE CONSOLE PER VIDEOGAME».
TV
Nonostante il trambusto creato dalla rete, pare proprio che la regina del salotto continui a mantenere la corona. Certo, Netflix, Amazon Prime o Hulu sono tutti portali accessibili anche da PC, tablet e smartphone, eppure la tendenza volge al protagonismo dello schermo televisivo, per quanto sempre più connesso e trasformato nel suo utilizzo. Si stima che negli Stati Uniti ci siano 22 milioni di smart tv, quelle dotate cioè di collegamento integrato a Internet più altre funzioni di nuova generazione come comandi vocali, integrazione coi social network, applicazioni e possibilità di essere usate in modo combinato con le altre apparecchiature smart dell’ecosistema domestico. All’ultimo Consumer Electronics Show di Las Vegas, punto di riferimento mondiale dell’elettronica di largo consumo, ha fatto addirittura il proprio debutto il bollino “Netflix Recommended TV”, per contrassegnare le smart tv che offrono la migliore esperienza di visione connessa. Ma non finisce qui, perché molti sono gli spettatori meno aggiornati dal punto di vista tecnologico che non rinunciano a collegare il televisore tramite apposite chiavette o settop box. Questi player multimediali, che si inseriscono alla presa HDMI del piccolo schermo e vi trasmettono i contenuti via streaming, sono diffusi nel 24% delle case statunitensi e fanno capo ai principali marchi del web. Apple TV e Roku sono stati i pionieri di un settore dove, in poco più di un anno, la lista dei concorrenti si è arricchita di nomi quali Google Chromecast, Amazon Fire TV e Fire TV Stick, Microsoft Wireless Display Adapter e l’Android TV, che sta scaldando i motori con Nexus Player. Il dispositivo più popolare per connettere il piccolo schermo in rete, tuttavia, per ora restano le console per videogame. Forti di una diffusione che precede quella del video on demand, i device come Playstation e Xbox
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OTT, over the top, sono gli operatori in grado di trasmettere direttamente online, come Netflix e Amazon Prime.
stanno assumendo un ruolo fondamentale nella corsa al nuovo modello di tv. Non a caso, tra i nomi che si sentono ripetere più spesso accanto a quello di HBO Now c’è Playstation Vue, servizio di video on demand lanciato da Sony e costruito esattamente sulla falsariga di un vecchio abbonamento televisivo. La sua offerta, rivolta ovviamente ai soli possessori della console, comprende un’ampia varietà di canali al prezzo di 49,99 dollari al mese, contro i 64 dollari necessari per un pacchetto via cavo standard. Un nuovo modello di streaming legale, insomma, basato su costi più alti rispetto a quelli finora praticati dallo SVOD ma con contenuti di tipo “premium” e un’organizzazione per canali molto simile a quella di un’emittente tradizionale. Questo sarà a grandi linee anche il volto della nuova televisione. Un dispositivo che, almeno per un po’, manterrà la stessa posizione all’interno del nucleo domestico e nella gerarchia mediatica, ma in cui la visione dei
programmi avverrà on demand, la competizione tra canali non verterà più sulle frequenze bensì sulla visibilità delle diverse app nei menu principali e la partita si giocherà non più su fasce di pubblico, bensì sul singolo spettatore. Una televisione in cui la user experience conterà quasi quanto il prezzo, portando in primo piano variabili come la facilità di navigazione, la qualità dello streaming, la raffinatezza degli algoritmi che generano i suggerimenti, la possibilità di personalizzare il servizio e l’integrazione con il mobile. Per quanto legata al salotto e al fisso, la spinta verso la nuova tv si nutre infatti di un modello di consumo audiovisivo che, grazie al proliferare di smartphone e tablet, ormai risulta definitivamente improntato al principio dell’ATAWAD (anytime, anywhere, any device). Il nuovo spettatore potrebbe, ad esempio, cominciare a vedere un film la sera e riprenderlo dal punto in cui l’ha lasciato la mattina dopo, col suo tablet, mentre va a lavoro e viceversa.
La formula è semplice: meno ostacoli verranno messi all’esperienza offerta all’utente, più aumenteranno le chance di consumo e quindi il successo delle piattaforme. Ciò include anche la questione delle finestre, vale a dire il lasso di tempo che deve trascorrere tra la distribuzione sui diversi canali di sfruttamento del prodotto film. Una scansione cronologica prima molto rigida, che ha cominciato a perdere terreno già sotto gli strali del noleggio e dell’acquisto di film online piuttosto che su DVD e Blu-ray, e ora più che mai destinata a decisive revisioni. Soprattutto per quelle fasce di prodotto d’autore e di nicchia per cui la distribuzione sul web costituisce una valida alternativa da affiancare a quella in sala. La domanda a questo punto è, che succederà in Italia, dove la banda larga è in netto ritardo rispetto agli altri paesi europei, e dove i termini EST e VOD (rispettivamente acronimi di electronic sell-trough e video on demand) cominciano solo adesso a ricordare al pubblico il mercato dell’audiovisivo piuttosto che il nome di un vino o di un superalcolico? (1- continua)
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CLICK. SCATTIAMO UNA FOTO, ADESSO, AL MIGLIOR CINEMA ITALIANO. GUARDIAMO NELL’OBIETTIVO. E TROVIAMO ALCUNE SORPRESE. L’IMMAGINE, A LUNGO FUORI FUOCO, È NITIDA E DEFINITA. IL SOGGETTO NON È PIÙ SULLO SFONDO, MA IN PRIMO PIANO. INFINE: IL CENTRO DELLA FOTO NON È UNO SOLO.
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TRE UNA ICONA
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SORRENTINO GARRONE MORETTI
O di ILARIA RAVARINO foto FUTURA TITTAFERRANTE
OGGI, CI RACCONTA QUELLA FOTO, IL CINEMA ITALIANO NON È PIÙ AFFIDATO ALLA GLORIA DI UN “CAMPIONE” SOLITARIO, MA ALLA SOLIDITÀ DI TRE AUTORI. REGISTI CAPACI DI RACCONTARE, INVENTARE, (DURARE) E COSTITUIRE, INSIEME, UN’UNITÀ. TRE PROSPETTIVE DIVERSE PER UNA SOLA ICONA: QUELLA DEL MIGLIOR CINEMA POSSIBILE.
ADESSO.
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«PER ME I FILM DEVONO ESSERE COSÌ: REALISTICI, COMMOVENTI E DIVERTENTI». P.S.
«IL NOSTRO CINEMA SI È RIMESSO IN MOTO, LA CRISI È QUELLA DELLE SALE». M.G.
«QUALSIASI ARGOMENTO, QUALSIASI TEMA PUÒ PORTARE A UN SUCCESSO O A UN DISASTRO». N.M.
PAOLO SORRENTINO
Weniger Fellini, mehr Visconti, scriveva la critica tedesca all’uscita dalla proiezione di Youth di Paolo Sorrentino, allo scorso festival di Cannes. Meno vicino a Fellini, insomma, ma «sempre grande». E dire che il nostro autore più internazionale, fresco di Oscar e già al lavoro su altri orizzonti di gloria (The Young Pope, con Jude Law), questo progetto lo considerava «un piccolo film». Piccolo in che senso? Nel senso che volevo fare un film più semplice de La grande bellezza. Volevo solo far ridere e commuovere. Due cose che in generale provo a fare sempre, anche se spesso non mi riesce. Per me i film devono essere così: realistici, commoventi e divertenti. La sceneggiatura, questa volta, la firma da solo. Come mai? In realtà scrivo sempre da solo e in un secondo tempo giro la prima stesura del copione allo sceneggiatore. Tornerò senz’altro a collaborare con Umberto Contarello: stavolta ho scritto tutto così velocemente che non ho fatto in tempo a chiamarlo. Qualcuno dice che Youth sia il suo film più personale. È così? Il tema è personale, mi stava a cuore. In generale ho molti pudori a girare film sull’amore e quindi sublimo, virando sui rapporti d’amicizia, su quelli tra genitori e figli, sulla memoria. Ha girato il film in inglese. Perché? Una scelta quasi obbligata, visto che i miei attori erano internazionali. E comunque non ci vedo niente di male. Le nuove generazioni hanno una cultura di riferimento che non è solo quella italiana, sarebbe strabico fare paragoni tra i registi italiani di oggi, che usano liberamente la lingua inglese, e quelli di ieri per cui esisteva solo l’italiano. Il cinema italiano sta rinascendo? Sono d’accordo con Nanni Moretti. Credo che la rinascita del cinema italiano sia ancora frutto di exploit personali più che di un’onda collettiva.
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GLI ESORDI
SEGRETI DA RUBARE
Napoletano, classe 1970. Papà direttore di banca, mamma casalinga, sceglie il cinema dopo aver abbandonato l’università «abbondantemente fuori corso». Viene ammesso a Roma al Centro Sperimentale di Cinematografia e gira il primo corto, Un paradiso, a 24 anni. A 28 il corto L’amore non ha confini, colpo di fulmine con i produttori della Indigo Film: è la prova generale per l’esordio al lungo, L’uomo in più, che arriverà alla Mostra del Cinema di Venezia. Tre anni dopo ecco il secondo film, Le conseguenze dell’amore (2004), selezionato a Cannes.
Intraprendenza: Il cinema chiama, l’Italia non risponde, Garrone non si arrende. «Le banche italiane non hanno dato soldi alla mia casa di produzione perché era troppo piccola. E così, per il Racconto dei racconti, mi sono rivolto ai francesi». Vivere nel film: «Fino a Reality sono stato operatore di macchina di tutti i miei lavori: così vivo la scena con gli attori, e da regista mi accorgo di cose cui un operatore non farebbe caso».
SEGRETI DA RUBARE
NANNI MORETTI
Fare squadra: Non solo Toni Servillo. Sorrentino conosce negli anni ’90 Nicola Giuliano, che diventerà il suo produttore, e al Centro Sperimentale Umberto Contarello. Con lui scrive la prima volta nel 1998: insieme arriveranno all’Oscar. Non si vive di (solo) cinema: Musica, letteratura, arte. L’ispirazione non deve chiudersi nell’autoreferenzialità del cinema. «Non vado molto al cinema. Trovo la cinefilia sterile».
MATTEO GARRONE
Gloriously mad, rigorously imagined, visually wonderful: il film di Matteo Garrone, per la critica anglofona a Cannes, è stato un colpo di fulmine. Quel genere di film difficile da dimenticare, «che ti lavora dentro» nelle parole del suo regista, noto al pubblico internazionale per Gomorra e Reality, premiati nel 2008 e nel 2012 a Cannes, e tornato in sala con un film apparentemente estraneo al suo percorso: il fantasy Il racconto dei racconti. Perché un fantasy? Volevo fare un film per il pubblico, prima che per i festival. Un film che emoziona, che ti resta dentro. Insomma volevo mettermi nei guai: un fantasy in Italia, una scelta masochistica e un po’ incosciente. Si dice: è fuggito dalla realtà. È un film rischioso, lo so. Ma non credo che rompa con il mio percorso artistico, anzi. Sono sempre partito dalla realtà per arrivare a una dimensione fantastica, ora provo a fare il contrario: parto dai racconti magici di Basile e li porto in una dimensione più concreta. Perché ha girato in inglese? Volevo dare un respiro più internazionale alla storia. Ma c’è tanta Italia nella maniera in cui abbiamo realizzato il tutto. Il risultato al box office la preoccupa? So bene che realizzare un fantasy non è una scelta commercialmente sicura, ma lo volevo fare lo stesso. Non ne ho pianificato costi e possibili ricavi. Il cinema italiano sta rinascendo? Il nostro cinema si è rimesso in moto, la crisi è quella delle sale. Ma i film si continuano a fare, anche spendendo milioni. E i modi per vederli ormai sono altri. Non c’è solo la sala.
GLI ESORDI Figlio di un critico teatrale e di una fotografa, Matteo Garrone nasce a Roma nel 1968. Diplomato al liceo artistico e appassionato pittore, prima dei vent’anni è già sui set come aiuto-operatore. A 28 anni vince il Sacher d’Oro con il corto Silhouette, che l’anno successivo diventerà uno dei tre episodi del suo primo lungo, Terra di mezzo. Prima del successo con L’imbalsamatore, nel 2002, passeranno sei anni e altri due film. Gomorra, che nel 2008 lo consacrerà anche a livello internazionale, è il suo sesto film. E il suo primo successo di pubblico.
Mélancolie et vitalité, tristesse et amour, comique et tragique, misanthropie et humanisme: talmente pieno «di tutto ciò che è essenziale» che Mia madre di Nanni Moretti, per la critica francese, sarebbe stato già Palma d’oro al terzo giorno di Cannes. Uscito sorprendentemente a mani vuote dal festival, Moretti ha comunque incassato il miglior risultato possibile per un regista fuori dal proprio paese: un’accoglienza calorosa e trasversale e la vendita del film in oltre 30 stati. Con Mia madre torna sul tema della morte. Perché? Mi viene difficile parlare in astratto dei miei film, rischio di generare confusione e basta. Di certo a vent’anni non avrei mai fatto un film così: più vai avanti e più, inevitabilmente, cominci a riflettere sulla morte. Ma se La stanza del figlio aveva a che fare solo con il fantasma della paura, Mia madre invece racconta un evento che ho realmente vissuto. In che altro modo si sente diverso dal Moretti ventenne? Una volta ero più severo con gli attori, li consideravo come pedine da muovere all’interno del mio gioco. Ora mi sento più vicino a loro, empatizzo. E poi ecco: stavolta non ho sforato il budget, per me è una novità. Sarà diventato più sicuro... Per niente. Sono in questo ambiente da decenni, ma non ho mai conquistato la sicurezza. Il giorno prima delle riprese ho ancora gli incubi, gli stessi di quando ero giovane: arrivare impreparato sul set, perdere o dimenticare qualcosa di importante... Il senso di inadeguatezza mi appartiene. E non è che con il tempo o l’esperienza le cose migliorino. Qual è, per lei, lo scopo del cinema? Fare buoni film, possibilmente innovativi, che evitino il già visto. Non credo che sia indispensabile scegliere argomenti privilegiati, di serie A o di serie B: qualsiasi argomento, qualsiasi tema può portare a un successo o a un disastro. Il cinema italiano sta rinascendo? A Cannes c’erano tre film italiani in gara e altri nelle varie sezioni: mi sembra però più il frutto di iniziative individuali che non di una miglioria generale del sistema.
GLI ESORDI Nato a Brunico nel 1953 da genitori romani, entrambi professori, segue un corso di studi classico e a vent’anni gira il primo corto, La sconfitta, con una cinepresa Super 8. Un anno dopo arriva il mediometraggio Come parli frate? e il primo ruolo da protagonista. L’esordio al lungo a 23 anni, con Io sono un autarchico, ma il primo film “professionale” – in presa diretta e in 16mm – è del 1978, Ecce Bombo.
SEGRETI DA RUBARE Uscire dalla sala (d’attesa): «Dopo i primi corti avevo scritto la mia prima sceneggiatura, ma era difficile non dico produrla, ma anche solo farla leggere. Dopo un po’ di sale d’attesa capii che, anziché lamentarmi, avrei dovuto fare da solo. Ancora in Super 8». Evitare la solitudine: «A un buon regista serve una scuola di cinema ma soprattutto serve un proprio gruppo di lavoro: la solitudine può essere esaltante ma alla fine è faticosa e noiosa».
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HIT RUN AND
PASSANO CON DISINVOLTURA DAL CINEMA ALLA TELEVISIONE, DAL TEATRO AL WEB. MESKAR, MARRA, TERSIGNI, GUIDONE, FERRARA, LATERZA. RICORDATEVI I LORO NOMI E I LORO VOLTI, MA ATTENZIONE: SI MUOVONO VELOCI...
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a cura di ISAURA COSTA foto ROBERTA KRASNIG Stylist STEFANIA SCIORTINO Hairstylist FEDERICO FARAGALLI Assistenti hairstylist SELIMA ZARETTI Make up AZZURRA ANIMOBONO, CINZIA CENTOFANTI, ALESSIA FONTANA, FEDERICA GRASSI (per Simone Belli MAKE UP ACADEMY) Per gli abiti si ringrazia REDSHOWROOM Per le scarpe si ringrazia BLOCCO3 Occhiali EYEPETIZER Location ACCADEMIA L’OREAL
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Daniela Marra
Ludovico Tersigni
Bio: 20 anni, nato a Reggio di Calabria. Mi piace scoprire e sperimentare diversi approcci alla recitazione, per questo mi affido a coach come Giles Foreman, Emmanuelle Chaulet o Les Cours Florent. Amo molto approfondire la psicologia dei personaggi anche attraverso la lettura di testi come quelli di Stanislavskij, Cechov, Strasberg o Meisner.
Bio: 30 anni, sono nata a Reggio Calabria e ho studiato alla scuola del Teatro Stabile di Torino.
Bio: 19 anni, romano, ho studiato recitazione con la Compagnia Amatoriale Giovani Artisti diretta da Paola Costantini.
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Mehdi Meskar
Works: Ho iniziato a recitare molto presto, a 15 anni. Il mio esordio al cinema è stato in Nella casa di François Ozon, un ruolo che mi ha insegnato molto e mi ha permesso di lavorare con uno dei più grandi registi francesi. Ho recitato in alcuni cortometraggi e nel 2013 sono stato scelto da Franco Dragone come protagonista, accanto a 70 acrobati e ballerini provenienti dal Cirque du Soleil, per lo spettacolo Story of a Fort, Legacy of a Nation, che ha debuttato ad Abu Dhabi in occasione del Qasr al-Hosn Festival. È proprio qui che il regista Fariborz Kamkari mi ha visto recitare e mi ha offerto il ruolo di Saladino, protagonista del film Pitza e datteri, uscito da poco nelle sale. A breve uscirà Le Secret d’Elise, una serie televisiva francese che racconta la storia di alcuni personaggi in tre momenti diversi della loro vita. Interpreto il ruolo di Yanis, un giovane che vivrà una storia d’amore con una ragazza sordomuta. Quest’estate prenderò parte al prossimo film di un importante regista francese con alcuni attori internazionali con i quali non vedo l’ora di girare: ma su questo non posso ancora dire nulla oltre al fatto di essere molto felice… Mi sarebbe piaciuto recitare in…: Una domanda molto impegnativa! Diciamo che ci sono diversi ruoli che avrei voluto interpretare: l’ultimo, che mi ha toccato profondamente, è il personaggio di Steve nel film Mommy di Xavier Dolan.
Works: In tv le serie Fuoriclasse (prima stagione), Le mani dentro la città, Baciamo le mani. Al cinema sono una delle tre protagoniste di La terra dei santi di Fernando Muraca. Sono una dei nuovi protagonisti di Squadra antimafia 7, per la regia di S. Zarmandili e K. Tassin, di cui ho da poco terminato le riprese. In teatro l’ultimo spettacolo è Le donne al Parlamento, per la regia di Vincenzo Pirrotta al teatro antico di Siracusa. La passione per la danza e il teatro mi hanno portata ad approfondire gli studi di danza, analisi del movimento e a collaborare con la compagnia Zerogrammi, Maria Consagra e la coreografa Jacqueline Bulnes. Mi sarebbe piaciuto recitare in…: Tanti, troppi film: da Bellissima e La rosa tatuata a Kill Bill di Tarantino, da Ferie d’agosto di Virzì a Un pesce di nome Wanda e, perché no, I guardiani della galassia. Ho però un debole per le commedie di Billy Wilder, mi sarebbe piaciuto interpretare Irma la Dolce.
Works: Al cinema Arance e Martello di Diego Bianchi (Zoro), Tutto può succedere di Lucio Pellegrini, L’estate addosso di Gabriele Muccino. In teatro ho recitato nei musical diretti da Paola Costantini La bella e la bestia, Notre Dame de Paris e Pinocchio. Mi sarebbe piaciuto recitare in…: C’era una volta in America, Fight Club, Pulp Fiction, Trainspotting, L’odio.
LG
Lucrezia Guidone
Giacomo Ferrara
Margherita Laterza
Bio: Ho 28 anni, sono nata a Pescara ma nelle mie origini c’è anche un po’ di cuore pugliese. Mi sono diplomata all’Accademia Nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico di Roma e successivamente ho seguito i corsi del Centro teatrale Santa Cristina. Poi ho frequentato il Lee Strasberg Theatre&Film Institute di New York e diversi corsi con Jordan Bayne e Susan Batson sempre a NY.
Bio: 24 anni, nato a Chieti, studia presso il laboratorio permanente di Alessandro Prete per attori professionisti.
Bio: Ho 27 anni e sono nata a Roma. Ho studiato Contact Theatre per tre anni mentre seguivo i corsi di Filosofia, poi sono entrata al Centro Sperimentale di Cinematografia dove mi sono diplomata a dicembre, nel frattempo ho fatto un corso estivo alla Lamda di Londra e vari corsi di canto.
Works: In teatro l’incontro fondamentale arriva con Luca Ronconi e il debutto nel ruolo della Figliastra in In cerca d’autore-Studio sui Sei personaggi. Sempre con Ronconi ho recitato poi anche ne Il panico e in Celestina al Piccolo Teatro di Milano. Al cinema ho interpretato Emma nel film di Francesco Bruni Noi4, ruolo per cui ho vinto il premio Flaiano come attrice under 30. Inoltre ho vinto il premio Ubu come miglior attrice emergente 2012, il Premio Virginia Reiter e il Premio Duse entrambi nel 2013. Nel futuro c’è sempre tanto teatro ma anche un progetto di cinema che coinvolgerà gli Stati Uniti. Mi sarebbe piaciuto recitare in…: Monster, Million dollar baby, Matrimonio all’italiana… troppi!
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Works: Al cinema La prima volta di mia figlia regia di Riccardo Rossi; Suburra regia Stefano Sollima per Sky cinema. A teatro L’ultima notte e Il sogno di una vita regia Alessandro Prete. Mi sarebbe piaciuto recitare in…: Mio fratello è figlio unico, La meglio gioventù, Taxi driver.
Works: Ho esordito in Dora, mediometraggio di Sergio Basso, poi ero ne Il terzo tempo di Enrico Maria Artale e nella serie The Borgias III. In lavorazione Il paradiso delle signore, nuova serie RAI in costume (nel ruolo della cattivissima Monica), 29, cortometraggio di Iacopo Zanon, al fianco di Giovanni Anzaldo. A teatro sono stata protagonista di The One regia di Roberto Di Maio e di Vita di Maria Vergine di Pietro Aretino accanto a Giancarlo Giannini. Mi sarebbe piaciuto recitare in…: Into the Wild, Colazione da Tiffany, Fight Club, Amores Perros e mille altri!
GF
ML
- Soundtrack -
L’A CCORDO PERFETTO
Cercavamo il nome giusto per inaugurare la nuova rubrica di Fabrique dedicata alla musica per il cinema, e abbiamo incontrato l’energia e la passione di Marco Fasolo, leader dei Jennifer Gentle, la prima rockband italiana messa sotto contratto dall’americana Sub pop (Nirvana, Soundgarden, Mudhoney).
di ROBERTA FORNARI
MARCO HA CONCLUSO DA POCO LA REALIZZAZIONE DELLA COLONNA SONORA DI ALASKA, IL PROSSIMO FILM IN USCITA DI CLAUDIO CUPELLINI, CON IL QUALE AVEVA GIÀ PIÙ VOLTE LAVORATO.
Com’è nata questa collaborazione? È nata molto tempo fa dall’amicizia di Claudio con Alessio Gastaldello, il batterista storico della band. Nel periodo in cui Claudio frequentava ancora il Centro Sperimentale abbiamo musicato il suo cortometraggio Come tu mi vuoi. In seguito ho lavorato sulla musica del corto Chi ci ferma più, e da quel momento siamo rimasti in contatto. Tempo dopo ho composto un brano per Una vita tranquilla (Little Carol), e per Alaska invece mi sono occupato di circa metà delle musiche del film, un lavoro molto più intenso e complesso. Cosa ti ha chiesto per Alaska? Dovevo creare attraverso la musica l’identità del locale “Alaska”, dando un carattere forte ad alcune scene che avvenivano al suo interno. Sono andato ad approfondire paesaggi e sonorità musicali molto poco comuni per quello che è il mio fare musica. Evidentemente Claudio mi ha coinvolto proprio perché, al di là di quello che faccio solitamente, era certo che con me avrebbe potuto creare qualcosa di caratterizzante. Inoltre, essendo un grande conoscitore di musica, sapeva bene come indirizzarmi per ottenere il risultato che voleva. A proposito di questo, quanto è difficile trasporre in musica ciò che si vede e come cambia il modo di
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comporre relazionandosi a un film? Il passo più impegnativo è quello di capire esattamente il film: per quanto banale possa sembrare è essenziale capire dove il regista vuole arrivare. Per Alaska ho dovuto metabolizzare la storia, l’estetica e soprattutto i personaggi riconducendo una sonorità specifica a ognuno di essi. Mi è sempre venuto spontaneo ragionare in termini di immagini quando faccio musica. Ogni canzone che scrivo nella mia testa è un film; quindi, quando si è trattato di comporre davvero musica per un film, non dico che sia stato facile, però sicuramente sentivo di avere la scintilla necessaria. In ogni caso è molto diverso dal fare un disco, anche per il confronto diretto che c’è con il regista e la produzione: è frutto della cooperazione di molte persone. Quale valore aggiunto ritieni che la musica porti a un film? Secondo me dipende molto dal film: alcuni sono ipermusicati, altri presentano l’errore opposto. In un film ben musicato, il valore aggiunto è notevole. Di rado si può sperimentare qualcosa di più potente ed evocativo della simbiosi tra immagini e musica. Chi fa musica per film deve preoccuparsi di non essere troppo invadente oppure, se richiesto come nel mio caso, esserlo molto. Non c’è una regola. È un lavoro molto complesso, soprattutto se ti proponi di fare qualcosa che abbia spessore e capacità di arrivare dove vuole il film; altrimenti succede che la pellicola rema in una dire-
«Tanta gente anche di talento si nasconde dietro alla mancanza di condizioni ideali: io però non ritengo che dobbiamo essere serviti e riveriti, ma metterci a totale disposizione della vocazione del nostro io interiore. Amare il proprio lavoro, questa è la chiave di lettura».
zione e la musica in un’altra, e brani magari anche buoni semplicemente non sono giusti su quella scena. Un esempio di questa sinergia? Credo che uno dei vertici maggiori tra la musica e il cinema sia l’unione Fellini-Rota. Non voglio dire che in ogni film ci debba essere quel tipo di immaginario, però in quel caso l’abbinamento tra immagine e musica è stato azzeccato in maniera perfetta e maestria inarrivabile. Stesso discorso vale su cose più crude e selvagge come l’incontro ArgentoGoblin. Adoro anche il gusto che aveva Kubrick di scegliere musiche già esistenti e ridare loro un nuovo senso. La capacità di costruire questo valore aggiunto la riconosco anche in Claudio. Penso che chi faccia arte debba misurarsi con i grandi maestri. Sono i classici: sarà scontato, ma sono le cose che secondo me veramente funzionano. Parlando dei Jennifer Gentle, di cui sei autore, arrangiatore e produttore, quanto è cambiata la band dagli esordi? Mi pare che sia molto cresciuta nel corso degli anni. Ho lavorato con molti gruppi come produttore, tra cui i Verdena. Ho imparato molto con il confronto e col duro lavoro in studio: con il tempo sono cambiati sia il sound sia la scrittura, lasciando intatto lo spirito un po’ punk già presente. Anche dove ricerco la raffinatezza lo faccio con un po’ di goliardia: mi piace definirmi un “cazzone raffinato”! Ci vuole sempre una buona dose di maleducazione, di follia e d’incoscienza. Si deve spegnere la parte cosciente in una chiave quasi lynchiana, dove l’elemento del sogno diventa fondamentale. Credo molto in questa che non è una via di mezzo, è un equilibrio: c’è tanto dell’una e
dell’altra cosa, il risultato è quello che vorrei essere, mi piace l’idea di creare un giorno qualcosa di totalmente comprensibile a tutti ma anche totalmente personale. È per questo che amo i classici, perché hanno questo ingrediente, la totale personalità senza alcun compromesso e la totale fruibilità da parte di chiunque. Che consigli daresti ai giovani che vogliono intraprendere la carriera di musicisti per musiche da film? L’unico consiglio che posso dare vale per tutti, anche per chi vuole fare il calzolaio: fate quello che vi piace nel migliore dei modi possibile, anche se non avete né un soldo né un posto dove stare né qualcuno che vi appoggia. Tanta gente anche di talento si nasconde dietro alla mancanza di condizioni ideali: io però non ritengo che dobbiamo essere serviti e riveriti, ma metterci a totale disposizione della vocazione del nostro io interiore. Amare il proprio lavoro, questa è la chiave di lettura. Vorresti comporre altre colonne sonore? Con quale altro regista ti piacerebbe collaborare? Assolutamente sì. Vorrei fare musica per altri film interessanti con un regista determinato che voglia comunicare qualcosa come è stato con Claudio, qualunque progetto con una bella storia. Adoro i progetti che hanno alle spalle una o più persone, e forti delle proprie idee le portano avanti con determinazione anche andando in barba al mondo!
Ringraziamo per la collaborazione DNA Concerti. 49
- Workshop -
WEBSERIE
IL GRANDE BALZO IN AVANTI
Produttori, editori e broadcaster guardano ormai con attenzione al fenomeno delle webserie, pur in presenza di un modello di business da definire e con ritorni economici ancora poco “tangibili” rispetto agli investimenti. Di tutto questo si è discusso lo scorso 27 marzo alla tavola rotonda organizzata da Fabrique Le webserie e i nuovi mercati: dall’idea alla distribuzione. di BRUNO ZAMBARDINO*
In alto, un momento della tavola rotonda di Fabrique (al centro, Bruno Zambardino). Qui sopra The Jackal e Kubrick.
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I
I discorsi sulla perduta magia della sala, del grande schermo, mi hanno sempre lasciato freddo. Il cinema non è morto, ha solo preso altre forme. Non faccio differenzia tra un film e una buona serie tv. Emmanuel Carrère
Il mercato va nella direzione degli online short content, di ta per la tv, la serie ideata e diretta da Ludovico Bessegato durata compresa tra i 3 e i 10 minuti, come è stato confer- vede il coinvolgimento sul versante creativo di un gruppo mato al recente MipTV di Cannes: le nuove società di pro- di autori con una buona esperienza alle spalle e si affida, duzione di questi “video snack” sono un mercato in così per la distribuzione, a The Jackal, che avevano realizzato in forte espansione (si prevede una crescita del video online precedenza un’altra webserie di successo, Lost in Google. del 247% da qui al 2017) da aver attirato gli investimenti dei Nei prossimi anni la scommessa per le webserie è di uscire dalla fase pionieristica abbandonando in parte le colossi mondiali dei media. Uno sguardo a ciò che accade negli Stati Uniti può fornire sue origini grassroots per entrare in uno stadio più maturo, utili spunti di riflessione per comprendere quale direzione strutturato e di maggior collaborazione con il mondo dei potrebbe prendere il fenomeno, ancora embrionale, nel media mainstream. Come è emerso infatti dalla tavola nostro paese. Oltreoceano, il mercato delle webserie è in- rotonda di Fabrique, le webserie vivono grazie all’impefatti in una fase più matura, come testimoniano l’ampiez- gno e all’entusiasmo di giovani ed entusiasti filmmakers, za e varietà dell’offerta, i crescenti livelli di concorrenza tra ma lo slancio e il talento di queste crew artistiche non è produzioni indipendenti a basso budget e progetti gestiti quasi mai sufficiente a sopperire alla mancanza di un’ordirettamente dalle major e dagli studios e infine gli investi- ganizzazione più formalmente articolata. La scelta, promenti in produzione di contenuti originali da parte di Go- babilmente obbligata, di affidarsi quasi esclusivamente a ogle (si stimano oltre 200 milioni nel 2014). Il segmento è YouTube per la distribuzione di questi contenuti, se regagià fortemente presidiato dai principali network televisivi: la popolarità in termini di contatti e visualizzazioni, non è frequente la presenza di prequel/spin-off con il preciso restituisce un ritorno economico tale da poter puntare su intento di espandere la narrazione principale di note serie produzioni sostenibili nel lungo periodo. Ci sono naturalmente felici eccezioni, come nel caso della Ascent di Mattv in chiave promozionale. Negli ultimi anni, il fenomeno ha preso piede anche nel no- teo Rovere che ha avuto la lungimiranza di costituirsi sotto stro paese, grazie al dinamismo di alcune crew artistiche mol- forma di società giuridica e di fornire un supporto organizto note sul web e provenienti da diversi territori (The Jackal in zativo ai The Pills. Ma molti di questi progetti nascono anCampania, i Nirkiop in Puglia, i Licaoni in Toscana, The Pills cora in ambiti informali e non strutturati, forse anche per timore di vedersi o la crew del DAMS di “cannibalizzati” Roma Tre che ha dato «OCCORRERÀ USCIRE DALLA FASE PIONIERISTICA PER ENTRARE in caso di collabovita alla serie Esami) e IN UNO STADIO PIÙ MATURO, STRUTTURATO E DI MAGGIOR razioni con opeall’attenzione crescenCOLLABORAZIONE CON IL MONDO DEI MEDIA MAINSTREAM». ratori tradizionali te di case di produziocome i broadcane affermate, come Indigo, Cross Productions, Magnolia, gruppi editoriali (Fox ster. Tuttavia proprio queste alleanze possono dare la possibilità ai creatori di webserie di avviarsi su percorsi più Channels, RCS) e agenzie di comunicazione specializzate. Un cambio di marcia è giunto due anni fa grazie all’ingresso industriali, con l’apporto non solo di una più solida base in campo dell’emittente pubblica che ha cofinanziato insie- economica, ma anche di un’impostazione aziendale e una me a RCS Una mamma imperfetta affidandone la produzio- visione strategica. In ogni caso il governo sembra essersi ne alla Indigo Film. Più che una vera e propria webserie si accorto del potenziale di questa realtà. Nella convinzione è trattato di un progetto crossmediale la cui prima uscita è che l’investimento sulla creatività e sull’innovazione possa avvenuta sul web per poi migrare in televisione. Come non essere determinante per lo sviluppo del Paese, nel 2014 il citare poi il fenomeno The Pills, dapprima esploso su You- ministro Franceschini ha firmato un decreto che estende Tube, dove gli episodi scritti dagli autori e attori Luca Vecchi, il regime del credito di imposta, fino ad allora riservato al Matteo Corradini e Luigi Di Capua hanno superato i due mi- solo comparto cinematografico, all’intero settore audiovisivo. Il budget destinato al web ammonta a 2 milioni di lioni di visualizzazioni [vedi articolo Cover story]. Uno snodo importante nel percorso di crescita delle euro su un totale di 114 milioni destinati all’intera filiera webserie in Italia è rappresentato dall’impegno messo in audiovisiva. Al di là delle risorse disponibili a copertura campo dalla ex Magnolia Fiction (oggi Cross Production), dell’intervento, l’estensione della leva fiscale rappresenta prima società strutturata a cimentarsi in questo nuovo seg- un segnale importante di rinnovata attenzione del govermento produttivo. Oltre al mercato televisivo tradizionale, no a un settore che all’estero è considerato strategico e con Magnolia, già da qualche anno, sta sviluppando una forte un forte potenziale economico e occupazionale. Il provveattenzione ai prodotti alternativi destinati al web e alle te- dimento avrà un effetto benefico sulla capacità di attrarre levisioni tematiche. Un primo ben riuscito frutto di questa maggiori risorse e capitali esteri sui territori, facendo guastrategia è stato Kubrick - Una storia porno, serie uscita dagnare all’Italia posizioni competitive rispetto ad altri ternell’autunno del 2012. Concepita in origine come un pilo- ritori europei in cui gli incentivi fiscali sono già attivi.
* Docente di Economia dei Media e dello Spettacolo alla Sapienza di Roma e Direttore Osservatorio Media di I-Com.
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- Macro -
LA PISTOLA FUMANTE Esplosioni, pioggia, neve e molti altri effetti che vengono ricreati direttamente sul set sono fondamentali da sempre per il cinema, ma richiedono conoscenza dei materiali e grande esperienza. Carlo Quattrone e Raffaele Battistelli raccontano tutti i “trucchi” di una delle aziende storiche del settore che ha sede negli studi di Cinecittà. di LUCA PAPI foto BRUNELLA IORIO Come e quando nasce la vostra ditta? RB La ditta Battistelli venne fondata negli anni Trenta da mio nonno che fino allora si era occupato di fuochi d’artificio: chiamato per caso a lavorare alla produzione di un film per la sua conoscenza delle polveri da sparo, decise poi di dedicarsi alla realizzazione degli effetti speciali. È bene ricordare che si tratta non sono solo di esplosioni ma di ogni evento o situazione che per essere ricreato necessita di strumenti e maestranze: armi, neve, pioggia, fumo e vento, bottiglie o sedie che vengono rotte e così via.
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È vero che le armi impiegate sul set sono vere? RB Sì, ma sono rese innocue attraverso l’inserimento nella canna di speciali dispositivi che impediscono lo sparo di vere munizioni, però permettono l’espulsione dei gas e della fiamma per rendere l’effetto più reale possibile, mantendendo sempre il massimo livello di sicurezza per gli attori. Il vostro deposito è immenso. RB È il più grande deposito di armi di scena storiche e contemporanee, e conta circa 4000 esemplari tra fucili e mitrgliatori della prima e seconda guerra mondiale, francesi, tedesche inglesi e via discorrendo. Custodiamo circa 800 esemplari di rivoltelle e 900 di pistole semiautomatiche, oltre a vari pezzi di artiglieria pesante. Armi acquistate nel tempo da mio padre e giunte fino a oggi grazie a un’attenta e continua manutenzione. Perché è importante che ci siano anche effetti speciali non digitali sul set? Questioni di costi o di maggior realismo? CQ Gli effetti speciali sul set, oltre a essere realistici, hanno un costo minore e rendono la scena completa subito dopo l’esecuzione, a differenza degli effetti digitali che vengono applicati in post-produzione, con una preparazione in fase di ripresa e successivi e spesso molto costosi interventi di computer grafica.
Alcuni film e nomi importanti con cui avete lavorato? CQ Abbiamo collaborato con moltissime produzioni sia italiane che straniere: le ultime importanti sono state Inferno con Tom Hanks e attualmente Ben Hur. Qualche aneddoto dai set? RB Mio padre mi raccontava che durante le riprese di Roma città aperta non era facile reperire attrezzature e denaro e, in mancanza di fucili da guerra, si decise di usare dei manici di legno opportunamente camuffati, ai quali furono applicate delle cariche sulla punta, con un ottimo risultato! Qualche tempo fa si è presentata invece la necessità di una siringa ad ago rettrattile, e non avendone una a disposizione in quel momento utilizzammo un pelo di scopa che piegandosi simulò l’ago che entra nella pelle. Questo a testimonianza di come si trovi sempre una soluzione per superare i tanti problemi che possono crearsi sul set… Lavorando anche con produzioni straniere, che differenze notate nell’approccio produttivo e organizzativo? RB Le produzioni straniere dedicano molta più attenzione e investimenti per ottenere il risultato migliore. Ad esempio, quando ci viene richiesta l’esplosione di una macchina, le produzioni straniere mettono a disposizione più unità del veicolo, in modo da poter effettuare delle prove o ripetere l’effetto nel caso ci sia un imprevisto o un malfunzionamento. Con le produzioni nostrane, invece, ci troviamo immancabilmente nella condizione di dover-
Pagina accanto: Raffaele Battistelli con il congegno per i colpi in arrivo. Sopra a destra, lo sparaneve.
«NOI ITALIANI FACCIAMO QUESTO MESTIERE ANCHE PER PASSIONE, E QUINDI CI ADATTIAMO ED ESEGUIAMO IL COMPITO ANCHE TRA MILLE DIFFICOLTÀ».
Quali sono le maggiori difficoltà tecniche che vi trovate ad affrontare? CQ Soprattutto i tempi a disposizione per preparare o provare l’effetto speciale che molto spesso subisce all’ultimo delle variazioni, spesso giustificate, ma che richiederebbero più calma per lavorare nel modo migliore.Noi italiani facciamo questo mestiere anche per passione, e quindi ci adattiamo ed eseguiamo il compito anche tra mille difficoltà, mentre all’estero, dove il cinema è considerato un’industria sotto ogni punto di vista, il rispetto delle giuste condizioni è una priorità imprescindibile.
cela cavare con un solo mezzo, senza la possibilità di provare e di ripetere la scena in caso di qualsiasi problema. Cè un’industria dietro ai materiali che usate? CQ Purtroppo non esiste in Italia un’industria né un organo preposto alla regolamentazione di questo tipo di produzione e commercio, tant’è che siamo costretti a comprare i nostri prodotti all’estero: in Inghilterra acquistiamo dispositivi per creare gli spari o i radiocomandi, in Austria e negli USA i materiali che servono a ricreare le scintille degli spari o le cariche esplosive per simulare i colpi in arrivo.
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HEBE
LA DEA DEL CINEMA Un marchio di abiti creato da tre giovani ragazze e già molto amato dalle attrici, che adorano lo stile sexy androgino proposto da Hebe, nome ispirato alla dea greca dell’eleganza e della giovinezza.
Cominciamo con qualche dato biografico: nomi, età, provenienza. Siamo tre amiche, Gea Antonini, Federica Croce e Laura Zama, nate a Roma 28 anni fa. Finiti gli studi (Gea e Federica all’Accademia di Costume e di Moda e Laura alla European School of Business), abbiamo cominciato ad approfondire il nostro desiderio di occuparci di moda, cominciando a lavorare in grandi aziende del settore, come Valentino, Roberto Cavalli e Vera Wang. Sono state la nostra grande passione per questo lavoro e la voglia di sperimentare creando, che ci hanno portato a unire le nostre forze e dare vita al marchio Hebe. Il nostro è un made in Italy le cui radici affondano nell’ispirazione dell’impeccabile precisione della sartoria maschile. È – crediamo – grazie a questa filosofia che abbiamo ricevuto in questi anni anche vari premi, tra cui il Primo Premio “Mittel Moda The Fashion Award” nel 2011, il Premio “Camera Nazionale della Moda Italiana”, e il Premio “Blackberry” in concorsi di fama internazionale. Quali sono le fonti di ispirazione del vostro lavoro? Stilisti del presente o del passato, icone di moda e stile… Siamo state ispirate particolarmente da Yves Saint Laurent e Armani, pura espressione della sartoria maschile applicata all’universo femminile e da Valentino, quintessenza della femminilità e del romanticismo per eccellenza. Key-piece e comune denominatore di tutte le nostre collezioni è infatti il completo maschile reinterpretato con un’anima femminile, declinato e rivisitato in varie forme e colori, mescolando fogge più cool ad altre di tessuti e materiali più elaborati e preziosi, dando vita a un
abbinamento tra mondi contrastanti, ma che funziona ed esprime il nostro stile. Tra le icone di questa visione ci sono Patti Smith, Françoise Hardy, Jane Birkin, Marlene Dietrich, Bianca Jagger, Tilda Swinton. Il vostro rapporto con il cinema: come nasce e in che modo si sviluppa? Abbiamo sempre avuto la passione per il cinema, e, da quando lavoriamo in questo campo, abbiamo dato vita a collaborazioni con professionisti del settore tra cui stylist e costumisti. Fondamentale è stato poi l’incontro con alcuni press agent, con i quali abbiamo cominciato un eclettico percorso di collaborazione, che ci ha permesso di creare rapporti con attrici che fanno parte del cinema italiano più raffinato ed esclusivo. Che tipo di persona/personaggio amate vestire? Una donna elegante e moderna, un po’ androgina, ma che riesca a coniugare sia la femminilità che la sartorialità maschile, senza trascurare la praticità nella routine quotidiana. Se doveste citare il film (recente o passato) più riuscito sotto il profilo del guardaroba dei protagonisti, quale direste? Sicuramente Grand Budapest Hotel. L’unicità è una questione di estrosità, dettagli, colori, leggerezza; questo film è un perfetto insieme di tutti questi elementi. Meritatissimo quarto Oscar per Milena Canonero, che ha mirabilmente curato ogni singolo dettaglio. È evidente uno studio approfondito dei vari caratteri e personaggi per farne emergere le singole peculiarità.
IN COLLABORAZIONE CON
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«AMIAMO VESTIRE UNA DONNA ELEGANTE E MODERNA CHE RIESCA A CONIUGARE SIA LA FEMMINILITÀ CHE LA SARTORIALITÀ MASCHILE, COME PATTI SMITH, FRANÇOISE HARDY, JANE BIRKIN, MARLENE DIETRICH, BIANCA JAGGER, TILDA SWINTON».
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LA FORZA SCORRE POTENTE IN LORO Non chiamateli cosplayer, perché quello che fanno si chiama costuming. E se proprio vogliamo azzardare un paragone, facciamolo con i reenactor, i gruppi di rievocazione storica.
S Dart Vader, naturalmente a capo della 510st Legion, sul palco alla festa di Fabrique del marzo scorso.
di UMBERTO FRANCIA
Sì, perché i membri della 501st Legion e della Rebel Legion sono i reenactor della galassia lontana lontana di Star Wars. Meticolosi nelle loro ricerche di piena aderenza al canone della saga, riproducono fedelmente i costumi dei film, delle serie animate, dei videogiochi, facendo rivivere ogni giorno con la loro passione l’universo fantascientifico che da quel lontano 1977 ha così profondamente influenzato l’immaginario di tutte le generazioni a venire. Le associazioni sono due perché due sono le anime di Guerre Stellari: gli Imperiali e i Ribelli, il Lato Oscuro e quello Chiaro della Forza. Il primo gennaio 2007, quando George Lucas era ancora saldamente al timone della sua Lucasfilm e gli avvocati dello Skywalker Ranch pattugliavano come sceriffi i confini di uno dei franchise più ricchi della storia del cinema, a dieci anni dalla fondazione, la 501st Legion marciava al fianco del padre nobile di Luke & Co. durante la Roses Parade di Pasadena, in California, guidata dal fondatore Albin Johnson. Albin, allora come oggi, era un fan, non un dipendente dell’azienda. E l’anima dell’associazione – come quella della Rebel Legion, nata solo tre anni più tardi – è rimasta quella del fandom organizzato con professionalità. Perché sia chiaro: nessuno di loro prende un centesimo per le numerose apparizioni in eventi speciali e fiere. Anzi spen-
dono denaro per costumi, special make-up, props, scenografie, riproduzioni di veicoli, con l’unico scopo di divertirsi insieme in nome di una passione comune. E contribuiscono, facendosene anche promotori, a cause benefiche che, nel mondo, hanno raccolto milioni di dollari. Qualche numero. 4000 membri in circa 80 stati per la Rebel Legion e 13000 in 100 stati diversi per la 501st. Si sa che i cattivi tirano di più. La loro presenza è diventata così rilevante che nel 2004 la 501st è entrata ufficialmente nella saga di Lucas inserita nel romanzo Survivor’s Quest di Timothy Zahn al quale sono seguite citazioni in videogiochi e film di animazione, oltre che in Episodio III: La vendetta dei Sith. Noi li abbiamo incontrati il 27 marzo scorso alla festa di presentazione del numero 9 di Fabrique e aspettiamo di rivederli in occasione della prossima edizione di Lucca Comics and Games, a novembre. E poi, ovviamente, il 16 dicembre per l’attesissima uscita del primo capitolo della nuova trilogia, Star Wars VII – Il Risveglio della Forza. Nel frattempo, se volete saperne di più visitate i siti ufficiali www.501italica.com e www.rebellegion.it e date un’occhiata al museo del maggiore collezionista italiano di Star Wars e attivista di entrambe le associazioni, Amedeo Tecchio: www.galaxyclub.org/la-bettola-di-yoda.
«NESSUNO DI LORO PRENDE UN CENTESIMO PER LE APPARIZIONI IN EVENTI SPECIALI E FIERE. E CONTRIBUISCONO A CAUSE BENEFICHE CHE, NEL MONDO, HANNO RACCOLTO MILIONI DI DOLLARI».
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BITE
- Making of -
REGIA Alberto Sciamma CAST Costas Mandylor, Vinnie Jones, Gianni Capaldi, Drew Kenney, Denny Mendez, Grazia Leone, Coque Malla, Fabrizio Moretti FOTOGRAFIA Davide Manca MUSICHE ORIGINALI Enrico Fabio Cortese, Coque Malla TRUCCO Vittorio Sodano RIPRESE Fra Orte e Roma PRODUZIONE Alberini Films PRODUZIONE ESECUTIVA Explorer
a cura di DAVIDE MANCA foto LUCA RICCARDI
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Canna a espansione, kinoflo 4x60; 2k riflesso su polistirolo.
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Costruzione di un tunnel sotterraneo; 650w a pioggia su grata metallica.
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Il regista dopo aver spiegato la scena agli attori.
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Preparazione del mostro.
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Il reparto trucco/parrucco e special fx a lavoro sulla testa.
Scena rossa, 2kw su poli con telaio rosso e 650w controluce con gelatina rossa.
SINOSSI Irrompere in casa, afferrare la ragazza, uscire e chiedere il riscatto; il rapimento perfetto. Cinque ex truffatori e un pensionato disilluso si fanno strada in una casa padronale per rapire una giovane donna di buona famiglia, Nika. Entrare per rapire la ragazza è la parte facile, ma uscirne si rivela impossibile; la casa diventa una fortezza bloccandoli all’interno, e Nika risulta essere un mostro dell’inferno; una regina vampira che farebbe di tutto per proteggere se stessa e i suoi figli vampiri. L’unica cosa che tiene Nika sotto controllo ed evita la sua trasformazione in una macchina assassina è la droga. È una tossicodipendente, ma la droga è finita. Nika si trasforma in mostro e dà la caccia agli intrusi uno per uno, eliminandoli. Gli uomini combattono con le unghie e i denti per trovare una via d’uscita dalla casa; attraverso le fogne, i tetti, il cubicolo della spazzatura... ma non niente sembra riuscire, l’ombra della morte li segue incessantemente. Nika non vuole solo vendicarsi, il mostro dentro di lei non è solo
in cerca di sangue, ma di un compagno adatto a metterla incinta e mantenere la sua discendenza di vampiro. Sei uomini intrappolati come topi: un incubo sanguinario.
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IL PROGETTO Bite segue la tradizione dei film horror per giovani come The cabin in the woods, Hostel, The Evil Dead. Grazie a un plot di suspense, una storia coinvolgente e di forte impatto visivo Bite si farà strada nel genere horror-thriller. IL REGISTA Alberto Sciamma è un regista e sceneggiatore nato a Barcellona. Ha scritto e diretto La lengua asesina, alias Killer Tongue, vincitore di diversi premi internazionali. Altri lavori: Black Plague interpretato da Lena Headey e Jericho Mansions interpretato da James Caan e Geneviève Bujold, selezionato al Festival di Montreal.
Preparazione della scena, con allestimento di gobbi neri; kinoflo a sbalzo su astaboom.
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Jimmy jib con testa remotata, CamMate.
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Macchina a spalla sotto bank 4kw a sbraccio.
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Bank 4kw a sbraccio su super windup.
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1kw in controluce su grata di metallo e macchina del fumo.
Red Epic su super windup con attacco bazooka.
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- Effetti speciali -
FANTASTICHERIE DI UN PASSEGGIATORE SOLITARIO
L’ALANIMAZIONE
POTERE
Girato al contempo in live action e attraverso tre diverse tecniche di stop motion, Fantasticherie di un passeggiatore solitario uscirà nelle sale italiane nei prossimi mesi dopo aver riscosso un notevole successo in numerosi festival internazionali dedicati al cinema di genere. di LUCA OTTOCENTO
I
spirato dalla passione per i libri incompiuti nata ai tempi degli studi universitari di filosofia, il regista e sceneggiatore calabrese Paolo Gaudio (34 anni) ha realizzato un’opera prima affascinante e molto ambiziosa che intreccia tre differenti storie. Fantasticherie di un passeggiatore solitario narra le vicende del romanziere Renou, intento a scrivere nella seconda metà dell’Ottocento un’opera che, per quanto destinata a non vedere una conclusione, giunge misteriosamente tra le mani del giovane Theo, un bizzarro e introverso studente di letteratura dei giorni nostri. Le dimensioni del passato e del presente sono collegate dalla suggestiva rappresentazione in animazione a passo uno delle vicende del romanzo che Renou sta scrivendo e Theo sta leggendo. Prodotto dalla Smart Brands di Angelo Poggi, il film alla fine del 2014 si è aggiudicato il Grand Prix della Samain du Cinéma Fantastique di Nizza (lo stesso riconoscimento nel 2013 era andato a Gravity di Alfonso Cuarón) ed è stato proiettato in molti festival europei e statunitensi, tra cui il Sci-Fi-London Film Festival, il Brussels International Fantastic Film Festival e il californiano Mammoth Lakes Film Festival.
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Per le riprese è stato scelto il sistema Canon EOS «l’unico – spiega Paolo – in grado di garantire qualità, versatilità d’impiego tra le diverse applicazioni tecniche (live action, stop motion, pixillation) e un’estrema maneggevolezza, grazie alla quale è stato possibile girare in location piccole o non facili da gestire, valorizzandole con punti macchina impossibili da ottenere con una tradizionale macchina da presa o una videocamera HD».
«LA CLAY ANIMATION È UNA TECNICA PIÙ ECONOMICA MA ANCHE PIÙ COMPLICATA RISPETTO ALLA STOP MOTION MODERNA, IN QUANTO RICHIEDE UNA MAGGIORE SENSIBILITÀ DA PARTE DELL’ANIMATORE». 63
TRA I SUOI PUNTI DI FORZA, FANTASTICHERIE ANNOVERA SENZ’ALTRO L’OTTIMO LAVORO SVOLTO NEL CAMPO DELL’ANIMAZIONE E DEGLI EFFETTI VISIVI. PROPRIO DI QUESTO ABBIAMO PARLATO CON PAOLO GAUDIO , LA CUI PRODUZIONE È LEGATA FIN DAI PRIMI CORTOMETRAGGI ALLA SPERIMENTAZIONE DI TECNICHE D’ANIMAZIONE NEL CONTESTO DEL CINEMA DI GENERE FANTASTICO. Il regista Paolo Gaudio.
«FIN DALLE PRIMISSIME FASI DI IDEAZIONE DEL PROGETTO, LA MIA IDEA È STATA QUELLA DI REALIZZARE UNA PELLICOLA CHE PREVEDEVA DEI MOMENTI DI FANTASIA PURISSIMA. E SECONDO ME NEL CINEMA LA FANTASIA PURISSIMA PUÒ ESSERE RAPPRESENTATA APPIENO SOLO ATTRAVERSO L’ANIMAZIONE».
Ho trovato molto interessante la scelta di realizzare completamente in animazione i momenti in cui la fantasia dello scrittore Renou prende vita grazie alla scrittura. Come mai hai voluto legare in maniera così forte l’animazione con il tema dell’immaginazione? Per come lo intendo io, il cinema è uno spazio in cui potersi muovere con la massima libertà tra linguaggi e registri diversi. Da sempre ho visto nell’animazione il modo più esplicito e diretto per tradurre la fantasia in immagini. Dato che nel film il mondo dell’immaginazione doveva essere la cerniera tra le storie dello scrittore e dello studente, l’animazione non poteva che avere un ruolo centrale. Fin dalle primissime fasi di ideazione del progetto, la mia idea è stata quella di realizzare una pellicola che prevedeva dei momenti di fantasia purissima. E secondo me nel cinema la fantasia purissima può essere rappresentata appieno solo attraverso l’animazione. In Fantasticherie si fa ampio ricorso alla clay animation. Per quale motivo hai optato per questa tecnica? La clay animation è un tipo di stop motion che usa pupazzi in plastilina. Questi, a differenza di quelli più raffinati in silicone o in lattice, sono privi di un’armatura o di una struttura metallica che permette di spostare più facilmente le parti che si vogliono muovere. La clay animation è una tecnica molto più economica (i pupazzi in plastilina hanno un costo contenuto) ma anche più complicata rispetto alla stop motion moderna, in quanto richiede una maggiore sensibilità da parte dell’animatore, che per muovere il pupazzo arriva a doverlo rimodellare o riscolpire a mano. L’animatore Gianluca Maruotti, da questo punto di vista, ha fatto davvero un gran lavoro nel film. Per quanto con la clay animation sia impossibile raggiungere la grande definizione dei dettagli e l’iperrealismo tipici della stop motion contemporanea industrializzata, devo dire che nel caso specifico di Fantasticherie il carattere più artigianale della clay animation si adattava molto meglio al tipo di fantasia che volevo rappresentare. Oltre alla clay animation, in alcuni passaggi del film hai utilizzato anche altre due tecniche di animazione a passo uno come la cutout animation e la pixillation. È vero. Con la tecnica della cutout animation, un altro tipo di stop motion in cui il materiale che viene animato non è il pupazzo ma la carta, abbiamo realizzato i cartelli che dividono il film in tre capitoli (“Fantasticheria n° 23”, “Il necromante”, “Il viaggio”) e tutti i titoli di coda, oltre a far esplodere la casetta alla fine della sequenza dei titoli di testa. Nella scena in cui Theo racconta dei suoi genitori mentre li vediamo seduti sul divano, invece, abbiamo optato per la pixillation, animando in passo uno direttamente i corpi di Fabrizio Ferracane e Selene Riosello. I due attori si sono prestati in maniera straordinaria a un lavoro molto complicato, che richiedeva di stare completamente immobili fino al via libera per il movimento successivo.
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Insieme alla sequenza in cui vengono connessi un momento della scrittura di Renou e il parto della sua immaginazione attraverso l’evocativa Holes dei Mercury Rev, la scena dei titoli di testa è la più sorprendente e d’impatto dell’intero film. Puoi dirci com’è stata realizzata? In questo caso abbiamo ripreso in live action a 25 fotogrammi al secondo un modellino di carta che ricostruisce la città del sogno di Theo. Per motivi economici abbiamo fatto ricorso alla carta e non a un plastico, ma la scelta si è rivelata assolutamente vincente. Credo che la sequenza abbia una grande personalità dal punto di vista estetico e forse resterà un pezzettino unico nel cinema italiano di questi anni. Secondo me il nostro cinema deve puntare con maggiore decisione su soluzioni di questo tipo. In un periodo storico in cui la settima arte tende sempre più a standardizzarsi, infatti, ci sarebbe davvero bisogno di osare e provare a spingersi verso cose differenti, almeno da un punto di vista dell’estetica, della visione, dello sguardo. C’è un aspetto del lavoro sull’animazione e sugli effetti speciali del tuo film di cui vai particolarmente fiero? Una delle cose di cui vado più orgoglioso è il modo in cui abbiamo creato il necromante, il mostro che tormenta Renou e ne ostacola l’attività creativa. All’inizio del film eravamo molto indecisi su come procedere. Abbiamo pensato a crearlo in computer grafica, ad animarlo su green screen, a ricorrere all’animatronica o a vestire un attore con un costume. Poi un giorno con l’esperto di effetti speciali Leonardo Cruciano abbiamo escogitato una tecnica ibrida che prevedeva una creatura con un corpo simile a quello dei mostri da fumetti o da fiaba. L’animatore Luigi Ottolino ha indossato la testa del mostro e poi tutto quello che restava fuori è stato coperto da una tuta che ci ha permesso di eliminare in post-produzione ciò che volevamo. A questo processo hanno lavorato anche Dennis Cabella e Marcello Ercole della Illusion di Genova. È stato un lavoro difficilissimo ma molto soddisfacente. Questo modo di concepire le creature è stato poi proposto per Il racconto dei racconti a Matteo Garrone, che ha scelto di affidare alla Makinarium di Leonardo Cruciano, Angelo Poggi e Nicola Sganga la realizzazione di tutte le creature del suo film. Il nostro piccolissimo prodotto, fatto con la solidarietà e l’amicizia di grandi professionisti, è stato quindi in qualche modo una fucina di creativi che adesso ha partorito qualcosa di straordinario. Dopo il successo internazionale di Fantasticherie, a cosa stai lavorando ora? A diverse cose. Tra le tante, c’è un adattamento del racconto Dagon di Lovecraft che sarà realizzato interamente in clay animation e che, come il mio esordio, verrà prodotto dalla Smart Brands. Si tratta di un adattamento molto particolare, perché in un certo senso è come se i mostri di Lovecraft incontrassero l’universo di film d’azione della seconda metà degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta come Predator o Aliens. Per dirla con una battuta, sarà un Lovecraft visto con i muscoli di Arnold Schwarzenegger. Contemporaneamente, sto lavorando anche con la Rainbow CGI e la Rainbow Academy allo scopo di far nascere un piccolo dipartimento di animazione in stop motion che speriamo possa portare a una serie televisiva che già stiamo immaginando.
«CREDO CHE LA SEQUENZA DEI TITOLI DI TESTA ABBIA UNA GRANDE PERSONALITÀ DAL PUNTO DI VISTA ESTETICO E FORSE RESTERÀ UN PEZZETTINO UNICO NEL CINEMA ITALIANO DI QUESTI ANNI».
La sequenza dei titoli di testa realizzata con un modellino di carta e riprese in green screen.
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LORIS GIUSEPPE NESE E CHIARA MAROTTA (CLASSI 1991 E 1993, SALERNO) SONO STUDIOSI DI CINEMA E APPASSIONATI DI FUMETTO, RESPONSABILI DEL COLLETTIVO DI PRODUZIONE MULTIMEDIALE NOUVELLE SWAG. LUI LAVORA COME FUMETTISTA, ILLUSTRATORE, GRAFICO E VIDEOMAKER. LEI È SCENEGGIATRICE E FOTOGRAFA. INSIEME, CANALIZZANO LE PROPRIE PASSIONI NELLA SERIE A FUMETTI E VIDEO CEROTTI, NELLA QUALE CINEMA E FUMETTO S’INCONTRANO. http://lorisgiuseppenese.blogspot.it/
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HISTOIRES DU CINÉMA
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DIARIO GLI EVENTI DI FABRIQUE
BUONA LA NONA! Il 27 marzo Fabrique ha presentato a Roma, all’interno della cornice di Spazio 900, il suo nono numero in una festa affollatissima. Partenza nel tardo pomeriggio con la tavola rotonda “Le serie dei nuovi autori italiani. I nuovi mercati: dall’idea alla distribuzione”, a cui sono intervenuti Ludovico Bessegato di Cross (Il Candidato e Io tra 20 anni ), Mizio Curcio e Andrea Nobile di Tao2 (Il bosco), Matteo Rovere di Ascent Film (The Pills, Zio Gianni) con i The Pills, Luca Angioni e Giancarlo Fontana del collettivo Inception, Alberto Rigoni responsabile comunicazione di Lucca Comics and Games e Bruno Zambardino, docente universitario ed esperto di studi economici ed analisi strategiche del settore audiovisivo e delle perfoming arts (vedi pag. 50). Dopo un aperitivo con dj set, sul palco si sono alternati fino a tarda notte musica live (Michele Riondino & The Revolving Bridge, Boxerin Club), proiezioni di cortometraggi e trailer, Roberto Recchioni e i membri di Uno Studio in Rosso, l’esibizione del corpo di ballo dell’Accademia Nazionale di Danza, i guerrieri della 501 legione e ovviamente la presentazione del n. 9 della rivista con tutti i suoi protagonisti. Radio Monte Carlo ha seguito l’evento.
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NEWS 7-15 MAGGIO 2015
CAPITALE INDIPENDENTE Anche in questa XIV edizione del RIFF Fabrique è stata al fianco del festival più indipendente di Roma, che ha visto trionfare il cinema dell’est Europa con Fair Play di Andrea Sedlackova e Kebab & Horoscope di Grzegorz Jaroszuk e per l’Italia La mezza stagione di Danilo Caputo.
10 MAGGIO 2015
PLAYING FABRIQUE Festa Fabrique alla Ballroom degli Internazionali BNL d’Italia, con una ricca presentazione di trailer e cortometraggi a tema sportivo e la musica trascinante di Michele Riondino, Bud Spencer Blues Explosion, Lady Coco & Balsamo di Scimmia.
14-16 MAGGIO 2015
NUOVI ARRIVI Prima edizione del Formia Film Festival, con tanti ospiti e cortometraggi: Valentina Bellè (Meraviglioso Boccaccio, La buca) vince il premio Fabrique come attrice emergente.
22-24 MAGGIO 2015
ARF! Nasce a Roma un nuovo festival interamente dedicato al fumetto e allo storytelling, con il sostegno di numi tutelari del calibro di Zerocalcare, Carmine di Giandomenico, Igort, Mauro Uzzeo. E Fabrique non può che essere in prima fila.
FABRIQUE DU CINÉMA LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO SCARICA GRATUITAMENTE TUTTI I NUMERI DAL SITO 0 SCRIVICI A REDAZIONE@FABRIQUEDUCINEMA.COM
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DOVE
Come e dove Fabrique
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