Fabrique du Cinéma #11

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LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO AUTUNNO

2015

Numero

11

ICONE/1

DARIO ARGENTO

“Il cinema è sperimentazione e progresso, bisogna continuamente superare se stessi”

ICONE/2

TANINO LIBERATORE

Intervista esclusiva a uno dei maestri europei dell’illustrazione

EFFETTI SPECIALI

IL RACCONTO DEI RACCONTI

Dietro le quinte del film già punto di riferimento per i vfx italiani

ROMPETE LE REGOLE

Marianna Di Martino Per cercare nuovi spazi, senza porsi altro limite che quello del talento e dell’immaginazione



S

UN DRAGO VI SEPPELLIRÀ MILANO FILM FESTIVAL

TANINO LIBERATORE

LE VANVERE

SOMMARIO

GIUSEPPE MARCO ALBANO

MARIANNA DI MARTINO

Pubblicazione edita dall’associazione culturale Indie per cui Via Francesco Ferraironi, 49 L7 (00177) Roma www.fabriqueducinema.it

MONITOR

Registrazione tribunale di Roma n. 177 del 10 luglio 2013 DIRETTORE RESPONSABILE Ilaria Ravarino DIRETTORE ARTISTICO Davide Manca SUPERVISOR Luigi Pinto GRAFICA E IMPAGINAZIONE Giovanni Morelli DIRETTORE EDITORIALE Elena Mazzocchi STRATEGIC MANAGER Tommaso Agnese PARTNER ISTITUZIONALI Sonia Serafini PHOTOEDITOR Francesca Fago MARKETING Federica Remotti EVENTI Isaura Costa Consuelo Madrigali Simona Mariani SET DESIGNER Gaspare De Pascali AMMINISTRAZIONE Katia Folco UFFICIO STAMPA Patrizia Cafiero & Partners in collaborazione con Sara Battelli PUBBLICITÀ APS Advertising srl Via Tor de Schiavi, 355, 00171 ROMA www.apsadvertising.it STAMPA Press Up s.r.l. Via La Spezia, 118/C 00055 Ladispoli (RM) DISTRIBUZIONE SAC WEB MASTER Nuts&Seeds

AUS

18 OPERA PRIMA MI CHIAMO MAYA UNO, NESSUNO, MILLE ADOLESCENTI

LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO AUTUNNO

Numero

11

ICONE/1

DARIO ARGENTO

“Il cinema è sperimentazione e progresso, bisogna continuamente superare se stessi”

ICONE/2

TANINO LIBERATORE

Intervista esclusiva a uno dei maestri europei dell’illustrazione

EFFETTI SPECIALI

IL RACCONTO DEI RACCONTI

Dietro le quinte del film già punto di riferimento per i vfx italiani

ROMPETE LE REGOLE

Marianna Di Martino Per cercare nuovi spazi, senza porsi altro limite che quello del talento e dell’immaginazione

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IN COPERTINA Marianna Di Martino

LUIGI PANE

AIUTO REGISTA

GIAN MARIA VOLONTÉ

LA CORSA AL TRONO

VALENTINA PEDICINI

STREET STYLE

GATTI MEZZI

SLIDERSKATE

GIOVANNI VERONESI

LE VOYAGE

IL RACCONTO DEI RACCONTI

Finito di stampare nel mese di agosto 2015

2015

04 RADIO FESTIVAL 06 COMICS/1 08 COMICS/2 10 DAVID 12 COVER STORY 14 OPERA PRIMA/2 22 NAZIONE WEB 24 FUTURES 26 SPECIALE MESTIERI 28 VENEZIA 38 DOSSIER 40 ZONA DOC 44 DOSSIER ATTORI 46 SOUNDTRACK 52 MACRO 56 RADIO E CINEMA 58 MAKING OF 60 EFFETTI SPECIALI 62 FUMETTO 66 DIARIO 68 DOVE 69 EDITORIALE

34 ICONE DARIO ARGENTO IERI, OGGI, SEMPRE

IL LUNGO ADDIO

GLI EVENTI DI FABRIQUE

COME E DOVE FABRIQUE

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E EDITORIALE

Un drago vi seppellirà di ILARIA RAVARINO foto ROBERTA KRASNIG Non c’è pubblico. Cioè. Sarebbe bello se ci fosse, ma la gente “certe cose” le va a vedere solo se le fanno gli americani. Non c’è tradizione. O meglio. “Certi film” qualcuno una volta li sapeva pure fare, ma erano maestri, eccezioni. E dopo di loro: chi si azzarda? E poi, diciamolo, non ci sono i soldi. A malapena si trovano per le commedie, figuriamoci per film così. Per film di genere. Il peana sul film di genere, nelle sue più varie declinazioni, ha accompagnato stancamente gli ultimi decenni della cinematografia italiana. Una chimera che tutti, nella pratica, si tengono accuratamente lontana: i produttori che non vogliono rischiare soldi, i registi che temono di scadere nel cheap, gli attori che si preoccupano per la propria la reputazione. Ma in teoria, a parole, il genere è l’uovo di colombo che salverà il cinema italiano. I produttori che lamentano la scarsa originalità dei soggetti (“Ci vorrebbe un bel film di genere”), i registi stufi di riprendere interni testaccini (“Se si potessero fare film di genere...”), gli attori che avrebbero voglia di mettersi per davvero, una volta tanto, una maschera (“Il mio sogno nel cassetto? Un film di genere”). Da orco, da strega, da spettro, da mostro metropolitano non importa. Purché sia genere. Peccato che il refrain sia sempre quello: bello, sì, “ma da noi questi film non si fanno”. Falso. Ce lo spiega Dario Argento, icona di questo numero, che festeggia i cinquant’anni di carriera nel segno del brivido, sempre testardamente inseguito, mai tradito, con un talento che l’ha portato là dove pochi maestri del genere (horror) sono mai arrivati: il festival di Cannes. Ce lo dice Matteo Garrone, che sempre a Cannes ha osato portare il genere più “pericoloso” per eccellenza, il fantasy, parola quasi indicibile nella grammatica cine-salottiera italiana che da sempre gli preferisce termini con più nobili pedigree – Garrone gira una “favola”, Garrone si cimenta con l’“allegoria”. Ne parliamo qui, nella rubrica Effetti speciali, per raccontarvi senza retorica dove è nata la magia de Il racconto dei racconti. Ma ce lo dice anche un nome nuovo, Alessio Lauria, che poi nuovo non è più tanto dopo il successo clamoroso del suo corto, Sotto casa. Lauria ci spiega come gli è venuto in mente di debuttare al lungo con un film, Monitor, la cui sinossi comincia così: “In un mondo parallelo al nostro...”. Ci vuole coraggio. Ma anche no. Perché il genere è vivo, e da un pezzo. Solo che non ce ne siamo accorti, impegnati com’eravamo a produrre, girare e guardare l’unico genere che in Italia si possa praticare senza timori: la commedia.

Un drago seppellirà chi ha seppellito il cinema italiano nelle risate. 4


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- Radio Festival -

MILANO FILM FESTIVAL

S

Per undici giorni, per la ventesima volta, INVADIAMO CON IL CINEMA Milano.

Siamo alla 20a edizione di Milano Film Festival e dal 10 al 20 settembre proviamo, come ogni anno, ad animare il rientro di tanti, con ancora addosso un po’ di sapore dell’estate e senza l’umore schiacciato dal ritmo frenetico della città, offrendo agli occhi degli spettatori un cinema troppo spesso invisibile. Un cinema degli esordi, nel concorso internazionale lungometraggi dedicato a opere prime e seconde, e un cinema dei talenti, nel concorso internazionale riservato ai cortometraggi realizzati da registi che non abbiano più di quarant’anni. Scelte editoriali decisive che abbiamo preso da qualche anno, cercando di definire il campo di ricerca e di delineare meglio la nostra identità: non siamo l’X-Factor del cinema indipendente, ma un laboratorio di ricerca cinematografica, alla nostra maniera, sì. Anche su più fronti, cercando ad esempio di capire quale potrebbe essere il festival ideale di cinema del futuro: un festival che non c’è, ma che nasce da quelli che viviamo insieme al pubblico, ai professionisti e agli operatori culturali cui abbiamo posto la domanda con una sfida internazionale dal nome The Festival Challenge, un brainstorming democratico e condiviso di opinioni sugli aspetti fondamentali di un festival di cinema, online sulla piattaforma oxway.co. Una bella sfida, aperta a tutti, in cui i vincitori collaboreranno con noi. Riguardo ai film, sono poche e spicce le regole: non ci interessano il

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budget di un film, gli attori, le buone maniere della grammatica cinematografica, ma il rischio, narrativo o estetico che sia. Quando è vincente, anche per il presente in cui ci muoviamo, cerchiamo di premiare l’opera. La speranza, chiaramente, è che chi fa buoni cortometraggi un giorno diventi regista di altrettanto validi lungometraggi ed è capitato, come con Anthony Chen e il suo Ilo Ilo (Camera d’Or a Cannes nel 2013), come il Ruben Östlund di Forza maggiore o come, quest’anno, con Une Jeunesse Allemande di Jean-Gabriel Périot, ricostruzione della storia del gruppo terroristico della RAF (Rote Armee Fraktion) fatta solo partendo da materiali d’archivio. Tutti talenti oggi riconosciuti a livello internazionale e passati con i loro corti “giovanili” da Milano. Così, da oltre 2000 cortometraggi, solo una quarantina entra in concorso e, tra i lungometraggi, una dozzina di film arriva in fondo alle oltre 800 visioni. Comporre i concorsi è, rispetto al pubblico, la sfida più bella e con il tempo si è costruita una buona fiducia reciproca che permette, in un certo senso, di osare: di fianco alla videolettera, toccante e leggera allo stesso tempo, di un padre malato di SLA al figlio, nell’americano Transfatty Lives di Patrick O’Brien, incontriamo un film etiope come Lamb che usa la dinamica della favola per raccontare la voglia di staccarsi da una società arcaica per abbracciare la modernità. Fiction, documentari, animazione, sperimentazione: i generi si mescolano


I FESTIVAL DA SETTEMBRE A NOVEMBRE SETTEMBRE Mostra Internazionale del Cinema di Venezia dal 2 al 12 settembre Milano Film Festival dal 10 al 20 settembre Roma Creative Contest dal 13 settembre al 4 ottobre Trailers Film Fest dal 30 settembre al 3 ottobre (Catania) Romaeuropa Festival dal 23 settembre al 8 dicembre

Nella pagina accanto, un’immagine del Teatro Studio Melato e in basso un fotogramma da Une Jeunesse Allemande. In questa pagina, in alto Lamb e in basso Transfatty Lives.

OTTOBRE Festa del Cinema di Roma dal 16 al 23 ottobre Corti and Cigarettes ottobre (Roma) NOVEMBRE Torino Film Festival dal 20 al 28 novembre Arcipelago Film Festival dal 4 al 8 novembre (Roma) Roma Fiction Fest dal 11 al 15 novembre

Per info: www.milanofilmfestival.it

e a ciascuno cerchiamo di dare spazio. In Colpe di Stato, ad esempio, da che alle immagini in movimento pensa e lavora tutto l’anno: sono gli tempo attraversiamo gli errori e orrori politici del nostro sistema attra- studenti della Civica Scuola di Cinema e Televisione con il loro progetto verso il documentario, mentre al cinema d’animazione, in ogni edizione, di realtà aumentata dedicato all’Ex-Manifattura Tabacchi in cui si trova dedichiamo un focus coronato da una maratona di cortometraggi. la loro sede, sono i ragazzi del CSC (Centro Sperimentale di CinematoQuattro ore di proiezione all’aperto, al Parco Sempione, nel cuore della grafia) della sede di Milano che insieme al Politecnico hanno filmato città, dove di solito si affollano tremila spettatori, tra seduti e paganti e le mutazioni di alcune zone della città, sono i giovani artisti dell’Accasparsi sui prati. Una serata emozionante che rende a pieno l’animo del demia di Brera con i loro video sperimentali raccolti nella rassegna Vifestival che realizziamo: il cinema è fatto per essere visto e vissuto in- deoZero, sono anche i ragazzi della Statale di Milano che, cresciuti al sieme, per discuterne e parlarne, non per restare chiusi in casa, davanti Festival Docucity realizzato in Università, ci offrono il loro sguardo per a un device, aspetuna giuria speciale. tando che si completi Fra i tanti momenti a «NON CI INTERESSANO IL BUDGET DI UN FILM, GLI ATTORI, LE BUONE MANIERE DELLA l’ultimo download. loro dedicati, un apGRAMMATICA CINEMATOGRAFICA, MA IL RISCHIO, NARRATIVO O ESTETICO CHE SIA». La dimensione sopuntamento – e un ciale di un festival di premio – centrale sarà cinema, aperto a tutla giornata dedicata ai to il pubblico e alla città e non solo a chi solitamente segue i film per nuovi progetti nel cinema digitale – organizzata insieme a Nastro Azzurmestiere, è nel nostro DNA da sempre: oltre al cinema, non manca la ro, un partner che ci ha permesso di creare una sezione tutta italiana, tra musica dal vivo, gli incontri con i registi, l’atmosfera di festa per tutti. titoli recenti e poco visti da riscoprire. Organizziamo tutto questo con faNessun red carpet, pesante e sintetico da trasportare, ma condivisio- tica ed entusiasmo, sudore e collirio (per le troppe visioni) e con un team ne, anche degli spazi: Milano Film Festival è nato da un’associazione dinamico e giovane, grazie anche all’Assessorato alla Cultura. culturale, esterni, il cui primo motto era “riprendiamoci la città, ri- A chi vuole fare cinema, bisogna offrire schermi liberi e accessibili. prendiamoci gli spazi pubblici e viviamoli”. Continuiamo a farlo, cer- Proviamo a farlo al meglio. cando di coinvolgere nell’avventura sempre più realtà, come le tante e ALESSANDRO BERETTA, VINCENZO ROSSINI valide che a Milano il cinema lo insegnano e lo diffondono. Per la ventesima edizione, abbiamo arruolato un esercito di ventenni Direttori artistici Milano Film Festival

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LIBERATORE

ANATOMIA D’ARTISTA

di PIERLUCA DI PASQUALE (Regista e sceneggiatore)

DISEGNATORE, FUMETTISTA, ILLUSTRATORE, ARTISTA, È LA MATITA CHE HA TESTIMONIATO L’EVOLUZIONE DEL CORPO UMANO NEL FUMETTO ITALIANO. DALLA FINE DEGLI ANNI SETTANTA COLLABORA CON STEFANO TAMBURINI DIVENTANDO UN PUNTO INDELEBILE NELLA STORIA DEL FUMETTO ITALIANO E INTERNAZIONALE CON LE TAVOLE SULLE RIVISTE CANNIBALE E FRIGIDAIRE. HA CAMBIATO L’IMMAGINARIO FANTASCIENTIFICO CON LE SUE CARATTERIZZAZIONI DI RANXEROX.

È

stato un occhio prima di una mano. La sua formazione e il suo percorso artistico sono stati segnati da un’esperienza in più, propria dello scorso secolo. Non è stato il liceo artistico, né la facoltà di architettura: Tanino Liberatore, classe ’53, rimase influenzato dalla visione dello sceneggiato RAI La vita di Michelangelo del 1964 con Gian Maria Volonté. TL Mi affascinava la vita di quest’artista mentre preparava gli schizzi della Cappella Sistina. Dopo ogni puntata scappavo nella mia cameretta e mi chiudevo a cercare di disegnare a mia volta i dannati. Quei corpi con quelle pose così sinuose, così diversi da qualsiasi altro corpo

visto, segnarono la mia immaginazione e la mia visione della figura umana. Il fumetto ha sempre ruotato intorno a lui, dalle prime letture de Il Grande Blek, ai primi disegni, alla prima pubblicazione a nove anni di un suo ritratto del calciatore Jair, della sua Inter, sulla posta di Topolino. Crescendo sono stati gli autori francesi a richiamare la sua attenzione, come Moebius in Arzach. A convincerlo a buttarsi, invece, quelli italiani come Andrea Pazienza, soprattutto dopo la lettura di Armi realizzato su carta millimetrata a colori. La sua ricerca artistica è il disegno in tutte le sue forme, sia che si de-

«Il suo disegno è sempre stato legato a soggetti lontani dalla quotidianità».

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Sopra: disegni di Ranxerox, nella pagina a sinistra una tavola da Lucy L’espoir, opera disegnata per la prima volta con tecniche digitali.

clini nel fumetto, sia nell’illustrazione. modo per sentirsi sempre stimolato a trasformare la sua visione delle TL Il fatto di essere un disegnatore d’illustrazione è nella mia natura cose. perché è l’unico modo per esprimermi al 100%. TL Non conoscevo l’immaginario underground americano prima di E ha sempre preferito l’immagine singola alla narrazione seriale. Cannibale, è stato un incontro che mi ha liberato, non tanto dalla parTL Sono più un fotografo che un regista, più illustratore che fumetti- te del disegno ma di quello dei soggetti, ha fatto uscire fuori tutta la mia sta narratore. Ho uno stile viscerale, c’è poco di ragionato dietro il mio parte peggiore… disegnare, non mi lascio guidare troppo dalle indicazioni di sceneggia- Il suo disegno è sempre stato legato a soggetti lontani dalla quotidiatura per disegnare un’inquadratura. nità. Storie avvolte in un passato remotissimo o ambientate in un fuLe sue intrusioni come disegnatore arrivano anche nel cinema, con turo prossimo, come se fossero tempi per niente sicuri, dove tutto si bozzetti, caratterizzazioni e costumi per film come Ghostbuster e Aste- può inventare. È il caso di LUCY L’espoir, una storia scritta da Patrick rix e Obelix. Oppure le illustrazioNorbert sull’origine dell’uomo, e ni per le copertine di alcuni alche segna il suo passaggio all’im«SONO PIÙ UN FOTOGRAFO CHE UN REGISTA, PIÙ ILLUSTRATORE bum come The man from Utopia piego di tecniche digitali. CHE FUMETTISTA NARRATORE. HO UNO STILE VISCERALE, di Frank Zappa. TL In ogni periodo artistico della C’È POCO DI RAGIONATO DIETRO IL MIO DISEGNARE». Dal ’82 vive e lavora a Parigi. Ha mia vita c’è sempre stata di mezzo collaborato con moltissimi scela tecnica. Personaggi nuovi creaneggiatori ma è con Stefano Tamburini, fumettista scomparso nel ti con tecniche nuove. Il soggetto di Lucy mi piaceva da sempre. Volevo 1986, che il coinvolgimento è stato totale. La profonda amicizia e le un lavoro molto realistico, ho iniziato ad apprendere le tecniche digiaffinità culturali e musicali hanno creato un binomio prolifico. tali del disegno. L’evoluzione del lavoro di Lucy è stata consequenziale TL Sapevo che lavorare per qualcun altro significava scendere a com- all’evoluzione del mio approccio al computer. È stata una simbiosi di promessi. Con Stefano c’era invece un rapporto unico, fatto di amicizia cui sono molto soddisfatto e fiero. e grande comprensione professionale: eravamo per tanti aspetti diversi Dal futuristico Ranxerox all’australopiteco Lucy, ciò che contraddima avevamo le stesse visioni sul futuro, mi lasciava completamente li- stingue il disegno di Liberatore è sempre il corpo umano, l’anatomia, bero di interpretare e disegnare. Per Ranxerox facevo il regista, il diret- come in un unico grande percorso temporale dal passato al futuro, tore della fotografia, il costumista, lo scenografo, il location manager. che analizza il corpo nelle sue più svariate espressioni facendoci scoLiberatore ha sempre considerato i nuovi progetti prire un’umanità bestiale. come sfide che diventano opportunità per scoprire TL Ho un buon rapporto con il mio pubblico, sopratnuovi mondi e lanciare l’immaginazione lontano, un tutto con quello che non mi conosce.

Con Andrea Pazienza, conosciuto negli anni del liceo, Stefano Tamburini e Filippo Scòzzari, Liberatore formò il gruppo che nei primi anni Ottanta rivoluzionò il fumetto italiano su riviste come Cannibale, Frigidaire, Il Male.

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ARTISTE A

KM 0

IL DISEGNO È DONNA ED È A KM 0. CHIEDETE CONFERMA A LE VANVERE, COLLETTIVO TOSCANO AL FEMMINILE CHE HA DECISO DI CONDIVIDERE TALENTO, PROGETTI E RIUNIONI A BASE DI MOSCOW MULE.

di VALENTINA d’AMICO

L

e Vanvere sono Camilla Garofano, Giulia Quagli, Lisa Gelli e Celina Elmi. Quattro stili diversi racchiusi in una manciata di km (anche se Lisa Gelli vive a Macerata da cinque anni). I famosi km 0, che rappresentano quasi un manifesto dell’attività de Le Vanvere, come ammettono loro stesse. «Amiamo la Toscana, per noi è un bel punto da dove partire e dove poter tornare, un luogo che ci fornisce spunti e opportunità. La nostra missione è quella di far conoscere al pubblico gli eventi che ci sono e gli artisti che lo abitano, cercando di valorizzarli e di intrecciare collaborazioni con loro». Parlare a vanvera, nell’accezione comune, ha una connotazione negativa. Perché farne il nome con cui identifica-

re un collettivo artistico? «Discutiamo molto, su tutto, e il nome è stato il primo oggetto di riflessione collettiva» ci spiegano. «Volevamo un nome leggero, dichiaratamente toscano, che non si prendesse troppo sul serio e rimandasse alla casualità della nascita del gruppo. Volevamo che fosse un nome divertente, che valorizzasse le nostre diversità». Riflettendo sull’origine del gruppo, Le Vanvere sottolineano spesso come la casualità sia alla base del loro incontro. A vederlo dall’esterno, un collettivo tutto al femminile farebbe pensare a una precisa scelta ideologica, ma a quanto pare non è affatto così. «Ci siamo incontrate per caso e per caso eravamo quattro donne. Gli illustratori sono individui schivi e introversi, si guardano da lontano, si “annusano”, ma non sempre si incontrano. Per una strana congiunzione astrale, abbiamo deciso di cercare dei nostri simili in zona e, grazie a una libreria di fiducia e a una mostra di illustratori toscani organizzata da Camilla, sono partite le prime email, i primi incontri e i primi tentativi di fare qualcosa di bello insieme. La cosa inaspettata è che ci siamo trovate subito bene e siamo diventate più di un gruppo di lavoro, quasi una famiglia, a tratti un gruppo di sostegno. Le collaborazioni tra donne sono pericolose, lo sappiamo bene, ma il fato ha voluto che fossimo quattro donne che si rimboccano le maniche, che si dicono le cose in faccia e che lavorano tutte per un obiettivo comune; quindi abbiamo incrociato le dita e c’è andata bene». Curiosando tra le immagini postate sul sito ufficiale o osservando le illustrazioni realizzate da Camilla, Celina,

Sopra il titolo le quattro Vanvere: Lisa, Giulia, Celina e Camilla. Sotto, un’illustrazione di Camilla Garofano.

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A sinistra Cappuccetto Rosso di Giulia Quagli, sopra Eden di Lisa Gelli e a destra un lavoro di Celina Elmi.

Lisa e Giulia, anche all’occhio di un non addetto ai lavori Parlando di animazione, un posto speciale nel cuore delle appaiono visibili le differenze stilistiche, di tratto, la varie- ragazze ce l’ha il maestro Hayao Miyazaki. «Celina è stata tà nella riproduzione della figura umana. Questo, per Le alla mostra a Parigi sui layout dei film e ha riportato cartoliVanvere, è un falso problema. «Riusciamo a conciliare i ne ed entusiasmo in quantità, Giulia ha avuto come suonenostri quattro stili... non cercando di farlo! Ci piace sotto- ria del cellulare la canzone di chiusura di Ponyo per mesi e lineare le diversità con progetti a tema comune o parteci- Camilla, che non era una grande amante della produzione pando a concorsi tutte insieme. Crediamo che essere di- giapponese, è stata convertita proprio da Miyazaki. Rapverse sia un valore aggiunto al nostro lavoro di individui. presenta mondi onirici e attuali, ma per certi versi lontani In realtà ci influenziamo inevitabilmente, siamo conta- dalle nostra cultura, personaggi fantastici e problematiche minate l’una dall’altra, ma manteniamo sempre la nostra moderne affrontate con un gusto e uno stile elegantemente personalità». Quando vengono interrogate sui loro mo- nipponico. Forse non abbiamo le competenze per una cridelli di riferimento, le ragazze si scatenano snocciolando tica oggettiva sull’animazione, ma i suoi film riescono ad nomi su nomi. «Ognuna di noi ha dei miti, dei maestri e un appagare cuore e occhi e questo a noi piace molto». vero e proprio pantheon di illustratori preferiti da seguire. A proposito del loro presente e futuro lavorativo, Le VanAl momento i preferiti di Camilla sono Leonardo Mattioli, vere ammettono di avere troppi progetti in testa. «SicuraShout, Rita Petruccioli e Ale Giorgini. Lisa guarda ai Ma- mente vogliamo portare avanti i concorsi di illustrazione che abbiamo orgaestri Alessandro Sannizzato quest’anno, na, Pablo Auladell e «VOLEVAMO UN NOME LEGGERO, DICHIARATAMENTE Illustratori a km 0 e agli illustratori emerTOSCANO, CHE NON SI PRENDESSE TROPPO SUL SERIO Marea Grafica, e le genti Marco Somà, E RIMANDASSE ALLA CASUALITÀ DELLA NASCITA DEL correlate mostre itiArianna Vairo, Bill GRUPPO. VOLEVAMO CHE FOSSE UN NOME DIVERTENTE, CHE neranti; allo stesso Noir, Catarina SoVALORIZZASSE LE NOSTRE DIVERSITÀ». tempo stiamo probral; per Celina sono ponendo laboratori, importanti Maurizio Quarello, Ana Juan e Stefano Bessoni, mentre i modelli di incontri e workshop sull’illustrazione sia per bambini che per adulti. Vorremmo riuscire a fare un lavoro a più mani, Giulia sono Sergio Toppi e Claire Wendling». Mentre i lavori di molti disegnatori e fumettisti contempo- già impresa titanica per via della distanza fisica con Lisa; in ranei sembrano già pensati per il cinema, le opere del col- più collaboriamo anche con altri illustratori, enti e organizlettivo toscano hanno una qualità più astratta e sognante. zazioni. Non essendo Le Vanvere la nostra attività primaMa cosa amano e cosa detestano Le Vanvere al cinema e ria, il tempo è limitato, ma a volte questo limite è essenziale in tv? «Camilla ha il decoder guasto da sempre e guarda, o per lavorare in modo efficace e veloce. E poi abbiamo un meglio, ascolta, film mentre lavora: si passa da Harry Pot- sogno nel cassetto: chissà... uno Studio Vanvere?». ter a Amarcord per arrivare a Il favoloso mondo di Amélie; Prima di salutarci, chiediamo a Le Vanvere di toglierdi rimbalzo Celina e Giulia diffondono il verbo del Trono ci un’ultima curiosità: da dove nasce la passione per il di Spade e dei film d’animazione, mentre Lisa ci consiglia Moscow Mule? «Solo una di noi conosceva questo cocda Macerata le vecchie commedie all’italiana con Lino ktail al cetriolo e la prendevamo un po’ in giro. Una volta Banfi, Adriano Celentano, Renato Pozzetto per ridere di provato, però, è diventato sinonimo di aperitivo. Anche gusto e le serie più drammatiche, da True detective a Hou- le nostre riunioni, visto che dobbiamo ottimizzare i temse of Cards. Film e serie tv sono il nostro pane quotidiano, pi, spesso sono sinonimo di aperitivo e quindi Moscow spesso attingiamo alle nostre inquadrature preferite per Mule=aperitivo=riunione=lavoro. In sintesi, per qualche proprietà matematica, Moscow Mule=lavoro». impostare la composizione delle tavole».

www.vanvere.it 11


- David -

DALLA

PROVINCIA AL DAVID GIUSEPPE MARCO ALBANO di LUCA OTTOCENTO

DOPO UNA CANDIDATURA AI GLOBI D’ORO DEL 2009 CON IL CAPPELLINO E LA VITTORIA NEL 2012 DEL NASTRO D’ARGENTO PER STAND BY ME, NEL 2013 IL REGISTA E SCENEGGIATORE LUCANO DI ADOZIONE HA GIRATO UNA DOMENICA NOTTE, IL SUO PRIMO LUNGOMETRAGGIO. QUALCHE MESE FA, GRAZIE A THRILLER, SI È INVECE AGGIUDICATO IL DAVID DI DONATELLO PER IL MIGLIOR CORTOMETRAGGIO. Come è nata l’idea di raccontare la storia di un quattordicenne con il sogno di diventare famoso ballando come Michael Jackson, sullo sfondo della questione dell’Ilva di Taranto? Fin da piccolo Michael Jackson è stato uno dei miei idoli e ho sempre pensato che un giorno avrei potuto raccontare una storia che in qualche modo lo riguardasse. Da anni inoltre avevo il desiderio di girare a Taranto, una città bellissima che conosco bene perché vicina al paese dove sono cresciuto e tuttora vivo. Nel periodo in cui si è iniziato a parlare della drammatica situazione dell’Ilva, ho immaginato fosse interessante collegare questo aspetto alla vicenda di un fan di Michael Jackson in attesa di partecipare a un talent show. Una volta buttato giù il soggetto, ho scritto la sceneggiatura con Francesco Niccolai e così, dal mio amore per Taranto e per Michael Jackson, è venuto fuori Thriller. Thriller privilegia l’interesse per una tematica sociale attraverso un approccio improntato alla commedia. Quali sono, da questo punto di vista, le tue ispirazioni? Ho studiato e amo follemente grandi autori come Fellini, Bertolucci e Truffaut, però i miei modelli sono altri. Ho scoperto la settima arte con i film di Castellano e Pipolo, Sergio Corbucci, Steno, così come con le pellicole che vedevano protagonisti Bud Spencer e Terence Hill o Enrico Montesano. Poi ho conosciuto Johnny Stecchino e Il mostro di Benigni. In generale, mi affascina quel tipo di cinema capace di affrontare importanti temi sociali con la leggerezza tipica di noi italiani,

permettendoci di essere profondi pur non virando necessariamente verso il dramma vero e proprio. Tutti i tuoi corti si concludono con dei finali surreali e, in una certa misura, sospesi. A cosa è dovuta questa scelta? In effetti si tratta di una struttura che continuo a sviluppare nel corso del tempo. In ogni mio lavoro sono presenti la componente onirica e un doppio finale. Thriller ad esempio sarebbe potuto finire nel momento in cui il protagonista va a ballare davanti all’Ilva interrompendo la manifestazione. Invece, citando il celebre videoclip di Michael Jackson diretto da John Landis, ho scelto di aggiungere la scena in cui il ragazzino danza con gli operai trasformatisi in zombi. Spesso per l’ideazione e lo sviluppo di un progetto mi capita di trarre ispirazione dai miei sogni ed è per questo che i miei lavori hanno sempre degli aspetti fantastici e surreali. A cosa ti stai dedicando ora? Insieme a Dario D’Amato e Angela Giammatteo sto scrivendo un lungometraggio che spero di dirigere il prossimo anno. È una commedia che si concentra su tematiche sociali forti attraverso la rappresentazione del mondo degli anziani. Si chiama Vedi Napoli e poi muori e attualmente stiamo dialogando con diverse produzioni italiane interessate, alla ricerca di una soluzione che mi permetta di fare il film come lo intendo io, senza doverne stravolgere la storia.

THRILLER www.youtube.com/watch?v=wbnLlcLW60M - STAND BY ME www.youtube.com/watch?v=BSlRMy8r0xM 12



- Cover story -

MARIANNA DI MARTINO HO FATTO PACE CON IL DESTINO

LETTERALMENTE CRESCIUTA IN TEATRO, CON UNA CULLA NEL CAMERINO DELLA MADRE, ATTRICE TEATRALE, E PADRE REGISTA, MARIANNA NON SAPEVA COSA FARE DELLA SUA VITA, MA DI UNA COSA ERA CERTA: NON SAREBBE DIVENTATA UN’ATTRICE. EPPURE, SI SA, NON SI SFUGGE AL PROPRIO DESTINO. di SONIA SERAFINI foto ROBERTA KRASNIG Borsa V°73 Abiti e gioiel i LUXURY FASHION JEWELS & PRETACOUTURE Scarpe CULT

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Come sei arrivata a voler fare l’attrice? Ho un passato da figlia d’arte, sono letteralmente nata in teatro, madre attrice e padre regista. Ho ricordi legati all’infanzia di me che gioco nelle quinte o che gattono fra le sedute in platea: eppure ho sempre lottato contro questa predestinazione. A diciott’anni, finito il liceo, ho deciso di andare a vivere a Milano per fare la modella, e dentro di me avevo una sola certezza, non sapevo cosa fare da grande, ma di sicuro non sarei stata un’attrice. Tutto è cambiato quando ho partecipato a Miss Italia: grazie al fato, l’anno della mia partecipazione in giuria c’era anche Anna Strasberg (moglie di Lee Strasberg, celeberrimo direttore dell’Actor’s Studio), che ha visto qualcosa in me e ha deciso di regalarmi una borsa di studio senza neanche avermi vista recitare. Sono volata a New York e mi sono completamente innamorata di questo mestiere e finalmente arresa al mio destino: ero un’attrice. Quanto credi che sia importante la preparazione in un mestiere come quello dell’attore, e quanto le emozioni e la “pancia”? Da 1 a 10 la preparazione vale 100. La prima cosa che ho capito subito avvicinandomi a questo mestiere è che quello che fa davvero la differenza è lo studio. La preparazione, che sia la lettura approfondita di una sceneggiatura o il lavoro sul set e in camerino, si vede tutta al momento del ciak. Non bisogna pensare che essendo un mestiere che si basa sulle emozioni, la recitazione ti consente di non prepararti come si deve: l’improvvisazione puoi permettertela quando hai la libertà di lasciar andare la pancia, ma dietro le spalle devi avere uno studio solido. Allora sì che si vede il talento. Non esiste preparazione senza emozione e viceversa.

«LA PRIMA COSA CHE HO CAPITO SUBITO AVVICINANDOMI A QUESTO MESTIERE È CHE QUELLO CHE FA DAVVERO LA DIFFERENZA È LO STUDIO». Anni fa mi è capitato di intervistare un noto attore italiano che mi ha detto che gli attori si dividono in due categorie: quelli che sono attori, e quelli che fanno gli attori. Tu a quale senti di appartenere? Partendo dal presupposto che considero il mio più che un lavoro un vero e proprio stile di vita, che ti impegna 24 ore su 24 tutti i giorni della tua vita, mi verrebbe da rispondere che sono un’attrice. Se rifletto e lascio spazio alla mia parte razionale però, potrei dirti che prima di essere un’attrice conservo il mio essere persona, anche perché ho bisogno di attingere dalle mie esperienze personali per trovare le emozioni giuste da usare per un personaggio. Dopo diverse esperienze su set italiani sei approdata nell’hollywoodiano The Man

from U.N.C.L.E di Guy Ritchie: com’è per una ragazza siciliana lo star system americano? Vorrei riuscire a trovare le parole giuste per spiegarlo, è un’emozione incredibile, è come avere quattro anni e svegliarsi la mattina di Natale trovando fuori dalla porta una gigantesca giostra con i cavalli. Anche solo essere lì, su quel set, e guardarmi attorno mi dava una carica enorme. Ho girato con Hugh Grant e Henry Cavill sia a Roma che a Londra e a volte non riuscivo ancora a crederci. Di sicuro tornando alla preparazione, sono stata agevolata dalla mia padronanza dell’inglese, senza la quale non avrei potuto cogliere tante occasioni. Come vedi oggi il cinema in Italia e il ruolo dei giovani artisti? Devo dire che avverto un grande fermento, in due direzioni. Ovvero, da un lato ci sono i giovani che iniziano ad aggregarsi molto di più fra di loro, abbattendo tutte le barriere, grazie anche a strumenti come il web, che ha permesso a gruppi di attori, registi, operatori di unirsi e girare anche con pochissimo budget, senza aspettare un produttore: un movimento dal basso molto forte. Basti pensare al proliferare di festival dedicati al web. Dall’altro lato riconoscimenti internazionali come l’Oscar a Sorrentino, o ancora prima un regista come Gabriele Muccino che inizia a girare a Hollywood, o il recente Festival di Cannes che ha selezionato tre registi italiani in concorso, sono tutti fattori che indicano un’ulteriore ripresa anche nella percezione del nostro cinema dall’esterno. Non credo che la situazione sia critica, a mio avviso stiamo vivendo una forte ripresa.

Matrimoni e altre follie su Canale 5 con Massimo Ghini, Nancy Brilli e Chiara Francini. In più ho partecipato a un corto che spero avrà un grande successo,un crime-horror diretto da Marco Castaldi dal titolo Beast Bordello. Se non ti fossi arresa al tuo destino e non fossi diventata attrice, cosa faresti ora? [Pausa] Probabilmente la regista, ho capito che è impossibile scappare.

I tuoi progetti futuri? Per quanto riguarda il cinema questa estate partirò per un film ancora top secret, mentre per la TV la prossima stagione sarò in

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- Opera prima -

«IL PERSONAGGIO DI NIKI/MAYA MUTA A SECONDA DEI MONDI CHE INCONTRA, NE INDOSSA I DIVERSI COSTUMI MA NESSUNO LE APPARTIENE VERAMENTE». 18


MI CHIAMO MAYA

UNO, NESSUNO,

MILLE ADOLESCENTI

Con il suo lungometraggio d’esordio Tommaso Agnese traccia la rotta per raggiungere l’universo sempre più sfaccettato dei ragazzi. Ma attenzione, le coordinate possono cambiare, visto che si tratta di un luogo in costante transizione. di TIZIANA MORGANTI foto STEFANO D’AMADIO

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a parola chiave dell’incontro con Tommaso è “gioventù”. In primo luogo perché a essere giovane è proprio il regista, poi perché sono i ragazzi al centro del suo primo lungometraggio, Mi chiamo Maya, uscito nelle sale a maggio. Così, dopo una lunga frequentazione del pianeta adolescenza per realizzare alcuni documentari con il Ministero dei Beni Culturali, Rai Cinema e Rai Educational, Agnese approda alla vicenda della sedicenne Niki che, dopo un evento tragico, viene affidata a una casa famiglia. Il prezzo da pagare, però, è la separazione dalla sorella più piccola Alice. Per questo decide di fuggire con lei, nasconde la sua identità e per quattro giorni attraversa mondi e personaggi diversi, ma che compongono tutti lo sfaccettato universo giovanile. La sua breve corsa termina proprio dove il mondo rassicurante da lei conosciuto si è infranto. Lì, di fronte al mare come un moderno Antoine Doinel, comprende di doversi fermare e riacquistare il suo vero nome per scoprire se stessa e uscire dall’invisibilità. Da parte sua Tommaso, che è parte del team di Fabrique fin dall’inizio, prende spunto da molti fatti di cronaca e inserisce alcuni elementi di finzione, definendo così le tappe di un viaggio inaspettato all’interno di un microcosmo misterioso e velocemente variabile come quello dell’adolescenza, in cui fondamentale è ascoltare per conoscere e comprendere.

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Iniziamo dal processo creativo e dalla scrittura. Sei partito da un materiale analitico come quello del documentario per arrivare alla finzione… Non è stato un percorso difficile. Semplicemente ho inserito all’interno della storia tutti gli elementi che mi avevano colpito durante la ricerca compiuta negli anni per realizzare i miei documentari. Avevo già svolto un lavoro simile con un cortometraggio di finzione che raccontava il disagio adolescenziale attraverso vari personaggi. Ovviamente, la mia intenzione era anche quella di dare voce a varie tipologie di ragazzi e la difficoltà più grande è stata proprio inserirli tutti. Inoltre, accanto alla ricerca, nel film hanno conquistato uno spazio importante anche alcuni elementi della mia vita, come le persone che ho incontrato e che hanno influenzato le caratteristiche dei vari personaggi. Ognuno di loro, infatti, dall’assistente sociale alla punk, trae ispirazione da persone con le quali mi sono veramente confrontato. Puoi raccontarci qualche cosa di più sui vari personaggi e, in modo particolare, sulla protagonista Niki/Maya, interpretata da Matilda Lutz? Di alcuni non posso rivelare l’identità. Posso dire, però, che l’artista di strada è costruito interamente su un amico, proprietario di un fantastico circo itinerante. Per molto tempo è stato proprio un artista di strada, almeno fino a quando il Cirque du Soleil non si è accorto di lui. Si tratta di una persona dal grande estro abituato a vivere eternamente in movimento. E in questo viaggio di crescita che percorre Niki mi sembrava interessante far incrociare la sua strada con un personaggio simile. Per quanto riguarda invece la protagonista, ho lasciato che a ispirarmi fossero molte vicende di fuga dalle case famiglia, anche se il suo carattere lo deve a quello forte e determinato di mia sorella. La mia protagonista, ad esempio, si trova nel mezzo di molti ambienti diversi. Si fa catturare da questi ma, alla fine, conserva dentro di sé una scintilla vitale che le permette di uscire non appena il gioco sta prendendo una piega pericolosa. Ecco, l’istinto di sopravvivenza l’ho preso da mia sorella e l’ho fatto indossare a Niki/Maya. Per questo il personaggio muta a seconda dei mondi che incontra, ne indossa i diversi costumi ma nessuno le appartiene veramente. Una caratteristica che vale anche per l’ultimo “travestimento”, che sembra disfarsi

da sé. A quel punto ci troviamo di fronte alla decisione finale di Niki, che però non conosciamo e di cui non vedremo gli effetti. Perché, alla fine, non dobbiamo mai dimenticare che stiamo raccontando un’adolescente, ossia una creatura in costante evoluzione con tutta la vita davanti per decidere quale strada prendere. Dopo essere passata attraverso luoghi e personaggi profondamente diversi Niki ferma improvvisamente la sua fuga rivolgendosi all’unico adulto che sembra essere rimasto in attesa, ossia l’assistente sociale interpretata da Valeria Solarino. Si tratta di resa, consapevolezza o spirito di conservazione? Il fatto è che nessuno ce la fa da solo. Un adolescente può fuggire quanto vuole ma poi c’è un momento in cui deve comprendere la realtà. E se ciò non accade, può finire in una strada senza uscita. Se decide di capire, ha la possibilità di formare il proprio carattere e accettare che l’unico modo per continuare a vivere è quello di trovare un compromesso. Perché, alla fine, essere aiutati non è poi così terribile rispetto al nulla che può avvolgerci. Inoltre, bisogna evidenziare un altro elemento fondamentale. Ci troviamo di fronte a una fuga e a un processo di evoluzione molto veloce. Tutto si svolge in soli quattro giorni ma non è insolito per gli adolescenti. Infatti, quello che per un adulto richiederebbe più tempo loro lo vivono e realizzano in molto meno.

«CI TROVIAMO DI FRONTE A UNA FUGA E A UN PROCESSO DI EVOLUZIONE MOLTO VELOCE. TUTTO SI SVOLGE IN SOLI QUATTRO GIORNI, MA NON È INSOLITO PER GLI ADOLESCENTI».

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L’elemento centrale di questo film, oltre al viaggio, è proprio l’adolescenza, un soggetto difficile da definire. Dopo le tue ricerche e l’esperienza sul set, quali sono le tue considerazioni a riguardo? Ovvero, chi sono gli adolescenti di oggi? È vero, l’elemento adolescenza è difficile da inquadrare perché da generazione a generazione cambia profondamente. Quella di oggi, ad esempio, è totalmente invasa dai modelli che vengono dai media e dai social network, ovviamente meno strutturati di quelli del passato. È una massa che ha pochi ideali e pochi sogni veri. Poi, però, ci sono anche i singoli con dei percorsi personali interessanti. Durante le mie ricerche mi sono accorto che i ragazzi hanno un forte bisogno di richiamare l’attenzione. Quindi tutto ciò che fanno, comprese le loro forme di ribellione, nasce dall’esigenza


Immagini dal film e dal backstage (in basso). Nel cast: Matilda Lutz, la piccola Melissa Monti, Valeria Solarino, Laura Gigante, Giovanni Anzaldo.

di rendersi visibili agli adulti, che non riescono a trovare un modo per comunicare con loro. E nel film ho voluto raccontare proprio questa incomunicabilità. Non è un caso, infatti, che gli adulti siano assenti, fatta eccezione per il personaggio della madre e dell’assistente sociale. Tutti gli altri non esistono perché i ragazzi vivono in un universo loro, in un sottosuolo con delle regole proprie. E in quest’universo distaccato esistono molte realtà diverse. Così, però, i ragazzi finiscono per essere isolati tra loro e dagli adulti. Quando il film è uscito, in molti non hanno compreso che si parlava proprio di un mondo reale. Ho notato da parte del pubblico più grande una certa difficoltà nel comprendere che le cose funzionano esattamente come ho mostrato. Perché quello che è stato raccontato e filmato non è un cliché ma la semplice realtà. A proposito di cliché, quali sono i pericoli narrativi da evitare quando si costruisce un ritratto adolescenziale? A dire il vero non mi sono posto questa domanda durante la lavorazione. Il mio desiderio era soprattutto raccontare questi mondi e con il mio sceneggiatore Massimo Bavastro abbiamo deciso che le due protagoniste dovessero muoversi all’interno della struttura narrativa di un road movie a piedi. Il nostro scopo principale è stato quello di inserire tutti gli elementi utili. Non tanto di renderli comprensibili a chiunque, ma di raccontarli così come sono. Di solito nei film italiani accanto agli adolescenti ci sono sempre delle figure adulte, il cui compito è spiegare quello che fanno i ragazzi. A mio modo di vedere oggi non c’è più bisogno di questo tramite interpretativo. Per questo ho voluto raccontare solo i ragazzi, evitare qualsiasi spiegazione e mostrare la loro quotidianità per quella che è.

«HO NOTATO DA PARTE DEL PUBBLICO ADULTO UNA CERTA DIFFICOLTÀ NEL COMPRENDERE CHE LE COSE FUNZIONANO ESATTAMENTE COME HO MOSTRATO. PERCHÉ QUELLO CHE HO RACCONTATO NON È UN CLICHÉ MA LA SEMPLICE REALTÀ». 21


- Opera prima/2 -

MONITOR

Valeria Bilello nell’immagine grande, e con Michele Alhaique (sopra). In basso Alhaique con Alessio e Riccardo De Filippis.

GIOVANI TALENTI CRESCONO (E FABRIQUE LI SEGUE) Prodotto da RAI Cinema e Tea Time Film con un budget di 200.000 euro, Monitor è un’opera affascinante che segna l’esordio nel lungometraggio di Alessio Lauria. di LUCA OTTOCENTO

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oi di Fabrique lo avevamo già intervistato a proposito del divertentissimo corto Sotto casa, divenuto un piccolo cult sul web con la sua storia di un uomo in estasi per aver trovato parcheggio davanti al portone del proprio palazzo. A pochi anni di distanza Alessio Lauria ha girato Monitor, un’atipica love story ambientata in un mondo distopico, solo apparentemente perfetto, in cui i dipendenti di una multinazionale sfogano ansie e frustrazioni a dei monitor, persone che li ascoltano da dietro un muro senza conoscerne l’identità e hanno il compito di stilare relazioni per l’azienda. Il risultato è un’opera prima per molti versi coraggiosa, inventiva e ottimamente realizzata.

«UN’ATIPICA LOVE STORY AMBIENTATA IN UN MONDO SOLO APPARENTEMENTE PERFETTO». 22

Una delle cose migliori di Monitor sono le interpretazioni di tutti gli attori, in primis dei protagonisti Michele Alhaique e Valeria Bilello. Qual è stata la tua esperienza con loro? Michele è stato fin dall’inizio la prima scelta mia e di Manuela Pinetti, tanto che abbiamo scritto la sceneggiatura pensando al suo volto. Nonostante avesse un range abbastanza ristretto di emozioni entro cui poter spaziare, è riuscito a rendere con efficacia l’evoluzione di un personaggio che pur cambiando non si snatura mai. Valeria Bilello invece mi era piaciuta molto in Happy Family di Salvatores e fin da subito si è dimostrata una persona estremamente intelligente e ricettiva. C’è stata un’affinità immediata tra noi e anche lei, come Michele, è stata bravissima nel non andare mai sopra le righe, giocando con microespressioni e microtoni. Così come le interpretazioni e la sceneggiatura, composta da dialoghi asciutti, anche la regia si caratterizza per un’essenzialità priva di virtuosismi. Il mio gusto personale è legato all’essenzialità e alla sobrietà. Sono convinto che se si usano i movimenti di macchina solo se funzionali a un particolare momento del racconto acquistano un valore aggiunto e si possono apprezzare di più. Nel contesto di un film low budget come il nostro non ci sarebbe comunque stato modo di dedicarsi a elaborati movimenti di macchina, che avrebbero richiesto molto tempo e una grossa organizzazione. In questo caso, quindi, la scelta di una regia essenziale si è dimostrata a tutti gli effetti la più adeguata. Non capita spesso di riuscire a girare un lungo avendo alle spalle un solo corto. Come ci sei riuscito? Entrambi i miei lavori sono stati realizzati grazie al Premio Solinas. Sotto casa è nato nel contesto del concorso “Talenti in Corto” ed ha avuto molta fortuna. Nello stesso anno, il 2011, ho vinto anche il concorso “Solinas Experimenta” e così poco dopo ho avuto l’opportunità di iniziare a lavorare a Monitor. Per tutto il processo di scrittura e di realizzazione del film il Solinas mi ha messo a disposizione tutor molto preparati e da loro ho imparato davvero tanto.



- Nazione Web -

BIG CITY LIFE

Il frutto della collaborazione di RAI Fiction e Premio Solinas è AUS, la webserie di Antonio Marzotto e Serena Patrignanelli sull’odissea di uno studente universitario tra i palazzoni della capitale.

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di GIOVANNA MARIA BRANCA

Mattia è abruzzese, ha vent’anni e deve andare a Roma per studiare. Nella capitale è stato da poco lanciato il progetto AUS (Adotta Uno Studente) per cui gli abitanti delle case popolari vengono incentivati a ospitare i ragazzi che si trasferiscono in città per frequentare l’università. È questo il punto di partenza di AUS, webserie ospitata dal canale online della RAI dedicato proprio alla serialità made in internet (www.ray.rai.it) e vincitrice del concorso del Premio Solinas La bottega delle webseries. Anche Antonio Marzotto, il regista di AUS, non è romano. Livornese trentatreenne trapiantato a Roma da due anni e mezzo, insieme alla sceneggiatrice Serena Patrignanelli covava da tempo l’idea di un ragazzo che giunge nella capitale per gli studi. Così, quando lui e Serena sentono parlare del concorso del Solinas, si affrettano a mandare il loro progetto: «Abbiamo pensato che la nostra storia potesse essere giusta per quel formato, anche se io personalmente non sono un grande conoscitore di webserie». Per poter partecipare, spiega la direttrice artistica del Solinas Annamaria Granatello, i concorrenti dovevano inviare le prime due puntate di 7 minuti l’una, una sceneggiatura e tre soggetti per le tre puntate successive. «Siamo stati contattati – racconta Antonio – come finalisti tra i primi dieci. Poi, durante la premiazione, hanno selezionato il nostro progetto e altri due». Da quel momento in poi, Antonio e Serena, oltre a vincere 2000 euro, iniziano un laboratorio creativo di quattro mesi con dei tutor, gli stessi professionisti che avevano selezionato i vincitori. Oltre a Granatello ci sono lo sceneggiatore Stefano Sardo (Il ragazzo invisibile), Monica Zappelli, autrice della sceneggiatura de I cento passi,

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l’attrice e sceneggiatrice Monica Rametta (La kryptonite nella borsa), la montatrice Ilaria Fraioli, il regista Ivan Silvestrini, la regista e produttrice Monica Ricci e il produttore RAI Leonardo Ferrara. Il percorso con i tutor, dice Antonio, «è stata forse la fase più bella, perché non capita spesso di avere dei professionisti che ti ascoltano, ti seguono, si appassionano allo sviluppo dell’idea e contribuiscono ad accrescerla. Siamo sempre stati incoraggiati a spaziare, a evitare la classica situazione della videocamera in cucina con i personaggi che stanno seduti e parlano, ad allargare il mondo narrativo». Il punto di partenza è stato il materiale che era già stato scritto, poi ampliato arrivando a cinque sceneggiature da presentare alla RAI. «Il salto qualitativo è stato molto evidente», precisa Annamaria, «li abbiamo spinti a osare di più, a lavorare sui personaggi. Ma soprattutto abbiamo scelto di fare un lavoro di tipo orizzontale e non verticale: è vero che spesso le webserie sono “pillole” tutte fondate sulla comicità, ma è stato sviluppato anche l’aspetto della commedia, di una struttura di maggior respiro che potesse essere seguita passando da un episodio all’altro». E il quinto e ultimo episodio si è concluso lasciando tutte le situazioni aperte per il futuro, con l’idea di aver fatto, con le parole di Antonio,«un grande episodio pilota diviso in cinque puntate». A quel punto, la direttrice di RAI Fiction Eleonora Andreatta ha scelto quale progetto dei tre sviluppati finanziare con 35.000 euro e poi trasmettere sul canale di webserie della RAI. Dopo aver incontrato tutti i ragazzi ed essersi consultata con i tutor della Bottega la scelta


In alto Alice Torriani: qui sopra il cast con Serena e Antonio (seduti), Valmorin Marzotto e Cantarini, Cantarini e Michela Hickox.

è ricaduta proprio su AUS di Antonio e Serena perché, sceneggiatrice sono stati ancora una volta aiutati dal Sospiega ancora Annamaria, «abbiamo voluto premiare il linas, che ha svolto il ruolo della produzione esecutiva. progetto del regista che aveva lavorato di meno in pre- Per gli interpreti, spiega ancora Antonio, «abbiamo fatto cedenza: ci siamo presi la responsabilità di fare un vero dei casting mirati e non aperti, perché avremmo rischiato di perdere troppo tempo. Barbara Valmorin l’avevamo esordio, da zero». Così, il laboratorio del Solinas è proseguito: nella fase vista poco prima nel film di Ascanio Celestini La pecora delle riprese, del montaggio e della post-produzione nera. Siamo andati a casa sua e lei si è subito innamorata i tutor hanno continuato a stare al fianco di Antonio e dell’idea. Per quanto riguarda Giorgio Cantarini invece ci era venuta la curiosità di vedere quanti anni ha adesso Serena. Ad accogliere a Roma Mattia, interpretato da Giorgio il bambino di La vita è bella, così abbiamo scoperto che Cantarini, è l’anziana signora Firmina (Barbara Valmo- aveva esattamente l’età del personaggio di Mattia, circa rin), dal fare burbero e accanita giocatrice di tressette. venti anni. All’epoca si stava diplomando al Centro Sperimentale, io sono Dagli annunci su andato a vederlo internet Mattia si «L’ironia che c’è nei confronti della città è più mia. recitare in un saggio era illuso però che Serena invece è romana, quindi lei ha contribuito di più allo finale e così è iniziala proprietaria di sviluppo dei personaggi caratteristici della città». to tutto». casa fosse la nipote di Firmina, Marta, che invece vive a Londra. Intanto la capitale, altra protagonista, fa incespicare il nuovo arrivato in tutte le sue terribili trafile burocratiche, le distanze incolmabili e la solitudine della grande città. «Io e Serena – racconta il regista – ci siamo divisi i raggi d’azione: io mi immedesimavo di più in Mattia anche se non sono arrivato a Roma così giovane, ma in generale l’ironia che c’è nei confronti della città è più mia. Serena invece è romana, quindi lei ha contribuito di più allo sviluppo dei personaggi caratteristici della città: ad esempio la parlata di Firmina si rifà a quella di sua nonna». Per ingaggiare gli attori e il resto della troupe, regista e

Oggi la “serie pilota” di AUS è online, e sembra che stia andando molto bene: «Barbara Valmorin – conferma Antonio – mi ha addirittura raccontato che è stata fermata per strada da dei ragazzini che le hanno chiesto se lei era la signora che ospita Mattia». Le cinque puntate, a differenza di quanto accade di solito su ray, sono state messe online tutte insieme. «Una distribuzione innovativa», la definisce Annamaria, che fa in modo che si possano vedere tutte d’un fiato e magari sperare che ne arrivino di nuove. Ma ci sarà un seguito? «Vedremo che intenzioni hanno alla RAI... Ma se lo chiedete a me – conclude sorridendo Antonio – spero proprio di sì».

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- Futures -

LUIGI PANE

Perché uno sceneggiatore decide di approdare alla regia? In realtà il sogno nel cassetto che ho sin da bambino è sempre stato quello di fare il regista. Ho lavorato per qualche anno come assistente alla regia per diverse fiction RAI e un film per il cinema, anni preziosissimi che mi hanno fatto conoscere il set nei suoi meccanismi più insidiosi, tecnici e affascinanti, ma sapevo bene che quella non era la mia strada. A interessarmi del cinema è sempre stato l’aspetto creativo più che quello esecutivo. Così ho cercato di spostarmi sempre di più (non senza fatica) verso la scrittura, di cui amo il lavoro in solitudine, il concentrarmi sui personaggi, il bellissimo varco che si apre attraverso lo schermo tra il tuo mondo e quello che stai creando tra le righe della pagina bianca. Ed è proprio da questa magica sospensione che è nato Black Comedy. La mia parte di sogno puro. Il corto trae ispirazione da un fumetto di Carlo Ambrosini. Hai rielaborato lo script in maniera autonoma o avete lavorato a quattro mani? Carlo Ambrosini, che mi onora con la sua amicizia, oltre a essere uno dei più grandi fumettisti italiani è a mio avviso anche un bravissimo sceneggiatore. Le sue storie che leggevo da adolescente su Dylan Dog, Napoleone e più recentemente su Jan Dix, mi hanno sempre emozionato come dei veri e propri film. Quando un paio di anni fa lo contattai dicendogli che volevo realizzare un cortometraggio traendo spunto da una pagina e mezzo di un suo Dylan Dog e lui acconsentì con entusiasmo, quasi non ci volevo credere. Ho lavorato al testo principalmente da solo, estrapolandolo dal suo contesto originario e trasformandolo in una storia autonoma, modificando e rafforzando soprattutto i ruoli dei due protagonisti.

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Fortunato Cerlino e Antonia Liskova sono i due perni narrativi. In che maniera li hai coinvolti nel progetto? Che apporto hanno dato a un testo che racconta il confine impercettibile tra realtà e finzione, comunemente definito recitazione? Non trovavo nessuno che rispondesse al cento per cento alle caratteristiche richieste dal personaggio: carisma, intensità, autorità. Poi una sera ho visto Gomorra, per caso, e il boss Savastano di Fortunato mi ha folgorato. Ci siamo incontrati un anno fa circa, a Trastevere, vicino al cinema America. Mentre lo vedevo avanzare verso di me con il suo volto imperscrutabile mi dicevo “ecco, se adesso mi dice di no, io il corto non lo faccio più”. Fortunatamente quel giorno le cose sono andate diversamente, ma ero solo a metà dell’opera. Grazie al supporto di Tiziana di Matteo sono riuscito a incontrare Antonia, che è stata la quadratura del cerchio. Mentre al montaggio riguardavo i suoi sguardi sul monitor, le sue espressioni che dicevano più di mille parole, mi sono sentito davvero soddisfatto del lavoro svolto. Devo dire che tutto il cast ha fatto un lavoro eccellente; Beniamino Marcone e Paolo Perinelli hanno costruito momenti di ironia davvero intensi, che hanno spezzato nel migliore dei modi la tensione della storia. L’uso del bianco e nero è sempre un atto di grande coraggio. Come mai questa scelta? Con il direttore della fotografia avete avuto un riferimento in particolare? Ti rispondo con una frase di Wim Wenders: «La vita è a colori, ma il bianco e nero è più realistico». Il tono monocromatico è come se


LO SPUNTO UNA PAGINA E MEZZO DI FUMETTO PER RACCONTARE IN UN B&N BERGMANIANO IL CONFINE TRA REALTÀ E FINZIONE IL LUOGO UN TEATRO STORICO Intervista e foto di VALERIO VESTOSO*

* Regista e sceneggiatore (Il mese di giugno, Malatempora night, Tacco 12 )

svuotasse la realtà dalle sue informazioni più effimere, restituendo- cessari in questi tempi di crisi. Oggi con un tocco di polpastrello ci l’anima della rappresentazione in tutta la sua potenza più pura. possiamo avere il mondo alla nostra portata, tutto il nostro conoIo avevo bisogno di una fotografia dell’anima per questo cortome- scere è ormai veicolato attraverso uno smartphone, un computer traggio, non della semplice rappresentazione della realtà. Davide o un tablet, e le nostre emozioni sono spesso filtrate attraverso uno Manca, direttore della fotografia, ha fatto un lavoro eccezionale al schermo. Che cosa può rappresentare quindi oggi il teatro, la culriguardo. Insieme ci siamo visti molte sequenze dei film di Bergman tura, che emozione può darci il linguaggio parlato, faccia a faccia, più famosi, come Persona, perché volevo ricreare guardandoci negli occhi? È un tema questo coalcune illuminazioni particolari abbastanza simunque che nel film è nascosto, va individuato mili a quei film e che si addicessero ai numerosi con attenzione, non è spiattellato lì in prima bat«CHE COSA PUÒ primi piani che ho girato. tuta, messo in evidenza a tavolino per fare gola RAPPRESENTARE OGGI alle giurie dei festival come spesso accade, ma IL TEATRO, LA CULTURA, L’immagine risente molto della potenza visiva che ho scelto appunto di inserire tra le righe con CHE EMOZIONE PUÒ del Teatro Argentina. In che modo è stata gestita discrezione. DARCI IL LINGUAGGIO la lavorazione all’interno di un tempio della culPARLATO, FACCIA A tura romana? Che strada seguirà Black Comedy? FACCIA, GUARDANDOCI Hai detto bene. Un tempio della cultura romana. Quella classica e quasi obbligata per questo geneNEGLI OCCHI?». Un luogo magico, quasi incantato, dove i rumori re di prodotti specialmente in Italia: la strada dei del traffico e del caos cittadino cessano non appena varchi quella storica soglia. Era la location perfetta che mi serviva, altro tassello fondamentale da inserire assolutamente nella costruzione dell’atmosfera di cui avevo bisogno. Già dai primi sopralluoghi l’emozione di calpestare quel palco è stata fortissima. Steady, quasi assenza di musica, nessun tema sociale, sei consapevole di aver prodotto un cortometraggio del tutto inusuale per il panorama italiano? In realtà un tema sociale c’è eccome, ed è quello dell’importanza dell’arte e del linguaggio, così bistrattati ma assolutamente ne-

festival e delle mostre del cinema, spero i più importanti. E mi auguro che durante questo percorso Black Comedy possa costruirsi una sua identità, che lo porti a varcare anche i confini nazionali. Che strada seguirà Luigi Pane? Continuerò, per dirla alla De André, in direzione ostinata e contraria, fino a che ne avrò la forza e la possibilità. È davvero dura inseguire questo sogno, ci vuole tenacia, spirito di sacrificio, bisogna studiare e leggere molto, essere sempre attenti, eclettici e cercare di perdere il meno tempo possibile. Ma come dico spesso, i sogni non si scelgono, si può solo decidere se crederci oppure no.

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- Speciale Mestieri -

L' AIUTO REGISTA RAPPRESENTA IL LEGAME ESSENZIALE TRA IL REGISTA E LA PRODUZIONE. PUÒ ESSERE CONSIDERATO COME IL BRACCIO DESTRO DEL REGISTA O PER ESSERE PIÙ PRECISI IL SUO BRACCIO OPERATIVO, IL SUO CONSIGLIERE, MA ANCHE, NELLA PEGGIORE DELLE IPOTESI, IL SUO LIMITE. a cura di RICCARDO QUARTA foto RICCARDO RIANDE

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SUL PONTE, ACCANTO AL

CAPITANO


L

L’aiuto è il “caporeparto” del reparto regia ed è anche il responsabile del set assieme al direttore di produzione. Si occupa di comporre il piano di lavorazione, di seguire tutte le fasi di preparazione (spoglio della sceneggiatura, sopralluoghi, provini degli attori, scelte delle comparse e così via).

Da sinistra Emanuele Imbucci, Ciro Scognamiglio, Lucilla Cristaldi, Milena Cocozza e Riccardo Quarta.

Cinque domande per cinque

1 2345 Attraverso quale percorso sei arrivato a questa professione?

Puoi citare i film/registi più significativi con i quali hai collaborato?

Il lavoro dell’aiuto regista consiste anche nella mediazione fra regia e produzione, puoi parlarci di questo aspetto?

L’accesso alla professione è facile o difficile per un giovane?

Le risposte a pagg. 30-32

Spesso l’obiettivo di un aiuto regista è approdare alla regia: hai avuto esperienze di questo tipo? Per altri invece è proprio l’aiuto regia: tu di quale pensiero sei?

Durante le riprese si occupa invece della gestione e organizzazione del set, del coordinamento degli assistenti, dell’ordine del giorno. Organizza e coordina il lavoro di tutti i membri della troupe, degli attori e delle comparse. Il suo ruolo lo porta quindi a entrare in contatto con tutto il personale coinvolto nella realizzazione dell’opera, dal regista – naturalmente – ai capi dei vari reparti. Tra il regista e il suo aiuto normalmente si crea un legame di amicizia, rispetto e stima reciproca. Nel 1945 Monicelli è aiuto nel primo film di Pietro Germi: fra i due si instaura subito un profondo legame. Quando Germi entrò in un periodo di crisi dopo la morte della moglie, chiese a Monicelli di dirigere il film che stava preparando (Signore & signori), dicendogli che lui non se la sentiva più. Ma Monicelli, a cui il film piacque molto, si rifiutò e incoraggiò Germi a girare quello che sarebbe diventato uno dei suoi lavori più significativi. Anche Carlo Vanzina, dopo un lungo e intenso apprendistato con Monicelli, Sordi e il padre Steno, ha debuttato dietro la macchina da presa. Un esempio recente è quello di Ferzan Özpetek: numerose le sue collaborazioni come aiuto di Massimo Troisi, Ricky Tognazzi, Sergio Citti e Francesco Nuti. Ma tanti sono anche i casi di aiuto registi che hanno deciso di rimanere tali e diventare dei veri e propri specialisti del settore, élite indiscussa di questa difficile professione. Dal maestro e mito Antonio (Tony) Brandt ad Alberto Mangiante, Barbara Pastrovich e tanti altri. È un mestiere meraviglioso, complesso, di grandissimo sacrificio. Che lo si faccia in Italia, nel resto d’Europa, nel mondo, non ci sono differenze. L’unica risiede nelle origini: siamo italiani, maestri nell’arte di arrangiarsi. Sul set è questa la cosa più importante. Cavarsela, sempre e comunque, qualsiasi cosa accada.

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L’accesso alla professione per i giovani oggi è più complesso con le grandi produzioni, ma ci sono più opportunità su piccoli progetti nati dai nuovi media, come le webserie.

EMANUELE IMBUCCI

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Il cinema è da sempre la mia passione e il percorso che mi ha portato a farne una professione ne è stata la naturale evoluzione. Arrivato a Roma nel ’96 con le idee già piuttosto chiare, mi sono iscritto a un corso di regia e frequentato un master con professionisti del settore. Ho realizzato tre corti e uno di questi ha vinto un concorso presieduto da Carlo Verdone. Da qui la possibilità di lavorare come assistente alla regia volontario sul primo set di un film per poi incontrare un aiuto regista che mi ha portato in Cecchi Gori sul set dell’opera prima di Vincenzo Salemme.

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Per il grande schermo ho lavorato con registi assai diversi: da Ermanno Olmi al giovane talento Ivan Silvestrini, dalle tante commedie di Pieraccioni e Salemme, a Ponzi, Mortelliti, fino all’horror in inglese dello spagnolo Alberto Sciamma. Anche in televisione ho lavorato su generi diversi: da Elisa di Rivombrosa con Cinzia Th Torrini all’azione del Capitano II con Sindoni, dal giallo del Giudice Mastrangelo con Oldoini al medical drama di Crimini bianchi con Alberto Ferrari. A ogni nuovo lavoro cerco di creare un canale di comunicazione privilegiato con il regista che mi aiuta a condividerne la visione con la produzione, con la quale è fondamentale la collaborazione reciproca e lo scambio informazioni. Questi passaggi contribuiscono a creare il miglior clima e la maggior efficienza sul set. Il rispetto per il lavoro di tutti e la conoscenza delle necessità di ciascun reparto sono alla base delle capacità di ascolto, ottimizzazione e rapida selezione delle priorità che un aiuto regista deve possedere.

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Dal 2008 ho diretto episodi di Un posto al sole, scene per la TaoDue e webserie. Queste esperienze hanno affinato la mia professionalità anche come aiuto, consentendomi di migliorare la modalità di affiancamento al regista, con maggiore consapevolezza delle problematiche proprie del suo ruolo, avendo io stesso sperimentato prospettive simili. Ritengo che i percorsi da regista e da aiuto possano essere complementari, arrivando anche a intrecciarsi proficuamente nella direzione di una formazione completa che cerco di costruire, da quasi vent’anni, con la stessa passione.

«CI SONO PIÙ OPPORTUNITÀ SU PICCOLI PROGETTI NATI DAI NUOVI MEDIA».

CIRO SCOGNAMIGLIO

E.I.

«PER ME L’AIUTO REGISTA È UNA FIGURA DI TIPO ORGANIZZATIVOGESTIONALE». C.S.

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A sedici anni ho iniziato il mio percorso frequentando un laboratorio teatrale. Poi a ventuno ho avuto l’opportunità di lavorare come assistente con un regista conosciuto in quell’occasione. In sostanza tutto è avvenuto un po’ per caso, un minimo di merito credo di avercelo avuto, ma mi sento una persona molto fortunata! Sicuramente il regista che più ha significato nel mio percorso professionale è Nanni Moretti. L’ho conosciuto nel 2003 sul film Te lo leggo negli occhi, di cui era produttore, e, fino a oggi, mi ha coinvolto in tutti i suoi progetti. Insomma gli devo molto e per me è un po’ come un secondo padre.


«SONO CONVINTA CHE QUESTO MESTIERE ABBIA AMPI MARGINI DI CREATIVITÀ».

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Argomento complesso e molto delicato. Sicuramente compito dell’aiuto regista è cercare di conciliare le richieste artistiche di un regista con le possibilità economiche di una produzione, e in questo sta la sua arte di mediare. Tutto ciò però è anche determinato dai caratteri delle persone con le quali ci si trova ad aver a che fare; a volte è molto facile, mentre altre è come trovarsi tra le due linee di fuoco di un campo di battaglia. L’esperienza (e la psicoanalisi) ti possono insegnare alcuni piccoli trucchetti che però non chiedetemi di svelarvi...

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Purtroppo è sempre stato molto difficile e avviene molto spesso attraverso un duro percorso di gavetta. Oggi, paradossalmente, in tempi di crisi in cui il lavoro è sicuramente meno, è aumentata in maniera esponenziale l’offerta di formazione, troppo spesso però di dubbia serietà. Grazie all’Associazione Italiana Aiuto Registi e Segretarie di Edizione (AIARSE) e ai sindacati stiamo combattendo per creare dei percorsi di alta formazione e per avere una certificazione professionale, anche per dare la giusta dignità alla nostra professione. Io sono del secondo tipo. Per me l’aiuto regista è una figura di tipo organizzativo-gestionale. Quello che più mi piace del mio lavoro è coordinare i vari reparti e la gestione del set. Sicuramente ci sono degli aspetti tecnici della regia che mi affascinano, ma non sento nessuna necessità o urgenza di raccontare una storia. Chissà, probabilmente ho avuto un’infanzia troppo felice, però va bene così.

LUCILLA CRISTALDI

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Ho iniziato partecipando a un corso di regia tenuto da Giacomo Campiotti, poi un secondo tenuto da Marco Bellocchio, in seguito mi sono proposta come assistente alla regia per L’ora di religione e da allora non ho mai smesso di lavorare con Marco. Nel corso degli anni ho collaborato con molti registi, ricoprendo spesso anche il ruolo di script supervisor. Si può dire che ho sempre cercato di portare avanti entrambi i lavori, amandoli molto per ragioni diverse.

L.C.

«AMO COLLABORARE CON REGISTI CHE SOVVERTONO LE REGOLE DEL CINEMA TRADIZIONALE». M.C.

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MILENA COCOZZA

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Il ruolo dell’aiuto regista è quello di essere un anello che lega tutti i reparti, ma forse prima di tutto deve saper mediare con le esigenze della produzione. Chiaramente l’equilibrio di questo rapporto tra regia e produzione non può prescindere dal regista. Partecipare a un film di Bellocchio è ovviamente molto diverso da realizzare un’opera prima con scarse risorse economiche. Quindi bisogna sempre ricalibrare il proprio lavoro e la propria libertà creativa tenendo presente la natura produttiva del film. La cosa più importante è cercare soluzioni creativamente soddisfacenti anche nelle situazioni più difficili facendo i conti con le reali forze in campo.

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Ho iniziato con l’idea di fare regia, e ho realizzato un cortometraggio all’interno di un corso, ma poi il lavoro di script supervisor e aiuto regia è stato talmente coinvolgente e totalizzante che nel tempo questa necessità si è allontanata. Ma rimango convinta che questo mestiere abbia ampi margini di creatività, ed è questa caratteristica che mi affascina così tanto.

Credo che l’accesso alla professione di aiuto regista non sia facile per un giovane, ma con entusiasmo e voglia di dedicarsi anima e corpo infine ci si riesce!

Il cinema è per me una passione antichissima che mai si consuma. Prima di tutto a me il cinema piace guardarlo, e guardandolo ho iniziato anche a volerlo fare, a saperlo fare. Riconosco il merito ai buoni maestri (una in particolare, la mia professoressa di liceo che inserì nel programma storia e critica del cinema), che hanno saputo allargare la mia conoscenza e concretizzare le mie intenzioni. Poi l’università, e un corso privato per riuscire a capire se c’era una strada da percorrere per arrivare a questo mondo, con cui originariamente non avevo assolutamente niente a che fare. E quindi un po’ di fortuna, e una gavetta vera e totalizzante, passando dal montaggio, alla produzione per finire finalmente alla regia, che era poi il desiderio iniziale. Al ruolo di aiuto sono arrivata molto presto, grazie alla possibilità datami da un’altra gran donna (Ornella Bernabei, produttrice esecutiva) che ha avuto fiducia in me, e ci sono arrivata senza un vero metodo, forse troppo giovane, l’esperienza l’ho fatta sulla mia pelle, formandomi e plasmando pian piano un approccio personale.

Ho collaborato con autori noti come appunto Bellocchio, Crialese, Costanzo, Ciprì, ma spesso ho lavorato anche per brillanti opere prime e seconde come quelle di Valerio Mieli, Alice Rohrwacher, Laura Bispuri, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza. Registi che con le loro opere prime e seconde hanno ottenuto riconoscimenti importanti.

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Non ci sono film o registi significativi. Ma esperienze che ti lasciano qualcosa. Su ogni singolo progetto, fosse un cortometraggio, una serie televisiva, un film, una pubblicità, ho sempre portato a casa un bagaglio di esperienza, professionale e umana, importante. Mi è capitato di lavorare con registi umili, disposti a insegnarti qualcosa. E con registi falsi umili, che non avevano nulla da insegnarti.

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Sebbene alcune esperienze importanti come la serie Romanzo Criminale con Stefano Sollima siano state molto formative, ultimamente scelgo di collaborare con registi con cui si crea una vera sintonia professionale, che sovvertono un po’ le regole del cinema tradizionale, sia a livello linguistico/contenutistico che di metodo di realizzazione, come i Manetti Bros, con i quali lavoro ormai da dieci anni, o nuove menti geniali come Roan Johnson, Ivan Cotroneo o Ivano di Matteo, un vero vulcano. L’aiuto regista è un ruolo estremamente tecnico, solo gli addetti ai lavori ne capiscono il valore di coordinamento; allo stesso tempo è un ruolo che richiede sensibilità, un’attitudine psicologica di adattamento alle personalità con cui si entra in collaborazione, e una capacità di giudizio artistico che va dalle performance attoriali a tutte le scelte che riguardano l’estetica, fino al modo migliore per realizzare un film nei tempi e costi previsti. In questo senso l’aiuto regista non può prescindere dalla collaborazione stretta con la produzione. È un gioco da enigmisti, un sudoku.

R.Q.

RICCARDO QUARTA

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La mia soddisfazione maggiore è essere riuscita a fare quello che volevo e oggi, quando posso, cerco sempre di incontrare chi mi chiede una mano per iniziare. Non so se sia facile o meno per i giovani, ma sono fermamente convinta che per fare questo mestiere esista un’attitudine, e ho anche la presunzione di pensare di saperla riconoscere e quindi incoraggiare. Vicende personali (disastrose), mi hanno già portata a confrontarmi con la possibilità di fare la regia, non credo sia un passaggio né obbligato né necessario. Non lo escludo, ma mi sento appunto più un tecnico che un autore. Fare l’aiuto regista può essere un lavoro bellissimo e pieno di soddisfazioni, e forse, come mi disse Valerio Mastandrea una volta, di registi mediocri è pieno il paese, ma di bravi aiuti ce ne sono pochi.

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«SE SAI MEDIARE OTTIENI IL RISPETTO E HAI L’ATTENZIONE DI TUTTI SUL SET».

È partito tutto da un film visto a tredici anni, La strada di Fellini. Finalmente avevo deciso che il mio posto era sul set nel reparto regia. Ho cominciato dall’ultimo gradino: volontario, secondo assistente regia, primo assistente, secondo aiuto, primo aiuto regista.

La cosa più difficile sul set: mediare. Delle volte ti trovi sommerso da domande. Tutti hanno la presunzione di sentirsi in diritto di ricevere risposte, subito, qui e ora. E tutto ciò avviene mentre devi dare retta al regista, attori, direttore della fotografia, produzione. In questi casi, faccio un respiro profondo, poi chiamo “Motore!”. Il più delle volte funziona. Parlerei di mediazione in genere, non solo nei confronti della produzione ma verso tutta la troupe. Se sai mediare ottieni il rispetto e hai l’attenzione di tutti sul set. Quando ho cominciato io, circa dieci anni fa, era molto difficile. Il più delle volte era già tutto occupato dai raccomandati. Bastava leggere i loro cognomi e capivi da dove venivano. Oggi, purtroppo, credo sia ancora peggio. A un giovane dico di provarci, pensando anche a un piano B, di dare il massimo, di fare bene il proprio lavoro, di diventare insostituibile, di avere disciplina, di essere ambizioso e di avere sempre uno sguardo verso il futuro. Il resto è fortuna. Attualmente voglio solo fare l’aiuto regista. La regia è un sogno per pochissimi. Nessuno al mondo conosce il proprio futuro. L’importante è essere concreti e presenti, al massimo delle proprie possibilità, in questo presente.



- Icone -

«FORSE LE PERSONE SONO RIMASTE AFFEZIONATE A UN CERTO TIPO DI MIO CINEMA E QUINDI ASPETTANO SEMPRE CHE IO LO RIFACCIA, MA NON POSSO PERCHÉ DEVO PROGREDIRE, GUARDARE AVANTI, SPERIMENTARE». 34


DARIO ARGENTO È UNA CALDA E TETRA MATTINA D’INIZIO ESTATE. CITOFONIAMO, SEGUE UNA BELLA VOCE PROFONDA CHE CI INDICA DI SALIRE AL PRIMO PIANO. MOLTE IMMAGINI, PARAFRASANDO UN FAMOSO FILM DELLA NOSTRA ICONA, «CI PENETRANO NELLA MENTE COME UNA LAMA», MENTRE SALIAMO LA RAMPA DI ANTICHE SCALE CHE TERMINA DAVANTI A UNA PORTA.

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di GIACOMO SABELLI foto GIULIA PARMIGIANI

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Come e quando nasce il cinema di Dario Argento? Moltissimi anni fa. Non puoi stabilire un momento preciso, non è che si viene folgorati come San Paolo, a un certo punto nella tua vita incontri il cinema e comincia a fermentare dentro di te. Il mio ad esempio nasce già quando ero un bambino, poi da giovane ho iniziato il lungo percorso che mi ha portato fin qui. L’ho vissuto prima da spettatore, poi come giornalista, come critico cinematografico, come sceneggiatore e infine regista. Tutto il percorso che si compie è in realtà lo sviluppo di una personalità che si va infine a esprimere nel cinema vero e proprio. Che consiglio darebbe a chi oggi vuole fare cinema? Oggi è indubbiamente più difficile fare cinema rispetto a quando ero giovane, per diverse ragioni e innanzitutto per questioni finanziarie, perché non ci sono più distributori. La strada è sempre la stessa: studiare, frequentare scuole di cinema – quelle mediocri è meglio evitarle perché non servono a niente, solo a far guadagnare quelli che le organizzano, altre però sono interessanti, come quelle legate al pubblico. Magari fare anche uno stage durante la lavorazione di qualche film così da poter vedere come funziona il cinema in concreto e non solo in teoria. Bisogna frequentarlo, il cinema. Ripeto, però, oggi debuttare non è affatto facile. Ho visto anche molte opere prime di genere lo scorso anno al Courmayeur Noir Film Festival, film pieni di inventiva, con storie molto forti, però nessuno è riuscito a trovare un distributore italiano. Forse perché in Italia si privilegiano la commedia e il dramma, anziché tentare altre strade come avveniva in passato. Esatto. Hanno paura che il film non abbia successo. Poi, come accennavo, è vero anche che in Italia non ci sono quasi più distributori, e quei pochi che restano, soprattutto per questioni economiche, tendono a puntare su film decisamente più “piccoli”. Questo è il problema più grave, nessuno più osa. Per valicare questi ostacoli in molti si sono buttati sulle webserie. Però non ci si guadagna nulla. Chi ti dà soldi per fare questo tipo di prodotto? Senza poi contare che sono comunque dei film piccoli, che vengono seguiti in gran parte dagli affezionati del web, privi di alcuna diffusione, nazionale o internazionale che sia.

La sperimentazione tecnica: ha sempre avuto un occhio di riguardo per questo aspetto. Io sono nato come sperimentatore, perché sapevo che il cinema è sperimentazione e progresso, bisogna continuamente superare se stessi. Sono andato sempre avanti, dai miei primi film fino a titoli come Profondo rosso, Suspiria, Inferno, La sindrome di Stendhal. Le mie opere sono sempre state delle sperimentazioni, seguendo anche l’insegnamento dei grandi maestri come Sergio Leone e Alfred Hitchcock, che nella loro vita, anche da anziani, hanno sempre sperimentato, inventato. È un modo che è nella mia personalità.

«OGGI È INDUBBIAMENTE PIÙ DIFFICILE FARE CINEMA RISPETTO A QUANDO ERO GIOVANE, INNANZITUTTO PER QUESTIONI FINANZIARIE, PERCHÉ NON CI SONO PIÙ DISTRIBUTORI».

Quindi lei esclude di intraprendere un giorno un progetto dedicato alle webserie? No, in realtà non lo escludo... Però al momento non ci penso. In passato ha già accolto giovani sotto la sua “ala protettrice”. Oggi sarebbe ugualmente disposto a fare la stessa cosa con qualche altro giovane cineasta? Dovrei conoscerlo. Tutti quelli che ho prodotto, Lamberto Bava, Michele Soavi, Sergio Stivaletti, li conoscevo molto bene perché avevano lavorato con me, erano stati miei assistenti per lungo tempo, quindi avevo una consuetudine con loro che da tempo non ho con altri. Non ho più contatti così frequenti con i giovani registi. Perché oggi, secondo lei, i produttori non hanno il coraggio di investire in un cinema diverso, come il suo? A parte il fatto che opere come le mie sono più costose (prevedono un certo tipo di effetti speciali), spesso i film di genere per non apparire rozzi hanno bisogno di una “veste” che li arricchisca, li renda più interessanti, e questa sorta di abito da far indossare al film è molto costoso. Mentre la commedia è tecnicamente più “semplice”.

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Parliamo del “nuovo Argento”. Molti si dicono fedeli all’“Argento classico” e meno a quello degli anni Duemila. Perché secondo lei? Francamente non lo so, non l’ho mai capito: credo di aver fatto dei film interessanti, ad esempio Il cartaio e Non ho sonno. Forse le persone sono rimaste affezionate a un certo tipo di mio cinema e quindi aspettano sempre che io lo rifaccia, ma non posso perché devo progredire, guardare avanti, sperimentare.

Parliamo allora del suo ultimo film, Dracula 3D. In quanto a tecnica cinematografica c’è sicuramente molto da dire. Per cominciare c’è appunto l’uso del 3D, che adesso sembra non avere più molta diffusione, però era un aspetto che a me interessava e mi sono deciso a impiegarlo dopo aver partecipato a un convegno negli Stati Uniti su un titolo di Hitchcock, Dial M For Murder (Delitto perfetto), che ignoravo fosse stato filmato originariamente in 3D. Rispetto a Hitchcock, ho voluto provare a girare in un ambiente più ampio, allargandomi, evitando gli espedienti più appariscenti come ad esempio gli oggetti che fuoriescono dallo schermo. Ho preferito incentrarmi sui piani visivi, ogni piano doveva avere una sua visibilità: ad esempio le foreste, ho scoperto che luoghi simili sono i migliori per il 3D perché appunto alberi e cespugli consentono di avere una grande profondità di campo e conferiscono alla storia una visione più ampia.

È possibile che la sua attenzione per la tecnica sia il motivo per cui gli spettatori (non comprendendo appieno questo aspetto) preferiscono i suoi film del passato? Sinceramente no, credo che il cinema in generale abbia subìto un cambio di rotta. Il boom degli effetti speciali made in USA, ad esempio, ha finito a lungo andare per creare una sorta di sconcerto nel pubblico. Questo tipo di effetti, a volte esagerati, tendono a rendere i film troppo artificiosi, cioè sviliscono la materia poiché si percepisce che sono falsi, quindi in realtà si finisce spesso per vedere film di plastica. E poi, mi corregga se sbaglio, rispetto a prima la gente oggi difficilmente si spaventa. Esattamente! L’artificiosità di questo cinema ha determinato anche un’assuefazione del pubblico alla paura. Profondo rosso ha compiuto 40 anni, e la versione restaurata uscita per l’occasione è stata un grande successo. Come si è sentito? Mah, non è che penso molto all’anniversario. Ho fatto il film, quello che è stato è stato. La cosa positiva è che finalmente l’ho visto [non guarda mai i suoi film, ndr] nella versione restaurata in varie città e posso dire che non è affatto male. A breve (2017) toccherà anche a Suspiria. Proprio come Profondo rosso, anche Suspiria è un film che ho fatto, punto. Lascio godere il momento agli altri.


Suspiria diverrà una serie televisiva. Sarà coinvolto nel progetto? Faccio una piccola precisazione, in realtà la serie televisiva non è propriamente su Suspiria, ma sul Suspiria De Profundis, il libro di Thomas De Quincey da cui ho tratto la Trilogia delle madri, e avrà proprio Thomas De Quincey come protagonista. È quello che diventerà una serie televisiva e sì, io sarò coinvolto nel progetto. Altri progetti? Da tempo ho in programma The Sandman, purtroppo le varie produzioni coinvolte non riescono ancora a trovare un accordo, ma se si supera questo ostacolo forse riesco finalmente a coronare anche questo… INCUBO.

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- Venezia -

GIAN MARIA VOLONTÉ

Ritratto di uno degli attori più importanti e riservati del cinema italiano, che con la Mostra di Venezia ebbe però un rapporto privilegiato. È quello che Carlo Gaudio traccia per Fabrique.

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Noto cardiologo (è vicepreside della Facoltà di Medicina della Sapienza di Roma) ma esperto di cinema tanto da far parte della Giuria del David di Donatello, Gaudio nutre da sempre una profonda passione per il cinema civile di Volonté, al quale ha dedicato un volume pubblicato da poco.

Volonté era notoriamente un attore con una concezione rigorosa del cinema, che lo ha portato a rifiutare anche parti in film di registi famosi. La carriera cinematografica di Gian Maria Volonté, costellata da 58 film in 34 anni (tra il 1960 e il 1994), avrebbe potuto comprenderne altri, anche prestigiosi, ma, non appena raggiunse la popolarità grazie ai western di Sergio Leone, iniziò a scegliere con estremo rigore le opere da interpretare. E così sappiamo che rifiutò parti da protagonista ne Il padrino di Francis Ford Coppola e in Novecento di Bertolucci, per girare un film a suo giudizio più “necessario”: Actas de Marusia, Storia di un massacro di Miguel Littin, sulle violenze del governo del Cile nel 1907 contro i minatori, per preservare il controllo delle compagnie straniere sullo sfruttamento delle risorse. Anche Il mostro fu offerto a Volonté, che era considerato allora, a metà degli anni ’70, il massimo tra gli interpreti. Sep-

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pure non gli dispiacesse quel filone da “dietro le quinte” di un giornalismo cinico e sciatto (che già aveva affrontato nel 1972 in Sbatti il mostro in prima pagina di Bellocchio), in quel momento si sentiva troppo “impegnato” per girare un semplice noir. Così, Il mostro rimase a girare per le scrivanie dei produttori finché qualche anno dopo fu realizzato da Luigi Zampa con Johnny Dorelli nel ruolo principale. Qual è stato il suo rapporto con i premi e riconoscimenti, e in particolare con il Festival di Venezia? Per quanto riguarda le serate mondane o i tanti premi cinematografici, Volonté semplicemente non ci andava: era un uomo genuino, che amava mescolarsi alla gente comune e che guardava con diffidenza il mondo del cinema. Tuttavia, con la Mostra di Venezia aveva un rapporto più familiare, in quanto la considerava una palestra per i giovani attori. Lì aveva vinto nel 1987 il premio Pasinetti, quale


Pagina accanto: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Sopra: La classe operaia va in paradiso, Il caso Mattei.

migliore interprete nel film Un ragazzo di Calabria di Luigi Comencini. Poi tornò a vincere nel 1991: protagonista di Una storia semplice di Emidio Greco, si era deciso ad andare a Venezia per sostenere il film e i giovani attori che vi avevano preso parte – Ennio Fantastichini, Massimo Ghini, Ricky Tognazzi, Massimo Dapporto, Gianluca Favilla. Solo alla fine seppe da Gian Luigi Rondi che gli era stato attribuito il Leone d’Oro per il film e per l’intera carriera. Eccezionalmente, quindi, Volonté ritirò il premio di persona.

selezionava accuratamente), come interprete autorevole e carismatico, perfettamente calibrato sul personaggio, grazie a una meticolosa preparazione e a uno studio dei dettagli inimitabile, che non saranno mai ripetuti ed eguagliati da nessun altro attore italiano. Rappresentando, con i suoi diversi personaggi, i venticinque anni più controversi ed emblematici della storia politica e sociale del nostro paese, nei quali è testimone di un’Italia civile, combatte per le cause giuste, non si vende, è ribelle, si sacrifica e muore, mai rinnegando le proprie idealità e le proprie convinzioni. Proprio ciò che, in un’Italia di opportunisti e di trasformisti, non è stato perdonato a Gian Maria Volonté: la dignità e la coerenza, portate anche all’estremo.

Come definirebbe la relazione di Volonté con la critica cinematografica e con i suoi colleghi? In generale, le relazioni con i critici cinematografici erano buone, soprattutto per merito di questi ultimi, che (per lo più politicamente orientati) vedevano in Volonté il “princi- Che tipo di attore era Volonté? Come si avvicinava al pe azzurro” della sinistra. Francesco Laudadio lo giudicava personaggio? il maggiore attore del cinema italiano. Lietta Tornabuoni lo Tra gli attori italiani è stato certamente uno dei più doconsiderava un grandissimo attore, che ha rappresentato in tati, un istrione virtuoso ma estremamente misurato, il Italia i protagonisti della violenza, della mitezza paziente e volto indimenticabile del miglior cinema drammatico delle zone torbide d’ambiguità, il bene, il male, la reticenza. dei nostri anni Settanta e Ottanta. Per lui professionalità, Con i colleghi, invece, i rapporti erano spesso conflittuali e etica e impegno politico erano tutt’uno: rappresentavapotevano apparire perfino freddi e distaccati. Fantastichini no qualcosa di imprescindibile e di inscindibile. Lo stuha dichiarato di aver deciso di fare l’attore dopo aver visto dio dei copioni era accuratissimo. Gian Maria trascriveva Volonté in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospet- tutta la sceneggiatura anche tre-quattro volte: appuntava to. Ma, ricordava, potergli lavorare accanto in Porte aperte tutte le battute e i contraddittori su un tavolo da disegno. era stata la realizzaI suoi personaggi, zione di un sogno Volonté li “abitava” «NON AMAVA I PREMI, MA CON VENEZIA AVEVA UN RAPPORTO trasformatosi presto e li viveva intensaPIÙ FAMILIARE, PERCHÉ LA CONSIDERAVA UNA PALESTRA in incubo. Di fronte a mente, continuando PER I GIOVANI ATTORI». lui, Fantastichini era a vestirne i panni timidissimo, impauanche nei momenti rito. Lo aspettava la mattina sul set sperando di ottenere la di pausa delle riprese lontano al set. E tuttavia, all’opposua attenzione e invece ne riceveva un rifiuto quasi totale. sto dei personaggi interpretati da un altro grande attore Finché, terminate le riprese, ricevette una telefonata e un in- dell’epoca, Marcello Mastroianni, quelli di Volonté sono vito alla casa di Velletri. Quando arrivò, Volonté lo abbracciò segnati dal desiderio di essere protagonisti del proprio e, con la sua solita schiettezza, gli disse: «Adesso possiamo destino. Se nei film di Mastroianni emerge il ritratto di diventare amici: nel film eravamo avversari!». un paese troppo spesso dimentico dei propri doveri, raccontato con un tono scanzonato e sostanzialmente assoPuò aiutare i più giovani a ripercorrere le tappe salien- lutorio – anche quando si denunciano vizi e difetti endeti di una carriera complessa, guidata da scelte etiche mici – nel cinema di Volonté c’è un’Italia che lotta, che profondamente sentite? combatte, che non si arrende, che cerca di raggiungere Come ho rievocato nel mio libro Il cinema civile di Gian una maggior consapevolezza di sé. Maria Volontè (Nuova Cultura), Volonté intraprende sin da adolescente la sua strada: inizia a lavorare in teatro e Spesso si sente dire che questo o quel giovane attore in televisione, dove ha la fortuna di incontrare quei registi è l’erede di Volonté. A suo parere esiste questo erede? (Pavolini, Enriquez, Sbragia, Vaccari, Cottafavi, Blasi, Lan- Se intendiamo dal punto di vista del metodo e dello studio, di, Bolognini) che lo valorizzano e ne intuiscono le grandi direi che un possibile erede può essere Giuseppe Zeno. A possibilità interpretative. Arriva così, all’inizio degli anni parte una somiglianza fisica abbastanza spiccata, con quei Sessanta, al cinema, in un genere (quello delle epopee we- tratti scavati e sofferti del volto, anche alcune tappe della stern all’italiana di Sergio Leone) che non è certo il suo più sua formazione artistica ricordano quelle di Volonté. L’incongeniale, ma che lo rende noto al grande pubblico. E ap- fanzia difficile, l’Accademia d’Arte Drammatica, il teatro, la proda infine al cinema “civile” dei più impegnati registi ita- televisione, il cinema… La passione per una professione liani, da Petri a Lizzani, da Rosi a Bellocchio, da Damiani a d’attore, conquistata a tutti i costi, soprattutto con lo studio, Ferrara, da Amelio a Greco. Con un suo ruolo sempre atti- con la caparbietà e l’impegno dei primi, difficili anni. Forse vo: come co-sceneggiatore, come revisore dei copioni (che potrebbe essere lui… vedremo!

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- Dossier -

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NUOVE (TELE) VISIONI

II PARTE

LA AL di LAURA CROCE illustrazioni LORIS NESE

CORSA TRONO L’Italia è il quarto mercato cinematografico UE per incassi, eppure è stato incluso con estremo ritardo nell’espansione di Netflix, il leader americano dello SVOD (subscription video on demand).

I

l nostro paese, insieme alla Spagna, vedrà arrivare questo colosso dell’intrattenimento domestico solo il prossimo ottobre, non perché mercato particolarmente attraente dal punto di vista dell’on demand, quanto per l’esigenza della compagnia californiana di consolidare la propria leadership puntando a una presenza realmente globale. Certo, alcune delle ragioni che finora hanno tenuto Netflix lontana dall’Italia – cioè scarsa qualità e penetrazione della banda larga, pirateria, riluttanza dei consumatori rispetto agli acquisti con carta di credito online – stanno cominciando a venir meno. L’Osservatorio Trimestrale dell’Autorità Garante per le Comunicazioni ha evidenziato un’accelerazione nella diffusione della fibra ottica, cresciuta al ritmo di 100 mila utenti al mese e adottata già da 800 mila case a fine 2014.

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«L’ITALIA STA COMPIENDO QUALCHE PASSO AVANTI VERSO IL SUPERAMENTO DI QUELLA CHE DA SEMPRE COSTITUISCE LA VERA ANOMALIA DEL NOSTRO COMPARTO AUDIOVISIVO: LA CENTRALITÀ DI UNA TV FREE GENERALISTA». A maggio si è parlato addirittura di un’alleanza tra Telecom e Fastweb per sperimentare nuove tecnologie, sempre nel campo della fibra, e garantirne un’adeguata velocità. Almeno dal punto di vista strutturale, insomma, l’Italia sta compiendo qualche passo in avanti e soprattutto verso il superamento di quella che da sempre costituisce la vera anomalia del nostro comparto audiovisivo: la centralità di una TV free generalista con pochissimi concorrenti ed espansa lungo tutta la filiera. Una realtà che ovviamente non favorisce gli OTT, vale a dire gli operatori “over the top” che usano internet per offrire contenuti prima appannaggio esclusivo di antenna, cavo, satellite e altri sistemi distributivi tradizionali. La ricerca annuale Sala e Salotto, commissionata dall’ANICA, nell’edizione del 2014 ha evidenziato come il 68% di tutti gli atti di visione giornalieri del pubblico italiano, cioè circa 11 milioni, avvenga sulle reti generaliste, contro

il 17% delle pay-tv e l’appena 1% del video on demand. Con l’arrivo di Netflix la situazione potrebbe cambiare radicalmente, sempre che riesca a fare breccia nelle posizioni di forza ben consolidate sul mercato. La proposta del concorrente americano sarà sicuramente allettante dal punto di vista del prezzo: l’abbonamento base dovrebbe partire da 7,99 euro al mese per fruire senza limiti di un catalogo di circa 3.500 titoli, in definizione standard e su un solo dispositivo. Probabile che il costo cresca, similmente agli altri Paesi europei, al crescere della qualità dello streaming e del numero di apparecchi legati all’account. In particolare, ci si attende un prezzo di 8,99 euro per l’alta definizione e per l’aggiunta di un device rispetto all’offerta base, mentre lo streaming in 4k, o Ultra HD, dovrebbe arrivare a 11,99 euro al mese, con un massimo di quattro dispositivi su cui fruire di film e serie on demand. Onnicomprensiva ovviamente

la lista delle destinazioni su cui sarà presente lo SVOD di Netflix, che va da PC e Mac a telefoni e tablet iOS e Android, alle smart TV, agli schermi collegati a Internet tramite lettori di DVD e Blu-ray di ultima generazione, console per videogame (Xbox e Playstation), Chromecast e Apple TV. La vera competizione sarà però sui contenuti, come dimostrano le contromosse già prese dai concorrenti per mantenere quanto più intatto il trono della “vecchia TV”. Il debutto online dell’offerta standalone dei due operatori di pay-tv, avvenuto a fine 2013 per Infinity di Mediaset e nel primo trimestre 2014 per Sky Online, è stata la prima linea difensiva schierata in campo per proteggere la leadership del comparto. Ma le barricate non fanno che alzarsi sempre di più: lo scorso aprile è stato annunciato un accordo di primo piano tra l’emittente satellitare e Telecom Italia per abbinare l’abbonamento Sky con quello alla fibra ottica dell’ex monopolista di Stato. Un’intesa

che consente per la prima volta di accedere al ricco pacchetto della pay-tv senza bisogno di altro che di un apposito modem, fornito dalla telco, con addebito del servizio direttamente in bolletta. Più o meno come la TV via cavo negli USA ma con mezzo secolo di ritardo. L’alleanza Sky-Telecom comunque non è esclusiva, tanto che la stesso AD dell’operatore di telefonia, Marco Patuano, ha confermato trattative molto avanzate con Mediaset per aggiungere anche Premium all’offerta di fibra.

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Non è escluso inoltre che la compagnia stringa un’alleanza con la stessa Netflix, da sempre alla ricerca di partner in grado di traghettarla nei mercati più ostici, come successo ad esempio in Francia con Orange. In ogni caso, il trend è palesemente quello della convergenza, sia tra colossi mediatici che tra questi ultimi e società di TLC. Lo dimostra anche il dialogo da lungo in

corso tra Mediaset e Sky, che potrebbe cambiare volto al panorama televisivo italiano, nonché l’interesse del gigante francese delle comunicazioni Vivendi per le emittenti private italiane. Diventato da poco maggior azionista di Telecom Italia (con una quota del 14,9%), il gruppo guidato da Vincent Bolloré controlla anche Canal Plus e ha dichiarato di voler lanciare un concorrente

una dimensione sempre più internazionale, avallata dalla flessibilità tipica di internet. Tornando all’assetto attuale, davanti alla doppia barriera innalzata intorno alla TV tradizionale, ci sono circa una ventina di piattaforme di video on demand (il numero esatto varia di mese in mese) di media, piccola e piccolissima taglia, che aspettano Netflix per spingere con più forza e

cord cutting in salsa italiana. Così come ne beneficerebbe l’offerta on demand della stessa Telecom, Timvsion, e quella di Chili TV, nata da Fastweb ma poi sganciatasi completamente dal provider di fibra. Il passaggio dalla broadcast alla broadband TV non sarà forse immediato, data l’opposizione dei player tradizionali, ma appare comunque inevitabile nel lungo periodo.

«ALL’ORIZZONTE SEMBRA ESSERCI NON SOLO L’ACCORPAMENTO E LA CONCENTRAZIONE DEI SOGGETTI OPERANTI NELLO STESSO SETTORE, MA ANCHE UNA SPINTA VERSO UNA DIMENSIONE SEMPRE PIÙ INTERNAZIONALE». globale di Netflix, attivo perfino in Giappone e legato anche alla musica, ribadendo al tempo spesso l’intenzione di espandersi su tutti i fronti in mercati “culturalmente vicini”, proprio come quello italiano. All’orizzonte, dunque, sembra esserci non solo l’accorpamento e la concentrazione dei soggetti operanti nello stesso settore, ma anche una spinta verso

far crescere il mercato degli OTT, magari lasciando spazio anche ai nuovi concorrenti completamente slegati dall’analogico. E non si tratta solo di colossi come iTunes, Google Play, Xbox e Playstation, ma anche di operatori fortemente legati al prodotto di qualità e di nicchia, che di sicuro trarrebbero giovamento dalla maggior diffusione di banda e dell’abitudine al

IL REGNO DEGLI OTT ITALIANI «LA TV TRADIZIONALE SARÀ COSTRETTA A CAMBIARE, E DI MOLTO. L’ARRIVO DI NETFLIX RAPPRESENTERÀ UN MOMENTO DI DISCONTINUITÀ IMPORTANTE. LA RAI DOVRÀ GIOCARE UN RUOLO DI PROMOZIONE DEL PRODOTTO ITALIANO NELL’AMBITO DELLO SVILUPPO DI UN’OFFERTA MULTINAZIONALE, MEDIASET DOVRÀ ESSERE MOLTO ATTENTA A RINNOVARSI TECNOLOGICAMENTE E A RITROVARE IDENTITÀ RISPETTO AI CONSUMI DELLA TV GENERALISTA, SEMPRE PIÙ BASSI NEL TARGET GIOVANI, MENTRE SKY DOVRÀ PREOCCUPARSI DI UN COMPETITOR FORTE SUI CONTENUTI FILM». È piuttosto chiaro il panorama che attende di qui a breve il sistema audiovisivo italiano secondo Stefano Zuliani, Timvision, fiducioso che a lungo andare l’offerta dei nuovi player riuscirà a scalzare il predominio della TV generalista e a cambiare le abitudini di consumo degli italiani. La battaglia rimane soprattutto quella sulla connessione, con «il 50% delle famiglie che non ha internet a casa e non ha intenzione di portarcelo per i prossimi

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3 anni». Un problema di cultura, formazione e priorità di consumo cui si unisce un’offerta offline ancora rigogliosa e forte. Di contro, le possibilità che il nuovo scenario offre in termini di contenuti sono più che interessanti per le imprese dell’audiovisivo: «Netflix investirà moltissimo, come ha già fatto in tutti i territori in cui è arrivata, come la Francia, dove produrrà la serie Marseille. Anche noi nel nostro piccolo abbiamo acquistato webserie come Una

mamma imperfetta e Under e abbiamo intenzione di procedere su questa strada». Secondo Stefano Parisi, presidente della piattaforma di TVOD Chili TV, l’Italia e l’Europa stanno muovendo solo ora i primi passi nell’on demand, il che ne fa un mercato con significativi margini di crescita e quello dove si giocherà la partita nei prossimi anni. Per un vero passaggio delle TV dai canali distributivi tradizionali alla rete,

però, il percorso è lungo. Vi giocherà un ruolo fondamentale lo sport e la possibilità delle dirette in live streaming, con tecniche ormai sempre più consolidate. Il panorama dell’audiovisivo comunque va in quella direzione perché, sottolinea Parisi: «Più che all’offerta bisogna guardare alla domanda. Abbiamo notato che i nostri clienti stanno imparando a usare la smart TV in maniera diversa. Una volta connessa e provata

l’esperienza della visione dei contenuti on demand in alta definizione, cominciano a cambiare il loro modo di guardare la TV e proprio a usare il telecomando diversamente, per acquistare il singolo film o la serie TV. E lo fanno con consumi importanti».



- Zona Doc -

VALENTINA PEDICINI

NON HO PAURA DEL BUIO Autrice di uno degli esordi italiani più interessanti degli ultimi anni, Valentina Pedicini è impegnata in un percorso artistico e professionale estremamente coerente e di assoluto valore, come testimonia l’ingresso, unica donna, nella cinquina dei finalisti Doc/it Professional Award 2015. di SIMONE ISOLA

Brindisina di nascita, Valentina condivide con altri colleghi la formazione universitaria, con una laurea in linguistica italiana; la passione per il cinema la porta subito dopo a frequentare a Bolzano la Scuola Internazionale di Documentario Zelig. Durante gli anni di studio realizza i suoi primi lavori: Pater Noster (2008), Mio sovversivo amore (2009), My Marlboro City (2010). Con il soggetto Dal profondo viene selezionata per Idfa Accademy, Berlinale Talent Campus e si aggiudica il prestigioso Premio Solinas 2011 – Documentario per il cinema; il progetto viene prodotto da Alessandro Borrelli per la Sarraz Picture e dopo oltre due anni di lavoro viene presentato al Festival Internazionale del Film di Roma 2013, dove riceve il Premio Doc It - Prospettive Italia Doc per il Migliore Documentario italiano. Abbiamo incontrato Valentina durante la preparazione del suo prossimo lavoro, il cortometraggio Il mondo, prodotto dalla Meproducodasolo di Alfredo Covelli. L’impressione ricevuta è quella di un’artista determinata e con le idee molto chiare su come si possa creare arte partendo dal reale.

Immagini di Dal profondo, il documentario girato da Valentina Pedicini nell’ultima miniera di carbone italiana, che si trova in Sardegna (Barbagia).

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Come ti sei imbattuta nelle storie raccontate in Dal profondo? Mi trovavo per motivi personali in Sardegna, quando alcuni amici mi fecero scoprire l’esistenza di miniere abbandonate. La prima volta che i miei occhi si sono posati su quei luoghi il mio istinto si è messo in moto, mi sono bastate due ore sottoterra per capire che era quello che stavo aspettando. Di lì ho conosciuto Patrizia, l’unica minatrice donna in Italia, e attraverso lei e gli altri personaggi mi sono addentrata in quel mondo capovolto, fatto di chilometri di gallerie, pietre e silenzio. Nel lungometraggio d’esordio e nei tuoi precedenti lavori mi sembrano già evidenti alcuni elementi poetici costanti: un luogo ostile o in ogni caso “chiuso”, un’umanità fuori dall’ordinario, l’unicità della presenza femminile, le difficoltà tecniche da affrontare, la possibilità di raccontare il tema del lavoro in modo poetico. Hai ragione, quelli che hai citato sono alcuni ingredienti di una storia che possono catturare il mio interesse. In Dal profondo c’è soprattutto il senso profondo della vita e della morte compresenti in un luogo dall’aspetto quasi “fantascientifico”; un’ambiente così ostico offre una sfida difficilissima registica e tecnica, infonde voglia di toccare con mano una storia sconosciuta, il desiderio personalissimo di affrontare il buio di un posto così inospitale alla vita eppure così carico di umanità. D’altronde la nuova generazione di documentaristi

di cui fai parte ha un patrimonio di riferimenti molto compositi, spesso provenienti da diverse forme artistiche lontane dal cinema. Non credo di far eccezione. Io ho sempre cercato di metabolizzare ogni riferimento artistico, di farlo proprio senza lasciarmi fagocitare. Apprezzo molto un autore come Viktor Kossakovski, ma per il lavoro ad esempio in Dal profondo mi sono lasciata influenzare anche dalla visione de Il petroliere. C’è chi ha visto persino echi di Alien... Queste

che il documentario sia improvvisazione. Non è vero. Nei mesi di preparazione, di studio, l’autore struttura la storia che vuole raccontare, trova i propri personaggi, li inquadra nel loro ambiente. Si tratta sempre di “scrittura”, anche se attraverso un linguaggio che lascia spazio, e a volte ricerca, l’imprevisto, l’inatteso, all’interno di un percorso di preparazione molto preciso, meticoloso. Per Dal profondo ho girato solo 26 giorni; ma c’è alle spalle un lavoro di anni. Per dieci giorni sono scesa

«RUM RA DICIUSD ANDESTIA CUM FACERIO SANISTRUM DOLUPTI UNTIO. LIT, SI DITATIAM QUIS REST FUGIATE CORERSP ERIASPE ADIO. OMNISQUE SITAS NIENT QUIA VELIAS DOLORE SECAT».

suggestioni sono di solito molto produttive, perché testimoniano come alla base del racconto documentario ci sia un lavoro di composizione, sia estetica che narrativa, molto forte. Con Il passaggio della linea di Pietro Marcello e Below See Level di Gianfranco Rosi si è aperta una nuova fase nel documentario italiano, che ha acquistato un alto grado di consapevolezza linguistica. Molti credono

nella miniera con il direttore della fotografia senza neanche girare una scena, solo per far abituare i minatori alla presenza della macchina da presa e osservare le loro reazioni. Ora ti appresti a girare a Brindisi un lavoro di finzione; cambierà molto il tuo approccio creativo? A me interessano le storie, prima di ogni altra cosa; a volte

sono loro che ci trovano, a volte il contrario. L’evoluzione e l’ibridazione dei generi ha profondamente cambiato il rapporto tra documentario e finzione; oggi esistono diversi linguaggi che permettono di comunicare storie della realtà. Ho voglia di sperimentare il lavoro con una troupe sicuramente più numerosa e strutturata: avevo bisogno, dopo l’esperienza di Dal profondo, di approfondire il mio approccio alla “macchina cinema”, con un progetto che ponesse nuove sfide creative. La storia raccontata ne Il mondo ha spunti autobiografici e mi sembrava corretto proporre al pubblico un filtro finzionale. Sono al tempo stesso convinta che le esperienze nel documentario mi aiuteranno molto: gli interpreti sono attori non professionisti, giovanissimi, il contesto è reale, vivo. Si parla spesso di rafforzare la diffusione del documentario cinematografico. Ti chiedo, a mo’ di provocazione, se ha senso o meno oggi continuare a seguire una strada così impervia e a volte economicamente poco remunerativa. Esiste un pubblico attento al documentario. Non è semplice intercettarlo, ma c’è. L’ho scoperto accompagnando l’uscita in sala Dal profondo; ad esempio al cinema Makallè di Alessandria, dove sono rimasta due ore dopo la proiezione a dialogare con il pubblico che aveva appena assistito al film. Non è sempre facile trovare stimoli, ogni mattina rifletto sul senso del mio lavoro: ma il ricordo di quella serata finora ha sempre fornito risposte ai miei dubbi, e la voglia di continuare a raccontare storie.

Protagonista Patrizia, unica donna minatrice fra 150 uomini.

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- Dossier -

a cura di TOMMASO AGNESE e MARTINA CAFIERO foto ROBERTA KRASNIG Stylist STEFANIA SCIORTINO Assistenti fotografa GIADA PASSEROTTI e MARCO PORTANOVA Hair and make up COTRIL SPA Borse V째73 Gioielli LUXURY FASHION JEWELS Per gli abiti si ringrazia ENRICO COVERI, HOSIO, HEBE, RED SHOWROOM, COMME DES FUCKDOWN, 10 MILANO, NUMERO 00, SMARTNESSLAB Per le scarpe CULT

STREET STYLE QUESTA VOLTA I NOSTRI GIOVANI TALENTI DEL CINEMA INTERPRETANO UNO STILE URBANO E CONTEMPORANEO, IMPERFETTO E ISTINTIVO, CHE NON BADA ALLE REGOLE MA AL DIVERTIMENTO.

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Da sinistra Denise Capezza, Gennaro Iaccarino, Federica Sabatini, Matteo Nicoletta, Enrico Oetiker, Mariela Garriga.

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IL MIO PREGIO PRINCIPALE E IL MIO PEGGIOR DIFETTO La generosità mista all’entusiasmo con cui concepisco la mia vita, e di conseguenza la mia arte. Credo sia basilare per un artista il dare/darsi continuo, in gioia. Il difetto principale è che ho poco senso pratico, perdo qualsiasi cosa (che inconsciamente ritengo poco importante): chiavi di casa, documenti, soldi.

ENRICO OETIKER 24 anni. Nato e cresciuto a Roma da padre svizzero e mamma pugliese. All’accademia Corrado Pani incontro Alessandro Prete, regista e acting coach con il quale collaboro tutt’ora. Il primo ruolo è fortunato: sono coprotagonista nel premiato film di Edoardo Falcone Se Dio vuole, al fianco di Alessandro Gassman e Marco Giallini. Qualche mese fa l’esordio a teatro al Ghione a Roma, ne Il sogno di una vita per la regia di Alessandro Prete. In TV sono protagonista di puntata a Rex 8, firmato dai Manetti Bros, e recito in È arrivata la felicità, Seven Nights e Alex & Co. Ultimamente sono stato sul set da protagonista per la webserie Fuori servizio e a breve girerò un corto per la regia di Francesco Colangelo.

MARIELA GARRIGA Sono nata all’Havana 26 anni fa, vivo in Italia ormai da sei anni dove sono cresciuta e arrivata dove non avrei mai immaginato. Fondamentale per me l’incontro con due insegnanti di recitazione, Michael Rodgers e Terry Schreiber. Oggi vivo e lavoro fra l’Italia e LA. Dopo qualche corto in USA, in Italia ho esordito nella webserie Horror Vacui vincitrice dell’Infinity Film Festival, poi ho iniziato con il cinema in Amici come noi, Colpi di fortuna e Matrimonio a Parigi. Quest’anno sono nel cast del Giovane Montalbano e dell’Ispettore Coliandro. Nel frattempo mi sono avvicinata al lavoro di produzione, ho appena concluso la mia prima collaborazione per il doc film The Gordon Hunt Documentary.

IL MIO PREGIO PRINCIPALE E IL MIO PEGGIOR DIFETTO Probabilmente l’onestà. Il mio maggior difetto è quello di essere molto critica con me stessa: a Cuba c’è un detto che dice Si lo vas hacer, hazlo bien hecho! “Se lo volete fare, fatelo bene”, e questo lo penso sempre.

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IL MIO PREGIO PRINCIPALE E IL MIO PEGGIOR DIFETTO Pregio: l’ascolto. Sia in scena che sul set ascolto molto chi lavora con me, se giochi con gli altri ti diverti di più (sarà un retaggio del fatto che sono figlio unico... ma sto bene così). Difetto: sono troppo esigente soprattutto con le persone alle quali voglio molto bene e a volte sono un po’ troppo duro con loro.

MATTEO NICOLETTA 30 anni, nato a Roma. Mi sono diplomato all’accademia Clesis Arte di Carlo Merlo, e poi ho frequentato vari workshop con Sergio Rubini, Massimiliano Bruno, Stefano Capitani e Giancarlo Sepe. Fra i miei lavori: la webserie Segreti scritta, diretta e interpretata insieme a Niccolò Senni, la mini serie TV con The Pills Nobili coatti e Zio Gianni, il corto (scritto e interpretato) Tinder sorpresa, la tournée Napoletango per la regia di Giancarlo Sepe. Attualmente sto lavorando alla sceneggiatura di una serie che dovrei dirigere e interpretare, e sto scrivendo a quattro mani uno spettacolo teatrale che andrà in scena la prossima stagione.

GENNARO IACCARINO 34 anni, nato a Piano di Sorrento. Diplomato all’Accademia d’arte drammatica del Teatro Bellini di Napoli di Tato Russo: tra gli insegnanti Alvaro Piccardi, Livio Galassi, Jean Paul Denizon e Marina Polla de Luca. In teatro la tourné nazionale con Le allegre comari di Windsor. Ha prestato la voce come cantante ne I Griffin, ne I Simpson e nel Postino Pat - Il film per il cinema. Nella prossima stagione RAI lo vedremo in vari progetti: nella serie Baciato dal sole, per la regia di Antonello Grimaldi, e nel TV movie Il mio vicino di casa accanto a Sergio Rubini.

IL MIO PREGIO PRINCIPALE E IL MIO PEGGIOR DIFETTO Sono leale e ottimista, ma a volte troppo emotivo.

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«LO STILE È DIMENTICARSI DI TUTTI GLI STILI». (JULES RENARD)

Location: Eutropia Festival, Murales: Sabrina H Dan.

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IL MIO PREGIO PRINCIPALE E IL MIO PEGGIOR DIFETTO Nelle cose che vivo mi trovo bene per la mia sensibilità e la mia empatia, quello che mi rovina invece è la ricerca costante della libertà... Quando non mi sento libera è il momento in cui scappo via.

FEDERICA SABATINI 23 anni, romana, ho iniziato la mia formazione con Gisella Burinato, poi sono entrata al Centro Sperimentale. Prima di entrare al CSC ho avuto la fortuna di lavorare su vari set, principalmente si è trattato di serie televisive, poi durante il triennio formativo ho girato dei cortometraggi e partecipato a diversi spettacoli che mi hanno messo alla prova su vari autori, dai classici ai contemporanei. Durante quest’anno ho girato una serie dal titolo provvisorio Un amore per due. L’abbiamo terminata da poco, un’esperienza divertente che mi ha regalato molto, anche umanamente.

DENISE CAPEZZA 24 anni, napoletana. Dopo il diploma in danza classica e contemporanea, ho studiato recitazione presso il teatro Elicantropo di Napoli, alla scuola di cinema di Napoli e poi alla scuola di Beatrice Bracco a Roma. Dal 2012 ho recitato in varie serie televisive di successo in Turchia, raggiungendo una grande popolarità (Ucurum – Abisso, Dusler ve Umutlar – Sogni e speranze, Askin dili yok – Per l’amore non c’è lingua, dove ho interpretato una sordomuta). Dopo tre anni di lavoro ininterrotto in Turchia, ho deciso di tornare in Italia e sono stata scelta da Stefano Sollima per interpretare il ruolo di Marinella in Gomorra - la serie 2.

IL MIO PREGIO PRINCIPALE E IL MIO PEGGIOR DIFETTO Il mio pregio più grande è il coraggio: nessuna sfida difficile mi spaventa, al contrario mi stimola e mi rende viva. Dico sempre ciò che penso, spesso rischiando. Il difetto invece è la diffidenza: non riesco a fidarmi immediatamente delle persone e ho bisogno di mille conferme prima di mostrare il lato più segreto di me.

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- Soundtrack -

VOGLIO FARE L’ATTORE! È davvero contagiosa la simpatia di Tommaso Novi , pianista e compositore di Pisa, dove fra l’altro ricopre da sei anni la cattedra di fischio musicale (prima in Europa). Tommaso è il leader dei Gatti Mézzi, in uscita con il loro sesto album, che hanno curato la colonna sonora del film di Roan Johnson Fino a qui tutto bene. di ROBERTA FORNARI foto BENEDETTA BALLONI

Parliamo del tuo rapporto con il cinema, quando hai iniziato a comporre per il grande schermo? Guarda, io fin da piccino ho un sogno nel cassetto, che è quello di fare l’attore… poi m’è toccato fare il musicista! Se un giorno arrivasse Tarantino e mi dicesse «Tommaso, molla tutto e fai un film», io mollo tutto e vado a girare il film! Scherzi a parte, il rapporto con la pellicola nasce in gioventù, ho iniziato musicando documentari e corti, ma il primo vero lavoro è stato curare la colonna sonora del mediometraggio di Gipi, il fumettista, intitolato I 400 Pinocchi dove in effetti recitavo anche come attore protagonista. Un’altra collaborazione importante è stata quella con Paolo Virzì che mi chiese di eseguire delle parti pianistiche per La prima cosa bella,

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film per il quale presi anche l’iniziativa di inserire la mia caratteristica tecnica del fischio. Con i Gatti Mézzi invece abbiamo eseguito la colonna sonora di Fino a qui tutto bene di Roan Johnson, progetto per me particolarmente significativo perché il film affonda le radici in un’esperienza che io e Roan abbiamo condiviso anni fa. A quale esperienza ti riferisci? Ne abbiamo condivise tante da giovani, in particolar modo l’amicizia di una persona che ora non c’è più e che è morta in un incidente stradale. Ovviamente ne siamo rimasti tutti segnati, infatti io ci ho scritto un brano e lui ci ha fatto un film. Nella mia canzone ci sono dentro tante cose, antiche e recenti, le stesse che si ritrovano nel film di Roan. Oltre a questo


I Gatti Mézzi sonoTommaso Novi (quello senza baffi nelle foto) e Francesco Bottai.

dramma abbiamo poi vissuto assieme una bellissima avventura nella Pisa che stavamo scoprendo a vent’anni in maniera un po’ folle, spensierata e innamorata della vita. Probabilmente il mio brano e il film chiudono il cerchio di questo vissuto che ci lega ormai da quindici anni. Il brano di cui parli è Morirò d’incidente stradale candidato ai Nastri d’Argento 2015 e main theme di Fino a qui tutto bene. Hai ceduto anche altre canzoni per il film? Sì, abbiamo proposto Anarfamondo, brano contenuto nel disco precedente. Abbiamo inoltre lavorato sulla colonna sonora di alcune scene intrecciando elementi che richiamano l’una e l’altra canzone, il tutto strumentale. Infine nel film è presente anche un terzo brano senza testo che è Soltanto i tuoi passi.

il tecnico del suono che dà la forma definitiva alla musica del compositore, stesso confronto che avviene anche quando si fa un disco con quello che oggi viene definito il “produttore artistico”. Sei ottimista riguardo al futuro? Secondo te c’è spazio per i giovani compositori italiani? Ahimè, sono un ottimista! Credo in un futuro migliore, anzi proprio in questo momento di difficoltà e cambiamenti sociali e culturali è necessario essere ottimisti. Viviamo nel paese in cui sono nati i maestri più grandi: Morricone, Rota, Piovani e tantissimi altri; tuttora ci sono tante giovani teste che scrivono. L’auspicio più grande è quello di partire dallo studio dei maestri italiani e internazionali. Penso ci sia spazio per chi ha il coraggio di osare, osare è sempre la parola d’ordine, non fermarsi quando si vede che una cosa funziona, avere sempre la forza di cambiare e di approfondire.

Esistono a tuo modo di vedere molte differenze tra il comporre per un disco e per un film? Bellissima domanda! Credo ci sia una profonda similitudine: così come la colonna sonora parte da un’ispirazione e passa attraverso il filtro della scrittura e struttura cinemato- Tra i grandi compositori che hai citato ce n’è qualcuno grafica (il timing della scena, il taglio ecc.), così nella can- in particolare a cui i Gatti Mézzi si ispirano? zone l’idea nasce dal cuore, in una forma libera e astratta, Non ci ispiriamo a qualcuno in particolare, ma i grandi fanpoi va a misurarsi no parte di quel bacon la musica, e alla gaglio, direi quasi ge«PENSO CI SIA SPAZIO PER CHI HA IL CORAGGIO DI OSARE, fine viene imbriglianetico, dal quale non OSARE È SEMPRE LA PAROLA D’ORDINE, NON FERMARSI ta in una struttura possiamo fare a meno QUANDO SI VEDE CHE UNA COSA FUNZIONA, AVERE SEMPRE vincolata, prescelta o di partire. L’obiettivo LA FORZA DI CAMBIARE E DI APPROFONDIRE». decisa in corso d’odei Gatti Mézzi è tropera. Invece la granvare una propria cide differenza col film è che lì ti misuri con molte persone fra originale e riconoscibile, ma saremo sempre legati a un che muovono il tuo operato e lo rivedono. Con la canzone certo modo di vedere i film, ai primi piani stretti di Leone, l’evoluzione avviene principalmente con se stessi. ai suoni che descrivono i volti pieni di polvere musicati da Morricone, alle soluzioni e al sapore di certe opere. Oltre al regista, con quali figure è necessario interfacciarsi quando si scrive musica per film? Ci sono altri registi con i quali ti piacerebbe lavorare? In Fino a qui ci siamo confrontati principalmente con Approfitto della tua domanda per fare un appello ai regiRoan e con il montatore. Infatti quando si lavora sulla sti di tutto il mondo: venite a sentire che qui c’è della genpost-produzione il musicista si deve adeguare ai vari ta- te che scrive cose interessanti! Fateci una bella proposta gli o alle aggiunte delle scene. Infine ci si confronta con per un bel film e noi ci si sta!

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- Macro -

SLIDERSKATE di LUCA PAPI foto GOLIA PRESENTE

La piattina è dotata sia di attacco Mitchel che di attacco bazooka per la testata.

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La staffa con attacco stativo permette l’impiego su due stativi tradizionali e quindi la possibilità di decidere l’altezza dello stesso in maniera estremamente facile; inoltre consente inquadrature diagonali scegliendo altezze diverse.

Dadi per attacco Aliscaf: questa caratteristica permette l’uso del binario in posizione verticale fissando lo stesso ai tubi di alluminio o alle canne a espansione.

Sistema di carrucole: per il controllo e il movimento del carrello a distanza, l’operatore può muovere la macchina da presa remotando la piattina al sistema di carrucole.


Sliderskate su serie di cubi. L’assistente operatore Davide Lonigro controlla il fuoco.

Sezione del binario in alluminio: questa forma conferisce resistenza e leggerezza al binario.

È uno strumento cinematografico costruito artigianalmente, creato per rispondere alle esigenze e alle specifiche richieste del reparto macchinisti. Nello specifico Massimo Diamanti (Caposquadra Macchinisti) ha progettato questo modello che è stato costruito dalla Piuma di Claudio Carbonera, azienda specializzata nella costruzione di strumenti cinematografici e televisi.

Red Epic con Canon Prime su Cartoni Master su Sliderskate. Operatore: G. Bombardone.

Massimo Diamanti controlla la “bolla” della testata fluida sullo sliderskate.

Lo Sliderskate unisce le potenzialità degli slider tradizionali su un sistema di doppie ruote da skateboard. La particolarità delle doppie ruote (quattro superiori e quattro laterali) permette una maggiore stabilità a velocità elevate anche con teleobiettivi. La piattina si muove su un binario dall’anima di acciaio perforato largo 30 cm e di lunghezza modulabile, con elementi che vanno dal metro ai tre metri collegabili tra loro. L’estrema facilità di utilizzo e di montaggio dello Sliderskate ne fa uno strumento fenomenale per le inquadrature più diverse, vista la sua capacità di resistenza al peso: la piattina difatti sostiene le testate cinematografiche più pesanti con le macchine da presa di ultima generazione. Usato molto spesso per i movimenti di macchina più semplici diventa una soluzione alternativa anche per le inquadrature più ardite: ad esempio i carrelli plongée, o addirittura le inquadrature in verticale. Le dimensioni ridotte dello Sliderskate ne fanno il dispositivo ideale per i movimenti in spazi ristretti, come negli attraversamenti delle porte o finestre. Il binario, rispetto ai binari tradizionali, è molto più leggero in quanto costruito in acciaio.

F O C U S | L’A Z I E N D A P R O D U T T R I C E

Piumaworld Piumaworld è stata fondata nel 2001 a Milano come un ramo di Cinenane Group, azienda che fornisce attrezzature e servizi per la televisione e il cinema da oltre trent’anni. È specializzata nella progettazione e produzione di attrezzature specifiche e tecnologie per l’industria dell’intrattenimento: cinema, televisione, sport e multimedia. I prodotti Piuma sono appositamente sviluppati per soddisfare le nuove esigenze di ogni produzione multimediale: tutti i sistemi sono leggeri, molto facili da maneggiare e da montare, mantendendo tuttavia i più elevati standard di affidabilità. Una delle caratteristiche principali di Piumaworld è infine la possibilità di sviluppare soluzioni personalizzate secondo le specifiche necessità di ogni cliente.

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GIOVANNI VERONESI

SOLA ANDATA

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Il prossimo film del regista di Che ne sarà di noi? e L’ultima ruota del carro, tratto da una fortunata trasmissione di RAI Radio Due, racconterà la fuga dall’Italia – e le relative conseguenze – dei giovani ansiosi di realizzare i propri sogni. di CHIARA CARNÀ In principio fu la trasmissione radiofonica Non è un paese per giovani, condotta da Giovanni Veronesi e Massimo Cervelli, che ha raccolto e diffuso quotidianamente storie di ragazzi italiani emigrati all’estero in cerca di fortuna. Presto quest’avventura si trasformerà nel nuovo lungometraggio del cineasta toscano (prodotto da Paco Cinematografica), deciso a proseguire l’indagine su una realtà più che mai attuale. «Le vicende di questi ragazzi che se ne vanno in Australia o a Londra, spesso a fare lavori molto umili, mi hanno spinto a comprendere il perché di questa scelta. Ad avermi clamorosamente colpito è come all’estero i giovani si

sentano una risorsa, mentre in Italia sono un peso. È un fatto gravissimo: più di centomila ragazzi all’anno se ne vanno, eppure nessuno ne parla. Bisognerebbe dimostrare loro che possono realizzarsi professionalmente anche rimanendo. E poi, se i migliori se ne vanno, qui chi rimane?». Una vera e propria missione, dunque, per cercare risposte a una questione più che mai urgente: «Ho capito che non basta scappare per risolvere il problema. La verità è che ai giovani si può togliere tutto, dai soldi al tempo libero, ma non bisogna toccare i loro sogni. E il nostro è diventato un

IN COLLABORAZIONE CON


paese che fa gravare sulle spalle di un ragazzo di vent’anni la responsabilità di essere d’intralcio. Non stimolare i giovani a rimanere è l’errore peggiore che si possa fare. Credono di andarsene di loro volontà, ma di fatto in Italia non hanno le risorse per perseguire i propri obiettivi». Un discorso di questo tipo come si applica anche al cinema e ai tantissimi giovani aspiranti attori? «I protagonisti del mio film sono tutti esordienti, scelti tramite centinaia di provini, per dare la possibilità a ragazzi talentuosi di mettersi alla prova. Di solito non ci metto più due minuti a capire se ho di fronte un talento o no. Innanzitutto, seleziono facce: voglio vedere tanti volti, come se fossero una pioggia di fotogrammi. Poi passo a lavorare sulla recitazione. Gli aspiranti attori che ho esaminato, tutti molto validi, erano entusiasti. Non riuscivano a credere di poter ottenere un ruolo da protagonisti!».

gran rispetto in tutto il mondo. Il rovescio della medaglia è chi incarna tutti i luoghi comuni dell’italiano all’estero. Aspettando le valigie all’aeroporto di San Pietroburgo ho assistito con Carlo Verdone a una scena grottesca ma divertente: un gruppetto di ragazzi romani, per farsi notare da lui, si è improvvisato surfista sul nastro trasportatore! Tutti li guardavano e mormoravano tra sé: “Italians”... ecco che in un attimo siamo ghettizzati!».

Perché è importante realizzare un film come Non è un paese per giovani? «Un anno ad ascoltare ansie, euforie ed esperienze mi ha convinto. Io, che non sono più un ragazzo, ho raggiunto i miei obiettivi in un’Italia che offriva delle possibilità. Sono rimasto, ci ho creduto e ce l’ho fatta. Ma i giovani che descrivo, al contrario, sentono che qui non c’è posto In che modo linguaggi di media così diversi tra loro, per loro. Il mio è un film che punta a sollevare il proble- come la radio e il cinema, riescono a influenzarsi a ma per poi capire quali potrebbero essere le risposte. vicenda? Naturalmente non posso pretendere miracoli da un lun- «Il mio sarà probabilmente il primo film nella storia del cigometraggio o da un’idea, ma vorrei che rappresentasse nema tratto da una trasmissione radiofonica! L’idea mi piace una testimonianza concreta. Lancerò un amo; chissà che moltissimo e sono entusiasta di aver avuto questa opportuqualcuno non riesca a coglierlo». La trama ruota attorno a nità. L’approfondimento conviverà con l’intrattenimento, al due ragazzi catapulquale non rinuncio tati nella pericolosa mai. L’esperienza in «NON STIMOLARE I GIOVANI A RIMANERE È L’ERRORE realtà di Cuba. Uno radio mi ha condizioPEGGIORE CHE SI POSSA FARE. CREDONO DI ANDARSENE avrà fortuna, l’altro nato molto: quando DI LORO VOLONTÀ, MA DI FATTO IN ITALIA NON HANNO LE meno. Abbandonare mi è stata proposta, RISORSE PER PERSEGUIRE I PROPRI OBIETTIVI». la propria patria per il primo pensiero che un luogo lontano, inmi ha attraversato la fatti, non è garanzia mente è stato “metdi successo. Un ventenne, sentendosi così libero e così termi in contatto”. E le persone con cui volevo entrare in consolo, può stringere amicizie sbagliate, mettersi nei guai... tatto erano proprio i giovani che sono partiti. Forse gli ascoltatori della trasmissione non sono proprio diciottenni... ma Un decennio fa, un neo-diplomato Silvio Muccino si noi continuiamo a parlarne, anche se loro non lo sanno». chiedeva Che ne sarà di noi?, nel 2009 Carlo Verdone e Sergio Castellitto venivano additati all’estero come Italians. Che cosa è cambiato rispetto agli scenari descritti in questi film? «I ragazzini di Che ne sarà di noi? vivevano nell’Italia dei primi anni Duemila e nel corso di una vacanza in Grecia scoprono cosa vogliono fare nella vita. I giovani di oggi sono completamente diversi; basta sentirli parlare! Si esprimono come anziani: sono preoccupati per il lavoro, l’assicurazione, la pensione... È come se fossero invecchiati precocemente, perdendo la meravigliosa spensieratezza di chi ha mille possibilità davanti e sceglie con l’ingenuità di un giovane. La condizione degli italiani all’estero mi interessa molto: c’è l’Italia che porta con sé un bagaglio culturale significativo per quanto riguarda l’enogastronomia, la moda, l’arte, suscitando un

Giovanni Veronesi, toscano di Prato, ha diretto molti film di successo come Manuale d’amore e i capitoli successivi, Italians, L’ultima ruota del carro. Il suo ultimo lavoro è Una donna per amica, scritto con Ugo Chiti e interpretato da Laetitia Casta.

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- Making of -

LE VOYAGE

CAST Gérard Depardieu, Desislava Tenekedjieva, Yohann Chopin, Marco Di Stefano, Nadejda Stefanova PRODUCTION MANAGER Dariusz Kubik PRODUCTION CREATOR Francesca Taino PRODUZIONE ESECUTIVA Explorer FOTOGRAFIA Davide Manca SCENOGRAFIA Arturo Andreoli COSTUMISTA Maria Ivanova RIPRESE Plovdiv, Bulgaria

a cura di DAVIDE MANCA foto ADALBERTO BUZZIN

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Kinoflo senza scocca su stativo; Red Epic in HDR mode.

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Allestimento camera car macchina da presa a sbalzo su motore automobile.

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Macchina da presa lowmode su pewee.

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Campo base ripreso da churrypicker.

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Camera car staffa laterale.

Foxcrane su piattina con radio fuoco ed efx fumo.


SINOSSI In un piccolo e povero paese della Bulgaria vive un vecchio insieme alla sua famiglia. L’anziano trascina la vita sull’onda dei ricordi. Un giorno la nipotina, preoccupata per la perenne tristezza del nonno, si convince che deve trovare un passatempo, regalandogli un maialino. Col tempo il vecchio si intenerisce e comincia a volergli bene. Quel maialino diventa la sua principale ragione di vita e quando si rende conto che per l’animale non c’è scampo, perché dovrà essere macellato, decide di rimettere in moto la sua vecchia Trabant, di “rapirlo” e scappare per salvarlo da morte certa. Inizia così un’avventura per le strade della Bulgaria, un viaggio attraverso luoghi remoti, dove il tempo sembra essersi fermato e ancora oggi c’è rispetto per le piccole cose. Il vecchio incontra gente semplice e povera ma come lui pronta a dividere

quel poco che possiede con chi ne ha altrettanto bisogno, in una vera e propria gara di solidarietà.

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IL FILM Le voyage è una pellicola on the road, che racconta il funambolico viaggio dalla Bulgaria alla Turchia di un anziano contadino e un maiale a bordo di una Trabant degli anni Settanta. È un film ricco di camera car e inquadrature spericolate come quella aerea di apertura, un movimento zenitale dalla descrizione geografica del paese fino al podere dei protagonisti. Girato nei luoghi originali, si avvale di scenografie naturali mozzafiato e delle ricostruzioni di grande impatto visivo progettate dal maestro Arturo Andreoli. Protagonista un Depardieu istrionico e comico in una nuova prova di grande recitazione. Fil rouge della storia le splendide musiche balcaniche.

4kw su sovratetto con frost 216.

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Panno nero 4x4 e telaio 2x1 frost 216 a copertura.

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Copertura esterno giorno con due panni 4x4 neri.

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L’aiuto regia invita l’attore a entrare in scena.

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Allestimento binario 12 metri.

Macchina a mano con attore fuori campo per battute.

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- Effetti speciali -

IL RACCONTO DEI RACCONTI

MORFOLOGIA DELLA FIABA DIGITALE Bruno Albi Marini è uno dei supervisori di Makinarium, la nuova factory tutta italiana che ha dato corpo ai sogni di Matteo Garrone nel suo ultimo celebrato film tratto dalla raccolta di fiabe di Giambattista Basile. Bruno ci racconta la genesi dell’opera già diventata in pochi mesi il punto di riferimento per gli effetti visivi italiani.

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Com’è nato il gruppo di lavoro che ha realizzato gli effetti visivi – davvero inusitati per una pellicola italiana – del Racconto dei racconti? Sia io che il mio collega Leonardo Cruciano avevamo lavorato con Matteo Garrone per Reality. Lui si era occupato degli effetti speciali prostetici e io, come Wonderlab, avevo seguito quelli digitali. Quel film fu svolto con molti meno mezzi e in maniera molto più “artigianale”: realizzai tutti gli effetti in prima persona (con l’aiuto di un paio di collaboratori) in un piccolo studio nel mio appartamento. A volte capitava, quando Matteo veniva alle revisioni, che uno dei miei gatti saltasse sulla scrivania… Era una situazione surreale ma anche

piena di creatività e libertà. Ho un bel ricordo di quel percorso creativo e la soddisfazione finale, quando il film ha vinto il Grand Prix di Cannes ed è stato candidato al David per gli effetti digitali, è stata enorme. Perciò, quando Matteo ha iniziato a ragionare su questa nuova produzione, insieme a Leonardo abbiamo pensato di creare un gruppo che fosse in grado di progettare, seguire e realizzare un film ambizioso come questo. È così che è nato Makinarium (costituito insieme a Nicola Sganga e Angelo Poggi)

che, fra effetti speciali ed effetti visivi, è arrivato a contare circa 100 unità lavorative. Per creare un team che fosse al contempo esperto ma anche giovane e motivato (sapevamo che il progetto avrebbe richiesto, oltre a grandi capacità tecniche e artistiche, anche sforzi e orari non facilmente sostenibili, e che solo l’entusiasmo di un gruppo giovane avrebbe potuto reggere tali ritmi) abbiamo radunato professionalità con importanti esperienze internazionali come Luca Bellano, Matteo Petricone, Amedeo Cali-

fano, Giuseppe Motta, che hanno al loro attivo esperienze in film del calibro di Harry Potter, I guardiani della galassia, Troy, Avatar (solo per citare alcuni nomi). Le tempistiche inizialmente previste erano di circa sei mesi, ma strada facendo (come spesso accade) le cose si sono complicate. Abbiamo ricevuto i materiali per le lavorazioni delle tre scene più complesse girate interamente in teatro (drago, crepaccio e creatura pipistrella, per un totale di circa 120 inquadrature) a fine dicembre. La consegna era prevista per metà marzo, per permettere la candidatura al festival di Cannes. Riuscire a chiudere il film in tempo è stata una vera e propria impresa e anche se alla fine abbiamo ottenuto qualche

«Abbiamo lavorato insieme al regista per più di un anno immaginando un mondo con paesaggi, creature e personaggi ben definiti».

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Nella fascia di foto in alto e in basso alcune scene girate in green screen, pre e post produzione: la battaglia del re (John C. Reilly) con il drago

settimana in più, siamo riusciti a concludere la lavorazione solo grazie all’enorme sforzo e amore per il progetto di ogni singola persona che ha partecipato alla post produzione digitale. Su quali aspetti visivi del Racconto avete maggiormente lavorato? La sfida maggiore del film dal punto di vista dei VFX è stata quella della ricostruzione delle creature digitali. Sono state realizzate quattro creature completamente digitali (due pulci di “età” differenti, il drago e la creatura pipistrella) che sono state utilizzate per full CG oppure per integrazioni parziali in tantissime inquadrature. Poi c’è stata la progettazione e realizzazione dell’environment sottomarino per la scena della battaglia col drago, le estensioni e i clean up dei paesaggi, matte

painting, integrazioni di fuoco e fumo digitali, ritocchi e ripuliture nel make up e infine le lavorazioni inerenti tutte le trasformazioni, gli invecchiamenti e i ringiovanimenti che hanno richiesto integrazioni sia in 3D che in 2D (abbiamo utilizzato una tecnica mista per raggiungere il massimo realismo in ogni situazione). Le inquadrature lavorate sono state circa 300. La cosa più interessante nel nostro approccio, e sicuramente poco consueta per l’Italia, è stata la progettazione del lavoro, fin dalla fase di pre-produzione, in maniera congiunta fra effetti speciali prostetici ed effetti digitali, per ottenere un risultato che fosse credibile, originale e con una sua personalità ben definita. La speranza è che questo film dia un segnale a tutto l’ambiente, convincendo il mondo del cinema italiano che si può

osare e fare qualcosa di diverso dal solito anche nel nostro paese, confrontandosi, senza sfigurare, con le produzioni internazionali. È bello sognare che l’intero settore dei VFX in Italia possa beneficiare di questa produzione di cartello. Credo che ci sia troppa competività nel nostro campo e che questo finisca per ritorcersi contro noi stessi. Personalmente, quando esce un film con dei VFX “importanti” faccio sempre il tifo per il team che lo ha realizzato. Credo che solo così facendo si possa crescere e arrivare prima o poi agli standard di lavorazione internazionali, in cui varie società collaborano per la realizzazione dello stesso progetto senza gelosie e invidie ma con l’unico scopo comune di realizzare un prodotto di alta qualità. Ma temo che ci sia ancora tanta strada da fare in questa direzione. Quali erano le richieste della committenza (ad esempio riguardo a stile, colori, luce, movimenti)? Erano molto specifiche oppure avete avuto dei margini di autonomia? Matteo è un regista molto esigente, viene dal mondo della

«LA COSA PIÙ INTERESSANTE NEL NOSTRO APPROCCIO E POCO CONSUETA PER L’ITALIA È STATA LA PROGETTAZIONE DEL LAVORO FIN DALLA FASE DI PRE-PRODUZIONE IN MANIERA CONGIUNTA FRA EFFETTI SPECIALI PROSTETICI ED EFFETTI DIGITALI, PER OTTENERE UN RISULTATO CHE FOSSE CREDIBILE E ORIGINALE».

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sottomarino, la pulce che cresce fino a diventare gigante grazie alle cure del sovrano di Altomonte, la fuga della principessa (Bebe Cave) dall’orco.

pittura e ha uno stile e un immaginario visivo ben precisi. Il suo gusto personale è quindi lontano anni luce dagli effetti digitali. Ama infatti le imperfezioni, la casualità della realtà laddove il digitale nasce perfetto, pulito e ordinato. In sostanza la prima richiesta era molto chiara. Il digitale non si doveva percepire e doveva, soprattutto, essere funzionale al film e non protagonista. La seconda richiesta riguardava ovviamente lo stile. Leonardo e Matteo hanno lavorato insieme per più di un anno immaginando un mondo con paesaggi, creature e personaggi ben definiti. Noi del reparto VFX dovevamo ovviamente cercare di fare in modo che ogni effetto, animazione, paesaggio, fosse coerente con questo immaginario visivo. Interagire con il gruppo di lavoro per fare sì che gli effetti non prevaricassero mai la storia è stata una delle sfide più interessanti per me. Comunque i margini di autonomia sono stati ampi e, sulla base di una falsariga stabilita a monte, abbiamo potuto esplorare varie strade per poi scegliere insieme a Matteo

quella che più rispondeva alle esigenze del film. A volte abbiamo trovato subito la strada più adatta, altre volte, com’è normale, abbiamo percorso molte strade poi scartate. Il viaggio insomma è stato molto coinvolgente, pieno di creatività, di qualche momento di sconforto e di tante soddisfazioni. Talvolta siamo inciampati ma quel che conta è che ci siamo rialzati e siamo arrivati fino in fondo. Tutti insieme. E permettetemi di ringraziare ancora una volta su queste pagine ogni singola persona del gruppo di lavoro VFX che ha reso possibile tutto ciò: Luca Bellano, Amedeo Califano, Matteo Petricone, Korinne Cammarano, Claudia Coppa, Sara Ciceroni, Miriam Pavese, Rita Torchetti, Tommaso Ragnisco, Giorgio Iovino, Luigi Nappa, Alessandro Contenta, Gabriele Chiapponi, Gian Paolo Fragale, Andrea Salvatori, Giuseppe Motta, Gianluca De Pasquale, Ubaldo Boni, Alessandro Rullo, Davide Cutrone, Andrea Schiavone, Dennis Cabella, Marcello Ercole, Soryn Voicu, Jodi Ann McNamara, Silvia Coscia, Silvia Chicoli.

Quattro le creature completamente digitali (due pulci di “età” differenti, il drago e la creatura pipistrella) che sono state impiegate per full CG oppure per integrazioni parziali in molte inquadrature.

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LORIS GIUSEPPE NESE E CHIARA MAROTTA (CLASSI 1991 E 1993, SALERNO) SONO STUDIOSI DI CINEMA E APPASSIONATI DI FUMETTO, RESPONSABILI DEL COLLETTIVO DI PRODUZIONE MULTIMEDIALE NOUVELLE SWAG. LUI LAVORA COME FUMETTISTA, ILLUSTRATORE, GRAFICO E VIDEOMAKER. LEI È SCENEGGIATRICE E FOTOGRAFA. INSIEME, CANALIZZANO LE PROPRIE PASSIONI NELLA SERIE A FUMETTI E VIDEO CEROTTI, NELLA QUALE CINEMA E FUMETTO S’INCONTRANO. http://lorisgiuseppenese.blogspot.it/

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HISTOIRES DU CINÉMA

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DIARIO GLI EVENTI DI FABRIQUE

24 GIUGNO 2015

SUMMERTIME Mercoledì 24 giugno appuntamento open air per la presentazione del numero 10 di Fabrique all’interno di Eutropia Festival. Negli spazi del Campo Boario a Testaccio tanta musica con ben tre concerti live: quello dell’attore Marco Cocci, del cantautore romano The Niro e degli Stag, la band capitanata da Marco Guazzone. Durante la serata, iniziata con la musica del dj Diego De Gregorio e chiusa con il djset accompagnato dai visual degli ATO, il pubblico ha potuto assistere a mostre di artisti e alle proiezioni dei trailer che presentano le ultime novità in fatto di cortometraggi, film e serie web. Mediapartner della serata m2o radio. Tra gli ospiti della serata Claudio Di Biagio (la nostra cover), Elio Germano, Daniela Virgilio, Claudio Santamaria, Pino Quartullo, Carlotta Natoli, Margherita Vicario. Sempre al fianco del cinema indipendente Fabrique ha dedicato un momento a festival come il RIFF (con la presentazione della nuova piattaforma indiefilmchannel.tv), lo Shorts International Film Festival, il Figari Film Festival, il Corto Aperto Festival, l’International Film Festival di Civitavecchia, il Fantafestival – Mostra Internazionale del Film di Fantascienza e del Fantastico.

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NEWS

Sono sempre di più le partnership che Fabrique stringe con i festival italiani, un mondo ricco di proposte per tutti coloro che, addetti ai lavori e semplici amanti del cinema, vogliono vedere opere nuove e innovative, spesso al di fuori del circuito tradizionale delle sale. Ecco le rassegne di cui Fabrique è stata media partner negli ultimi mesi. 16 MAGGIO-27 GIUGNO 2015

CORTO APERTO (ROMA) Sei serate per la prima edizione di Corto Aperto-Short Film Contest, il neonato festival di cortometraggi che si svolge interamente in un pub romano: il premio Fabrique Old Vintage Style, rivolto ai corti prodotti prima prima dell’avvento delle DSRL (reflex digitali), è stato vinto da Writer di Andrea Ferrante. 30 GIUGNO-5 LUGLIO 2015

FIGARI FILM FESTIVAL (GOLFO ARANCI-OT) Quinta edizione per la rassegna sarda, che quest’anno ha visto trionfare nella sezione italiana Child K di Roberto De Feo e Vito Palumbo, mentre nella sezione internazionale il premio è andato a Jean Decré per il suo Nameless. 2-10 LUGLIO 2015

INTERNATIONAL SHORTS FILM FESTIVAL (TRIESTE) Sale piene per la 16esima edizione del festival organizzato da Maremetraggio, con oltre 14.000 presenze. Vincono exaequo il Premio Maremetraggio al miglior corto assoluto il danese Helium di Anders Walter e l’americano Fool’s Day di Cody Blue Snider. 3-11 LUGLIO 2015

INTERNATIONAL TOUR FILM (CIVITAVECCHIA) Respiro internazionale per il quarto anno dell’ITFF con, fra gli altri, il premio speciale alla carriera ad Anthony Christov (direttore Pixar). Altri riconoscimenti a Giuliana De Sio, Carlo Delle Piane, al Maestro Umberto Scipione, al regista Dario Albertini e al supervisore di effetti visivi Gianluca Dentici.

FABRIQUE DU CINÉMA

LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO ESTATE

2015

Numero

10

ICONE

SORRENTINO GARRONE MORETTI I nuovi classici

SMART TV

L’EVOLUZIONE DELLA SPECIE

Come i nuovi player scalzeranno i “dinosauri” televisivi

SOUNDTRACK

MARCO FASOLO, JENNIFER GENTLE “Niente è più potente della simbiosi tra immagini e musica”

TUTTO IL POTERE AL POPOLO (DEL WEB) Il nuovo cinema nasce anche dalla rete, come ci racconta Claudio Di Biagio

LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO SCARICA GRATUITAMENTE TUTTI I NUMERI DAL SITO 0 SCRIVICI A REDAZIONE@FABRIQUEDUCINEMA.COM

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DOVE

Come e dove Fabrique

ROMA CINEMA CASA DEL CINEMA | 06.423601 | Largo Marcello Mastroianni, 1 CINEMA TREVI | 06.6781206 | Vicolo del Puttarello, 25 EDEN FILM CENTER | 06.3612449 | Piazza Cola di Rienzo, 74 GREENWICH | 06.5745825 | Via G. Battista Bodoni, 59 INTRASTEVERE | 06.5884230 | Vicolo Moroni, 3 MADISON | 06.5417926 | Via G. Chiabrera, 121 NUOVO CINEMA AQUILA | 06.70399408 | Via L’Aquila, 66 NUOVO SACHER | 06.5818166 | Largo Ascianghi, 1 TIBUR | 06.4957762 | Via degli Etruschi, 36 LOCALI BIG STAR | Via Mameli, 25 CAFFÈ LETTERARIO | Via Ostiense, 95 CIRCOLO CARACCIOLO | Via F. Caracciolo, 23a DOPPIO ZERO | Via Ostiense, 68 GIUFÀ | Via degli Aurunci, 38 KINO | Via Perugia, 34 KINO MONTI | Via Urbana, 47 LE MURA | Via di Porta Labicana, 24 MAMMUT | Circonvallazione Casilina, 79 SCUOLE CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA | Via Tuscolana, 1520 CINE TV ROSSELLINI | Via della Vasca Navale, 58 GRIFFITH | Via Matera, 3 ROMEUR ACADEMY | Via Cristoforo Colombo, 573 SCUOLA D’ARTE CINEMATOGRAFICA GIAN MARIA VOLONTÉ | Via Greve, 61

MILANO CINEMA CINEMA APOLLO | Galleria de Cristoforis, 3 CINEMA ANTEO | Via Milazzo, 9 SPAZIO OBERDAN | Viale Vittorio Veneto, 2 LOCALI OSTELLOBELLO | Via Medici, 4 PIADE IN PIAZZA | P.zza Meda, 5 SCUOLE NUOVA ACCADEMIA DI BELLE ARTI | Via C. Darwin, 20 Milano

TORINO CINEMA CINEMA MASSIMO | Via Giuseppe Verdi, 18

BOLOGNA CINEMA CINEMA LUMIÈRE | Via Azzo Gardino, 65

FIRENZE CINEMA CINEMA STENSEN | Viale Don Giovanni Minzoni, 25 CINEMA ALFIERI | Via dell’Ulivo, 6

PISA CINEMA CINEMA ARSENALE | Vicolo Scaramucci, 2

FESTIVAL

Cortinametraggio Festival Internazionale del Film di Roma Ischia Film Festival Maremetraggio - International Shorts Film Festival Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia Roma Creative Contest Roma Web Fest Rome Independent Film Festival Visioni Italiane Cineteca di Bologna

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