LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO INVERNO
2014
Numero
8
OPERA PRIMA
LA COSTRUZIONE DI UN AMORE Fra madre e figlio, nel paesaggio marino di “Last Summer”
ICONE
WIM WENDERS
“L’ideale? Non avere punti di riferimento”
ZONA DOC
IL CINEMA DEL REALE
Nuove forme narrative del documentario
VISIONARI
NELLO SPAZIO FRA SOGNO E REALTÀ I GIOVANI COSTRUISCONO IL LORO PRESENTE E IL LORO FUTURO Come ha fatto Miriam Dalmazio, eclettica musa
S
TRIBÙ
MEGATU.BE
IL NUOVO CINEMA
MAURO UZZEO
SOMMARIO
PROMUOVERE IL TALENTO
Pubblicazione edita dall’associazione culturale Indie per cui Via Francesco Ferraironi, 49 L7 (00177) Roma www.fabriqueducinema.it
MIRIAM DALMAZIO
IL TERRORE CHE CI DORME ACCANTO
Registrazione tribunale di Roma n. 177 del 10 luglio 2013 DIRETTORE RESPONSABILE Ilaria Ravarino SUPERVISOR Luigi Pinto DIRETTORE ARTISTICO Davide Manca GRAFICA E IMPAGINAZIONE Giovanni Morelli CAPOREDATTORE Elena Mazzocchi STRATEGIC MANAGER Tommaso Agnese PARTNER ISTITUZIONALI Sonia Serafini PHOTOEDITOR Francesca Fago MARKETING Federica Remotti EVENTI Isaura Costa Consuelo Madrigali Simona Mariani AMMINISTRAZIONE Katia Folco UFFICIO STAMPA Sara Battelli
4 EDITORIALE NAZIONE WEB 6 8 TTF COMICS 10 12 PREMIO SOLINAS COVER STORY 14 THE PERFECT HUSBAND 20 NUOVI REGISTI 24 OPERA SECONDA 28 FUTURES 30 CINEMA E MODA 34 ZONA DOC 44 DOSSIER 50 54 MACRO MESTIERI 58 OF 60 MAKING EFFETTI SPECIALI 62 FUMETTO 66 DIARIO 68 DOVE 69
16 OPERA PRIMA LAST SUMMER SULLE ONDE DELL’ULTIMA ESTATE
ELOGIO DELLA FOLLIA
FIN QUI TUTTO BENE
FRANCESCA MARINO
GIOCHI DI RUOLO
IL CINEMA DEL REALE
LE SCUOLE DI CINEMA /2 MILANO
RED PASSION
PUBBLICITÀ APS Advertising srl Via Tor de Schiavi, 355, 00171 ROMA www.apsadvertsing.it STAMPA Press Up s.r.l. Via La Spezia, 118/C 00055 Ladispoli (RM) DISTRIBUZIONE Luca Papi
LOCATION MANAGER
LUCY IN THE SKY
Finito di stampare nel mese di novembre 2014
ALLE OLIMPIADI
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO INVERNO
2014
Numero
8
OPERA PRIMA
LA COSTRUZIONE DI UN AMORE Fra madre e figlio, nel paesaggio marino di “Last Summer”
ICONE
WIM WENDERS
“L’ideale? Non avere punti di riferimento”
ZONA DOC
IL CINEMA DEL REALE
Nuove forme narrative del documentario
VISIONARI
NELLO SPAZIO FRA SOGNO E REALTÀ I GIOVANI COSTRUISCONO IL LORO PRESENTE E IL LORO FUTURO Come ha fatto Miriam Dalmazio, eclettica musa
IN COPERTINA Miriam Dalmazio
40 ICONE WIM WENDERS IN ME NON C’È INTERESSE CHE PER IL FUTURO
LUMIÈRE
GLI EVENTI DI FABRIQUE
COME E DOVE FABRIQUE
3
E EDITORIALE
di ILARIA RAVARINO foto ARASH RADPOUR
La tribù del web. Il circolo dei cinefili. Il clan dei giovani autori. Quelli di Roma. Quelli di Milano. Quelli di Napoli. I documentaristi e i filmaker. Gli indipendenti, gli artisti, i festaioli. Quelli che la rete è il futuro, quelli che internet nemmeno sullo smartphone. Quelli che con lo smartphone ci fanno Heimat e quelli che lo smartphone nemmeno morti: meglio il buon vecchio cellulare. Il “nuovo” cinema italiano, finalmente, è una realtà. Ma la sua forma è quella di una galassia frammentata. Piccoli gruppi, circoli orgogliosamente identitari, tribù autoreferenziali che si guardano con sospetto da un lato all’altro della penisola. Barriere invisibili tengono lontani fra loro gli autori: la diffidenza per chi è diverso, la paura della novità, l’ostilità nei confronti di chi, prima che un collega, è percepito come un avversario. Intendiamoci: non c’è niente di male a essere una tribù, a fare gruppo. Era parte di un gruppo Wim Wenders (icona del nostro numero), legato alla fine degli anni Sessanta al movimento che sarebbe passato alla storia come il Nuovo Cinema Tedesco. Era immerso nella cultura degli expat giapponesi Leonardo Guerra Seràgnoli, riuscito a portare la sua tribù nippo-italiana in un film, Last Summer, opera prima di questo numero. E la nostra copertina, Miriam Dalmazio, di tribù ne ha girate parecchie, passando in un colpo dalla meglio gioventù siciliana a quella del Centro Sperimentale di Roma. E di cosa parliamo infine, se non di tribù, quando su ogni numero di Fabrique raccontiamo le magie dell’universo dei comics e di quello del web? Perché anche quella di Fabrique è una tribù, e non potrebbe essere diversamente. Condividiamo gusti cinematografici, esperienze dentro e fuori dai set, sogni per il futuro. Ma a noi piace includere, non escludere. Amiamo il confronto e crediamo nel valore delle buone idee anche quando sono diverse dalle nostre. E ospitiamo volentieri sulle pagine del nostro giornale chi non la pensa come noi. Ci piace comportarci come uno spazio aperto, essere su carta quel che è nella realtà il festival di Torino: un’arena dove le tribù possano incontrarsi o scontrarsi, entrare in contatto, parlarsi.
TRIBÙ Perché per cambiare il cinema italiano ci vuole una sola grande rivoluzione, non centinaia di piccole rivolte. E mettersi d’accordo sull’obiettivo, almeno, sarebbe un grande passo avanti.
TRIBÙ 4
Abiti SARTORIA “FAMOSA” di LIA MORANDINI Occhiali
5
- Nazione Web -
MEGATU.BE di VALENTINA D’AMICO
IL FUTURO DELL’INTRATTENIMENTO SECONDO LUCA ARGENTERO
I
mpossibile non ricordare che quella che stiamo vivendo è un’epoca di grandi cambiamenti strutturali per l’industria cinematografica italiana e internazionale. A fronte del calo di pubblico, soprattutto nella fascia dei giovanissimi, della chiusura delle monosale di centro città a favore dei grandi multisala periferici, della diffusione della pirateria, croce di tutti i distributori, oggi, scarseggiando il denaro, non si rischia più. Di conseguenza i prodotti più “difficili” e anticommerciali faticano a trovare distribuzione, mentre gli investimenti
6
si concentrano sull’usato sicuro, sulle formule consolidate, su generi e autori che garantiscano la riuscita al box office. La risposta al concreto rischio di appiattimento arriva dal web, zona franca le cui potenzialità sono ancora in gran parte inesplorate. Negli Usa si sta facendo largo un colosso come Netflix, la più grande piattaforma di video on demand al mondo che, dopo aver lanciato con la formula “watch instantly” una serie di successo come House of Cards, confezionata da nomi altisonanti quali Kevin Spacey e David Fincher, comincia a far
impensierire Hollywood stringendo accordi esclusivi con star del grande schermo quali Adam Sandler e Leonardo DiCaprio. L’Italia, da sempre refrattaria alle rivoluzioni, non si è ancora dimostrata così ricettiva nei confronti delle novità provenienti dal web, ma anche da noi i pionieri non mancano e se le webserie nostrane riscuotono sempre più interesse tra i cyberspettatori esistono realtà strutturate pronte ad accogliere il pubblico in fuga dal cinema e dalla tv generalista. Una di queste è Megatu.be, piattaforma di streaming video multichannel che contiene canali tematici dedicati ad anime, horror, cult e commedie italiane anni ‘70 oltre a Creators, una sezione dedicata alle produzioni originali. Anima e mente del progetto, nonché direttore artistico della sezione Creators, è l’attore e produttore Luca Argentero. È Argentero stesso a raccontarci come nasce il suo impegno sul web: «Megatu.be scaturisce dall’incontro con Luca DeDominicis, attuale AD e importante riferimento del mondo web da molti anni. Io e lui ci siamo trovati in sintonia sulla reciproca idea di “futuro dell’intrattenimento” e abbiamo provato a unire le nostre competenze tecniche e conoscenze del mercato per immaginare un progetto che risultasse una reale opportunità di cambiamento. Siamo gli unici a offrire una library cinematografica in streaming legale e gratuito. L’offerta, già ricca di nomi come Cassavetes, Jodorowsky, Cronenberg, viene ampliata settimanalmente. Non è neces-
Nella pagina accanto i protagonisti del film Cose cattive, prodotto da Luca Argentero (nel tondo), che presto sarà disponibile su Megatu.be in 9 puntate.
saria alcuna registrazione. Inoltre offriamo il meglio delle produzioni web-native, migliaia di ore di anime giapponesi e un importante palinsesto di video musicali». Argentero si sta costruendo una carriera parallela dietro le quinte e ha scelto di diversificare le attività per implementare nuovi metodi di fruizione del prodotto audiovisivo. I numeri gli stando danno ragione visto che Megatu.be, lanciato a maggio, sta avendo un ottimo riscontro. «La crescita è stata considerevole, a dimostrazione che spesso l’unione fa la forza. Il network è passato da un totale di 24 milioni di visualizzazioni mensili a 50 milioni nell’arco di 5 mesi due dei quali, luglio e agosto, sono notoriamente non premianti in termini di traffico. Oggi abbiamo più di 1.800.000 visualizzazioni in un solo giorno, il che ci rende assolutamente concorrenziali con alcune reti televisive anche blasonate che, nel tempo, hanno invece perso pubblico in modo significativo. Anche la scelta di limitare il numero dei canali tematici privilegiando generi amati dai giovanissimi come gli horror e gli anime è provvisoria. L’evoluzione dei canali verticali sarà proporzionale ai contenuti che saremo in grado di presentare nei prossimi mesi. È ovvio che i primi a essere accontentati debbano essere quelli che già utilizzano il web come medium di riferimento, ma abbiamo in serbo grandi sorprese che aiuteranno la stessa diffusione del video streaming». Il ruolo che Luca Argentero si è ritagliato in Megatu.be è centrale visto che a lui spetta il compito di visionare e selezionare le produzioni originali per lanciare giovani autori su Creators. Il solo criterio usato dall’attore per individuare i prodotti meritevoli è «la qualità. Con le tecnologie oggi a disposizione il livello di fattura dei contenuti si sta alzando vertiginosamente, ma con Megatu.be vogliamo dare un ulteriore strumento ai Creators di domani. Non siamo solo un attento distributore, ma un partner produttivo a tutti gli effetti. Puntiamo alla tanta agognata remunerazione reale delle produzioni web-native». Se il fermento nell’universo di nicchia delle webserie è ormai una bella realtà, difficile nella situazione attuale non pensare alle applicazioni future di Megatu.be e di progetti affini nel campo della distribuzione cinematografica alternativa ai canali tradizionali. Luca Argentero crede fermamente che questa sia la giusta direzione da seguire, nonostante la refrattarietà dell’industria italiana alle novità di questo tipo. In tal senso afferma: «Credo fermamente nella distribuzione su web, così come credo che le finestre di sfruttamento di un lungometraggio debbano essere drasticamente ridotte. Credo alla contemporaneità delle piattaforme, fatto salvo il ruolo insostituibile del grande schermo cinematografico, unico amplificatore delle emozioni visive. I film di prima visione vanno visti al cinema, ma appena il film esce dalla sala dovrebbe essere messo a disposizione di tutti a seconda delle preferenze di ognuno. ‘Quello che voglio, quando voglio’, l’ondemand non è più il futuro, è un dato di fatto». Dalla teoria alla pratica il passo è più breve di quanto si pensi. Dopo aver prodotto nel 2012 Cose cattive di Simone Gandolfo, Argentero ci annuncia di aver già approntato una distribuzione alternativa per la sua pellicola su Megatu.be. «Cose cattive uscirà presto su Megatu.be in 9 puntate. Sarà il primo esperimento in tal senso e credo rappresenti un’ennesima idea per creare possibilità per il cinema».
Alcune delle proposte della piattaforma Megatu.be, incentrata (per ora) su quattro aree tematiche: cult, horror, comedy e anime.
7
TORINO FILM FESTIVAL IL (NUOVO) CINEMA PRIMA DI TUTTO di ILARIA RAVARINO
I
CI SONO COSE CHE SUCCEDONO SOLO AL FESTIVAL DI TORINO. PER ESEMPIO: SI DICE SPESSO CHE AI FESTIVAL “IL PUBBLICO È PROTAGONISTA”, MA DI RADO LO SPETTATORE È AL CENTRO DELLA RIBALTA. A TORINO, INVECE, SUCCEDE PER DAVVERO. «Ieri ero pubblico. Oggi faccio parte della macchina del festival», spiega a Fabrique Dario Ceruti, regista della cerimonia d’apertura e chiusura della kermesse. A lui è successo proprio così: da appassionato a organizzatore, nello spazio di poco tempo (e molti film). «Ricordo ancora l’emozione delle prime volte, quando uscivo dalla sala e mi sembrava che il film continuasse a seguirmi fuori, nelle atmosfere magiche della città. Il festival di Torino è speciale anche per questo, sembra non finire mai».
Dall’alto: immagini da N-Capace di Eleonora Danco, Per tutta la vita di Susanna Nicchiarelli, Qualcosa di noi di Wilma Labate, Let’s Go di Antonietta De Lillo.
8
“Avanti i giovani” è una delle promesse tradite più spesso dai festival: da molti, non da quello di Torino. Che ai giovani offre qualcosa di più che una riserva protetta all’ombra dei grandi: a loro, e a opere prime come Frastuono di Davide Maldi, Lorenzo Maffucci e Nicola Ruganti o N-Capace della geniale Eleonora Danco, dedica il concorso. «Torino è un festival giovane per natura – continua Ceruti – capace quest’anno di omaggiare un filmaker come Julian Temple, che ha lavorato con gente come i Sex Pistols e David Bowie, e da sempre alla scoperta del nuovo e dell’insolito. Basta guardare il concorso». Un festival che delle convenzioni se ne frega. Di quella che vorrebbe, per esempio, le donne eterne seconde. Torino quest’anno è diretto da una donna, Emanuela Martini, e alle donne dedica praticamente tutta la sezione Diritti & Rovesci, curata dal direttore uscente Paolo Virzì, con i lavori di Antonietta De Lillo (Let’s Go), Susanna Nicchiarelli (Per tutta la vita), Wilma Labate (Qualcosa di noi), Costanza Quatriglio (Triangle) ed Erika Rossi con Giuseppe Tedeschi (Il viaggio di Marco Cavallo). O della convenzione per cui, se il film l’ha visto qualcuno prima di te, è perfettamente inutile prenderlo in rassegna. Per Ceruti «una vera sciocchezza. Noi, grazie alla sezione Festa Mobile, abbiamo raccolto tutto il meglio dal cinema del mondo. La ricetta è facile: basta smettere di avere l’ansia dell’anteprima a ogni costo». E il menu non è certo di seconda scelta: la première italiana di Magic in the Moonlight di Woody Allen, quella europea di La teoria del tutto di James Marsh, il film di chiusura Wild del canadese Jean Marc Vallée (con una Reese Witherspoon vicina alla nomination per l’Oscar), il nuovo horror di Sion Sono Tokyo Tribe e il documentario filippino di Lav Diaz, Storm Children – Book 1. Si dice che i festival siano in crisi. Che manchino i fondi, prima che le idee. Che manchi il pubblico, prima che i film. A Torino si va avanti lo stesso: «La strada che abbiamo scelto quest’anno è stata: levare tutto. Niente madrina, nessun tappeto rosso, via l’orchestra, via tutto quel circo. E torniamo al vero festival metropolitano, fatto solo di buon cinema. E di un pubblico che è davvero genuino». Sarà per questo che il festival, all’edizione numero 32, sembra più in forma che mai.
- Comics -
MAURO UZZEO
UN
ESPLORATOREDEL AL CENTRO RACCONTO di PIERLUCA DI PASQUALE
SPAZIA DAL FUMETTO ALL’ANIMAZIONE, DAGLI SPOT AI VIDEO MUSICALI. UN ARTISTA A TUTTO CAMPO CHE DICE: «SCRIVERE PER ME È PRIMA DI TUTTO UN’ESPLORAZIONE».
N
ormalmente s’inizia a scrivere piccoli racconti per poi passare a storie più articolate. Da un’idea per uno spot si giunge a un concept per un videoclip. Un fatto per strada che un giorno ti colpisce diventa un articolo, ma poi pensi a come girare una serie di documentari. Si parte da un cortometraggio pensando di raggiungere un film. Mauro Uzzeo scrive tutto. Lui è l’evoluzione del vecchio narratore nei villaggi che sedeva accanto al fuoco e raccontava viaggi, storie realmente accadute o inventate. Poteva impiegarci una manciata di minuti o tutta la notte. Raccontare, ecco. Uzzeo è un esploratore della narrati-
10
va e a seconda della storia che gli si presenta trova il giusto linguaggio: «Chi vuole raccontare deve per forza variare e differenziare la sua proposta di scrittura, deve imparare tutti i mestieri che ruotano intorno all’idea di racconto». Un giorno sei corto, un altro sei spot, sei videoclip o sei fumetto, un giorno sei lungometraggio. Certo devi esserne capace, e Mauro lo dimostra a ogni lavoro. Ritornando alla figura del narratore accanto al fuoco, la necessità di chi racconta è di avere un pubblico che ti ascolta. Il pubblico è vario e varia deve essere la scrittura. Chi raccontava storie, prima, aveva solo la voce per interpretare i personaggi, per incutere paura, timore, gioia. Oggi gli strumenti sono tanti, si può lavorare con attori, disegnatori, grafici. Anche il pubblico è cambiato, ma è sempre disposto a prestare attenzione a una storia, che sia un videogioco, un film o un fumetto. Mauro scrive sin da piccolissimo, da ragazzino portava le prime storie a fumetto dal giornalaio vicino a casa e con un accordo degno dei più geniali distributori, riusciva a vendere
Da sinistra in alto: John Doe, Dylan Dog, Orfani e Le quattro volte di Iasmina.
quei pezzi unici a millelire. La svolta è avvenuta seguendo un corso di sceneggiatura tenuto da Lorenzo Bartoli: un workshop in una fumetteria, frequentato tra gli altri anche da Roberto Recchioni. Tre ore a settimana per capire cosa c’è dietro i fumetti. Bartoli donava il segreto di come si scrive un fumetto, come si costruisce, la scansione delle vignette, il glossario, la didascalia, la descrizione dell’inquadratura, il linguaggio. Gli strumenti di viaggio per un narratore pronto a tutto. Nelle sceneggiature dei fumetti si fa quello che nel cinema fanno lo sceneggiatore, il regista, il location manager, lo scenografo, il casting director. Da allora ha pubblicato di tutto, dall’horror alle storie romantiche, ai supereroi, al porno: «Per un periodo ho scritto su “Blu”, un periodico erotico, ma avevo 17 anni e non potevo comprare la rivista su cui scrivevo. Assurdo!». Per la Sergio Bonelli Editore ora scrive su Dylan Dog e sta preparando una serie di volumi speciali, autoconclusivi, dal titolo Le storie. La sua ricerca narrativa è in continua evolu-
zione: all’inizio i racconti erano di completa evasione, ora invece i personaggi sono espressione dei suoi interrogativi e vivono le sue stesse difficoltà. Nel numero di Dylan Dog che sta preparando si domanda ad esempio quanto il concetto di verità in epoca social stia perdendo di significato e come rispondere al fenomeno delle bufale su un mezzo come internet, nato come controinformazione: «Oggi mi preme spiegare quanto sia contraddittorio cercare un unico punto di vista per raccontare le cose». Di Orfani, la serie creata da Roberto Recchioni ed Emiliano Mammucari per la Bonelli, è uscita la seconda stagione. Un fumetto nuovo per l’Italia, una saga strutturata come una serie tv. Mauro è stato letteralmente arruolato da Recchioni per intervenire nella seconda stagione. La prima era riconducibile alla fantascienza del tipo fanteria dello spazio. Le caratteristiche di Uzzeo, scrittore del suo tempo, lo legano con naturalezza più al secondo progetto, dove le atmosfere raccontano un viaggio disperato in un mondo condannato e senza scampo. Il personaggio di Ringo s’incontra con un uomo che ha aperto un campo medico in una zona di battaglia e accoglie persone di entrambe gli schieramenti: «Tutta la storia è una riflessione sul compromesso, fino a dove ti puoi spingere prima di perdere la tua dignità o la tua umanità. Quest’uomo rimane anonimo ma ricorda Gino Strada, fondatore di Emergency». Mauro è passato anche per l’animazione. Ha lavorato, tra le tante cose, per gli spot della CocaCola, dell’acqua Lete, per i video dei Tiromancino, dei Subsonica, di Jovanotti. Ha collaborato alle Winx e ai I gladiatori di Roma per la Rainbow di Iginio Straffi. Continua a scrivere di tutto, sono pronte una serie di sceneggiature per il cinema e per i cartoni, tra cui il progetto Bum Bum di Maurizio Forestieri. «Non sceglierò mai una forma sola di racconto, tra dieci anni voglio ancora raccontare, qualsiasi forma prenderà la scrittura. Scrivere è prima di tutto un’esplorazione all’interno del mezzo in cui mi sto esprimendo e di me stesso».
11
Experimenta: i giurati e i finalisti alla serata di premiazione presso l’Apollo 11 di Roma.
OBIETTIVO NUMERO UNO: PROMUOVERE IL
di LUCA OTTOCENTO
A
TALENTO
DOPO LA SCRITTURA PER DOCUMENTARI, SERIE TELEVISIVE E CORTOMETRAGGI, IL PREMIO SOLINAS GUARDA CON SEMPRE MAGGIORE DECISIONE ALLE FORME NARRATIVE DEL WEB.
A quasi trent’anni dalla sua istituzione, il Premio Solinas continua a dare la possibilità a giovani talenti di emergere nel sistema cinematografico italiano. Negli ultimi anni si è mostrato sensibile anche al mondo del web, lanciando due concorsi che stanno già portando alla ribalta nuovi autori le cui opere difficilmente avrebbero potuto vedere la luce. Fabrique ne ha parlato con Annamaria Granatello, direttrice artistica e vicepresidente del Premio Solinas. Riccardo, che progetti hai con il cinema? Quando abbiamo iniziato a interrogarci sul fenomeno delle webserie, ci siamo accorti che spesso avevano delle idee di partenza molto interessanti e un buon pilota, ma in seguito le storie tendevano a perdersi. Punto debole la narrazione. L’idea quindi è stata quella di lavorare sulla scrittura seriale, selezionando dei progetti per poi svilupparli in cinque puntate di sette minuti.
Dall’alto: La Bottega delle Webserie: il direttore di Rai Fiction Tinny Andreatta alla serata di premiazione con il vincitore Antonio Marzotto.
Come si è instaurato, in questo contesto, il rapporto con Rai Fiction? Abbiamo parlato con “Tinny” Andreatta direttore di Rai Fiction, tra le cui priorità c’è proprio quella di aprire ai giovani talenti e al web, che ha condiviso il progetto di un Concorso/laboratorio per le webserie. I tre progetti selezionati e poi sviluppati nel laboratorio sono stati presentati a Tinny. La sintonia sulla scelta del vincitore – A.U.S. di Antonio Marzotto e Serena Patrignanelli – è stata totale. I tutor di sceneggiatura, regia e montaggio seguiranno anche la fase di realizzazione e le cinque puntate andranno online sul sito della Rai. Se tutto funziona Rai Fiction potrebbe investire su tutta la serie e perfino trasmetterla in prima serata tv. Chissà! È una scommessa.
Alessio Lauria e Manuela Pinetti, autori di Monitor, premiati da Paolo Del Brocco ad di Rai Cinema.
Un altro vostro concorso che guarda al mondo del web è il “Solinas Experimenta”, dedicato alle produzioni low budget per autori under 35. La prima edizione del 2011 è stata un grande successo e ha portato alla produzione da parte di Rai Cinema di ben due progetti: Aquadro di Stefano Lodovichi, vincitore di numerosi festival e considerato uno dei miglior web movie realizzati in Italia, e Monitor di Alessio Lauria, le cui riprese si sono svolte pochi mesi fa con attori come Valeria Bilello e Michele Alhaique. Grazie ad Experimenta sono emersi quattro autori: due registi under 35 – Lodovichi e Lauria – che hanno avuto la possibilità di esordire nel lungometraggio, e due sceneggiatori: Davide Orsini e Manuela Pinetti.
Michele Alhaique e Valeria Bilello con il regista Alessio Lauria sul set di Monitor.
Quali le novità della seconda edizione? Insisteremo ancor di più sulla convergenza tra cinema e web e in più, oltre a sceneggiatori, registi, montatori e curatori degli effetti speciali, nei laboratori coinvolgeremo anche videoartisti, stilisti e autori di teatro. L’idea è di costruire una bottega creativa sperimentale che offra ai giovani una stimolazione artistica a 360°. Il web e la sala non sono antitetici, ma complementari. Lavoriamo su questo.
12
- Cover story -
MIRIAM DALMAZIO
FASCINO AGRODOLCE A cura di TOMMASO AGNESE e SARA BATTELLI / Foto ARASH RADPOUR Stylist ELEONORA DI MARCO / Assistente stylist ANTONELLA CERRA Capelli MONICA MARCHETTI PARRUCCHIERI - TEAM Make up GIOVANNI PIRRI e MANOLA SPAZIANI @SIMONE BELLI MAKEUP ACADEMY Si ringrazia la SARTORIA “FAMOSA” di LIA MORANDINI / Gioielli ANDREA MONTELLI JEWELRY
14
OCCHIALI
A
guardarle oggi, le rovine degli studios di Termini Imerese, è difficile immaginare quel che sembravano solo qualche anno fa. Quando cioè la soap opera Agrodolce, nata per lanciare la sicilianità nel mondo, conquistava il piccolo schermo con la sua folta legione di talenti local alla ricerca di “un posto al sole” sul mercato nazionale della fiction. Tramontato il sogno, con la fine della soap e una tormentata vicenda legale ancora in atto, pochi di quei talenti hanno superato l’amarezza per l’opportunità sprecata. Pochi hanno continuato. Pochissimi ce l’hanno fatta. E tra loro c’è Miriam Dalmazio. Palermitana amata tanto dagli autori (Taviani e Scola) quanto dalla commedia (Checco Zalone), Miriam oggi è in cerca del ruolo che la faccia sfondare. Magari lontano dalla sua terra, che ha battezzato la sua carriera. Il tradimento è difficile da perdonare, specialmente se di mezzo c’è l’amore.
«I GRANDI SI VEDONO ANCHE DA QUESTO, DAL FATTO CHE NON GLI IMPORTA NIENTE DEL TUO PASSATO. I GRANDI NON SONO SNOB: VOGLIONO SOLO VEDERTI IN SCENA». Come hai cominciato? Con Agrodolce. Per me quella soap è stata una scuola, il mio primo approccio alla recitazione. Ne ho tutto sommato un ricordo positivo, di grande amore. Rinunciai alla seconda serie perché volevo studiare, andare a Roma, a fare il Centro Sperimentale. Pensavo di essere stata egoista: fui solo molto fortunata.
Da Zalone a Scola e i fratelli Taviani: un vero carpiato. I grandi si vedono anche da questo, dal fatto che non gli importa niente del tuo passato. I grandi non sono snob: vogliono solo vederti in scena. I Taviani, per dire, non avevano la minima idea di quel che avevo girato, e il giorno dopo il provino per Maraviglioso Boccaccio già mi avevano scelta.
Come hai vissuto il tracollo della soap? Per fortuna me ne sono andata mentre tutto stava per affondare. Quelle poche cose che ho girato della seconda serie non me le ha mai pagate nessuno, e così è stato per tutti. Fu una grande delusione.
E Scola? Eri in Che strano chiamarsi Federico... Là sono stata più fortunata. Dovevo interpretare una cassiera disegnata nelle vignette di Fellini, e il personaggio mi somigliava moltissimo.
Che ricordi hai dei primi provini? Terribili. Non è stato un gran bel momento. A vent’anni ero andata via dalla Sicilia, avevo un sogno ambiziosissimo e farcela è stata dura. Venivo da una soap opera e pretendevo di entrare nel mondo snob del cinema: impossibile. Per tutti ero “quella della soap”. Poi però è arrivato Sole a catinelle. Proprio mentre stavo progettando un viaggio dall’altra parte del mondo, ecco che mi chiamano per un provino per la moglie operaia di Zalone. Ho fatto un primo incontro con la casting, poi con Checco. Erano ancora indecisi se prendere un’attrice più grande, magari mora e più formosa, e così mi sono giocata tutte le carte a mia disposizione. Sono andata a comprarmi una divisa da operaia e mi sono presentata così al provino. Alla fine Checco mi ha presa e mi ha portata da Valsecchi. E mi ha detto: il ruolo è tuo, stai tranquilla. Com’è stato lavorare con lui? È stato un film molto faticoso, perché spesso si recitava su canovaccio, ma anche molto divertente. Zalone è un uomo colto e intelligente, diverso dalla maschera dell’ignorante che indossa quando recita.
Oggi ti senti più inserita nel mondo del cinema? No, resto un lupo solitario. Non frequento la gente del cinema, mi piacerebbe che gli addetti ai lavori iniziassero a vedermi come una di loro, ma da parte mia so che c’è ancora molta strada da fare. I tuoi prossimi progetti? Ho appena finito Che Dio ci aiuti 3, la fiction, e l’anno prossimo sarò in Caffè di Cristiano Bortone, coprodotto da Cina, Italia e Francia. Sarò una ragazza dei centri sociali che perde il lavoro. Pare vogliano stravolgermi fisicamente... sono felicissima. Torneresti a lavorare in Sicilia? Ho un rapporto conflittuale con la mia terra. Già a 13 anni mi ci sentivo stretta. E so che oggi, dalle mie parti, si parla male di me. Perché sono “l’attrice”, e chissà che cosa avrei dovuto fare per diventarlo. È inutile spiegare che non ci vuole la raccomandazione, ma semmai il coraggio di lasciare la casa, la mamma e il papà. Torno in Sicilia una volta all’anno per vedere i miei. Anche chi dice di essere orgoglioso per me, sotto sotto pensa ai compromessi che sicuramente ho fatto. E attenzione, non vengo dall’entroterra. Ma da Palermo.
15
- Opera prima -
LAST SUMMER
SULLE
L’esordio alla regia di Leonardo Guerra Seràgnoli ha dell’incredibile. Il regista, romano di 34 anni che vive e lavora a Londra, è riuscito a mettere insieme un cast artistico e tecnico internazionale fuori dall’ordinario.
ONDE DELL’ULTIMA
ESTATE di SONIA SERAFINI
L’
attrice giapponese Rinko Kikuchi, accanto all’olandese Yorick Van Wageningen e al piccolo esordiente Ken Brady, è la protagonista dell’opera. A completare la squadra una crew di professionisti come Milena Canonero, Monika Willi, Gian Filippo Corticelli, Igort e la scrittrice giapponese Banana Yoshimoto. Last Summer parla di una giovane donna orientale che perde la custodia del figlio con il facoltoso ex marito. Per quattro giorni avrà l’occasione di dire addio al piccolo di sei anni a bordo di uno yacht dove dovrà affrontare la sfida di creare un legame con il bambino prima di doversene separare. Abbiamo incontrato Leonardo in occasione della presentazione ufficiale del film all’ultimo Festival Internazionale del Film di Roma, (dove ha vinto la menzione speciale Premio Camera d’Oro sezione Prospettive Italia), per farci raccontare la genesi e il processo creativo di un’opera sorprendente.
16
L’esordio di Leonardo Guerra Seràgnoli si è guadagnato la menzione speciale del Premio Camera d’Oro allo scorso Festival Internazionale del Film di Roma.
«IL MIO INTENTO ERA QUELLO DI INSERIRE UN ELEMENTO DI CONTRASTO NELLA STORIA, MI È SEMBRATO NATURALE FARLO CON QUALCOSA CHE CONOSCESSI E CHE MI AVESSE SEMPRE ATTRATTO COME LA CULTURA GIAPPONESE». 17
Com’è nata l’idea di Last Summer? La storia che c’è dietro quest’opera è un mix di elementi. Da un lato c’è la mia esperienza personale, arricchita dal trasferimento all’estero: essere uno straniero presenta ostacoli e impedimenti, ma la barriera di un’altra lingua e i modi di vivere differenti sono stati anche una “musa” per la stesura della sceneggiatura. Dall’altro lato ha avuto molto peso un ricordo legato all’infanzia, una donna ospite a casa dei miei genitori che raccontava in lacrime di come il marito le avesse portato via i figli. Questo insieme di ricordi ed esperienze, unite al fascino intrinseco del rapporto madre-figlio, che corrisponde alla vera prima relazione umana che viviamo, mi ha portato a strutturare il plot del film. Un esordio chiaramente “autoriale”. Una scelta coraggiosa… Il coraggio va condiviso con i produttori che hanno creduto in me e nella possibilità di fare un film del genere. Li ho conosciuti anni fa presentando delle sceneggiature che non sono andate in porto, quando poi ho parlato loro di questo soggetto, una serie di fortuite coincidenze ha portato a realizzarlo. Evidentemente il caso doveva fare il suo corso. È del resto un tema che mi sta molto a cuore, e sul quale lavoro da molti anni: la realizzazione non è un “mettersi a tavolino” o una scelta a priori, ma il frutto della spontaneità di una storia e dell’interesse che essa ha suscitato nelle persone che hanno scelto di prende-
18
re parte al progetto. Il processo produttivo di Last Summer può essere paragonato a un viaggio, dove in ogni tappa si aggiungeva un nuovo compagno, fino a Vienna, città nella quale ho concluso la mia opera con la montatrice Monika Willi. Ho imparato molto più di quello che potessi immaginare, approfondendo la storia grazie a tutte le collaborazioni, veri e propri centri propulsivi di ispirazione e supporto. Sei un italiano che ha studiato negli Stati Uniti, vive a Londra e ha realizzato il suo primo film con un’attrice giapponese a Otranto. Questa torre di Babele dal respiro orientale, l’avevi preventivata? Da sempre la storia presentava dei forti richiami orientali. Sono cresciuto in contatto con il mondo giapponese, per via delle passioni di mio padre, come il tiro con l’arco e l’apertura di un dojo a Roma. Ho partecipato a diversi seminari con lui, siamo stati in Giappone, e posso dire di essere stato contaminato dalla cultura nipponica e di aver sviluppato nel tempo anche una grande passione per la sua letteratura. Artisti come Tanizaki (dal quale ho preso il nome della protagonista, Naomi) e Mishima hanno toccato la mia sensibilità avvicinandomi alla loro storia e al loro pensiero. Il mio intento era quello di inserire un elemento di contrasto nella storia, mi è sembrato naturale farlo con qualcosa che conoscessi e che mi avesse sempre attratto come la cultura giapponese.
«LA PUGLIA NON RICOPRE UN RUOLO PREDOMINANTE NELLA SCENEGGIATURA, LE SUE PECULIARITÀ NON EMERGONO PERCHÉ L’ATTENZIONE DELLO SPETTATORE DEVE CENTRARSI SULL’IMBARCAZIONE, VERO NON-LUOGO DEL FILM».
Alla scrittura del film hanno partecipato due autori molto noti ai lettori di tutto il mondo: Banana Yoshimoto e il disegnatore Igort.
Come hai coinvolto Banana Yoshimoto e Igort? Dopo aver scritto la sceneggiatura, insieme ai produttori abbiamo pensato che fosse necessaria una consulenza per avvalorare la trasposizione di una cultura straniera. Il produttore aveva un contatto con il direttore del centro culturale giapponese a Roma, che ci ha proposto Banana Yoshimoto. Non avrei mai pensato che accettasse, si è rivelato più semplice del previsto. È stata incredibile, si è soffermata molto sul personaggio di Naomi, sulle sfumature e sulle caratteristiche del personaggio. Igort invece, è stato una presenza molto più attiva nella sceneggiatura, ho trovato con lui un punto di svolta, attraverso i suoi guizzi fuori dall’ordinario. L’idea di coinvolgerlo è stata della produttrice Elda Ferri; la sua partecipazione ha innalzato il progetto a un altro livello, ho passato intere serate a discutere ogni singolo dettaglio del film, dai costumi della Canonero alle scelte produttive. La scelta di ambientare la storia in un’unica location, la splendida barca a vela progettata da Odile Decq, è una metafora del viaggio che vivono i personaggi all’interno del film? È stata una scelta funzionale al racconto, mi serviva una location asettica che creasse un microcosmo a se stante e che mi permettesse di raccontare diverse storie senza alcuna dispersione (il film è stato girato in soli 24 giorni). La barca come un contenitore multietnico dove anche la lingua fosse una scelta obbligata – l’inglese è di fatto la lingua ufficiale parlata nelle imbarcazioni. Un ambiente inaccessibile che diventa luogo di isolamento e coercizione permeato da sentimenti di disorientamento e sconfitta. Solo in questo ambiente sarebbe stato possibile descrivere una riconciliazione catartica tra presente e passato, imparare a parlare con la propria voce, a essere di nuovo madre e figlio per la prima e ultima volta.
Il film è ambientato nei mari di Otranto. Una scelta legata alle tue origini? Vista la produzione italiana, per ovvi motivi la location doveva essere italiana. Dovendo tener conto poi di diverse variabili climatiche come il tempo, la temperatura dell’acqua, il vento e il periodo (ottobre), il clima mediterraneo è stato sicuramente un valore aggiunto. Per necessità di script era fondamentale trovare un territorio neutro, poco caratterizzato e non riconoscibile. La Puglia, anche se nominata nel film, non ricopre un ruolo predominante nella sceneggiatura, le sue peculiarità non emergono perché l’attenzione dello spettatore deve centrarsi sull’imbarcazione, vero non-luogo del film. Il mare come unico spazio in cui ognuno fosse libero di interpretare, di associare le proprie esperienze in un percorso che non cercasse spiegazioni razionali, ma che vivesse solo le emozioni del rapporto madre-figlio. Quali sono le tue influenze artistiche? Nel cinema sono stato influenzato da grandissimi maestri come Bergman, Kurosawa, Ozu, Koreeda, Carlos Reygadas e tra gli italiani Ferreri e Fellini. Mentre la lettura di Agostino di Moravia ha alimentato la mia ispirazione grazie alla profonda descrizione del rapporto madre-figlio. Progetti? Vorrei realizzare due progetti, uno sempre con Rinko Kikuchi ambientato a Londra, e un altro italiano che vorrei incentrare su un attore e il suo rapporto con il narcisismo, ma non posso scendere nei dettagli, anche perché fare un film è sempre un’impresa funambolica.
19
ILCHE CITERRORE DORME ACCANTO
V
GIRATO IN UN’INSOLITA LOCATION, LE PENDICI DELL’ETNA, THE PERFECT HUSBAND È, PER IL REGISTA LUCAS PAVETTO, UNA STORIA DI HORROR QUOTIDIANO. Viola e Nicola stanno attraversando un periodo difficile. Il loro rapporto è stato messo a dura prova da un’interruzione di gravidanza che li ha travolti. Per superare la crisi decidono di passare un fine settimana in un vecchio chalet sperduto tra i boschi, ma tutto precipita quando nella testa di uno dei coniugi si insinua un folle sospetto. Quello che doveva essere un tranquillo weekend si tramuta improvvisamente in un incubo mortale.
Lucas Pavetto spiega così la nascita del suo primo lungometraggio: «The Perfect Husband prende spunto da un mio vecchio corto, Il marito perfetto, realizzato in maniera totalmente indipendente e quasi senza budget. Dopo aver partecipato a vari festival, il corto vinse diversi premi in rassegne internazionali. Cinemaset allora mi chiese se ritenevo possibile adattare il nucleo originale della storia in forma di lungometraggio: il progetto era ambizioso, un remake interpretato da attori internazionali, impossibile rifiutare». Il soggetto è stato così riscritto insieme allo sceneggiatore Massimo Vavassori, e in pochissime settimane la sceneggiatura era pronta. Si è trattato di quella che a tutti gli effetti può essere definita una produzione “instant”: il film infatti è stato completato in meno di tre mesi: «Il nostro nemico sin dal primo giorno è stato uno solo: il tempo. Abbiamo iniziato la pre-produzione praticamente a ridosso dell’inizio del film. I diversi compartimenti dovevano lavorare parallelamente, e spesso questo ci ha costretto a levate notturne.Abbiamo completato le riprese in sole tre settimane, battendo davvero ogni record di velocità». La storia nasce da un tema semplice: le relazioni di coppia e i loro lati oscuri. Ma come tutti i film horror, parla soprattutto di “paura”. In The Perfect Husband la paura nasce dalla quotidianità, dall’incomprensione, dall’incapacità di superare un trauma e, in ultima analisi, da noi stessi e dai nostri dubbi più profondi e inconfessati. Un terrore a volte generato da chi non ti aspetti e da chi dovrebbe proteggerti. D’altronde, chi non si è mai domandato: quanto so del mio partner? «Tutti quelli che pagano per vedere un film horror – conclude Lucas – pagano perché vogliono vivere un’esperienza di paura. Il mio scopo era di spaventare lo spettatore con una vicenda semplice, ma che simulasse la realtà, mettendo in dubbio le nostre certezze su chi ci sta a fianco, su chi dorme nel nostro stesso letto. Ma volevo anche realizzare un film non scontato, che portasse in scena momenti profondi. La violenza feroce a cui si assiste non è gratuita, fa parte di un equilibrio che porterà lo spettatore a vivere un’esperienza di follia in prima persona».
20
Nel cast Gabriella Wright, Bret Roberts, Tania Bambaci e Philippe Reinhardt. Il film è prodotto e distribuito da Explorer Entertainment.
- Nuovi registi GIUSEPPE G. STASI
ANDREA LANFREDI
Ci vuole una sana dose di pazzia e in più un carattere d’acciaio per emergere nel panorama cinematografico italiano. È un percorso faticoso in cui vince l’idea originale, perché per essere registi bisogna diventare anche autori, e oltre al talento la forza di volontà è essenziale.
24
GIANCARLO FONTANA
Elogio della follia a cura di TOMMASO AGNESE foto FRANCESCA FAGO hair & make up ILARIA MONTAGNA
NICOLA PAROLINI LUDOVICO DI MARTINO
I
l presupposto per essere giovani registi e vivere nel nostro paese è senza dubbio la follia. Ci vuole una sana dose di pazzia oltre a un carattere d’acciaio per cercare di emergere nel panorama cinematografico italiano. Bisogna fare i conti con l’assenza di contributi a sostegno delle nuove generazioni, la scarsità di vere scuole di formazione (a parte rari casi) e il poco credito che il sistema Italia dà ai giovani volenterosi. La base da cui si parte è un nulla galleggiante che può essere solo riempito piano piano dei propri sforzi, della propria curiosità, dell’altruismo delle poche persone che credono fermamente nei giovani. È un percorso faticoso e intricato, dove senza dubbio vince l’idea originale, perché per essere registi in Italia bisogna diventare anche autori: è necessario farsi conoscere attraverso le proprie intuizioni, perché da noi non esiste una separazione professionale netta come nelle cinematografie straniere più prolifiche, che slegano il percorso del director da quello dello screenwriter. Bisogna adattarsi, e così l’arte dell’arrangiarsi è diventata imprescindibile per chi fa cinema; oltre al talento la forza di volontà è essenziale.
In tutto questo non mancano tuttavia i sogni e la speranza, non bisogna scoraggiarsi, anzi occorre aggregarsi, lavorare insieme e lottare nel perseguire i propri desideri cinematografici, anche se tutto ciò si scontra con il muro del potere, ossia di chi può concretamente dare una possibilità a un giovane autore: le produzioni, le distribuzioni, i festival. Entità troppo spesso ancorate a vecchi principi che avrebbero bisogno di una boccata di aria pulita per una cura generazionale indispensabile. Non è facile, ma è possibile e il low budget è una strada. Dimostrare che con le nuove tecnologie e l’abbassamento dei costi di realizzazione ciò che si faceva prima con tanto si può fare ora con poco e bene, confezionando prodotti di ottima qualità: questa pare essere l’unica sfida che oggi i giovani possono lanciare al sistema scricchiolante e ossessivo del cinema italiano. Dimostrare di saper essere competitivi. E così Fabrique, in collaborazione con l’agenzia Sosia&Pistoia, vuole anticipare i tempi e presentare quelli che per noi sono dei talenti in erba pronti a mettersi in gioco, registi giovani, talvolta giovanissimi che perseguono il nostro stesso sogno.
25
in collaborazione con
GIANCARLO FONTANA / GIUSEPPE G. STASI 29 anni / 28 anni
Lavori: Film Amore oggi (con Sky, 2014), in tv con Neripoppins e Un due tre stella e Italstellar, parodia virale di Interstellar di Nolan. Premi: Premio Satira Politica a Forte dei Marmi 2012, Pescara Web Fest premio alla carriera 2012, Premio Walter Schepis per la comunicazione 2011 Film preferito: S. 8 e 1/2. Oltre ad avermi fatto capire come un regista dovrebbe muovere la macchina da presa, mi ha insegnato che «la felicità consiste nel poter dire la verità senza far mai soffrire nessuno». F. Memento di Christopher
26
Nolan, perché riesce a rendere accattivante una storia per certi versi scontata con un montaggio destrutturato impossibile da dimenticare. Perché forse alla fine non importa tanto ciò che dici, ma come lo dici. Buoni propositi per il futuro: Con il nostro gruppo Inception stiamo lavorando su molti fronti: spot, web serie, serie tv e anche un nuovo lungometraggio. Insomma, non ci facciamo mancare nulla. L’importante è cominciare un nuovo progetto come se fosse il primo, con molta umiltà e mettendoci tutto l’impegno possibile.
www.sosiapistoia.it
LUDOVICO DI MARTINO
ANDREA LANFREDI / NICOLA PAROLINI
22 anni
31 anni / 34 anni
Lavori: Roles, webserie
Lavori: La Bouillabaisse, cortometraggio
Premi: Web Award al Roma Fiction Fest (2013) e Premio del Pubblico al Roma Creative Contest
Premi: Miglior Film 2013 e Miglior Fotografia all’edizione italiana del 48 Hour Film Project, e premio Miglior Regia alla finale mondiale di New Orleans, dove il corto rappresentava l’Italia tra 107 paesi, classificandosi secondo assoluto e guadagnandosi l’accesso a Cannes 2014 nel corner court metrage (fuori concorso). Filmapalooza 2014-Best Directing, Best Film First Runner Up.
Film preferito: Il petroliere di Paul Thomas Anderson, ma anche L’imbalsamatore di Matteo Garrone, Irreversible di Gaspar Noé. Mi piace il cinema viscerale, quello che parte dallo stomaco di chi lo fa. Buoni propositi per il futuro: Sto preparando un film e mi piacerebbe realizzare una serie che ho in mente da un po’... ma nel futuro mi piace vederci ogni cosa.
il capolavoro di Shakespeare con freschezza, stile e originalità. È un maestro, in tutto. N. Inception, per la preparazione durata 10 anni. Nolan già sapeva come doveva essere e ha avuto la pazienza di attendere, e poi aggiungo Matrix per ragioni che vanno al di là del cinema… Buoni propositi per il futuro: Stiamo lavorando a varie cose, in particolare speriamo parta a breve Bouillabaisse - La serie e un altro cortometraggio “favolisticamente” scorretto intitolato Morale della favola.
Film preferito: A. Romeo+Juliet di Baz Luhrmann. Che altro aggiungere? Lui è un genio, è riuscito a rendere attuale
27
- Opera seconda -
FIN QUI TUTTO BENE
I MIGLIORI GIORNI
DELLA NOSTRA Meritato successo per Fin qui tutto bene, che si candida a diventare il Grande freddo della “generazione Erasmus”.
VITA
foto FABIO BACCI
È
stato il film più premiato allo scorso Festival Internazionale del Film di Roma: Fin qui tutto bene, diretto da Roan Johnson che l’ha scritto con Ottavia Madeddu, ha vinto il riconoscimento della giuria del pubblico come miglior film italiano, il premio Akai per il miglior regista e la migliore attrice (Silvia D’Amico), premio LARA per la migliore attrice (ancora a Silvia D’Amico) e premio Signis per il miglior film. Nel cast Alessio Vassallo, Melissa Anna Bartolini, Paolo Cioni, Guglielmo Favilla e guest star Isabella Ragonese. La storia, che ha divertito e appassionato gli spettatori del festival, racconta l’ultimo weekend a Pisa di cinque ragazzi che hanno studiato e vissuto nella casa che è stata per loro teatro di amori nati e finiti, festeggiamenti per gli esami passati e nottate insonni su libri incomprensibili. Un tempo divertente e protetto che sta per finire: fuori li aspettano impieghi precari e un mondo in crisi di identità e di valori. Ognuno prenderà direzioni diverse, chi rimanendo nella sua città, chi partendo
28
per lavorare all’estero. Il film è il racconto buffo e profondo degli ultimi tre giorni di un gruppo di amici che hanno vissuto forse il momento più bello della loro vita. Una piccola metafora di una generazione chiamata a una sfida. L’azione si svolge nella casa dove i ragazzi hanno vissuto: la macchina da presa li segue e li osserva con leggerezza e partecipazione come se fosse il sesto coinquilino. E, per restituire la freschezza e immediatezza che regna in ogni casa di studenti, gli attori sono stati lasciati liberi di improvvisare. Roan ha commentato così il successo festivaliero: «Siamo increduli per questa vittoria, ma eravamo ancor prima increduli di aver portato a casa il film e bene, di aver trovato una distribuzione [uscirà il 29 gennaio con Microcinema] e di essere stati scelti al festival. Di tutto questo dobbiamo ringraziare prima di tutto i ragazzi e le ragazze che nelle interviste fatte durante le ricerche per il film ci hanno regalato i loro aneddoti e le loro storie, ma che soprattutto ci hanno trasmesso la volontà di non arrendersi».
- Futures -
FRANCESCA MARINO
ACTION WOMAN
Dopo aver girato due corti incisivi ed esteticamente molto curati, la ventiquattrenne Francesca Marino ha ideato una webserie e sogna di girare la sua opera prima con Lorenzo Richelmy. di LUCA OTTOCENTO
30
E
ntrata al corso di regia del Centro Sperimentale a soli 20 anni, Francesca Marino si è diplomata pochi mesi fa e, nonostante la giovane età, è già da molto che porta avanti contemporaneamente le sue due grandi passioni, entrambe legate a doppio filo al lavoro sull’immagine: la fotografia e la regia. Se come fotografa è affascinata dalle possibilità espressive insite nei ritratti e realizza in particolare book fotografici per attori, come regista sta iniziando a farsi notare per un particolare sguardo in cui convivono una regia dinamica (che si alimenta di piani sequenza, ralenti e suggestivi avvicinamenti della macchina da presa ai volti degli attori) e una forte componente emotiva che emerge tanto dallo stile quanto dallo sviluppo narrativo. Questo incontro tra dinamicità della messa in scena e attenzione per i rapporti umani – evidente nei cortometraggi Knockout (2013) e L’uomo senza paura (2014) – sembrano il tratto distintivo di Francesca, amante del cinema d’azione e di genere ma anche attratta da personaggi oscuri e problematici.
Lorenzo Richelmy in Knockout. In basso: due scatti dall’incidente de L’uomo senza paura, con Daniele Pecci.
Trovo interessante la tua passione per i piani sequenza e i ciak lunghi. In fondo, rappresentare la dimensione temporale nella sua estensione, è proprio ciò a cui i fotografi non possono aspirare. Esattamente. In più, uno dei motivi per cui ricorro spesso a questo tipo di ripresa è la mia passione per gli attori. Il piano sequenza o il ciak lungo, oltre a valorizzare un movimento di macchina e a essere una scelta stilistica virtuosa, è anche funzionale a esaltare le interpretazioni. Per esempio, il piano sequenza de L’uomo senza paura in cui padre e figlio sono in macchina, l’ho proprio pensato come un regalo ai due attori. Nonostante avessi coperto la scena con primi piani, piani a due e inquadrature dall’interno del veicolo, in fase di montaggio ho poi deciso di non proporre alcuno stacco per lasciare spazio alle loro performance. Il piano sequenza di cui vado più fiera, comunque, è quello di Knockout, in cui seguo Lorenzo Richelmy per quasi quattro minuti dall’arrivo al parchetto in motorino, fino alla sua ripartenza. Sia per il tema trattato che per la struttura narrativa, Knockout mi ha ricordato molto un altro tuo precedente corto, L’incontro. L’incontro è il mio corto di ammissione al Centro Sperimentale ed effettivamente è costruito in maniera molto simile a Knockout. Dopo aver affrontato con il primo la violenza sulle donne, desideravo raccontare anche la storia di una violenza sessuale subìta da un uomo. Lo spunto per raccontare entrambe le storie nasce dal romanzo di Alice Sebold Amabili resti, ma l’idea di Knockout ha preso vita solo dopo aver letto un articolo in cui si diceva di come la violenza sull’uomo è vista in maniera diversa dalla società perché si pensa che i maschi siano capaci di difendersi, e dunque non sarebbero davvero vittime. Mi interessava riflettere sul tema della crisi della virilità e poi naturalmente, dal punto di vista drammaturgico, ho sfruttato il fatto che il protagonista volesse mantenere il segreto sul suo trauma.
Guardando i tuoi lavori, si nota subito una grande attenzione per la messa in scena. L’evidente componente energetica della regia mi ha in alcuni casi ricordato il cinema di Kathryn Bigelow. Quali sono i tuoi registi di riferimento? Sono molto attratta dal cinema d’azione. Ti potrei fare tanti nomi di registi che mi piacciono ma, da questo punto di vista, uno dei miei preferiti è senz’altro Tony Scott. In particolare, adoro Man on Fire con Denzel Washington e Dakota Fanning. Sogno di girare un action movie, ma sono consapevole che in Italia è difficile trovare i soldi per farlo bene e allora, più realisticamente, punto a un cinema di genere. È curioso che citi proprio Kathryn Bigelow, perché in effetti Daniele Luchetti, il mio insegnante del Centro, una volta mi disse che avevo un modo di girare simile al suo. In particolare, della Bigelow mi piace tantissimo l’uso dello zoom, una figura stilistica molto poco sfruttata in Italia. Quali sono i tuoi progetti futuri? Il mio principale obiettivo è quello di esordire il prima possibile nel lungometraggio. Ho un trattamento che è stato da poco sottoposto all’attenzione di diverse produzioni, tra cui anche la Rai. Per ora preferisco non svelare la storia del film, così come il titolo. Posso dire però che si tratta di una storia romantica inserita all’interno di una cornice thriller dalle atmosfere hitchcockiane. Il trattamento l’ho fatto leggere a Lorenzo Richelmy, il mio attore feticcio, con il quale oltre che per Knockout ho collaborato anche per diversi servizi fotografici. Il progetto gli è piaciuto molto e gli piacerebbe farne parte. Certo, sempre che il film si riesca a fare, c’è anche da considerare che la carriera di Lorenzo è in un momento di svolta e credo che lui debba ancora decidere con che cosa ricominciare in Italia dopo la straordinaria avventura del Marco Polo. Oltre alla tua opera prima, stai lavorando a qualcos’altro? Sì, nel frattempo ho girato due puntate pilota di Unisex, una webserie che non ha nulla a che vedere con Knockout, L’uomo senza paura o L’incontro. Il registro è quello della commedia ed è tutta strutturata sotto forma di interviste a diversi personaggi, il timido, il palestrato, la romantica, la femminista e così via. Ognuno affronta temi che permettono al mondo maschile e a quello femminile di incontrarsi (tra gli altri, ad esempio, c’è un episodio dedicato alla tecniche per toccare le tette alle ragazze senza rischiare di essere presi a schiaffi…). Anche la webserie è in attesa di una risposta da Rai Fiction. L’intento è trovare una produzione che acquisti il format, oppure paghi lo sviluppo o la distribuzione. Se non dovessi riuscirci, proverei comunque a fare tutto da sola: insomma, sono o no una donna d’azione?
«RICORRO SPESSO AL PIANO SEQUENZA O AL CIAK LUNGO PERCHÉ, OLTRE A VALORIZZARE UN MOVIMENTO DI MACCHINA E A ESSERE UNA SCELTA STILISTICA VIRTUOSA, È FUNZIONALE ANCHE A ESALTARE LE INTERPRETAZIONI». 31
- Cinema e moda -
GIOCHI DI RUOLO BREVE ITINERARIO FRA LE TANTE POSSIBILI INFLUENZE ESTETICHE DEGLI ANNI 2000: DAL NUOVO DANDY A BETTY BOOP E FRIDA KAHLO, DA AMERICAN GIGOLO ALL’IMMORTALE DARK LADY E A UN MODERNO PULCINELLA. A cura di TOMMASO AGNESE E SARA BATTELLI Foto ARASH RADPOUR Stylist ELEONORA DI MARCO Assistente stylist ANTONELLA CERRA Capelli MONICA MARCHETTI PARRUCCHIERI - TEAM Make up GIOVANNI PIRRI E MANOLA SPAZIANI @SIMONE BELLI MAKEUP ACADEMY Abiti Cristiano Caccamo veste MYTHS, Francesca Golia GUESS (abito nero), Eleonora Bolla BLACKBLESSED Si ringrazia la SARTORIA “FAMOSA” di LIA MORANDINI Gioielli ANDREA MONTELLI JEWELRY
Valerio Di Benedetto Romano classe ’85, ho studiato recitazione per otto anni tra corsi di teatro, Teatroazione e stage sul metodo Strasberg. Dopo vari spettacoli, cortometraggi (Salame milanese), serie web (The pills) arrivo al cinema con Spaghetti Story, opera prima di Ciro De Caro, film che ha avuto un notevole successo di critica e pubblico, in Italia e in vari festival internazionali. Sono inoltre protagonista di Vittima degli eventi, il fan movie diretto da Claudio Di Biagio ispirato a Dylan Dog dove interpreto l’indagatore dell’incubo, affiancato da nomi di tutto rispetto: Luca Vecchi (anche sceneggiatore), Sara Lazzaro, Milena Vukotic, Alessandro Haber e Massimo Bonetti. A marzo sarò in scena con Cuore di tenebra di Joseph Conrad; intanto continuo col teatro di strada itinerante.
34
VALERIO DI BENEDETTO 35
FRANCESCA GOLIA
Francesca Golia Sono salernitana e ho 27 anni. Ho cominciato i miei studi di recitazione alla scuola di Lee Strasberg a New York; appena tornata in Italia, ecco il primo film, Lo spazio bianco di Francesca Comencini, poi ho interpretato una tossicodipendente nel film di Andrea Porporati, La storia di Laura e una hippie esuberante ne La kryptonite nella borsa (il ruolo più vicino alla mia personalità, mi sono soltanto preparata al suono del sirtaki). Poi sono stata una fervente cattolica in Bella addormentata di Marco Bellocchio e forse l’approfondimento è stato tale che sono diventata una suora ne La grande bellezza di Paolo Sorrentino. Ho coltivato sempre anche il mio grande amore per il teatro e in questi anni ho interpretato Shakespeare, Cechov e i grandi classici. Intanto aspetto gli ultimi ritocchi al mio primo film da protagonista che uscirà a breve: Non scomparire, diretto da Pietro Reggiani.
OCCHIALI
36
IN COLLABORAZIONE CON
Lavinia Guglielman Romana, 29 anni. Il caso ha bussato alla mia porta quando ero ancora una bambina: lo so, lo dicono in tanti, ma è stato veramente così, con Va dove ti porta il cuore di Cristina Comencini. Negli anni sono venuti poi Distretto di polizia, che mi ha fatto conoscere al grande pubblico, e film come Saimir, Un uomo perbene e La ballata dei lavavetri. La strada non è mai in discesa, tanti sì ma anche tanti no che mi hanno spinto a perfezionarmi e migliorare; a questo, con il tempo, ho imparato ad abituarmi, perché è così che funziona, non ci sono alternative né certezze. So però di essere stata fortunata, ho avuto la possibilità di lavorare con grandi maestri dai quali ho sempre cercato di prendere qualcosa, rubando con gli occhi un’espressione, un movimento, per poi cercare il mio modo. Ecco, da poco ho terminato le riprese della terza serie di Che dio ci aiuti con Elena Sofia Ricci, che non avevo mai incontrato prima: mi ha lasciata letteralmente a bocca aperta per la persona che è, meravigliosa.
LAVINIA GUGLIELMAN 37
CRISTIANO CACCAMO
Cristiano Caccamo Calabrese, 25 anni. Sono andato via dalla mia terra quando avevo 15 anni, non mi trovavo bene (sarebbe lungo spiegare perché) e ho chiesto ai miei di poter studiare fuori. Così sono finito in un convitto ad Assisi, mi sono diplomato e poi mi sono trasferito a Roma. È stato mio padre a iscrivermi a un primo corso di recitazione, poi, dopo il Centro Sperimentale, ho iniziato a lavorare, prima in piccoli ruoli come in La vita oscena di Renato De Maria e nel francese Parenthèse di Hervé Tanguy; poi in una sitcom da protagonista per Sky, in video musicali (Ligabue), spot (Rocco Barocco) e ultimamente nella campagna Ovs con Bianca Balti. A teatro ho lavorato al Globe Theatre in Molto rumore per nulla. Al cinema sono protagonista dell’opera prima Cenere di Simone Petralia e a breve inizierò una serie tv per la Rai con la regia di Michele Soavi. E il futuro sarà nelle mie mani e del mio agente…
38
ELEONORA BOLLA
Eleonora Bolla Veneta, classe 1986, inizia la sua formazione artistica all’Accademia d’Arte Drammatica diretta da Alberto Terrani a Padova, poi una prima esperienza teatrale con lo Stabile del Veneto, quindi il naturale trasferimento a Roma. Assieme ad apparizioni in opere di giovani registi indipendenti colleziona presto ruoli in varie fiction, fra cui Distretto di polizia, Ris Roma 2, Il tredicesimo apostolo, Sposami. Sul grande schermo l’abbiamo vista in Com’è bello far l’amore di Fausto Brizzi e in Magnifica presenza di Ferzan Ozpetek. Presto sarà di nuovo in tv su Canale 5 con Romanzo siciliano, questa volta come coprotagonista della serie. Attualmente è impegnata in teatro nel nuovo spettacolo 7Minuti diretto da Alessandro Gassman accanto a Ottavia Piccolo.
Vincenzo Nemolato Sono nato a Napoli e ho appena compiuto 25 anni. Il mio percorso come attore è iniziato quasi per caso interpretando al liceo il ruolo di Pulcinella (il mio “nasino alla francese” fu determinante per questa scelta…). Ho continuato a lavorare in teatro con Arturo Cirillo, Maurizio Scaparro e Toni Servillo: il mio naso e i capelli perennemente spettinati mi hanno portato fortuna e ho vinto il premio Ubu 2012 come miglior attore under 30 assieme alla mia compagnia Punta Corsara. Al cinema sono stato “Gennaro Superman”, uno scombinato supereroe napoletano nella Kryptonite nella borsa di Ivan Cotroneo. Ora preparo le valigie per la prossima tournée con Toni Servillo e sto terminando le riprese per il nuovo film di Matteo Garrone Il racconto dei racconti in cui interpreto un circense che, insieme ai genitori (Alba Rohrwacher e Massimo Ceccherini) e ai fratelli, ne passerà di tutti i colori.
VINCENZO NEMOLATO 39
- Icone -
WIM WENDERS
IN ME NON C’È
INTERESSE CHE PER IL FUTURO
Al Festival di Roma per presentare il documentario Il sale della terra sul fotografo brasiliano Sebastião Salgado, firmato insieme al figlio Juliano Ribeiro Salgado, il cineasta del Cielo sopra Berlino ha incontrato il pubblico in un’affollatissima Master Class. Ecco integralmente la lezione di cinema di un maestro.
40
Mario Sesti Il rapporto del suo cinema con la fotografia è di lunghissima data. Lei stesso è fotografo… Wim Wenders «Più invecchio e meno capisco il significato della fotografia. Tutto è reso più complesso dall’evoluzione della tecnologia digitale. Ma c’è un fenomeno che da sempre mi affascina: è come se in ogni fotografia vi fosse un controcampo incorporato, invisibile, ma riusciamo a percepirlo. E da quando ho incontrato le foto di Sebastião Salgado ho avvertito fortemente la presenza di questo controcampo. Per me era il controcampo di un’avventura, ma anche di qualcuno con grande rispetto e amore per il suo lavoro. Non riuscivo però a comprendere tutto ciò fino in fondo, a immaginare la persona che aveva prodotto queste opere, e dunque ho voluto incontrarla. Quindi per una volta ho deciso di sollevare questo velo invisibile e fare un film proprio su questo controcampo».
41
«Trovo che il dibattito fra bellezza e verità sia superato, quello che conta per me sono il rispetto e la dignità».
in segno di approvazione: avevano capito che non era amico della polizia. Da quel momento ha potuto scattare liberamente qualsiasi tipo di foto, viveva con loro e si è instaurata la perfetta complicità che si vede nelle immagini. Ma l’osservazione che hai fatto è giusta: Salgado racconta questa storia come farebbe un regista, con inquadrature diverse. In ogni fotografia vediamo un frammento di tempo, e tutte insieme creano una serie che si avvicina in maniera impressionante a un film».
©Stefania D’Alessandro
S Lei ha scritto che viaggio e fotografia sono intimamente legati: Salgado è un perfetto esempio di viaggiatore fotografo, che inoltre passa molto tempo nei luoghi che visita e ritrae… W «L’aspetto del tempo è stato fondamentale per questo film, questa avventura. Inizialmente pensavo che in un paio di settimane avrei potuto completare le riprese, e sapere tutto di questo fotografo. Abbiamo cominciato con le interviste, ma mi sono subito reso conto che la sua opera si basava su un senso del tempo completamente diverso, e la profondità del suo lavoro era tale da non consentirmi di fare un film rapidamente. Avevo bisogno di tempo, come lui dedica molto tempo a ogni tema che sceglie, sparisce addirittura per mesi per arrivare a un grado di verità straordinario». S Tornando al rapporto tra fotografia e cinema, guardando le foto di Salgado si ha l’impressione che siano prese da un film muto, sembrano immagini di Griffith, Murnau, Gance, Ejzenštejn. C’è molto cinema in lui. W «La prima volta che ho visto immagini della miniera d’oro, ho avuto precisamente l’impressione di trovarmi di fronte a un enorme set cinematografico: ma sapevo che era verità, non finzione. Il che mi ha fatto riflettere ancora sul tempo che quest’uomo ha passato in mezzo ai minatori, perché c’è una complicità evidente fra lui e loro. Vi racconto un episodio significativo. Quando Salgado è sceso per la prima volta giù nel buco con la sua fotocamera, ha sentito una forte ostilità nei suoi confronti: gli uomini non volevano essere visti, tantomento ripresi, tanto che lui ha pensato “non riuscirò mai ad avere buoni scatti”. Poi per qualche ragione è arrivata la polizia e l’ha arrestato di fronte a tutti. Così, una volta rilasciato, quando è tornato alla miniera gli uomini si sono fermati e hanno cominciato a battere con i piedi per terra
42
S Uno dei problemi che lei si è posto era come inserire Salgado nel film, e a un certo punto ha capito che il modo migliore era di riprenderlo e registrare le sue reazioni alle sue stesse fotografie. Ed è uno dei momenti più emozionanti del film, perché Salgado reagisce con una sensibilità palpitante e ci comunica quella sorta di tremore che ha nei confronti di ciò che ritiene angoscioso ma anche particolarmene importante da testimoniare. W «Questo in realtà è un film che è stato girato due volte: la prima volta abbiamo filmato per diverse settimane, e poi mi sono reso conto che non poteva essere questo il mio film. Avevo deciso di adottare un’impostazione convenzionale, noi due seduti a un tavolo con due telecamere e una terza che riprendeva le foto. Ma quando Salgado si avvicinava per esaminare un’immagine, il carico emotivo diventava fortissimo perché ritrovava il momento in cui l’aveva scattata: poi si girava verso di me ed entrava in un diverso stato d’animo, vòlto a spiegarmi la foto. Una volta finito questo primo film, ero arrivato ad avere una vaga idea di che cosa era stato il suo percorso e la sua opera, e volevo vederlo più preso, più coinvolto, ciò che accadeva appunto quando scrutava non me o la cinepresa, ma le sue foto. Così, quando poi abbiamo iniziato a girare il “secondo” film, abbiamo adottato un’altra tecnica: la camera oscura, più familiare a un fotografo. Lì dentro era solo, vedeva unicamente le sue foto, una dopo l’altra, non su carta, ma su quello che in televisione si chiama gobbo elettronico, una sorta di schermo semitrasparente dietro cui era collocata la cinepresa. Guardando gli scatti lui guardava direttamente nella cinepresa, verso di me, anche se non mi vedeva. Ed era proprio questa intimità che cercavo: gli ho fatto poche domande, dovevo solo lasciare che lui parlasse». S Un’idea che lei ha espresso sovente è che il guardare implichi anche una posizione morale: è attraverso ciò che si guarda che si può essere dalla parte di chi soffre, di chi è stato condannato dalla storia, dall’economia, dalla politica. Guardare significa costruire un’intimità, anche se immaginaria, con ciò che si guarda. Ho l’impressione che questo sia il film in cui lei lavora più in profondità su quest’idea. E che Salgado ne sia una testimonianza strepitosa: si è nascosto in una parte della terra così lontana e diversa, perché era necessario per poterla “guardare”. Un’idea, questa dello spaesamento, che molto cinema contemporaneo condivide. Bertolucci ad esempio ha detto: “Vorrei arrivare bendato in un posto di cui non so niente e lì cominciare a filmare”. W «Devo dire che anch’io ho il medesimo desiderio di sparire in un luogo di cui non so niente, in cui non ho punti di riferimento. Prima di diventare fotografo di professione Salgado era un economista, ma poiché non poteva rientrare in Brasile a causa della sua appartenenza politica di sinistra (erano gli anni della dittatura) ha voluto ritrovare parte della sua patria nei paesi del Sudamerica confinanti, appunto come fotografo, scomparendo per mesi e mesi. Ecco, questo rappresenta per me lo stato ideale sia per chi vuole fare cinema sia per chi vuole fare
Alcune domande del pubblico
fotografia: abbandonare tutto e diventare ciò che noi vediamo, che vogliamo conoscere». S Lei racconta con grande delicatezza anche le dinamiche particolari all’interno della famiglia Salgado: un padre che lascia tutto per il suo lavoro, una moglie che sacrifica il suo per stargli a fianco, un figlio che poi lo aiuterà (e che è co-regista del Sale della terra)… W «Juliano è cresciuto con un padre assente per la maggior parte del tempo, e che quando c’era era ugualmente assorbito dal lavoro, aiutato da Leila, sua moglie e sua editor, la forza trainante della sua opera. Juliano praticamente non conosceva il padre e, una volta divenuto documentarista, ha deciso che la cosa più avventurosa da fare era compiere un viaggio con lui per scoprirlo. Abbiamo quindi lavorato assieme e per me la cosa è risultata molto stimolante, perché il suo punto di vista era per forza di cose diverso dal mio. Insieme abbiamo realizzato un film complesso e vero, più di quanto non sarebbe stato possibile – credo – individualmente». S In questo film c’è qualcosa di sconvolgente. Da una parte fa esclamare allo spettatore: com’è possibile che ci sia tanta bellezza su questo pianeta? e dall’altra: com’è possibile che ci sia tanto dolore e povertà? Ho l’impressione che la grandezza di Salgado e del modo in cui lei lo ha raccontato sia proprio la capacità di tenere assieme due emozioni così diverse e profonde.
©Sara Rangel
W «Nel corso della sua carriera Salgado è stato accusato spesso di fare fotografia in modo estetizzante: ne ho parlato con lui, ma ho deciso di non inserire questo colloquio nel film perché non volevo fare una sorta di meta-discussione sul suo lavoro, volevo solo mostrarlo. Però ero ben consapevole della questione, conoscevo il modo in cui si poneva nei confronti di persone che soffrono la fame, la fatica, le conseguenze della guerra. Io credo che piuttosto che parlare di foto belle, sia più appropriato parlare di foto giuste, perché in questo ambito la bellezza non c’entra. Sì, si può dire che ogni sua foto è ben fatta, corretta per l’inquadratura, senso del bianco e nero e così via: tuttavia non era questo il suo scopo, cioè non era cercare la bellezza, ma la verità. Non c’è dubbio che si tratti di immagini bellissime, ma per me era il suo modo di mostrare rispetto per queste situazioni, la dignità di queste persone. Sarebbe assurdo vietare di rappresentare la morte o il dolore, e se c’è un modo giusto di farlo è farlo con dignità. Ecco, trovo che il dibattito fra bellezza e verità sia superato, quello che conta per me sono il rispetto e la dignità».
Ringraziamo il Festival Internazionale del Film di Roma, Luca Ottocento e Dario Ceruti.
«QUESTO È PER ME LO STATO IDEALE SIA PER CHI VUOLE FARE CINEMA SIA PER CHI VUOLE FARE FOTOGRAFIA: ABBANDONARE TUTTO E DIVENTARE CIÒ CHE NOI VEDIAMO, CHE VOGLIAMO CONOSCERE».
©Juliano Ribeiro Salgado
La questione del tempo, centrale nella sua poetica, nella dinamica fra presente e passato, mi ha fatto pensare a Nick’s movie. Era consapevole di questo richiamo? Wenders «Devo premettere che non ho nessuna inclinazione nostalgica: in me non c’è alcun interesse se non nel futuro, come fotografo e come regista. Vivere il presente, pur sapendo che entrambi i mezzi hanno una lunga storia che influenza il modo in cui oggi li usiamo. Vedendo il film si potrebbe pensare che parli del passato, in realtà tratta del futuro, e del futuro dell’umanità». Qualche anno fa da presidente dell’EFA lei sottolineò la diversità del cinema europeo da quello americano. È ancora così? Wenders «Nonostante i tanti cambiamenti tecnologici e politici la protezione della diversità esiste ancora. Esistono cinema nazionali, come quello italiano che è come una fenice che è risorta dalle sue ceneri, quello francese, tedesco, norvegese etc., ma tutti esistono grazie all’ombrello protettivo del cinema europeo. Senza la collaborazione e la solidarietà fra i paesi all’interno dell’Europa il nostro cinema non credo sarebbe sopravvissuto. E non è stato protetto il cinema tanto e solo come industria (come avviene negli USA), ma come cultura. Possiamo affermare che il cinema europeo ha bisogno di interagire con la cultura e viceversa». 43
- Zona Doc -
CINEMADEL REALE: UN’INTRODUZIONE IL 44
In questa immagine e in quella in basso nella pagina seguente, due momenti da La mia classe di Daniele Gaglianone, con Valerio Mastandrea.
Da questo numero Fabrique inaugura una nuova rubrica dedicata al documentario, una forma narrativa che, superata d’un balzo la barriera fra realtà e finzione, negli ultimi anni è letteralmente esplosa sugli schermi e sul web, guadagnandosi anche prestigiosi riconoscimenti. di SIMONE ISOLA
N
el nostro paese vengono prodotti ogni anno quasi 200 film documentari. Un fenomeno spesso trascurato o ritenuto a torto trascurabile e che invece rappresenta da un lustro uno dei più innovativi e vivaci sviluppi della cinematografia italiana. La felice molteplicità di stili, temi narrati, punti di vista rende quasi impossibile dare uno sguardo d’insieme su questo universo. Non a caso per descriverlo si usa sempre di più l’espressione “cinema del reale”, una forma del linguaggio audiovisivo capace di trovare il modo per raccontare e dare forma visibile alla realtà. Dedicare una rubrica a un fenomeno così stimolante ci permette non tanto di celebrare dei risultati, bensì di raccontarne gli sviluppi e analizzare il ruolo dei giovani talenti all’interno di un movimento così dinamico e composito. Chiariamo da subito un aspetto: non serve a nulla chiedersi oggi cosa sia cinema di finzione e cosa non lo sia. L’universo del reale non è contrapposto alla fiction. Il documentarista si confronta con persone che diventano personaggi sullo schermo, il regista di fiction con attori; entrambi si muovono nell’ambito della rappresentazione. Bisogna invece distinguere il documentario,
45
«NON SERVE A NULLA CHIEDERSI OGGI COSA SIA CINEMA DI FINZIONE E COSA NON LO SIA. L’UNIVERSO DEL REALE NON È CONTRAPPOSTO ALLA FICTION ».
L’amministratore di Vincenzo Marra (Courtesy of Festival internazionale del film di Roma)
cioè il cinema (per cinema si intende il prodotto di una elaborazione creativa), da quello che non è cinema, come ad esempio il reportage d’inchiesta, orientato verso percorsi televisivi o il web. La dimensione cinematografica del reale è tale quando sullo schermo vengono rappresentati organismi viventi con una loro specifica individualità, analizzata dallo sguardo dell’autore e artisticamente elaborata. Pensiamo, senza autoreferenzialità, all’esperimento portato avanti da Gaglianone in La mia classe, dove la barriera realtà/finzione è completamente annullata, dove ogni dimensione si intreccia e contamina l’altra, sfociando nella rappresentazione efficace di un determinato microuniverso, con tutte le risorse comunicative ormai a disposizione dell’autore. Concetti apparentemente complessi che fioriscono in una società cui viene richiesta una capacità di lettura sempre più sofisticata: il “cinema del reale” si fa largo nell’immaginario collettivo, dotato di specifiche qualità “narrative” rispetto alla fiction e non meno seducenti. Questa nuova alfabetizzazione cinematografica sta allargando il target di pubblico del genere, ancora troppo ristretto per rispondere a una politica di mercato che fa della quantità il suo totem. Politica questa, per altro, difficilmente contestabile. La differenza però fra piccolo e grande schermo è la presenza in televisione, accanto alle reti ammiraglie, dal grande share, di canali satelliti, meno vincolati dai risultati d’ascolto, non costretti a inseguire i numeri e dunque più liberi di fondare il loro palinsesto sulla qualità. Il moltiplicarsi di supporti ha esponenzialmente avvicinato il docu-
mentario a una fetta di pubblico in costante aumento, attenta al cinema indipendente di cui spesso, anche se non sempre, il documentario rappresenta uno dei laboratori linguistici più avanzati. Se dunque le opere raramente raggiungono adeguata “tenitura” dalle sale cinematografiche, come un fiume carsico il documentario giunge in posti lontani dividendosi tra mille canali distributivi, a parlare di quei problemi costantemente nascosti dai media come polvere sotto al tappeto o a raccontare storie apparentemente distanti dal sentire comune. Accanto al rinnovato vigore delle rassegne dedicate al genere, il documentario entra regolarmente nei concorsi dei principali festival internazionali, non più rinchiuso nei recinti di obsolete e anacronistiche sezioni ad hoc. La sottile linea di separazione in questo osmotico processo tra realtà/finzione è tranciata non tanto dai prestigiosi riconoscimenti a Sacro Gra, quanto da un processo linguistico in atto da decenni per cui lo scambio tra le due dimensioni non è più un aspetto del processo creativo, ma il processo creativo stesso. Le conseguenze sono notevoli anche sulle opere ascrivibili alla fiction: evidente l’influenza di questi processi sui film di Alice Rohrwacher, Leonardo Di Costanzo, Salvatore Mereu, per il loro modo di porsi di fronte all’ambiente fisico e per il rispetto verso un reale che appartiene anche ai loro personaggi, dal quale non possono in alcun modo essere distinti. Allo stesso modo come non segnalare la straordinaria forza narrativa di opere come Le cose belle di Agostino Ferrente e Giovanni Piperno, o L’amministratore di Vincenzo Marra e Stop The Pounding Heart di
«IL DOCUMENTARIO ENTRA NEI PRINCIPALI FESTIVAL, NON PIÙ RINCHIUSO NEI RECINTI DI ANACRONISTICHE SEZIONI AD HOC».
46
Roberto Minervini. E sulla scia di maestri riconosciuti cresce una generazione di nuovi “autori del reale”, con sguardi che annullano ogni categoria e propongono nuovi quesiti allo spettatore. Valentina Pedicini, Sergio Basso, Luca Scivoletto, Martina Parenti, Massimo D’Anolfi, Giuseppe Carrieri: sono solo alcuni dei molti talenti che propongono a un pubblico sempre più attento contesti e storie filtrando la realtà con consapevole maturità. Negli esiti migliori il genere affronta la teoria in modo raffinato e profondo; è “cinema” e insieme “film che riflette sul cinema”, studia quel binomio realtà-finzione tanto caro agli studi teorici contemporanei. La realtà viene interpretata con frequenti scarti finzionali, cercando di offrire allo spettatore adeguati strumenti di indagine. E la maturità di molte opere sta nell’abbandono della retorica e dell’imitazione. L’augurio per il genere è di inserirsi all’interno di un auspicato, quanto ancora da realizzarsi, rinnovamento complessivo del cinema italiano, diventando strumento fondamentale di un’edu-
cazione all’immagine indispensabile per le future generazioni. Per citare le fondamentali riflessioni di François Jost, stiamo parlando dell’educazione che permette di distinguere tra finta e finzione, tra ciò che è addotto, imitato sterilmente (finta), e l’ingegno che crea consapevolmente un mondo parallelo al nostro (finzione), «cui si chiede non tanto la verosimiglianza quanto la coerenza interna»; mentre infine la dimensione del fittizio designa il modo di essere di ciò che non è reale: dell’illusione, dell’apparenza, del sogno, del gioco. E lo spettatore deve saper leggere lo stato perennemente ambiguo dell’immagine contemporanea. I raffinati sguardi dei giovani autori sono già affilati, pronti come non mai a scrutare la realtà attraverso il filtro del cinema. A noi l’onere e l’onore di raccontarli e incoraggiarne il lavoro. François Jost, “Verità/Finzione. L’impero del falso”, Milano, Il Castoro Cinema, 2003.
Foto da L’intervallo scattata da Aliocha Merker
Foto da Le meraviglie scattata da Simona Pampallona
47
PROMOTION
AL LAVORO SUI SET TRA LE TANTE OPPORTUNITÀ DI STAGE OFFERTE DA ROMEUR ACADEMY ABBIAMO VISITATO DEI SET A ROMA, E INTERVISTATO DOCENTI E STUDENTI TRA UNA PAUSA E L’ALTRA. ROMEUR ACADEMY Via Cristoforo Colombo, 573 - 00144 Roma - numero verde 800 910 410 - info@romeuracademy.it - mail per acting: produzione@romeur.it - www.romeuracademy.it
A
lessandro Visciano, docente di post produzione in Avid, sul set di Canto finale di Riccardo Sesani si è occupato anche di gestire il settore ripresa e fotografia.
di PAOLO SECONDINO Direttore Romeur Academy
Alessandro, come è stato sperimentare il Gimbal in un lungometraggio? «Il Gimbal è un mezzo che adoro, permette dei movimenti macchina fino a oggi impensabili. Inizialmente era previsto solo come supporto e sostituzione ai classici sistemi di movimento come carrelli e steadycam, ma dopo averne visto le potenzialità il regista lo ha sfruttato per tutto il film. Abbiamo fatto piani sequenza lunghissimi scavalcando oggetti come se la camera fosse su un drone». Si può dire che tra mezzi tecnici e troupe Romeur ha contribuito non poco alla realizzazione del film… «Sul set erano tutti ex-studenti della Romeur e Gianluca Battelli ha esordito qui come direttore della fotografia, dimostrando il suo grande talento. Tutti i mezzi tecnici sono frutto di una collaborazione tra Romeur e Cinetica video, che hanno messo insieme le forze e congiunto gli investimenti tecnologici (vedi Gimbal), per dare anche a una piccolo/media produzione un supporto tecnico e logistico dal set fino al dcp finale, avvalendosi inoltre delle grandi capacità degli studenti Romeur». Gianluca, sei stato chiamato in causa dal tuo ex insegnante: parlaci della tua prima esperienza dietro la macchina da presa.
48
«Fin da subito ho avuto la consapevolezza che dal mio lavoro dipendeva molto e che per poterlo fare al meglio era fondamentale un ottimo lavoro di squadra. Sul set i dubbi, vista la mia giovane età, erano molti. Ma giorno dopo giorno ho visto le cose cambiare e la fiducia degli altri crescere. Sono contento per il lavoro fatto e per le nuove amicizie che questa opportunità mi ha regalato». Altro set, questa volta una webserie molto attesa, visti anche gli attori che vi hanno preso parte, tra cui il sosia ufficiale di Jack Sparrow, Massimiliano Rodi e Nicolò Centioni, volto noto de I Cesaroni. Abbiamo sentito il regista Renato Nassi, neodiplomato Romeur Academy: «L’idea è partita dalla mia socia, Chiara Alivernini, mia ex compagna di Accademia, che ha contattato Massimiliano per la realizzazione del nostro spot Pirate Inside-Have a Rum, che è stato scelto poi come spot ufficiale dello Show Rum Festival. Da lì è nato il concept, che poi è stato sceneggiato da Alfredo Mazzara e diretto da me». Qual è stato il contributo di Romeur alla serie? «L’Accademia ci ha fornito in primis il reparto make up, che si è occupato di trucco e parrucco, e le ragazze si sono dimostrate bravissime. Inoltre ha fornito i fotografi di scena, Maristela Possamai e Riccardo Spoletini, molto professionali. E poi ovviamente i nostri docenti del corso, Alfredo Mazzara che ha lavorato alla sceneggiatura e Giampaolo Marconato, che da questo anno seguirà Direzione della Fotografia».
- Dossier -
LE
SCUOLE DI
CINEMA SECONDA TAPPA,
MILANO
di TOMMASO RENZONI
PROSEGUE IL VIAGGIO DI FABRIQUE NEL MONDO DELLE SCUOLE CHE PREPARANO I GIOVANI ALLE PROFESSIONI DI CINEMA E SPETTACOLO. DOPO L’ANALISI DEL PANORAMA ROMANO, ECCO UNA RASSEGNA DELLE REALTÀ PIÙ IMPORTANTI SUL TERRITORIO MILANESE.
I
l viaggio continua, questa volta siamo a Milano. Sotto gli archi di ferro della stazione incontro un ragazzo di cui non vi rivelerò il nome, per scaramanzia ovviamente (sta affrontando proprio in questo periodo le dure selezioni di alcune scuole di teatro di Milano). Smagrito, gli occhi segnati dal poco sonno, vedo in lui i segni della “sindrome da selezione della scuola d’arte”: tra “commilitoni” ci si riconosce. Se a Roma era difficile districarsi tra le mille scuole di Cinema e di Teatro, la città di Gian Maria Volontè è più ordinata, e si contano sulle dita di una mano le istituzioni prestigiose dove imparare il “mestiere”. Mi faccio raccontare un po’. Milano è divisa in maniera netta tra lo slancio verso il cinema moderno e tecnologico e la tradizione del teatro italiano, offrendo valide alternative di apprendimento in entrambi i campi.
50
CIVICA SCUOLA DI CINEMA DI MILANO VIALE FULVIO TESTI, 121 - 20126 MILANO - TEL: (+39) 02.971522 - WWW.FONDAZIONEMILANO.EU/CINEMA/
Su tutte s’impone l’illustre Civica Scuola di Milano, una delle pochissime accademie in Italia che davvero preparano a dovere i propri allievi. La Scuola fa parte della “Fondazione Milano - Scuole Civiche”, Ente partecipato del Comune di Milano che comprende anche la Scuola di Teatro Paolo Grassi, ed è sostenuta dall’Assessorato alle politiche per il lavoro, sviluppo economico, università e ricerca del Comune di Milano. La Civica è inoltre uno dei tre membri istituzionali italiani della Cilect, l’associazione internazionale delle scuole di cinema, gli altri due sono il Centro Sperimentale di Cinematografia e la scuola Zelig di Bolzano. È interessante notare che affianca al corso ordinario triennale anche una serie di corsi brevi e corsi serali, tra cui un corso di videogiornalismo riconosciuto dall’ordine dei giornalisti, e addirittura una summer school di recitazione, filmmaking e ripresa, utilissima per chi sta immaginando di affrontare un’esperienza di studio fuori sede e prima di buttarsi può avere un assaggio di quello che lo aspetta. La scuola offre corsi di: regia, sceneggiatura, produzione, digital animation, ripresa e fotografia, montaggio, sound design e sistemi per il broadcast, multimedia, cui si accede dopo un esame di ammissione, e il cui costo è regolato dall’Iseu (questo è un fatto degno di nota, non sempre infatti le scuole vanno incontro alle differenti fasce di reddito degli alunni), con una quota minima di 1.375 euro (attestandosi di fatto tra i primi posti per economicità nella nostra classifica). In maniera simile all’ordinamento della scuola Gian Maria Volontè di Roma, la Civica prevede per il primo dei tre anni una formazione a 360 gradi su tutte le discipline insegnate, e per i restanti due anni una sorta di specializzazione nella disciplina scelta. La scuola ha sede nell’ex-manifattura tabacchi di viale Fulvio Testi, nello stesso complesso che ospita la sede lombarda del Centro Sperimentale di Cinematografia, e questo è un ulteriore punto a favore (di entrambe le istituzioni) perché consente di fatto agli alunni di incontrarsi e far nascere sinergie che vadano al di là dei propri compagni di corso.
51
CIVICA SCUOLA DI TEATRO PAOLO GRASSI VIA SALASCO, 4 - 20136 MILANO - TEL: (+39) 02.971525 - WWW.FONDAZIONEMILANO.EU/TEATRO/
All’altro capo della città, nella parte sud, ha sede l’altra importante accademia facente parte della Fondazione scuole civiche di Milano: la scuola di Teatro Paolo Grassi. La scuola, frequentata tra gli altri anche da Gabriele Salvatores e Fabrizio Bentivoglio, offre corsi della durata di tre anni, cui si accede previa selezione, e insegna recitazione, danza, regia teatrale, organizzazione dello spettacolo e scrittura drammaturgica. Come la Civica, la scuola organizza corsi serali e anche open class, e soprattutto ha in comune con la sua “compagna” di Fondazione l’istituto della summer school, che in questo caso non si limita alla recitazione ma offre anche un seminario sulla scrittura scenica per il teatro. La retta è la stessa della Scuola Civica (quindi sempre una quota minima di 1.375 euro), e anche la Paolo Grassi segue l’autocertificazione Iseu offrendo inoltre, in conformità con le altre istituzioni della Civica, prestiti studenteschi per merito scolastico. Tutte le scuole appartenenti alla Fondazione riconoscono oltretutto crediti formativi per stage e tirocini fuori dalla struttura.
SCUOLA DEL PICCOLO TEATRO VIA GIORGIO STREHLER (GIÀ VIA DEGLI ANGIOLI), 3 - 20121 MILANO - TEL: (+39) 02.72333414 - WWW.PICCOLOTEATRO.ORG
Nata dall’esperienza della Scuola Paolo Grassi, la Scuola di Teatro del “Piccolo”, diretta da Luca Ronconi, si distingue da altre realtà italiane perché, nei ventisei anni di lavoro insieme al Piccolo Teatro, è diventata una parte integrante del Teatro stesso, avendo cioè così di fatto la possibilità di agevolare l’ingresso dei suoi allievi nella professione. E questa tensione all’occupazione degli allievi è il principio primo della scuola, che invece di immettere ogni anno nuovi giovani nel sistema del lavoro, apre il bando di selezione ogni tre anni, ovvero alla conclusione del ciclo didattico, e seleziona venticinque allievi su una media di ottocento candidati. Ai talentuosi e fortunati futuri attori (la scuola prevede solamente il corso di recitazione), vengono aperte le porte a un insegnamento che punta a fornire gli strumenti tecnici per controllare le proprie capacità e sfruttare al massimo il proprio potenziale. Le 4400 ore di insegnamento comprendono infatti tra l’altro: canto, logopedia, acrobatica, danza, educazione della voce, recitazione in versi fino ad arrivare alla recitazione in dialetti veneti. Questo insegnamento intensivo, preciso, su un numero così ristretto di allievi, seguiti per tre anni, quanto costa? Nulla. La frequenza del corso è completamente gratuita infatti, e non solo, agli allievi vengono inoltre forniti gli indumenti di lavoro (scarpe da ginnastica, tuta, accappatoi etc.).
CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA - SEDE LOMBARDIA VIALE FULVIO TESTI, 121 (EX-MANIFATTURA TABACCHI) - 20162 MILANO - TEL: (+39)02.7214911 - WWW.FONDAZIONECSC.IT
La scuola ha sede nella ex-manifattura tabacchi di viale Fulvio Testi, lo stesso complesso che ospita la Civica di cinema. Contrariamente a quanto si può pensare, il Csc non offre gli stessi corsi in ogni sede sparsa sul territorio nazionale. La sede lombarda si occupa infatti di cinema di impresa, ovvero, citando il bando di ammissione, «il corso si propone di selezionare e formare figure professionali di autori e produttori altamente specializzati nel campo del cinema d’impresa e in particolare realizzatori di progetto competenti nel campo della regia e della produzione del documentario e della pubblicità, fornendo una elevata e qualificata formazione interdisciplinare». Il corso, sotto la direzione artistica di Maurizio Nichetti, ha una durata triennale, e prevede una selezione simile a quella delle altre sedi del Centro Sperimentale, al termine della quale vengono ammessi sedici alunni. Il costo della retta è di 2.500 euro. A oggi questo è l’unico corso offerto dalla sede di Milano, anche se negli anni passati è stato aperto un bando anche per il corso di Scrittura e produzione fiction, che ha immesso nel mondo del lavoro professionisti qualificati.
Il viaggio non finisce qui, anche se per il momento congedo Milano e il mio emaciato e anonimo amico. Salutandolo, ci auguriamo un reciproco in bocca al lupo, perché per lavorare nel cinema e nel teatro, oggi, in Italia, non solo bisogna essere talentuosi e fortunati a entrare in una scuola d’arte, ma anche e soprattutto dopo, quando inizia il vero cammino.
52
- Macro -
RED PASSION RED, IL ROSSO CHE CI ACCOMPAGNA NELL’ERA DEL DIGITALE E CHE SI PONE SUL MERCATO DELLA RIPRESA CINEMATOGRAFICA COME ASSOLUTO PROTAGONISTA, IRROMPE IN POMPA MAGNA CON LA NUOVA VERSIONE DELLA TESTATISSIMA EPIC. di LUCA PAPI foto GIUSEPPE CHESSA
54
P
arliamo della nuovissima Red Epic Dragon, che mette a disposizione il suo nuovo sensore a 6k! Abbiamo provato e testato la nuova Dragon nei laboratori D-Vision Italia, che come sempre ci supporta e ci permette di conoscere da vicino le novità del mercato della ripresa cinematografica per poterle offrire in anteprima ai nostri lettori. Con il suo potente sensore 6k la nuova Epic Dragon ci restituisce una risoluzione di ben 19 megapixel, offrendo un dettaglio di immagine senza rivali che la pone al timone dell’evoluzione della tecnologia del cinema digitale. Dai grandi oggetti al più piccolo granello, le riprese in 6k catturano le sfumature e i dettagli producendo un’immagine pulita e riducendo drasticamente il rumore e aliasing. Il sensore 6k può raggiungere una risoluzione massima di 6144(h) x 3160(v) offrendo quasi il doppio della risoluzione ottenibile con i sensori 4k. Anche con la Red Epic Dragon si può godere di ben 15 stop di latitudine di posa, una gamma un tempo impensabile per un sensore digitale. Tale ampia latitudine fornisce ai cineasti la capacità di affrontare condizioni di illuminazione difficili, senza la necessità di importanti rinforzi di luce o filtraggi eccessivi. Il miglioramento delle capacità in condizioni di scarsa illuminazione permette di riprendere a ISO 2000 e produrre un’immagine nitida e dettagliata. Questo rende più facile affrontare l’imprevedibile e catturare l’incredibile! Il sensore 6k inoltre la rende la soluzione perfetta per le riprese in 3D e per il lavoro degli effetti visivi, con un’immagine più malleabile e più facile da manipolare per il lavoro di compositing e computer grafica. Con il software Redcine-X Pro, Red offre gli strumenti necessari a creare le Lut e a intervenire sulle immagini prodotte, e ora, grazie all’introduzione della nuova scheda grafica Redrocket-X, il flusso di lavoro è stato notevolmente migliorato e velocizzato permettendo di sfruttare al massimo la potenza del sensore. La Red Epic Dragon può effettuare riprese a 100 fps in piena risoluzione 6k offrendo immagini in slow-motion con una risoluzione prodigiosa, arrivando fino a 150 fps in 4k, 200fps in 3k e ben 300fps in 2k. La Dragon permette di montare quasi tutte le ottiche presenti in commercio; infatti è compatibile con gli attacchi Leica-M, Canon EF e Nikon, oltre all’attacco cinematografico PL. Tutti gli attacchi sono facili da scambiare e sono progettati per adattarsi con precisione senza bisogno di dover regolare il back focus. La finestra sensore è stata riprospettata per consentire l’impiego degli obbiettivi Leica-M e
55
La nuova Red Dragon dispone di un sensore 6k e può raggiungere una risoluzione massima di 6144(h) x 3160(v), offrendo ben 15 stop di latitudine di posa, una gamma un tempo impensabile per un sensore digitale.
Angenieux, fornendo un campo visivo più ampio durante le riprese. Ogni lente è una nuova prospettiva, e la Epic Dragon vi consente di scegliere quella giusta per il vostro progetto. Inevitabilmente però essendo più grande e avendo quindi una diagonale maggiore, il nuovo sensore 6k potrebbe non essere in grado di supportare le lunghezze focali minori, non essendo sufficiente la copertura, il che potrebbe creare l’effetto “vignettatura”. La Red Dragon non ha modificato il corpo macchina mantenendo invariate misure e chassis, offrendo quindi la possibilità di riutilizzare gli accessori e i fissaggi tradizionali, rendendoli pienamente compatibili indipendentemente dal tipo di sensore installato: si evita così il pericolo di far diventare i vostri accessori obsoleti, rendendo meno costoso e impegnativo il passaggio alla nuova versione. Troviamo anche su questo modello il modulo RedMote che permette di controllare e configurare la Mdp da remoto tramite connessione wifi. La macchina può essere equipaggiata di monitor Lcd touchscreen da 5” o 9” per il controllo totale e la visualizzazione dell’immagine ripresa, e dal Bomb Evf, un viewfinder ad alta risoluzione OLED.
«CON IL SUO POTENTE SENSORE 6K LA NUOVA EPIC DRAGON CI RESTITUISCE UNA RISOLUZIONE DI BEN 19 MEGAPIXEL, OFFRENDO UN DETTAGLIO DI IMMAGINE SENZA RIVALI CHE LA PONE AL TIMONE DELL’EVOLUZIONE TECNOLOGICA DEL CINEMA DIGITALE». 56
I sistemi di archiviazione si avvalgono delle soluzioni Redmag SSD, hard-disk allo stato solido con capacità di 48GB, 64GB,128GB, 256GB e 512GB consentendo di scegliere il supporto di memoria che più si adatta alle vostre esigenze di produzione. Le misure del sensore sono 30.7 mm(h) x 15.8 mm x 34.5mm di diagonale, per i seguenti formati di acquisizione: 6k RAW (2:1-2.4:1), 5k RAW (Full Frame 2:1-2.4:1 e anamorfico 2:1), 4.5 RAW (2.4:1), 4k RAW (16:9-HD-2:1 e anamorfico 2:1), 3k RAW (16:9-2:1 e anamorfico 2:1), 2k RAW (16:9-2:1 e anamorfico 2:1), 1080p RGB (16:9), 720p RGB (16:9). Il segnale monitor esce in HD-SDI e HDMI, 2k RGB e 1080 RGB o 4:2:2. Sulla Dragon troviamo anche interessanti opzioni audio, di cui 2 canali non compressi a 24 Bit e 48Hz, e 4 canali opzionali in AES/EBU digitali.
Si ringrazia D-Vision per la collaborazione
ÂŤLa Red Dragon non ha modificato il corpo macchina, mantenendo invariate misure e chassis, offrendo quindi la possibilitĂ di riutilizzare gli accessori e i fissaggi tradizionali, rendendoli pienamente compatibili indipendentemente dal tipo di sensore installato: si evita cosĂŹ il pericolo di far diventare i vostri accessori obsoleti, rendendo meno costoso e impegnativo il passaggio alla nuova versioneÂť.
57
- Mestieri -
GIANLUCA BARRA
DIETRO LE
Ha lavorato ad Anime nere di Francesco Munzi, per i film di Fausto Brizzi ma anche per grandi produzioni inglesi e americane, tra cui l’ultimo capitolo degli Avengers: Gianluca Barra ci racconta il lavoro del location manager.
QUINTE DEL SET di GIOVANNA MARIA BRANCA
Il lavoro del location manager va dalla scelta dei set allo studio della logistica, dal contratto con la proprietà all’occupazione di suolo pubblico.
58
P
er le gerontocrazie del mondo del lavoro italiano Gianluca Barra è giovanissimo: classe 1983, nato a Campobasso, lavora nel mondo della produzione da una decina d’anni. Da tre anni a questa parte, però, il suo interesse si è rivolto a un ramo specifico della produzione cinematografica, quello del location manager. «È un lavoro sempre interno alla produzione – ci spiega – ma si occupa di alcune cose specifiche: fondamentalmente degli ambienti dove si gira, e nella maggior parte dei casi si parla di luoghi al di fuori dei teatri di posa». Gli studi, i teatri di posa, sono notoriamente di competenza dello scenografo, una figura più conosciuta del vasto ingranaggio del cinema ma che non esaurisce il lavoro sugli
foto di Francesco Miggeni ambienti, e che lavora in collaborazione con il location manager. Infatti, come racconta Gianluca, «leggendo la sceneggiatura ci si confronta con lo scenografo e in alcuni casi anche con il regista, e poi sempre insieme allo scenografo si va alla ricerca delle location, che si presentano al regista
Alcune immagini di luoghi scelti come set per i film a cui Gianluca Barra ha lavorato. per la scelta definitiva». Come location manager o assistente location manager Gianluca ha lavorato sia in produzioni italiane che estere, e tra i film a cui ha partecipato troviamo opere a basso budget come Anime nere di Francesco Munzi, applauditissimo a Venezia, e film più “di cassetta” come Indovina chi viene a Natale? o Pazze di me di Fausto Brizzi. Uno dei progetti a cui è più affezionato è il nuovo capitolo di Avengers: Age of Ultron, a cui ha lavorato per la parte girata in Italia, in Valle D’Aosta. Perché, «oltre alla grande accoglienza che ci ha riservato la regione, perfino io ero stupito di quello che accade in una grande produzione internazionale, per quello che si riesce a fare e che sembrerebbe impossibile».
con la proprietà o per l’occupazione di suolo pubblico, specie se si gira in esterno ma anche in interni, dato che si dovranno parcheggiare tanti camion». Avviato il lavoro in loco, «il location manager passa i contatti alla produzione e spesso, a meno che non si tratti di una location particolarmente complicata, va via per continuare il lavoro di preparazione dei giorni successivi, e tornare sul set solo a fine giornata per la sua chiusura». Al di là degli aspetti tecnici e burocratici, quello di Gianluca Barra è un lavoro che richiede molto impegno creativo: «Tra tutti i ruoli che si possono ricoprire in produzione è forse quello in cui c’è più un aspetto artistico, con un occhio rivolto alla storia e all’estetica. A meno che non si tratti di
a Fiumicino. È qualcosa di più affine a quello che fanno il regista o lo scenografo: proporre delle ambientazioni che corrispondano a quello che loro cercano». Spesso sono scelte dettate da limiti di budget o da motivi logistici: «La ragione banale può essere che la troupe è romana ed è più conveniente girare a Roma. Allora occorre trovare luoghi che possano in qualche modo dare verosimiglianza all’ambientazione all’interno della storia». Un esempio ci viene dal recentissimo Anime nere, di cui Gianluca ha curato la parte romana: «Abbiamo girato due settimane a Roma o poco fuori in situazioni in cui nella realtà della trama ci dovevamo trovare in Calabria o a Milano. Abbiamo cercato ambienti che potessero sembrare
Ma che differenze ci sono con i lavori svolti per le grandi produzioni internazionali? «Nella grande produzione ci sono esigenze e richieste differenti. Qui il location manager è pari grado con l’ispettore di produzione, quello che fuori si chiama unit manager. Questa figura all’estero è molto più ampia, ha un controllo più vasto del budget e di compiti che invece in Italia vengono svolti da altre persone, ha più importanza. Il cinema è molto gerarchico nei suoi vari reparti, in Inghilterra o negli Stati Uniti il grado del location manager è più alto rispetto a quello che ha in Italia». E poi ovviamente ci sono i budget da favola delle produzioni hollywoodiane, per cui sul set di Avengers, racconta ancora Gian-
Infatti il ruolo del location manager non finisce con la scelta dei futuri set, anzi, questo è solo l’inizio, «poi c’è tutto quello che succede dopo. Dallo studio della logistica e di tutto quello che sta attorno, anche cose “semplici” come i bagni, o il luogo dove la troupe farà pausa, al contratto
girare in Piazza di Spagna, e allora è Piazza di Spagna, molto spesso capita di girare in una location che poi nella storia sarà in un’altra città, in un altro paese, in un altro continente. Magari si ricostruisce una banca in un edificio romano che non c’entra niente con una banca, o la pianura padana
altre zone d’Italia. Più appartamenti che compaiono nel film in realtà si trovano in una villa di viale Aventino, in cui abbiamo ricostruito gli interni sia di una casa milanese che di una calabrese. Oppure un ristorante che doveva trovarsi nelle vicinanze di Milano in realtà è a Castel Gandolfo».
luca, «ho visto cambiare volto a un paese: tutte le insegne sostituite, gli edifici modificati, fatti apposta per il film. E dopo si finge che il posto sia stato distrutto, con tanto di vere macerie. Il mattino seguente tutto è già completamente ripulito, come se non fosse mai successo niente».
59
LUCY
- Making of -
a cura di DAVIDE MANCA foto ELIO GENTILE
IN THE SKY 1
2
Controluce pallone ad elio 4k, e 1.8 arrimax su telaio 2x2.
5
9kw hmi arrimax controluce con telai 1/4 orange.
6
Il regista illustra il movimento di macchina all’attrice.
9
Telaio ultrabounce 4x4 e 1.8kw riflesso su poli.
10
Postazione videoassist.
60
REGIA Giuseppe Petitto SCENEGGIATURA Giuseppe Petitto, Kim Gualino CAST Antonia Liskova, Michael Neuenschwander, Linda Mastrocola, Mia Skrbinac FOTOGRAFIA Davide Manca MONTAGGIO Elio Gentile COSTUMI Daniela Ciancio, Stefania Corsetti SCENOGRAFIA Giuliano Pannuti SUONO Carlo Missidenti TRUCCO Alenka Nahtigal MUSICA Teho Teardo PRODOTTO DA Martha Capello, Elda Guidinetti / Andres Pfaeffli, Frenk Celarc / Petra Vidmar, Ognjen Dizdarevic (Executive Producer), Luca Pancaldi (Executive Producer)
Troupe al completo.
SOCIETÀ DI PRODUZIONE Martha Production (Italia), Ventura Film (Svizzera), Gustav Film (Slovenia) IN COLLABORAZIONE CON RAI Cinema (Italia), RSI-Radiotelevisione Svizzera (Svizzera) CON IL SUPPORTO DI Mibact, Business Location Sudtirol Alto Adige, Fonds Eurimages du Conseil de l’Europe, Trentino Film Commission MDP E OTTICHE Arri Alexa, Cooke S4
TRAMA Lucy è un thriller psicologico ambientato in Alto Adige, una terra di confine tra culture e lingue che incarna il conflitto centrale del film, incentrato su sottili ma pregnanti forme di violenza familiare. La mente della protagonista (Antonia Liskova) è popolata dalle sfuggenti tracce del doloroso ricordo di un evento tragico rimosso. Solo attraverso un faticoso percorso di autoanalisi innescato dai discreti, ma sempre più significativi, eventi della storia, la protagonista riesce a interpretare la terribile verità nascosta dietro le profonde barriere interiori che le annebbiano la memoria. Palcoscenico del racconto è una casa isolata, circondata da imponenti cime popolate da alti abeti. Le mura della casa testimoniano la vita di una famiglia solo apparentemente serena: in realtà, la disgregazione del piccolo nucleo è giunta al punto di non ritorno.
3
Il film ne racconta le ultime fasi, in una progressione drammatica che evolve attraversando diversi generi e accompagnando il pubblico verso la svolta finale. Dall’avvio del racconto, che mutua le forme del dramma familiare, si passa a una fase successiva in cui il colore prevalente è quello del thriller soprannaturale. Per poi scivolare lungo una traccia thriller classica, fino alla conclusiva evoluzione psicologica, che impone la definitiva, e corretta, interpretazione degli eventi. IL PROGETTO Una co-produzione internazionale di lingua italo/tedesca, che ha trasformato l’iniziale progetto low budget in un film finanziariamente più solido, arricchito da un cast rilevante e dall’entusiasmo di una troupe giovane e internazionale.
4
Slider 2mt con 85mm.
7
Crane 4,5 mt su binario.
8
4kw riflesso attraverso le tende e cutter flag.
11
Alexa plongée su panter.
12
Neon plongée su attrice.
Alexa in lowmode su steady.
61
- Effetti speciali -
L’ITALIA
DEI
VISUAL
EFFECTS VINCE ALLE
IL NOSTRO ESPERTO CI RACCONTA COME UN POOL DI GIOVANI PROFESSIONISTI ITALIANI HA GIRATO IN CGI IL VIDEO DI CHIUSURA DELLE OLIMPIADI INVERNALI. E L’HA VISTO IN MONDOVISIONE.
OLIMPIADI T
di GIANLUCA LO GUASTO foto CLONWERK
utti i mezzi di comunicazione si evolvono per rimanere al passo con i tempi, e anche la tv cambia, lasciandosi contagiare e ispirare dalla “concorrenza”: da internet per il modo di raccontare la cronaca, dalla radio sempre più real-time e soprattutto dal cinema, da cui trae qualità, tecniche e cura per la narrazione. Sempre di più le grandi stelle del cinema fanno comparse o sono protagonisti assoluti delle serie tv. A volte spinte solo da interesse economico, altre dalla curva discendente di una brillante carriera ormai arrivata al tramonto, poco importa se alla fin fine chi ne giova è lo spettatore. Stessa cosa succede per registi del grande schermo. Sul piccolo schermo le trame si fanno più articolate, i dialoghi più intelligenti e anche gli effetti visivi non hanno ormai nulla da invidiare al cinema.
62
Game of Thrones, Breaking Bad, House of Cards, True Detective, questi, com’è noto, alcuni tra i migliori esempi da ricordare. Le differenze del processo produttivo tra un film tv e film per le sale sono ormai sottilissime. La realizzazione del prodotto televisivo richiede infatti le stesse metodologie di scrittura, manovalanze e strumentazioni. Le uniche differenze sostanziali sono il budget e, naturalmente, la fruizione finale da parte dello spettatore: le serie infatti viaggiano per mezzo dei satelliti o in codici binari attraverso lo streaming. Anche il prodotto pubblicitario trae dal cinema diversi espedienti e tecniche per comunicare con efficacia in pochi secondi messaggi ammalianti. La CGI (computer-generated imagery) è uno di questi; anzi, forse si può affermare che la
63
pubblicità è l’habitat naturale per la computer grafica, qui c’è maggiore possibilità di sperimentare e ricercare nuovi stili comunicativi. Un prodotto pubblicitario va dai 30 secondi al minuto e tutte le energie lavorative ed economiche si concentrano su quella frazione di tempo, a differenza del prodotto cinematografico che deve ricoprire tempi molto più lunghi. Occasioni per applicare lo strumento CGI in televisione non mancano: spot, sigle, video di presentazione di grandi eventi, come nel caso del video Countdown per le Olimpiadi Invernali disputate quest’anno in Russia, al quale ho contribuito in prima persona. Ed è un bell’esempio di come la metodologia televisiva si incontra con quella cinematografica dal punto di vista degli effetti visivi. La cerimonia di chiusura dei Giochi Olimpici di Sochi è stata caratterizzata dal made in Italy. La Worldwide Shows (di Marco Balich) è la società che si è occupata di tutta la fase creativa e realizzativa mentre a firmare la regia di questo evento monumentale è stato Daniele Finzi Pasca, che ha diretto con grande maestria uno degli show più spettacolari mai visti in diretta mondiale. Imponenti scenografie, sontuose coreografie, proiezioni e video mapping, ballerini e attori, il tutto amalgamato da suggestive sonorità della tradizione russa sono stati gli ingredienti per raccontare passato, presente e futuro del paese ospitante. A dare il la a tutto ciò è stato proprio il contributo video di cui parlavo realizzato dalla Clonwerk (altro importante attore italiano). Nonostante i tanti anni di attività nei settori broadcasting, entertainment e corporate, la Clonwerk è composta principalmente da giovani esperti del settore. Romain Sabella è il regista del progetto, mentre la direzione artistica è stata di Marco Brandini; assieme si sono occupati dello screenplay e dello storyboard. Marco Brandini commenta così l’esperienza: «Sochi ha coniugato la creatività e la professionalità di un team che, attraverso un attento lavoro di ricerca, ha rappresentato la storia e il patrimonio culturale di un paese come la Russia usando un linguaggio grafico dinamico e moderno». Ogni idea veniva condivisa (come avviene anche nel cinema) col “produttore”, Daniele Finzi Pasca. Una volta finita la fase di pre-produzione si è passati alla produzione, che è stata gestita da Pietro Negri. Come un vero produttore esecutivo si è occupato del budget, dell’organizzazione e della coordinazione di tutti i reparti. Racconta
Pietro: «Il bello di questo lavoro è che in fondo è sempre uguale: incontrare Daniele in un albergo sulle rive di un lago svizzero, mandare un regista a Mosca a girare delle scene live, litigare con i colleghi spagnoli per ottenere i contributi necessari e aspettare l’approvazione definitiva seduto sotto alla fiaccola olimpica con la squadra grafica, tifando Italia. La routine in fondo è sempre la stessa, è tutto quello che gira attorno a renderla un’esperienza nuova da cui trarre insegnamenti». La squadra operativa era composta da 4 persone: un modellatore 3d, un montatore e due compositor, tra cui Brandini, che ha così assunto il doppio ruolo di direttore artistico e compositor. Marco si è occupato nell’impostazione generale del progetto, inquadrature, movimenti di camera, composizione degli spazi. Io e il modellatore 3d (Michele Corigliano) ci siamo dedicati al look definitivo. Una seconda squadra diretta dal regista Nicola Buffoni si è occupata dello shooting dei due bambini che vediamo comparire nel video. I protagonisti (gli stessi bambini che hanno preso parte allo show) sono stati ripresi su green screen e inseriti in un contesto fantastico interamente ricreato a computer. Tempi di lavorazione: un mese e mezzo. Il progetto è stato ultimato in loco perché occorreva inserire le immagini di atleti che avevano partecipato ai giochi. Giovanni Rossi, il montatore, ricorda: «Il mio lavoro a Sochi è stato diverso dal solito perché non ho dovuto fare un montaggio vero e proprio bensì una selezione di scene. Solitamente la selezione è solo il primo step del mio lavoro, mentre a Sochi è stato l’unico e definitivo. Il problema era obbedire alle tempistiche tecniche: il repertorio video era gestito dalla OBS (il service video ufficiale delle Olimpiadi), impegnata con anche con le dirette. Ho dovuto attendere la premiazione dell’ultima giornata dei giochi per poter finalmente cominciare la selezione delle immagini che poi avrei dovuto passare a Gianluca per completare il video». Gli ultimi giorni sono stati i più duri. Il progetto, nonostante screenplay e moodboard approvati, ha subito numerose correzioni in corso e il dover selezionare numerosi filmati da cui trarre gli highlights da inserire nel video ha alimentato le tensioni di fine consegna. Ma alla fine, dopo un mese e mezzo di sacrifici e duro lavoro, ecco qua: in diretta mondiale, 90 secondi di pura estasi e orgoglio personale e poi… e poi punto e a capo. Si comincia a pensare al lavoro successivo.
«LA PUBBLICITÀ È L’HABITAT NATURALE PER LA COMPUTER GRAFICA, QUI C’È MAGGIORE POSSIBILITÀ DI SPERIMENTARE».
64
LORIS GIUSEPPE NESE E CHIARA MAROTTA (CLASSI 1991 E 1993, SALERNO) SONO STUDIOSI DI CINEMA E APPASSIONATI DI FUMETTO, RESPONSABILI DEL COLLETTIVO DI PRODUZIONE MULTIMEDIALE NOUVELLE SWAG. LUI LAVORA COME FUMETTISTA, ILLUSTRATORE, GRAFICO E VIDEOMAKER. LEI È SCENEGGIATRICE E FOTOGRAFA. INSIEME, CANALIZZANO LE PROPRIE PASSIONI NELLA SERIE A FUMETTI E VIDEO CEROTTI, NELLA QUALE CINEMA E FUMETTO S’INCONTRANO. http://lorisgiuseppenese.blogspot.it/
66
HISTOIRES DU CINÉMA
67
DIARIO GLI EVENTI DI FABRIQUE
SAVE OUR DATE Puntuali come ogni fine estate, eccoci con il nostro evento speciale al Lido di Venezia in occasione della 71esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. La serata si è aperta con una tavola rotonda dal titolo “I nuovi linguaggi cinematografici per il web”: a presentare le nuove frontiere del rapporto fra rete, cinema e documentario Janet De Nardis (direttore artistico Roma Web Fest) Maximiliano Gigliucci (direttore generale Roma Web Fest), Max Giovagnoli (esperto di comunicazione cross-mediale e storytelling, IED Roma), Fabio Ragazzo (produttore del webdoc 4Stelle Hotel), Federica Illuminati, autrice dell’apprezzatissimo doc The Show MAS go on, Ivan Silvestrini e Gloria Giorgianni (rispettivamente regista e produttrice della webserie Under), Giorgio Viaro (direttore editoriale di BestMovie), Roberto Silvestri e Mariuccia Ciotta (redattori di Pagina 99). E dopo, dalle 21.00 fino a tarda notte, tutti insieme alla Pagoda per il party di presentazione del settimo numero della rivista insieme all’attore di copertina Marco Palvetti (protagonista di Gomorra - La serie).
68
NEWS 16-25 OTTOBRE 2014
FABRIQUE AI FESTIVAL/CENTRO (ROMA) Anche per la nona edizione Fabrique ha seguito con attenzione la programmazione, gli eventi e il market del Festival Internazionale del Film di Roma, rinnovando lo scambio di contenuti iniziato con la nascita della rivista due anni fa.
DOVE
Come e dove Fabrique
ROMA CINEMA
21-29 NOVEMBRE 2014
FABRIQUE AI FESTIVAL/NORD (TIFF) Non potevamo mancare a uno degli appuntamenti più importanti nel panorama delle rassegne cinematografiche italiane, il Torino Film Festival, giunto ormai alla 32esima edizione. Fabrique ha incontrato spettatori e lettori in un corner dedicato.
1-4 DICEMBRE 2014
FABRIQUE AI FESTIVAL/SUD (SORRENTO) New entry nel panorama delle partnership di Fabrique, le giornate professionali del cinema di Sorrento sono la principale convention dell’industria cinematografica italiana, con anteprime, conferenze e focus, una mostra-mercato delle ultime tendenze e tecnologie per il cinema, premiazioni e riconoscimenti ai film di maggiore incasso.
CASA DEL CINEMA | 06.423601 | Largo Marcello Mastroianni, 1 EDEN FILM CENTER | 06.3612449 | Piazza Cola di Rienzo, 74 GREENWICH | 06.5745825 | Via G. Battista Bodoni, 59 INTRASTEVERE | 06.5884230 | Vicolo Moroni, 3 MADISON | 06.5417926 | Via G. Chiabrera, 121 MAESTOSO | 06.786086 | Via Appia Nuova, 416 NUOVO CINEMA AQUILA | 06.70399408 | Via L’Aquila, 66 NUOVO SACHER | 06.5818166 | Largo Ascianghi, 1 QUATTRO FONTANE | 06.4741515 | Via Quattro Fontane, 23 TIBUR | 06.4957762 | Via degli Etruschi, 36 -------------------------------------------------------------------------------------------------
LOCALI
BIG STAR | Via Mameli, 25 CAFFÈ LETTERARIO | Via Ostiense, 95 CIRCOLO CARACCIOLO | Via F. Caracciolo, 23a DOPPIO ZERO | Via Ostiense, 68 GIUFÀ | Via degli Aurunci, 38 KINO | Via Perugia, 34 KINO MONTI | Via Urbana, 47 LE MURA | Via di Porta labicana, 24 LIBRERIA DEL CINEMA | Via dei Fienaroli, 31 MAMMUT | Via Circonvallazione Casilina, 79 -------------------------------------------------------------------------------------------------
SCUOLE
CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA | Via Tuscolana, 1520 CINE TV ROSSELLINI | Via della Vasca Navale, 58 GRIFFITH | Via Matera, 3 NUOVA ACCADEMIA DI BELLE ARTI | Via C. Darwin, 20 Milano ROMEUR ACADEMY | Via Cristoforo Colombo, 573 SCUOLA D’ARTE CINEMATOGRAFICA GIAN MARIA VOLONTÉ | Via Greve, 61 -------------------------------------------------------------------------------------------------
ENTI E ISTITUZIONI
FABRIQUE DU CINÉMA
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO INVERNO
2014
Numero
8
OPERA PRIMA
LA COSTRUZIONE DI UN AMORE Fra madre e figlio, nel paesaggio marino di “Last Summer”
ICONE
WIM WENDERS
“L’ideale? Non avere punti di riferimento”
ZONA DOC
IL CINEMA DEL REALE
Nuove forme narrative del documentario
VISIONARI
NELLO SPAZIO FRA SOGNO E REALTÀ I GIOVANI COSTRUISCONO IL LORO PRESENTE E IL LORO FUTURO Come ha fatto Miriam Dalmazio, eclettica musa
LA CARTA STAMPATA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO SCARICA GRATUITAMENTE TUTTI I NUMERI DAL SITO 0 SCRIVICI A REDAZIONE@FABRIQUEDUCINEMA.IT
APT | Via Giunio Bazzoni, 3 MIBACT Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo | Via del Collegio Romano, 27
MILANO CINEMA
CINEMA APOLLO | Galleria de Cristoforis, 3 CINEMA ANTEO | Via Milazzo, 9 -------------------------------------------------------------------------------------------------
LOCALI
SCARICA L’APP GRATUITAMENTE PER SMARTPHONE E TABLET
WWW.FABRIQUEDUCINEMA.IT Like us www.facebook.com/fabriqueducinema
OSTELLOBELLO | Via Medici 4, Milano PIADE IN PIAZZA | P.zza Meda 5, Milano -------------------------------------------------------------------------------------------------
SCUOLE
NUOVA ACCADEMIA DI BELLE ARTI | Via C. Darwin, 20 Milano
FESTIVAL Calabria Film Festival Cortinametraggio Festival Internazionale del Film di Roma Ischia Film Festival Maremetraggio - International Shorts Film Festival Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia Roma Creative Contest Roma Web Fest Rome Independent Film Festival Visioni Italiane Cineteca di Bologna
69