LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO INVERNO
2016
Numero
16
OPERA PRIMA
IL PIÙ GRANDE SOGNO
Fra realtà e finzione il confine è sottile
CINEMA E TEATRO
STEFANO MASSINI
Per il golden boy della scena “non si può che essere sperimentali”
FUTURES
PAOLO MANNARINO
“Il più grande input per la mia immaginazione è la musica”
BE GOOD, GET GOOD OR GIVE UP
Ci piacciono quelli che lavorano duro per migliorarsi, proprio come Domenico Diele “Progetto realizzato con il cofinanziamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale – e della Regione Lazio di cui all’art. 82 della L.R. 6/99 e ss.mm.ii..
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La CaRTa STaMPaTa deL NUOVO CiNeMa iTaLiaNO
NOVEMBRE 2012
Numero
La CaRTa STaMPaTa deL NUOVO CiNeMa iTaLiaNO
0
FEBBRAIO 2013
OPERA PRIMA
Numero
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
La CaRTa STaMPaTa deL NUOVO CINeMa ITaLIaNO
1
MAGGIO 2013
OPERA PRIMA
VIAGGIO nEL cuOrE dI TEnEbrA
Numero
2
GENNAIO FEBBRAIO MARZO
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
5
ESTATE
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
6
AUTUNNO
Cupo e potente l’esordio de “Le formiche della città morta”
FESTIVAL DI ROMA
IcOnE
IcOnE
ICONE
ICONE
ICONE
UN DIRITTO DA DIFENDERE
La soLa scuoLa è L’esperienza
GIULIANO MONTALDO
SOPHIA 80
ABEL FERRARA
Roberto Faenza insegna ai suoi studenti a non smettere di lottare
Sessant’anni di cinema vissuti con coerenza e il sorriso sulle labbra
Parla Marco Bellocchio, “scandaloso” esordiente negli anni ’60
“Mi piacciono le cose difficili e ho ancora un sogno da realizzare”
“Fare film è come cercare di risalire un fiume al contrario”
ICONE
DOssIER
SchERMO blu
DOSSIER
DOSSIER
DOSSIER
IncOnTrO cOn GIAnnI AMELIO
FESTIVAL FACTORY
La MiGLiore oFFerTa
PRODUCT PLACEMENT
EUROPROGETTAZIONE
LE SCUOLE DI CINEMA
Ai giovani cineasti dico: condividete la vostra passione
Come i nuovi festival aiutano i giovani talenti e fanno guadagnare
Consigli per gli acquisti? Acqua passata. Ora si guarda al PP
Tra vero e falso: gli effetti speciali nel film di Giuseppe Tornatore
Quello che c’è da sapere sui finanziamenti UE per il cinema
IL NUOVO CINEMA ITALIANO È ADESSO
LAVORARE SODO LAVORARE TUTTI (I GIORNI)
GIULIA VALENTINI Ecco la nostra rivoluzione
FABRIZIO FALCO Capofila dei nuovi attori impegnati
BERSAGLIO
RItRAttO dI unA “cAntAttRIcE” cOn lE IdEE chIARE
E COME LUI SONO IN TANTI I RAGAZZI CHE PUNTANO TUTTO SUL LORO TALENTO
suLLe nosTre GaMBe Margherita Vicario
Studiare cinema a Roma: dove, come, quanto
UPGRADE
È TEMPO D’ESTATE, DI TANTI PICCOLI FESTIVAL DA NORD A SUD, DI FILM SOTTO LA LUNA
DRITTO AL
cAMMInIAMO
7
OPERA PRIMA
UNA PARABOLA UNDERGROUND
“Smetto quando voglio”: la nuova commedia italiana scintilla
LA SETTIMA VOLTA
Si apre la nuova edizione sotto la guida di Marco Müller
Numero
2014
OPERA PRIMA
SMART COMEDY
“L’arte della felicità”: quando il Sud è un passo avanti
I giorni della vendemmia di Marco Righi, un successo grazie al passaparola
Numero
2014
OPERA PRIMA
NAPOLI, CITTÀ DELL’ANIMA
eMiLia senTiMenTaLe
Morando Morandini intervista l’autore di “Alì ha gli occhi azzurri”
Numero
2014
OPERA PRIMA
CON LA CAMERA A SPALLA
Là-Bas, diario spietato di un’educazione criminale
FRANCESCO FORMICHETTI NON HA DUBBI
recitare è la mia vita
OVVERO AGGIORNARSI, CRESCERE, SALIRE PIÙ IN ALTO
È QUELLO CHE NOI FACCIAMO E CHE FANNO I GIOVANI PROFESSIONISTI DI CUI VI RACCONTIAMO
Sarà Matilda Lutz, attrice 23enne, la nostra splendente stella-guida nel cinema giovane che ci piace
MARCO PALVETTI, ATTORE DAL TALENTO MULTIFORME, È UNO DI LORO 1
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO INVERNO
2014
Numero
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
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ESTATE
2015
Numero
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
10
INVERNO
Numero
2015
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
12
PRIMAVERA
2015
Numero
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
13
ESTATE
2016
Numero
14
AUTUNNO
2016
Numero
OPERA PRIMA
ICONE
FUTURES
OPERA PRIMA
OPERA PRIMA
OPERA PRIMA
LA COSTRUZIONE DI UN AMORE
SORRENTINO GARRONE MORETTI
ROBERTO DE FEO
LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT
BANAT
MINE
Fra madre e figlio, nel paesaggio marino di “Last Summer”
I nuovi classici
Un corto sulla via dell’Oscar e le idee molto chiare
“Il genere è lo strumento con cui raccontare la contemporaneità”
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Il war film di Fabio&Fabio, fra l’Italia e Hollywood
Nel film d’esordio di Adriano Valerio, la vita forse, è altrove
ICONE
SMART TV
SOUNDTRACK
ICONE
FUTURES
NUOVI MAESTRI
WIM WENDERS
L’EVOLUZIONE DELLA SPECIE
DIEGO BUONGIORNO
RUGGERO DEODATO
VALENTINA BERTANI
SERGIO RUBINI
Come i nuovi player scalzeranno i “dinosauri” televisivi
ZONA DOC
Quando il suono è immagine, arte, performance
SOUNDTRACK
IL CINEMA DEL REALE
VISIONARI Come ha fatto Miriam Dalmazio, eclettica musa
Il nuovo cinema nasce anche dalla rete, come ci racconta Claudio Di Biagio
Imparano, sfidano se stessi, diventeranno i nuovi maestri ALESSANDRO BORGHI
COMICS
EDOARDO TRESOLDI
“Questo è decisamente il momento di stare in Italia”
IS ON OUR SIDE
Attore, regista, artigiano: un ritratto a tutto tondo
ARTE
VINCENZO ALFIERI
“Della critica non m’importa niente. Ho fatto i film che volevo”
TUTTO IL POTERE AL POPOLO (DEL WEB)
Dalla moda e dai videoclip a un set internazionale
FUTURES
LINA WERTMULLER
“Niente è più potente della simbiosi tra immagini e musica”
NELLO SPAZIO FRA SOGNO E REALTÀ I GIOVANI COSTRUISCONO IL LORO PRESENTE E IL LORO FUTURO
L’avventuriero del cinema italiano che ha ispirato Stone e Tarantino
ICONE
MARCO FASOLO, JENNIFER GENTLE
Nuove forme narrative del documentario
RITRATTO DELL’ARTISTA DA GIOVANE
“L’ideale? Non avere punti di riferimento”
EMILIANO MAMMUCARI
“Con la trasparenza della rete faccio dialogare l’uomo e lo spazio”
“C’è sempre bisogno di una componente di caos, di disordine”
EREDI
RESURREZIONE FALLIRE, TENTARE DI NUOVO, RIUSCIRE Matteo Martari e i nuovi attori,registi, autori non hanno paura degli ostacoli e dei rischi
DI NOI STESSI
Cristiana Dell’Anna storie di chi parte, di chi ritorna e di chi resta per seguire la sua vocazione “Progetto realizzato con il cofinanziamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale – e della Regione Lazio di cui all’art. 82 della L.R. 6/99 e ss.mm.ii..
Oggi si esprime in teatro, nella pubblicità, in TV, sul web, al cinema. Come Stella Egitto
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PROGETTO FABRIQUE
Siamo felici di comunicare che il progetto Fabrique è stato premiato dalle istituzioni: un’iniziativa, quella del magazine, realizzata dall’associazione Indie Per Cui e cofinanziata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Gioventù e del Servizio Civile Nazionale e dalla Regione Lazio attraverso il Piano Annuale Interventi in favore dei Giovani, che nasce dall’intento condiviso di promuovere il giovane cinema italiano. Fabrique du Cinéma rappresenta infatti il primo progetto di crossmedialità dedicato al mondo del nuovo cinema nazionale. Una comunicazione integrata che utilizza più media all’interno di un grande programma editoriale: una rivista trimestrale gratuita, un portale web e un evento culturale multidisciplinare pensato come momento aggregante. Mettendo in luce le nuove leve della Settima Arte, creando connessioni con le major delle produzioni televisive e cinematografiche, collaborando attivamente con le industrie del settore cinematografico e con i maggiori festival nazionali, la freepress Fabrique è divenuta un punto di riferimento per gli studenti e per gli addetti ai lavori, pensata anche per un pubblico trasversale affascinato dallo spettacolo, dal dietro le quinte e dalle novità. Gli eventi Fabrique du Cinéma sono un appuntamento atteso sempre più da molti; le proiezioni dei cortometraggi, le mostre espositive, i concerti di gruppi musicali italiani offrono al vasto pubblico giovane un intrattenimento innovativo e coinvolgente. Nel suo complesso Fabrique du Cinéma è l’espressione di una rete di giovani operatori dell’audiovisivo, che si rivolge agli amanti del cinema contemporaneo, d’autore, indipendente e di qualità, ed è attenta alle nuove sperimentazioni cinematografiche per il web e alle forme di interazione tra il cinema e le arti.
Info e contatti su www.fabriqueducinema.com
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S
UNA LEGGE PER I GIOVANI. MASCHI E BIANCHI. ALLA RICERCA DEL MERCATO (DEL CORTOMETRAGGIO)
SERIE TV ITALIANE: L’ALBA DI UNA RIVOLUZIONE
I CLASSICI E LE PUPAZZE
LES YEUX DE L’AVENIR
SOMMARIO
DOMENICO DIELE
Pubblicazione edita dall’associazione culturale Indie per cui Via Francesco Ferraironi, 49 L7 (00177) Roma www.fabriqueducinema.it
IL NOME DEL PADRE
SEX COWBOYS
Registrazione tribunale di Roma n. 177 del 10 luglio 2013 DIRETTORE ARTISTICO Davide Manca DIRETTORE EDITORIALE Elena Mazzocchi DIRETTORE RESPONSABILE Ilaria Ravarino SUPERVISOR Luigi Pinto STRATEGIC MANAGER Tommaso Agnese GRAFICA E IMPAGINAZIONE Giovanni Morelli REDAZIONE Chiara Carnà, Giacomo Lamborizio REDAZIONE WEB Cristiana Raffa (Responsabile) Serena Ardimento DISTRIBUZIONE E BANDI Simona Mariani PHOTOEDITOR Francesca Fago MARKETING Federica Remotti SET DESIGNER Gaspare De Pascali AMMINISTRAZIONE Katia Folco Consuelo Madrigali UFFICIO STAMPA Patrizia Cafiero & Partners in collaborazione con Sara Battelli PUBBLICITÀ APS Advertising srl Via Tor de Schiavi, 355, 00171 ROMA www.apsadvertising.it STAMPA Press Up s.r.l. Via La Spezia, 118/C 00055 Ladispoli (RM) Finito di stampare nel mese di novembre 2016
04 EDITORIALE ROTONDA 06 TAVOLA TAVOLA ROTONDA /2 08 COMICS 10 ARTS 14 COVER STORY 18 VIDEOCLIP 20 OPERA PRIMA /2 26 WEBSERIE 28 FUTURES 30 TEATRO 32 CINEMA CHIAMA TEATRO 34 SPECIALE MESTIERI 36 OPERA SECONDA 40 ZONA DOC 42 DOSSIER ATTORI 44 SOUNDTRACK 52 REALTÀ VIRTUALE 54 MAKING OF 58 MACRO 66 FORMAZIONE 68 FUMETTO 70 DIARIO 72 DOVE 73
22 OPERA PRIMA /1 ILHO PORTATO PIÙLAGRANDE SOGNO REALTÀ DENTRO AL SET 62 EFFETTI SPECIALI INDEPENDENCE DAY RIGENERAZIONE IN GUERRA CONTRO GLI ALIENI E… IL FUSO ORARIO
(Z)-THE SERIES / IL CAMERLENGO
PAOLO MANNARINO
STEFANO MASSINI
ORECCHIE
STORYBOARD ARTIST
ACQUA DI MARZO
IL SUCCESSORE
BLACK POETRY
STELVIO CIPRIANI
ITALIAN VR
BARLUME
TECNICI D’ECCELLENZA
OFFICINELAB
IN COPERTINA Domenico Diele
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO INVERNO
2016
Numero
16
OPERA PRIMA
IL PIÙ GRANDE SOGNO
Fra realtà e finzione il confine è sottile
CINEMA E TEATRO
STEFANO MASSINI
Per il golden boy della scena “non si può che essere sperimentali”
GLI EVENTI DI FABRIQUE
FUTURES
PAOLO MANNARINO
“Il più grande input per la mia immaginazione è la musica”
BE GOOD, GET GOOD OR GIVE UP
Ci piacciono quelli che lavorano duro per migliorarsi, proprio come Domenico Diele “Progetto realizzato con il cofinanziamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale – e della Regione Lazio di cui all’art. 82 della L.R. 6/99 e ss.mm.ii..
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DR. MARKMAN EPISODIO 0 – SOTTO ZERO
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COME E DOVE FABRIQUE
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E EDITORIALE
foto ROBERTA KRASNIG assistenti JACOPO GENTILINI e DANIELE LOTTA stylist STEFANIA SCIORTINO makeup and hair VANESSA TREZZA Cappotto in faux fur CHRISTIAN PELLIZZARI Girocollo e pantaloni DAVID NAMAN si ringrazia InLocation
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UNA LEGGE PER I GIOVANI. MASCHI E BIANCHI. di ILARIA RAVARINO @Ravarila_DM E Legge Cinema fu.
L’abbiamo aspettata per cinquant’anni anni e infine salutata con un tripudio di applausi trasversali: l’Italia si è dotata di una nuova legge che disciplina il settore, e per una volta siamo tutti d’accordo. Tutti? Quasi. È difficile, e forse anche antipatico, trovare una voce fuori dal coro. Eppure qualcuno, da questa legge che aiuta i “giovani”, i film “difficili”, le sale e i produttori, qualcuno è rimasto ancora una volta tagliato fuori. Qualcuno che non ha voce per lamentarsi, perché nel cinema istituzionale non esiste o esiste troppo poco. Per esempio le donne, le autrici e le registe che Fabrique ha sempre seguito con attenzione. Solo il 16,3% di tutti i film arrivati nelle sale europee negli ultimi dieci anni sono stati diretti da donne, avverte l’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo. E la percentuale scende al 10% in Italia. Cosa poteva fare la legge? In Svezia, senza bisogno di quote, il numero delle donne registe è arrivato a sfiorare il 40%, semplicemente attraverso politiche pubbliche di sostegno alle differenze di genere. Per esempio gli italiani di seconda generazione, soprattutto attori le cui (spesso lontane) origini non europee costituiscono un ostacolo insormontabile per l’accesso a ruoli, provini, audizioni. Il progetto più ambizioso raccontato in questo numero di Fabrique, non a caso, l’ha firmato un regista di Firenze col cognome iracheno. Cosa poteva fare la legge? Da anni negli Stati Uniti, nel Regno
Unito e in Francia si moltiplicano le voci che chiedono di aumentare sullo schermo la presenza di soggetti espressione di diversità, premendo perché il settore pubblico vigili e si impegni contro la diffusione di pericolosi stereotipi culturali. Nella nostra nuova legge, invece, tanto l’equilibrio di genere quanto la diversità etnica non sono ritenuti fattori da tutelare. In poche parole: ai fini dei finanziamenti, automatici o selettivi, non contano nulla. E anche adesso, a legge approvata, il dibattito è zittito dal borbottio del benaltrismo: con tutti i problemi che aveva il settore, perché preoccuparci anche di questo? Perché le donne e i “nuovi italiani” sono oggi gli unici soggetti in grado di esprimere uno scarto sostanziale tra le storie che il cinema raccontava ieri, sotto l’ombrello di una legge invecchiata male, e quelle che potrebbe raccontare domani. Storie che parlino di una
nuova Italia, fatta di colori e generi diversi, con protagoniste e protagonisti inimmaginabili nel cinema whitewash del 1965. Storie che la nuova legge, purtroppo, non fa nulla per aiutare a sbocciare. E allora salutiamola comunque con soddisfazione, questa legge che fotografa finalmente il presente. Ma mordiamoci le mani per aver perso un’occasione importante: quella di immaginare il futuro.
Le donne e i “nuovi italiani” sono oggi gli unici soggetti in grado di esprimere uno scarto sostanziale tra le storie che il cinema raccontava ieri e quelle che potrebbe raccontare domani.
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- Tavola rotonda -
Alla Ricerca Del Mercato Perduto… (DEL CORTOMETRAGGIO)
O MAI ESISTITO?
Fabrique ha partecipato attivamente alla 73esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Con la sua troupe, i suoi inviati e la sua quarta tavola rotonda: Il mercato dei cortometraggi: cosa c’è di nuovo. di YLENIA POLITANO (giornalista e moderatrice della tavola rotonda) foto ALESSIO MOSE
Q
uest’anno il valore dell’incontro è stato per noi ancora più alto, perché eravamo partner di Save the Children Italia e della campagna #IoStoConAylan. Aylan era il bambino siriano fotografato senza vita in riva al mare. Per aiutarci a non dimenticare è stato nostro ospite alla Tavola Rotonda, tenutasi allo spazio Regione Veneto dell’Hotel Excelsior, Michele Prosperi di Save The Children Italia. In questa edizione della kermesse veneziana Fabrique ha voluto affrontare il tema del mercato dei cortometraggi, convinta che gli “short movies” non siano solo l’anticamera delle opere di lungometraggio ma un linguaggio e un genere che merita attenzione da parte degli operatori e del pubblico. Ne abbiamo parlato con il produttore Giovanni Pompili (Kino produzioni, vedi art. Opera Prima/1), Roberto De Feo, regista e distributore, Jacopo Chessa, direttore del Centro Nazionale del Cortometraggio, Antonello Centomani (Movieday), Cateno Piazza (Catania Film Fest), Ema-
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nuele Rauco (critico e selezionatore al festival). Giovanni Pompili spiega che per lui il lavoro di produttore ha una forte valenza politica e sociale: «Essere produttori significa essere cittadini attivi, anche fuori dalle logiche di mercato. Ad esempio quest’anno abbiamo prodotto il corto di due registi iraniani: lo abbiamo fatto a prescindere dai fondi e dal mercato, era “necessario” raccontare questa storia. Posso però dire con certezza che non esiste un mercato dei cortometraggi. In Italia ci sono quattro player, e uno di questi, su uno short film altamente professionale, vincitore di festival, ci ha offerto mille euro: ho gentilmente rifiutato. Produrre un corto è lavorare sulle intuizioni e soprattutto costruire dei team che permettano ai giovani di esprimersi e fare esperienza. Da noi per ora c’è solo la creatività. Per fortuna qualcuno ci prova, come il Centro Nazionale del Cortometraggio che farà il primo market». Interviene quindi Jacopo Chessa, direttore del Centro:
«I FINANZIAMENTI PUBBLICI PER I CORTI DA NOI SONO 1,5 MILIONI DI EURO. IN FRANCIA SIAMO SUI 25».
Alcune immagini del workshop tenuto da Fabrique il 2 settembre allo spazio Regione Veneto dell’Hotel Excelsior al Lido.
«Il nostro lavoro principale è quello di promuovere i corti italiani all’estero, e anche se siamo nati come prima cineteca del cortometraggio, ora ci dedichiamo maggiormente alla promozione, distribuzione e vendita. Sono d’accordo con Giovanni sul fatto che non esiste un vero mercato in Italia. Analizzando l’industria del cortometraggio italiano, partendo dall’indotto festivaliero, tra fondi ministeriali e regionali si arriva in tutto a circa 1,5 milioni di euro a fronte di 700 corti prodotti annualmente. In Francia siamo sui 25 milioni. L’idea di un film market del corto ci è venuta ricevendo molte sollecitazioni, il nostro fine non è soltanto la compravendita, ma creare uno spazio di sostegno sia alla produzione sia al passaggio da corto a lungo, cercando di attivare il reperimento di fondi esteri». Per fortuna, oltre al Centro Nazionale del Cortometraggio – il Torino Short Film Market si è svolto dal 18 al 20 novembre – ci sono anche iniziative private che tentano di allargare la fruizione degli short movies. Antonello Centomani ha infatti presentato Movieday.it, una nuova piattaforma distributiva che, partita l’anno scorso dopo quattro anni di progettazione, permette a chiunque di organizzare delle proiezioni in 120 sale sul territorio italiano. Andando sulla piattaforma si possono scegliere sala, giorno e ora della proiezione: la proiezione ha luogo solo se si raggiunge un numero minimo di prenotazioni, poiché si azzera il rischio commerciale dell’esercente. Un
modello che sta avendo grande successo negli Stati Uniti e in Europa, e che anche in Italia sta riscuotendo ottimi risultati. Questo tipo di distribuzione utilizza, per certi versi, la sharing economy: la piattaforma garantisce le parti in gioco e, se si raggiungono certi termini, l’accordo si fa. Basandosi sul presupposto che per ogni film c’è un pubblico, e per ogni pubblico ci deve essere una sala in cui poterlo vedere. La voce di Roberto De Feo, produttore e regista, è invece fuori dal coro: sostiene che un mercato italiano dei corti, seppur piccolo, esiste, occorre solo alimentarlo. Ha presentato PremiereFilm e AncheCinema, che lo scorso anno hanno lanciato un contest per sceneggiature di corti. Ha vinto il premio (la produzione del corto e 2mila euro) Arianna Del Grosso con Candie Boy, prodotto e girato a ottobre. Cateno Piazza, direttore del Catania Film Fest, ed Emanuele Rauco concordano infine sull’importanza dei festival per valorizzare i corti indipendenti nel contesto delle rassegne cinematografiche: «I festival non sono solo mercato, ma occasioni, per noi, per il pubblico, per i registi, di dialogo, incontro, crescita». Uno dei più grandi buyer, Mediaset Premium, comprerà corti solo per un altro anno. Quindi? Che fine farà questo fantomatico e minuscolo mercato? L’augurio è che ne possa nascere uno nuovo, con modalità ancora inesplorate, in un mercato fermo a dinamiche ormai superate.
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- Tavola rotonda /2 -
Serie TV Italiane L’ALBA DI UNA RIVOLUZIONE
Lo tsunami della nuova serialità è finalmente arrivato anche in Italia, dove si sta cercando di creare un modello originale che interessi anche il mercato internazionale. I primi a essere coinvolti in quella che sotto molti aspetti è una vera e propria rivoluzione sono gli sceneggiatori e i produttori. di ELENA CIRIONI foto STEFANO SBRULLI
P
erciò, dopo il successo dell’anno scorso, anche quest’anno Fabrique, in collaborazione con la quarta edizione del Roma Web Fest 2016, il 1 ottobre ha organizzato una tavola rotonda con alcuni dei più importanti nomi della sceneggiatura e delle case di produzione italiane per discutere del futuro delle serie nostrane. Protagonisti: Ludovico Bessegato, produttore creativo di Cross Production, Paola Mammini, sceneggiatrice vincitrice del David di Donatello con Perfetti sconosciuti, Stefano Sardo sceneggiatore di 1992, Valeria Licurgo responsabile di produzione per Lotus Production e Salvatore De Mola sceneggiatore di Montalbano e del Giovane Montalbano. Ha moderato l’incontro la giornalista Eva Carducci.
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Insomma, che momento sta vivendo oggi la serialità italiana? «Il momento migliore da moltissimo tempo per la mole e il tipo di prodotti che si sta sviluppando» esordisce Stefano Sardo «sono successe delle cose, l’Europa è diventata terra di conquista degli over the top, Netflix è sbarcato in Italia, Amazon sta per produrre in Germania e probabilmente arriverà anche da noi. Questo è lo scenario in cui sono nati team di creativi italiani e la possibilità di dar vita a prodotti internazionali». Sardo cita l’esempio di The Young Pope di Sorrentino, una co-produzione internazionale tra Italia, Francia, Regno Unito e Stati Uniti: «Si avverte un’energia creativa che porterà a una sana competizione. Arriveremo presto al momento in cui saranno i network a fare agli sceneggiatori la fatidica domanda: “Ma tu hai un’idea per una serie?”».
«IN ITALIA QUESTO È IL MOMENTO MIGLIORE DA MOLTISSIMO TEMPO PER LA MOLE E IL TIPO DI PRODOTTI CHE SI STA SVILUPPANDO. SI AVVERTE UN’ENERGIA CREATIVA CHE PORTERÀ A UNA SANA COMPETIZIONE».
In alto da sinistra: Stefano Sardo, Paola Mammini, Salvatore De Mola; in basso Ludovico Bessegato e Valeria Licurgo.
Tuttavia questa prima fase è molto fragile e rimane alto il rischio di tornare indietro; per fare in modo che questo non accada c’è bisogno di tenere in piedi la richiesta di originalità. Questo è lo step successivo necessario, ma ancora lontano dal realizzarsi: per ora la consuetudine è quella di proporre delle idee agli autori e di creare un evento per sponsorizzare il canale di riferimento. Come spiega Ludovico Bessegato: «Non si capisce se è il pubblico che richiede le serie di qualità o se sono i canali TV che le vogliono come strumento promozionale. Ad esempio Sky utilizza la logica che prevede la creazione di un evento con un appeal promozionale studiato per far comprare all’utente l’abbonamento. Ma la base di tutto rimane il marketing, e non c’è una vera ricerca di storie e personaggi originali». La parola passa poi a un’altra figura fondamentale per lo sviluppo di una serie, il produttore. Valeria Licurgo afferma che da qualche anno le case di produzione si stanno adeguando alla sempre maggiore richiesta di serie e sono attente all’evoluzione del genere: «Quello che manca è un interlocutore affidabile che faccia da tramite tra le produzioni e le reti televisive per presentare il progetto». Un capitolo importante del workshop si snoda attorno al rapporto tra sceneggiatore e produzione, una collaborazione necessaria che, come spiega Paola Mammini, può essere fonte di innovazione. Tuttavia i produttori non sono gli unici interlocutori con cui lo sceneggiatore deve confrontarsi, chi di solito può ostacolare seriamente la costruzione di una serie televisiva è l’editor di rete, e questo accade
soprattutto nelle reti generaliste, dove ci sono determinate regole da rispettare anche di tipo legale: marchi che non si possono nominare, limiti nel linguaggio, soprattutto se la fiction va in onda nelle fasce orarie protette. «Tutta una serie di paletti difficili da evitare che riducono molto l’appeal del prodotto», conclude Mammini. Un altro ostacolo posto agli sceneggiatori è quello di non poter partecipare ai casting. Per Salvatore De Mola questa è una prerogativa fondamentale per il momento assegnata al solo regista, che in questa maniera si trasforma in un vero e proprio showrunner. La discussione si accende sulle questioni economiche. Spesso gli sceneggiatori vengono pagati alla stessa maniera sia se si tratta di lavorare a un prodotto nazionale sia a uno con una produzione e uno sbocco estero, quindi, continua Sardo «un sistema industriale che non consente a un prodotto che genera diritti nel mondo di arricchire chi l’ha fatto non invoglia a lavorare per l’estero». Dal canto suo il produttore, ricorda Licurgo, va incontro a rischi maggiori rispetto a un autore, investe un capitale per il progetto e nel caso di un grosso fallimento può perdere molto. La soluzione potrebbe essere quella di far partecipare con una quota d’investimento lo sceneggiatore alla produzione, in questa maniera si rischia in due e i guadagni sono divisi in maniera equa. Una soluzione che potrebbe portare alla nascita di una nuova figura: il produttore creativo, un modello in qualche caso applicato, ma che in Italia deve ancora prendere piede.
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- Comics -
Che trattino i miti romani, la Grecia antica o le vicende cavalleresche di Orlando, gli splendidi ritratti femminili delle “PUPAZZE” o le prime importanti tavole di fumetto, i disegni di Rita Petruccioli ricostruiscono un mondo affascinante in cui riescono a trovare spazio sia il passato più lontano che il caos e i colori del mondo presente . di MARCO PACELLA
I Classici Le Pupazze e
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.
Illustratrice romana con già numerosi libri alle spalle e una formazione artistica consolidata anche da una parentesi in Francia, Rita Petruccioli sta disegnando da un po’ di tempo la sua prima graphic novel, scritta da Giovanni Masi, che vedrà la luce il prossimo anno. Con lei abbiamo ripercorso le tappe di una ricerca che l’ha portata a essere una delle più interessanti illustratrici del panorama italiano contemporaneo. Com’è iniziato il tuo percorso artistico e come ti sei orientata poi verso l’illustrazione? Ho sempre disegnato, fin da quando ero piccola. Ho frequentato il liceo classico e ho proseguito gli studi all’Accademia di Belle Arti. Qui ho rinnegato tutto ciò che poteva essere fumetto, illustrazione
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o narrazione pop e mi sono messa in testa che volevo fare l’artista. Poi con l’esperienza le idee sono cambiate, ho fatto dei viaggi all’estero, in particolare in Francia, dove mi sono incontrata col mercato editoriale dell’illustrazione per bambini, che è meraviglioso. Ho deciso di continuare i miei studi in Francia, all’ENSAD (École nationale supérieure des arts décoratifs) di Parigi e lì ho scelto il canale dell’illustrazione e di quella che loro chiamano image imprimée, la grafica d’arte, che è un po’ il trait d’union tra creazione artistica e comunicazione. Cosa hai riportato in Italia di quella esperienza? La mia vera formazione editoriale è avvenuta in Francia, quando sono arrivata sapevo poco o nulla di illustrazione. Lì ho trovato un
Nella pagina precedente: Orlando Furioso; qui accanto illustrazioni da Shakespeare, Le metamorfosi di Ovidio, l’Eneide di Virgilio.
ambiente molto professionale che mi ha consentito di spaziare su tanti modi di raccontare: si passava dal fumetto pop al libro d’arte e c’erano anche tante possibilità di incontro con gli artisti. A livello stilistico, attraverso la pratica della serigrafia ho messo a punto lo stile più graffiato che adesso mi appartiene.
vivendo in quel momento, un’emozione, una convinzione, a volte scopro delle cose su di me tramite le espressioni che do alle Pupazze. Ultimamente sono donne estremamente determinate.
Sei chiamata spesso a cimentarti con i classici della letteratura, dai miti romani ai poemi cavallereschi. Come ti avvicini a questi giganti della cultura occidentale? Il mio primo approccio è innanzitutto da lettrice. Faccio inoltre delle ricerche sull’autore e il contesto in cui è nata l’opera. Poi incomincio a capire come queste cose si possono raccontare. Dato che si tratta quasi sempre di adattamenti di classici, mi confronto con l’autore che riscrive l’opera. Per esempio, ho un rapporto molto stretto con Carola Susani. Nei libri che abbiamo fatto insieme (Miti romani, Eneide) lei scriveva un capitolo alla volta, me lo mandava e ne facevo il mio storyboard. Dopodiché ci siamo confrontate e influenzate a vicenda.
Fin da piccola sei una lettrice appassionata di fumetti. Come sta avvenendo ora il passaggio da lettrice ad autrice? Questo passaggio al fumetto lo sto vivendo come una bella avventura, e scopro lavorandoci che ha poco a che vedere con il modo di raccontare che ho nelle illustrazioni. In Frantumi – il fumetto che sto ultimando con Giovanni Masi per Bao Publishing – mi accorgo che ho un approccio simile a quello dell’illustrazione nel cercare di calibrare l’immagine nel suo intero, lavorando a doppia pagina. A parte questo, però, nell’illustrazione non ho bisogno di spostarmi troppo nello spazio, di pensare ai movimenti delle figure o ad esempio come muovono un braccio, perché mi gioco tutto quanto in una sola immagine. Far recitare i personaggi richiede un impegno mentale di dimensione diversa, perché ogni tavola è l’equivalente di un problema matematico.
Tra i tuoi lavori più personali ci sono poi le “Pupazze”. Come nascono e come si evolvono? Le “Pupazze” sono personaggi femminili che io disegno e che spesso nascono in maniera molto spontanea. Da piccola, quando abitavo con mia nonna, lei mi guardava disegnare queste donne e ogni tanto mi diceva “Chi è ‘sta pupazza?”, da questo deriva il loro nome. Con le Pupazze ho un rapporto particolare, sono proprio il mio sfogo: comincio sempre col disegnare un personaggio femminile, poi man mano questo personaggio catalizza qualche cosa che io sto
Attualmente sei concentrata solo sul fumetto o porti avanti più lavori parallelamente? Il fumetto è l’impegno principale, ma ci sono altri lavori che sto facendo in contemporanea, fra cui le illustrazioni per due libri che usciranno a breve: un secondo volume su Shakespeare, per Mondadori, e un classico un po’ diverso, I misteri della Giungla Nera di Salgari, per Il battello a vapore. Ci sono poi progetti un po’ più piccoli, tra cui un lavoro per la nuova antologia di Squame che si chiamerà Metamorfosi.
«LA MIA FORMAZIONE EDITORIALE È STATA IN FRANCIA. LÌ, ATTRAVERSO LA SERIGRAFIA, HO MESSO A PUNTO LO STILE GRAFFIATO CHE ADESSO MI APPARTIENE». 12
- Arts -
Con Les yeux de l’avenir, l’arte incontra il mondo del cinema, attraverso la realizzazione di ARTWORK GRAFICI volti a presentare alcuni tra i registi emergenti che stanno cambiando il panorama cinematografico italiano. Una raccolta di SETTE OPERE E SETTE PERSONALITÀ . un progetto di MARTINA MAMMOLA e SIMONE FERRARO
LES YEUX DE L’AVENIR www.behance.net/MartinaMammola www.behance.net/simoneferrarogd
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L’idea nasce da un contesto creativo sempre più nuovo, contaminato e vivo, in cui l’incontro tra artisti ha stimolato un progetto foto-grafico a cura di Martina e Simone. Martina Mammola e Simone Ferraro sono un duo creativo che collabora nella realizzazione di locandine di lungo e cortometraggi. Martina è una giovane fotografa romana, diplomata all’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata. Dopo un’esperienza al London Central Saint Martin College of Art and Design, inizia a lavorare a Roma come assistente per diversi fotografi,
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case di produzione e siti web. Ritrattista appassionata di camera oscura e still life, la sua cifra stilistica è l’uso del bianco e nero. Simone è un digital artist appena ventenne, con una carriera iniziata a soli dodici anni. Studente al London College Communication, ha già sviluppato una profonda conoscenza degli strumenti tecnici. Tra le sue esperienze di graphic designer troviamo il Verticomics 2016 ed il Giffoni Innovation Hub. Le foto, scattate a Roma da Martina, sono state post prodotte da Simone attraverso la realizzazione di artwork grafici direttamente da Londra. (Si ringrazia Chiara Del Zanno per i testi)
MATTEO ROVERE 1982. Regista, sceneggiatore e produttore romano. Esordisce alla regia nel 2008 con l’opera prima Un gioco da ragazze, seguito da Gli sfiorati (2011) e Veloce come il vento (2016). La carriera di produttore è ricca di successi nonostante la giovane età: The Pills (2013-2014), Smetto quando voglio (2014), La foresta di ghiaccio (2014). Realizza diversi documentari e cortometraggi (Nastro D’Argento 2007 per Homo Homini Lupus), e viene candidato ai David di Donatello con Smetto quando voglio, per cui vince un Nastro d’Argento come miglior produttore italiano, insieme a Domenico Procacci.
SYDNEY SIBILIA 1981. Regista, sceneggiatore e produttore. Dopo la felice collaborazione con Valerio Attanasio per il cortometraggio del 2010 Oggi gira così, nel 2014 esce in sala con Smetto quando voglio, incredibile successo di pubblico e critica: ottiene 12 candidature ai David di Donatello, vincendo ai Globi d’Oro e ai Ciak d’Oro come rivelazione dell’anno. Il 2017 vedrà l’uscita di Smetto quando voglio-Reloaded.
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MICHELE ALHAIQUE 1979. Attore e regista italiano. Studia alla Scuola Nazionale di Cinema e lavora come attore teatrale e televisivo (Grandi domani, Camera café), fino al debutto cinematografico con Fuoco su di me (2005), seguito da titoli come L’uomo che ama (2008), La prima linea (2009) e Qualche nuvola (2011). Nel frattempo dirige alcuni cortometraggi, fino all’opera prima Senza nessuna pietà, noir interpretato da Pierfrancesco Favino e Greta Scarano, presentato alla 71esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
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IVAN SILVESTRINI
PIERO MESSINA
VINCENZO ALFIERI
1982. Regista e sceneggiatore, si diploma in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia. Nel 2012 scrive e dirige Stuck-The chronicles of David Rea, prima webserie italiana girata in inglese, e arriva al cinema con Come non detto, commedia pop con Monica Guerritore, Francesco Montanari e Ninni Bruschetta. Regista e sceneggiatore anche di Monolith (2016) e della serie Under, nel 2017 tornerà in sala con 2night, film indipendente con Matilde Gioli e Matteo Martari, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma.
1981. Regista, sceneggiatore e musicista. Laureato al DAMS e diplomato in regia al CSC. Si dedica alla composizione di colonne sonore e alla realizzazione di cortometraggi, accolti con entusiasmo dalla critica, tra cui Stidda ca curri e La prima legge di Newton (Taormina Film Fest, Festival di Cannes, Nastro d’Argento e Globo d’oro). Lavora come assistente alla regia di Paolo Sorrentino (This Must be the Place, La grande bellezza) e nel 2015 L’attesa, il suo primo lungometraggio che vede protagonista Juliette Binoche, viene presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.
1986. Attore, regista e sceneggiatore. Studia in Italia e a New York, inizia giovanissimo a realizzare cortometraggi. La sua webserie Questo sono io (2013), è una delle poche a conquistare prima il web e poi la televisione (trasmessa su MTV). Con una carriera d’attore sempre più prolifica, Alfieri è ormai un volto noto della fiction italiana (Incantesimo, Carabinieri, Don Matteo, Mia madre, Distretto di polizia, Rex, Che Dio ci aiuti, Adriano Olivetti) mentre al cinema lavora con Pupi Avati in Il cuore altrove (2005), e successivamente in Questa notte è ancora nostra (2008), Ex (2009), Manuale d’amore 3 (2010). Nel 2014 firma la regia di Memories, cortometraggio fantascientifico vincitore di diversi premi, mentre fonda insieme alla sorella la società di produzione cinematografica Guinesia Pictures.
DANIELE BARBIERO 1989. Sceneggiatore e regista. Dopo aver lavorato come assistente alla regia (Fratelli unici, 2014) dirige il cortometraaggio Mirror, vincitore di oltre trenta premi nazionali e internazionali. Ha da poco concluso la realizzazione del suo ultimo cortometraggio Radice di 9, con un cast di livello (Matilde Gioli, Francesco Montanari, Matilda De Angelis), presentato alla Festa del Cinema. Attualmente è impegnato sulla sua opera prima, mentre collabora con importanti registi italiani di spot e videoclip.
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- Cover story -
CON
UN PIZZICO FORTUNA DI
SI È AFFERMATO COME NUOVA PROMESSA GRAZIE AD ACAB E 1992 E LO VEDREMO DAR VITA A PERSONAGGI “VINTAGE”. IL TRENTUNENNE SENESE DOMENICO DIELE SI DIVIDE TRA SET CINEMATOGRAFICI E TELEVISIVI, METTENDOSI COSTANTEMENTE IN DISCUSSIONE. di CHIARA CARNÀ foto ROBERTA KRASNIG assistenti JACOPO GENTILINI e DANIELE LOTTA stylist STEFANIA SCIORTINO makeup and hair VANESSA TREZZA total look DAVID NAMAN (foto apertura) NEIL BARRETT (foto pagina destra) si ringrazia InLocation
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DOMENICO DIELE «All’inizio della carriera ero più istintivo e inconsapevole. I grandi attori con cui ho recitato invece erano sempre attenti a ogni dettaglio. Ma sono stati anche molto disponibili e generosi nei miei confronti; mi hanno insegnato a prendere maggior coscienza di me stesso e del mio lavoro».
«
Tra la fine dell’anno scorso e l’inizio di quest’anno ho girato due fiction RAI, che vedrete prossimamente: C’era una volta Studio Uno, diretto da Riccardo Donna, e Di padre in figlia di Riccardo Milani, una saga che racconta le vicende di una famiglia veneta produttrice di grappa in un arco di tempo che va dagli anni ’50 agli ’80. Il focus della storia è incentrato sulle tre figlie del proprietario dell’azienda e io interpreto il marito della secondogenita, che ha il volto di Matilde Gioli. Nella storia, il nostro amore nasce intorno ai 18 anni e continua fino all’età adulta. Interpretare età diverse dello stesso personaggio è stato l’aspetto forse più divertente e interessante di questo lavoro».
Domenico racconta volentieri il carattere dei personaggi che interpreta e lo sfondo su cui si muovono.
«Anche in C’era una volta Studio Uno il mio personaggio esiste in relazione a una ragazza, Alessandra Mastronardi, e racconta la nascita del programma di varietà che riscosse un grandissimo successo di pubblico e, si può dire, fece la storia della televisione italiana. Una vicenda che diventa infine un pretesto per fare un ritratto del nostro paese negli anni Sessanta». Cosa ti ha affascinato del mestiere dell’attore? Ero incantato dalla possibilità di parlare alla gente di tematiche complesse. Sono stato fortunato a riuscire a percorrere questa strada, che non è per niente facile e non conosce schemi predefiniti. Credo che alla base delle difficoltà che incontrano i volti nuovi per emergere ci sia una grossa crisi del mercato del cinema.
La gente ne consuma sempre meno e sono sempre di più i film che finiscono per guadagnare al botteghino molto meno di quanto sono costati, e questo toglie coraggio e spirito d’iniziativa alle case di produzione. Le serie sono un buon punto di ri-partenza: ormai il livello qualitativo è talmente alto da poter facilmente affiancarsi a quello cinematografico. Sono state capaci di dare vita a immaginari nuovi, e sono sempre di più gli esempi di serie prodotte qui in Italia in grado di competere sul mercato internazionale. 1992 è una di queste. Ha tirato fuori il meglio dalle professionalità che vi hanno partecipato. Era un progetto molto ambizioso e mi sento di dire che ha funzionato.
Sei stato diretto da Nanni Moretti e Stefano Sollima. Che ricordo hai di queste esperienze? Con Moretti ho girato soltanto una notte, mentre con Sollima – il primo a concedermi una grande opportunità con ACAB – ho lavorato per tre mesi. Sono due artisti attentissimi al lavoro degli attori, al “grado di verità”, come ha detto una volta Stefano, che riescono a portare in scena al momento dell’azione. Sono esigenti ma anche molto presenti, capaci di infonderti grande fiducia. Hai anche recitato accanto a nomi importanti, tra i quali Juliette Binoche (ne L’attesa di Piero Messina), Margherita Buy (nei film Mia madre e Io e lei) e Pierfrancesco Favino (ACAB)... Grandi attori e attrici! Hanno lavorato duramente per costruire il proprio successo e sanno di dover offrire prove sempre all’altezza di ciò che lo spettatore si aspetta da loro. Io all’inizio della carriera ero più istintivo e inconsapevole. Loro invece erano sempre attenti a ogni dettaglio dentro e fuori la scena. Ma sono stati anche molto disponibili e generosi nei miei confronti; mi hanno insegnato a prendere maggior coscienza di me stesso e del mio lavoro. Ti sei cimentato anche in un progetto biografico: il docu-film Indro. L’uomo che scriveva sull’acqua. Come si affronta l’interpretazione di un personaggio realmente esistito? Mi aspettavo di dover basare il mio lavoro sulle peculiarità fisiche e vocali di Montanelli. Invece il regista Samuele Rossi mi ha chiesto espressamente di evitare un processo imitativo e di concentrarmi esclusivamente sull’esplorare il significato dei testi che avrei dovuto recitare. Di non cercare di imitare Indro Montanelli, bensì di dare unicamente peso e spessore alle sue parole. Che mi dici del tuo rapporto col cinema? Abbiamo un ottimo rapporto, una grande amicizia (ride)… Ci sono fasi sono in cui mi fisso sulla filmografia di un cineasta o su un titolo, ma non ho un punto di riferimento in assoluto. Sono cresciuto col cinema americano d’azione e intrattenimento, ma se proprio devo dirti un titolo scelgo un film inglese, Revolver di Guy Ritchie: è assolutamente ipnotico il modo in cui ha utilizzato la macchina da presa, il montaggio e il suono.
Domenico si è laureato al DAMS di Roma Tre e perfezionato all’Accademia di Arte Drammatica Silvio d’Amico; fra i suoi lungometraggi più recenti Io e lei, L’attesa, Mia madre, La felicità è un sistema complesso.
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- Videoclip Piero Pelù, fiorentino, è leader della storica band dei Litfiba, il cui ultimo album – uscito da poco – è Eutopia.
IL
NOME PADRE DEL
IN ATTESA DELLA 14ESIMA EDIZIONE DEL PREMIO ROMA VIDEOCLIP, IL FESTIVAL PREMIA LA COLONNA SONORA DEL CORTOMETRAGGIO TU NON C’ERI DI COSIMO DAMATO. UN’OCCASIONE PER INCONTRARE L’AUTORE DELLE MUSICHE E PROTAGONISTA DEL CORTO: PIERO PELÙ. di ELENA CIRIONI
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na rockstar che ha stravolto il panorama musicale italiano, un performer impegnato nelle battaglie civili e sociali. Questo è Piero Pelù, artista versatile e pronto a tutto, anche a mettersi in gioco come attore nel cortometraggio di Cosimo Damato Tu non c’eri, scritto da Erri De Luca. È la storia di un figlio alla riscoperta di un padre assente, militante durante gli anni di piombo. Un incontro che riavvicina
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due generazioni e ha il coraggio di affrontare uno dei periodi più bui della storia italiana. Tu non c’eri è stato premiato per la colonna sonora, curata da Piero Pelù, nel corso della presentazione del festival Roma Videoclip, il cinema incontra la musica durante la Festa del Cinema di Roma. L’occasione giusta per Fabrique per farsi raccontare dal cantante e dal regista Cosimo Damato come è stato lavorare a questo ambizioso progetto.
Di fronte a Piero Pelù è impossibile non parlare di musica, soprattutto di quegli anni Ottanta ricchi d’innovazioni e scoperte musicali di cui furono protagonisti i Litfiba a Firenze. Da allora sono passati molti anni, come definiresti adesso il panorama musicale fiorentino? Firenze magari non esprime più eccellenze a livello nazionale, però nel suo ventre ci sono cose molto interessanti, nell’indie rock, nello swing, un po’ in tutti i generi musicali. Resta una città molto vivace anche se quello che è successo nei primi anni Ottanta forse rimarrà irripetibile o ci vorrà del tempo prima che qualcosa di simile possa rinascere. Passiamo alla tua esperienza nel film di Cosimo Damato. Com’è stato essere attore e allo stesso tempo autore della colonna sonora di un film? È stato facilitato da un testo meraviglioso, poetico e militante, un testo che solo Erri De Luca poteva scrivere. È stato questo che mi ha convinto a sposare il progetto. La scelta di non “recitare” veramente, registrando una voce off, è stata una mia idea che Cosimo ha accettato. Questo mi ha aiutato a creare un personaggio credibile e allo stesso tempo etereo. La colonna sonora è venuta man mano che leggevo la sceneggiatura, mentre entravo nel personaggio e nella storia, legata al rapporto tra un padre e un figlio che è anche la storia del rapporto tra due generazioni. Così è nata una musica che io amo definire psichedelica. In Tu non c’eri interpreti il ruolo del padre, un padre assente che ha sacrificato gli affetti per la lotta politica, la figura di un rivoluzionario e di un conservatore allo stesso tempo. Conosco bene il ruolo, ho tre figlie, ma non sono un padre conservatore. Cerco di stimolare le mie figlie a essere più rivoluzionarie possibili, però senza perdere di vista valori come l’impegno, lo studio e la passione. Lavorare su questo personaggio mi ha fatto sentire ancora più partecipe alla dialettica tra due generazioni che per le battaglie politiche, giuste o sbagliate che fossero, hanno perso molto.
L’esperienza sul set? Bellissima. Purtroppo le riprese sono durate poco. Con Cosimo ci siamo visti una settimana prima per scambiarci alcune impressioni sulla sceneggiatura e sui personaggi. L’incontro con Blasco Giurato, il direttore della fotografia, è stato, perdonatemi la battuta, illuminante. Blasco è un monumento, uno dei più grandi direttori della fotografia del nostro cinema e lavorare insieme a lui per me è stato un onore. Cosimo, raccontaci com’è nata l’idea di coinvolgere Piero nel progetto. Quando ho letto la storia di Erri De Luca ho subito pensato che doveva essere raccontata al cinema, per la sua forza poetica e per il suo impegno politico. Ho capito presto che Piero era perfetto per interpretare il personaggio del padre: per il suo volto, per la sua fisicità unica, e anche per avere, nel corso di tutta la sua carriera, abbracciato tante battaglie politiche. Era la persona giusta e mi sono detto: o il film lo faccio con lui, oppure non lo faccio. Alla fine sono riuscito a coinvolgerlo e insieme abbiamo iniziato a leggere la sceneggiatura scritta da Erri. Ci sono state delle modifiche, dei contributi che abbiamo dato al testo. Volevamo raccontare quel periodo delicato della nostra storia, gli anni di piombo, con uno sguardo civile e partecipe. Cosa pensi oggi di quegli anni della nostra storia, hanno influito in qualche modo nella tua carriera artistica? Io ero un bambino all’epoca, ho dovuto poi rielaborare i fatti quando sono diventato adulto, cercando di dar loro un senso, e ho capito che ognuno fa la sua battaglia con i propri mezzi. Don Gallo l’ha fatta con il Vangelo, Gandhi con la pace, Dario Fo con il teatro, Piero l’ha fatta con la musica, Erri con la letteratura. Se le battaglie si fanno con le idee, con l’arte e con la poesia, non c’è bisogno delle armi. Questo è il messaggio del film, insieme alla volontà di dare più fiducia alle nostre generazioni, che anche dagli errori dei nostri “padri” possono imparare molto.
«Ognuno fa la sua battaglia con i propri mezzi. Piero l’ha fatta con la musica, Erri con la letteratura. Se le battaglie si fanno con le idee, con l’arte e con la poesia, non c’è bisogno delle armi». Ringraziamo per la collaborazione Francesca Piggianelli e Roma VideoClip.
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- Opera prima -
HO
PORTATO LA REALTÀ DENTRO AL SET 22
IL PIÙ GRANDE SOGNO Astenersi materialisti, pragmatici e cinici. Perché l’esordio al cinema di Michele Vannucci, classe 1987, è una storia di sognatori, per sognatori, realizzata da sognatori. di MARGHERITA GIUSTI HAZON
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l più grande sogno è partito dalla Mostra del Cinema di Venezia, dove è stato presentato nella sezione Orizzonti, ha viaggiato in alcuni dei più importanti festival internazionali, per approdare da poco nelle sale italiane. È la storia di Mirko Frezza, appena uscito di prigione, e del suo visionario sogno di dare un futuro diverso a se stesso, alla sua famiglia e a tutto il suo quartiere. Lo sfondo è una Roma di degrado ma anche di umanità e speranza, dove la realtà e la finzione, attori professionisti e non, solida sceneggiatura e scene improvvisate convivono in un’armonia imperfetta. Michele, raccontaci la tua formazione. Come sei arrivato al tuo primo lungometraggio? Io devo tutto al Centro Sperimentale: mia madre è farmacista e mio padre fa il fisico, io non avrei mai pensato di fare questo lavoro. Sono entrato al CSC a 22 anni, ho potuto sperimentare, sbagliare, fare lavori che ancora oggi amo, fra cui il corto del diploma in regia, Nati per correre (2013), la storia di un padre e un figlio ambientata nel mondo dei biker. Un giorno, durante i casting, si sono presentati Alessandro Borghi e Mirko Frezza. Ho intuito subito che in loro c’era qualcosa, e mi sono fidato. Uscito dal CSC, il corto è andato molto bene ai festival internazionali, mi chiedevano nuove storie che raccontassero questo mondo. Qual è stato il processo creativo alla base del Più grande sogno? Il film è la fine di un percorso di crescita che ho intrapreso insieme
a Mirko e Alessandro, con cui fin dall’inizio sapevo di poter fare qualcosa di bello. Anche se è sempre pericoloso confondere la ricerca creativa con la ricerca umana, io volevo conoscere meglio Mirko, cercando di approfondire la sua psicologia e la sua esperienza di vita. Così mi sono messo in ascolto: il corto Una storia normale (2015) nasce da 10 ore di interviste a Mirko, è stata la prima esperienza che ho fatto con Giovanni Pompili della Kino produzioni e in nuce ciò che poi è successo nel film. La sceneggiatrice, Anita Otto, ha visto in Mirko la storia di un uomo che è alla ricerca di un futuro diverso da costruirsi, e un modo per raccontare il tema della paternità come responsabilità civile e familiare. Il film è stato un processo di “lavaggio” della mia storia dentro la realtà di Mirko. Il rischio è che venga confuso con una cronaca della realtà: invece è la cronaca della mia vita dentro al mondo di Mirko, perché sono miei temi che racconto. Siamo partiti dalle sue parole per inventarci una storia, poi questa storia l’abbiamo rimessa in discussione, fino a quando, arrivati sul set, Mirko ha potuto rivivere parte della sua vita in un mondo inventato da me. Il dialogo spesso era improvvisato perché c’era un tentativo di rimettere in scena i pezzi della sua vita. Però avete lavorato molto alla sceneggiatura. La sceneggiatura ha vinto il Solinas Experimenta, un premio dedicato a opere sperimentali, abbiamo curato la struttura narrativa nei minimi dettagli – in tutto sei stesure – affinché una vicenda molto particolare, quasi biografica, uscisse dalla cronaca. Il film è
«IL FILM È LA FINE DI UN PERCORSO DI CRESCITA CHE HO INTRAPRESO INSIEME A MIRKO E ALESSANDRO, CON CUI FIN DALL’INIZIO SAPEVO DI POTER FARE QUALCOSA DI BELLO».
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FOCUS | KINO PRODUZIONI
Giovanni Pompili 37 anni, Giovanni Pompili vanta un background nella cooperazione internazionale prima di giungere alla guida di una delle realtà produttive più interessanti di oggi, Kino Produzioni, che ha inanellato una serie di successi non indifferente: prima del Più grande sogno la partecipazione in concorso a Cannes del corto Il silenzio – unico titolo italiano –, che si aggiunge al Nastro d’Argento vinto dal corto Quasi eroi di Giovanni Piperno, e ai premi conquistati a Cortinametraggio da Giro di giostra di Massimiliano Davoli.
Giovanni, che cosa ti ha spinto a realizzare prima il corto e poi il film su Mirko? Con Michele c’è subito stata una grande sintonia, sul lavoro ma anche nella vita. Dopo aver visto il suo primo documentario, abbiamo prodotto insieme il corto su Mirko, ed è questo che mi ha spinto a produrre anche il film, perché la storia mi è piaciuta e ho subito percepito la grande qualità del lavoro, a partire dalla fotografia di Matteo Vieille. Questo mi ha permesso di dire “facciamo un film” con dei tempi e delle
modalità totalmente contro sistema. E ho creduto nel progetto perché avevo già lavorato con loro. Chi avrebbe scommesso su un regista di 28 anni e un direttore della fotografia di 29? Che cosa significa fare il produttore indipendente per te? Fare il produttore è un atto politico, nel senso puro del termine, è mutuare quella cittadinanza attiva che mi ha accompagnato in tutta la mia fase di formazione. Produrre cinema è portare delle istanze che sono necessarie, che vengono dal racconto e dalla
rappresentazione del reale. Anche i miei lavori di finzione sono sempre molto legati a temi della realtà. E il lavoro di squadra è fondamentale. Il cinema è un sistema piramidale, nell’industria funziona a compartimenti. Invece la cosa più difficile è avere fiducia nella visione di un altro, perché avere una visione d’insieme sul film è impossibile, quella ce l’ha solo il regista. È questa modalità che ha accompagnato i lavori che ho fatto fino adesso, ed è proprio così che è avvenuto per Il più grande sogno. Un po’ per necessità, perché c’era un’urgenza:
Oltre a Frezza e Borghi, nel cast anche Vittorio Viviani, Milena Mancini, Ivana Lotito, Ginevra de Carolis. La fotografia è di Matteo Vieille, il montaggio di Sara Zavarise e le musiche di Teho Teardo.
stato girato con un’estetica da documentario, perché non c’era lavoro fotografico sugli attori, ma un lavoro sempre e solo a favore della storia. Eravamo in 5 sul set, oltre a me c’erano ciakista, macchinista, direttore della fotografia, scenografo e sceneggiatrice. Una delle cose a cui tenevo era avere più persone davanti alla macchina da presa rispetto a quelle che stavano dietro: troupe leggera, luce naturale, uomini e donne che credevano nella storia e che mettevano a disposizione il loro talento, senza essere protagonisti.
«UNA DELLE COSE A CUI TENEVO ERA AVERE PIÙ PERSONE DAVANTI ALLA MACCHINA DA PRESA RISPETTO A QUELLE CHE STAVANO DIETRO ».
giravamo nella realtà, non avevamo la possibilità di aspettare. E con poco siamo riusciti a portare a casa il film, e ce l’abbiamo fatta perché abbiamo avuto un quartiere a disposizione. Questo grazie alla potenza della realtà, che a volte è talmente reale che diventa surreale. Una cosa che vorresti dire ai sognatori? Non importano i mezzi che hai. Importa l’idea. Se sei convinto di quello che vuoi fare, fallo. E guarda tante cose. Sii curioso. Comprendi come funziona il sistema per lavorare in modo diverso, pensando fuori dagli schemi.
L’amalgama di attori professionisti e non professionisti è molto efficace. Come sei riuscito a ottenerlo? Perché c’erano persone che si sono messe in gioco. Per me la direzione degli attori non consiste nel dire “fai la battuta così”, “falla più triste o più felice”, “fai la smorfia”. Io ho solo cercato di mettere le persone nella condizioni migliori per fare accadere la scena. Milena (l’attrice protagonista) si è trasferita a casa di Mirko per due mesi, perché il mio obiettivo era quello di farli conoscere fra di loro meglio di come li conoscessi io, perché questo avrebbe fornito loro gli strumenti per girare le scene sul set, senza che io avessi il controllo. È così che si crea, non cercando di controllare l’immagine o la scena, ma cercando di stare dentro quel mondo e portarlo a sé. Io non sono nessuno per imporre una battuta a una persona. Ho solo cercato di portare la realtà dentro al set.
- Opera prima /2 -
SEX COWBOYS
NEVER MIND THE BOLLOCKS, HERE’S THE SEX COWBOYS
Con un passato da bassista in un gruppo hardcore punk, il 32enne regista fiorentino racconta così la sua opera prima: «Come nel punk con due accordi si riusciva a raggiungere una grande libertà d’espressione, in Sex Cowboys abbiamo cercato di sfruttare al massimo l’essenzialità dei mezzi a disposizione». di LUCA OTTOCENTO
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driano Giotti avrebbe voluto scrivere romanzi. L’incontro con Alessandro Baricco alla Scuola Holden però ha inaspettatamente modificato i suoi piani. Lo scrittore aveva infatti da poco realizzato il suo film Lezione ventuno e propose agli studenti un corso pratico di regia. Da lì in avanti la vita di Adriano è cambiata. Ora vive tra Madrid e Roma e dopo una gran quantità di videoclip e corti, ha appena realizzato il suo lungometraggio d’esordio Sex Cowboys, presentato in anteprima al RIFF: un piccolissimo film indipendente incentrato su una coppia che per sbarcare il lunario riprende i propri rapporti per venderli sul web e dove il sesso viene messo in scena in maniera molto esplicita. Fabrique ha incontrato Adriano, accompagnato anche dai due protagonisti Francesco Maccarinelli e Nataly Beck’s.
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Cos’è che ti ha davvero fatto capire che il tuo ambito era quello dell’audiovisivo e non della narrativa? Come mai hai iniziato con i videoclip? Perché il cinema a differenza della scrittura è un atto collettivo e per questo motivo mi stimola molto di più. Avendo suonato in un gruppo musicale per diversi anni, iniziare con i videoclip mi sembrava la cosa più naturale. Ne ho girati più di ottanta, spesso per gruppi indipendenti a basso budget, ma anche un paio per i Mallory Knox e gli Hermitage Green che sono stati prodotti dalla Sony. Ho scelto fin dall’inizio, nei video e poi nei corti, di gestire in prima persona piccoli set, piuttosto che fare l’assistente in grandi set inseguendo i sogni degli altri, anche se avevo pochi mezzi. Ho fatto la stessa cosa con Sex Cowboys, dove siamo riusciti a fare cinema in quattro persone più tre attori.
«LA MIA È UNA “VISIONE CON”, NEL SENSO CHE EMPATIZZO CON I PERSONAGGI E CERCO IN TUTTI I MODI DI FAR VIVERE ALLO SPETTATORE LE COSE MOLTO DA VICINO». A proposito di Sex Cowboys, com’è nata l’idea del film e come hai scelto i due protagonisti? Le cose che scrivo nascono sempre da un’emozione, da esperienze personali o che sento molto vicine. Mi definisco un cercatore di storie, un esploratore, più che uno che si mette a tavolino e scrive. Sapevo che Francesco e Nataly Beck’s erano i due attori perfetti, sia a livello fisico che di metodo di lavoro, per incarnare i protagonisti. Tanto è vero che Sex Cowboys è iniziato a nascere dentro di me mentre guardavo la relazione che si era instaurata tra loro sul set del videoclip degli Hermitage Green, che abbiamo girato insieme. Lavoro sempre con attori di metodo che diventano i personaggi. Questo è fondamentale per arrivare a quella verità e a quella fisicità che cerco sempre nelle mie storie. Francesco Il fatto che noi tre ci conoscessimo bene e avessimo già lavorato insieme ci ha portato ad avere una grande libertà di comunicazione. Credo di parlare anche a nome di Nataly Beck’s dicendo che, artisticamente parlando, ci siamo sentiti costantemente protetti da Adriano. Per un film così spinto in cui la fisicità viene messa parecchio a nudo, questa è una cosa straordinaria che ti fa lavorare in maniera serena. Nataly Beck’s Per me recitare è una cosa istintiva e ho vissuto tutto in maniera molto naturale. Dal mio punto di vista fare scene di sesso, anche esplicite, è come girarne una in cui stai bevendo o mangiando. Non mi sono né scandalizzata né preoccupata, era tutto molto fluido e se sul set ero vestita o svestita non faceva alcuna differenza. Abbiamo lavorato molto prima di girare per entrare nei personaggi e questo mi ha davvero aiutato.
Tornando a te, Adriano, il tuo film per diversi aspetti ricorda il cinema di Cassavetes. Nel progetto di Sex Cowboys che mandavo in giro in cerca di finanziamenti c’era proprio il riferimento esplicito a Cassavetes, di cui sono un grande estimatore. Nel mio film c’è lo stesso spirito: è autoprodotto, visto che pur di realizzarlo ho investito i miei risparmi personali, e fa leva su attori con cui è stato possibile esercitarsi molto sul piano dell’improvvisazione. Nelle prove lavoro sull’improvvisazione per tirare fuori ancora più verità di quella che posso aver scritto, perché è chiaro che nelle cose che scrivi c’è una verità intellettuale, mentre negli attori c’è una verità istintiva ed emozionale che è sempre bene cercare di sfruttare appieno. In Sex Cowboys colpisce molto la costante vicinanza della macchina da presa ai corpi degli attori. Ti sei ispirato allo stile di qualche altro regista in particolare? Il mio cinema in effetti è molto incentrato sullo stare addosso ai personaggi. La mia è una “visione con”, nel senso che empatizzo con i personaggi e cerco in tutti i modi di far vivere allo spettatore le cose molto da vicino. Da questo punto di vista i miei registi di riferimento sono i Dardenne. Quello che però sento di aver fatto in più in questo film è la combinazione delle riprese con la GoPro tenuta a mano dagli attori con quelle con la Red, che nelle scene di sesso dà un effetto di verità molto forte. Ovviamente per ragioni di censura non ho potuto spingere troppo. Il mio obiettivo in ogni caso non era scandalizzare ma raccontare una storia che fosse reale, anche sul piano della fisicità.
FOCUS | IL PRODUTTORE
Marco Simon Puccioni
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Ho conosciuto Adriano e il suo lavoro tramite l’attore Federico Rosati, che in Sex Cowboys interpreta l’amico del protagonista. Il film ha una sua originalità, un piglio fresco e parla della realtà dei giovani in un modo originale e anche un po’ divertito, con una storia d’amore
fuori dagli schemi. Da filmmaker abituato ad avviare progetti indipendenti anche da solo, mi sono immedesimato in Adriano e ho deciso di aiutarlo. Ormai da vent’anni ho una società di produzione, la Inthelfilm che gestisco con Gianpietro Preziosa,
che inizialmente avevo fondato per realizzare i miei lavori ma che ora sto utilizzando anche per valorizzare giovani registi. Dopo la presentazione al RIFF di novembre stiamo organizzando un’uscita nei cinema e cercando di capire se il film può essere venduto all’estero.
”
Puccioni è regista di Come il vento con Valeria Golino (2013) e del doc Prima di tutto, menzione speciale ai Nastri D’Argento 2016.
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- Nazione Web web (Z) The Series, in quattro episodi, è la prima zombie webserie ambientata a Roma.
(Z)-THE SERIES / IL CAMERLENGO Due webserie ambientate a Roma, due sguardi completamente diversi: in un caso strade di periferia svuotate dal terrore di una minaccia apocalittica; nell’altro, le pregiate stanze vaticane riempite dall’irriverenza di un Camerlengo sui generis. di FLAVIO NUCCITELLI
NON SOLO COMMEDIA. «CI SIAMO ISPIRATI AI CLASSICI DELL’HORROR MA ANCHE AD AUTORI CHE CON IL GENERE NON C’ENTRANO NIENTE, I COEN, REFN, NOLAN».
Che cosa succederebbe se Roma fosse invasa dagli zombie? È lo scenario che immaginano Alessandro Di Cristanziano,
Sandro Donnici e Fabio Luongo, rispettivamente regista e sceneggiatori di (Z)-The Series, premiata nell’ultima edizione del Roma Web Fest per la Miglior Colonna Sonora, Migliore Scena Horror e, soprattutto, con lo Sky Award Antonio Visca, un premio di 15.000 euro assegnato personalmente dal responsabile di Sky Atlantic, che, mi dice Alessandro, «useremo per fondare una piccola società di produzione e dedicarci in parte a realizzare la seconda stagione di (Z) – per la quale comunque continueremo a cercare altre realtà produttive interessate – in parte per creare nuovi concept o prodotti da presentare ad altre case di produzioni. (Z) è stato un lavoro molto lungo e nel frattempo io e Sandro abbiamo continuato a collaborare, sono nate tante idee». Il premio Sky ha comportato, inoltre, la messa in onda su Sky Generation, nuovo canale temporaneo di Sky. Come nasce (Z)-The Series? Un paio di anni fa di sua iniziativa Sandro mi ha mandato una sceneggiatura: quando l’ho letta sono rimasto molto colpito, perché era facilissima da immaginare, quindi ci è venuto naturale iniziare a lavorarci sopra. La prima stesura era lunghissima, quindi abbiamo scritto un prologo di 5 minuti in cui abbiamo messo tutte le nostre conoscenze video per fare una cosa accattivante e far partire la campagna di crowdfunding, finita la quale abbiamo messo su un sito per trovare persone che volessero prendere parte al progetto mettendo a disposizione le loro competenze.
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L’horror è un genere piuttosto inusuale sul web… È vero, c’è da premettere che Sandro ha scritto in un periodo pre The Walking Dead, ma quando io ho letto la sceneggiatura il fenomeno zombie era già di moda, perciò ho pensato “se dobbiamo fare una cosa per il web alla portata di tutti, tanto vale sia qualcosa di popolare”. Man mano che ci lavoravamo abbiamo deciso di virare verso il cinema classico: scene lunghe, inquadrature larghe, ispirandoci ai classici dell’horror ma anche ad autori che con il genere non c’entrano niente, i Coen, Refn, Nolan, tra gli altri. Alla fine è nato un prodotto forse più per gli addetti ai lavori che per il pubblico, più abituato alla commedia che è un prodotto molto più semplice da fruire sul web, ma questo lo sapevamo in partenza. Quand’è che sapremo se Roma sarà definitivamente conquistata dagli zombie? Stiamo pensando alla seconda stagione, per ora abbiamo un canovaccio d’idee che ci piacerebbe la serie seguisse; in base a chi ci sarà e alle produzioni che riusciremo a coinvolgere capiremo quanto potremo potenziarla. L’obiettivo è dar vita a un prodotto esteticamente simile alla prima stagione mantenendo un entourage piccolo, ma avendo un budget più ampio che mi permetterebbe di curare meglio gli aspetti produttivi, senza dover fare tutto insieme e ritrovarmi a scrivere i piani di lavorazione nei posti e nei momenti più impensabili (ride).
In selezione al Miami Web Fest, finalista al Los Angeles Web Fest e vincitore del premio Migliore Sceneggiatura/Costumi ma, soprattutto, del premio come Migliore Web Serie Italiana al Roma Web Fest 2016, Il Camerlengo è la dissacrante webserie diretta da Marco Castaldi, disponibile su Goofie, piattaforma gratuita e indipendente che raccoglie contenuti originali e prodotta da un’inedita squadra di produttori: Primo Reggiani, Matteo Branciamore e Nicolas Vaporidis, a cui abbiamo chiesto di più su questa nuova avventura. Da attore cinematografico a produttore web... Mi piace il web perché è una piattaforma favorevole alla sperimentazione. Oltre ad abbattere i costi del 90% è anche, sicuramente, il futuro dell’entertainment, che non vuol dire uccidere cinema, TV o teatro ma affiancarli; cambia il timing e cambia il modo di raccontare i contenuti ma è lo stesso mondo. Il web non è più una piattaforma amatoriale, è un mezzo indipendente che, e lo abbiamo visto, può essere anche remunerativo. Ma manca ancora un canale distributivo serio, e di certo non ci si può affidare solo a YouTube, perché è completamente indisciplinato e la gente è pigra nel cercare i contenuti da sé, quindi finisce per vedere solo quello che emerge. Quello che stiamo cercando di fare noi con Goofie è creare una piattaforma con una linea editoriale forte e continuativa che raccolga nel tempo un pubblico fidelizzato. Voglia-
Come mai Il Camerlengo? In rete funziona la commedia, gli altri generi hanno regole molto più difficili da adattare al formato web. Non si racconta Narcos in 5 minuti, l’utente non ha il tempo di affezionarsi né di entrare dentro la storia. Ecco perché sul web hanno successo i The Jackal, Willwoosh, i The Pills, perché la commedia ha una linea verticale breve. Anche le barzellette per far ridere devono essere brevi. Il Camerlengo racconta il Giubileo di Papa Francesco in un modo irriverente; il senso della commedia è anche quello: fare domande intelligenti, non convincere né offrire risposte e sono felice che non abbiamo ricevuto nessuna critica dal pubblico. Recentemente anche The Young Pope ci ha proposto una figura ecclesiastica piuttosto sfrontata. Non mi permetterei mai di paragonarci, Sorrentino ha fatto un lavoro egregio, noi abbiamo solo giocato. Certo… siamo arrivati un anno prima (sogghigna). Siamo abituati a vedere il Vaticano solo in prima serata su RAI Uno in versione “ufficiale”, noi abbiamo provato a cambiare linguaggio e a raccontare cosa succede dietro al potere, sempre giocando tramite gli stilemi della commedia e senza prenderci troppo sul serio. Perché la verità è che siamo sempre noi i primi ad autocensurarci, credo che se lo fai in modo corretto e con un certo stile puoi raccontare anche cose scomode.
FORSE
«IN RETE FUNZIONA LA COMMEDIA, GLI ALTRI GENERI HANNO REGOLE MOLTO PIÙ DIFFICILI DA ADATTARE AL FORMATO WEB». mo produrre contenuti liberi ed esteticamente validi, perciò stiamo insistendo perché le scuole di cinema formino sceneggiatori per il web, che ha una forma di racconto tutta sua. È anche questo il risvolto eccitante della rete, stiamo creando un linguaggio nuovo.
C’è una seconda stagione in vista? Sì, stiamo pensando di far diventare il nostro Camerlengo Papa! Sono in attesa di scoprire cosa partoriranno quei due geniacci malefici degli sceneggiatori.
Il Camerlengo, dieci episodi, segue le gesta comiche del varesino cardinal Walter, costretto a trasferirsi a Roma per seguire il Giubileo.
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- Futures -
PAOLO MANNARINO
LA MUSICA DELLE IMMAGINI La carriera di Paolo Mannarino, 28 anni, è iniziata a Roma per crescere e svilupparsi tra Stati Uniti e Parigi. (Auto)ritratto di un regista pronto per un nuovo importante salto di qualità. di GIACOMO LAMBORIZIO foto PAOLO PALMIERI
The Rope, il tuo nuovo corto, ci porta in un ambiente edenico, incontaminato, dove si fronteggiano, anche con violenza, due uomini apparentemente sconosciuti. Come nasce il film e dove vuoi portare lo spettatore?
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Nasce dalla mia esigenza di raccontare e raccontarmi in un quarto d’ora, dopo tanti spot e videoclip. Nasce dall’incontro, un colpo di fulmine artistico, con lo sceneggiatore polacco Stzybor avvenuto al Trieste Film Festival. Abbiamo lavorato
insieme su un mio soggetto, un thriller psicologico con due protagonisti (Paolo Bernardini e Daniele Favilli) entrambi vittime di un amore malato, immerso in un contesto di natura sconfinata, incontaminata. Ho deciso di girare in inglese e dare al film
un linguaggio e una fotografia il più possibile internazionali. Tutto è costruito per rivelare solo all’ultimo il legame tra i due personaggi. Ora siamo alla fase di finalizzazione e i feedback sono positivi, pur avendo due soli protagonisti in un’unica
«HO DECISO DI GIRARE IN INGLESE E DARE AL FILM UN LINGUAGGIO E UNA FOTOGRAFIA IL PIÙ POSSIBILE INTERNAZIONALI. TUTTO È COSTRUITO PER RIVELARE SOLO ALL’ULTIMO IL LEGAME TRA I DUE PERSONAGGI».
Oltre che spot e videoclip, Mannarino ha diretto un doc sulla Garage Music a Londra e il film live dell’ultimo tour di Franco Battiato e Alice, di cui è anche produttore esecutivo.
location pensiamo di avere lavorato bene per tenere il ritmo alto e l’attenzione sempre desta degli spettatori. Questo corto può essere considerato una tappa di un percorso tematico e stilistico verso il lungometraggio? Pensi di aver piantato un seme per un’opera di più ampio respiro? Certo, il mio sogno sarebbe quello di fare un film internazionale, che si richiami al cinema di genere degli anni Settanta ma che sia contemporaneo. Punto a mescolare i diversi stili da cui ho preso spunto e che ho fatto miei, un percorso che già si esplicita in The Rope, anche se con i limiti di tempo e budget di un corto. A gennaio con Stzybor inizieremo a scrivere un lungometraggio, e pur sperando di trovare una produzione italiana, penso che dovremo rivolgerci soprattutto all’estero per concretizzare questo progetto. Il videoclip di artisti come Timber Timbre, un corto girato in inglese, un documentario sulla scena musicale londinese. La tua filmografia è proiettata verso la scena internazionale. Sono stato molto all’estero negli ultimi anni, la mia maturazione
artistica è avvenuta fuori dall’Italia. Sono cresciuto con film americani, soprattutto di Scorsese, De Palma, Malick, Tarantino, da adolescente molti li rivedevo a getto continuo. Ho sempre avuto il bisogno di guardare fuori, all’estero, fin da quando ero piccolo. Dopo la scuola da geometra e il lavoro in cantiere con mio padre ho iniziato una scuola di cinema, un’esperienza totalmente teorica e quindi deludente; ho iniziato a imparare davvero la regia facendo l’assistente su un film di Massimiliano Bruno. La svolta creativa è stata quando sono andato la prima volta a New York, poi ho fatto il fotografo a Parigi e ho iniziato con gli spot sia in Italia che all’estero. Ma la prima vera prova in cui ho sentito di aver trovato un mio stile è stato il videoclip di Run from me di Timber Timbre, lì mi sono riconosciuto e ho continuato su quella vena artistica.
Esatto, il cinema di Malick, il suo modo di inquadrare la natura mi ha ispirato molto. In questi giorni esce il primo dei videoclip cui sto lavorando per mio fratello, Alessandro Mannarino, che prosegue il discorso stilistico di Run from me e The Rope.
Sentirti parlare di Malick è emblematico, per la scelta di quel che viene inquadrato e di come inquadrarlo.
Hai curato anche la regia del film live del tour di Battiato e Alice. Abbiamo girato durante due date del tour a Roma.
Un fratello maggiore che ha raggiunto un notevole successo in campo musicale, qual è il vostro rapporto ora che vi trovate a collaborare fianco a fianco? Da adolescente la presenza di mio fratello maggiore mi ha aiutato fornendomi gli stimoli che altrove non avrei trovato, da certa musica a certo cinema, mi ha fatto immergere a 13-14 anni in un mondo pieno di arte. Scrivere e girare insieme ci ha permesso di recuperare un rapporto che si era allentato. La collaborazione artistica con un fratello che fa musica è una cosa rarissima e mi sento fortunato.
È un progetto di stampo cinematografico, per il tipo di immagini, il lavoro fatto sulla fotografia, il linguaggio utilizzato. Ora è uscito il DVD ma potrebbe essere distribuito anche al cinema oltre che su SkyArte. Abbiamo cercato di rispettare al massimo gli artisti, non c’erano quasi camere sul palco, solo in platea e dietro le quinte, per conservare l’impianto semplice, teatrale, dello spettacolo, ho escogitato un modo per entrare dentro il concerto in maniera delicata, rispettosa, senza mezzi tecnici ingombranti. Sono molto contento del risultato e spero che si possa presto gustare al massimo della sua potenzialità visiva, al cinema o su supporti ad alta definizione. La musica occupa un posto di rilievo nella tua filmografia, quanto è importante per te? A monte di ogni regia, prima di scrivere – ogni mio lavoro passa da una fase di scrittura approfondita – c’è un ascolto di parecchi giorni di musica. Sto ore solo ad ascoltare canzoni, se non mi chiudo a sentire dischi non riesco poi a scrivere. Il più grande input per la mia immaginazione è sicuramente la musica.
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- Teatro -
Drammaturgo e autore: il 40enne Stefano Massini è certamente uno dei nomi più importanti del teatro oggi in Italia. Uno dei pochi, dopo Pirandello, Fo, De Filippo, rappresentati all’estero. di ANDREA PORCHEDDU* foto ATTILIO MARASCO
L
PAROLA
a sua è una scrittura incisiva, in costante contatto con la realtà, eppure di grande poesia e umanità. Uno dei suoi testi più recenti – quel Lehman Trilogy che un maestro della regia come Luca Ronconi ha diretto, sua ultima regia prima di morire, al Piccolo di Milano – è un affresco straordinario e appassionante attraverso cui leggere i nostri tempi di crisi. Oggi Massini è consulente artistico di quello stesso teatro, e da Ronconi ha preso l’entusiasmo, la curiosità, la passione per un modo di vivere la scena che non perde di vista l’utopia. Il teatro, dunque, è il terreno d’azione, l’orizzonte di riferimento per questo scrittore classe 1975: ma ultimamente Massini si è avventurato anche nel cinema, grazie alla trasposizione filmica per mano di Michele Placido del suo 7 minuti che, in forma di spettacolo, era già stato applaudito in tutta Italia. Naturale, incontrandolo, partire proprio dall’eterna (e forse irrisolvibile) dialettica cinema-
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© Luigi Laselva
LA
Il manifesto di Lehman, con Popolizio, Gifuni, Pierobon, Cabra e De Francovich. teatro. Cambia qualcosa nel pensare un testo per lo schermo o per il palcoscenico? «Mi sono sempre occupato di teatro – risponde Stefano Massini – che ha una missione e una caratteristica diversa dal cinema. Il cinema spesso si sente legato alla dimensione “commerciale”: la presenza del pubblico condiziona nelle scelte e talvolta anche nella modalità linguistica ed espressiva del film stesso. 7 minuti, ad esempio, è un testo nato per il teatro, che non ha come tema il lavoro ma una riflessione sul linguaggio: all’inizio del nuovo millennio ci troviamo sulle spalle un secolo
ingombrante come il Novecento, profondamente ideologico, che ci ha lasciato dizionari molto retorici. Però parliamo di fenomeni e problemi d’oggi con quei dizionari, poco utili, perché “sfiaccati” proprio dalla retorica. Cosa succede se qualcuno si trova a discutere di un problema reale con strumenti dialettici di una retorica sindacale superata
nefasta e ferale, dell’occidente industrializzato che vuole sempre essere preventivamente rassicurato: viviamo l’era della “rassicurazione preventiva”. Si tratta, invece, di lanciare delle sfide, come in 7 minuti: ho deciso di mettere in scena
“elargitore di giudizi” ci ha reso recensori di ogni cosa in ogni momento. Questo però non ha moltiplicato, ha anzi azzerato le capacità dialettiche e argomentative di giudizio: nel 90% dei casi siamo di fronte al semplice pollice retto o verso». Però internet e i giornali sono una fonte di ispirazione: «Da anni – racconta – sono abbonato
MOVIMENTO
© Luigi Laselva
È
ginecologo, un cardiologo sono tre medici, ma nessuno pretende di convertire l’altro”. Ognuno di noi sviluppa una propria forma di teatro, ma pretendiamo invece di “convertire” chi non la pensa come noi. Il mio discorso teatrale si basa su una certezza:
* con questo articolo inizia la collaborazione con Fabrique di Andrea Porcheddu, critico, giornalista e insegnante di discipline teatrali.
e inutile? Shakespeare dice che il sentimento è più forte delle parole d’amore. Ecco: oggi avviene lo stesso in ambito politico e sindacale. Il problema è che abbiamo solo quella retorica». Per Massini, dunque, la questione è più profonda e strutturata: si tratta di osservare, come al microscopio, la lingua parlata, le chiavi d’accesso alla comunicazione per riflettere su quanto e come possiamo dire (e capire) il presente. L’interesse dell’autore, infatti, è per una drammaturgia non scontata, non consolatoria: «Mi piace una scrittura contraria al comune sentire» dice. Ovvero un parlar “stonato” – così lo definisce – che apra la possibilità di una «biopsia del tessuto comunicativo». Scandagliare la lingua, scavare nelle parole con le parole, inventare possibilità diverse: non è questo il teatro? «Ricordo – ci racconta ancora– che un regista del calibro di Peter Brook disse, più o meno, che “un ortopedico, un
che il teatro e la drammaturgia debbano essere inevitabilmente sperimentali. Ovvero abbiano come obiettivo il cambiamento di chi ne fruisce. Ho scritto Lehman perché sentivo tutti protestare contro l’economia che “affamava il popolo”, contro i consumatori, contro gli economisti “brutti e cattivi”. Ho pensato che servisse un testo che raccontasse un’epopea di banchieri come epopea di grande umanità, ossia l’opposto di quel che ci si poteva aspettare». E la questione tocca anche i cosiddetti “classici”: per Massini, «certi autori, come il caustico Molière o il controcorrente Shakesperare, sono considerati “classici” e per questo collocati in una sfera per cui vengono messi in scena come “garanzia rassicurante” per il pubblico, come qualcosa che non farà male. È la tendenza,
undici donne di provenienza culturale e economica diversa, armate di armi spuntate per affrontare problemi reali. Se abbiamo solo la fionda per andare contro qualcuno che ha l’atomica, che facciamo? Rinunciamo a combattere? In 7 minuti la violenza scatta quando mancano gli strumenti verbali». Chiacchierando con il drammaturgo emergono mille spunti di analisi. E Massini si infiamma affrontando un altro tema che gli sta a cuore. Da quando è esploso il fenomeno dei blog e dei siti, c’è una “proliferazione di giudizi”: «Compro dei biscotti e sulla confezione c’è scritto che, come consumatore, posso esprimere il giudizio connettendomi al blog o sito. Tripadvisor o Trivago ne hanno fatto una questione redditizia. L’aver trasformato ognuno di noi in potenziale
«IL TEATRO DEVE ESSERE SPERIMENTALE, AVERE COME OBIETTIVO IL CAMBIAMENTO DI CHI NE FRUISCE».
a sei o sette giornali italiani: leggo nel dettaglio, ritaglio e archivio. È un’opera certosina. Con internet mi faccio un’idea di quel che accade fuori da me. È la meravigliosa bolla della mediosfera, in cui il mio discorso prende forma nel Grande Discorso. La drammaturgia nasce dal rapporto di osmosi con il discorso che sta fuori. Il teatro è come un grande apparato digerente, prende il cibo da fuori, per trasformarlo in calorie, in particelle critiche, e mangiandole le trasforma in risorse di comunicazione». A chiedergli, infine, come nascono le sue idee, Massini svela una pratica creativa davvero singolare: scrive in movimento, o meglio pedalando. «Sono incapace di scrivere da fermo: per me la parola è movimento. Dunque esco in bicicletta, ho il telefono con le cuffie e in bici recito ad alta voce. Registro per 30 o 40 km, e quando torno a casa sbobino tutto. Tutto quel che scrivo nasce dal e in movimento. Se sto fermo, vengono fuori solo cose noiosamente cerebrali».
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ORECCHIE
CINEMA CHIAMA TEATRO
Farsi finanziare come opera seconda una “commedia storta” dai toni grotteschi, in bianco e nero e con un protagonista esordiente è già un’impresa che meriterebbe un approfondimento a parte. di ILARIA RAVARINO
È
infatti un piccolo caso quello di Orecchie, secondo lungometraggio del 41enne Alessandro Aronadio interpretato da Daniele Parisi, uno dei quattro progetti internazionali sostenuti e prodotti da Biennale College (insieme a Matrioska e in collaborazio-
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ne con Roma Lazio Film Commission, Frame by Frame, Rec e Timeline) arrivato per qualche giorno in sala dopo un felice passaggio alla Mostra del Cinema di Venezia. Un’impresa che dimostra come sia possibile, anche nel
nostro paese, fare un cinema che esca dal canone e che non abbia paura di sottrarre temi e volti alla nicchia più misconosciuta (e bistrattata) della cultura italiana: il teatro off, quello da pochi posti in sala, autori giovani
e palchi pieni di energia, pubblico poco ma motivato, luci della ribalta nessuna. Qui Aronadio, prima di essere “trovato” dalla Biennale College, ha “scoperto” Parisi, che dal Festival di Venezia ha riportato anche il Talent Award NuovoIMAIE come miglior attore emergente.
«IN ITALIA NON SEI CONSIDERATO UN ATTORE SE IL PUBBLICO NON TI HA VISTO IN TV, SE NON SEI IMMEDIATAMENTE RICONOSCIBILE». E noi, a nostra volta, scopriamo che tu non sei affatto un esordiente... Faccio teatro da sedici anni. Ho cominciato a diciotto, nel 2000, poi ho continuato in quei localetti romani dove si fa cabaret, posti come il Teatro Studio Uno. Facevo spettacoli ma non rideva nessuno. Per me era una cosa tristissima. Ma ero all’inizio, dovevo ancora imparare a manipolare la scrittura. Allora ho cercato una scuola, le ho provate tutte e alla fine sono entrato alla Silvio D’Amico. Per quattro anni sono stato in tournée. Ma sono entrato in crisi: fare l’attore scritturato è un po’ come timbrare il cartellino... Sì, ma di questi tempi è una fortuna. Avere un lavoro, intendo. Io però non mi sentivo soddisfatto, volevo esprimermi come autore ma non sapevo come fare. Nel 2011 incontrai Paolo Rossi, in uno stage
organizzato dall’Accademia, e quei venti giorni con lui mi hanno aiutato a mettere a fuoco quello che volevo fare: il teatro popolare. Ho mollato tutto e ho cominciato a scrivere. Dal 2011 a oggi ho messo in scena tre spettacoli (Inviloop, Ab hoc et ab hac, Abbasso Daniele Parisi, ndr) e sto preparando il quarto. Sull’apocalisse... Con Aronadio come vi siete incontrati? Avevo fatto una piccolissima parte nel suo primo film, che poi è stata tagliata. Ma siamo diventati molto amici. Lui veniva spesso a vedermi a teatro. Poi mi ha chiamato per il provino. Che effetto ti ha fatto il circo del cinema? Bello, ma... io sono un teatrante e resterò tale. L’idea che ho in testa è quella di continuare a scrivere e portare con me gli spettacoli che faccio. Sono degli one man show, e vorrei che i miei personaggi invecchiassero
con me. Riuscirò da vecchio a fare le stesse cose che faccio oggi? O dovrò cambiare? A sentirti parlare sembra quasi che il teatro sia un’opzione appetibile. Ma non era in crisi? A teatro ci facciamo molti problemi. Il teatro è in una crisi terribile. La percezione, da fuori, è che sia passato di moda. È obsoleto, sa di museo. A differenza di chi fa cinema noi attori di teatro siamo umanità disperse. In Italia non sei considerato un attore se il pubblico non ti ha visto in TV, se non sei immediatamente riconoscibile. Ma oggi un attore giovane può vivere di teatro? A meno che tu non faccia parte di una compagnia stabile che lavora tantissimo è molto difficile. C’è poco lavoro ed è pagato male. Da questo punto di vista sono un outsider anche in questo settore, visto che vengo da quel teatro ma ne sono uscito.
Scrivo, dirigo, recito e promuovo, vado nelle cantine, parto con la valigia e la chitarra e giro l’Italia. Credo che questo sia oggi l’unico modo per fare quel tipo di teatro. L’unico modo per crearsi una rete, un piccolo ritorno, un pubblico. C’è solidarietà tra voi attori? Sì, soprattutto a Roma si sta creando una nuova leva di teatranti. Ci vediamo spesso fra di noi, siamo tutti per la filosofia dell’autopromozione. Ivan Talarico per esempio, cantautore che viene dal teatro, o Claudio Morici, scrittore, Marco Andreoli, un regista di teatro. E Davide Grillo, un attore giovanissimo che fa stand up. Ci vediamo a San Lorenzo, pranziamo insieme in un posto dove si paga poco, e così nascono tante collaborazioni. Smettiamo di piangerci addosso: se la cultura ufficiale non forma una nuova leva di autori, la scuola romana ce la inventiamo noi.
Molte le guest star nel film, fra cui Silvia D’Amico, Ivan Franek, Rocco Papaleo, Piera Degli Esposti, Milena Vukotic, Andrea Purgatori, Massimo Wertmüller.
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- Mestieri -
Storyboard artist Deve interpretare la sensibilità del regista, prevedere imprevisti e trasformare lo script in immagini. Che si parli di ANIMAZIONE o LIVE ACTION, lo storyboard artist è UNA GUIDA CREATIVA FONDAMENTALE PER OGNI SCENA a cura di CHIARA CARNÀ che comporrà un prodotto audiovisivo.
MASTERS SKETCH of
FRANCESCO CRISCI .
FILM Addio, Fottuti Musi Verdi, il primo lungo dei The Jackal; Oggi offro io di Alessandro Tresa, con Enzo Iacchetti e Giobbe Covatta.
Disegno da quando ero bambino e i miei primi amori sono stati l’illustrazione e il fumetto. Crescendo, mi sono avvicinato a pre e post produzione video. Voilà: ero uno storyboard artist. Mi sono fatto le ossa partecipando a cortometraggi promozionali o da festival. Pian piano il campo si è allargato a pubblicità, produzioni televisive e, ultimamente, ad
animazione e cinema. Lo storyboard aiuta a prevedere costi ed eventuali rogne di produzione. È utile a chiunque sul set per previsualizzare una scena e orientarsi più velocemente sulle inquadrature da girare. La parte più stimolante è quando si “cerca” un’inquadratura su cui il regista stesso è indeciso. Tonnellate di schizzi crudissimi si accumulano in
breve tempo, a volte su tovaglioli di fortuna al bar. Queste sono le inquadrature che alla fine del lavoro mi danno maggiore soddisfazione: le sento più mie. Mi è capitato di lavorare con chi aveva un’idea molto precisa degli elementi da mostrare e dei movimenti di camera, e mi è capitato di ricevere vaghe indicazioni del senso generale che si voleva ottenere. Una variabile è anche la
«La sintonia con il regista è fondamentale e mi spinge a osare di più». 36
sintonia che si instaura con il regista: avere gusti simili mi spinge a “osare” di più. Trovo rilassante la fase di rendering finale, quando è tempo di far evolvere gli schizzi in qualcosa di leggibile, ma ho una tendenza da illustratore a “spingere” il livello di dettaglio dei disegni, che tengo a freno con grande fatica. Mi piace fare storyboard, ma non penserei mai di renderla un’attività esclusiva.
NICCOLÒ TALLARICO .
FILM Mirror, di Daniele Barbiero, Il lato oscuro di Vincenzo Alfieri, Radice di 9 di Daniele Barbiero. Il videoclip L’Amore Eternit, con Fedez e Noemi, diretto da Mauro Russo.
Ho iniziato il mio percorso partendo dal fumetto. Dopo il liceo, mi sono iscritto alla Scuola Romana dei Fumetti e ho iniziato un corso universitario nel campo della letteratura e del cinema. A dare una svolta è stato un casuale incontro con Daniele Barbiero, che era stato invitato come ospite durante un laboratorio di cinema. Sono andato a chiedergli se avesse
bisogno di qualcuno per gli storyboard e siamo finiti a lavorare insieme un paio di giorni dopo. Lo storyboard ha due principali funzioni: una nella pre produzione e l’altra nella produzione. Nella prima si deve di previsualizzare il film; il modo più efficace per capire se una scena funziona è disegnarla. Inizia così un dialogo molto stimolante con il regista. Questo porta
alla costruzione di uno storyboard di alcune scene o direttamente di tutto il film che poi, nella parte produttiva, viene utilizzato da tutti i reparti per coordinarsi. La parte migliore è il confronto con il regista. Dar sfogo alla creatività avendo di fronte qualcuno che faccia da filtro e dia concretezza a quel che sarà il film. C’è chi accetta di buon grado consigli sulla
regia, c’è chi i consigli se li aspetta e chi di consigli non ne vuole. Per quanto riguarda la realizzazione vera e propria, lo spazio di manovra è abbastanza ampio. Gli unici paletti da porsi sono l’immediatezza, la chiarezza dell’azione, il rispetto dell’inquadratura e dell’eventuale movimento di macchina… il resto è contorno.
«I miei punti fermi sono l’immediatezza, la chiarezza dell’azione, il rispetto dell’inquadratura e dell’eventuale movimento di macchina». 37
LORENZO LODOVICHI .
FILM Per l’animazione, Acqua in bocca 3, tutta la serie. Al momento sto lavorando al nuovo film di Michael Radford, biopic su un famoso cantante italiano.
Ho studiato presso la Scuola Nazionale di Cinema a Torino. I miei insegnanti erano ottimi storyboard artist, formatisi con le produzioni animate degli anni ’90. Dopo la scuola, ho lavorato in serie TV animate. Negli ultimi tre anni, invece, per lo più con agenzie e produzioni pubblicitarie. Il mio è un percorso composito, ma quello che conta è la pratica. Con una buona mano e
un discreto senso della regia si può diventare ottimi professionisti. Fuori da questa pratica costante, e soprattutto da un vero e proprio schema industriale, lo storyboard risulta un mezzo imperfetto. Chi fa questo mestiere dev’essere duttile e avere buone capacità di ascolto e narrative. La grammatica del film è la cosa più importante e, relativamente a questa, lo storyboardista
è paragonabile a un correttore di bozze. Nelle serie animate si ha grande autonomia, ma bisogna considerare con attenzione una serie di aspetti tecnici. Inoltre, lo stile di regia deve rispettare i limiti ed esaltare i pregi del mezzo animazione. Nel live action è più importante restituire un senso “filmico” ai quadri. Adoro le tavole dal sapore cinematografico, con indicazioni di
luce e di atmosfera, ma capita raramente di avere tempo e possibilità di farle. Per ragioni storiche, legate al neorealismo e al concetto di autore, il cinema italiano ha sempre avuto poco bisogno di noi. Una mostra sugli storyboard artist americani ci permetterebbe di godere il cinema in maniera più ampia, anche se inevitabilmente velata di nostalgia.
«Con una buona mano e un discreto senso della regia si può diventare ottimi professionisti».
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GIUSEPPE LIOTTI .
FILM Reality e Pinocchio (lavoro ancora in corso) di Matteo Garrone, Terraferma di Emanuele Crialese, The Heir di Michael Zampino.
A 20 anni ho lavorato in uno studio d’animazione e sono rimasto incantato nel vedere una ragazza che disegnava, inquadratura dopo inquadratura, le scene del futuro film. Ai miei occhi, lo storyboard rappresentava un ottimo compromesso tra una predisposizione innata al disegno e la passione per il cinema. Durante il mio primo lavoro per un film (Noi due di Enzo Papetti) ho
conosciuto lo scenografo Paolo Bonfini, che mi ha chiesto di assisterlo come bozzettista per alcune scene del film Gomorra e, successivamente, come storyboard artist su Reality e Terraferma. Lo storyboard è uno strumento versatile: può dare un supporto di riscrittura e verifica visiva della sceneggiatura e rende più fluido il passaggio, tutt’altro che naturale, dalla scrittura
all’immagine. La lettura della sceneggiatura è la parte più emozionante: svela le potenzialità del progetto sul quale si lavorerà, pur cambiando in modo irreversibile la futura fruizione del film. Quando si lavora con un cineasta che si ama, l’effetto “spoiler” è ancora più doloroso! Ogni regista si aspetta un contributo diverso da me. Crialese ha una visione precisa delle immagini del film e
utilizza lo storyboard per fissarle su carta. Spesso si diverte ad assistere al momento del disegno vero e proprio. Il Matteo Garrone di Reality sapeva bene, a sua volta, quello che voleva, e il mio margine di manovra rimaneva limitato. Su Pinocchio, spesso mi chiede di dare un input e poi interviene eliminando, sostituendo o aggiungendo inquadrature o intere sequenze.
«La lettura della sceneggiatura è la parte più emozionante, ma l’effetto “spoiler” è doloroso». 39
- Opera seconda -
ACQUA DI MARZO
I FILM SI SBAGLIANO PER PRESUNZIONE
Tre anni fa usciva Spaghetti Story, esempio di film realizzato con un microbudget che ha avuto un successo oltre le aspettative. Ora Ciro De Caro si confronta con le speranze e i timori di un autore al suo secondo lungometraggio. di ANDREA DI IORIO
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Il film è prodotto da Alba 3000 e scritto da Ciro De Caro, Rossella D’Andrea ed Enrico Settimi. Nel cast: Roberto Caccioppoli, Rossella D’Andrea, Claudia Vismara.
Sono convinto che alcune storie possono essere raccontate con budget bassissimi, raggiungendo standard qualitativi che hanno poco o nulla da invidiare a produzioni ben più grandi. Sei d’accordo? Quali sono, però, i rischi che si corrono per chi sceglie questa opzione? Sì, ci credo, perché l’ho fatto e sono sempre più convinto che sia, a volte, l’unica strada per giovani autori che non riescono a farsi produrre il primo film. È un tipo di produzione un po’ folle, ma anche se si può pensare che sia un’operazione molto rischiosa, in realtà non lo è. Il rischio è quello di aver buttato i soldi che si sono investiti, che per chi come me ha messo tutto quello che aveva per fare un film è tanto, ma i punti a favore sono di più. Intanto non si ha niente da perdere, se si fa un brutto film probabilmente non lo vedrà nessuno, le aspettative sono pari a zero, e si gode di totale libertà. L’aspetto della libertà è il più importante, perché spesso si vedono opere prime prodotte in maniera spregiudicata che usano linguaggi nuovi, rompono le regole, tutte cose difficili da vedere nella maggior parte dei film mainstream prodotti in Italia. Frequentando molti festival ed essendo un cinefilo, noto che il cinema nel mondo (e anche in Italia, anche se a livello più underground) osa parecchio. Mi viene da sorridere quando sento dire che è nelle serie americane che si vede la vera innovazione: questa percezione credo la abbia chi va a vedere solo i film più popolari e non ha uno sguardo più vasto sulla cinematografia mondiale. Tuttavia non credo sia così scontato che dopo aver fatto un primo film indipendente (anche se di successo) si arrivi a fare un salto definitivo nella propria carriera. Questo perché il mercato e il cinema stanno cambiando, perché si produce tantissima roba, perché c’è internet, Netflix, facebook e così via. Prima, quando per vedere qualcosa si poteva andare solo al cinema, era più semplice e c’era un dibattito culturale più vivo, adesso vogliono essere tutti protagonisti e non si sa chi rimane a fare lo spettatore. Acqua di marzo, che abbiamo visto alla Festa del Cinema di Roma e che a breve vedremo in sala, è un’opera stilisticamente molto vicina a Spaghetti Story, pur essendo costata di più. Da cosa viene la decisione di mantenere lo stesso approccio essenziale, minimalista, pur avendo a disposizione risorse maggiori?
Non sono uno che razionalizza molto le scelte, agisco sempre di pancia e poi capisco però che una motivazione c’era. In generale mi piace la crudezza, il realismo, credo che il cinema debba graffiare e disturbare un po’ anche nel linguaggio, non solo nei contenuti, altrimenti rischia di diventare troppo simile alla televisione. Non ne faccio dunque una questione di budget, ma più che altro una scelta di rigore stilistico che in questo momento mi rappresenta. Tuttavia, anche se Acqua di marzo è costato di più di Spaghetti Story, rimane sempre un low budget, e per il momento, anche il prossimo vorrei che avesse un budget “limitato”. Questo mi consente di mantenere un certo controllo sulle scelte anche se, quando c’è un produttore, a dei piccoli compromessi bisogna sempre scendere, purtroppo o per fortuna non lo so. Il tanto temuto passaggio da un’opera prima a un’opera seconda: cos’è cambiato per te in termini produttivi e distributivi? Dopo un primo film che ha avuto moltissimi riscontri positivi, che faceva simpatia ed era coccolato, la paura di deludere mi ha sempre accompagnato. Non so se anch’io ho commesso i classici errori che si commettono nelle opere seconde, ma una cosa l’ho capita. Ho capito che i secondi film si sbagliano per presunzione. Dopo un lavoro per il quale hai ricevuto solo complimenti, puoi commettere l’errore di crederti onnipotente e di poter fare come vuoi. Non è così, ma ora capisco che è difficile rendersene conto in tempo. Per quanto riguarda la distribuzione, questa volta c’è già una distribuzione e lo sapevo già prima di iniziare a girare. Con Spaghetti Story è stato un salto nel vuoto. È un’opera apparentemente semplice, in realtà dalla costruzione e dai temi complessi… Acqua di marzo è un film in cui metto in scena la facilità con cui ognuno di noi si racconta bugie e ipocrisie facendo finta di essere felice. Si parla d’amore, dei rapporti di coppia e di quanto sia sempre più difficile gestirli; diventiamo sempre più incapaci a stare in coppia, e questo mi terrorizza e mi affascina, ne sono quasi ossessionato. Acqua di marzo parla dell’incapacità di saper lasciare andare le persone e le cose che amiamo. Siano esse una compagna o un compagno, una nonna morente, un vecchio cimelio o qualcosa di noi stessi.
«MI PIACE LA CRUDEZZA, IL REALISMO, CREDO CHE IL CINEMA DEBBA GRAFFIARE E DISTURBARE UN PO’ ANCHE NEL LINGUAGGIO, NON SOLO NEI CONTENUTI, ALTRIMENTI RISCHIA DI DIVENTARE TROPPO SIMILE ALLA TELEVISIONE». 41
- Zona Doc -
IL SUCCESSORE
LA GUERRA È FINITA, ALMENO PER ME
Il successore è il film che segna l’exploit internazionale del giovane documentarista leccese Mattia Epifani. La storia della redenzione di un costruttore di armi che finisce a disattivare mine in Bosnia raccontata da un film sospeso e onirico. di SILVIO GRASSELLI
Il successore è il terzo docufilm del leccese Mattia Epifani, dopo Rockman e Ubu R1e.
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L
a Puglia, da almeno una decina d’anni, è una delle regioni italiane più attive sul fronte della produzione e promozione del cinema documentario. Poco tempo fa, a Brescia, Il successore, mediometraggio prodotto grazie a un bando dell’Apulia Film Commision e diretto dal leccese Mattia Epifani, ha vinto il Premio Roberto Gavioli assegnato dal MUSIL-Museo dell’Industria e del Lavoro. Solo l’ultimo di una serie di riconoscimenti che il film è andato raccogliendo dal suo primo affacciarsi sulla piazza dei festival internazionali, nel novembre 2015 (Torino Film Festival, Premio Cipputi), fino a questo inverno, periodo per il quale RAI Storia ha programmato la sua prima messa in onda. Ai più recenti riconoscimenti in patria Epifani e il suo film ci sono però arrivati dopo una traiettoria lunga che ha attraversato alcuni dei maggiori festival del mondo, dal prestigioso IDFA di Amsterdam, fino all’altrettanto blasonato canadese Hot Docs. Mattia Epifani, classe 1985, ha cominciato ancora adolescente con la videocamera di famiglia e subito dopo con i primi piccoli esperimenti autoprodotti. Nel 2005 l’incontro decisivo con Davide Barletti dei Fluid Video Crew – collettivo di filmmaker indipendenti fondato nel 1995 insieme a Lorenzo Conte, Edoardo Ciocchetti e Mattia Mariani – e l’inizio della gavetta da professionista: assistente alla regia, montatore, operatore, direttore della fotografia, fino a che, nel 2010, proprio Barletti gli affida il suo primo progetto da regista, Rockman, documentario lungo poco meno di un’ora che attraverso la ricostruzione della controversa storia di Piero Longo/Militant P, fondatore dei Sud Sound System, ricompone i pezzi sparsi di vent’anni di controcultura e scena musicale alternativa in Puglia. Per alcuni anni Epifani colleziona una vasta gamma di esperienze, da una parte garantendosi il pane con produzioni commerciali e istituzionali, dall’altra seguitando un percorso di affinamento e ricerca personale che lo porta, nel 2013, a un secondo incontro fondamentale, quello con la regista Paola Leone e con i suoi laboratori teatrali in carcere. Nel 2014 è pronto Ubu R1e, documentario costruito proprio sull’interazione, i colloqui e il lavoro con i detenuti coinvolti nella preparazione di uno spettacolo sotto la guida di Leone. Dopo il consolidamento della collaborazione con Paola Leone e la decisione di Epifani di ripetere e continuare il lavoro in carcere, allargando lo spettro dei laboratori al campo dell’audiovisivo, viene l’ideazione e la messa in opera del progetto al quale l’autore leccese sta lavorando nei mesi in cui scriviamo. Il 2014 arriva dunque come l’anno della svolta: un bando della film commission pugliese assegna 30.000 euro a fondo perduto per la realizzazione di un documentario che racconti “storie del territorio”. Epifani recupera una vicenda letta sul giornale mesi prima: il proprie-
tario di un’azienda pugliese attiva nella produzione di complementi per armi, ricevuta in eredità dal padre ormai defunto, entra in una crisi di coscienza che lo conduce verso la chiusura della sua piccola industria e verso una carriera da sminatore in Bosnia Erzegovina. Così, lavorando forsennatamente, con l’aiuto di Davide Barletti in veste di produttore, il film viene rapidamente preparato, girato in appena nove giorni e montato in poco più d’un mese. Il successore è un film anomalo: un po’ diario, un po’ biografia e un po’ film di denuncia, usa immagini d’archivio senza il respiro breve dell’illustrazione, le interviste come si fa nelle inchieste prodotte per la TV, la musica e gli effetti luministici quasi che si fosse in un thriller o un dramma. Vito Alfieri Fontana è seguito – da vicino ma lasciando una premurosa distanza di sicurezza tra il suo corpo e l’obiettivo – lungo un viaggio che lo riporta nei luoghi dove ha lavorato per scovare e disattivare mine in molti casi costruite proprio dalla sua azienda, la Tecnovar. Invece di appiattirsi sulla linea diritta delle interviste, invece di limitarsi alla ricostruzione didascalica del lavoro del protagonista, Epifani costruisce un film al contempo narrativo e contro la narrazione lineare classica, tutto sospeso in un tempo onirico, che esplora il passato come un luogo fisico e stilizza il racconto testimoniale dilatando i tempi della parola e allentando il legame referenziale delle immagini con la realtà cronachistica delle cose. Forse non ancora le marche evidenti di uno stile consapevole, le scelte di Mattia Epifani sono il prodotto della commistione – rara nel nostro paese – di una scaltrezza tecnico-linguistica maturata nell’esercizio assiduo del mestiere e la sensibilità intelligente di un autore onestamente in cerca di una forma autenticamente sua. Quando il film inizia, Vito Alfieri Fontana ha già da tempo interrotto le operazioni in Bosnia, ma, come spesso accade con il cinema documentario, dopo la fine del film le cose non sono più le stesse. Il percorso a ritroso sui passi che hanno già una volta dato sollievo e pacificazione alla sua coscienza – la ricognizione materiale nei luoghi in cui ogni passo porta con sé il rischio estremo e il nuovo incontro con uno degli storici collaboratori sul campo – conduce il protagonista a una generale riconsiderazione della propria vicenda e stimola un cambiamento: poco tempo dopo l’uscita di Il successore, il suo protagonista decide di tornare in Bosnia e riprendere il suo lavoro tra le mine inesplose. La storia di un conflitto interiore e di una redenzione che sembrano diventare nel tempo uno dei temi ricorrenti nel cinema del giovane regista leccese.
««IL PROPRIETARIO DI UN’AZIENDA DI ARMI ENTRA IN UNA CRISI DI COSCIENZA CHE LO CONDUCE VERSO UNA CARRIERA DA SMINATORE IN BOSNIA».
Prodotto da Davide Barletti del collettivo Fluid Video Crew, il film è stato girato in appena nove giorni e montato in poco più d’un mese.
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- Attori -
BLACK SEI GIOVANI PROMESSE ESPLORANO UNO SPAZIO IMPENETRABILE E SENZA TEMPO, PROPRIO COME IL MONDO DEL CINEMA. INDOSSANO UN MISTERIOSO LOOK TOTAL BLACK, MA IL LORO OBIETTIVO È PORTARE COLORE SUL GRANDE SCHERMO.
1. ETÀ E LUOGO DI NASCITA 2. MI AVETE VISTO IN 3. IL FILM CHE NON MI STANCO MAI DI RIVEDERE
POETRY a cura di CHIARA CARNÀ creative producer TOMMASO AGNESE foto MARCO PORTANOVA assistente ADRIANO AGOSTINACCHIO stylist STEFANIA SCIORTINO makeup and hair VANESSA TREZZA si ringraziano FLORIANA SERANI, BLACKBLESSED e InLocation
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«Esploro ogni ruolo nel modo più ravvicinato, senza però dimenticarmi di me stesso». LORENZO DI SEGNI
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«La sfida più grande è rimanere fedeli a se stessi, senza perdere di vista l’arte, la poesia e la meraviglia». MARINA OCCHIONERO
FEDERICA SARNO 1. 28 anni, Avellino. 2.
Presto farà giorno di Giuseppe Ferlito; Le leggi del desiderio di Silvio Muccino. Sarò nel cast di Gli scoppiati di Simona Izzo, con Max Gazzé e Barbora Bobulova.
3. Fino all’ultimo respiro
MARINA OCCHIONERO
LORENZO DI SEGNI
1. 23 anni, Asti.
1. 22 anni, Roma.
2. È in post produzione il
2. Tutta la musica del
mio primo film, Ritratto di una giovane ballerina, di Ulisse Lendaro. Al momento sono in scena a teatro con Riccardo III. Avrò un piccolo ruolo in Non uccidere 2 e, l’anno prossimo, lavorerò con il Teatro Metastasio di Prato e il Piccolo Teatro di Milano.
cuore, Tutta colpa di Freud, La verità sta in cielo. Da gennaio, sarò su Youtube nella webserie La parte sporca.
3. Inglourious Basterds.
Mio nonno era romagnolo e in quel film ritrovo i suoi racconti d’infanzia e i suoi ricordi, che ormai sono anche un po’ i miei.
Un grandioso mix con i più geniali tratti del cinema di Tarantino. Sogno che un giorno il mio telefono squilli e una voce risponda: “Ciao, sono Quentin. Ho letto la tua intervista per Fabrique du Cinéma, quando possiamo incontrarci?”.
Non è facile confrontarsi con una società che non investe nella cultura e, spesso, non tiene conto del tempo di preparazione che richiede il nostro lavoro. La sfida più grande è rimanere fedeli a se stessi, senza perdere di vista l’arte, la poesia e la meraviglia. Mi diverte, quando studio un nuovo personaggio, raccogliere con il regista e i colleghi libri, film, fotografie, abiti e qualsiasi cosa possa aiutarmi a collocarlo in un’epoca o in una situazione. Poi, prima d’iniziare un nuovo progetto, mi prendo un paio di giorni di vacanza: il riposo è una parte fondamentale del lavoro!
Ho intenzione di continuare a studiare per mantenere sempre un buon livello di preparazione, che mi aiuti nella grande impresa di riuscire a vivere facendo esattamente ciò che amo. Esploro ogni ruolo nel modo più ravvicinato possibile, cerco di calarmi in un’altra personalità, diversa dalla mia. Senza però dimenticarmi mai di me stesso. Essere un attore emergente è una gran bella sfida. Cosa fa un attore emergente? Emerge? Da dove? Forse “nasce”, spinto da un’irragionevole passione. Conoscere e far conoscere le proprie potenzialità rappresenta la sfida più importante.
3. Amarcord di Fellini.
di Godard. Dopo averlo visto mi sono ripromessa che un giorno avrei vissuto a Parigi: a marzo mi trasferisco lì. Vivo il lavoro in maniera pragmatica: leggo il copione, costruisco il personaggio e “rubo” da qualsiasi fonte di ispirazione. L’ansia la lascio alla vita di tutti i giorni. Credo sia un buon momento per il cinema italiano, ma anche che il peggior sbaglio sia quello, da parte delle produzioni, di non investire su chi studia con tenacia.
«Vivo il lavoro in maniera pragmatica, l’ansia la lascio alla vita di tutti i giorni». F. S.
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«Il lavoro sul personaggio per me è un’esplorazione, una continua analisi». LUCA GRISPINI
«Su ogni set è sempre come se recitassi per la prima volta». TATJANA NARDONE
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LUCA GRISPINI 1. 21 anni, Roma. 2.
Tutta colpa di Freud di Paolo Genovese. Ho debuttato a Roma come protagonista di uno spettacolo teatrale dove rappresentavo un Romeo in versione moderna. Ho appena finito di girare una serie tratta dal film Immaturi, per la regia di Rolando Ravello.
GIULIO CAVALLINI 1. 23 anni, Torino. 2.
Mi vedrete su RAI Uno nella serie La strada di casa di Riccardo Donna, con Alessio Boni, Sergio Rubini e Lucrezia Lante della Rovere. E presto al cinema, come protagonista del film horror indipendente, girato in inglese, The Plan, diretto da Paolo Dematteis.
3. Biutiful di Iñárritu, film di una profondità disarmante. Nonostante i toni drammatici, permette agli attori di raggiungere il climax interpretativo. Passare le selezioni per entrare alla YD’ActorsYvonne D’Abbraccio Studio è stato il mio primo grande traguardo. Gli studi mi hanno permesso di acquisire un mio metodo non solo dal punto di vista emotivo, ma anche tecnico. Il lavoro sul personaggio per me è un’esplorazione, una continua analisi. Ciò che mi diverte di più è la sfida che ti chiede continuamente di dimenticarti del tuo ego. S’impara molto di più anche su se stessi. Spesso parto per la tangente, però il confronto artistico e professionale con Yvonne D’Abbraccio mi permette di abbandonare la mia testardaggine e trovare un equilibrio.
3. Due capolavori molto diversi nei loro intenti. Amadeus di Forman e Interstellar di Nolan: film ambiziosi, capaci di suscitare meraviglia, desiderio e stupore.
TATJANA NARDONE 1. 26 anni, Dublino. 2.
I Medici; Il Paradiso delle Signore. Sarò la protagonista del thriller inglese Redwood di Tom Paton.
3. E.T.: un film ricoperto di magia, con protagonista un bambino che crede, lotta, gioca e ama con tutto se stesso chi è completamente diverso da lui. Senza pregiudizi. Su ogni set è come se recitassi per la prima volta, purtroppo e per fortuna. Di conseguenza, il modo in cui affronto un nuovo ruolo cambia a seconda del personaggio, della storia e delle persone che mi circondano. L’unica cosa che non cambia mai è il continuo mettersi in gioco. Spesso noi attori emergenti non abbiamo la possibilità di “entrare nella stanza”. Fateci entrare! Fateci provare! Magari un talento nascosto è proprio lì, dietro all’angolo...
Sul lavoro sono estremamente severo e duro con me stesso. È l’insegnamento migliore che ho tratto dalla scuola per attori del Teatro Stabile di Torino. Dai miei maestri, Alessio Maria Romano, premio nazionale della critica 2015 e Bruno De Franceschi, direttore d’orchestra e compositore, ho imparato il lavoro sull’espressività del movimento e sulla voce come strumento tecnico ed emotivo. Per un attore, rendersi credibile agli occhi di chi lo deve scegliere è una condizione indispensabile. Una circostanza del tutto casuale può decidere del tuo destino, senza la quale non sei ammesso alla sfida finale: quella con il pubblico.
«Sono estremamente severo e duro con me stesso: una circostanza casuale può decidere del tuo destino». G.C.
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collezionisti di
ciak
EMILIANO RAVERA E ALBERTO REVIGLIO QUATTRO ANNI FA HANNO FONDATO INLOCATION, AGENZIA DEDICATA ALLA RICERCA DI LOCATION PER FILM, FICTION, SPOT O EVENTI A ROMA E IN TUTTO IL TERRITORIO NAZIONALE. IL LORO SEGRETO? PASSIONE E PROFESSIONALITÀ. www.inlocation.it
«Prima che fornitori, siamo stati clienti – racconta Emiliano Ravera – e in questo modo ci siamo accorti di cosa mancava nel settore dei location manager e abbiamo provveduto a colmare le lacune. La nostra passione per il cinema, unita a un know how tecnico (frutto dell’esperienza con gli shooting fotografici e gli spot TV), ha permesso al nostro progetto di diventare una realtà di successo». INLocation punta sulla fiducia che s’instaura con case di produzioni, scenografi, agenzie pubblicitarie e proprietari. «Cercando di tutelare al massimo la bellezza del luogo, ci ritroviamo a fare le veci dei “padroni di casa”, coadiuvando sempre le esigenze della produzione con quelle del proprietario. Scegliamo location che abbiano valenza e personalità. Riceviamo le richieste più disparate, dal sottoscala per una scena di rapimento, a un castello, a una fabbrica abbandonata. Per capire se la location è adatta al tipo di richiesta, non chiediamo i metri quadri o l’altezza dei soffitti di cui hanno bisogno; domandiamo chi è il personaggio che dovrà riempire lo spazio. Leggiamo sempre la sceneggiatura e aiutiamo a costruire la storia intorno all’ambiente. Il nostro compito è provare a offrire al film un valore aggiunto, ottimizzando i tempi della troupe e capendo i gusti dello scenografo, che è l’architetto del film. Il nostro lavoro comprende apertura e chiusura del set, assicurazione, consulenza contrattuale e così via». Grazie a un lavoro di ricerca continuo e meticoloso, INLocation è riuscita ad affermarsi e attirare l’attenzione delle maggiori case di produzione nostrane (tra le altre Cattleya, Filmauro, Taodue, Cross Production, Publispei, Indigo Film, Colorado, Magnolia). Il loro sito conta oltre 1200 location, tutte consultabili online e divise per tipologia (ville, loft, chiese, uffici, terrazze ecc). Inoltre, ogni ambiente può essere ricercato attraverso una parole chiave, che sia ‘pianoforte’, ‘cucina’ o ‘colore rosso’. «Ogni scheda è completa di foto, tutte scattate con la nostra macchina, per raccontare coi nostri occhi la location al cliente. È la firma di INLocation, e non solo: per ogni lavoro che archiviamo, oltre al titolo del film e al nome della produzione, aggiungiamo una foto del primo ciak. Rivedere le nostre proposte sul grande e piccolo schermo è sempre una soddisfazione. È un lavoro intuitivo, che richiede grande sensibilità. Prima ci affidavano soprattutto missioni impossibili, ora siamo tra i più richiesti del settore e abbiamo anche tante location in esclusiva: ambienti che non erano mai stati prestati al cinema per paura del suo impatto invasivo. I nostri feedback sono sempre positivi e ci sentiamo parte integrante del processo creativo: questo è impagabile». Chiara Carnà
PUBLIREDAZIONALE
- Soundtrack -
STELVIO CIPRIANI
BASTA CHE FUNZIONI
Quando chiedeva a Dino Risi: ti piace quello che ho scritto? il regista si arrabbiava: «Non mi devi chiedere se mi piace o no. Nel cinema la musica non deve essere né brutta né bella, deve funzionare». intervista di PAOLO VIVALDI* foto MARTINA MAMMOLA 52
* Autore di colonne sonore per televisione e cinema, fra cui Non essere cattivo di Claudio Caligari.
«PENSO CHE UN COMPOSITORE DI MUSICA PER IL CINEMA DEBBA SAPER ADATTARSI, IO HO SCRITTO ANONIMO VENEZIANO MA ANCHE PIERINO IL FICHISSIMO…».
H
a composto oltre 200 colonne sonore, facendo la storia del cinema di genere degli anni Settanta oggi riscoperto ed esaltato: sue le musiche di
titoli come La supplente va in città o Suor Emanuelle, i western all’italiana, le pellicole erotiche di Joe D’Amato (Orgasmo nero, Papaya dei Caraibi) e quelle di Umberto Lenzi e Stelvio Massi, maestri del poliziottesco. E fra i poliziotteschi un posto d’onore spetta a La polizia ringrazia di Stefano Vanzina, interpretato da quell’Enrico Maria Salerno che gli darà l’occasione per comporre una melodia entrata nell’immaginario acustico italiano, quella di Anonimo veneziano (un trionfo da 20 milioni di copie). Il maestro, che ci accoglie nella sua casa affacciata sul verde di Roma Nord così in accordo con quei Seventies ai quali il suo nome è legato, è arrivato subito dopo i Rustichelli, Trovajoli, Ortolani, Morricone. E se loro hanno ricevuto già da tempo riconoscimenti prestigiosi, Cipriani è comunque amatissimo dagli ascoltatori di tutto il mondo: anche in Giappone, per dire, i suoi dischi hanno venduto milioni di copie. Gli inizi sono quelli tipici di tanti musicisti d’antan, a suonare il piano sulle navi da crociera, finché arriva una prima svolta. Stelvio provina per primo una giovanissima Rita Pavone, e la segnala entusiasticamente: lei ricambia portandolo con sé in lunghe tournée in giro per il mondo. Ma il turning point arriva nel ’66, «quando si presenta da me un
giovane attore allora sconosciuto, Thomas Milian, che mi domanda come se niente fosse: tu sai scrivere un deguello? E io, invece di chiedere che diavolo è un deguello?, gli domando a mia volta: Perché?» [Il deguello è una composizione ritmata simile al bolero che andava molto di moda nei western del periodo, ndr]. Risposta esatta: Thomas cercava un compositore per il primo spaghetti western che avrebbe interpretato, Bounty Killer e, detto fatto, il giorno dopo Stelvio era su un volo per Madrid per lavorare alla prima delle sue centinaia di colonne sonore. Parlare con lui è rivedere un mondo cinematografico scomparso, in cui le occasioni capitavano, eccome, e così i guadagni, bisognava solo acchiapparle al volo. Prendiamo ad esempio il titolo cult di Cipriani, Anonimo veneziano. «È andata così: le musiche erano già state scritte da un altro compositore, ma non funzionavano. Mi chiama il produttore all’una di notte e mi dice: domattina vienimi a prendere alle 7, andiamo in sala di proiezione, senza aggiungere altro. La mattina mi presento sotto casa sua, andiamo in sala e dopo la proiezione mi chiede a bruciapelo: quando avrai pronto qualcosa? Io penso: oggi è mercoledì, il tempo di rivedere il film, di pensarci un po’ e gli rispondo che se vuole ci rivediamo lunedì con delle proposte. Lui mi guarda e dichiara: sono le 10, ci vediamo alle 14 e mi fai sentire il tema». E così è stato: il tema
che ha fatto piangere milioni di spettatori è nato in tre ore. Henry Mancini di Colazione da Tiffany, Francis Lai di Un uomo e una donna, Maurice Jarre di Lawrence d’Arabia sono fra i big dei soundtrack che Stelvio, romano e romanista fin nel midollo, ha incrociato nella sua lunga carriera. E moltissimi i registi con cui ha lavorato, da Risi a Lizzani, a Bava, a Freda, a De Martino: «Io sono sempre andato d’accordo con tutti, sempre disponibile a collaborare, a trovare un compromesso. Del resto penso che un compositore per il cinema debba saper adattarsi, io ho scritto Anonimo veneziano ma anche Pierino il fichissimo…». Ed è proprio a un regista che Cipriani deve una delle lezioni che gli sono state più utili: e che regista, Federico Fellini. All’epoca suonava, ventenne, nell’orchestra di Nino Rota che stava registrando La strada. Come si usava allora, il direttore dirigeva guardando il visivo che scorreva sui rulli e calcolando a mente con estrema cura la sincronizzazione: «Ma io non ero il pianista, figurati, ero confinato alla celesta». Finita l’esecuzione con tutta l’orchestra di più di settanta elementi si fa avanti Federico, che con grande gentilezza si complimenta con tutti gli strumentisti, con Rota e poi dice: Ninetto, mi fai una cortesia? Mi ripeti questo brano con un flautino, una chitarrina e un basso? Gli altri se ne vanno, ed ecco che emerge con tutta la sua semplicità e potenza il tema principale del capolavoro con Giulietta
Masina e Anthony Quinn. Da lì ho capito l’importanza dell’accordare il tema musicale e gli strumenti con ogni singola scena». E oggi? Quale panorama si presenta a un giovane che nella vita voglia scrivere colonne sonore? Entrambi pensiamo che questo è un mestiere che si impara facendo, i percorsi formativi ufficiali sono ancora molto lacunosi. Ma anche il cinema è molto cambiato dai ruggenti Sessanta e Settanta: oggi va di moda da un lato un cinema minimalista che considera la musica solo come un tappeto sonoro, non ingombrante, dall’altro prende sempre più piede un’elettronica buona per tutte le stagioni, poco caratterizzata e caratterizzante. «Non credo che si potrà più tornare a quei film e a quella musica, fatta di temi forti, riconoscibili», sintetizza categorico Cipriani.
Forse questa tendenza deriva dalla sempre minore preparazione dei giovani, che si trovano a comporre musica da film talvolta senza nemmeno conoscere la musica, usando solo tastiere e computer. Ma forse è anche
una questione di poco coraggio, sia da parte dei registi sia dei compositori, nel legare il proprio lavoro a un tema musicale forte e distinguibile, correndo il rischio di non piacere a una parte del pubblico. Se dunque si confermerà l’orientamento a creare semplici atmosfere di sottofondo oppure si tornerà alla centralità del tema dipenderà, più in generale, anche dalla direzione che il cinema italiano prenderà nei prossimi anni.
È da poco uscita in libreria l’autobiografia del maestro, dal titolo Anonimo romano, per Teke Editori, scritta insieme a Pino Ammendola e Rosario Montesanti.
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- Realtà virtuale -
ITALIAN VR
DI REALTÀ VIRTUALE IN ITALIA SI PARLA POCO, MA C’È TUTTO UN MONDO DI FILMMAKER CHE STANNO SPERIMENTANDO IN QUESTO SENSO: LA MOSTRA DI VENEZIA (MA PRIMA ANCORA CANNES E BERLINO) QUEST’ANNO HA INAUGURATO UNA SALA PER LA VISIONE IN VR, PRESENTANDO CORTI INTERNAZIONALI. IN GERMANIA E IN OLANDA, E PRESTO ANCHE IN FRANCIA, HANNO GIÀ APERTO SALE CINEMATOGRAFICHE PER LA REALTÀ VIRTUALE ED ESISTE UN FESTIVAL SPECIALIZZATO, IL KALEIDOSKOPE. di ILARIA RAVARINO
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PARTE DA QUESTO NUMERO DI FABRIQUE UN VIAGGIO NELLE REALTÀ PRODUTTIVE ITALIANE CHE ESPLORANO LA VR. CHI SONO I GIOVANI AUTORI CHE SE NE OCCUPANO? QUALI LE DIFFICOLTÀ, I COSTI, LE POSSIBILITÀ? DOVE FAR CIRCOLARE I PROPRI CORTI, E COSA RACCONTARE? www.nobordersvr.com
“E
hi, scusa, se hai finito me lo fai provare?”. Venezia Lido, lungomare, è quasi mezzanotte ed Elio Germano è in piedi davanti all’ingresso del locale dove si svolge la festa di Fabrique. Un ragazzo si sbraccia verso di lui, spazientito, per richiamarne l’attenzione. Non vuole farsi un selfie con l’attore, né chiedergli l’autografo. Vuole solo impossessarsi dell’oggetto che Germano ha appena finito di usare: un visore per la realtà virtuale su cui gira No Borders VR, il primo corto-esperimento in VR mai realizzato in Italia. Prodotto da Gruppo Cadini, Gold e Radical Plans, e vincitore a Venezia del premio MigrArti, il documentario stereoscopico degli italo iracheni Haider Rashid e Omar Rashid è stato l’attrazione più chiacchierata presentata durante la Mostra alle Giornate degli Autori. Non si trattava del primo vagito virtuale nel nostro paese – la VR ha già una piccola scena italiana, almeno nel campo delle app – ma della prima volta che in Italia il cinema incontrava il nuovo medium reso popolare dall’Oculus Rift di Palmer Luckey. Dietro al progetto un team creativo di cinque persone (Haider Rashid, Omar Rashid, Elio Germano, Daniele Bernabei, Gabriele Fasano), che hanno creduto intensamente a una scommessa molto impegnativa: «Per ottenere 15 minuti di corto – ci spiega Omar – c’è voluto il tempo che avremmo impiegato per fare un lungo». E una spesa pari a quella dell’acquisto di un piccolo SUV. «L’approccio al mezzo è arrivato per caso, nel dicembre del 2014, quando ho provato per la prima volta Oculus Rift a casa di mio cognato. Appena ho intuito le potenzialità del mezzo, ho cercato di capire come potesse funzionare la realizzazione pratica di un progetto in VR. Sono un autodidatta virtuale». Autodidatta nel campo della VR ma non certo nell’area dell’audiovisivo, perché la squadra dietro alla realizzazione di No Borders proviene dal mondo del cinema e della comunicazione. «Io ho aperto 13 anni fa un negozio di abbigliamento –racconta Omar – con un occhio speciale alla comunicazione, al guerrilla marketing. Con Haider, che è un
regista puro, ci siamo incontrati la prima volta a Firenze». Con il loro primo progetto, Street Opera (che segna l’inizio della collaborazione con Germano) hanno vinto quest’anno una menzione speciale DOC ai Nastri d’Argento. «Ho parlato della VR a Haider, che ha uno studio di post produzione, e poi abbiamo coinvolto Elio, mostrandogli la VR in un ristorante cinese. Il tema del corto, i migranti, ci è venuto spontaneamente, assecondando la nostra voglia di raccontare la virtualità del reale con un mezzo pensato per il gaming, quindi per l’astrazione totale dalla realtà». Una volta vinto il bando del MIBACT MigrArti, “scoperto” dal gruppo ad appena dieci giorni dalla scadenza, il passo successivo è stato quello di mettere in pratica la teoria. «Il vero test è stato quando sono arrivate le camere, delle GoPro. Il regista sul set deve riprendere ogni punto di vista possibile, usando più camere, e poi ricucire il tutto in post produzione. Il processo, che si chiama stitching, consiste nel convertire con un software particolare le immagini “piatte” in “sfere video”. È spesso poi necessario correggere le sfere frame by frame, per evitare il cosiddetto effetto ghosting, quando cioè la sovrapposizione fra le immagini non è perfetta». Dopo Venezia il corto è passato al festival di Roma, ma la distribuzione al grande pubblico resta ancora un’incognita: «Il futuro della VR, sono convinto, è in sala. Al momento è molto difficile attrezzarsi per la visione. E mostrare No Borders semplicemente come un video 360 su Youtube non rende giustizia alla natura del mezzo per cui è nato». L’ideale sarebbe una distribuzione attraverso Samsung, magari nello store dedicato ai video in VR. L’esperimento, inoltre, potrebbe essere solo il primo passo per il team di pionieri-autori: «Stiamo lavorando su altre strade, esplorando nuove idee, facendo esperimenti e guardando molti film in VR. Il difficile, adesso, è trovare la storia giusta. Stiamo valutando due possibilità: continuare sulla virtualità del reale, provando a mettere in scena anche situazioni disturbanti come una rapina o un caso di violenza domestica, o esplorare l’ambito del fantastico. Magari la fantascienza».
«Il futuro della VR, sono convinto, è in sala. Al momento è molto difficile attrezzarsi per la visione. E mostrare No Borders semplicemente come un video 360 su Youtube non rende giustizia alla natura del mezzo per cui è nato».
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Primo stage di recitazione 3-4 DICEMBRE 2016 con Luigi di Fiore e Tullia Alborghetti con la partecipazione di Angelo Longoni
Dove Presso B49Studio - Via Placido Zurla, 49 Roma
- Making of -
I DELITTI DEL
BARLUME foto PHILIPPE ANTONELLO a cura di DAVIDE MANCA
REGIA Roan Johnson CAST Filippo Timi, Lucia Mascino, Enrica Guidi, Alessandro Benvenuti, Paolo Cioni SCENEGGIATURA Roan Johnson, Ottavia Madeddu, Davide Lantieri, Carlotta Massimi, Marco Malvaldi SCENOGRAFIE Mauro Vanzati COSTUMI Francesca Leondeff MONTAGGIO Paolo Landolfi SUONO Alessandro Zanon
I delitti del BarLume è una Serie TV prodotta da Palomar e SkyCinema, tratta dai romanzi di Marco Malvaldi editi da Sellerio. Giunta alla quarta stagione, ognuna composta da due
episodi di novanta minuti, I delitti del BarLume è diretta da Roan Johnson, che ne ha curato la regia e la sceneggiatura a partire dalla seconda stagione. Ambientata nell’immaginaria cittadina sul mare di Pineta, nella realtà la serie è stata girata a Marciana Marina, splendido comune dell’Isola d’Elba. In queste ultime tre stagioni la serie è sempre stata girata con macchine da presa di marca RED: RED Epic per seconda e terza stagione, mentre la quarta ha visto il passaggio alla RED Dragon 6k. Le macchine da presa sono corredate da serie di ottiche Canon Prime con zoom Canon 24-105mm.
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Il regista compie un rito scaramantico prima di dare l’azione.
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Ripresa in piano sequenza con Steadycam, il panno 1/4 Gridcloth 4x4 serve per ammorbidire la luce solare.
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Un momento di relax per gli attori prima di una scena.
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L’attore protagonista suggerisce al regista un particolare movimento scenico.
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Il direttore della fotografia mostra il campo dell’inquadratura agli elettricisti impegnati a puntare un proiettore Arri M18.
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Il regista simula il movimento della macchina da presa mentre gli attori provano la scena.
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Il capo macchinista issa un telaio 4x4 su uno stativo super wind up.
Attore e regista provano in sincro un movimento di scena.
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L’attrice è ripresa di quinta dalle due macchine da presa, su di lei un panno bianco 4x4.
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Il protagonista si prepara al ciak con un po’ di meditazione.
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Un appassionato regista segue il ciak da posizione ravvicinata.
Operatore sul crane pronto a girare il piano sequenza finale della serie.
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- Effetti speciali -
INDEPENDENCE DAY RIGENERAZIONE
IN GUERRA CONTRO GLI ALIENI E… Per portare a termine la sua Rigenerazione, l’ultimo Independence Day ha avuto bisogno del tocco italiano. Stiamo parlando del team di tecnici e creativi dei VFX che compone la Why Worry Production. di TIZIANA MORGANTI
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l loro studio si trova a Roma a pochi passi dalla sede RAI di Saxa Rubra. Qui Diego Panadisi (WWP Founder, Visual Effects Producer), Pietro Silvestri (Visual Effects Project Manager), Daniele Pellegrini (Lead Pipeline TD e VFX Editor), Sara Ciceroni (Digital Compositor), Alex Auriol (Animation Supervisor), Gianluca De Pasquale (Lead Digital Compositor) e Alessandro Cangelosi (CG Supervisor and FX Sequence Lead) hanno lavorato e vissuto senza sosta per oltre otto mesi pur di soddisfare le richieste di
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Roland Emmerich e del suo supervisor storico Greg Strasz. Così, costantemente in contatto via skype con gli uffici a Los Angeles, riuscendo a gestire ben due consegne al giorno nonostante il fuso orario, il team di Why Worry si è guadagnato la stima e la fiducia di Emmerich tanto da andare ben oltre il lavoro di previsualizzazione e postvisualizzazione per cui era stato contattato e lavorare alle
sequenze finali del film. Il loro fiore all’occhiello, però, oltre ai vari tagli inseriti nel film, è rappresentato da alcune scene del trailer ESD, dalla nuova sigla ufficiale della Centropolis Entertainment, realizzata in ED stereo, e, ovviamente, dallo spettacolare epilogo del film. Insieme a tutti loro abbiamo cercato di ricostruire i passi più importanti di questa esperienza che è valsa anche un contratto con Fox.
Partiamo dal momento della previsualizzazione, ossia il lavoro di preparazione di alcuni shot e modelli. In realtà si tratta di una delle fasi più complesse, visto che non vediamo praticamente nulla. Per quanto riguarda il caso specifico di Independence Day avevamo a disposizione alcune illustrazioni in cui apparivano gli interni dei caccia alieni. Poi abbiamo preso i riferimenti fotografici dei visi degli attori, li abbiamo ricostruiti in 3D, modellati e posti all’interno delle astronavi aliene basandoci sui
IL FUSO ORARIO L’ingaggio di Why Worry da parte della 20th Century Fox per il film di Emmerich è arrivato dopo vari spot pubblicitari curati dalla società italiana e il film Beyond the Reach (Caccia all’Uomo) interpretato da Michael Douglas.
bozzetti. Questo procedimento, per quanto complesso, è stato particolarmente efficace per avere l’idea dell’insieme di tutta la sequenza, visto che doveva essere ancora girata. In questo senso, dunque, si tratta di un materiale particolarmente utile per il lavoro del regista, perché lo aiuta a immergersi nel set e a individuare la posizione migliore in cui collocare la telecamera. Inoltre, grazie al lavoro di previsualizzazione si può stabilire anche il timing e i tempi di registrazione di una scena. Per non parlare, poi, dell’aiuto visivo
per capire, effettivamente, se lo shot può funzionare o meno. Riguardo al nostro lavoro ci riteniamo soddisfatti, visto che in molti casi la scenografia finale utilizzata nel film è molto simile ai prototipi realizzati da noi proprio in previsualizzazione. Ottenere un effetto di veridicità e omogeneità con l’ambiente è uno dei più difficili da raggiungere con il lavoro digitale, soprattutto quando si tratta d’inserire un oggetto solido all’interno di un contesto preciso. Quali sono, ad
esempio, le difficoltà che avete incontrato nella realizzazione della nave aliena della scena finale? L’astronave dello shot finale ha rappresentato una sfida perché, di fatto, era una scena che non esisteva. Questo vuol dire che non c’era uno storyboard e nemmeno il modello dell’astronave, se non una versione a bassissima qualità molto vecchia e non aggiornata. Siamo dunque partiti da lì e, seguendo lo stile delle altre astronavi del film, siamo arrivati al modello finale, sempre
guidati dal supervisore della produzione. Abbiamo lavorato su tutta la parte di modellazione, tanto che, se andiamo a vedere la prima versione della nave, è completamente diversa da quella finale. Allo stesso modo siamo intervenuti sull’ambiente, che abbiamo realizzato completamente in sintesi, visto che non esisteva nessun materiale girato. Il fatto, poi, che non ci fosse uno studio precedente, ha imposto anche tutta una serie di test ed esperimenti. Grazie a questi, ad esempio, si è deciso l’aspetto
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«LA RESA DEI MATERIALI È STATA UNA DELLE FASI PIÙ COMPLESSE. AD ESEMPIO, PER OTTENERE UN EFFETTO REALISTICO NELLE ASTRONAVI, ABBIAMO INSERITO DELLE IMPERFEZIONI NEL VETRO DELLA LENTE DELLA TELECAMERA, AGGIUNTO LE RIFRAZIONI CROMATICHE E, PER FINIRE, IL RUMORE ORIGINALE DELLA PELLICOLA IMPIEGATA NEL RESTO DEL FILM».
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Independence Day – Rigenerazione è il sequel dell’omonimo film del 1996, scritto dal regista con Dean Devlin e altri. Nel cast Liam Hemsworth, Jeff Goldblum, Charlotte Gainsbourg, Sela Ward.
del cielo, la presenza di un certo numero di nuvole, l’ora del giorno e la grandezza del sole. Sono tutti elementi che contribuiscono a dare il senso di realismo finale e determinano anche il mood di una scena. Ovviamente tutto doveva essere sottoposto all’attenzione e al giudizio di Emmerich, il che si è tradotto in una quantità di ore e in una mole di lavoro impressionanti da affrontare per una sola scena. Continuando a esaminare la vostra scena finale proviamo ad andare ancora più nel particolare, parlando di come avete lavorato per garantire la migliore resa dei materiali e, soprattutto, il senso di realismo. La resa dei materiali è stata
una delle fasi più complesse. Ad esempio, per ottenere un effetto realistico nelle astronavi, abbiamo inserito delle imperfezioni nel vetro della lente della telecamera, aggiunto le rifrazioni cromatiche e, per finire, il rumore originale della pellicola impiegata nel resto del film. Cioè, poiché la produzione considerava il suono come un elemento cui prestare particolare attenzione, ci inviava via via tutte le pellicole e la grana originale dei tagli – 2K, 4K, 6K – e noi potevamo integrare quel rumore nei nostri shot digitali. Chiudiamo con uno degli aspetti più spettacolari di questa scena finale, ossia gli effetti speciali realizzati in digitale. Nello specifico si tratta di spari, esplosioni e fuochi
che divampano all’interno di una scenografia quanto mai affollata di elementi che interagiscono tra loro. In che modo si riesce a orchestrare tutto questo? In questo caso tutto è veramente “speciale”, poiché si tratta di una sequenza particolarmente difficile. In parte ci si basa sulla fisica, visto che si tratta di simulazioni dinamiche, di rottura, di demolizioni, fuoco e fumo. Non bisogna dimenticare, però che gli elementi naturali devono comunque piegarsi al volere artistico del regista. In termini di lavoro pratico parliamo di calcoli molto lenti che possono impegnare ore e giorni interi. Il tutto per vedere la simulazione di un’esplosione per poi, magari, dover cambiare
ogni riferimento e ricominciare nuovamente. Prendiamo, ad esempio, il lavoro sul vento nella scena finale. Emmerich voleva che il fumo andasse in una direzione precisa. Dunque ci siamo dovuti porre delle domande sull’intensità del vento stesso, considerando anche altri elementi come la grandezza fisica della scena e di tutti gli elementi coinvolti. Sulle condizioni del terreno poi, influiva anche l’arrivo dell’astronave, che spostava una notevole massa d’aria. Ecco, dunque, che sono state aggiunte delle turbolenze. Comunque, ci tengo a ricordare che gli aspetti tecnici e digitali, ossia tutto il nostro lavoro, devono risultare invisibili perché il prodotto finale possa essere considerato di ottima qualità.
www.wwpro.it
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- Macro -
TECNICI D’ECCELLENZA La terza generazione della LVR Digital, società all’avanguardia nella produzione, post produzione e distribuzione cinematografica, nasce nel 2011, ma vanta una tradizione familiare decennale. di CHIARA DEL ZANNO
Nonostante la rivoluzione digitale non avete rinunciato alle radici. Nascendo qui dentro il DNA era stampato, già da piccoli eravamo predisposti per questo mestiere. Ha iniziato nostro nonno, hanno continuato i nostri genitori e poi hanno guidato noi tre (due fratelli e un cugino) in questa nuova esperienza. Noi lavoriamo un video completamente diverso da quello di chi ci ha preceduto. Nonno ha lavorato la pellicola, i nostri genitori hanno lavorato i nastri, noi lavoriamo i files. Questa è la vera grande differenza…
questo caso basta pensare alla tecnica del giornaliero: oggi si gira con una camera che salva tutto su un hard disk, in un formato che è proprietario della camera. Quando l’hard disk arriva in azienda, anziché un girato in minuti c’è un girato in terabyte: solo copiarli nel computer e convertirli richiede diverse ore! Il “giornaliero” digitale quindi richiede normalmente 48 ore di tempo per essere consegnato. Noi riusciamo a completarlo in tempi più brevi, anche in giornata, perché abbiamo dei workflow operativi sviluppati proprio per migliorare i servizi di elaborazione, ma tutto dipende sempre dalla quantità di girato che ci arriva.
Rimpiangi mai il lavoro delle due generazioni precedenti? Diciamo che con la pellicola ci si divertiva di più. Rimpiangere è difficile, perché ogni volta che vai avanti incontri nuove tecnologie e ti ritrovi a essere coinvolto nel cambiamento. Ho trent’anni e ho iniziato a lavorare nove anni fa, eppure ho vissuto la fine della pellicola e il crollo del nastro, che ormai è un oggetto quasi da backup. Dopo l’exploit del file, posso dirti che tutto si è complicato. Ora ogni società che sviluppa un software fa un suo codec: anche quando compri una macchina fotografica, scatta in duemila formati diversi.
Avete una clientela molto vasta, sia nel target che nel prodotto: spaziate dalla fiction al cinema. Cosa si aspetta da voi il cliente televisivo rispetto al cliente cinematografico? La vera differenza è il tempo del prodotto. Richiedono lo stesso processo di elaborazione, a livello di tecniche, hardware e software. Anzi, il cliente televisivo è più complicato, poiché per ogni puntata l’azienda deve sostenere picchi di lavoro come se fosse un film: cento puntate sono cento piccoli film.
Quindi l’idea che con il digitale la tempistica di lavoro sia dimezzata, è un falso mito? Piuttosto è raddoppiata! Faccio un esempio banale: prima un film di 2 ore veniva acquisito in 2 ore. Oggi ci sono strumenti che consentono l’acquisizione in tempo reale, ma il file ha una sua codifica. Così fare altre operazioni, come ad esempio un Blu-Ray, può richiedere anche 4 o 5 ore di conversione. Noi lavoriamo molto per la fiction televisiva, e in
Il cliente televisivo è anche più incauto sul set… Esatto, la fiction ha un budget e una fruizione diversi rispetto al film. Sanno benissimo che quel giorno andranno in onda e devono fare di tutto per arrivarci. Sul set ci sono meno accortezze, che si ripercuotono sulla post produzione: quello che non fai in fase di ripresa, come coprire i citofoni su una fiction in costume, dovrai farlo in grafica e costerà moltissime ore di lavoro e di budget!
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Sul sito dell’azienda ci sono dei video in cui svelate il vostro intervento grafico su alcune scene girate: effetti speciali, color correction, sottotitoli. Per i visual effects intervenite già in fase di ripresa, come funziona? Il nostro intervento varia in base al budget. Quando il cliente già ci coinvolge mostrandoci lo script, possiamo dare direttamente delle soluzioni di scenografia; dove non è possibile farlo, ci ritroviamo sul set perché abbiamo già valutato come agire. Devi fare una duplicazione di persone perché non puoi permetterti cento comparse? Facciamolo, con dieci persone. Ma lo facciamo scientificamente, studiandolo in vista della post produzione, e col minor budget possibile. Si concertano le operazioni anche mesi prima, anziché riparare all’errore in seguito. In altri casi il cliente manda proprio noi a far delle riprese, a girare il cosiddetto “contributo”. Il nostro reparto di grafica è attrezzato con camera digitale e un computer per poter lavorare all’esterno, piccoli strumenti di lavoro e una mini postazione per il green screen in sala. Artisticamente preferisci un prodotto con un forte intervento grafico, o più sobrio? Preferirei intervenire meno, ma con più qualità (ride). Un esempio: noi forniamo il servizio di localizzazione dei film digitali che vanno in sala, cioè il master DCP. Può capitare che il film da distribuire in Italia arrivi dal laboratorio estero privo di fondini, cioè senza le scene pulite che ti permettono poi di intervenire con i titoli. Quando mancano i fondini il nostro intervento sul video è più invasivo: bisogna mascherare o sfruttare parte del titolo originale e metterne uno nuovo in italiano. Ci sono film in cui abbiamo creato qualcosa: un lavoro magari
distante dal titolo grafico ideato dal distributore. Intervenendo fotogramma per fotogramma vai a ricostruire una porzione di immagine, inserendo qualcosa di nuovo. Cosa grava di più sul lavoro pratico di post produzione? Anche in questo caso dipende sia dall’intervento che dal budget. Se guardi i contenuti speciali del Blu-Ray di Vita di Pi, spiegano che ci è voluto quasi un anno per realizzare il mare in tempesta e i vari animali. Il vero problema degli effetti grafici è quando la camera non è fissa. Se non si rispettano delle regole basilari, anche sostituire dei vasetti con delle belle fioriere ci impone una ricostruzione fotogramma per fotogramma… e un intervento minimo può richiedere dei giorni! La vostra azienda annovera dei tecnici d’eccellenza: Mauro Lozzi, Sandro Bonanni … quanto è importante la formazione, per mantenere alto il livello di un team così valido? Non ci crederai, ma si può dire che quasi non c’è una scuola. Mauro Lozzi è stato il primo dei dipendenti di mio nonno della LVR, quando partì l’avventura del digitale nel 1980, divenne colorista qui, eppure ha imparato solo lavorando! Così oggi le nuove leve arrivano dall’università, con cui collaboriamo grazie a percorsi di stage. Sono spesso ragazzi con capacità notevoli e grande passione, formarli è semplice perché amando quello che fanno studiano il software da soli, andando ben oltre le informazioni fornite dall’università. I migliori sono quelli che hanno voglia di sperimentare: chi gira videoclip, chi si occupa di tecniche di montaggio e di restauro. Spesso a venticinque anni sono più ferrati dei miei operatori, in termini di conoscenza tecnica del software!
«DICIAMO CHE CON LA PELLICOLA CI SI DIVERTIVA DI PIÙ. RIMPIANGERE È DIFFICILE, PERCHÉ OGNI VOLTA CHE VAI AVANTI INCONTRI NUOVE TECNOLOGIE E TI RITROVI A ESSERE COINVOLTO NEL CAMBIAMENTO». www.lvrvideo.com
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- Formazione -
VI PRESENTO I NOSTRI:
OFFICINELAB AL ROMAFF11 La squadra di OfficineLab, presentata da Officine Artistiche alla Festa del Cinema di Roma, ama il cinema di Virzì e Sorrentino, sogna un set diretto da Woody Allen o Quentin Tarantino, è giovane e determinata a realizzarsi. di CHIARA CARNÀ foto FABRIZIO CESTARI assistente UGO BAGLIONI make up EMANUELA DI GIAMMARCO hair VINCENZO PANICO abiti G-STAR, GIADA BENINCASA (top nero e oro)
H
anno tra i 18 e i 25 anni, studiano presso le migliori scuole di recitazione italiane e puntano a entrare ufficialmente nel mondo del cinema. Sono i 12 talentuosi ragazzi che Officine Artistiche, consolidata agenzia di management artistico, ha individuato come le nuove promesse del panorama attoriale italiano e selezionato per intraprendere un intenso percorso di formazione di due anni. Al termine, i più meritevoli verranno inseriti tra i professionisti dell’agenzia. L’iniziativa, giunta alla sua ottava edizione, ha contribuito negli anni a lanciare le carriere di artisti ormai conosciuti al grande pubblico. Tra gli altri, Elena Radonicich (Banat, 1992), Lorenzo Richelmy (protagonista di Sotto una buona stella accanto a Carlo Verdone e Paola Cortellesi); Maria Roveran (Questi giorni di Giuseppe Piccioni) o, ancora, Jacopo Olmo Antinori (Io e te di Bernardo Bertolucci, Zeta di Cosimo Alemà). Il più giovane della classe del 2016 è il romano Pietro Turano, 19 anni: «L’esperienza con Officine è emozionante. La cosa più interessante è il loro modo di lavorare con noi, di avvicinarci da subito all’ambiente dello spettacolo: conoscere addetti ai lavori, partecipare a uno shooting fotografico, calcare il red carpet».
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Alcuni dei 12 si sono avvicinati a Officine in maniera imprevista. Per Valerio Cappelli, ventiquattrenne romano, l’occasione è giunta dopo aver recitato in La ragazza del mondo di Marco Danieli. Michele Ragno – 20 anni, nato a Trani – racconta: «Sto per diplomarmi all’Accademia Silvio d’Amico e cercavo un’agenzia. Ho incrociato Officine Artistiche sul mio percorso per caso, ma ne sono felice». Anna Manuelli, ventenne fiorentina, sta frequentando il secondo anno al Centro Sperimentale: «Officine mi ha sorpresa, è stata un’esperienza inaspettata. Spero di imparare tanto e fare nuove esperienze». C’è chi aveva progetti completamente diversi, come Eugenio Mastrandrea (Roma, 23 anni): «Volevo fare il medico, ma dopo un paio di mesi di università ho capito qual era la mia vera strada. OfficineLab è iniziato nel migliore dei modi. Sarà utile per riuscire a trovare una propria collocazione e scoprire i ruoli più adatti a sé. Io vorrei cimentarmi in più stili diversi». Il grossetano Lorenzo Frediani, 24 anni, voleva fare il cantante ma «poi, grazie anche alle interpretazioni di Christian Bale, ho scoperto che mi divertivo più a recitare. Il mio sogno sarebbe stato essere Truman in The Truman Show». «Io studiavo ingegneria edile – confessa Giuseppe De Domenico, ventitreenne di Messina – ma la passione
per la recitazione, alimentata dai film con Kevin Spacey e i capolavori di Christopher Nolan, ha avuto la meglio. Di OfficineLab mi colpisce la sincera dedizione nei nostri confronti; ci ascoltano e considerano, e questo non è scontato». Officine Artistiche ha da sempre un occhio di riguardo per le potenzialità artistiche dei giovanissimi. I prescelti della nuova classe sono stati selezionati con meticolosa attenzione, cercando anche tra gli aspiranti provenienti da realtà meno note. Grazie a OfficineLab avranno la possibilità di farsi conoscere dagli operatori del settore (casting directors, produttori e registi) attraverso eventi e masterclass esclusive. Tra i formatori di OfficineLab professionisti come Pappi Corsicato, Paolo Genovese, Francesca Inaudi, Pippo Delbono, Piera degli Esposti, Filippo Timi, Francesca Neri, Enrico Lucherini e Roan Johnson. «Abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci con gli sceneggiatori di Non essere cattivo e col regista Fabio Mollo – racconta il romano Dimitri Skofic, 22 anni – Il lavoro con Officine è piacevole e rilassante. Ci danno davvero molta attenzione e mi sento fortunato a far parte di questo gruppo». Irene Casagrande, 20 anni, nata a Vittorio Veneto, ha avuto una consigliera d’eccezione: «A raccomandarmi di fare il colloquio è stata Alba Rohrwacher, con la quale avevo già lavorato. È la mia attrice di riferimento, perché abbiamo condiviso molto insieme». La ventunenne casertana Liliana Bottone ricorda di aver inviato il suo curriculum con tanta speranza ma poche aspettative: «Invece mi hanno presa e sono stata catapultata in un mondo incredibile, pieno di opportunità e nuove persone da conoscere. La coesione e la collaborazione nei progetti è l’aspetto più bello. Sarà complicato emergere, ma io sono determinata a metterci tutto il mio impegno». Negli anni, molti maestri della settima arte hanno selezionato per i loro film i talenti preparati da OfficineLab: Abel Ferrara, Liliana Cavani, Nanni Moretti, Paolo Sorrentino, Marco Bellocchio, Gabriele Salva-
tores, Michele Placido, Matteo Garrone... E proprio per Garrone sogna di recitare Francesca Pasquini, 26 anni, di Roma: «Con OfficineLab ho la possibilità di fare molti provini importanti. La sfida più grande è credere fino in fondo in se stessi e trasmettere questa sicurezza al pubblico». L’artista di riferimento di Francesca è Anna Magnani e lo stesso vale per la romana Priscilla Muscat, 24 anni: «OfficineLab è appena iniziato, ma mi sto mettendo tanto alla prova per capire se sono più predisposta al dramma o alla commedia. C’è tanta competizione tra i talenti emergenti e non è semplice trovare le occasioni giuste. Ci vuole anche un pizzico di fortuna!». Il debutto sul red carpet, il 21 ottobre alla Festa del Cinema di Roma, ospiti della sezione Alice nella Città, è stato emozionante per il gruppo. Ma è solo l’inizio: Officine Artistiche adesso comincerà sul serio a preparare i suoi pupilli a spiccare il volo da soli, con un rigoroso training personalizzato e moltissime sfide da affrontare. In un momento “cinematografico” in cui la promozione di giovani e nuovi talenti italiani è più urgente e importante che mai, chissà che, per i ragazzi di OfficineLab, il sogno di lasciare il segno sul grande schermo non si trasformi presto in realtà.
«L’INIZIATIVA, GIUNTA ALL’OTTAVA EDIZIONE, HA CONTRIBUITO NEGLI ANNI A LANCIARE LE CARRIERE DI ARTISTI ORMAI CONOSCIUTI».
Qui a destra foto di Azzurra Primavera e abiti di Quattromani e Federica Tosi
officineartistiche.com
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- Fumetto -
DR. MARKMAN EPISODIO 0 – SOTTO ZERO Mr. Markman pensa che la giusta distanza tra lui e questo mondo malato sia lunga quanto uno spinello. DAMIANO PERRONE, sceneggiatore, dopo il debutto con Il marchio propone la sua opera più matura coadiuvato ai disegni dal giovanissimo STEFANO MARTINUZ, che con il suo stile Disney crea una atmosfera lisergica degna di Cartoon Network. Trovi Mr. Markman su Facebook e su VERTICOMICS.
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www.facebook.com/Dr.MarkmanComic www.verticalismi.it
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DIARIO GLI EVENTI DI FABRIQUE
2 SETTEMBRE 2016
FESTA, INCONTRO, CONFRONTO. GLI EVENTI TARGATI FABRIQUE NELLA CONSUETA TRASFERTA VENEZIANA Come ormai da tradizione consolidata, per il quarto anno consecutivo Fabrique du Cinéma ha presentato il suo numero autunnale, il quindicesimo, durante la 73a Mostra Internazionale d’arte Cinematografica di Venezia.
Festa e approfondimento, il consueto mix rodato delle presentazioni romane della rivista è stato esportato al Lido. Il 2 settembre, con il patrocinio della Regione Veneto e il sostegno della Regione Lazio, Fabrique ha ospitato una tavola rotonda e un party. Momenti d’incontro e di confronto per gli addetti ai lavori del cinema e per chi, ancora giovane, il cinema sogna di farlo, mentre i numeri della rivista venivano distribuiti in tutta la Mostra. Quest’anno Fabrique è stata inoltre in prima fila al fianco di Save the Children per sensibilizzare l’opinione pubblica sul dramma di tanti bambini in fuga da guerre, violenza o povertà. Nei diversi appuntamenti tutti gli ospiti sono stati invitati a condividere l’appello #IoStoConAylan, affinché tragedie come quella del piccolo migrante siriano Alan Kurdi (conosciuto come Aylan), le cui immagini hanno scosso l’opinione pubblica mondiale, e di tanti altri bambini che hanno perso la vita in mare, non si debbano più ripetere. Tema della tavola rotonda svoltasi presso lo spazio della Regione Veneto all’interno dell’Hotel Excelsior è stato “La distribuzione dei cortometraggi: cosa c’è di nuovo” . Anche l’Italia si affaccia all’universo del mercato dello short movie, un formato che viene ormai accolto da oltre 170 festival nel solo territorio italiano. Esiste un’economia e una distribuzione legata alla produzione “breve”? Tra web e TV, finanziamenti e autoproduzioni, problemi e potenzialità di un settore in continua espansione sono stati dibattuti da registi e professionisti del settore tra cui: Ro-
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berto De Feo (regista e distributore), Jacopo Chessa (direttore Centro Nazionale del Cortometraggio), Antonello Centomani (Movieday), Giovanni Pompili (Kino Produzioni), Cateno Piazza (Catania Film Fest), Andrea Viganò (Younger’s In.Movie), Daniele Urciuolo (direttore artistico Younger’s In.Movie) e i registi Paolo Mannarino, Alessandro Tresa e Valerio Groppa. A moderare Ylenia Politano. Durante l’evento serale al Davidia, luogo storico dell’intrattenimento veneziano, è stato presentato il numero 15 della rivista con i suoi protagonisti. Presenti all’interno della serata anche Save the Children, con un reading a tema a cura dell’attrice di Gomorra 2 Cristiana Dell’Anna, e Film Commission Torino Piemonte, FIP Film Investimenti Piemonte e Tempesta che hanno festeggiato Le ultime cose, l’opera prima scritta e diretta da Irene Dionisio selezionata alla Settimana della Critica.
NEWS SETTEMBRE-OTTOBRE 2016
FABRIQUE APRE IL SUO SALOTTO Per chi non ha potuto esserci a Venezia, per aprire la redazione di Fabrique ai lettori, per rendere ancora più stretto il rapporto tra il nuovo cinema italiano e il suo pubblico: Fabrique apre il suo salotto. Per tre venerdì a partire dal 23 settembre è stato allestito un salotto nello splendido portico della Città dell’Altra Economia a Lungotevere Testaccio. Incontri con registi, proiezioni, buona musica per le menti e ottimo cibo per i palati: questa la formula dei Salotti Fabrique che hanno ospitato prime visioni di cortometraggi, live show, concerti, presentazioni di libri e dj set.
18-20 NOVEMBRE
TORINO SHORT FILM MARKET Una prima volta importante, al Torino Film Festival si alza il sipario sul primo Torino Short Film Market. Organizzato dal Centro Nazionale del Cortometraggio, il TSFM è il primo mercato internazionale in Italia dedicato al cortometraggio. Un tema oltremodo caro a Fabrique, che da sempre si spende per la visibilità degli short movies italiani e che è stata presente con la distribuzione delle copie. 28 NOVEMBRE-1 DICEMBRE 2016
A SORRENTO PER LE GIORNATE PROFESSIONALI DEL CINEMA Appuntamento irrinunciabile per gli addetti ai lavori, alle Giornate professionali del Cinema di Sorrento gli esercenti e i distributori sollevano il velo sulla nuova stagione cinematografica. Fabrique come ogni anno era là con le copie del nuovo numero 16 distribuite in anteprima.
DOVE
Come e dove Fabrique
ROMA CINEMA CASA DEL CINEMA | 06.423601 | Largo Marcello Mastroianni, 1 EDEN FILM CENTER | 06.3612449 | Piazza Cola di Rienzo, 74 GREENWICH | 06.5745825 | Via G. Battista Bodoni, 59 INTRASTEVERE | 06.5884230 | Vicolo Moroni, 3 MADISON | 06.5417926 | Via G. Chiabrera, 121 NUOVO SACHER | 06.5818166 | Largo Ascianghi, 1 TIBUR | 06.4957762 | Via degli Etruschi, 36 LOCALI BIG STAR | Via Mameli, 25 CAFFÈ LETTERARIO | Via Ostiense, 95 KINO | Via Perugia, 34 KINO MONTI | Via Urbana, 47 LE MURA | Via di Porta Labicana, 24 NECCI | Via Fanfulla da Lodi, 68 SCUOLE CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA | Via Tuscolana, 1520 CINE TV ROSSELLINI | Via della Vasca Navale, 58 GRIFFITH | Via Matera, 3 ROMEUR ACADEMY | Via Cristoforo Colombo, 573 SCUOLA D’ARTE CINEMATOGRAFICA GIAN MARIA VOLONTÉ | Via Greve, 61
MILANO CINEMA CINEMA ANTEO | Via Milazzo, 9 CINEMA ELISEO | Via Torino, 64 LOCALI OSTELLOBELLO | Via Medici, 4 SCUOLE NUOVA ACCADEMIA DI BELLE ARTI | Via C. Darwin, 20 Milano
TORINO CINEMA CINEMA MASSIMO | Via Giuseppe Verdi, 18
BOLOGNA CINEMA CINEMA LUMIÈRE | Via Azzo Gardino, 65
FABRIQUE DU CINÉMA
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO AUTUNNO
2016
Numero
15
OPERA PRIMA
MINE
Il war film di Fabio&Fabio, fra l’Italia e Hollywood
NUOVI MAESTRI
SERGIO RUBINI
Attore, regista, artigiano: un ritratto a tutto tondo
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
COMICS
EMILIANO MAMMUCARI
“C’è sempre bisogno di una componente di caos, di disordine”
EREDI DI NOI STESSI
Cristiana Dell’Anna storie di chi parte, di chi ritorna e di chi resta per seguire la sua vocazione “Progetto realizzato con il cofinanziamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale – e della Regione Lazio di cui all’art. 82 della L.R. 6/99 e ss.mm.ii..
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FIRENZE CINEMA CINEMA STENSEN | Viale Don Giovanni Minzoni, 25
FESTIVAL Cortinametraggio Festival Internazionale del Film di Roma Ischia Film Festival Maremetraggio - International Shorts Film Festival Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia Roma Creative Contest Roma Web Fest Rome Independent Film Festival Visioni Italiane Cineteca di Bologna
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