LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO PRIMAVERA
2017
Numero
17
FANTASCIENZA
IN A GALAXY FAR, FAR AWAY... I registi italiani alla (difficile) prova del genere sci-fi
DOCUMENTARIO
“VERGOT”
Un intenso rapporto tra fratelli visto da una regista 26enne
SOUNDTRACK
LELE MARCHITELLI
“Non esiste una musica bella se non c’è un bel film”
CON MATILDA DE ANGELIS, CHE DOPO “VELOCE COME IL VENTO” NON SI È PIÙ FERMATA “Progetto realizzato con il cofinanziamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale – e della Regione Lazio di cui all’art. 82 della L.R. 6/99 e ss.mm.ii..
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La CaRTa STaMPaTa deL NUOVO CiNeMa iTaLiaNO
NOVEMBRE 2012
Numero
La CaRTa STaMPaTa deL NUOVO CiNeMa iTaLiaNO
0
FEBBRAIO 2013
OPERA PRIMA
Numero
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
La CaRTa STaMPaTa deL NUOVO CINeMa ITaLIaNO
1
MAGGIO 2013
OPERA PRIMA
VIAGGIO nEL cuOrE dI TEnEbrA
Numero
2
GENNAIO FEBBRAIO MARZO
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
5
ESTATE
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
6
AUTUNNO
Cupo e potente l’esordio de “Le formiche della città morta”
FESTIVAL DI ROMA
IcOnE
IcOnE
ICONE
ICONE
ICONE
UN DIRITTO DA DIFENDERE
La soLa scuoLa è L’esperienza
GIULIANO MONTALDO
SOPHIA 80
ABEL FERRARA
Roberto Faenza insegna ai suoi studenti a non smettere di lottare
Sessant’anni di cinema vissuti con coerenza e il sorriso sulle labbra
Parla Marco Bellocchio, “scandaloso” esordiente negli anni ’60
“Mi piacciono le cose difficili e ho ancora un sogno da realizzare”
“Fare film è come cercare di risalire un fiume al contrario”
ICONE
DOssIER
SchERMO blu
DOSSIER
DOSSIER
DOSSIER
IncOnTrO cOn GIAnnI AMELIO
FESTIVAL FACTORY
La MiGLiore oFFerTa
PRODUCT PLACEMENT
EUROPROGETTAZIONE
LE SCUOLE DI CINEMA
Ai giovani cineasti dico: condividete la vostra passione
Come i nuovi festival aiutano i giovani talenti e fanno guadagnare
Consigli per gli acquisti? Acqua passata. Ora si guarda al PP
Tra vero e falso: gli effetti speciali nel film di Giuseppe Tornatore
Quello che c’è da sapere sui finanziamenti UE per il cinema
IL NUOVO CINEMA ITALIANO È ADESSO
LAVORARE SODO LAVORARE TUTTI (I GIORNI)
GIULIA VALENTINI Ecco la nostra rivoluzione
FABRIZIO FALCO Capofila dei nuovi attori impegnati
BERSAGLIO
RItRAttO dI unA “cAntAttRIcE” cOn lE IdEE chIARE
E COME LUI SONO IN TANTI I RAGAZZI CHE PUNTANO TUTTO SUL LORO TALENTO
suLLe nosTre GaMBe Margherita Vicario
Studiare cinema a Roma: dove, come, quanto
UPGRADE
È TEMPO D’ESTATE, DI TANTI PICCOLI FESTIVAL DA NORD A SUD, DI FILM SOTTO LA LUNA
DRITTO AL
cAMMInIAMO
7
OPERA PRIMA
UNA PARABOLA UNDERGROUND
“Smetto quando voglio”: la nuova commedia italiana scintilla
LA SETTIMA VOLTA
Si apre la nuova edizione sotto la guida di Marco Müller
Numero
2014
OPERA PRIMA
SMART COMEDY
“L’arte della felicità”: quando il Sud è un passo avanti
I giorni della vendemmia di Marco Righi, un successo grazie al passaparola
Numero
2014
OPERA PRIMA
NAPOLI, CITTÀ DELL’ANIMA
eMiLia senTiMenTaLe
Morando Morandini intervista l’autore di “Alì ha gli occhi azzurri”
Numero
2014
OPERA PRIMA
CON LA CAMERA A SPALLA
Là-Bas, diario spietato di un’educazione criminale
FRANCESCO FORMICHETTI NON HA DUBBI
recitare è la mia vita
OVVERO AGGIORNARSI, CRESCERE, SALIRE PIÙ IN ALTO
È QUELLO CHE NOI FACCIAMO E CHE FANNO I GIOVANI PROFESSIONISTI DI CUI VI RACCONTIAMO
Sarà Matilda Lutz, attrice 23enne, la nostra splendente stella-guida nel cinema giovane che ci piace
MARCO PALVETTI, ATTORE DAL TALENTO MULTIFORME, È UNO DI LORO 1
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO INVERNO
2014
Numero
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
8
ESTATE
2015
Numero
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
10
INVERNO
Numero
2015
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
12
PRIMAVERA
2015
Numero
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
13
ESTATE
2016
Numero
14
AUTUNNO
2016
Numero
OPERA PRIMA
ICONE
FUTURES
OPERA PRIMA
OPERA PRIMA
OPERA PRIMA
LA COSTRUZIONE DI UN AMORE
SORRENTINO GARRONE MORETTI
ROBERTO DE FEO
LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT
BANAT
MINE
Fra madre e figlio, nel paesaggio marino di “Last Summer”
I nuovi classici
Un corto sulla via dell’Oscar e le idee molto chiare
“Il genere è lo strumento con cui raccontare la contemporaneità”
15
Il war film di Fabio&Fabio, fra l’Italia e Hollywood
Nel film d’esordio di Adriano Valerio, la vita forse, è altrove
ICONE
SMART TV
SOUNDTRACK
ICONE
FUTURES
NUOVI MAESTRI
WIM WENDERS
L’EVOLUZIONE DELLA SPECIE
DIEGO BUONGIORNO
RUGGERO DEODATO
VALENTINA BERTANI
SERGIO RUBINI
Come i nuovi player scalzeranno i “dinosauri” televisivi
ZONA DOC
Quando il suono è immagine, arte, performance
SOUNDTRACK
IL CINEMA DEL REALE
VISIONARI Come ha fatto Miriam Dalmazio, eclettica musa
Il nuovo cinema nasce anche dalla rete, come ci racconta Claudio Di Biagio
Imparano, sfidano se stessi, diventeranno i nuovi maestri ALESSANDRO BORGHI
COMICS
EDOARDO TRESOLDI
“Questo è decisamente il momento di stare in Italia”
IS ON OUR SIDE
Attore, regista, artigiano: un ritratto a tutto tondo
ARTE
VINCENZO ALFIERI
“Della critica non m’importa niente. Ho fatto i film che volevo”
TUTTO IL POTERE AL POPOLO (DEL WEB)
Dalla moda e dai videoclip a un set internazionale
FUTURES
LINA WERTMULLER
“Niente è più potente della simbiosi tra immagini e musica”
NELLO SPAZIO FRA SOGNO E REALTÀ I GIOVANI COSTRUISCONO IL LORO PRESENTE E IL LORO FUTURO
L’avventuriero del cinema italiano che ha ispirato Stone e Tarantino
ICONE
MARCO FASOLO, JENNIFER GENTLE
Nuove forme narrative del documentario
RITRATTO DELL’ARTISTA DA GIOVANE
“L’ideale? Non avere punti di riferimento”
EMILIANO MAMMUCARI
“Con la trasparenza della rete faccio dialogare l’uomo e lo spazio”
“C’è sempre bisogno di una componente di caos, di disordine”
EREDI
RESURREZIONE FALLIRE, TENTARE DI NUOVO, RIUSCIRE Matteo Martari e i nuovi attori,registi, autori non hanno paura degli ostacoli e dei rischi
DI NOI STESSI
Cristiana Dell’Anna storie di chi parte, di chi ritorna e di chi resta per seguire la sua vocazione “Progetto realizzato con il cofinanziamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale – e della Regione Lazio di cui all’art. 82 della L.R. 6/99 e ss.mm.ii..
Oggi si esprime in teatro, nella pubblicità, in TV, sul web, al cinema. Come Stella Egitto
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PROGETTO FABRIQUE
Siamo felici di comunicare che il progetto Fabrique è stato premiato dalle istituzioni: un’iniziativa, quella del magazine, realizzata dall’associazione Indie Per Cui e cofinanziata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Gioventù e del Servizio Civile Nazionale e dalla Regione Lazio attraverso il Piano Annuale Interventi in favore dei Giovani, che nasce dall’intento condiviso di promuovere il giovane cinema italiano. Fabrique du Cinéma rappresenta infatti il primo progetto di crossmedialità dedicato al mondo del nuovo cinema nazionale. Una comunicazione integrata che utilizza più media all’interno di un grande programma editoriale: una rivista trimestrale gratuita, un portale web e un evento culturale multidisciplinare pensato come momento aggregante. Mettendo in luce le nuove leve della Settima Arte, creando connessioni con le major delle produzioni televisive e cinematografiche, collaborando attivamente con le industrie del settore cinematografico e con i maggiori festival nazionali, la freepress Fabrique è divenuta un punto di riferimento per gli studenti e per gli addetti ai lavori, pensata anche per un pubblico trasversale affascinato dallo spettacolo, dal dietro le quinte e dalle novità. Gli eventi Fabrique du Cinéma sono un appuntamento atteso sempre più da molti; le proiezioni dei cortometraggi, le mostre espositive, i concerti di gruppi musicali italiani offrono al vasto pubblico giovane un intrattenimento innovativo e coinvolgente. Nel suo complesso Fabrique du Cinéma è l’espressione di una rete di giovani operatori dell’audiovisivo, che si rivolge agli amanti del cinema contemporaneo, d’autore, indipendente e di qualità, ed è attenta alle nuove sperimentazioni cinematografiche per il web e alle forme di interazione tra il cinema e le arti.
Info e contatti su www.fabriqueducinema.com
Progetto realizzato con il cofinanziamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale – e della Regione Lazio di cui all’art. 82 della L.R. 6/99 e ss.mm.ii..
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S
SORPRESA!
GIÀ BRILLANO LE STELLE DEL FUTURO
#SENSATIONDRIVER
MATILDA VA VELOCE
VERSO L’INFINITO E OLTRE
SOMMARIO
IL PARADISO PUÒ ATTENDERE
Pubblicazione edita dall’associazione culturale Indie per cui Via Francesco Ferraironi, 49 L7 (00177) Roma www.fabriqueducinema.it
UN SET DI PENTOLE PER CHEF RUBIO
CORTINAMETRAGGIO
Registrazione tribunale di Roma n. 177 del 10 luglio 2013 DIRETTORE ARTISTICO Davide Manca DIRETTORE EDITORIALE Elena Mazzocchi SUPERVISOR Luigi Pinto STRATEGIC MANAGER Tommaso Agnese DIRETTORE RESPONSABILE Ilaria Ravarino GRAFICA E IMPAGINAZIONE Giovanni Morelli REDAZIONE Monica Vagnucci DISTRIBUZIONE E BANDI Simona Mariani PHOTOEDITOR Francesca Fago MARKETING Federica Remotti REDAZIONE WEB Cristiana Raffa Serena Ardimento SET DESIGNER Gaspare De Pascali AMMINISTRAZIONE Katia Folco Consuelo Madrigali UFFICIO STAMPA Patrizia Cafiero & Partners in collaborazione con Sara Battelli PUBBLICITÀ info@fabriqueducinema.it APS Advertising srl Via Tor de Schiavi, 355, 00171 ROMA www.apsadvertising.it STAMPA Press Up s.r.l. Via La Spezia, 118/C 00055 Ladispoli (RM)
14 OPERA PRIMA LAPREGARAGAZZA DEL MONDO PER NOI PECCATORI
IN COPERTINA Matilda De Angelis
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO 2017
Numero
17
FANTASCIENZA
IN A GALAXY FAR, FAR AWAY... I registi italiani alla (difficile) prova del genere sci-fi
DOCUMENTARIO
“VERGOT”
Un intenso rapporto tra fratelli visto da una regista 26enne
SOUNDTRACK
LELE MARCHITELLI
“Non esiste una musica bella se non c’è un bel film”
CON MATILDA DE ANGELIS, CHE DOPO “VELOCE COME IL VENTO” NON SI È PIÙ FERMATA “Progetto realizzato con il cofinanziamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale – e della Regione Lazio di cui all’art. 82 della L.R. 6/99 e ss.mm.ii..
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IL PADRE D’ITALIA
FABBRICARE NUOVI TALENTI? SI PUÒ!
I RAGAZZI VANNO ALLA “NON SCUOLA”
COLORIST
VERGOT
QUESTIONE DI CUORE
SARANNO FAMOSI
GIACOMO TRIGLIA
LELE MARCHITELLI
SCIAMANI VIRTUALI
INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Finito di stampare nel mese di marzo 2017
PRIMAVERA
04 EDITORIALE FABRIQUE 06 PREMIO FABRIQUE X PEUGEOT 10 COVER STORY 12 SCI-FI 18 FICTION 22 FILM E TV 24 RADIO FESTIVAL 26 OPERA SECONDA 30 FORMAZIONE 32 TEATRO 34 MESTIERI 38 ZONA DOC 42 ZONA DOC/2 44 DOSSIER ATTORI 46 VIDEOCLIP 52 SOUNDTRACK 54 REALTÀ VIRTUALE 56 EFFETTI SPECIALI 58 ARTS 64 PICTURES 66 DIARIO 68 DOVE 69 FRANCESCO POROLI
28 FUTURES DANIELE BARBIERO CRY, BABY
CINEMA D’EUROPA
GLI EVENTI DI FABRIQUE
COME E DOVE FABRIQUE
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E EDITORIALE
SORPRESA! di ILARIA RAVARINO @Ravarila_DM
Matilda De Angelis è la cover story di questo numero. Sorpresi? Non credo. Perché De Angelis è brava, ha talento, è capace e ardita, cocciuta e preparata, ha la stoffa per fare questo lavoro. È giovane, anche: poco più di vent’anni. A
noi di Fabrique, del resto, piace scommettere sui volti nuovi. Li mettiamo in coperti-
na da qualche anno e nessuno si sorprende. Per questo, qualche settimana fa, mi sono imbattuta con una certa meraviglia in un articolo dedicato all’approfondimento di un fenomeno “nuovo”: l’affacciarsi sulla scena cinematografica italiana di una fresca ondata di giovani interpreti. Scriveva il quotidiano «la Repubblica» in chiusura del pezzo: «Ciò che colpisce è l’alta professionalità dimostrata dall’ampio e variegato gruppo di nuovi attori: il problema ora è trovare storie che consentano loro di esprimere al meglio il proprio talento». Ciò che colpisce noi di Fabrique, invece, è l’atteggiamento (leggermente deprimente) secondo il quale sarebbe legittimo meravigliarsi della professionalità di un ventenne o di un trentenne. «L’ampio e variegato gruppo di nuovi attori» di cui il nostro giornale si occupa su ogni numero (avete visto il nuovo dossier attori?) non è composto da
per combinare loro qualche provino o per spingerli a migliorarsi. I volti ci sono, e non ha senso meravigliarsi della loro professionalità. Sono le storie, qui ha ragione il collega de «la Repubblica», che mancano. Mancano i ruoli, le opportunità. Da anni. E come mai mancano? Mancano perché mancano i registi: dei dieci citati nell’articolo come campioni di questo nuovo fenomeno – Veronesi, Molaioli, Chiesa, D’Alatri tra gli altri – solo due, Andrea De Sica e Ivan Silvestrini, hanno meno di quarant’anni. Dove sono oggi i registi
ventenni, gli Xavier Dolan italiani, dove sono i trentenni dietro alla macchina da presa? Al cinema ci arrivano di rado, ancora meno ne-
gli inserti dei grandi quotidiani. Però arrivano qui, sulle pagine di Fabrique: con le loro storie (ricordatevi i nomi che leggerete nello speciale sulla fantascienza italiana), con le loro età giovani e testarde (segnatevi la regista di cui parliamo nella Zona doc. E ricordate: ha 26 anni), con i loro film. Film come quelli di Fabio Mollo, 38 anni e già opera seconda qui su Fabrique. Quello di Marco Danieli, che Fabrique ha voluto premiare proprio in zona cesarini – sull’orlo dei 40 – per il bellissimo La ragazza del mondo. Vogliamo un vero ricambio nel cinema italiano? Co-
tanti bambini prodigio graziati per un capriccio del caso dal dono del talento. minciamo a dare fiducia anche ai giovaSono studenti di scuole di cinema, allievi di corsi di te- ni registi, fidiamoci dei giovani autori, atro, e anche se non hanno mai frequentato una scuola rispettiamo i giovani attori. Affidiamo d’arte stanno evidentemente coltivando un talento che loro budget, denaro, ambizioni: non non ha nulla a che fare col dato anagrafico. Ci sono vivai, sono bambini, ma giovani adulti. agenzie, talent scout, maestri che lavorano ogni giorno
Non dovremmo sorprenderci se sono più bravi di noi.
«Ci sono vivai, agenzie, talent scout, maestri che lavorano ogni giorno per sostenere i giovani interpreti». 4
foto ROBERTA KRASNIG stylist STEFANIA SCIORTINO assistente fotografa JACOPO GENTILINI makeup NICOLETTA PINNA@SIMONE BELLI AGENCY using ALIKA COSMETICS hair ADRIANOCOCCIARELLI@HARUMI total look MANILA GRACE
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2017
GIĂ€ BRILLANO LE
DEL FUTURO Nel titolo il presentatore della serata Dario Ceruti. In alto a destra, la giurata Valentina Lodovini.
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È UN MODO PER CELEBRARE IL TALENTO E LA VOGLIA DI INNOVARE.
È il nostro modo per raccogliere i frutti di un lavoro compiuto durante tutto l’anno alla ricerca degli autori, degli interpreti e delle opere più significative del nuovo cinema italiano, che continua a crescere. Questo il significato del Premio Fabrique du Cinéma, arrivato a una seconda edizione ancora più ricca e glamour, in attesa della terza, che si apre al mondo e diventa internazionale. foto GIULIO TIBERI
È
giunta al secondo anno la cerimonia del Premio Fabrique du Cinéma, che si è svolta lo scorso dicembre durante l’evento di presentazione del numero 16 della rivista, nella monumentale location di Spazio 900 a Roma. Impeccabili maestri di cerimonia Dario Ceruti e Martina Catuzzi. Come i nostri lettori ricorderanno, la scorsa edizione
del Premio Fabrique ha visto trionfare Miriam Leone (Attrice rivelazione), Alessandro Borghi (Attore rivelazione), Piero Messina (Miglior opera prima), Matteo Garrone (Miglior opera innovativa e sperimentale) e Federico Zampaglione (Miglior tema musicale).
Il Premio Fabrique du Cinéma è nato per valorizzare i giovani cineasti e attori, ma soprattutto per dare il giusto riconoscimento a chi nel cinema italiano si pone in maniera costruttiva e sperimentale, a chi cerca con ogni mezzo di dar vita a qualcosa di inedito attraverso la ricerca tecnica e contenutistica di un diverso modo di raccontare le storie e la realtà, a chi, con il proprio lavoro e interpretazione, porta innovazione nel panorama del cinema italiano. E, per dare corpo a questi obiettivi ambiziosi, abbiamo scelto di premiare i nostri artisti non con una semplice targa come tante altre, ma con una scultura vera e propria, disegnata dall’artista Federico Baciocchi.
Cinque le categorie del premio:
MIGLIOR OPERA INNOVATIVA E SPERIMENTALE MIGLIOR OPERA PRIMA ATTORE RIVELAZIONE ATTRICE RIVELAZIONE MIGLIOR TEMA MUSICALE 7
«LA MIGLIOR OPERA INNOVATIVA E SPERIMENTALE È MINE DI FABIO GUAGLIONE E FABIO RESINARO, GIRATO IN SPAGNA, CON UN PRODUTTORE AMERICANO E UN CAST INTERNAZIONALE». Le locandine di tre dei film vincitori del Premio Fabrique 2016.
Per il secondo anno esponenti di spicco del mondo dell’audiovisivo sono stati chiamati a partecipare alla Giuria per assegnare il premio nelle varie categorie, tra una rosa di candidati proposta dalla redazione della rivista. Per l’edizione 2016 il gruppo di esperti era composto da Piero Messina, Valentina Lodovini,
premio che vinciamo con questo film, ci sentiamo davvero onorati. Ma ci troviamo in ottima compagnia, e ci auguriamo che questa “triade” sia il simbolo della nuova onda del cinema italiano di cui Fabrique è il narratore. E siamo orgogliosi soprattutto che il
È Valentina Lodovini che inaugura le premiazioni aprendo la busta con le candidature per la Miglior opera innovativa e sperimentale: sono Mine di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, Escobar-Paradise Lost di Andrea Di Stefano, Veloce come il vento di Matteo Rovere. Vincono Fabio&Fabio con Mine, lungometraggio d’esordio girato in Spagna, con un produttore americano e un cast internazionale. Ma è la storia a fare la differenza: un soldato USA in missione nel deserto calpesta quella che con ogni probabilità è una mina che scoppierà appena toglierà il piede. Il film è un incalzante tour de force nella mente del marine fra il presente e il passato, con un inatteso colpo di scena finale. Dicono i registi, salendo sul palco di Spazio 900, «è il primo
consegnato da Domenico Diele, l’attore copertina del numero 16 di Fabrique, va a La ragazza del mondo di Marco Danieli, che correva insieme a Senza lasciare traccia di Gianclaudio Cappai e Il più grande sogno di Michele Vannucci. Marco, dopo aver invitato sul palco i suoi più stretti collaboratori, ringrazia «il Centro
Alessandro Borghi, Ivan Carlei e Federico Zampaglione.
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nostro “piccolo” film italiano uscirà presto in tutti i paesi del mondo». Il riconoscimento alla Miglior opera prima,
Sperimentale che insieme a RAI Cinema ha prodotto il film, che è stato interamente realizzato da ex allievi: noi siamo i più anziani, ma gli altri hanno tutti mediamente 25-26 anni. Questi ragazzi hanno esordito un po’ in tutti reparti ed è stato molto bello vederli al lavoro. E qualcuno ha proseguito subito in altri film».
Premiare l’Attrice rivelazione 2016, dice Dario Ceruti, «ha sempre qualcosa di seduttivo» e ne è consapevole Matilda De Angelis, trionfatrice su Sara Serraiocco e Daphne Scoccia, che ringrazia la giuria «per questo superpremio!». L’Attore rivelazione è invece Alessandro Sperduti (gli altri concorrenti erano Brando Pacitto ed Eduardo Valdarnini), che, emozionatissimo, ringrazia «Fabrique, la giuria, Ivan Cotroneo
e Indigo per avermi regalato questo ruolo bellissimo e la mia agente, Manuela Volpe. Sono felicissimo del premio, lo custodirò in camera da letto…».
Ma Fabrique non è solo cinema e il riconoscimento al Miglior tema musicale è lì ad attestarlo. Il vincitore, su Carlo Virzì de La pazza gioia e Lorenzo Tomio di Piuma, è Teo Theardo per La verità sta in cielo di Roberto Faenza. Il premio lo consegna Federico Zampaglione, musicista e regista, che commenta: «Io sono affezionato
a questo premio, già ho partecipato l’anno scorso e adesso sono giurato, un vero upgrade. È bello vedere che viene così tanta gente e che quindi c’è interesse verso premi che parlano di cinema».
In alto i vincitori del premio 2015: Piero Messina, Miriam Leone, Matteo Garrone. In basso: Alessandro Sperduti, Federico Zampaglione, Alessandro Borghi. Nella pagina a sinistra: Fabio Guaglione, Fabio Resinaro e Marco Danieli.
«È BELLO VEDERE CHE VIENE COSÌ TANTA GENTE E CHE QUINDI C’È INTERESSE VERSO PREMI CHE PARLANO DI CINEMA». www.fabriqueducinema.com
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FABRIQUE X PEUGEOT
#sensationdriver
LA NUOVA WEBSERIE DIRETTA E INTERPRETATA DA STEFANO ACCORSI PER LA CASA DEL LEONE.
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S
ei viaggi, sei storie, sei incontri per raccontare – con leggerezza e ironia – altrettante sfumature dell’anima. Negli episodi di #sensationdriver – online sul sito www.peugeotsensationdriver.it – Stefano Accorsi veste ancora una volta per Peugeot i doppi panni del regista e dell’interprete per accompagnare gli spettatori in un viaggio ad alto tasso emozionale.
Immagini dal backstage della webserie prodotta da Think Cattleya/ Think More per Peugeot.
«SEI BREVI RACCONTI, SEMPLICI E ALLO STESSO TEMPO SORPRENDENTI, CHE COINVOLGONO E FANNO SORRIDERE». REGIA Stefano Accorsi SCENEGGIATURA Stefano Accorsi, Francesca De Luca, Ugo Ripamonti FOTOGRAFIA Luca Esposito MONTAGGIO Marcello Saurino DIREZIONE CREATIVA Francesca De Luca, Erick Loi, Tommaso Mezzavilla
I sei episodi condividono lo stesso prologo ma raccontano sei vicende diverse, ognuna caratterizzata da un mood differente: gioia, invidia, esaltazione, paura, orgoglio e stupore. All’insegna di una fruizione coinvolgente e personalizzata, la webserie – prodotta da Peugeot
e ideata e realizzata in collaborazione con Havas Milan e Think Cattleya –
invita gli spettatori a scegliere quale sensazione vivere. Collegandosi al sito, infatti, si interagisce con il prologo delle avventure di Accorsi attraverso un freeze frame in stile “sliding doors” che deve essere, poi, sbloccato per avere accesso agli episodi e fare la propria scelta. Ogni storia ha una sua chiave
di lettura divertente e spesso inaspettata ma, qualunque sia l’episodio scelto – #gioia, #invidia, #esaltazione, #paura, #orgoglio, #stupore –, Stefano Accorsi si mette sempre in gioco in modo autoironico,
leggero e disincantato, giocando con gli stereotipi dell’essere attore. E, più
universalmente, dell’essere uomini e donne di un tempo dominato dai social, dalla voglia di apparire, dalla competizione, dal desiderio di successo. Il risultato finale sono sei brevi racconti, semplici e allo stesso tempo sorprendenti, che coinvolgono e fanno sorridere. #sensationdriver racconta emozioni. Peugeot coniuga eccellenza, design ed emozioni in un insieme in cui la
tecnologia è al servizio delle qualità e delle sensazioni. Il nuovo SUV Peugeot 3008, il SUV 2008 o le Peugeot 208 GTi e 308 GTi diventano, così “il palcoscenico” ideale di queste storie divertenti, ritmate e leggermente provocatorie, raccontate con un linguaggio e un tono di voce adatti al web. La webserie segna una nuova tappa della collaborazione fra Stefano Accorsi e Peugeot, iniziata nel 2012, quando la voce dell’attore venne scelta per interpretare lo spot televisivo Let Your Body Drive di Peugeot 208. Da allora il rapporto fra Accorsi e la casa del Leone è stato un continuo crescendo che ha generato non solo la presenza dell’attore in voce e in video negli spot pubblicitari del
marchio, ma anche una serie di progetti speciali caratterizzati da una forte dimensione creativa. Sono nati così i Tre viaggi, i cortometraggi diretti e interpretati nel 2014 da Accorsi, i video realizzati in virtual reality per tecnologia Oculus di Best Technology Experience (2016) e la partecipazione di Peugeot – con la mitica Peugeot 205 T16 – al film Veloce come il vento, diretto da Matteo Rovere, interpretato da Stefano Accorsi (a fianco di Matilda De Angelis – vedi Cover story) che, per il ruolo di Loris De Martino, è stato premiato come attore dell’anno con il Premio FICE (Federazione Italiana Cinema d’Essai) e ha ricevuto il Nastro d’Argento come migliore attore e il Premio Gian Maria Volonté 2016.
Stefano Accorsi Nato a Bologna il 2 marzo 1971, è attore di cinema e teatro. Si divide tra Italia e Francia, dove ha fondato la casa di produzione Stephen
Greep. È stato nominato Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres (Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere) dal Ministero
della Cultura francese. Nel 2013 ha debuttato alla regia con il cortometraggio Io non ti conosco, prodotto da Yoox Group
del quale è anche interprete (Nastro d’Argento 2014 miglior esordio alla regia). Lavori recenti: nella serie TV Il clan dei camorristi, al cinema
in Viaggio sola di Maria Sole Tognazzi, La nostra terra di Giulio Manfredonia, Veloce come il vento di Matteo Rovere, Fortunata di Sergio
Castellitto. Per Sky Italia la serie 1992 e il sequel 1993 con la regia di Giuseppe Gagliardi, della quale è ideatore e interprete.
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- Cover story -
MATILDA DE ANGELIS
MATILDA VA VELOCE La star ventunenne di Veloce come il vento, talento in inarrestabile ascesa, svela il suo incontro inaspettato col grande schermo, l’inesauribile amore per la musica e cosa il futuro ha in serbo per lei. realizzato in collaborazione con MASSIMO FERRERO CINEMAS, nella storica location del CINEMA TEATRO ADRIANO di Piazza Cavour di CHIARA CARNÀ creative producer TOMMASO AGNESE foto ROBERTA KRASNIG stylist STEFANIA SCIORTINO assistente fotografa JACOPO GENTILINI makeup NICOLETTA PINNA@SIMONE BELLI AGENCY - using: ALIKA COSMETICS hair ADRIANOCOCCIARELLI@HARUMI total look MANILA GRACE
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a giovanissima bolognese, grintosa e sicura di sé, confessa subito che la strada della recitazione non era affatto tra i suoi piani: «Ho sempre sognato di fare la musicista. Da quattro anni canto nel mio complesso, i Rumba de bodas, con cui mi sono esibita anche in giro per l’Europa. Coltivo tuttora la passione per la musica, mentre il mio ingresso nel mondo del cinema è stato decisamente inaspettato. Un amico mi ha proposto di fare un provino perché Matteo Rovere cercava una non professionista. Quando mi hanno presa ero spaventata, non mi sentivo affatto all’altezza. Matteo Rovere mi ripeteva che se ero stata scelta c’era un motivo e, pian piano, ho vinto ogni resistenza trovando un mio equilibrio in una normalità atipica». Che bilancio tracceresti di questa prima ma importante esperienza? Ho imparato a stare sul set giorno dopo giorno, grazie alla collaborazione degli altri. Soprattutto di Rovere, un amico prima che un regista, e di Stefano Accorsi, un artista generoso e vitale. Così si è accesa in me la passione. Un amore e tante nuove amicizie. È strano che un’esperienza così intensa e irripetibile coincida con la scoperta e l’inizio di tutto. Mi son detta che anche se la mia carriera da attrice fosse finita lì, ne sarebbe valsa la pena. Mi aspettavo il successo del film, pur avendo vissuto il set come in apnea. Addirittura non ricordavo di aver girato molte scene: mi sentivo sullo stesso piano degli spettatori. Questo è stato positivo, poiché sono molto autocritica e guardarmi con distacco mi ha aiutato ad apprezzare meglio il mio lavoro. Il riscontro del pubblico mi ha reso felicissima e orgogliosa, pur rimanendo con i piedi per terra!
a distruggere le proprie sicurezze per crearne di nuove. Può essere difficile accettare le critiche, ma è fondamentale farlo, pur mantenendo una propria identità. Bisogna cercare un contatto con le emozioni più profonde, tenere le valvole emotive aperte per dare verità al proprio personaggio. Non ultimo, essere seri e professionali e avere rispetto per la troupe. In realtà non mi sento indicata a dare consigli a chi voglia intraprendere la carriera cinematografica, direi solo di non abbattersi e non rinunciare, mettersi in gioco come essere umano e lavorare con costanza, facendo dei propri difetti una forza. Dopo il grande schermo, ti sei cimentata nel cortometraggio, nella fiction e nel videoclip. La musica sembra andare di pari passo con il tuo percorso da attrice. Esatto, sono onorata di aver preso parte come attrice al videoclip Tutto qui accade dei Negramaro. Li stimo tantissimo e mi sono prestata al progetto con entusiasmo. Anche nella fiction Tutto può succedere mi esibisco live e in Veloce come il vento canto la canzone dei titoli di coda. Tra i vari set, invece, cambia inevitabilmente il tempo da dedicare al progetto. L’empatia con le persone con cui collaboro per me rappresenta il 50% del lavoro. Nella fiction eravamo diventati come una famiglia, e questo viene percepito dallo spettatore. In un corto o in un videoclip è difficile che si crei coesione. Il corto Radice di 9 di Daniele Barbiero, ad esempio, è stata un’esperienza splendida però si nota che tra gli attori non c’era confidenza, perché ci eravamo appena conosciuti. Un altro aspetto interessante della recitazione consiste nell’affrontare sempre nuovi personaggi. Finora ho prestato il volto a ragazze oscure e tormentate alla Giulia De Martino eppure, allo stesso tempo, diversissime da lei. Ho avuto modo di crescere ed essere diversa da quel che sono sempre stata, tirando fuori parti di me chiuse a chiave per raccontare una verità. Sto interpretando tante ragazzine incazzate, ma tutte a modo loro.
«È STRANO CHE UN’ESPERIENZA COSÌ COINCIDA CON LA SCOPERTA E L’INIZIO DI TUTTO».
E tu con che cinema - e musica - sei cresciuta? Mio padre è un divoratore di note e di celluloide. Mi ha fatto appassionare alla musica rock anni ’80 e ancora oggi mi fa scoprire nuovi artisti. Tra i miei miti ci sono Bowie, i Radiohead, i Beatles. Pian piano ho trovato anche una direzione che assecondasse di più le mie ricerche musicali. Per quanto riguarda il cinema, sempre grazie ai miei, ho imparato ad amare Lynch, Scorsese, Tarantino e Gondry. Quali qualità non può non avere un bravo attore, secondo te? Assolutamente l’elasticità mentale. Deve essere disposto
Cosa puoi dirci dei tuoi progetti futuri? In primavera sarò protagonista di due film: Youtopia di Berardo Carboni, con Donatella Finocchiaro e Alessandro Haber e Una famiglia di Sebastiano Riso, con Micaela Ramazzotti e Patrick Bruel. Poi ci sarà la seconda stagione di Tutto può succedere.
Matilda De Angelis sarà protagonista in primavera di due nuovi film, Youtopia e Una famiglia.
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- Opera prima -
LA RAGAZZA DEL MONDO
PREGA PER
NOI PECCATORI
Giulia si ribella per amore alle regole che la sua confessione religiosa le impone e scoprirà “il mondo” degli altri. L’esordio dietro la macchina da presa di Marco Danieli si aggiudica il premio di Fabrique per la migliore Opera prima del 2016. di LUCA OTTOCENTO foto NICOLETTA BRANCO
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ispetto a tanti suoi colleghi Marco Danieli ha esordito tardi nel lungometraggio, all’età di 40 anni. Al Centro Sperimentale, dove si è formato e attualmente svolge l’attività di docente tutor nel corso di regia curato da Luchetti, è giunto solo ventisettenne («per diverso tempo non ci ho nemmeno provato, convinto che fosse troppo difficile entrare») e in passato, oltre a girare alcuni cortometraggi e documentari brevi, ha lavorato per una TV satellitare. Questi anni gli sono serviti per maturare una padronanza del mezzo filmico che l’ha portato a realizzare un’ottima opera prima, caratterizzata da una regia rigorosa e un approccio al contempo intimo e privo di retorica. La ragazza del mondo racconta la storia di Giulia, una diciannovenne Testimone di Geova soffocata dalle restrizioni impostele dal mondo di provenienza, la cui vita inizia a cambiare quando si innamora di un trentenne appena uscito di galera che non fa parte della sua comunità. Cosa ti ha spinto a raccontare la particolare esperienza di una giovane Testimone di Geova? Con il co-sceneggiatore Antonio Manca eravamo da tempo concentrati su un’altra storia e avevamo già un produttore, quando un’amica comune ci ha raccontato questo vissuto personale che ci ha folgorato. Abbiamo così deciso di spostarci su questa nuova storia, convinti che dovessimo darle la precedenza. All’inizio c’è stata una fascinazione quasi antropologica, perché sapevamo poco
dei Testimoni di Geova ed era un po’ come se avessimo scoperto un mondo. A interessarci era però soprattutto lo specifico della vicenda di questa ragazza, che poi è l’aspetto che credo possa rendere il film più universale. La ragazza del mondo, infatti, è in fondo una sorta di romanzo di formazione di una ragazza alla ricerca della propria identità, che vive forti conflitti in un contesto estremamente rigido. La ragazza del mondo si concentra molto sulla storia d’amore tra i due protagonisti, ottimamente interpretati da Sara Serraiocco e Michele Riondino. Fin da quando tre anni fa ho realizzato un promo di 10 minuti, in cui ho girato le scene più importanti di quello che poi sarebbe stato il film, ho capito che la protagonista doveva essere interpretata da Sara. Mi sono talmente legato a questa sua idea di interpretazione del personaggio che non ho mai aperto un casting per il ruolo di Giulia. Oltre a essere molto espressiva, ha un naturalismo fortissimo e, nonostante abbia una sua tecnica di recitazione, quando è in scena sembra quasi una non attrice. Per me lei è davvero un’interprete cinematografica nata. Per quanto riguarda Michele, ho pensato immediatamente a lui non appena abbiamo deciso di alzare l’età del personaggio di Libero, che originariamente avevamo immaginato più giovane. Michele ha una formazione teatrale e tuttora alterna al cinema teatro e fiction: è un attore trasversale, preparato, scrupoloso e che compie un lavoro sul personaggio simile a quello di molti interpreti americani.
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«NON VOLEVO IN ALCUN MODO PERDERE LA CAPACITÀ DI EMOZIONARMI».
La sceneggiatura che hai scritto con il tuo abituale collaboratore è solida e priva di sbavature. Tra me e Antonio Manca c’è un feeling particolare. Ci siamo conosciuti sui banchi del Centro Sperimentale e da quel momento abbiamo fatto tanto insieme. In qualche modo ci completiamo a vicenda: lui ha una notevole cultura umanistica mentre io sono più tecnico. L’ambizione era proprio di dare vita a una sceneggiatura solida. Volevo in tutti i modi evitare di accorgermi sul set che c’era un passaggio che non funzionava a dovere e abbiamo lavorato parecchio in questa direzione. Diciamo che, avendoci messo più di qualche anno a trovare i finanziamenti per il film, abbiamo avuto parecchio tempo da dedicare alla scrittura. A ogni modo, sentivo che era fondamentale avere come base una sceneggiatura forte, matura e con un certo ritmo. Anche perché poi sul set, come regista, avevo il desiderio di lasciare spazio all’improvvisazione e aprirmi alle possibilità che possono riservare le intuizioni del momento. Non volevo in alcun modo perdere la capacità di emozionarmi e di capire la scena nei momenti in cui mi trovavo per la prima volta sul set. A proposito delle difficoltà nel reperire i finanziamenti, cos’è che più di tutto ti ha aiutato a realizzare il film e quali consigli daresti a dei giovani registi che tentano di esordire? Per trovare i soldi necessari c’è voluto davvero molto tempo e alla fine il promo a cui accennavo prima è stato fondamentale per reperire i
fondi e convincere produttori e attori ad accettare di prendere parte al progetto. Il mio consiglio è quello di lavorare su una storia che sentono fortemente. Credo che non sia utile chiedersi cosa vada di moda al cinema, ma piuttosto cercare un tema che ti emoziona e che ti coinvolge, perché poi probabilmente ci dovrai lavorare per anni e a quel punto, se non hai un legame molto forte con quanto vuoi raccontare, c’è il rischio che nel frattempo te ne disamori. Sono riuscito a portare a termine il film anche perché questa vicenda mi aveva molto colpito, toccandomi delle corde profonde di cui probabilmente ancora oggi non sono fino in fondo consapevole. Recentemente hai scritto insieme ad Antonio Manca e ad Antonella Lattanzi 2Night di Ivan Silvestrini. In futuro pensi di dedicarti ancora a sceneggiature di film di cui non curerai la regia? Attualmente mi sto concentrando sulla mia opera seconda e sono in fase di scrittura. Con 2Night è stata la prima volta che scrivevo un film per altri e devo dire che lo rifarei volentieri. Mi piacerebbe anche girare un film di cui non ho scritto soggetto o sceneggiatura. Secondo me è importante avere una certa elasticità che possa portarti a fare una volta lo sceneggiatore per un altro regista e magari la volta dopo il regista di uno script non tuo. Non penso che questo tolga qualcosa alla vocazione autoriale di un cineasta. Come ci insegnano tanti importanti registi americani, se hai un tuo punto di vista e una tua personalità, alla fine questi emergono anche se non hai scritto il film.
Nella sua opera, Marco Danieli ci svela il mondo dei Testimoni di Geova attraverso l’amore dei due giovani protagonisti.
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- Sci-fi -
VERSO L’INFINITO E OLTRE Potrebbero stupirci con effetti speciali, come ricordava una mitica pubblicità della Telefunken. Ma preferiscono fare ottimo cinema di genere. di BORIS SOLLAZZO illustrazioni di GUIDO SALTO*
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a primavera della fantascienza italiana viaggia su sottomarini trasformati in astronavi (la cabina di pilotaggio dello storico sommergibile Nazario Sauro è la location de L’anomalia, corto di Luca Franco in lavorazione ora, scritto con Giovanni Robbiani), su cinegiornali diventati cronache dal futuro, su modellini e ottiche diverse con l’aiuto del green screen solo quando non si può proprio usare la scenografia naturale. Viaggia sulle spalle di esploratori che non hanno paura di perdersi nelle odissee nello spazio oscuro della produzione cinematografica italiana, pur di continuare a vivere il proprio sogno, che parte da Méliès e che ora si riconosce soprattutto in Alfonso Cuaròn (I figli degli uomini più di Gravity), un po’ in Neill Blomkamp (District 9, Elysium, Humandroid)
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* 28 anni, concept artist e illustratore 2 e 3D, ha collaborato ad Attack of The Cyber Octopuses e a molti progetti per startup tecnologiche, case editrici (Dixidiasoft), aziende di videogiochi (ad es. il videogame The Steampunk League, ancora in produzione).
e in parte Gareth Edwards (l’ultimo Star Wars, ma anche Monsters). Quella fantascienza umanista, politica, sociale, intimista e metaforica che trova nella distopia, più che nelle scene belliche tra astronavi o cloni, la propria profonda realizzazione. A spiegarlo meglio di tutti è Lorenzo Sportiello, che con Index Zero neanche tre anni fa ci ha regalato uno dei lungometraggi più interessanti della nostra nouvelle vague sci-fi. «La fantascienza fa parte del mio immaginario fin da piccolo e da adulto, da regista, ho capito che tutto può entrare in questo genere: horror, comicità, sentimenti. Solo in questo recinto riesci a raccontare il nostro mondo per renderlo più chiaro, e questo grazie all’iperbole naturale che ha in sé. Un film sui migranti, come Index Zero, fatto più “dritto”, magari su Lampedusa, non lo avrei trovato interessante né efficace: là traspongo tutto in un mondo non visto». Perché le influenze sono soprattutto di scrittura e si raccolgono ovunque. Anche nell’attualità. «I tunnel del mio film, percorsi da una coppia che vuole dare un futuro migliore al figlio nascituro, non sono solo quelli palestinesi, ma una metafora del mare, che mi era vietato dal budget». In ognuno di questi film c’è un muro. E non parliamo solo di quello produttivo e distributivo, contro il quale tutti hanno sbattuto – “e speriamo che Jeeg Robot abbia cambiato le cose” dicono tutti come un mantra – ma di quelli che compaiono nei loro film. Veri o figurati, si va verso o si fugge da essi, sono parte integrante dei loro universi narrativi. «La complessità del presente, tra verità e post verità – aggiunge Sportiello – puoi interpretarla solo elevando la realtà dalla melma del populismo, del dibattito politico degli ultimi anni. Dobbiamo insistere su questo sentiero, il mash up di generi è la vera sfida del futuro delle arti visive». Sembra lontanissimo Riccardo Bolo dall’immaginario del collega, eppure il suo futuro (passato) remoto, debitore di Chris Marker in Tanabata, ma anche di un’estetica espressionista e allo stesso tempo debordiana in Blue Screen, ideato e scritto con Alessandro Arfuso, ci restituisce un universo politico e creativo altrettanto potente e originale. «Quest’ultimo nasce da un premio di sviluppo che prevedeva l’utilizzo dell’Archivio Audiovisivo del movimento operaio e democratico: quindi, un po’ per caso e per necessità, abbiamo visto i materiali e ci è venuta l’idea dei cinegiornali dal futuro, un futuro tutto fondato sull’emancipazione dal lavoro ». La forza di questi ragazzi – sono tutti giovani, seppur con notevole esperienza – è proprio nel recuperare la lezione dei grandi del passato, dei Kubrick e dei Lucas. «L’anomalia – ci dice Luca Franco – è tutto fatto di modellini e riprese in studio. Chiusi in un’unica location, in cui Marte e Terra sono luoghi lontani e noi viviamo il limbo del viaggio di tre amici
«IL MASH UP DI GENERI È LA VERA SFIDA DEL FUTURO DELLE ARTI VISIVE».
Nel corto sci-fi L’anomalia, protagonisti Enzo Paci, Davide Paganini e Marinko Prga, la cabina di pilotaggio del Nazario Sauro diventa un’astronave.
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«LA FANTASCIENZA PER ME È SIMILE ALLA FILOSOFIA: UN MODO PER RIFLETTERE SULLE NOSTRE ESISTENZE».
Attack of the Cyber Octopuses, firmato da Nicola Piovesan, è ambientato nel 2079 a Neo-Berlin, cupa metropoli governata da mega corporation.
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in un’astronave-baracca». E se tutto questo non vi sembra faccia abbastanza Star Wars, sappiate che il buon Franco ha come stelle polari 2001 Odissea nello spazio, Alien, Blade Runner e sì, George Lucas. Tanto che fu in una libreria, guardando una foto in cui dei tecnici costruivano il Millenium Falcon, che ha tratto l’ispirazione per il suo futuro mediometraggio. E lo conferma Angelo Licata, che da fan di quella saga fa partire la sua carriera artistica e che ora aspetta l’ultima risposta da parte di una major italiana per una sua sceneggiatura sci-fi, dopo aver scritto lo splendido Engel, già di suo un universo cineletterario fertilissimo. «È la mitologia del nostro tempo, i nostri racconti attorno al fuoco. Star Wars è il capostipite che ha cambiato il cinema e la vita di molti, con archetipi, miti e una grande capacità di trasmettere principi morali importanti. Insieme a Cameron, chiaro». Non manca a questi autori l’ambizione nei contenuti e nell’estetica. Lo capisci quando Roberto Schoepflin, inventivo e raffinato nel suo cinema caustico e immaginifico, ti confessa che in lui c’è «Bunuel, quella fantascienza fantasiosa e surreale, con personaggi fuori luogo e il tempo che si annulla. Ma anche l’espressionismo tedesco, il primo Flash Gordon e i B-movies più recenti. Gli effetti speciali sono interessanti solo se non fini a se stessi. La fantascienza è un contenitore che ti dà grande libertà. Se avessi avuto la CGI, ad esempio in 666 Desdemona, avrei fatto esattamente le stesse cose». Nicola Piovesan, forse il più eclettico, capace di creare universi come quello del prossimo Attack of the Cyber Octopuses (progetto apprezzatissimo su Kickstarter) ma anche di corti come Il Garibaldi senza barba, Deus in machina e Of your wounds, uniti solo dal suo sguardo altro e dall’impatto visionario del suo cinema, aggiunge al pantheon Stalker e Asimov, «su cui sogno di girare una trilogia sul cinema della Fondazione. La fantascienza per me è simile alla filosofia: un modo per riflettere sulle nostre esistenze, chi siamo e cosa ci facciamo qui. Per questo è nel mio cuore e torno sempre da lei: Attack of the Cyber Octopuses prende inspirazione dal cyberpunk anni ’80». E anche lui “giocherà” con modellini e miniature fatte a mano. Matteo Scarfò, autore del potentissimo e solo apparentemente post apocalittico L’ultimo sole della notte, geniale nel trovare il suo centro narrativo nel rimpianto del superfluo e non nella ricerca del necessario, denuncia un’ispirazione più letteraria: da Dick a, soprattutto, James Ballard. «Condominium e L’isola di cemento, con un pizzico dello Straniero di Camus: da qui nasce questo racconto che vuole rovesciare, nei paletti del genere, i suoi archetipi». Sono sghembi, ingegnosi, determinati. Sono ironici e arguti, sono impegnati. Perché la fantascienza è un luogo cinematografico che permette ai The Jackal di esordire con Addio fottuti musi verdi, dalle parti di Mel Brooks e non solo, o al duo Guaglione-Resinaro (sì, quelli di Mine) di tirar fuori dal cappello Afterville, corto che nel cast ha Bruce Sterling e Giorgia Wurth (vera musa sci-fi, se si pensa che già era nel mitico cult pionieristico Dark Resurrection vol. 1 di Licata), ultima tappa di un viaggio che aveva già portato i due a E:d:e:n e The Silver Rope e che di questa avanguardia sono stati i capofila. Il presente, insomma, è luminoso, ma il sospetto è che in un cinema italiano asfittico, il futuro potrebbe essere già alle loro e nostre spalle. Ma questo gruppo, che guarda verso l’infinito e oltre, non ha paura. Sono una factory di idee senza saperlo. Ci scherza proprio Licata, che da fan è diventato regista e sceneggiatore, citando Yoda: «Sempre in movimento il futuro è. Il problema in Italia è che non c’è know-how. Talenti ne abbiamo, che magari vanno a lavorare con i Wachowski, mentre qui i produttori hanno paura di un reparto in più, quello degli effetti visivi, non sanno gestirlo. La strada c’è, ma non è facile percorrerla». Luca Franco parla della computergrafica «come una droga che nel genere ha portato l’iperbole visiva dimenticando i contenuti; tuttavia negli ultimi
anni stiamo tornando a una fantascienza più povera ma più profonda: c’è spazio per noi europei, perché gli americani hanno perso la stella polare fantascientifica da Matrix in poi e si sono dati alle baracconate come gli ultimi Star Wars». Piovesan sottolinea amaro come «tutto il cinema di genere italiano abbia faticato negli ultimi decenni e pensare che ne eravamo la punta di diamante, grandi cineasti ancora oggi si dichiarano alunni della nostra scuola. Esigenze e volontà produttive e distributive hanno determinato questa crisi, non la mancanza di talenti e idee. Ma il ricambio generazionale in atto nel cinema e il ruolo di internet stanno dando una spinta decisiva a progetti indipendenti sempre meno underground». Scarfò però mette in guardia «dal successo indipendente: è importante, ma ci fa rimanere in una nicchia. E la fantascienza in Italia, se si escludono casi come Bava e Margheriti, lo è sempre stata, anche quando il cinema di genere volava. Abbiamo produttori che temono i costi dei nostri film, senza capire che spesso sono low budget con tante idee, invenzioni e poche spese. Abbiamo bisogno di arrivare al grande pubblico, questa è la vera scommessa». «Si deve solo capire – sottolinea Bolo – che la science fiction è uno strumento straordinario per parlare di qualcosa di nostro, ma con uno sguardo più trasversale. Trasformare, come è successo a me, un filmato sul 1968 in una manifestazione di androidi che reclamano i propri diritti è qualcosa che mi spiazza da regista e da spettatore. L’alto budget è una condizione sufficiente, ma non necessaria». Necessari sono loro, così vicini e così diversi e che potrebbero diventare la nostra fanteria nello spazio sci-fi, tra cinema e realtà.
«ABBIAMO BISOGNO DI ARRIVARE AL GRANDE PUBBLICO, QUESTA È LA VERA SCOMMESSA». L’ultimo sole della notte, prodotto e diretto da Matteo Scarfò, si ispira alle atmosfere dei romanzi di James Ballard per esplorare il comportamento di alcuni personaggi costretti a sopravvivere in un contesto futuristico e apocalittico.
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- Fiction -
IL PARADISO PUĂ’ ATTENDERE LA PORTA ROSSA,
in onda da fine febbraio su RAI2, rappresenta un nuovo genere di serialitĂ televisiva made in Italy, che unisce il thriller al crime, con un pizzico di paranormale. di EVA CARDUCCI
La nuova fiction di RAI2, nata dalla collaborazione fra Carlo Lucarelli e Carmine Elia, propone una formula inedita nel panorama italiano.
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critta da Carlo Lucarelli e diretta da Carmine Elia, la fiction ha come protagonista Leonardo Cagliostro (Lino Guanciale), commissario che vive a Trieste insieme alla moglie Anna (Gabriella Pession), magistrato. Un incontro con un informatore e il commissario Cagliostro viene ucciso, freddato da diversi colpi di pistola. E qui entra in gioco quello che non ti aspetti. Il suo spirito rimane sulla terra con un preciso obiettivo: scoprire la verità sul suo omicidio e salvare la vita di Anna. Il noir la fa da padrone, ma è interessante l’aspetto paranormale presente nella serie, come ci ha raccontato il produttore Tommaso Dazzi. «Lucarelli ha ideato il progetto lavorando sul fantastico, con l’intento di offrire qualcosa di nuovo al panorama della fiction italiana: il fascino misterioso del paranormale all’interno di una trama gialla. Quando cinque anni fa è stato scritto il soggetto, dominava un impianto più tradizionale, con la storia di un poliziotto che muore e che non esce dal mondo per cercare il suo assassino. Il cambiamento arriva in seguito, in risposta alle richieste della fiction RAI. Ecco quindi arrivare la componente fantastica e una figura femminile che conquista il ruolo di co-protagonista, per dare più valore ai sentimenti». Quindi ci sono state delle difficoltà nella realizzazione della serie? Non proprio difficoltà. Il percorso intrapreso dimostra quanto sia difficile agire autonomamente dal punto di vista produttivo. Spesso si deve fare i conti con la necessità di fare inversioni di rotta rispetto alla volontà dell’autore. Una di queste necessità riguarda l’inserimento della componente sentimentale, a cui gli spettatori sono sensibili, per raggiungere un pubblico più vasto? Una era questa. Certamente. Abbiamo avuto delle riser-
Lino Guanciale e Gabriella Pession, i protagonisti della serie. ve in quanto così si andava a mutare l’equilibrio iniziale a predominanza gialla. Abbiamo capito, invece, che l’aspetto sentimentale aveva un suo perché, con la capacità di aggiungere piuttosto che sottrarre. Inoltre, la storia ne ha guadagnato in popolarità, con un’adesione più forte del pubblico femminile, anche non giovanissimo. Quindi un arricchimento che nulla toglie al paranormale? La seconda stesura è molto bella: la vicenda si è arricchita di un sentimento forte e profondo, che racconta la storia d’amore di una coppia in crisi, una crisi umana, fondata sull’incomprensione. Siamo soddisfatti del lavoro svolto e nessun aspetto originale è stato compromesso. Motivo di soddisfazione è anche che Studio Canal abbia deciso di acquistare i diritti per la distribuzione all’estero della serie, non solo in Francia. Per l’aspetto paranormale avete preso spunto da altre serialità televisive? Non volontariamente. C’è ovviamente un riferimento a Lost e soprattutto a Ghost, un film che in molti hanno a cuore.
«IL FASCINO MISTERIOSO DEL PARANORMALE ALL’INTERNO DI UNA TRAMA GIALLA». FOCUS | DAL SOTTOSOPRA AL PARADISO
Il paranormale nella serialità televisiva made in USA STRANGER THINGS
La serie Stranger Things ha stregato e conquistato non solo il pubblico dei nerd. Prodotta per Netflix e ideata dai gemelli Matt e Ross Duffer, è ambientata negli anni ’80 ed è pervasa dai riferimenti della cinematografia sci-fi di quel periodo, come I Goonies ed E.T. Il paranormale si impone in una serie
che ha al centro della narrazione la scomparsa in circostanze misteriose di un dodicenne, Will Byers, e l’apparizione di Undici, una ragazza dai poteri telecinetici fuggita da un laboratorio segreto. Tra universi e realtà parallele (il mondo del Sottosopra), Stranger Things si preannuncia interessante anche nella seconda stagione, che arriverà
ad Halloween su Netflix. Ancora una volta, il gruppo di amici appassionati di Dungeons & Dragons dovrà vedersela con demoni reali.
LEFTOVERS
Prodotta per HBO e in onda su Sky Atlantic in Italia, la serie TV scritta da Tom Perrotta e ideata da Damon Lindelof, co-creatore di Lost, ha debuttato negli
Stati Uniti nel 2014 e la terza e ultima stagione arriverà il 16 aprile. All’origine delle vicende narrate, la sparizione improvvisa del 2% della popolazione mondiale in un solo istante: 140 milioni di persone svanite nel nulla. Alcuni sono convinti si tratti di un evento divino, altri si rifiutano di credere che il paranormale abbia a che fare con
la religione. In realtà nessuno sa cosa sia accaduto. Lo scopriremo al termine della terza serie?
THE OA
Creata da Zal Batmanglij e Brit Marling per Netflix, è una serie che ha a che fare con il paranormale e il sovrannaturale e con le esperienze del pre-morte, in un mix di registri diversi
che sfiorano le corde della fantascienza, dell’horror e del thriller psicologico. Lascia sgomento lo spettatore, che non riesce a capire cosa stia succedendo e non sa riassumere in poche parole quello che ha visto. Caratteristiche decisamente spiazzanti su cui Netflix ha giocato molto con uno spot sui social.
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- Film e TV -
UN SET DI PENTOLE PER CHEF RUBIO
Unti e bisunti, la serie dedicata allo street food, si è trasformata in un film e Chef Rubio in attore. Qual è il segreto del boom dell’anti-chef dal palato assoluto e senza peli sulla lingua? di CHIARA CARNÀ
Riccardo e Cristiana Mastropietro, Marianna Capelli, Serena Castana e Giulio Testa: la squadra di Pesci Combattenti.
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el 2013 la serie prodotta da Pesci Combattenti per Discovery Italia andava in onda per la prima volta su DMAX e lanciava verso il successo planetario Gabriele Rubini - alias Chef Rubio - ex rugbista di Frascati che, con la sua rude genuinità, ha stravolto qualsiasi convenzione legata ai format culinari. Il riscontro inarrestabile ottenuto dal pubblico ha dato vita al lungo per la TV Unto e bisunto, la vera storia di Chef Rubio, dedicato alla vita ironica e surreale del tatuato paladino della buona cucina. «Tutto è nato da una scommessa» racconta Riccardo Mastropietro di Pesci Combattenti «il punto di forza della trasmissione era il nostro stravolgerla in continuazione, cercare un linguaggio lontano da quello del classico programma TV. È stato bello vedere gli spettatori crescere e appassionarsi. Ci ha spronato a rendere tutto sempre nuovo e il film è stato un modo per accomiatarci dal personaggio di Chef Rubio».
Come ha risposto il pubblico a questo esperimento? Superando le aspettative, nonostante il successo di Unti e bisunti fosse già una certezza. Su DMAX, dove è andato in onda a dicembre, abbiamo registrato il record di ascolti. Questo dimostra che si può fare cinema anche con budget modesti, investendo sulle idee più che contando sui fondi. Il format TV è andato in onda in un’ottantina di paesi, adesso speriamo che accada qualcosa di simile anche con il film.
Qual è stata la sfida più impegnativa? Realizzare un controcampo girato a 400 km di distanza. Mi riferisco al rapimento di Rubio a Frascati. I primi piani dei sequestratori sono stati girati in Puglia. Poi, per la scena vera e propria, ci siamo serviti di figuranti con parrucche in testa. Non si tratta di soluzioni scontate per chi fa televisione. Inoltre non avevamo una troupe cinematografica, quindi l’impegno fisico nel conciliare punto di vista tecnico e registico è stata un’altra bella sfida.
È previsto un sequel? No, non a breve. Anche se resterà un esperimento isolato, siamo felici di aver rischiato: è stato stimolante e potrebbe aprire nuove strade. Unto e bisunto è un ibrido, perché ha respiro cinematografico pur rimanendo un prodotto per la TV. Che sia l’inizio di un dialogo tra due mondi diversi? Discovery avrebbe potuto cercare una distribuzione cinematografica, invece il coraggio e un pizzico di follia sono stati ripagati.
Come se l’è cavata Rubio da attore? Gabriele, nel corso di Unti e bisunti, è cresciuto con noi dal punto di vista interpretativo. Il nostro obiettivo era tirar fuori la sua spontaneità. È abituato alle telecamere ma ha fatto cose completamente diverse dal solito, come essere truccato e lavorare sulla voce. Non penso sia stato facile per lui passare attraverso tutti questi piani interpretativi, ma ha ottime potenzialità e lo ha dimostrato.
«L’IDEA DI UNIRE VIAGGI E CIBO DI STRADA SI È RIVELATA VINCENTE». www.chefrubio.it
FOCUS | DAI FORNELLI AL SET
TRE DOMANDE A GABRIELE 2035. Rubio ha 70 anni e vive come un eremita in una capanna sulla spiaggia. Cosa è successo all’alfiere del cibo da strada e al suo “palato assoluto”? È quello che Unto e bisunto racconta con scanzonata comicità: la storia di un atipico supereroe che ha perso se stesso.
Come ti hanno convinto a interpretare un film? A dire il vero li ho costretti io. Non ero stimolato a girare un’altra serie e il canale ha optato per un film dedicato a chi ha amato la trasmissione. La troupe non era la stessa e in un film c’è meno dinamismo
e più stasi, si deve prestare attenzione alle battute, anche se qui c’è una buona percentuale di improvvisazione. Mi piace attenermi al canovaccio e lasciar emergere quanto più possibile la spontaneità. Si crea così un ibrido che gioca a favore tanto dello script quanto del sottoscritto. Che rapporto hai con il cinema? Ti vedremo recitare ancora? Capiterà, ma non dico né come né quando. Guardo film da sempre: horror, thriller, b-movies. Non
ho un genere preferito né mi sarei mai immaginato nelle vesti di attore. Di sicuro, però, affronterei un altro ruolo con la stessa naturalezza, continuando ad ascoltare i consigli di Cristiana Mastropietro, che è una figura fondamentale per la mia crescita professionale. Mi è piaciuto essere truccato da anziano e, in generale, mi affascina molto il trasformismo che caratterizza il cinema, quindi interpreterei anche un personaggio molto distante da me.
Qual è la ricetta del successo di Unti e bisunti e, di conseguenza, di Unto e bisunto? A me piace parlare direttamente e il nostro è evidentemente diverso dai soliti programmi di cucina. Probabilmente gli spettatori si erano stancati delle confezioni patinate alla Hunger Games e hanno trovato in Unti e bisunti le qualità che cercavano. L’idea di unire viaggi e cibo di strada, due tra le mie passioni, si è rivelata vincente.
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- Radio Festival -
CORTINAMETRAGGIO
UNA
SLAVINA DI TALENTI
Maddalena Mayneri ci racconta le novità della dodicesima edizione, dal 20 al 26 marzo a Cortina D’Ampezzo. di SARA SAGRATI
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L’
appuntamento è telefonico, di sabato mattina, accompagnato da un’inevitabile pigrizia dovuta al giorno e all’orario. Eppure già dal primo saluto, Maddalena Mayneri, presidente dell’associazione Cortinametraggio, ci ha contagiato con un grande entusiasmo, una voce squillante e la voglia di raccontare il suo festival. Mentre cammina in un’assolata Trieste, Maddalena parla della creatura che ha fatto nascere, crescere, che ha addirittura abbandonato per poi tornare sui propri passi e riprenderne le redini. Cortinametraggio, festival di cortometraggi comedy, ma quest’anno anche di webserie e videoclip, che compie 20 anni e li ha festeggiati dal 20 al 26 marzo in occasione della sua XII edizione.
con Bellissima, conquistando poi anche il David come miglior corto, e Cosimo Alemà, diventato uno dei più importanti registi di videoclip italiani. Quest’anno tre sezioni, giusto? Cortinametraggio era nata con l’idea di selezionare corti comedy. Negli anni abbiamo esplorato più generi, sempre con l’intento di scovare nuovi talenti. Per questo ci siamo aperti a diverse contaminazioni. Quest’anno oltre ai corti e alle webserie, selezionate dal direttore artistico Vincenzo Scuccimarra, inauguriamo la nuova sezione dedicata ai videoclip italiani, il cui direttore artistico è proprio Cosimo Alemà.
Come nasce Cortinametraggio? Nasce grazie al suggerimento di alcuni grandi dello spettacolo, come per esempio Vittorio Gassman, che mi hanno parlato di questo posto e dell’importanza dei cortometraggi per trovare i talenti da valorizzare. Così mi sono informata, ho lavorato e nel 1997 è nato Cortinametraggio.
Com’è la giornata tipo a Cortinametraggio? Innanzitutto ci si sveglia e si fa colazione, che è sempre importante [ride ndr ]. Il primo appuntamento è all’Hotel Savoia con gli incontri del mattino, a seconda del giorno ci sono anche eventi speciali come la lezione di curling e la gara di sci. Si mangia, si beve e alle 20.00 tutti al Cinema Eden per le proiezioni a ingresso gratuito. E poi festa, che non ci facciamo mancare nulla, nemmeno Papa Dj di Radio Monte Carlo con la musica del Buddah Bar.
www.cortinametraggio.it Venti anni di storia e 12 edizioni… Quando abbiamo iniziato c’erano altri festival di corti, come Arcipelago, Capalbio e pochi altri. Ora sono tantissimi Perché Cortinametraggio è soprattutto e noi ci sentiamo orgogliosamente dei un luogo d’incontro. sopravvissuti, nonostante uno stop Esatto. Noi ci teniamo che il festival sia di qualche anno. Infatti nel 2000 ho soprattutto un luogo dove esaltare i talenti abbandonato il progetto per dedicarmi emergenti del cinema, così da metterli a Maremetraggio a Trieste, ma nel in contatto con professionisti del settore: produttori, 2010 sono tornata a casa e adesso mi sento di dire che brand, registi affermati e chiunque cerchi registi con abbiamo dimostrato di fare la differenza. cui lavorare. Per questo le nostre giurie sono formate da personalità dello spettacolo e importanti addetti ai E oggi Cortinametraggio è orgogliosamente solo lavori. Alcuni produttori saranno con noi senza voler italiano. pubblicizzare la propria presenza, perché interessati solo All’inizio eravamo un festival internazionale, ma dopo a incontrare i registi e non la stampa. le prime edizioni abbiamo deciso di concentrarci solo sui talenti italiani. E ne siamo molto orgogliosi, anche E quest’anno cosa ci riserva il programma? perché sono tanti i registi che qui si sono fatti notare. C’è da divertirsi. Oltre alle sezioni ufficiali, abbiamo numerosi eventi speciali tra cui L’ultimo pianto, il Facciamo i nomi! divertente esordio alla regia di Gianni Ippoliti. Io ho Paolo Genovese non ha mai mancato un Cortinametraggio, prima in coppia con Luca Miniero, poi riso dall’inizio alla fine e spero proprio che sarà così anche per il pubblico. Mi auguro che anche il giurato nel 1999, quando ha vinto con Piccole cose di valore non Lillo Petrolo ci vorrà regalare qualche momento comico. quantificabile. Paolo continua a tornare e quest’anno ci presenta Per sempre, il corto realizzato con RAI Cinema e Poi tanta musica, la mostra fotografica Ciao Maschio di Adolfo Franzò che si sviluppa tra il municipio e le Twinset, il nostro mainsponsor. Tra gli altri, sono passati vetrine dei negozi della città, e un incontro tra arte e vino da Cortinametraggio anche Max Croci, ora alla sua terza con la degustazione delle etichette Bastianich al Museo regia, Alessandro Preziosi che quest’anno è in giuria, Rimoldi di Arte Moderna. Alessandro Capitani che l’anno scorso ha vinto il festival
«ABBIAMO DECISO DI CONCENTRARCI SOLO SUI TALENTI ITALIANI».
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- Futures -
DANIELE BARBIERO
CRY, BABY
La sperimentazione di generi e tecniche diverse, il successo internazionale di Mirror e un lavoro instancabile sul valore estetico della scena e sulle emozioni che l’attore è in grado di catalizzare, per approdare a Radice di 9, un corto che racconta tutta la voglia di un cambiamento generazionale, mettendo a nudo la verità dei personaggi. di CHIARA DEL ZANNO foto MARTINA MAMMOLA
Hai spaziato fra generi molto diversi tra loro: cinema, spot, webserie, videoclip, fashion movie. Credi che questo abbia influito sul modo di pensare il tuo cinema? Sì e no. È stata una grandissima esperienza di set e di vita, mi ha portato ad avere una forte capacità organizzativa, fino a rendere l’imprevisto un valore aggiunto. Per esempio, in Radice di 9, a causa di un nubifragio, ho perso un intero giorno di lavorazione e me ne rimanevano solo due per girare con tutti gli attori insieme in scena! Non avrei potuto chiudere le inquadrature previste, così ho inventato quel piano sequenza di cinque minuti sul finale. Ho fatto molto aiuto regia, parecchio set e sono così proprio
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nella vita. Non mi abbatto, tiro fuori nuove idee. Il linguaggio, però, credo di essermelo creato da spettatore. Non ho mai avuto un genere di riferimento, ho sempre amato sentirmi libero. Il tuo primo vero approccio alla regia cinematografica risale al 2015 con Mirror, vincitore di oltre trenta premi nazionali e internazionali. Un ampio consenso nel circuito festivaliero è un reale trampolino di lancio? Forse sembrerò cinico e troppo schietto, ma noto un’esaltazione eccessiva nei confronti di questi riconoscimenti, che dovrebbero essere parte di un percorso
di crescita più generale. Ho capito con Mirror che i premi non sono mai un punto d’arrivo. Per la prima volta ho affidato tutta la fase di scrittura al mio sceneggiatore, Luca Nicolai, separando i ruoli e cercando di rispettare il testo. Ma poi l’ho sentito talmente mio, mentre lavoravamo con un budget che sfiorava appena i duemila euro e in soli tre giorni di riprese… Avevamo delle idee visive incredibili, tutti insieme con gli altri reparti. È stata una vera associazione, ognuno ha contribuito portando qualcosa sul set. Alla fotografia avevamo Andrea Reitano, appena ventenne, che è stato clamoroso!
Mi aspettavo che Mirror sarebbe piaciuto, ma in quell’occasione non ho mai pensato ai premi: è stata un’avventura davvero genuina. La tua è una regia che tende a riempire l’inquadratura: è una composizione sempre traboccante, ma organizzata con un decoro estetico molto forte. Ho l’istinto di riempire e sovraccaricare, ma per poi togliere: è così che indago l’evoluzione dei personaggi. Mirror procede per accumulo, finché il protagonista non supera un limite preciso e tutto si svuota: ho rinunciato a qualsiasi vezzo gratuito per mettermi a servizio della storia. Mentre in Radice di 9 ho pensato
Daniele Barbiero, classe 1989, torna a stupirci con Radice di 9, un nuovo corto prodotto da Maestro Production.
la regia tutta in funzione degli attori, riflettendo su dove volevo portare i personaggi: ho lavorato per tirare fuori performances piene, affinché ognuno si rivolgesse almeno a uno spettatore e lo toccasse nel profondo. I tuoi personaggi, a un certo punto, urlano. Non so se si tratti di una casualità, sicuramente vado incontro a uno scoperchiamento. Da una parte, credo che gli sfoghi più belli siano quelli sussurrati. Ad esempio, tutte le parole chiave di Mirror sono dette a fil di voce. Forse uso le urla come contraltare a momenti più intimi e feroci. Sono una persona estremamente schietta, la cosa che più odio sono le maschere. Quindi mi piace portare i miei personaggi a spogliarsi fino alle conseguenze più radicali. Come Matilde Gioli, la sposa di Radice di 9 che, dopo aver urlato, si butta nel vomito. E io la lascio lì a terra. Non c’è immagine più pesante di una sposa sdraiata nel suo vomito. Radice di 9 è un esperimento per certi versi estremo, con un cast di livello. È esagerato definirlo preludio del tuo primo lungometraggio? Sono cresciuto molto l’anno precedente con Mirror, ma Radice di 9 è stato un vero banco di prova che mi ha fatto capire di essere pronto. L’idea è nata dal racconto della nostra sceneggiatrice, che ha ricevuto davvero una proposta di ménage à trois. Avevamo in mente un tema generazionale sui trentenni, che mancava da molto, forse da L’ultimo bacio. Quando ci siamo resi conto
che il testo stava avendo una forza maggiore del previsto, ho iniziato a proporlo agli agenti degli attori. Ho concluso la sceneggiatura del corto pensando già a Matilda De Angelis. Dopo averla vista in un’anteprima di Veloce come il vento dovevo lavorare con lei! È stata la prima ad accettare con Matilde Gioli. Da quel momento è stato più facile chiudere il cast con cui ho cercato una produzione. Per fortuna la Maestro ha creduto in noi: così siamo riusciti ad avere anche Francesco Montanari tra i protagonisti. Ho provato sulla mia pelle cosa significhi lavorare con l’attore, creare insieme i personaggi e farli scontrare tra loro, ognuno con la sua verità. Adesso gli attori credono nelle nuove generazioni di registi, vogliono lasciarsi andare. In Italia si rischia poco ormai, però io sto puntando tutto sull’idea che prima o poi le cose cambieranno. E voglio essere parte di quel cambiamento. Eppure non hai la preoccupazione di doverti affermare come autore. A pensarci bene, i film che ho preferito negli ultimi anni sono Drive, Whiplash, Mommy, che in effetti sono film d’autore. È quello che mi piace, ma vorrei cercare di fare un cinema popolare e allo stesso tempo di qualità. Nonostante sia giovane, ho una gran desiderio di girare film come questi: gli autori di Stranger Things sono dei trentenni, Xavier Dolan sta lavorando al suo settimo film! E allo stesso modo Scorsese continua a essere immenso. Bisogna stare attenti alle storie e a come vengono raccontate, è tutto qui.
«SONO UNA PERSONA ESTREMAMENTE SCHIETTA, LA COSA CHE PIÙ ODIO SONO LE MASCHERE. QUINDI MI PIACE PORTARE I MIEI PERSONAGGI A SPOGLIARSI FINO ALLE CONSEGUENZE PIÙ RADICALI». 29
- Opera seconda -
IL PADRE D’ITALIA
PADRI E FIGLIE
PAOLO E MIA SONO DUE ANIME PERSE CHE SI INCONTRANO PER CASO E CERCANO DI RISOLVERE LA PROPRIA IMPASSE NELLA CONDIVISIONE DI UN IMPROBABILE VIAGGIO LUNGO L’ITALIA. CON LA SUA SECONDA OPERA DI FINZIONE, FABIO MOLLO CONFERMA IL PROPRIO TALENTO REGISTICO RACCONTANDO LA PRECARIETÀ SOCIALE, ECONOMICA MA ANCHE EMOTIVA TIPICA DEL NOSTRO TEMPO. di LUCA OTTOCENTO
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uando ci accoglie nel piccolo e confortevole locale del Pigneto gestito dalla madre, Fabio Mollo appare fin da subito molto gentile e ospitale, oltre che sereno. Guardandolo non si direbbe, ma il trentaseienne regista calabrese viene da un anno a dir poco impegnativo in cui ha girato il suo secondo lungometraggio di finzione, il documentario sulla realizzazione di The Young Pope e un film TV interpretato da Cristiana Capotondi sulla figura di Renata Forte, l’assessore pugliese uccisa dalla mafia nel 1984. Ce ne parla come di un
periodo ricco ed entusiasmante che gli ha offerto la possibilità di lavorare a progetti molto diversi fra loro e, dopo gli anni degli studi universitari a Londra e del Centro Sperimentale, di tornare a scuola frequentando il set di un maestro come Sorrentino. In questo film, opera seconda visivamente potente che segue l’apprezzatissimo esordio del 2013 Il sud è niente, Fabio affronta il tema dell’omosessualità in modo originale, declinandolo secondo i canoni del road movie e ponendo l’accento sul bisogno e sul diritto di essere genitori.
Paolo è un 30enne in crisi con il compagno, Mia è una sbandata al sesto mese di gravidanza che gli cambierà la vita, regalandogli un’inaspettata paternità.
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«IN QUESTO FILM HO OPTATO PER UN REALISMO DINAMICO, ECLETTICO, PASSIONALE». F.M.
Da dove nasce lo spunto per il film? L’ambizione era quella di fare un film sul futuro, tanto è vero che per un po’ il titolo de Il padre d’Italia è stato proprio “Il futuro”. Siamo partiti dalla riflessione che un uomo inizia davvero a pensare al futuro quando
diventa genitore e quindi, in un certo senso, si impegna a costruire non solo per se stesso ma anche per qualcun altro. Un momento così delicato della vita è diventato oggi ancora
più complesso per la nostra generazione, vista la precarietà in cui viviamo. E un omosessuale che vuole essere padre nel nostro paese deve fare i conti anche con l’impossibilità o quasi di divenire genitore. Proprio mentre giravamo il film, tra l’altro, c’è stato il dibattito sulla legge per le coppie omosessuali, poi approvata, ma che ha lasciato fuori la questione dell’omogenitorialità, sottolineando come essa appartenga purtroppo al futuro dell’Italia piuttosto che al presente. Solitudine, isolamento, mancanza di prospettive e di figure familiari di riferimento, possibilità redentrici derivanti da incontri inaspettati: sono tutti elementi che ricorrono nel tuo cinema. Senz’altro. Questa volta però, sin dall’inizio, volevo fare un film non solo d’atmosfera ma anche di trama e di emozioni. Laddove Il sud è niente si incentrava su un realismo cupo, ruvido e in un certo senso quasi ostile, ne Il padre d’Italia ho optato per un realismo dinamico, eclettico, passionale. Per me era fondamentale trovare il giusto equilibrio tra il registro malinconico e quello più comico. Volevo che Il padre d’Italia fosse un racconto di vita, o meglio un racconto di quando la vita irrompe prepotente e ti trascina via. E ovviamente l’esistenza di tutti noi è fatta sia di momenti tristi che di momenti più leggeri e divertenti. Una delle differenze rispetto al tuo esordio sta anche nell’uso più marcato della musica, che tende ad accompagnare con forza le emozioni dei protagonisti. Ne Il sud è niente la musica in effetti non ha un ruolo centrale, ma c’è una scena per me molto significativa in cui i due ragazzi ballano sulla pista delle macchine da scontro. Con il mio nuovo film è un po’ come se fossi voluto ripartire da lì. Il padre d’Italia doveva essere un film musicale, anche perché Mia è una cantante, o sedicente tale, e la musica doveva necessariamente far parte del racconto. Mi sono anche accorto che quando devo trovare la chiave giusta per una scena tendo a dirigere gli attori in modo musicale. Molte
volte mentre facciamo le prove o sul set chiudo gli occhi e mi limito ad ascoltare gli attori, il ritmo della loro recitazione. L’immagine infatti può tradire e poi magari al montaggio ti ritrovi qualcosa che funziona sul piano visivo ma non da altri punti di vista. Quindi al di là dell’uso della colonna sonora, per cui abbiamo fatto un grossa ricerca, per me è come se in generale ogni scena avesse al proprio interno un movimento musicale. Com’è stato lavorare con due attori del calibro di Isabella Ragonese e Luca Marinelli? Che tipo di rapporto hai instaurato con loro? Molto istintivo. Abbiamo fatto gruppo in maniera naturale provando e riprovando in una stanza a San Lorenzo. Poi a Torino, qualche giorno prima delle riprese, abbiamo lavorato sulla sceneggiatura, continuando anche sul set: ogni battuta non era lasciata al caso ma doveva essere parte dell’emozione di una scena, altrimenti la cambiavamo o la tagliavamo. Per me lavorare con Isabella e Luca, che considero forse gli attori in assoluto più bravi della loro generazione, è stato un grandissimo regalo. Sono stati generosi ancor più di quanto mi potessi aspettare e si sono davvero messi in gioco in prima persona. Alcune cose che ho riscritto mentre giravamo le ho cambiate in base a delle dinamiche emerse durante le riprese e a delle messe a punto sui personaggi che avevamo trovato insieme. Nonostante i non molti mezzi a disposizione, dal punto di vista visivo il tuo è davvero un ottimo lavoro. Ho cercato di utilizzare al meglio ciò che avevo, impostando le scelte di regia in base alle nostre possibilità. Per potermi permette di girare il film in sequenza cronologica ho rinunciato ai camera car, che di solito non mancano mai in un road movie. Alla macchina a mano, invece, ho fatto affidamento perché volevo restituire l’idea di un qualcosa di reale che non desse l’impressione di essere messo in scena. Da questo
punto di vista mi ha molto ispirato La sposa turca di Fatih Akin: un film asciutto, secco, ma anche estremo nel racconto dei personaggi e dei sentimenti e che, per così dire, esibisce una povertà estetizzata. In generale poi come
regista mi piace essere al servizio della storia e cambiare approccio stilistico in funzione di ciò che devo raccontare. Nel mio prossimo film per esempio, un thriller dark che si contamina con altri generi prodotto dalla Ascent Film di Matteo Rovere e Andrea Paris, ho idea di fare qualcosa di molto diverso rispetto a Il padre d’Italia.
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- Formazione -
FABBRICARE NUOVI TALENTI?
SI PUÒ!
di TOMMASO AGNESE (regista e autore) foto GIULIO TIBERI
Offrire un’esperienza unica a giovani appassionati di recitazione. Un laboratorio per sperimentare e crescere insieme, grazie alla guida di professionisti attenti ed esperti. Questa, la nuova idea di Fabrique.
È tempo di sperimentazione. Fabrique
La fabbrica dell’attore è stata un’esperienza riuscita, un’opportunità che presto sarà riproposta ai giovani talenti.
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du Cinéma ha deciso di allargare i propri orizzonti offrendo nuove proposte culturali. La fabbrica dell’attore è stata la nostra ultima idea: uno stage, un’avventura introspettiva ed emozionante di due giorni. Un corso intensivo di recitazione
per un totale di 16 ore, suddiviso in due giornate di 8 ore ciascuna, organizzato il 3 e il 4 dicembre 2016 presso lo studio fotografico B49 al Pigneto. L’obiettivo era quello di dare contenuti efficaci e insegnamenti pratici ai partecipanti. Attori emergenti e non che spesso, nella loro vita, si sono trovati nella difficile situazione di dover scegliere quale corso seguire per la propria formazione. Rischiando di tuffarsi in un mare di proposte di scarsa qualità, sia per quanto riguarda i contenuti che gli insegnanti. Per questo, Fabrique si è affidata a dei professionisti del settore, che conoscono bene il mestiere della recitazione:
significato e le potenzialità espressive del suono, anche attraverso esercitazioni pratiche. A loro si è aggiunto il regista e drammaturgo Angelo Longoni che, con la sua esperienza, ha dato una visione alternativa alle più famose teorie di recitazione. L’insegnamento partiva da alcuni monologhi tratti da Memorie del sottosuolo di Fedor Dostoevskij, per arrivare alla lettura di Dante e degli altri grandi della poesia e letteratura italiana, reinterpretandoli in chiave teatrale e cinematografica. Obiettivo di un lavoro faticoso, ma anche estremamente appagante: imparare il senso della posizione, la corretta
spesso ignorate. Il ritmo convulso a cui è soggetta la nostra società ci impone di arrivare subito all’obiettivo, senza la giusta concentrazione e pazienza. I giovani si ritrovano vittime di questo sistema, dove è più importante apparire che essere. I contenuti si svuotano e rimane solo
poi essere pronti a dimostrare il proprio valore. Per noi di Fabrique, la recitazione è tutto questo. La nostra missione è quella di dar voce ai giovani, ma anche di aiutarli nel loro cammino, di consigliarli. È per questo che abbiamo cercato, con La fabbrica dell’attore, di comunicare queste sensazioni
«NON BASTA ESSERE FOTOGENICI O PIANGERE A COMANDO. SERVE MOLTO DI PIÙ».
Durante il corso, i partecipanti hanno scoperto il valore delle emozioni per vestire al meglio i panni dei personaggi da interpretare.
Luigi di Fiore e Tullia Alborghetti, due persone con grandi capacità d’insegnamento pratico e teorico, entrambi formatisi nella Bottega dell’Attore di Vittorio Gassman e con una carriera alle spalle in teatro, cinema e TV. Luigi di Fiore ha aperto le attività di entrambi i giorni in programmazione, esplorando gli aspetti legati alla percezione e alla consapevolezza del corpo in movimento e soffermandosi sull’importanza del bagaglio emotivo e razionale cui l’attore deve necessariamente imparare ad attingere. Tullia Alborghetti ha mostrato, nelle due sessioni pomeridiane, il
modulazione e intensità della voce, saper creare e gestire le giuste emozioni. I ragazzi che hanno partecipato al corso, capeggiati da Marco Rossetti e da Nina Torrisi, hanno messo in gioco loro stessi e le proprie sensazioni per avvicinarsi il più possibile ai personaggi da interpretare.
La fabbrica dell’attore è stato un esperimento riuscito, che riproporremo a breve. Perché la recitazione è un vero mestiere e molti lo hanno dimenticato. Un mestiere che si muove fra tradizione e innovazione, ma che ha delle solide fondamenta, regole e teorie che oggigiorno sono
l’immagine, l’aspetto esteriore. Un attento lavoro sulla propria interiorità è fondamentale per riuscire a gestire le emozioni e adoperarle nella misura corretta, in funzione dell’interpretazione. Questo vuol dire recitare. Non è per nulla semplice, è anzi faticoso e può scoraggiare chi non dimostra spirito di sacrificio, umiltà e disponibilità. Non basta essere fotogenici, conoscere le battute a memoria o saper piangere a comando. Serve molto di più. La consapevolezza, prima di tutto, del proprio corpo e delle proprie capacità. La concentrazione e l’ascolto. Bisogna eliminare ogni egoismo e lasciarsi guidare, per
ai partecipanti, di far assaggiare loro un briciolo di tradizione e innovazione, di fatica, sacrificio, ma anche di emozioni e sorprese inaspettate. Abbiamo lavorato tutti insieme, abbiamo pianto e ci siamo commossi. E, per questo, un ringraziamento speciale va a tutti i partecipanti del corso: Francesca Angelini, Nicolas Paccaloni, Chiara Selva, Maria Luisa Mattia, Simonetta Tocchi, Alessio Pecorari, Luigi Orsini, Maria Costanza Dolce, Kiyoshi Annunziata, Maria Giusti, Benedetta Taliercio, Chiara Gensini, Marco Rossetti, Nina Torrisi. Insieme abbiamo creato qualcosa di speciale.
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- Teatro -
© Cesare Fabbri
I RAGAZZI VANNO ALLA
“NON SCUOLA” CI VORREBBERO PAGINE E PAGINE, LIBRI INTERI – E CE NE SONO – PER RACCONTARE L’AVVENTURA ARTISTICA DI MARCO MARTINELLI. di ANDREA PORCHEDDU 34
© Mario Spada
Le travolgenti esperienze pedagogiche e sceniche del Teatro delle Albe sono raccontate nel libro Aristofane a Scampia (Ponte alle Grazie).
C
on Ermanna Montanari, una delle più grandi attrici teatrali italiane, e con un gruppo affiatatissimo di persone amiche, Martinelli ha creato il Teatro delle Albe, oggi Ravenna Teatro, che dalla città romagnola si è imposto come una delle realtà più vive della scena nazionale e internazionale. Un teatro antico e contemporaneo, il loro, attento a temi che abbracciano le inquietudini del presente con scritture originalissime, oppure che rendono ipercontemporanei i grandi classici. Ecco, così, che dalla
drammaturgia creata da Martinelli scaturiscono spettacoli che possono raccontare l’epopea di Marco Pantani oppure un Molière che si impregna dei sapori e dei suoni di Scampia. Oggi Marco Martinelli debutta al cinema. Si è “inven-
tato” sceneggiatore e regista di un film che prende vita, quasi a mo’ di spin off, da un bellissimo spettacolo teatrale dedicato alla figura di Aung San Suu Kyi, la coraggiosa leader birmana, impegnata nella lotta per i diritti umani tanto da meritare il Premio Nobel per la pace nel 1991. Naturale allora chiedere a Martinelli cosa abbia significato per lui trovarsi dietro la macchina da presa, firmare un’opera prima a sessanta anni. «È stata un’esperienza entusiasmante, in ogni momento, dalla sceneggiatura alle riprese al montaggio. Ho letto da qualche parte che i calligrafi dell’antica tradizione cinese, arrivati alla maturità, si cambiavano il nome: era un modo per rinascere, per rinnovare la propria arte. Così è capitato a me, dopo quarant’anni di teatro: trovarmi sul set è stato come cambiare nome». In questi anni Martinelli ha elaborato un modo di comporre con i suoi attori per il palcoscenico che lo ha reso sicuramente riconoscibile. E trasporre un’opera dalla scena al set ha comportato, racconta il regista, anche un cambio di stile: «Certo la scrittura cambia, e non tanto per l’alchimia con gli attori, ma per il fatto che quando scrivi per la scena hai tutta l’aria attorno, quando scrivi per il cinema devi pensare che tutto sta racchiuso in quel “quadro” che è il fotogramma. A teatro lo spazio sembra limitato, in realtà ha l’infinitezza del qui e ora, del nostro essere di carne, attori e spettatori, il fiato sul collo. Al cinema, invece, le potenzialità che dà la macchina di catturare tutti gli spazi del pianeta, si imprigionano in quella “finestra”». Ma cosa spinge a scrivere per il teatro o per il cinema? Per Marco «è sempre una domanda oscura che porta a scrivere, ha a che fare con le nostre viscere. Che io scri-
va di derelitti davanti a una slot machine, di morti nel Mediterraneo, di come è stato ammazzato un campione come Marco Pantani, di come una donna in Birmania ha resistito agli arresti per vent’anni, la domanda è sempre quella, ha a che fare con Dioniso, dio allo stesso tempo vittima e carnefice: chi sono io? Cos’è questa violenza nera che mi attraversa? E perché in me, nonostante tutto, qualcosa spinge sempre verso la luce?». Dioniso, la vecchia divinità dell’ebrezza e del teatro, il nume tutelare di quanti, in qualsiasi modo, fanno teatro, torna spesso nei racconti di Marco Martinelli. E torna soprattutto quando questo regista, con il suo gruppo, ha a che fare con gli adolescenti: da molti anni, infatti, il Teatro delle Albe è impegnato in una originalissima “non-scuola”, una forma speciale di teatro fatto con ragazzi e ragazze adolescenti. Esperienza iniziata a Ravenna, e poi replicata con enorme successo in vari luoghi del mondo, spesso segnati da serie difficoltà: da Scampia, a Napoli, fino a Diol Kadd in Senegal; da Milano a Chicago, dalla Francia al Brasile. È possibile allora insegnare la passione per il teatro? «La passione non s’insegna – risponde Marco – ognuno di noi sa che cos’è, è quella che ci fa vivere e morire. La passione è ardore, incendio, e insieme patimento». Dunque come vi siete rapportati ai ragazzi turbolenti di mezzo mondo? Come avete coinvolto tanti giovani e giovanissimi? «I bambini e gli adolescenti sono il sacro. Sono l’oro del mondo. Non cadiamo nell’equivoco dei cellulari sempre accesi, quella non è che la superficie, la schiuma delle onde. Dobbiamo saper guardare oltre, noi adulti, e leggere dietro quell’apparenza, là in fondo pulsano cuori assetati di felicità e di assoluto». Molti dei ragazzi coinvolti nelle prime “non-scuole” ravennati oggi sono parte integrante della compagnia di Marco ed Ermanna, oppure lavorano altrove. Allora, intanto, aspettiamo il film di questo debuttante dalla lunga storia. Nel cast, oltre a Ermanna, anche Sonia Bergamasco e Elio De Capitani, a raccontare – partendo dal punto di vista di sei bambine – una storia birmana: «Quando si debutta a sessant’anni – conclude Martinelli – si ha negli occhi la storia del cinema, quella di cui ti sei nutrito fin da quando eri ventenne, da Dziga Vertov a Kaurismaki, passando per Fellini e Pasolini, in un immaginario ispirato ad autori come Derek Jarman o Sergej Iosifovicˇ Paradžanov per la loro visionarietà e ritualità: un cinema d’arte e poesia che per decenni ha nutrito il mio teatro».
© Maria Martinelli
© Maria Martinelli
© Marco Parollo
«DA MOLTI ANNI IL TEATRO DELLE ALBE È IMPEGNATO IN UNA ORIGINALISSIMA “NON-SCUOLA”, UNA FORMA SPECIALE DI TEATRO FATTO CON RAGAZZI E RAGAZZE ADOLESCENTI».
L’esordio al cinema di Martinelli è la trasposizione di un suo lavoro sulla leader politica birmana Aung San Suu Kyi.
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- Mestieri -
COLORIST
MA IL CIELO
BLU È SEMPRE PIÙ
VI SIETE MAI CHIESTI IL SEGRETO NASCOSTO DIETRO COLORI BRILLANTI, LUCI E SFUMATURE SAPIENTEMENTE DOSATE? LA RISPOSTA È RACCHIUSA NEL TALENTO DI UN ARTISTA IN GRADO DI LEGGERE E INTERPRETARE LE INTENZIONI DEL REGISTA, ESALTANDO TONI CROMATICI, OMBRE O CHIAROSCURI A SERVIZIO NON SOLO DI UN OBIETTIVO PURAMENTE ESTETICO, MA ANCHE, E SOPRATTUTTO, EMOZIONALE. a cura di MONICA VAGNUCCI foto BRUNELLA IORIO
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U
n mestiere che comprende l’arte del creare e del restaurare ciò che c’era già, donando alla pellicola una vitalità e un’intensità che prima non esistevano. Questo fa il colorist. Ma in cosa consiste in concreto il suo lavoro? Parliamo di una figura professionale specializzata nelle fasi di post produzione, che si occupa di color correction, ovvero bilanciamento di colori, contrasto, saturazione e temperatura, e color grading, cioè
la sapiente modifica di toni e contrasti. Il tutto al servizio di un’atmosfera nuova, una manipolazione delicata e precisa che non potrebbe prescindere da una sensibilità artistica fuori dal comune. Un mestiere che ha attraversato
tanti cambiamenti, offrendo il braccio alle innovazioni tecnologiche che hanno fatto la rivoluzione digitale di questi ultimi anni.
E raccogliendo la sfida per reinventarsi, sempre.
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PAOLO VERRUCCI Inizio, non ancora maggiorenne, nel laboratorio di Cinecittà come stampatore in una camera oscura, fino ad arrivare al restauro cinematografico come color timer accanto al maestro della fotografia Giuseppe Rotunno. Nel 2001 ho avuto l’opportunità di iniziare il mestiere di colorist che ha rappresentato l’occasione di lavorare a contatto con direttori della fotografia e registi di fama nazionale e internazionale. Dopo una proficua avventura lavorativa in Deluxe Digital Rome, sono oggi approdato in Margutta Digital International. Ricostruendo il mio percorso professionale, spiccano alcuni titoli: La passione di Cristo del 2003 di Mel Gibson come dailies colorist; La tigre e la neve di Roberto Benigni del 2005, che è stato il primo Digital
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Intermediate realizzato in Italia; Il divo di Paolo Sorrentino del 2008, che considero il mio lavoro migliore in termini di crescita professionale; Vallanzasca di Michele Placido; Miele di Valeria Golino; The Young Pope di Paolo Sorrentino, un progetto lungo e complesso di color correction, ma estremamente gratificante. Essere un colorist nell’era digitale vuol dire essere uno studente impegnato a conoscere, avere la padronanza del software di color correction dall’input all’output dei files. Non riesco a immaginare come sarà il nostro lavoro tra 5 o 10 anni, ma sono certo che verranno introdotti hardware e software più performanti e linee produttive sempre più efficienti che alzeranno il livello qualitativo dell’immagine.
MASSIMO SALVATO Fin da piccolo, ero quello con la macchina fotografica in mano. Dapprima ho nutrito la mia passione alla Scuola di cinematografia e televisione Roberto Rossellini, facendone poi un lavoro. Dopo varie esperienze come operatore della fotografia, venti anni fa l’ingresso in LVR, in cui ho avuto modo di fare la classica gavetta. Fino al colpo di fulmine per il ruolo del colorist. In questa professione si può liberare la propria creatività ed essere uno strumento al servizio della magia del cinema. Come un musicista suona una canzone di un compositore, così il colorist dipinge una
tela già impressa. Un lavoro molto difficile: bisogna tradurre in colore le emozioni che l’autore della fotografia vuole trasmettere per quella determinata scena. So di essere stato fortunato ad avere la possibilità di lavorare con i veri e propri maestri del cinema, che hanno contribuito ad accrescere la mia sensibilità artistica. Il mio bagaglio professionale poggia, infatti, su un’esperienza ventennale prevalentemente in film, fiction, lunga serialità. Tra gli ultimi lavori, Boris Giuliano con Ricky Tognazzi e le fiction Il paradiso delle signore e Di padre in figlia.
IVAN TOZZI Sono sempre stato attratto dal mondo della fotografia. Il mio percorso lavorativo è iniziato in un laboratorio di sviluppo e stampa fotografico. Appena approdato in Augustus Color, ho capito quale sarebbe stato il mio futuro: il colorist. Mestiere conquistato dopo la necessaria gavetta nei diversi reparti del laboratorio. Ho iniziato seguendo il telecinema dei giornalieri, cioè il girato che quotidianamente arrivava in laboratorio dal set: il mio compito era trasferire in digitale le immagini impresse sul negativo. Ho continuato il mio percorso curando la color correction dei film, inizialmente di fiction e serie TV. Nel corso degli anni, il compito del colorist è cambiato radicalmente: con l’esplosione del digitale, tempi e modalità della post produzione hanno
subito un’accelerazione e il nostro lavoro è stato inevitabilmente coinvolto e trasformato da questa rivoluzione. Il mio ruolo è evoluto nel nuovo scenario, passando alla color correction di film per il grande schermo, sia italiani che internazionali. Ho curato complessivamente oltre cento film e ho avuto la fortuna di collaborare con i migliori direttori della fotografia e registi. Questo è un lavoro in cui non si può stare fermi o pensare di aver raggiunto un traguardo: l’evoluzione dei mezzi di ripresa e degli strumenti di post produzione è continua e vorticosa, per cui il futuro diventa già attuale un attimo dopo. Continuare quindi il proprio percorso di crescita e di formazione è indispensabile per riuscire a rimanere aggiornati e offrire gli strumenti migliori ai DOP e alle produzioni.
NAZZARENO NERI Fare il colorist per me non è stata una scelta, lavorare nel mondo del cinema, sì. Nato come ragioniere programmatore, ho scelto di abbandonare tutto e di continuare il percorso di mio zio in Technicolor, nel reparto Negative Assembly. Qualche mese a Londra, per capire cosa fosse un telecinema, e tanta formazione su tutti gli aspetti del nuovo mondo digitale. In Technicolor ho avuto il privilegio di lavorare con tanti cinematographers e registi di fama mondiale, ma la vera svolta professionale e umana è arrivata dall’Italia. Nel 2004 ho avviato la mia collaborazione con il maestro Vittorio Storaro, al quale devo gran parte della mia formazione. Nel 2012 ho
cominciato una nuova esperienza in Laser Film, che è ancora oggi la mia realtà lavorativa: un continuo percorso di crescita grazie allo spirito creativo e alla lungimiranza del proprietario Andrea Di Nardo. Fare il colorist vuol dire trasformare cose come Lut, Colorspace, HQ, XQ, 422, 444 o bit in qualcosa di creativo, che sia adatto al film e gradito al cliente. Il futuro è fatto di nuove telecamere, nuovi modi di visualizzare le immagini e strumenti per manipolarle. Resterà il bisogno, come oggi, di investire in una cultura cinematografica che valorizzi la sensibilità verso le immagini e le persone che, attraverso queste, vogliono trasmettere emozioni.
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- Zona Doc -
VERGOT
UN RACCONTO D’EMOZIONI
Vergot è l’esordio internazionale di Cecilia Bozza Wolf. Un piccolo intenso film sulla riforma delle relazioni familiari tra maschi che nasce dal confronto con il dolore e col bisogno d’amore di un giovane uomo. di SILVIO GRASSELLI
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«UN RACCONTO DI GESTI, SGUARDI, AZIONI ELEMENTARI, DI SINGHIOZZI E GRIDA».
A
Bologna, organizzato dall’associazione D.E.R. (Documentaristi Emilia Romagna), si tiene da dieci anni un festival interamente dedicato ai giovani registi documentaristi sotto i trent’anni. L’edizione più recente, quella dello scorso dicembre 2016, ha consegnato il premio Docunder30 a Cecilia Bozza Wolf per il suo Vergot, appena pochi giorni dopo l’anteprima mondiale tenutasi a Firenze dove il Festival dei Popoli l’aveva già scelto per il Concorso Italiano. Cecilia viene dalla provincia trentina. Laureata al DAMS di Padova con una tesi su Fellini (sotto la guida di Mario Brenta, regista oltre che professore, allievo a sua volta di Ermanno Olmi, che consiglierà Cecilia anche sui suoi cimenti cinematografici successivi), inizia ancora durante gli studi universitari a far pratica su una camera minidv di seconda mano. Alla carriera accademica preferisce, dopo la laurea, una scuola di cinema. Così, mentre si susseguono le prime esperienze semi-professionali, Cecilia passa le selezioni e inizia la Zelig di Bolzano, una delle più autorevoli scuole di documentario in Italia e in Europa. Un percorso di studi e di preparazione al lavoro nel cinema tanto lineare quanto ancora poco diffuso tra i professionisti nostrani. Un segno dei tempi che – finalmente – cambiano. La storia di Vergot comincia nello stesso periodo, intorno alla metà del 2013: con l’amico e collega Raffaele Pizzatti Sertorelli, Cecilia inizia le ricerche per un film sulle rock band sparse nelle valli e sui monti intorno a Trento. L’incontro con Gim e Alex, i protagonisti di Vergot, due giovani fratelli che si dividono tra il lavoro agricolo e la musica, ciascuno con la propria band, è l’inizio di un rapporto che ancora oggi non ha smesso di evolversi, e che prima di tutto spinge Cecilia a ripensare il progetto del film, facendone nascere uno del tutto nuovo e parallelo al primo: un film sul rapporto tra i due giovani, scegliendo come prospettiva e filo del discorso la difficile affermazione di Gim, omosessuale appena maggiorenne, all’interno della famiglia e nel conflittuale confronto con il fratello maggiore Alex. Dopo una prima fase di riprese, e un rallentamento che diventa poi sospensione, il lavoro con i due fratelli torna a muoversi per diventare infine il film di diploma di Cecilia e il suo debutto internazionale. Vergot è una parola del dialetto trentino: in italiano significa “qualcosa”. Un piccolo intenso film sulla riforma delle relazioni familiari tra maschi che nasce dal confronto con il dolore e col bisogno d’amore di un giovane uomo. Come già i due precedenti cortome-
traggi girati negli anni alla Zelig – Non disturbo (2014) fulmineo ritratto di una cacciatrice solitaria, eremita dei boschi e Metalmorphosis (2015), cronaca minima dei giorni di un cinquantenne, padre immaturo, rockstar di provincia di notte, “operatore mortuario” di giorno – Cecilia Bozza Wolf lavora su pochi essenziali elementi posandoci sopra uno sguardo d’intensità e d’intuizione che riesce – dopo aver costruito una relazione ispessita nel tempo e un’osservazione discreta ma sagace – a registrare e riprodurre il colore esatto di una situazione, modulandone i dettagli e le sfumature impercettibili. Al centro di Vergot c’è Gim, ripreso e ascoltato lungo un arco temporale che copre la maturazione di una coscienza e di un’identità. Accanto gli sta Alex, il fratello maggiore: altra solitudine densa ma diversamente interpretata e dissipata. Infine il padre, incapace d’esprimere affetto, impreparato a riconoscere il suo stesso amore per i figli. E poi il fantasma di una madre che si palesa solo attraverso le spicciole richieste d’amministrazione domestica, scritte su foglietti di carta passati sotto le porte o lasciati sopra i letti. Il lavoro del film comincia prima che Cecilia prenda in mano la camera, cosicché quando la macchina inizia a registrare l’obiettivo è già dentro la fitta trama delle tensioni affettive. Il girato è frutto di una consapevole partecipazione condivisa, tanto che alcune delle scene montate vengono dalla richiesta esplicita e diretta dei protagonisti. Vergot è dunque prima di tutto un film di situazioni che procede per salti, mettendo in fila una teoria di momenti topici, di quadri cronologicamente indefiniti. Solo pochi dettagli discreti suggeriscono una sequenza temporale. Più che essere antinarrativo Vergot propone invece una narrazione diversa, che procede per eventi emotivi, seguendo in un disegno lacunoso ma coerente il graduale scioglimento di una relazione tripartita. Un racconto di gesti, di sguardi, di azioni elementari, di singhiozzi e grida, distillato dalla presenza assidua e dall’intimità ottenuta anche grazie a ingegnose accortezze (la registrazione del suono in presa diretta è stata affidata dalla regista al cugino dei due protagonisti, la troupe – ridotta spesso a due sole persone – ha potuto così muoversi in confidenza con i ragazzi e la loro famiglia). Una prova che testimonia non solo il talento dell’intelligenza cinematografica di una regista ancora in via di maturazione ma che mette anche in luce le capacità del promettente montatore Pierpaolo Filomeno, compagno di Cecilia Bozza Wolf alla Zelig.
Con Vergot, Cecilia Bozza Wolf partecipa al Festival dei Popoli nel Concorso Italiano e si aggiudica il premio Docunder30.
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- Zona Doc/2 -
QUESTIONE DI CUORE
È stato uno dei grandi chirughi italiani del Novecento: si chiamava Pietro Valdoni, e a lui è dedicato il doc del giovane regista Emilio Mantova. di CHIARA CARNÀ
«
L’idea di raccontare una figura importante e particolare come quella di Pietro Valdoni – ricorda il professor Carlo Gaudio, autore e produttore del docufilm – è arrivata un anno fa. Avevo da poco portato a termine la ristrutturazione dell’edificio di Clinica Chirurgica del Policlinico Umberto I, nel quale il giovane Valdoni aveva studiato ed era tornato, dopo la guerra, come professore di Patologia Chirurgica. L’inaugurazione della Sala Convegni a lui dedicata colpì Emilio Mantova al punto che, qualche giorno dopo, mi propose il progetto». «Collaborando con l’ufficio stampa dell’Umberto I – continua Emilio, classe 1982 – sentivo spesso nominare Valdoni, così mi sono informato, senza però trovare granché. Ho pensato fosse giusto celebrarlo e il professor Gaudio è stato felicissimo di aiutarmi a dar vita al documentario, proponendo anche di integrarlo con un libro, che di fatto ha costituito la sceneggiatura dell’opera». Con chi vi siete consultati nella fase embrionale del progetto? C.G. Ho avuto l’onore di ottenere il patrocinio di RAICinema e di ascoltare i preziosi consigli di Paolo del Brocco. Io e il regista abbiamo rintracciato e intervistato gli allievi diretti del professor Valdoni, eccellenti primari di Chirurgia. Il loro contributo, fatto di ricordi e aneddoti suggestivi, è stato decisivo e ha intessuto la tela del film con un’impronta vera e imperitura. Quale dei tre aspetti di Valdoni – il chirurgo, l’uomo e l’innovatore – vi ha colpito di più? C.G. L’innovatore. Era un uomo forte, un chirurgo coraggioso, sem-
pre attento alle novità del progresso scientifico e della tecnologia connessa. Con questo suo spirito, nel dicembre del 1956, fu il primo in Europa e tra i primi nel mondo intero a operare sul cuore. E.M. Non ho dubbi: l’uomo. Quando una figura viene mitizzata ci si dimentica che si tratta di un essere umano come tutti gli altri. Oggi il lato umano è un aspetto difficile da rintracciare. In che modo avete integrato la sintassi cinematografica con quella del documentario? C.G. Alternando scene selezionate dai filmati storici delle Teche RAI, interviste ad allievi di Valdoni e una parte filmica interpretata dalla brava Chiara Cavaliere. Quest’ultima sezione, accompagnata da tre incisioni inedite di Beethoven, Chopin e Schubert, ha fatto da fil rouge all’intero docufilm. E.M. È la mia opera prima e non disponevo di grandi mezzi tecnici. I tempi erano stretti e le riprese sono state intermittenti. Le difficoltà pratiche non sono mancate… Ritenete di aver realizzato un prodotto fruibile anche da un pubblico profano in materia? C.G. L’insegnamento di Valdoni non può non colpire la mente e il cuore del pubblico di ogni età ed estrazione. Oggi la sua figura si staglia e incide come un esempio riconoscibile per tutti. E.M. È soprattutto per un pubblico profano. Il documentario si apre con proiezioni di vecchi filmati su Valdoni, mentre Chiara Cavaliere ne racconta la personalità, senza dare alcuna informazione di tipo tecnico.
Immagini dalla lavorazione di Pietro Valdoni, l’uomo, il chirurgo, l’innovatore.
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- Attori -
SARANNO
FAMOSI Quando lo sport diventa protagonista sul grande schermo, è metafora di riscatto, rigore e tenacia verso i propri obiettivi. Il look dei nostri giovani emergenti – a metà tra Million Dollar Baby e Fame – racconta la loro determinazione per raggiungere i sospirati “momenti di gloria”.
realizzato in collaborazione con MASSIMO FERRERO CINEMAS, nella storica location del CINEMA TEATRO ADRIANO di Piazza Cavour creative producer TOMMASO AGNESE foto MARCO PORTANOVA stylist STEFANIA SCIORTINO makeup NICOLETTA PINNA@SIMONE BELLI AGENCY - using: ALIKA COSMETICS hair ADRIANOCOCCIARELLI@HARUMI In tutto il servizio clothes and sneakers: NIKE Federica Lucaferri indossa: top e sneakers NIKE, jumpsuit MANILA GRACE Giusy Buscemi indossa: sneakers NIKE, jumpsuit MANILA GRACE
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«Se il mondo ricominciasse a cantare canzoni napoletane tutto tornerebbe a funzionare». ANDREA DI MARIA
«A13 anni ho partecipato per caso a un laboratorio teatrale e lì è cominciato tutto». ROBERTO CACCIOPPOLI
«È nei momenti più difficili che riscopro perché ho scelto di fare questo mestiere». EDOARDO PURGATORI
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ETÀ E LUOGO DI NASCITA MI AVETE VISTO IN IL REGISTA CON CUI SOGNO DI LAVORARE 1.
2.
3.
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FEDERICA LUCAFERRI
ANDREA DI MARIA
1. 20 anni, Roma
1. 33 anni, Polla (Sa)
EMANUELA FANELLI
2. Poveri ma ricchi di Fausto Brizzi
2. •Lo spazio bianco di Francesca
1. 30 anni, Roma
3. Sono molti, perché ognuno ha caratteristiche tutte sue, che mi colpiscono. Tuttavia, dopo aver visto Perfetti sconosciuti, direi Paolo Genovese. Sin da piccola, incoraggiata dai miei genitori, ho sempre sostenuto provini e, crescendo, ho capito cosa volesse dire davvero recitare. L’idea di poter assumere di volta in volta diverse sembianze e caratteristiche mi ha incuriosita e coinvolta sempre più. Credo che un bravo attore debba avere una predisposizione naturale a immedesimarsi nei ruoli che interpreta. Deve sorprendere, saper ascoltare e avere capacità d’improvvisazione supportate da una buona preparazione tecnica. La mia prima esperienza cinematografica è stata incredibilmente formativa. Poter ascoltare i consigli di Christian De Sica, Enrico Brignano e Anna Mazzamauro, nonché di Fausto Brizzi, è stato per me un onore e una grande scuola.
Comencini •...e fuori nevica di Vincenzo Salemme •Torneranno i prati di Ermanno Olmi •Lampedusa, miniserie per RAI1 con Claudio Amendola •Mi vedrete in Gomorra 3 - la serie
3. Zio Cicco, secondo me il suo talento ancora deve esplodere... ma mi accontento anche di Woody Allen. Il mio sogno si chiama Casa Surace, società fondata coi miei amici d’infanzia. I nostri video affrontano tematiche diverse in modo ironico e, secondo me, l’ironia è alla base della vita e del rapporto con il pubblico. L’incontro con Ermanno Olmi credo sia stata l’esperienza più intensa che abbia vissuto. Ho interpretato per lui un soldato che cantava canzoni napoletane. In cima alle montagne di Asiago, immerso nelle neve, ho cantato in un’atmosfera surreale e, a fine scena, Ermanno mi ha abbracciato emozionato e ha sussurrato: «Se il mondo ricominciasse a cantare canzoni napoletane tutto tornerebbe a funzionare».
2.
•Gli ultimi saranno ultimi •Assolo •Dov’è Mario? •Beata ignoranza •Non essere cattivo
3. Paolo Virzì, riuscirebbe a far recitare bene anche una cabina telefonica e tira fuori il meglio da chiunque. Mi sono appena ricordata che le cabine telefoniche non esistono più: ho guadagnato almeno tre punti “vecchiaia” con questa risposta… Mi piacerebbe avere un aneddoto che raccontasse un’epifania importante, come: “ero lì che pulivo i fagiolini e, d’un tratto, ho sentito la voce di Bice Valori che mi chiamava”, però non è andata così. La verità è che la passione per la recitazione fa da sempre parte di me, come gli occhi marroni. Credo che per migliorare sia necessario concentrarsi più sugli errori che sulle intuizioni giuste, senza mai autocompiacersi. Recitare con Corrado Guzzanti è stato un onore che mai avrei sognato. In più, è la prima volta in cui mi è stata data la possibilità di costruire un personaggio articolato.
EDOARDO PURGATORI 1. 28 anni, Roma 2.
•Amore oggi •La grande rabbia •Un medico in famiglia •Mi vedrete nella seconda stagione di Tutto può succedere e, al cinema, in Quando corre Nuvolari • In futuro, su RAI1 ne Il confine, diretto da Carlo Carlei
3. Moltissimi e per motivi diversi: da Fincher, Tarantino e Scorsese, a Sollima, Bellocchio, Garrone e Sorrentino. Avevo 13 anni quando ho cominciato a recitare, ai tempi della scuola tedesca, dove il teatro era un luogo fondamentale per la crescita personale. Le doti imprescindibili per un bravo attore sono curiosità, fragilità, perseveranza, follia, autoironia, disciplina e senso della bellezza. Quando il mio lavoro viene criticato, mi scartano dopo un provino o penso di non essere all’altezza, mi sento spronato a migliorare. È nei momenti più difficili che mi trovo a riscoprire perché ho scelto di fare questo mestiere.
GIUSY BUSCEMI
ROBERTO CACCIOPPOLI
CATERINA LE CASELLE
1. 23 anni, Menfi
1. 28 anni, Napoli
1. 24 anni, Roma
2.
2.
•Il Paradiso delle Signore •I Medici •Smetto quando voglio - Masterclass •C’era una volta Studio Uno •Mi vedrete nella seconda stagione di Il Paradiso delle Signore e in Smetto quando voglio - ad honorem
•La freccia del Sud di Ricky Tognazzi •Una pallottola nel cuore 2 di Luca Manfredi •Un passo dal cielo 3 di Jan Michelini •Mi vedrete in Acqua di marzo di Ciro De Caro e Gramigna di Sebastiano Rizzo
3. Tom Hooper.
3. Paolo Sorrentino, Paolo Virzì, Alejandro Gonzalez Iñárritu.
Con le prime esperienze sul set, la mia passione è cresciuta giorno dopo giorno, fino a diventare parte di me. Credo sia importante non smettere mai di ascoltare, non perdere la curiosità e non prendersi mai troppo sul serio. L’esperienza che più mi è rimasta nel cuore è la serie in costume Il Paradiso delle Signore, ambientata negli Anni Cinquanta. Studiare e imparare tanto sulla vita nell’epoca d’oro del nostro paese è stato meraviglioso.
Ho scoperto la passione per il mio lavoro all’università. Al primo anno di filosofia ho partecipato a un laboratorio teatrale e da lì è iniziato tutto. Ricordo soprattutto due esperienze teatrali: uno studio su Zoo di vetro e lo spettacolo China Doll, dove ho lavorato a fianco di uno degli attori con più esperienza in Italia: Eros Pagni. Alla regia, uno strepitoso Alessandro D’Alatri, con il quale non vedo l’ora di girare qualcosa insieme.
2.
Questi giorni di Giuseppe Piccioni, nella seconda stagione di In treatment
3. Ogni volta che finisco di vedere un film che mi piace penso: “È con questo regista che vorrei lavorare!”. Se ne dico uno mi sembra di escluderne troppi. La recitazione ha sempre fatto parte della mia vita. L’ho scoperta sui libri, specialmente tra le pagine di Shakespeare, immedesimandomi nei personaggi. Negli attori c’è una sensibilità sconvolgente, sembra abbiano un’anima di vetro che potrebbe rompersi da un momento all’altro. In realtà è un vetro molto forte, attraverso cui puoi vedere tutto, e che permette a un artista di avere grande percezione dello spazio che lo circonda, di capire e sentire con facilità.
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«La recitazione fa parte di me, come gli occhi marroni». EMANUELA FANELLI
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«Un bravo attore deve saper sorprendere». FEDERICA LUCAFERRI
«Non bisogna smettere mai di ascoltare, non perdere la curiosità e non prendersi mai troppo sul serio». GIUSY BUSCEMI
«Gli attori hanno una sensibilità sconvolgente, come un’anima di vetro che potrebbe rompersi da un momento all’altro». CATERINA LE CASELLE
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- Videoclip -
GIACOMO TRIGLIA
IL MIO MAESTRO ENRICO GHEZZI È
© Arturo De Rose
BABBO NATALE RIVERSO SULL’ASFALTO. UN’AMBULANZA CON LE LUCI ACCESE E UN PARAMEDICO CHE ARRIVA A GRANDI PASSI PER SOCCORRERE IL FERITO.
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© Arturo De Rose
© Arturo De Rose
di VALENTINA D’AMICO
© Francesco Prandoni
I video realizzati da Giacomo per Brunori, Afterhours, Irene Grandi, Zero Assoluto, Francesca Michielin e molti altri nomi importanti denunciano uno sguardo cinematografico e un gusto raffinato per la narrazione. www.giacomotriglia.com
È
questa immagine così surreale, difficile da cancellare dalla mente, a darci il benvenuto nel vi-
deo del brano di Brunori Sas La verità, singolo di punta di A casa tutto bene, il suo ultimo album. L’immaginifico video, che
avere tra le mani artisti particolarmente esigenti interpellano più registi, ma alla fine sono sempre riuscito a ottenere il lavoro. Quando ho girato il video degli
Afterhours Non voglio ritrovare il tuo nome, l’idea iniziale era girare solo il playback con la band. Tutto il resto è venuto in un secondo momen-
© Arturo De Rose
racconta la storia struggente di due Babbo Natale assai © i diversi, è farina del sacco di Dario Brunori. A tradurre in to. Manuel Agnelli ha visto il montaggio e gli è piaciuto Ila mb ria Magliocchetti Lo immagini questa fiaba moderna dal sapore dolceamaro è, talmente tanto che abbiamo deciso di aggiungere delle però, il regista Giacomo Triglia, autore affermato nel mondo parti più narrative, scene ispirate a fotografie. Dopo aver visto dei videoclip nostrani. il video, mi chiedono tutti se Manuel è così cattivo, in realtà con lui ho Calabrese proprio come Brunori, Giacomo Triglia deve all’incontro lavorato benissimo. Anche Francesca Michielin è molto esigente, sa col musicista l’esordio sulla scena del videoclip. «Nel 2009 vivevo a esattamente ciò che vuole e quando non è soddisfatta del montaggio Reggio Calabria e curavo la direzione artistica di un festival di video ci lavoriamo su insieme. Di solito interviene molto, ma alla fine l’idea e fotografia» racconta Giacomo. «Lì ho incontrato Dario Brunori che è sempre la mia e poi anche con lei ho girato sei video, quindi il mio aveva un progetto musicale appena nato. Abbiamo deciso di fare il stile le piace». primo video insieme e mi sono trasferito a Cosenza. Sono stato io a Tra tante soddisfazioni derivate dalle sue opere, una battuta di arrescegliere il singolo, Come stai, che ha iniziato a circolare e da lì ho sto è arrivata quando il regista è incappato nella censura di YouTube. avuto richieste piuttosto consistenti. Per Brunori ho girato sei video e Niente di plateale, naturalmente, ma un tantino sorprendente. «Per un docufilm di 40 minuti per SkyArte, Brunori Sas – A casa tutto bene, Dimartino ho realizzato il video di Non siamo gli alberi. in cui si racconta il nuovo disco». Protagonista è una coppia che fa l’amore, ma il tutto vieCi sono artisti più legati al videoclip tradizionale in cui viene ripro- ne mostrato al contrario. Si apre con loro nudi a letto e termina dotta la situazione del concerto e ci sono artisti che amano raccontare quando sono vestiti, all’inizio del rapporto. Non è un video spinto, vere e proprie storie in pochi minuti. Ma come nasce l’idea per un non si vede molto, ma dopo tre giorni di pubblicazione deve essere videoclip? Nel caso di Giacomo Triglia il processo è molto naturale. arrivata qualche segnalazione perché YouTube ha imposto la censura «Lavoro nel settore dal 2009 e collaboro spesso con Sony e Universal. ai minori di 18 anni». I discografici ormai conoscono il mio lavoro e sanno già quali artisti Come è facile intuire dalle sue parole, per Giacomo la storia è uno deaffidarmi. Vengo contattato dall’etichetta che mi propone il brano e gli ingredienti essenziali dei videoclip. L’altro è l’ambientazione, spespartendo dalla canzone presento un’idea. Mi lascio ispirare dal pez- so in esterni, occasione per valorizzare scorci inediti della sua Calazo, dal genere musicale, dal testo. A volte parto da una singola scena bria: «È ovvio che quando penso a una location mi vengono subito in e poi le do senso costruendoci una sceneggiatura intorno. Non esiste mente i miei luoghi, ma non è una questione patriottica» chiarisce il una formula precisa, ogni video è diverso dall’altro». regista. «Io amo girare dappertutto, ma a volte costruisco l’idea su una I video realizzati da Giacomo per Brunori, Afterhours, Irene Gran- location specifica perché qui ci sono zone molto suggestive. L’idea di, Zero Assoluto, Francesca Michielin e molti altri nomi importanti di Battito di ciglia di Francesca Michielin è costruita su denunciano uno sguardo cinematografico e un gusto raffinato per la un antico fortino, una location bellissima e molto partinarrazione. Il regista calabrese ammette: «Ho visto sempre pochis- colare che abbiamo usato come leitmotiv del video». Vista simi video musicali, da giovane non guardavo molto MTV. I miei la natura narrativa dei suoi lavori, viene spontaneo chiedersi se abbia riferimenti sono cinematografici. Sono cresciuto con Fuori orario e mai avuto difficoltà nel far recitare i cantanti con cui ha lavorato: «Di considero Enrico Ghezzi il mio padre putativo. Ho iniziato girando solito non ho problemi. I cantanti sono abituati a stare sotto i riflettocorti, ma ho smesso perché ho cominciato a lavorare nel videoclip e ri. Quando scrivo io so già se l’artista sarà in grado o meno di fare le le commissioni sono arrivate una dopo l’altra. Mi piacerebbe tornare cose che ho in mente per lui. Gli unici artisti a cui ho richiesto pera sviluppare progetti miei, ma per ora non ne ho il tempo». formance più attoriali, al di là del classico playback, sono Afterhours, Sarà questa originalità nello sguardo nutrita da visioni cinematogra- Irene Grandi, in parte Dario Brunori ed Eugenio Finardi. A Finardi, fiche che gli ha permesso di farsi un nome nel settore fino a diventare per il video di Passerà, abbiamo fatto guidare il trattore. Ecco, se devo uno dei registi più ricercati, anche da artisti notoriamente “diffici- dire la verità, vederlo sul trattore è stato l’unico momento in cui ho li”. «Di solito mi danno carta bianca. Quando i discografici sanno di avuto una certa ansia».
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- Soundtrack -
IO, PAOLO E LA MUSICA LELE MARCHITELLI
Complice di Sorrentino ne La grande bellezza e The Young Pope, ha saputo mettere in musica il terrore della fede. di MARGHERITA GIUSTI HAZON
«
Il cinema è un lavoro di gruppo con un proprietario».
Lele Marchitelli, che ha firmato le musiche originali della serie di Paolo Sorrentino The Young Pope, divenuta ormai cult, è uno di poche parole ma con le idee molto chiare sul suo lavoro, uno di quei rari esempi di persone in grado di mettere al primo posto la riuscita del film e le indicazioni del “proprietario”
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dell’opera, che per lui è il regista. A servizio dell’obiettivo finale, fornisce la sua arte per un prodotto comune, senza imporre la propria soluzione e riponendo nel regista una fiducia totale: «È il regista ad avere la visione. Non si va da nessuna parte se non c’è una bella idea dietro, una bella sceneggiatura, un autore che abbia le idee chiare. E non ci sono montatore, costumista, scenografo, né tantomeno musicista che tengano. Puoi
chiamare chiunque. Anche Mozart. Ma se non c’è l’idea, sarà sempre un filmettino». Quando hai capito che la tua vita sarebbe stata la musica, e poi la musica per le immagini? Ho sempre desiderato fare questo lavoro. Ho cominciato a studiare chitarra, ho rotto le scatole ai miei talmente tanto che alla fine quando ho compiuto 12 anni me ne hanno regalata una, che purtroppo ora
non ho più, è andata perduta, e questo è l’unico rammarico, ancora mi dispiace. Non c’è stata nessuna folgorazione, ho cominciato a suonare un po’ in giro, e piano piano mi sono accorto che mi piaceva commentare le immagini con la musica, questo era il mio destino. La prima esperienza cinematografica? Spettri (1987) di Marcello
Oltre che per il cinema, Marchitelli ha composto musica per le rivoluzionarie trasmissioni di RAI3 degli anni ’90 (Avanzi ecc.).
«OGNI VOLTA CHE LAVORO A UN FILM MI SENTO COME UN BAMBINO CHE INCOMINCIA, SONO DISARMATO».
Avallone, che ancora gira in Corea, un film splatter. Forte. Poi ho lavorato con Giuseppe Piccioni al suo primo film come regista, Il grande Blek (1987), e poi negli anni ’90 la vita mi ha portato a fare molta TV, sono stato autore delle musiche di programmi come Avanzi, L’ottavo nano, Pippo Chennedy Show, eravamo un gruppo di persone che si divertivano, una magia che sarebbe davvero difficile ricreare adesso.
Poi sei stato compositore delle colonne sonore di film come Sono pazzo di Iris Blond (1996), Piano, solo (2007) fino a quando nel 2013 hai iniziato la tua collaborazione con Paolo Sorrentino, che ti ha portato a realizzare le musiche de La grande bellezza e ora di The Young Pope. Com’è nato questo sodalizio? Io e Paolo ci conosciamo da anni, siamo prima amici che collaboratori. Aveva appena finito di girare This Must be the Place quando mi raccontò un’idea che aveva e mi chiese se volevo far parte del gruppo. Ovviamente dissi di sì, Paolo è un regista che ho sempre stimato, quindi accettai subito. Mi avvisò che in questo film, che poi sarebbe stato La grande bellezza, non ci sarebbe stata tanta musica, ma a me non interessava, perché per me il cinema è un lavoro di gruppo con un proprietario. Lo dico male ma il senso è chiaro. L’idea è di una persona sola. È lui che ha la visione.
leggere la sceneggiatura e io da lì ho incominciato a scrivere. Quello per me è il momento più bello, perché si è completamente liberi. Uno dei pezzi di cui sono più contento è Fear of God, un brano che si ripete una decina di volte nella serie, del quale dopo averlo sentito Paolo mi ha detto «sei riuscito a mettere in musica il terrore della fede».
Com’è lavorare con Sorrentino? Paolo è uno che ha le idee sempre molto chiare, e ha sempre ragione, le sue scelte sono quelle giuste. Quando andavo sul set non era mai in dubbio su dove mettere la macchina, sapeva sempre come avrebbe girato una scena. Con Young Pope siamo partiti da una chiacchierata – chiacchierata è una parola grossa perché lui è uno che parla poco – dove mi ha raccontato l’idea che aveva in testa, poi mi ha fatto
Tu prediligi la “promiscuità musicale”. Mi spieghi meglio cosa intendi? Quando è possibile mi piace mischiare per creare colori e sapori diversi. Usare l’elettronica mista a strumenti classici. Sentire cose già esistenti che non c’entrerebbero niente e cercare di rubarne l’anima, che è diverso da copiare. Rubare è lecito, bisogna penetrare dentro le cose e prenderne l’anima. Copiare è tutta un’altra cosa. È molto più difficile rubare.
Tu non credi nell’ispirazione, nella folgorazione. Ci vogliono tanto studio e disciplina. Ma come trovi le idee? Sì, è una cosa in cui credo molto, è una mia forma mentale. Ti siedi alla scrivania e non combini niente? Insisti. Ti alzi, piuttosto, fai un’altra cosa, però ci vuole metodo. Non è guardando il tramonto o il mare che ti arriva l’idea. Ho uno studio dove vado tutti i giorni. Tutti, anche se non ho niente di concreto da fare. Vado lì e leggo, guardo un film, faccio delle ricerche, sento dei dischi. Questo per me è studiare, e sono tutte cose che servono tantissimo.
Cosa consiglieresti a un giovane che vuole intraprendere questa carriera? Le scuole servono solo per la conoscenza della teoria. A un giovane non mi verrebbe nient’altro in mente da dire se non: disciplina, metodo, applicazione, testardaggine. Questo è un lavoro lungo, difficile, io ho cominciato con la pubblicità, poi ho deciso di andare in un’altra direzione, ma ho faticato, ho lavorato, e piano piano… e ce n’è ancora tanta di strada da fare. Ogni volta che lavoro a un film mi sento come un bambino che incomincia, sono disarmato. Posso però consigliare un piccolo trucco: mai svelare a un regista a cui si propone un pezzo che quel pezzo era già stato composto per qualcos’altro. Perché se prima gli piaceva, non gli piacerà più. In questi ultimi anni sembra ci sia una tendenza a ridurre la colonna sonora di un film a un “tappeto sonoro”, che non si deve troppo notare ma accompagnare il film senza essere troppo ingombrante e caratterizzante. Sei d’accordo? Per come la vedo io è giusto, perché la musica deve seguire il film, non guidarlo. E proprio perché penso non esista una musica bella se non c’è un bel film, per dimostrarlo faccio sempre un gioco, chiedo: «Sapreste dirmi una bella colonna sonora di un film brutto?» e nessuno sa rispondere. Se non c’è il film, non c’è la musica e non ci sono i costumi, le scenografie, le interpretazioni, non c’è niente. Nessuno si ricorda i costumi bellissimi di un film orrendo. È un’equazione, è scientifico. Le belle colonne sonore sono di altrettanti capolavori.
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- Realtà virtuale -
SCIAMANI VIRTUALI
Funghi fluorescenti, pareti di luce pulsante, colonne doriche a sostenere fasci ingarbugliati di neon, cieli stellati, nebulose maligne. di ILARIA RAVARINO
U
n quadro di De Chirico in acido, un viaggio allucinato in una foresta che è anche un po’ chiesa, casa, tempio, arena, galleria, corridoio, tunnel, infine spiraglio verso una nuova dimensione. È un cortometraggio, Amanitha, anche se come sempre più spesso accade con la realtà virtuale bisognerebbe trovare un termine nuovo per definirlo e inquadrarlo: un trip iperdimensionale, una performance, un esperimento, «un viaggio sciamanico postmoderno – spiegano gli autori, il grafico 3D Saul Clemente e il modellatore/ direttore della fotografia Alessandro Passoni – basato sul sincretismo culturale, a cavallo tra la tradizione celtica e quella asiatica, attraverso un paesaggio mutuato da Dalì ed Escher». Realizzato in occasione del Festival della creatività digitale Omissis, a Gradisca d’Isonzo, Amanitha è stato il primo progetto in VR realizzato dalla friulana Virtew: «Fino a tre anni fa ci occupavamo esclusivamente di rendering e visualizzazioni per progetti di architettura e design, poi, da appassionati di videogiochi,
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abbiamo cominciato a interessarci alla VR». Nel 2015 Omissis le commissiona un’“esperienza” in realtà virtuale, e nel giro di quattro mesi nasce Amanitha, quattro minuti e mezzo (ma la durata è relativa, la percezione del tempo dilatata) costati circa 35.000 euro. «L’esperienza era nata per essere una vera e propria performance: nella stanza dove si vedeva il film, attraverso il visore di Oculus Rift, c’era una palla da yoga, una campana tibetana, un fungo identico a quello che compare nel video. L’idea era quella di fondere reale e virtuale». Fino a oggi, grazie alla circolazione del cortometraggio nei festival, circa un migliaio di persone hanno potuto provare Amanitha «e ognuno ha vissuto l’esperienza in modo diverso. Le emozioni più comuni sono state quelle che volevamo provocare: paura, senso di allucinazione, vertigini, eccitazione». Le tecniche messe a punto dal team per realizzare il corto, nato «come tutti gli audiovisivi» da una fase di brainstorming e storyboarding, oggi servono a Virtew per realizzare prodotti diversi ma affini: videogiochi.
Amanitha è il corto di realtà virtuale realizzato da Virtew per il Festival della creatività digitale Omissis a Gradisca d’Isonzo.
«Amanitha ci ha permesso di sperimentare prima di tutto a livello scenografico. La cosa più difficile da ottenere, in un ambiente in realtà virtuale, è una corretta direzione della fotografia. Bisogna inoltre saper raccontare tutto il mondo intorno allo spettatore, permettergli letteralmente di girarsi, aiutarlo a uscire dagli schemi della visione abituale». Il passaggio dal cinema VR al videogioco VR sarebbe avvenuto in maniera molto fluida: «Viviamo un momento particolare, la tecnologia disponibile ci permette di sperimentare tantissimo: in un certo senso, chiunque oggi usi la VR è un pioniere. I nuovi videogiochi sono già cinema interattivo, la tecnologia sta fondendo i due ambiti: la linea di demarcazione tra i due mondi, cinema e videogioco, è sempre più labile. Sono due media diversi che lavorano a un nuovo linguaggio comune». Ma passare al videogioco, dopo un esordio brillante come quello di Amanitha, è stata una scelta dettata anche dalle regole
del mercato. Che in Italia, nei confronti della VR, è asfittico quando non ostile: «Il mercato del videogioco è più sviluppato, anche se in Italia la situazione per la VR è generalmente di stallo. Gli investitori sono frenati dalla paura della novità, dall’ignoranza, dallo scetticismo: non conoscono la validità del mezzo e non hanno acquisito alcuna competenza in merito. È difficile persino farsi capire quando si presenta un progetto». E dire che l’hype da parte del pubblico, cioè l’aspettativa nei confronti di tutto ciò che riguarda la realtà virtuale, è altissimo anche nel nostro paese. Basti pensare a quanto accaduto lo scorso novembre con Run of Mydan, videogioco in VR prodotto dal team: è bastato pubblicare un’inserzione in cui si annunciava un test pubblico di pochi minuti per andare in overbooking di richieste. «Era un test di dieci minuti. E nemmeno la release definitiva». Come dire: la voglia di guardare avanti, almeno al pubblico, non manca.
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- Effetti speciali -
INTELLIGENZA Dietro le quinte di una delle compagnie di effetti speciali piĂš
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importanti del mondo, la ILM. A raccontarcela, Daniele Bigi,
ARTIFICIALE di ANDREA GIORDANO foto Courtesy of INDUSTRIAL LIGHT & MAGIC
CG Supervisor italiano, che lì ha raggiunto la vetta del settore. 59
«TUTTO È NATO GUARDANDO PELLICOLE COME JURASSIC PARK E TERMINATOR 2 ». www.ilm.com
C
reatività e giochi d’effetto, con una buona dose di razionalità e calcoli. Daniele Bigi, comasco doc, da oltre 12 anni lavora nei più importanti studi d’effetti speciali, tanto da essere diventato uno dei talenti d’eccellenza di questo settore. Anche se lui continua a essere il ragazzo di sempre. Dopo la laurea in Disegno Industriale conseguita al Politecnico di Milano, sono arrivate le prime collaborazioni ad Atlanta, Bangalore, proseguendo all’Ardman Animation di Bristol, fino all’approdo in Inghilterra, ormai la sua seconda casa. Dapprima alla Framestore, poi per sei anni nella prestigiosa Moving Picture Company, arrivando, da poco più di due anni, nell’olimpo del settore, la
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ILM, Industrial Light&Magic, fondata da George Lucas nel 1975, oggi passata alla Disney. Una carriera fulminante la sua, ricoprendo incarichi sempre più diversi, da look developer e lead lighter in lavori come Harry Potter e i doni della morte, X-Men, First Class, diventando in poco tempo CG Supervisor in Seventh Son, Prometheus (Lighting Supervisor), Guardiani della Galassia, così nella sua nuova avventura su progetti come Ant-Man e l’acclamato Doctor Strange. «Tutto è nato guardando pellicole come Jurassic Park e Terminator 2, in quel momento capii che volevo intraprendere questa strada». Un percorso necessario e da tenere molto segreto: «Ci
sono delle regole interne che dobbiamo rispettare riguardo ai contenuti che vediamo in anteprima. Ma al tempo stesso c’è grande apertura, possiamo vedere tutto o quasi di ciò che altri colleghi stanno portando avanti, periodicamente ILM organizza proiezioni, c’è un ottimo rapporto. Il fatto che la compagnia sia passata alla Disney spesso ci mette nelle condizioni di poter dialogare con i colleghi del team tecnico di Pixar e accedere alle loro tecnologie, partecipando spesso ai meeting organizzati dagli sviluppatori». Ed è proprio dall’ultimo progetto, quel Doctor Strange nominato all’Oscar per gli effetti speciali, che Bigi prosegue il suo racconto tecnico e affascinante:
«È stata una delle
esperienze maggiormente avvincenti, dove mi sono ritrovato anche realmente sul set. Negli studi di Long
Cross a Londra si è lavorato a una scena di combattimento, la “Hong Kong Reverse Destruction sequence”. C’erano alcuni aspetti da seguire, ad esempio se il green screen doveva essere illuminato in un certo modo per evitare problemi nella fase di chroma key. Verificavo soprattutto come venissero posizionati i 4-5 lidar scan, macchine dotate di testa ruotante a 360°, capaci di colpire una superficie con dei laser, usate in diversi settori industriali per l’acquisizione di misure ad alta precisione. Nel nostro caso – continua Bigi – i laser si attivavano a intermittenza con
Daniele Bigi è pronto per una nuova sfida accanto a Spielberg per l’atteso film Ready Player One.
intervalli di decimi di secondo, colpendo gli oggetti circostanti e registrando la distanza tra la testa del lidar e il punto colpito dal laser. Dopo diverse ore di acquisizione dati, il tutto viene salvato in una “nuvola di punti”, chiamata point clouds, che successivamente viene usata per creare un modello poligonale 3D. Questo lavoro è stato fondamentale per poter costruire l’estensione digitale del set in modo che combaciasse perfettamente con quello reale creato in studio». A sentirlo parlare tutto sembra molto semplice, in realtà il settore in cui opera è ancora un mondo che spesso deve essere compreso, spiegato, e nulla sui termini può essere lasciato al caso. «È stato complesso, non solo abbiamo creato delle forze fittizie che spingessero i palazzi senza andare a coprire gli attori, ma ci siamo soffermati su
ogni frammento caduto, chiedendo che fosse girata una library con quattro telecamere, posizionate
da prospettive diverse. Nel nostro settore le “librerie” sono un insieme di micro scene, richieste per inserire degli extras (comparse) che, talvolta, consigliamo di girare indoor con il green screen: gruppi di persone che corrono, cadono, fanno finta di essere spaventati, ma anche fiamme, esplosioni, fumi. Clip che, in post produzione, usate in fase di compositing, diventano fondamentali per riprodurre e simulare in digitale». Archiviato un lavoro complesso e ambizioso, la sua prossima sfida è già avviata e sarà focalizzata su Ready Player One, il nuovo atteso film di Steven Spielberg, tratto dal romanzo di Ernest Cline. «Parliamo di una storia che si ispira al mondo dei videogame, in questo senso è stata già fatta una pre-visualizzazione, ora comincia il bello. È presto per dirlo, ma ci sono le basi per creare
un punto di vista visivo nuovo. L’altra cosa interessante sarà il fatto che appassionerà pubblici e culture diverse, secondo me potrebbe rivelarsi un successo incredibile. Il lavoro creativo è davvero enorme, per ora stiamo “solo” animando, la cosa che mi ha colpito però è quanto lo stesso Spielberg riesca a darci in termini di feedback. Con lui abbiamo call periodiche, è incredibile. Fornisce note, dettagli, è attento a ogni aspetto. A differenza dei precedenti incarichi sarò Associated Visual Effect Supervisor, un ruolo intermedio, in cui vengo coinvolto in aspetti tecnici, però seguo meeting legati anche ad argomenti più estetici ed espressivi». Si parla del presente, con lo sguardo però rivolto a cosa il futuro del settore potrà ancora regalare. «Il fatto che in Rogue One sia resuscitato digitalmente
«IL FATTO DI NON CONOSCERE TUTTO È LA MOLLA PER SPERIMENTARE E INNOVARE».
un attore come Peter Cushing è già un segno tangibile di avanzamento, una maturità
tecnologica che dimostra come ILM sia una delle migliori compagnie in circolazione. Dopo
un progetto come questo ti rendi conto che c’è ancora molta strada, il problema sarà la qualità, la ricerca della perfezione. Il fatto di non conoscere però tutto è la molla per sperimentare e innovare». Tuttavia un passo in avanti l’artista italiano lo anticipa già: «Si sta parlando di passare a una risoluzione a 4k, questo creerà problemi nei tempi di rendering. La tecnologia dei proiettori, TV, che quasi tutti oggi possono comprare, i sensori delle telecamere, è avanzata negli ultimi otto anni al punto che quasi tutto il girato di Doctor Strange è stato effettuato a 6k. Succederà presto, la larghezza dell’immagine arriverà circa a 4000 pixel, anche alcuni cinema ne sono dotati, dovremmo essere tutti pronti».
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- Arts -
Uno studio attento del colore e un linguaggio semplice, elegantemente bidimensionale, in cui racchiudere un universo di piccoli e grandi segni e oggetti che rendono le immagini brulicanti. Quelle di FRANCESCO POROLI, art director milanese di stadi MARCO PACELLA tura internazionale, sono illustrazioni che,
Arabeschi Metropolitani partendo da questa calibrata purezza del segno, hanno colpito l’attenzione di numerosi marchi e testate in Italia e all’estero, da Adidas a Google, da «Repubblica» al «New York Times Magazine». Ma, come ci ha raccontato, accanto ai lavori per aziende ed editoria, trova posto anche una interessante e appassionata ricerca personale. Con un occhio attento alle nuove generazioni di illustratori. Provenendo da studi classici, come illustratore hai una formazione da autodidatta. Come è nato questo avvicinamento al mondo delle immagini? In realtà le immagini hanno sempre fatto parte della mia vita. Disegno continuamente, da quando ne ho memoria, semplicemente poi la mia formazione è andata da un’altra parte. E anche il mio percorso professionale, che mi ha portato a fare il grafico per anni prima di diventare, un po’ per caso, un illustratore vero e proprio. Ho pensato per molto tempo che i miei disegni non fossero abbastanza buoni per essere pubblicati e quindi li tenevo nel più classico dei cassetti.
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Quanto conta per un freelance avere uno stile grafico personale e definito e quale margine di adattamento è necessario per rispondere alle richieste dei clienti? Avere un segno riconoscibile credo sia fondamentale: i clienti – quelli buoni – sanno distinguere e scegliere il professionista e il segno giusti per ogni lavoro. Penso però anche che spendere troppo tempo cercando il proprio stile sia una immensa perdita di tempo: deve essere un percorso naturale, meglio concentrarsi sull’avere qualcosa da dire che sullo stile per dirlo. Per citare un amico, Riccardo Guasco, “lo stile arriva quando uno smette di cercarlo”. Nel progetto 12 months/12 artists hai ritratto alcune importanti figure della storia dell’arte, da Caravaggio a Cézanne, da Frida Kahlo a Haring. Come le hai scelte e a quali di questi grandi pittori ti senti più legato? È stata una doppia scelta. La prima motivata dal mio gusto personale, la mia passione per i singoli artisti. L’altra dettata dal fatto che avessero dodici compleanni in dodici mesi diversi. Dovessi sceglierne uno dei dodici, direi Picasso.
www.francescoporoli.it
Nei tuoi lavori elementi vegetali, architetture e oggetti si intrecciano spesso in arabeschi e forme brulicanti. Recentemente alla Galleria MILA di Roma hai esposto, fra le altre, due immagini che mostrano la città capitolina e la tua Milano. Come hai interpretato le due metropoli? In entrambi i casi sono partito dalla scelta tipografica e poi, una volta impostate le lettere, ho iniziato a costruirci intorno immagini e riferimenti che mi ricordassero due città che amo particolarmente. Milano perché è la mia, Roma perché è un luogo dove, per motivi affettivi e anche personali, sono sempre felice di tornare. Parliamo del progetto Illustri. Di cosa si tratta e in che modo la vostra esperienza si relaziona con i disegnatori emergenti? Il progetto Illustri, nato nel 2013 come mostra collettiva in quel di Vicenza, si è via via trasformato in una vera e propria biennale di illustrazione e in un’associazione culturale. In questo 2017 arriva la nuova edizione del Festival biennale: partirà il 27 maggio a Vicenza e offrirà un ricchissimo programma di mostre, incontri, workshop
e anche aperitivi. Saremo in Veneto e certe tradizioni bisogna rispettarle! Tra le varie esposizioni in programma, una – Saranno illustri, nella straordinaria cornice della Basilica Palladiana – sarà dedicata proprio a undici illustratori under 35, che rappresentano il meglio della nuova generazione di illustratori italiani. Nove sono stati scelti dal consiglio artistico dell’associazione, due attraverso un concorso al quale si sono candidati quasi 250 illustratori. Di questi posso già fare il nome: Marta Pantaleo e Michele Bruttomesso. Con altri autori italiani della tua generazione lavori spesso per l’editoria e la pubblicità anche all’estero. È possibile tracciare una sorta di filo conduttore espressivo, una “via italiana” all’immagine apprezzata anche fuori dai confini nazionali? Non credo ci sia un filo conduttore espressivo che lega l’attuale scena dell’illustrazione italiana. Se vuoi essere un freelance – e ancora di più un freelance in campo creativo – questo bellissimo paese ti obbliga a sviluppare una certa capacità di adattamento, per così dire, che può essere utile per arrivare lontano.
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- Pictures -
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Da sempre attenta a quello che accade nel mondo del disegno e del colore, Fabrique è felice di inaugurare una nuova collaborazione con Officina B5: a ogni numero la rivista pubblicherà un’illustrazione frutto di un apposito contest proposto agli allievi della scuola. L’illustrazione di queste pagine, vincitrice del primo contest, è di Martina Manna.
CINEMA D’EUROPA Officina B5 è una scuola di illustrazione nel cuore di Trastevere, fondata nel 2005 da Fabio Magnasciutti e Lorenzo Terranera. Si propone come un laboratorio continuo di illustrazione in tutte le sue componenti, dall’acquisizione delle tecniche alle questioni legate alla professione, come una moderna “bottega rinascimentale”. I docenti sono tutti professionisti con differenti specializzazioni. L’intento è preparare gli studenti al lavoro sul campo.
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DIARIO GLI EVENTI DI FABRIQUE
7 DICEMBRE 2016
SPAZIO AL TALENTO Per la presentazione del suo numero invernale, il sedicesimo, Fabrique ha puntato in alto, scegliendo l’affascinante location di Spazio 900.
Evento della serata, il Premio Fabrique du Cinéma 2016, arrivato alla sua seconda edizione, con una giuria composta da artisti del calibro di Alessandro Borghi, Valentina Lodovini, Piero Messina, Ivan Carlei e Federico Zampaglione. Un’iniziativa nata per valorizzare giovani cineasti e attori, ma anche per premiare chi nel settore si pone in maniera costruttiva e sperimentale. Il 30 novembre sono state svelate le nomination per le categorie: Miglior Opera Innovativa e Sperimentale, Miglior Opera Prima, Attore Rivelazione, Attrice Rivelazione e Miglior Tema Musicale. Partner d’eccezione, Save the Children che ha presentato l’iniziativa “Christmas Jumper Day - Metti un maglione e dai ai bambini un futuro migliore”, per supportare i progetti dell’Organizzazione indossando un maglione natalizio. Nel numero 16, Domenico Diele ci ha raccontato il suo percorso artistico accanto a grandi figure come Juliette Binoche, Nanni Moretti, Stefano Sollima; abbiamo scoperto il nome su cui scommettere per il futuro, Paolo Mannarino, filmmaker dal respiro già internazionale; Il più grande sogno di Michele Vannucci e Sex Cowboys le Opere Prime da non perdere. Non è mancata l’arte, con
le illustrazioni di Rita Petruccioli, la musica per il cinema con l’icona dei film anni ’70 Stelvio Cipriani, una panoramica sui giovani storyboard artist, gli effetti speciali che l’italianissima Why Worry ha preparato per Independence Day-Rigenerazione. Presenti all’evento anche i sei giovani attori protagonisti dello speciale Black Poetry: Federica Sarno, Tatjana Nardone, Lorenzo Di Segni, Giulio Cavallini, Marina Occhionero, Luca Grispini. Tanti gli ospiti che hanno partecipato al grande evento, a cominciare dai Joe Victor in versione Double Trouble, una delle band più luminose e talentuose della scena indipendente italiana. E ancora musica con il folk rock di Wrongonyou che Rolling Stone paragona a Justin Vernon e John Frusciante. Tante anche le proiezioni, tra cui Uomo in mare di Emanuele Palamara, Ratzinger vuole tornare di Valerio Vestoso e le presentazioni delle due nuove serie per il web Unisex e Generatio_N. Evento speciale è stata l’anteprima assoluta del cortometraggio Oggi offro io di Valerio Groppa e Alessandro Tresa con Icio De Romedi, Enzo Iacchetti e Giobbe Covatta. E ancora le mostre di Antonello&Montesi e di giovani fotografi italiani, il video mapping di Cliché Video e il djset di Diego De Gregorio.
Spazio 900 è la location d’eccezione scelta per il Premio Fabrique du Cinéma 2016.
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NEWS 3-4 DICEMBRE 2016
FORMAZIONE FABRIQUE /1 WORKSHOP PER ATTORI Prima edizione del workshop per attori targato Fabrique du Cinéma. Il 3 e il 4 dicembre 2016 presso lo studio fotografico B49 al Pigneto, tanti giovani talenti hanno avuto la possibilità di misurare le proprie capacità grazie a La fabbrica dell’attore. Uno stage per imparare tecniche e gestione delle emozioni, grazie alla professionalità degli insegnanti che hanno messo le proprie competenze al servizio delle nuove promesse. Un esperimento riuscito, che verrà presto riproposto.
3 MARZO 2017
FORMAZIONE FABRIQUE /2 SEMINARIO SUI CONTRATTI NEL CINEMA
Fabrique è sempre al fianco dei giovani professionisti dello spettacolo e lo ha dimostrato ancora una volta, organizzando un seminario a difesa dei tanto sospirati contratti. Gli avvocati dello studio legale E-Lex hanno offerto la loro esperienza per mettere in guardia su clausole di esclusiva, diritti di immagine, diritti di opzione e di prelazione, pay-or-play e right of first refusal, deposito e tutela dal plagio. Questo e tanto altro ancora per districarsi nel labirinto dei contratti di lavoro.
DOVE
Come e dove Fabrique
ROMA CINEMA BARBERINI | 06.42010392 | Piazza Barberini, 24/26 CASA DEL CINEMA | 06.423601 | Largo Marcello Mastroianni, 1 EDEN FILM CENTER | 06.3612449 | Piazza Cola di Rienzo, 74 GREENWICH | 06.5745825 | Via G. Battista Bodoni, 59 INTRASTEVERE | 06.5884230 | Vicolo Moroni, 3 MADISON | 06.5417926 | Via G. Chiabrera, 121 NUOVO SACHER | 06.5818166 | Largo Ascianghi, 1 TIBUR | 06.4957762 | Via degli Etruschi, 36 TREVI | 06.6781206 | Vicolo del Puttarello, 25 LOCALI BIG STAR | Via Mameli, 25 KINO | Via Perugia, 34 NECCI | Via Fanfulla da Lodi, 68 SCUOLE CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA | Via Tuscolana, 1520 CINE TV ROSSELLINI | Via della Vasca Navale, 58 GRIFFITH | Via Matera, 3 IED | Via Giovanni Branca, 122 ROMEUR ACADEMY | Via Cristoforo Colombo, 573 SCUOLA D’ARTE CINEMATOGRAFICA GIAN MARIA VOLONTÉ | Via Greve, 61
MILANO 20-26 MARZO 2017
RINNOVATA LA PARTNERSHIP CON CORTINAMETRAGGIO Un nostro inviato ha partecipato alla XII edizione del festival nella splendida cornice di Cortina d’Ampezzo, coinvolgendo il pubblico degli appassionati attraverso tante iniziative social. Interessanti e molteplici le proposte in programma, articolate in sezioni di corticomedy, CSC, videoclip, webserie ed eventi speciali.
CINEMA CINEMA ANTEO | Via Milazzo, 9 CINEMA ELISEO | Via Torino, 64 CINETECA MILANO | c/o Manifattura Tabacchi, Viale Fulvio Testi, 121
TORINO CINEMA CINEMA MASSIMO | Via Giuseppe Verdi, 18
BOLOGNA CINEMA CINEMA LUMIÈRE | Via Azzo Gardino, 65
FABRIQUE DU CINÉMA
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO PRIMAVERA
2017
Numero
17
FANTASCIENZA
IN A GALAXY FAR, FAR AWAY... I registi italiani alla (difficile) prova del genere sci-fi
DOCUMENTARIO
“VERGOT”
Un intenso rapporto tra fratelli visto da una regista 26enne
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO
SOUNDTRACK
LELE MARCHITELLI
“Non esiste una musica bella se non c’è un bel film”
CON MATILDA DE ANGELIS, CHE DOPO “VELOCE COME IL VENTO” NON SI È PIÙ FERMATA “Progetto realizzato con il cofinanziamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale – e della Regione Lazio di cui all’art. 82 della L.R. 6/99 e ss.mm.ii..
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FIRENZE CINEMA CINEMA STENSEN | Viale Don Giovanni Minzoni, 25
FESTIVAL Cortinametraggio Festa del Cinema di Roma Ischia Film Festival Maremetraggio - International Shorts Film Festival Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia Roma Creative Contest Roma Web Fest Rome Independent Film Festival Visioni Italiane Cineteca di Bologna
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