Il cinema appartiene ai sognatori Ignazio Senatore

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Le frasi più belle di attori, attrici e registi Nessuno dovrebbe andare al cinema, se non crede negli eroi (John Wayne) La recitazione è l’arte di nascondere l’arte (Carlo Verdone) Un film si scrive tre volte: quando si scrive, quando si gira e quando si monta (Lina Wertmüller) Finché là fuori ci sarà qualcuno da spaventare, potrò dirmi una persona felice (Dario Argento) Gli attori devono andare nei posti di cui hanno paura e tu devi accompagnarli (Gabriele Muccino) Il cinema appartiene ai sognatori (Claudia Cardinale) Non mi fido di nessun figlio di puttana astemio (Humphrey Bogart)

Le frasi più belle di attori, attrici e registi

Recitare è un modo per vivere la propria follia (Isabelle Huppert) Dio? Preferisco Murnau e Griffith (Billy Wilder) Penso, sogno in napoletano, quando parlo italiano, mi sembra di essere falso (Massimo Troisi)

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CINEMA


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EDIZIONI

FALSOPIANO

Le frasi piĂš belle di attori, attrici e registi


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INDICE

Introduzione

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Prima parte La valigia del cinema

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Attori Attrici Il casting Il cinema Dicono di lei Dicono di lui La distribuzione Dive/Star Hollywood Lavorazione Il lavoro con gli attori La macchina da presa Il montaggio Produttori Il rapporto attrice/regista Il rapporto attore/regista Recitazione La regia Il regista La sceneggiatura La scrittura Il set Storie La valigia dell’attore La valigia del regista

p. 15 p. 17 p. 19 p. 20 p. 21 p. 23 p. 24 p. 25 p. 27 p. 28 p. 29 p. 34 p. 36 p. 39 p. 41 p. 42 p. 44 p. 44 p. 45 p. 45 p. 47 p. 49 p. 64 p. 83 p. 85


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Seconda parte Icone cinematografiche

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Michelangelo Antonioni Bernardo Bertolucci Humphrey Bogart Marlon Brando Claudia Cardinale Charlie Chaplin Vittorio De Sica Marlene Dietrich Federico Fellini Greta Garbo Jean Luc Godard Alfred Hitchcock Buster Keaton Stanley Kubrick Sophia Loren Anna Magnani Marcello Mastroianni Mario Monicelli Marilyn Monroe Moana Pozzi Roberto Rossellini Giuseppe Tornatore Totò Massimo Troisi Francois Truffaut Orson Welles Wim Wenders Billy Wilder

p. 99 p. 100 p. 101 p. 102 p. 104 p. 105 p. 107 p. 108 p. 109 p. 113 p. 114 p. 115 p. 118 p. 119 p. 119 p. 120 p. 121 p. 122 p. 123 p. 126 p. 129 p. 130 p. 132 p. 136 p. 137 p. 138 p. 139 p. 139

Terza parte Generi

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Commedia Documentari

p. 143 p. 145


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Erotico Fantascienza Gialli Guerra Horror Melodramma Neorealismo Noir Pornografico Western

p. 146 p. 148 p. 149 p. 149 p. 150 p. 151 p. 151 p. 152 p. 153 p. 154

Quarta parte Cinema e...

p. 157

Bambini Censura Costumi Critica Fotografia Impegno politico Messaggio Musica Napoli Pittura Psicoanalisi Religione Sonoro Teatro Televisione

p. 159 p. 159 p. 160 p. 161 p. 162 p. 163 p. 165 p. 166 p. 167 p. 168 p. 169 p. 170 p. 171 p. 172 p. 173

Quinta parte Sul lettino Frasi cult

p. 177 p. 181

Bibliografia

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Introduzione Il cinema disturba lo sguardo, i film sono persiane di ferro. (Franz Kafka) Non è tanto il film nella sua interezza che mi colpisce, quanto certe inquadrature che molto spesso vengono riprese dai giornali o da recensioni del film; e mi suggeriscono ogni tipo di cosa, molto più che il film stesso. Non è tanto il film ad essere eccitante per me quanto semplicemente alcuni suoi frammenti. (Francis Bacon) Muto come un pesce e pallido come un essere sotterraneo, il film nuota nello stagno della pura visibilità. (Robert Musil) Le sale cinematografiche sono templi per chi ha paura della vita. (Harry Martison) Il cinema è malato. Il capitalismo gli ha gettato negli occhi una manciata d’oro. (Vladimir Majakowskij)

Questo volume prosegue idealmente il percorso già intrapreso con Il bello del cinema? I pop corn, pubblicato nel 2013. Come allora, ho riportato aneddoti annotati nel corso delle mie interviste a registi, attori ed attrici, considerazioni e riflessioni sul cinema confidatemi durante festival o presentazioni di film. Divoratore di saggi sul cinema, ho dato poi grande spazio ad affermazioni prese a prestito da monografie o saggi sul tema. E se, nel precedente volume avevo attribuito, per gioco, ad ogni singola citazione, il titolo di un film, questa volta, per rendere più agevole (didascalico, scolastico?) il percorso del lettore, ho classificato il materiale raccolto in alcune grosse aree tematiche (la valigia del cinema, le icone cinematografiche, i generi ecc...). Un omaggio alla Settima Arte, un volume che, banditi pettegolezzi e maldicenze sul dorato mondo del cinema, ha come unico scopo quello di svelare incertezze, disillusioni e tentennamenti di registi (affermati e non), far luce sul loro ambivalente, conflittuale ed a volte simbiotico rapporto con gli attori, raccontare gustosi aneddoti accaduti durante la lavorazione di un film, raccogliere le confessioni di chi, sia esso attore o attrice, vive con trepidazione il ruolo che deve interpretare. Un volume che non spia il cinema dal buco della serratura, ma che, con disincanto, disvela dubbi e paure, di chi, dietro la macchina da presa oppure in primo piano sul grande schermo, fa sognare, piangere, ridere ed emozionare chi si accomoda nella sala buia di un cinematografo.

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Prima parte LA VALIGIA DEL CINEMA

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ATTORI

“L’attore di cinema non è un’artista, è una merce: il sacco di patate Clark Gable, il sacco di farina Brando. È un articolo di serie. L’attore considera il suo lavoro un mezzo per ben vivere e non per imporre la sua arte. L’attore è un povero diavolo che, come chiunque altro, vuole una bella casa, un’automobile. Il cinema non è un’arte, è un commercio e non vi è nulla di bello nel commercio. Si cerca di soddisfare il cliente e di accontentare la domanda.” (Marlon Brando) “L’attore fa questo mestiere perché gli manca qualcosa. È un fatto schizofrenico. Ogni volta che interpreta una parte ricerca quel qualcosa che gli manca. L’attore ricerca un’anima. E quell’anima la mette nel suo personaggio. Acchiappa dal ruolo che deve interpretare quella parte di cui ha bisogno. E sta tranquillo per qualche tempo. Poi deve ricominciare.” (Lando Buzzanca). “Essere un attore è la cosa più solitaria del mondo. Sei completamente da solo con la tua concentrazione e con la tua immaginazione e quello è tutto ciò che hai. Essere un buon attore non è facile. Essere un uomo è ancora più difficile. Voglio essere entrambi prima di morire.” (James Dean) “L’ha detestato questo mestiere. Anche quando si recita, bisogna avere un’uscita di sicurezza. Non bisogna essere sempre in prima linea come Guillaume. Perché in prima linea ti bruci. Bisogna riuscire a essere spettatori di sé stessi. Versare lacrime su un palcoscenico non vale la pena, sono gli spettatori che devono piangere. Tu sei solo lì per trasmettere l’emozione, sei una dimensione diversa. Guillaume non aveva questa distanza, era in prima linea, sempre in prima linea. Non sono stato capace di avvertirlo del pericolo.” (Gerard Depardieu) “James Dean mi disse: ‘Non recitare quando bevi un bicchiere d’acqua, bevi e basta! Non far vedere al mondo che stai fumando una sigaretta. Fumala!’” (Dennis Hopper) “L’attore non deve risparmiarsi, ma bruciare. Non deve interpretare, ma incarnarsi. L’attore non conosce limiti e pudori.” (Harvey Keitel) “Un attore, secondo me, deve sapere fare tutto, senza preferenze. Quando ha delle difficoltà, allora ha delle preferenze. Io sarò anche pazzo, ma non ricordo di aver mai provato difficoltà: né davanti a Shakespeare né davanti alla Fenech.” (Renzo Montagnani) 15


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“C’è una parte di me che detesta il lavoro di attore. Mi spiego: un pittore, uno scultore, un fotografo, possono anche non vendere, ma nessuno può impedire loro di produrre la loro arte. Un attore no: ha sempre bisogno di qualcuno che gli dica di sì. Qualcuno che si degni di dargli l’opportunità, e questo mi secca.” (Edward Norton) “Devi essere in qualche modo umile, talmente umile, da essere all’altezza del personaggio, non devi mai essere superiore al personaggio che stai raccontando, perché poi diventi superiore alla storia che stai raccontando, diventi superiore al regista che ti sta dirigendo. Così è una cosa eccessiva.” (Silvio Orlando) “Quando ero giovane i personaggi lasciavano impronte indelebili dentro di me; oggi ce ne sono troppi che danzano nella mia testa e quindi finiscono per neutralizzarsi a vicenda.” (Al Pacino) “Quando reciti da un po’ di tempo diventa piuttosto facile accendersi e spegnersi! Quando sei all’inizio, senti il bisogno di rimanere nel personaggio il più a lungo possibile. Come attore devi pagare un certo prezzo per tornare al mondo reale, tanto che diventa quasi più facile rimanere nella parte per tutto il tempo.” (Al Pacino) “Se mi emoziona ancora sentire la voce del regista che dice: ‘Azione’? È come la campana per il pugile all’inizio del combattimento. Mi sento nello stesso spirito. Me ne sto seduto nel mio angolo e poi... giù botte.” (Brad Pitt) “Qualcuno ha detto che gli attori non fanno altro che creare sculture di neve. Giustissimo.” (Vincent Price) “Io resto sempre e comunque con Diderot e mai con Stanislavskij: non credete a quegli attori che parlano di transfert, di emozioni medianiche. È solo un mestiere e neanche dei più nobili, visto che si cerca di rendere vero il falso”. (Enrico Maria Salerno) “Credo che un interprete, nel suo lavoro di scavo, interroghi, in maniera profonda, continua, ossessiva, i valori che emergono dalla tessitura drammaturgica. Quindi, è un processo lento, credo che l’interpretazione sia uno scandaglio gettato in un mare fecondo che è un grande testo, e rispetto a quello che è stato già detto tu abbia qualche cosa in più da dire, che si aggiunge, ma nasce da quella ricchezza. Posso ricordare qui un atteggiamento cui fa riferimento Louis Jouvet, a proposito delle relazioni con il personaggio, quando dice: ‘Io ho sempre pensato che il personaggio è più grande di me, e la mia complessità deve mettersi in relazione con un personaggio che è Amleto, un Tartufo, una creatura poetica talmente più grande di me che in una prima fase di approccio mi intimidisce, poi 16


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lentamente trovo una mia forma di relazione, poi forse riesco ad aggiungere qualcosa a quello che ha già detto l’autore attraverso quel personaggio.’” (Toni Servillo) “Non c’è niente da fare. La gente vuole vedermi riemergere dalla penombra con il viso pestato a sangue, ma pronto ancora a resistere, e magari a vincere. Non vuole nient’altro da me.” (Sylvester Stallone) ATTRICI “Mi tirarono su dal nulla, e lo fecero abbastanza bene ed era come casa mia. Ma non si può stare a casa continuamente. In uno studio dove ti trattano come il loro baby, una non può fare altro che rimanere sempre una bambina cui bisogna far trovare tutto pronto. Fanno tutto per conto tuo, decidono tutto per te, non chiedendo mai la tua opinione. Ti dicono quali soggetti interpretare, quali abiti indossare, e chi sarà il regista del prossimo film. Pensano loro per te. Fanno tutto per te, eccetto che recitare. Magari sarà anche giusto, ma c’è il pericolo di scordarsi che si ha un cervello fatto apposta per essere usato e un paio di piedi su cui appoggiarsi. Così decisi di andarmene, anche perché i film che mi proponevano di fare, non valevano molto.” (June Allyson) “Ha ragione Isabelle Huppert quando dice che noi attrici abbiamo tante principesse dentro di noi e per ciascun ruolo ne scegliamo una da mostrare. Fare l’attrice non è una protezione, ma al contrario esposizione. In Francia le attrici si chiamano mademoiselle a ogni età, forse perché sono bambine che non crescono mai.” (Monica Bellucci) “In primo luogo il mio è un mestiere completamente terapeutico. Ogni storia, ogni ruolo, offre una possibilità di conoscersi meglio. Attraverso di essi si rivelano parti di noi. Sono delle autentiche esperienze personali, strettamente legate all’esistenza. Quando le proposte si ripetono, bisogna cominciarsi a chiedere: che cosa ne è della mia vita? E soprattutto, qual è la domanda che eludo, imprigionandomi sempre negli stessi schemi?” (Monica Bellucci) “Per diciassette anni sono stata schiava della Metro Goldwyn Mayer. Il contratto era più greve di una catena. Ti dicevano: ‘Fa questo’ e tu dovevi farlo. Se disubbidivi, ti toglievano lo stipendio. Restavi senza soldi, senza lavoro e il tuo contratto si allungava per tutto il periodo d’inattività. Così, in pratica, potevano tenerti per sempre. Quando pensavi ormai di essere una star, ti davano apposta particine umilianti e se le rifiutavi, ti sospendevano di nuovo. Potevano anche toglierti di mezzo per il tempo che volevano, tanto da far dimenticare la tua faccia, la tua esistenza.” (Ava Gardner) 17


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“Recitare implica emozioni molto delicate: l’attore non si mette una maschera quando recita, non si nasconde, si espone.” (Jeanne Moreau) “Piangere per me è così difficile, perché ho troppo poca esperienza per saper piangere tecnicamente. Qualcuno mi ha detto che dovrei pensare a tutti i momenti più tristi della mia vita. Ci ho provato e non ha funzionato. Altri mi hanno suggerito di pensare alla mia morte. Beh, l’ho fatto così bene che i miei capelli si sono allisciati, la mia gola gorgogliava, sono diventata fredda, umida e ho pensato davvero che fossi morta.” (Kim Novak) “C’eravamo tanto amati è stata una vera sfida d’attrice. Dovevo imbruttirmi, dimostrare di pesare almeno ottanta chili, per cui mi avevano imbottita di plastica. Avevo il sedere finto, i fianchi finti, le braccia finte, il seno finto, i denti finti, una parrucca improponibile, le orecchie con i ferretti dietro. Ero proprio brutta. Poi per fortuna nel film, a mano a mano, miglioravo e diventavo come ero nella realtà e allora...” (Giovanna Ralli) “Grazie a Dio sono un’attrice. Ciascuno ha dentro di sé un qualcosa di tutti gli altri. Recitare è solo aprire una porta.” (Gena Rowlands) “Io non vado sul set indottrinata, ovvero non voglio sapere prima quale tipo d’inquadratura stiano per fare o se mi chiederanno un primo piano. Non voglio conoscere la divisione delle scene e le inquadrature previste, prima di essere sul set. Me ne occupo solo in quell’esatto momento in cui mi viene indicato ciò che occorre fare. Voglio recitare come se fossi una spettatrice di un film al cinema. Nella sala buia non sai mai quello che stai per vedere sullo schermo e in che modo il regista te lo farà vedere.” (Stefania Sandrelli) “Solo con il pianto ho dei problemi. Siccome io sono prima spettatrice che attrice, vedo molte scene melense di pianto e ne diffido molto. Il pianto è una rappresentazione intima. È molto più bello e più forte non vederlo.” (Stefania Sandrelli) “C’è stato un periodo, in coincidenza con gli studi all’Accademia, in cui pensavo che fare l’attrice significasse essere una trasformista. Invece non è così. C’è qualcosa di tuo, di profondamente tuo dal quale tu non ti puoi staccare. Questo non significa che dei ruoli siano impossibili, perché comunque esiste un lavoro di ricerca, un esercizio di memoria che ti riporta a emozioni già vissute, tutto questo porta ad un incontro tra l’attore e il personaggio. Avviene dentro di te e non esteriormente con un travestimento. (…) In realtà anche dentro di me dopo un film accade qualcosa. Dopo Benzina, ricordo di essermi sentita molto vicina al personaggio del film. Continuavo a portare i suoi vestiti, io continuo per un 18


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po’ a portarmi dietro il personaggio, a non allontanarlo in modo definitivo. Lo stesso per La balia. Ma poi si ricomincia da capo con un’altra scoperta, con un’altra ricerca.” (Maya Sansa) “Il nostro compito è quello di entrare nelle vite di chi è diverso da noi e far sembrare al pubblico come ci si sente ad essere quella persona.” (Meryl Streep) “Se ho deciso di fare una cosa, perché me ne dovrei vergognare? Del resto non avevo ad aspettarmi Bertolucci, Zeffirelli o Antonioni. Ho cercato di fare il meglio tra le cose che erano alla mia portata, anche se era difficile passare da lavori interessanti come la commedia Aggiungi un posto a tavola ad altri più scadenti. Avrei voluto diventare come Monica Vitti o Giovanna Ralli. Non ci sono riuscita, ma qualcosa ho fatto lo stesso. Non puoi passare la vita ad attendere o a rimpiangere. Se no finisce che vivi di sogni inutili.” (Jenny Tamburi) “Voi italiani non potete giudicare un film come Giochi di notte o un qualsiasi altro film svedese. La mentalità è troppo diversa, vi mancano gli elementi di giudizio. La scena di parto non ha nulla di osceno, ma come si fa a spiegarlo a un italiano? A noi pare indecente Filumena Marturano: in Svezia la commedia di Eduardo de Filippo non si recita, la storia di una donna che si umilia tutta la vita come una bestia e finge anche di morire, pur di farsi sposare, è oscena.” (Ingrid Thulin) CASTING “Gli attori che vengono scelti nei miei film sono spesso ‘portati’ da mio fratello Antonio. È lui che ha una conoscenza molto più attenta e profonda dei “nuovi”, degli emergenti di cinema e Tv. Me li porta, me li presenta. Io da più di vent’anni non faccio più provini, piuttosto faccio degli incontri, durante i quali non parliamo di cinema, ma della vita. Se la persona che ho davanti mi incuriosisce, allora mi domando: ‘Ho voglia di stare con questa persona due mesi della mia vita? Mi piacerà stare con questa persona per due mesi, tutti i giorni, tutte le ore? Ci intenderemo, ci capiremo? Questa persona sarà capace a sua volta di vivere questo desiderio?’. Il sommo piacere è quello di coinvolgere, amalgamare attori di diversa provenienza professionale e fare loro condividere il mio mondo, farli pensare, ragionare ed esprimersi come le persone del mio mondo.” (Pupi Avati) “Comincio a capire un film durante i provini con gli attori. Per questo ne faccio tanti. Offro pochissime indicazioni sul ruolo, preferisco che mi offrano prima la ‘loro’ interpretazione, il sentimento che hanno provato leggendo la parte. Grazie alle loro improvvisazioni spesso mi rivelano chiavi nuove per i personaggi, imprevedibili. Per me è molto importante la formazione del cast, occupa quasi 19


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tutto il tempo della preparazione. Ho bisogno di scegliere anche l’ultima delle comparse, sapere che tutti saranno intonati uguale, come il suono di un’orchestra.” (Marco Tullio Giordana) “Quando io faccio un provino non chiedo mai all’attrice di parlare, di recitare battute. Le chiedo solo di guardare; nell’obiettivo, verso l’alto, verso il basso, lateralmente. Mi basta vedere se lo sguardo, senza nessun supporto psicologico o di azione, regala sensazioni forti, se dall’attrice emana una naturale forza d’attrazione. (Alberto Lattuada) IL CINEMA “Io domando al cinema che mi mostri un altro mondo; un mondo che non vedo abitualmente. In qualche caso, eccezionalmente, può piacermi un film che mi mostra il mondo che conosco, ma in genere preferisco quelli che mi rivelano un altro mondo.” (Luis Buñuel)

“La vita mi ha insegnato tante cose. Una per tutte, che il cinema può essere fatto in tanti modi parlato o muto, spettacolare o sussurrato, ma l’essenziale è che nasconda dentro un’emozione e la voglia di raccontare qualcosa a qualcuno. Il momento più bello rimane però quello in cui si spengono le luci e ciò che uno ha cercato di dire viene capito in tanti modi diversi, quanti sono gli spettatori davanti allo schermo”. (Manoel de Oliveira) “Il cinema deve essere una forma di seduzione visiva.” (Atom Egoyan)

“Il cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio.” (Federico Fellini) “Per me il cinema è una sala ribollente di voci e sudori, le mascherine, le caldarroste, la pipì dei bambini, quell’aria da fine del mondo, da disastro, da retata. Il tramestio che precede il varietà, i professori che arrivano in orchestra, gli accordi, la voce del comico e i passi delle ragazze dietro il velario. Oppure la gente che esce d’inverno, in un vicolo, un po’ rimbambita dal freddo, qualcuno che canticchia il motivo del film, delle risatacce, qualcuno che piscia.” (Federico Fellini) “Il cinema è come una battaglia; amore, odio, azione, violenza, morte: in una parola: emozione.” (Samuel Fuller) “L’arte dovrebbe essere qualcosa che non garantisce certezze, anzi, le mina. Dovrebbe produrre stupore, novità, piccole e personali rivoluzioni di punti di vista. Dovrebbe ma, raramente, lo fa.” (Elio Germano) 20


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“Il cinema, né arte, né una tecnica; un mistero.” (Jean Luc Godard) “Che cos’è il cinema? Non è facile rispondere a questa domanda. Molto tempo fa il romanziere giapponese Shiga Naoya pubblicò un compito del suo nipotino presentandolo come uno dei più notevoli brani di prosa del suo tempo. S’intitolava Il mio cane e faceva più o meno cosi: ‘Il mio cane somiglia a un orso, somiglia anche a un furetto, somiglia anche a una volpe...’ e continuava a elencare le particolari caratteristiche del suo cane, paragonando a ciascuna un diverso animale, fino a comporre un vero e proprio catalogo del regno animale. Il compito però si concludeva così: ‘Ma essendo un cane, somiglia soprattutto a un cane’. Ricordo che scoppiai a ridere, quando lessi quel compito, ma la tesi che sostiene è seria. Il cinema somiglia a tutte le arti. Se il cinema ha dei tratti letterari, ha anche degli aspetti teatrali, un lato filosofico, degli elementi presi a prestito dalla pittura, dalla scultura e dalla musica. Ma, in ultima analisi, il cinema è il cinema.” (Akira Kurosawa) “C’è un cinema per sognare e un cinema per capire. A me interessa il secondo.” (Ermanno Olmi) “Fare un film è sempre un’avventura, è come dover attraversare un campo minato, portando con te questo bambino, il film, perché non venga ferito da nessuno.” (Giuseppe Tornatore) “Vorrei che il cinema, con i suoi sogni, ridesse la felicità dell’avventura.” (Roger Vadim) DICONO DI LEI “Moana era proprio come una Casta Diva, aveva un disincanto soave, olimpico e quel sorriso ironico e sornione della Monna Lisa. L’ho conosciuta nel 19831984, prima che diventasse una pornodiva. Si è presentata al provino di Miranda, ma avevo già scelto come protagonista Serena Grandi. Mi è dispiaciuto. Poi l’ho rivista per incontri, dibattiti. Aveva una sensualità pagana, trasmetteva gioia e liberazione che è il mio pallino di sempre. Moana aveva qualcosa di misterioso: era la sublimazione della sessualità senza censurarla.” (Tinto Brass) “Una volta domandai a Marlene Dietrich quali vantaggi aveva ottenuto dopo anni e anni di notorietà cinematografica e mi rispose: ‘Un letto ai Wagon-lit, precedenza alla salita in ascensore, e ipocriti complimenti alla mia eterna giovinezza.’” (Vittorio De Sica)

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“Ava Gardner è una donna selvaggia che non sa mai quello che vuole. Le dai tenerezza e diventa aggressiva, le rispondi con violenza e lei diventa dolce come un gattino. La cerchi e lei scappa. Giura di amarti e non ti vuole più vedere. Tradisce e s’innamora sempre degli uomini sbagliati.” (Clark Gable) “Quello che mi piace di Jean Seberg è l’aura di mistero che sprigiona. Puoi farle recitare qualunque ruolo, e lei è sempre credibile. Può essere una stronza, un angelo o una puttana. Una vergine pudibonda o una ninfomane.” (Jean Luc Godard) “La bellezza di Catherine Spaak è dei nostri giorni perché ambigua, indefinita, risale al mistero dei sessi confusi al tempo della creazione, rappresenta l’ideale vivente delle ambigue immaginazioni dei massimi; Leonardo, Caravaggio, Michelangelo, Donatello. Due esistenze in un solo essere, più innocenza e peccato: un adorabile enigma.” (Alberto Lattuada) “Una volta le feci un provino e, invece di esprimere un desiderio, soltanto attraverso gli occhi o il viso, Rita Hayworth usò tutto il corpo con una grazia animalesca tale da non poter essere eguagliata da nessun altra attrice tra quelle che ho conosciuto.” (Robert Mamoulian) “Chi critica oggi Brigitte Bardot, e sono in molti, non capisce che inaugura un nuovo momento del cinema. Mentre gli oziosi sono occupati a ridere di lei, B.B. lavora a salvare (senza minimamente sospettarlo) il cinema francese. Una storia che si racconta di lei raddoppia la mia ammirazione. Sembra che dovendo pronunciare una frase molto ben tornita in Le Parisienne, B.B. abbia suggerito a Michel Boisrond: ‘E se invece dicessi solamente No?’ Lo trovo ammirevole e significativo.” (François Truffaut) “Rita si ritrovava scaraventata in una situazione che non aveva voluto e che non le procurava alcuna gioia. Odiava il suo personaggio di star, non le dava un solo momento di piacere. Non le dava niente. Niente! Non le piaceva essere Rita Hayworth. Non ci credeva. Dentro di lei c’era quel pessimismo gitano. Lo considerava soltanto lavoro. Era solo una donna che andava al lavoro, come aveva fatto sempre da quando aveva dodici anni. Le dicevano: ‘Dato che sei una star cerca di divertirti un po’. Ma lei rispondeva: ‘Tutto questo è assurdo. Il giorno dopo che avrò fatto un flop sarò di nuovo nessuno.’ E non era una posa, lo pensava davvero sinceramente. Voleva sfuggire a Rita Hayworth. Ma non aveva ancora i mezzi per uscirne. Doveva prima guadagnarsi da vivere.” (Orson Welles)

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DICONO DI LUI “Valentino aveva un’aria triste. Faceva buon viso al successo dal quale, tuttavia, pareva quasi schiacciato. Era intelligente, silenzioso e schivo e, pur avendo un gran ascendente sulle donne, aveva con loro poca fortuna e, quelle che portò all’altare, lo trattarono piuttosto male. Subito dopo uno dei suoi matrimoni, la moglie allacciò una relazione con uno dei tecnici del laboratorio di sviluppo, insieme al quale spesso spariva spesso nella camera oscura. Nessun uomo ebbe per le donne più fascino di Valentino, nessun uomo fu da loro più ingannato.” (Charlie Chaplin) “Gian Maria era un attore straordinario, uno di quelli che quando recita è talmente magnetico da ipnotizzare tutta la troupe, attori e tecnici. Sicuramente aveva dei piccoli segreti del mestiere. Uno consisteva in un misterioso quaderno in cui trascriveva tutti i dialoghi che doveva recitare nel film. E poi con pennarelli ed evidenziatori sottolineava con colori diversi ogni battuta, ogni situazione. Un colore voleva dire enfasi, un altro che le sue parole dovevano essere un mormorio. In questo modo superava uno dei grandi ostacoli che la lavorazione di un film impone a chi recita. Un film non viene girato in ordine cronologico, ma per esigenze di lavorazione le scene vengono accorpate e così l’attore deve passare, magari nel giro di pochi secondi da una scena drammatica a una comica, da un dialogo urlato a uno sussurrato. Quegli appunti gli servivano per astrarsi e per dare così il meglio in ogni occasione.” (Giuliano Montaldo) “Marco Ferreri invece era temuto, dissacrante, ingestibile. Lo invitavano in Tv e spandeva terrore, altro che Benigni. Sosteneva che vivessi sulle nuvole, tra le favole, in un mondo disneyano: all’inizio non feci altro che litigarci. Poi alla fine de L’ultima donna, un bel film girato in un’atmosfera spaventosa, nevrotica ed estenuante in cui avevamo finito per rivolgerci la parola soltanto grazie a un intermediario, mi fece sapere che era finalmente giunto il tempo della tregua: ‘Di’ a quella stronza che è stata proprio brava’”. (Ornella Muti) “James Stewart, prima di diventare un divo di Hollywood, era stato un ottimo attore di teatro, e nei suoi primi film si cimentò in ogni genere di personaggio, senza essere notato o quasi. Fece il gigolò, l’assassino, il reporter carogna, addirittura il song and dance man in un musical. Poi capì, o qualcuno lo aiutò a capire, quello che il pubblico vedeva in lui: il ragazzo della porta accanto, dinoccolato, generoso, non prestante, ma capace di indignarsi e magari di rischiare la propria incolumità per impedire un’ingiustizia. Era il simbolo dell’Americano Semplice, Onesto, Umile, ma pronto a diventare Eroe, se la situazione lo richiede. Franklin Delano Roosevelt ebbe a dire: ‘Se io e mia moglie Eleanor avessimo un figlio, sarebbe un ragazzo alla Jimmy Stewart’. Roosevelt, che era un genio della comunicazione di se stesso, sapeva quello che diceva. Stewart, da 23


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perfetto sconosciuto, era diventato rapidamente un’icona talmente formidabile, che per tutti i cinquanta film che avrebbe ancora fatto, non smise mai i panni di quel personaggio. Le due o tre volte che lo fece, fu un disastro al botteghino.” (Stefano Reali) “Germi era un uomo solo. Tu dicevi una cosa e lui ti guardava in silenzio, rimuginava dentro mordicchiando il suo sigaro. Era molto discreto, molto diffidente. Generalmente nel cinema le comparse, i generici, erano considerati merda, invece lui aveva molto rispetto della persona umana. Vedeva la persona, non l’attore. Lui non amava gli attori borghesi, gli attori che recitano anche nella vita.” (Renato Terra) LA DISTRIBUZIONE “Sono un distributore e il mio lavoro è quello di ‘carpire’, nel senso di arrivare in un festival, vedere un pezzo di un film ed intuire se funzionerà o no. Il film lo puoi vedere in varie fasi; su una sceneggiatura o anche vedendo un promo fatto di due minuti e devi decidere lì se comprarlo o no. Cito come esempio il film Irina Palm e ti racconto il suo peak: ‘È la storia di una signora che ha un nipote malato che deve essere curato in Australia. Siccome è in bolletta per raggranellare dei soldi si fa assumere in un locale porno dove, non vista, masturba i frequentatori’. Da questo peak devi scegliere, capire e decidere. Lo compro o non lo compro? Molte scelte sono fatte così. Il mio lavoro è fatto molto d’intuito, di occhio, di informazioni che puoi avere.” (Andrea Occhipinti) “Piccolo Buddha doveva essere distribuito, ma il film non usciva. Finalmente ho affrontato Weinstein e gli ho chiesto come mai passassero i mesi senza che il film fosse lanciato. Lui mi rispose che nelle loro previews ebbero dei problemi. Non avevano ancora un’edizione del film che soddisfacesse il gradimento del pubblico. Poiché nel mio contratto avevo, tra le clausole, il ‘final cut’, avrei potuto dire: ‘Mi dispiace ma il film è questo e buona notte’. Weinstein mi chiese di accorciare il film e la mia reazione fu inizialmente negativa. Dissi di no. Mi rifiutavo perché non volevo creare un precedente. Passavano le settimane e il film non usciva, allora mi sono detto: ‘possibile che questo film sul buddhismo non mi ha insegnato nulla? Uno dei peggiori nemici, dice Buddha, è l’ego, cioè l’io. Forse sarebbe una prova di grande dominio dell’io e dell’ego l’idea di accorciare di 15 minuti il film’. Allora mi sono messo nel mio piccolo tempio buddhista, che era la moviola, e ho tagliato 16 minuti, avendo però sul momento molto odiato la cosa. Quando poi ho rivisto il film, devo riconoscere che mi sembrava migliore di quello originale.” (Bernardo Bertolucci)

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DIVE/STAR “Pochissimi erano coloro che potevano affermare di avermi vista di persona. Gelosa di me e del mio affascinante lavoro, uscivo molto raramente. Voglio essere sincera; da questo atteggiamento non esulava il calcolo. Avevo intuito che, agendo diversamente, avrei forse spezzato l’incantesimo. Così, anche sotto l’aspetto pubblicitario, ho precorso i metodi di ‘lanciamento’ delle grandi case americane. Con una differenza, però: che io non usufruii mai di nessun agente specializzato che me li suggerisse, come oggi accade alle ‘dive’ d’oltreoceano. Seppi sempre creare da sola la mia pubblicità. Ad essa un grande contributo lo recarono i miei abiti e i miei cappelli e i miei atteggiamenti, meno copiabili, ma fortemente imitati.” (Francesca Bertini) “Io ebbi il coraggio di andare nelle strade di Napoli, rischiando di essere bersagliata di pomodori. Posso dire, senza immodestia, che il film lo diressi io, anzi che ne curai la sceneggiatura, l’adattamento, la scenografia, la regia. Io sono stata la prima donna regista della storia del cinema. L’idea di riprendere la gente di sorpresa, senza che se ne accorgesse, come faranno quarant’anni dopo i registi neorealisti, fu mia.” (Francesca Bertini) “Ma lo sai che la ‘diva’ Bertini, cui gli americani nel ’21 arrivarono a offrire un milione di dollari se andava a lavorare ad Hollywood, i film li faceva quasi tutta da sola, come un operaio? Ma certo: scrivevo io i soggetti, li sceneggiavo, impostavo i quadri, recitavo e poi montavo anche i film. Tagliavo e ricucivo la pellicola, nel più semplice e forse elaborato dei modi, come una sarta che tagliasse, invece di un vestito, un film addosso a un’attrice.” (Francesca Bertini) “La Gardner cominciava ad ancorarsi al bicchiere il mattino al trucco e proseguiva tutto il giorno senza staccarsene mai, bevendo oltretutto misture diverse. L’alcol la rendeva nevrotica ed un tantino folle. Spesso interrompeva il trucco per mettersi a ballare con la sua governante nera o era capace di cambiarsi nove mantelline e senza motivo. Comunque era di una femminilità pazzesca, bastava vederla camminare da dietro per rendersene conto. Era anche una grossa piantagrane. La produzione non ne poteva più dei suoi capricci: ad esempio le calze e i reggicalze che indossava per il film dovevano arrivare a casse da Parigi, lo shampoo dall’America, una crema speciale da strucco da Londra e così via. Altrimenti non girava. Eppure si trovavano in commercio anche da noi.” (Grazia Miccinilli De Rossi) “Rammento la volta in cui fui multata con due settimane di paga perché, invece che con i soliti abiti fataloidi, mi ero presentata indossando una comoda gonna sdrucita. Avevo l’obbligo di recarmi ogni giorno alla Paramount. La casa produttrice regolava la mia vita lavorativa e privata. La sera in cui venni ‘paparaz25


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zata’ in un locale notturno con un gran simpatico di mia conoscenza che però, nel firmamento cinematografico, era un nessuno, accadde un mezzo finimondo e rimediai una severa ramanzina. Dovevo mostrarmi in pubblico solo con chi decidevano loro perché poteva giovare alla mia popolarità, mi era vietato allontanarmi per il week end senza la debita autorizzazione. Dopo un po’ non ne potevo più. Hollywood, poi, mi aveva tolto ogni eventuale illusione sul mondo della celluloide.” (Franca Faldini) “Le dive erano fatali solo sullo schermo. Mi accorsi ben presto da che cosa era nato il mito della donna fatale, la crudele creatura dal volto bianco, gli occhi sbarrati e il mento sollevato. A quell’epoca non esistevano le lampade a grande voltaggio e bisognava fotografare le attrici buttando loro la luce in faccia, dal basso verso l’alto, per illuminarle bene. Poverine; restando immobili e spalancando gli occhi non intendevano davvero assumere pose da maliarde. Queste attrici erano provincialotte, per esse il maggior segno di popolarità consisteva nel ricevere cartoline con richieste d’autografi. Francesca Bertini, Lyda Borelli, Leda Gys, Soava Gallone potevano camminare per la strada, senza essere assalite da turbe di gente scatenata. I giornali le ignoravano. Solo le riviste di cinema pubblicavano le loro fotografie, ma a pagamento, in pagine dove era scritto: spazio riservato alla signorina Tal dei Tali, attrice cinematografica.” (Augusto Genina) “Francesca Bertini, L’Hesperia, Pina Menichelli, sicure del proprio valore commerciale, aumentarono le pretese. Facendo pesare continuamente sulla testa degli industriali la minaccia di sospendere un lavoro in corso, riescono a imporre ogni volontà. Discutono intorno ai soggetti, alle scene, danno consigli ai direttori artistici, si lamentano se il film di una rivale ha tenuto il cartellone per quindici giorni, mentre il loro non ha superato i sei. Una mattina a Roma duecento comparse, già pronte, attendono l’arrivo di una diva. Alle undici e tre quarti, costei avverte che, avendo invitati a casa, non può recarsi allo studio. Conclusione: duecento persone da pagare e un giorno di lavoro perduto.” (Emilio Ghione) “È difficile definire cosa sia una star. Certo una star deve saper recitare e un buon attore può diventare una star, ma esistono attori bravi e belli che non diventeranno mai star. Non credo che manchino in qualcosa in particolare, è una qualità piuttosto misteriosa quella che fa di un attore una star. È come se sullo schermo prendessero un’altra dimensione. Diventano bigger than life, più grandi della vita.” (John Huston) “La lavorazione fu piuttosto tempestosa. Assia Noris, grande professionista, ancora fotogenica e piacente, si sentiva molto diva. Un giorno, aveva fatto una scenata perché il suo camerino non era sufficientemente tinteggiato di azzurro come il titolo del film La celestina meritava.” (Carlo Lizzani) 26


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“Una star non è assolutamente un’attrice che fa del cinema, è una persona dotata di un minimo talento drammatico il cui volto esprime, simboleggia, incarna un istinto collettivo: Marlene Dietrich non è un’attrice come Sarah Bernhardt, è un mito come Frine. I greci avevano incarnato i loro istinti in varie biografie; lo stesso fanno gli uomini moderni che inventano per i loro istinti storie in rapida successione, allo stesso modo i creatori di miti inventarono le fatiche d’Ercole”. (Andrè Marleaux) HOLLYWOOD “Se a Hollywood ci vai solo per fare soldi, devi darci dentro con un gran cinismo, senza preoccuparti molto di quello che fai. Se invece credi nel cinema come arte, è un lavoro a lungo termine e dovrai scordarti di tutti gli altri modi di scrivere. Preoccuparsi delle parole per amore delle parole è letale per chi voglia fare del buon cinema. I film non sono fatti di parole. Il cinema non è il mio pane, avrebbe potuto esserlo se avessi cominciato venti anni prima. Solo che venti anni prima non sarei mai potuto arrivare al cinema, il che vale per un sacco di gente. Finché non ti sei fatto un nome non ti vogliono, e quando ti sei fatto un nome, ti sarai anche costruito un certo tipo di talento che loro non sono in grado di utilizzare. Anzi, se glielo lasci fare, non faranno altro che rovinartelo. Le scene migliori che io abbia mai scritto erano praticamente a base di monosillabi. E la migliore in assoluto, a mio parere, è quella brevissima in cui una ragazza dice ‘ah, ah’ per tre volte, con tre diverse intonazioni.” (Raymond Chandler) “Un certo editore chiacchierone ha detto una volta che ad Hollywood ci sono scrittori che guadagnano duemila dollari la settimana e non hanno un’idea da dieci anni. Esagera ma, nell’altro senso: a Hollywood ci sono scrittori che guadagnano duemila dollari a settimana e non hanno mai avuto un’idea in tutta la loro vita, non hanno mai scritto una scena girabile e non tirerebbero su due centesimi a parola nel mercato del pulp, se dovessero dipendere da quello. Hollywood è piena di scrittori così, anche se pochi di loro sono pagati duemila dollari a settimana. Sono, per essere schietti, un bieco manipolo di scribaccchini, e molti di loro lo sanno così si prendono i loro calci in culo e i loro soldi e provano ad essere grati ad un’industria che permette loro di poter vivere molto più sfarzosamente che se facessero un qualsiasi altro lavoro.” (Raymond Chandler) “Scott Fitzgerald le prese per un po’ di anni a Hollywood. Il colpo che lo stroncò venne al suo ultimo lavoro come sceneggiatore. Aveva presentato una sceneggiatura, basata su uno dei suoi migliori racconti e aveva lavorato con entusiasmo. ‘Mi piacerebbe essere ricordato’, mi disse, ‘per avere scritto un film con un bel dialogo’. Il produttore ridettò la sceneggiatura di Fitzgerald, in tre, giorni, levan27


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done il dialogo e sostituendolo con il suo linguaggio da imbonitore. La nota di protesta, scritta da Fitzgerald pochi giorni prima di morire, conteneva la seguente battuta: ‘Se c’è una cosa che conosco dello scrivere è il suono della mia generazione e il ritmo del suo modo di parlare’. Ma il produttore non si fece commuovere e, neppure una battuta del dialogo di Scott Fitzgerald rimase nell’ultimo film che scrisse.” (Ben Hecht) “Fra gli artisti non vi erano ancora i divi e i loro nomi non erano mai conosciuti, né scritti sugli affissi o sugli annunci pubblicitari. Gli elementi impiegati erano tutti acrobati, ballerine e cantanti del music hall, dato che gli attori teatrali non avevano ancora accettato di lavorare nei film, considerando essi il cinema molto al di sotto del teatro. Gli attori di teatro vennero solo in seguito, quando seppero che gli artisti dei music hall guadagnavano più denaro recitando nei film che di quel che guadagnassero loro recitando in teatro. Due anni dopo il mio ufficio era ogni sera pieno di attori di teatro che venivano a chiedere di essere assunti.” (Georges Méliès) “A Hollywood la virtù di una ragazza è molto meno della sua acconciatura. Sei giudicata per come appari e non per come sei. Hollywood è un posto dove ti pagano mille dollari per un bacio e cinquanta centesimi per la tua anima.” (Marilyn Monroe) “Uno sceneggiatore doveva arrivare allo studio alle nove in punto e uscirne alle cinque. Doveva ricevere meno telefonate possibili. Del resto erano controllate, e uno cercava di non dire niente che altri non dovesse sentire. Uno sceneggiatore non poteva andare sul set, senza un permesso scritto di Jack Warner. Non veniva neppure invitato a vedere il materiale girato. Non andava alle anteprime. Per vedere il proprio film, doveva aspettare che uscisse e pagarsi il biglietto.” (Celine C. Robinson) “A Hollywood ogni volta che scrivevo una sceneggiatura, i produttori mi chiedevano di dire loro il tema in una frase. E allora dicevo una cosa qualsiasi che li soddisfacesse: ‘La guerra è infernale’, oppure ‘Non si può sorbire il brodo con la forchetta’, o ancora ‘Nessun uomo è un’isola’, oppure una frase zen, in breve qualcosa che desse un’impressione di profondità.” (Billy Wilder) LAVORAZIONE “La piccola bottega degli orrori l’ho girato in appena due giorni. Dovevamo andare a giocare a tennis, ma pioveva...” (Roger Corman)

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“Stavamo girando un film e il direttore di produzione mandò il suo assistente giù al set per dire a Ford che aveva un giorno di ritardo sul piano di lavorazione. ‘Oh’, disse Ford, molto gentile. ‘Quante pagine vi immaginate che giriamo ogni giorno?’. ‘Circa otto, rispose l’uomo’. ‘Mi daresti il copione’, chiese Ford e l’uomo glielo allungò. Egli contò le otto pagine che non erano ancora state girate, le strappò e gliele diede. ‘Puoi dire al tuo capo che siamo di nuovo alla pari col programma, adesso’, disse. E non girò mai quelle otto pagine.” (Joseph La Shelle) “Il successo di Repulsion sarebbe dipeso dall’atmosfera e, dunque, dall’appartamento in cui doveva svolgersi gran parte dell’azione. Volevo anche alterare le dimensioni reali dell’appartamento, dilatandone stanze e corridoi, facendone arretrare le pareti in un modo che gli spettatori sperimentassero in pieno l’effetto della visione deformata di Carole. Per tale motivo progettammo le pareti del set in modo che potessero venire spostate e allungate mediante inserzioni di pannelli aggiuntivi; a esempio, lo stretto corridoio d’accesso della stanza da bagno, una volta ‘stirato’ con questi mezzi, assumeva proporzioni da incubo.” (Roman Polanski) “Comincio sempre con le parti più complicate da girare, anche perché so che alla fine le produzioni sono sempre stanche, e quando dopo tre mesi di lavoro devi fare una scena con cinquecento persone, la produzione comincia a dire ‘ma si potrebbe forse farla con duecento’. Voglio dire, cioè, che bisogna dare sempre il colpo forte all’inizio.” (Luchino Visconti) IL LAVORO CON GLI ATTORI “Non capisco la recitazione, cioè come l’affrontano gli attori. Non conosco le tecniche che adottano. Negli anni ho capito che l’attore è al centro di tutto. Io non so indicargli come recitare, però, per esempio, non so dirgli se deve essere più cattivo oppure se deve fare in questo modo o nell’altro. Non so proprio farlo. Ho ricevuto molte lamentele da parte degli attori. Dopo aver girato Buffalo Bill, per esempio, Burt Lancaster commentò: ‘Altman non mi ha mai dato nessuna indicazione. Non è un bravo regista’. Semplicemente non è il mio metodo. Io cerco di creare una certa atmosfera in cui gli attori possano muoversi. La maggior parte di loro ha idee molto conservatrici. E cerca anche una rete di sicurezza.” (Robert Altman) “Per quanto riguarda la direzione degli attori in generale, direi che cerco sempre di applicare le regole del cinema verità al mondo della fiction. Nella scena di Ultimo tango a Parigi in cui Marlon Brando è a letto e racconta a Maria Schneider degli aneddoti sul suo passato, è stato Marlon Brando che ha fatto tutto. Io gli ho detto: ‘Lei ti farà delle domande. Rispondile quello che vuoi’. A 29


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questo serve l’improvvisazione: cercare di sfiorare la verità e dimostrare qualcosa di profondamente vero può nascondersi dietro la maschera di un personaggio.” (Bernardo Bertolucci) “Non è importante quello che gli attori mi fanno vedere, ma quello che mi nascondono e, soprattutto quello che non sospettano vi sia in loro.” (Robert Bresson) “Al momento di girare mostro semplicemente ciò che bisogna fare: i gesti. Ma sono un pessimo attore e dico di non imitarmi. Non faccio assolutamente della psicologia con degli attori e non dico loro di pensare alla mamma morta per avere l’aria triste.” (Luis Buñuel) “I cosiddetti attori presi dalla strada ti portano quello che serve, non hanno tutto quel bagaglio di cose inutili che sovente hanno gli attori professionisti.” (Antonio Capuano) “Fare l’attore è un lavoro molto duro. Perché la cinepresa ti arriva in faccia, e qualcuno, in sostanza, ti dice: ‘Sii grande, ora!’. Perché quando hanno finito di incipriarti, spolverarti, pasticciarti i capelli e ti buttano di fronte alla macchina, c’è questa tensione: ‘Silenzio adesso! È una scena lunga!’ E tu te ne stai lì, in mezzo a un branco di estranei con cui non hai niente in comune, che sei tenuto ad amare o odiare, con un mucchio di parole che non vuoi veramente dire. E da questo nasce un diverso tipo di recitazione, ed è il professionismo, melodrammatica, che qualunque attore ha sperimentato. Arrivano lì e sono completamente soli. È l’unica cosa a cui si possono aggrappare è il testo. E tra una ripresa e l’altra qualcuno ti dice: ‘Non mi piace quello che hai fatto. Forse se facessi così verrebbe meglio’. E non importa che parole usa, il concetto è sempre molto esplicito. E l’attore vorrebbe dire: ‘Non ti piace come sono seduto? Ma se mi siedo così da quando sono nato! Stattene fuori dalla mia vita! Levati dai piedi. Non ho bisogno di te.’” (Nick Cassavetes) “L’attore è costretto ad adattarsi alle luci e alla posizione della macchina, mentre dovrebbe essere il contrario. La domanda è sempre stata la stessa: come fa a sopravvivere? Lo sceneggiatore parlerà della sceneggiatura. Il cameraman dei suoi problemi tecnici. L’assistente operatore farà dei segni del luogo delle riprese. E l’attore? Aspetta ore, lottando per sopravvivere. Quando entra in scena deve rispettare i segni. Deve fare i conti con i bisbigli, la mancanza di attenzione, magari con una scena pessima. Gli fanno scattare una lavagnetta sulla faccia, ha venticinque persone intorno, poche battute con cui si aspetta che compia un miracolo, battute che da sole fanno schifo, nelle mie sceneggiature come in quelle di chiunque altro. E il regista non gli chiede altro che essere bravo!” (Nick Cassavetes) 30


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“Non mi piacciono gli attori che discutono all’infinito, che t’ammazzano di chiacchiere. Deve essere una novità alla moda, come i diritti civili; il diritto di parlare. Non ci vedo un gran profitto, perché se un attore vuole fare qualcosa, bene, che me la faccia vedere. Se ci riescono, se sono capaci di farla, io la prendo al volo. Ma non voglio sentire un sacco di teorie e di chiacchiere, perché non ho mai visto un buon attore che non smette mai di parlare di recitazione.” (George Cukor) “Alfred Hitchcock diceva a Ingrid Bergman: ‘Tu hai una gamma di espressioni che va da A a B’. Dino Risi, di rimbalzo a Lea Massari disse che la sua gamma variava da A a A. Sergio Leone diceva: ‘Clint Eastwood ha due espressioni; col sigaro in bocca e senza sigaro in bocca’. I registi una volta erano più cattivi. Oggi non è così. Siamo più rispettosi.” (Christian De Sica) “Mi capita spesso di dire all’attore: fai come quella volta che... E quella volta può essere, per esempio, la litigata con un cameriere al ristorante. Io suggerisco all’attore che deve dire all’amante o al figlio: ‘vattene da questa casa’, fai come quella volta che hai detto al cameriere: ‘Mi hai portato il riso scotto’. Anzi, a volte, arrivo a far dire all’attore: ‘Mi hai portato il riso scotto’, anziché ‘vattene da questa casa’, tanto al doppiaggio sistemo tutto.” (Federico Fellini) “Penso che ‘dirigere’ gli attori sia qualcosa di molto delicato. Intanto ogni attore è diverso, non c’è un metodo buono per tutti. Qualcuno va assecondato, altri hanno bisogno di sentirsi in pugno al regista, quasi ostaggi. Altri ancora hanno bisogno di sicurezze, altri di continue docce scozzesi. Sono strani gli attori; bisogna sempre ricordarsi che sono i più esposti in un film, sono il film, quelli che lo rischiano più di tutti. Non sono ossessionato dal controllo assoluto sugli attori, non lo cerco, non lo voglio. Voglio che esistano sullo schermo, che siano vivi, che trasmettano le emozioni che provano veramente. Penso che un regista debba rubare l’intimità e le emozioni degli attori, perché altrimenti si ottengono soltanto le istruzioni che si è loro impartite.” (Marco Tullio Giordana) “Gli attori sono come i bambini. Vanno coccolati, e qualche volta sculacciati.” (Alfred Hitchcock) “Agli attori do sempre qualcosa da fare, aprire lo sportello di una macchina, fumare una sigaretta, qualunque cosa che gli porta la testa da un’altra parte. Li devo distrarre dall’idea di essere su un set.” (Dennis Hopper) “Gli attori sono come i cavalli. Basta fargli vedere la strada e loro la seguiranno.” (John Huston)

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“Non lavoro con attori famosi, perché trovo che sia pericoloso per il genere di film che faccio. Un attore famoso di solito porta con sé un’immagine così potente che potrebbe sbilanciare il film, e perciò lo danneggia, invece di aiutarlo. Inoltre quando scelgo i miei attori evito quelli specializzati in un particolare ruolo, perché è probabile che abbiano sviluppato degli automatismi nella recitazione, i quali sono impossibili da correggere.” (Takeshi Kitano) “Se dovessi tra un attore che ‘sente’ il suo ruolo e un attore che lo ‘capisce’, prenderei sempre il secondo. L’ideale, naturalmente, è una combinazione dei due. Tutti quegli attori che dicono: ‘Lasciatemelo dire a modo mio’ e che disprezzano il dialogo, favorendo l’improvvisazione, rasentano l’oscenità.” (Joseph L. Mankiewicz) “Ho sempre avuto un rapporto molto più felice con gli attori che provenivano dall’avanspettacolo e poi dal cabaret, che con quelli che venivano dal teatro di prosa. Quello che non sopporto è l’attore tormentato, quello che deve concentrarsi per tirare fuori il meglio di sé, e in genere non ha niente da tirare fuori. Penso una cosa forse presuntuosa: se un regista al termine della sua carriera, non ha inventato qualcosa, proprio rispetto agli attori, ha fallito la sua missione. (Mario Monicelli) “Gli attori devono andare nei posti di cui hanno paura e tu devi accompagnarli.” (Gabriele Muccino) “Spiego all’attore cosa dovrebbe pensare e non quello che dovrebbe fare.” (Friederich Wilhelm Murnau) “Io ho una specie di idiosincrasia per gli attori professionisti. Non ho però, sia ben chiaro, una prevenzione totale. Infatti ho usato Anna Magnani, ma anche Orson Welles. Non è che in questa mia scelta sia fazioso ma, tengo aperte tutte le strade. La mia idiosincrasia dipende dal fatto che, per quel che riguarda i miei film, un attore professionista è un’altra coscienza che si aggiunge alla mia coscienza.” (Pier Paolo Pasolini) “Non ho mai creduto che gli attori fossero pasta da modellare. O forse sì, all’esordio, quando ero insicuro (ogni mattina vomitavo prima di raggiungere il set) perché gli attori avevano la pessima abitudine di farmi domande a cui non sapevo rispondere quasi mai. E allora li odiavo. Ma ormai ho cominciato ad apprezzare le loro domande, forse perché ora so dare qualche risposta.” (Sam Peckinpah) “Non do mai istruzioni a un attore davanti agli altri, perché altrimenti quando proverà quella scena, saprà che io lo sto guardando e giudicando, certo, ma che 32


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anche gli altri attori lo stanno guardando e giudicando!” (Sidney Pollack) “Un attore davanti alla macchina da presa, anche se non è convinto di quello che sta facendo, non ha difficoltà ad ingannare il pubblico se i brani sono molto corti. Generalmente i primi trenta secondi sono sempre perduti: la gente vede cose superficiali. Ma se si resta cinque minuti sopra il viso dell’attore, su quello che fa con le sue mani, il falso diventa lampante. Soprattutto si sentono le pulsioni profonde: le passioni, i rifiuti, le cose che la gente vuole o non vuole dire. È una sorta di radiografia dei movimenti profondi della scena.” (Paulo Rocha) “Do il dialogo agli attori all’ultimo momento, prima di cominciare le prove. Non glielo do prima perché sennò, specie se sono ‘piccoli’ attori, cominciano ad inventarsi le cose.” (Roberto Rossellini) “Non ho figli ma stare con loro mi ha ricordato il vero ruolo di un regista: prendersi la responsabilità, proteggere gli attori, quando è necessario, e dare sicurezza. Come un genitore.” (Gabriele Salvatores) “L’attore è per me quasi più importante della sceneggiatura. Non ho mai scelto un attore per fargli interpretare un ruolo, ma per conoscerlo. Se devo cambiare, non cambio l’attore, ma faccio in modo che la parte si adatti a lui.” (Volker Schlöndorff) “In genere gli attori non li amo. Si dice, retoricamente, che i registi vogliono bene agli attori perché la fragilità di queste creature li intenerisce. Non è il mio caso. Io divento cinico con gli attori, a volta cattivo. Molti di loro si comportano come se fossero ancora bambini che, alla festa di compleanno, recitano la poesia davanti ai genitori e agli zii.” (Paolo Sorrentino) “Non mi piace che gli attori arrivino sul set, sapendo già la parte a memoria. Voglio che la imparino nel calore del momento. Penso che quando si è febbricitanti, nel senso medico della parola, si è molto più vibranti, e io voglio che i miei film diano l’impressione di essere stati girati con quaranta di febbre.” (François Truffaut) “Dopo Jules e Jim non prenderò mai più attori alti uno e novanta. Non so come si muovono, ho bisogno di avere attori della mia taglia, del mio formato.” (François Truffaut) “Avevo paura degli attori troppo conosciuti: va anche detto che non avrei avuto denaro sufficiente per pagare degli attori celebri. Ma anche avendolo, non li avrei voluti. Non hanno mai il coraggio di cambiare il loro personaggio, vivono e accumulano denaro unicamente vendendo al pubblico solo e sempre la stessa 33


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espressione. Invece quello che è divertente è di cambiarla quell’espressione ma loro sono un po’ come le anitre, con quelle piume oleose che ci si può rovesciare addosso dei secchi pieni di acqua senza mai bagnarle.” (Billy Wilder) LA MACCHINA DA PRESA “Ho imparato una cosa nel tempo, che chi sa muovere la macchina da presa, come chi sa guidare un’automobile, sa anche fermarsi al momento giusto. Il segreto del movimento della macchina è scoprire che può essere inutile. La macchina da presa è il tuo mezzo primario, però la devi guidare tu, non è lei che ti guida.” (Gianni Amelio) “Se avete un’idea forte, se quest’idea è già un sentimento che ‘tiene’, se avete fatto tutta la strada che porta alla messa in scena, scrivere la storia, pensare i personaggi, riconoscere i luoghi dove devono agire, scegliere gli attori giusti; se avete tutto chiaro, come sono vestite le persone, come si guardano e si parlano tra loro; se sapete tutto questo ma non avete la più pallida idea di dove piazzare la macchina da presa, a quel punto chiamate la sarta e ve lo dice lei.” (Gianni Amelio) “Quanto a me cerco sempre di disporre la macchina da presa in modo da favorire la coreografia, i movimenti dell’attore. Quando una macchina da presa è piazzata sul pavimento o va e viene intorno alle narici di un attore, è la macchina a recitare, non l’attore. La macchina non dovrebbe mai far sentire la sua presenza.” (Charlie Chaplin) “La macchina da presa di solito è all’altezza degli occhi. Il pubblico vede quello che noi vediamo.” (Howard Hawks) “Quanto più invecchio tanto meno muovo la macchina da presa. A volte faccio dei primi piani tanto per sottolineare il punto. Come Ozu e Bresson che muovono la macchina da presa solo quando sono stanchi oppure sbronzi e vogliono sorprendere la troupe. Io credo che dovrebbe essere spostato il pubblico e non la macchina da presa.” (Aki Kaurismaki) “La macchina da presa è più di un registratore, è un microscopio. Penetra, entra dentro le persone e consente di vedere i loro pensieri più intimi e nascosti. E sono riuscito a farlo con gli attori. Voglio dire che ho rivelato cose che gli attori non sapevano che stessero rivelando di loro stessi.” (Elia Kazan) “Non ci sono moltissime opzioni nella scelta dell’inquadratura più adatta a una scena e bisogna prendere la decisione giusta. Passo il mio tempo chiedendo agli 34


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attori di essere autentici, ma, a suo modo, anche la cinepresa può rischiare di essere ‘falsa’. Se in una scena si nota troppo e i suoi movimenti sono accessori, uno pensa: ‘Ok, questa è finzione’, e io credo che invece di guadagnare, si perda qualcosa. Come spettatore, quando mi piace un film, è come se ricevessi un regalo. Ma se il lavoro che c’è dietro è troppo evidente, mi sembra quasi che ci abbiano lasciato sopra il cartellino del prezzo.” (Philippe Loiret) “La mia storia di regista è sempre stata collegata alle mie esperienze di spettatore. Da giovane guardavo i film in maniera arida, formale, razionale. E i miei film, i primi, erano legati a quel rigore. Quello che mi piaceva negli altri registi, e che in loro era rigore, nei miei film forse diventava rigidità. Ero fissato, ad esempio, con la macchina da presa fissa. Volevo che non dimenticasse mai che non era realtà quella che aveva di fronte, ma una messinscena. Poi una sera sono andato al cinema Empire di Roma a vedere La signora della porta accanto di Truffaut. Di solito, prima di andare al cinema leggevo tutto, perché, brechtianamente, pensavo non ci fosse niente di male a conoscere la trama di un film, prima di vederlo, anzi. Ma quella volta non sapevo niente e la scena finale, quella dell’omicidio-suicidio, mi sorprese e mi colpì come non mi era mai capitato. A luci accese, rimasi qualche minuto fermo sulla mia poltrona. Ecco, quell’esperienza è stata l’inizio di un modo nuovo di vedere i film, meno arido, più emozionato. E anche di farli.” (Nanni Moretti) “La macchina da presa a volte si ferma perché incontra un sentimento, una relazione, un rapporto. E allora forse il regista si dimentica di muoverla perché è troppo importante quello che sta guardando e non c’è bisogno di fare altro. A volte il carrello giusto e il movimento di macchina azzardato possono rendere sublime una sequenza. Ma altre volte la rendono ridicola, ridondante, persino oscena nella sua inutilità Con il tempo ho capito che il talento nel nostro mestiere non sta nella capacità di esibire virtuosismi, ma in qualcosa di più semplice e difficile, cioè nella capacità di instaurare un rapporto sincero con lo spettatore.” (Francesco Munzi) “La macchina da presa è la matita del regista.” (Friederich Wilhelm Murnau) “La macchina a spalla, il regista la sente molto di più e senti proprio il film che ti cresce addosso. È come un cappotto che ti calza perfettamente, lo fa il sarto, ti prende tutte le tue misure, poi alla fine dopo tante prove, arriva il cappotto finito. Così deve essere un film per un regista. Se sta in macchina il regista, specialmente con la macchina a spalla, questo cappotto gli viene perfetto.” (Giovanni Veronesi)

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IL MONTAGGIO “Le riprese, sono l’estrazione della materia prima, del diamante grezzo. Il lavoro di gioielleria si fa al montaggio. È lì che si gioca il film, è l’unico passaggio di rischio reale, la fase più faticosa. Durante le riprese, la scelta delle inquadrature, dei movimenti di macchina si fa in modo naturale. È una tappa intermedia tra la scrittura e il montaggio, dove non si hanno responsabilità dirette. Invece nel montaggio tutto è scelta, tutto è decisione.” (Luc Besson) “Avevo girato una scena per La ragazza di Bube, una scena bellissima. Bube e Mara scendono dalla montagna in bicicletta. Mara sta sulla canna. Incontrano sulla strada un corteo di partigiani che portano a valle un compagno morto. Bube si ferma e saluta il corto con il pugno chiuso, Mara, senza pensarci, si fa contemporaneamente il segno della croce. Poi guarda Bube e si vergogna. Cristaldi non volle montarla e io non mi sono impuntato. Anche in Tutti a casa tagliai una scena a cui tenevo molto. Sono stato troppo arrendevole, troppo ligio. Oggi quei ricordi mi fanno impazzire di rabbia. Penso che se fossi stato meno insicuro, quelle scene ci sarebbero.” (Luigi Comencini) “Il montaggio non è semplicemente un metodo per mettere insieme scene e frammenti distinti, in realtà è un metodo per guidare, in modo deliberato e forzato, lo spettatore.” (William Dieterle) “Abbiamo scoperto come costringere lo spettatore a pensare in una certa direzione. Montando i nostri film in una maniera scientificamente calcolata per creare una data impressione su di un dato pubblico, abbiamo sviluppato un’arma potente per la diffusione delle idee sulle quali si basa il nostro sistema sociale.” (Sergej M. Ėjzenštejn) “Che cosa caratterizza dunque il montaggio e, conseguentemente anche il suo embrione: l’inquadratura? La collisione, il confronto tra due pezzi che si trovano l’uno accanto all’altro. Allievo della scuola di Kuselov, Pudovkin difende a spada tratta il concetto di montaggio come concatenazione di pezzi. Una catena. Una catena di mattoncini. I mattoncini, l’uno accanto all’altro, espongono un pensiero. Io gli contrappongo il mio punto di vista sul montaggio come collisione. Il luogo in cui vengono in collisione due dati è il luogo in cui si produce un pensiero.” (Sergej M. Ėjzenštejn) “Il montaggio è un fatto cruciale. Immaginate che James Stewart sia intento a guardare una madre che allatta il figlio. Stacco su James Stewart che sorride. James Stewart è un gentiluomo. Adesso tagliate la parte centrale del film, e sostituitela con una ragazza in bikini. James Stewart è un vecchio porco.” (Alfred Hitchcock) 36


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“Negli anni Trenta e Quaranta raramente i registi montavano i loro film. Lo Studio System era completamente diviso per compartimenti, c’era un settore montaggio e c’era un montatore capo a cui tutti facevano riferimento. Il montatore capo vedeva il film montato persino prima del regista. Di fatto succedeva che il regista non vedesse il proprio film se non quando era finito e montato. (...) Dopo aver effettuato i cambiamenti decisi dal produttore, il film veniva fatto vedere al vicepresidente addetto alla produzione. Alla fine si riunivano tutti per far vedere il premontaggio al capo dello Studio. Dopo di che, veniva organizzata un’anteprima (ovvero il film veniva proiettato in qualche paese di provincia per il pubblico) e, a secondo delle reazioni, veniva rimontato e mandato in postproduzione, con la supervisione del settore postproduzione. Se il regista era nelle grazie dello Studio, veniva invitato all’anteprima. E lo sceneggiatore? Totalmente ignorato.” (Buster Keaton) “Direi che mi piace soprattutto il lavoro del montaggio. È la cosa che si avvicina di più all’idea di un ambiente comodo in cui svolgere del lavoro creativo. Certo, scrivere una sceneggiatura dà soddisfazione, ma non si lavora sul film vero e proprio. Il momento delle riprese forse è la peggiore situazione immaginabile per accingersi a creare un’opera d’arte. Innanzitutto c’è il problema di doversi alzare molto presto la mattina e andare a letto tardi la sera. Poi ci sono il caos, la confusione e spesso il disagio fisico. Sarebbe come se uno scrittore cercasse di scrivere un libro mentre lavora in una fabbrica ad una temperatura dai 35 gradi ai meno 20. Oltre a tutto questo, naturalmente, il montaggio è il solo aspetto dell’arte cinematografica che le appartenga in maniera esclusiva. Non ha collegamento con nessun’altra forma d’arte: la scrittura, la recitazione, la fotografia sono aspetti importanti dell’arte filmica, ma nessuno in modo specifico quanto il montaggio.” (Stanley Kubrick) “Durante il montaggio di Cavalli, Yama-san mi aveva affidato anche il montaggio. C’è un punto della storia nel quale viene venduto un puledro e la giumenta cerca freneticamente il suo cucciolo. Completamente impazzita, abbatte a calci la porta del suo box e cerca di saltare oltre lo steccato del recinto. Io montai la scena con la massima diligenza, mostrando le espressioni e le azioni della giumenta nel modo più drammatico. Ma quando proiettai la scena montata, l’emozione non arrivava per niente. Il dolore e il panico della cavalla non riuscivano ad emergere. Yama-san mi era stato vicino mentre montavo e rimontavo la sequenza, ma non aveva mai aperto bocca. Se non diceva: ‘Va bene’ sapevo che voleva dire che non andava bene affatto. Ero in un vicolo cieco e, disperato com’ero alla fine chiesi il suo aiuto. Mi disse: ‘Kurosawa, questa scena non è un dramma. È Momo no aware, tristezza davanti alla precarietà delle cose, come il dolore nostalgico e dolce quando si prova guardando cadere i fiori del ciliegio’. Quando sentii quest’antica espressione poetica, m’illuminai di colpo, come risvegliato da un sogno. ‘Ho capito!’, esclamai e cominciai a rimontare la scena. 37


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Montai solo i campi lunghi. Divenne una serie di rapide inquadrature della minuscola figura della giumenta, coda e criniera al vento nella notte di luna. E questo bastò. Anche senza il sonoro sembrava sentire il patetico nitrito della madre e la lunga melodica del vento tra gli alberi.” (Akira Kurosawa) “Al montaggio davvero avrei bisogno di sei mesi. Secondo me è come pulire il pesce, che anche a uno che gli piace pescare, che gli piace stare lì all’aria aperta, a mangiarlo, ecc., poi a pulirlo dice al cameriere: ‘Che mi pulisci il pesce, per favore?’ e se lo potessi far pulire a qualcun altro, sarei felice.” (Massimo Troisi) “Volevo addirittura che Senso si chiamasse Custoza, cioè col nome di una grande disfatta italiana. Fu un grido unanime d’indignazione: la Lux, il Ministero, la censura. All’inizio nemmeno Senso andava bene; durante le riprese, la pubblicità lo chiamava Temporale d’estate. Dunque, in origine, la battaglia aveva un’importanza ben più grande. Avevo l’idea di tracciare un quadro generale della storia italiana, sul quale staccare l’avventura personale della contessa Serpieri, la quale, in fondo, era soltanto la rappresentante di una certa classe. Ciò che mi interessava era la descrizione di una guerra mal fatta, cioè fatta da una sola classe, e che si risolvette in un disastro nazionale. Anche il finale originario era diverso da quello che ora vedete. Lo girai effettivamente di notte nella stessa via di Trastevere che si vede nella seconda versione, quando Livia corre in mezzo ai soldati ubriachi. Ma la prima versione non terminava con la morte di Franz. C’era un soldatino austriaco, molto giovane, suppergiù sedicenne, ebbro, appoggiato contro il muro che cantava un inno di vittoria. Poi si fermava, piangeva, piangeva, piangeva e gridava: ‘Viva l’Austria!’. Ho dovuto tagliare.” (Luchino Visconti) “Con Rapacità avevo ripreso l’idea di girare un film da proiettare in due parti, di dieci o dodici bobine ciascuna, con un intervallo abbastanza lungo per la cena. Al termine della lavorazione del film, girata secondo la sceneggiatura approvata da Goldwyn, mi trovai con quarantadue bobine. Anche se volevo presentare la pellicola in due parti, era necessario tagliarne almeno la metà e lo feci personalmente. Arrivai a ventiquattro bobine e non ebbi il coraggio di andare oltre, a qualsiasi costo. Mayer e Thalberg mi ordinarono di ridurlo a quella che essi definivano una ‘lunghezza commerciale’. A loro insaputa mandai una copia al mio amico Rex Ingram che lavorava allora a New York, chiedendogli di tagliare qualcosa, se poteva. Ingram me lo rispedì in diciotto bobine; ne aveva eliminate sei, facendo una cosa che a me, era sembrato impossibile. Mi mandò un telegramma: ‘Se ne tagli un altro metro, non ti rivolgerò più la parola’. Feci leggere il messaggio a Meyer; mi disse che se ne infischiava cordialmente di Ingram e di me e che il film doveva essere accorciato fino a dieci bobine. Aggiunse che, in ogni caso, sarebbe stata una perdita totale per la Casa! Dopodiché consegnò il film al montatore, un uomo che guadagnava trenta dollari la settimana, che non aveva 38


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mai letto il libro, né la sceneggiatura, un uomo che sotto il cappello non aveva niente. Costui rovinò completamente il mio lavoro di due anni.” (Eric Von Stroheim) PRODUTTORI “Howard disse a me e a Bogie che Warner era un uomo impossibile da trattare. Sarebbe accorso molto tempo prima che io riuscissi a capire che tipo di uomo fosse. Bogie era stato sospeso diverse volte dalla Warner per essersi rifiutato di interpretare film di livello mediocre. Jack Warner sembrava non preoccuparsi affatto della qualità di un film, né della tutela professionale degli attori che lavoravano con lui. La sola cosa che gli stava a cuore era che gli attori, venendo retribuiti, dovevano lavorare senza preoccuparsi se il film fosse buono o meno. Mentre stavamo girando Acque del Sud, Bogie mi presentò a Jimmy Cagney, lui mi disse: ‘Se riesci a sopravvivere ancora sette anni lavorando alla Warner, sarai in grado di conquistare il mondo intero!’” (Lauren Bacall) “Si fa un film con la speranza che qualcuno lo veda, che sia accettato. Non conosco nessuno che lo fa per dispiacere o col desiderio di essere preso a pietre. Ma la speranza di piacere è poca cosa, vanità passeggera, rispetto a una necessità vera e propria di agire in un solo modo. C’è sempre la tentazione di semplificare un discorso, di mediocrizzarlo, per renderlo ‘più comprensibile al vasto pubblico’; e poi il fatto che ‘il cinema è un’arte popolare’, ‘la responsabilità verso i produttori’, ‘il successo che rende liberi’, tutte buone ragioni per cambiare stile. Tentazioni ricorrenti, ma alla fine perdenti, proprio perché la storia di un film è lunga, faticosa, snervante e alla fine prevalgono (anche per buon senso) le scelte più profonde, meno ‘popolari’. Preferisci andare fino in fondo nella tua ricerca, anche quando un produttore tenta di impaurirti, terrorizzarti, di ‘importi’ la sua ‘sapienza’, che può essere invece ‘percezione delirante’”. (Marco Bellocchio) “Quando Ford fece Furore, il produttore rigirò a sua insaputa il finale. Ritornò da uno dei suoi week-end di pesca e alcol, scoprendo che la fine era stata completamente cambiata. Gli prese un colpo ma continuò a lavorare per Hollywood. Quando successe la stessa cosa a Welles con L’orgoglio degli Amberson che venne rimontato, questi reagì in modo completamente diverso. Abbandonò Hollywood e andò in esilio in Europa e non riuscì per molto tempo a fare i film che voleva con i mezzi necessari.” (Michael Cimino) “Non esistono più i veri produttori, cioè uomini che guidano in una certa direzione la produzione: essi sono stati rimpiazzati dagli uomini d’affari. La parola d’ordine è unica, fare film che incassino molto denaro.” (Marlene Dietrich) 39


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“Il produttore è una figura autoritaria che non rischia niente, pretende di conoscere i gusti del pubblico e vuol sempre cambiare il finale del film.” (Federico Fellini) “Interruppe un sussiegoso e intellettuale scenarista che stava, da qualche minuto, illustrando un suo soggetto, chiedendogli: ‘Nu’ momento. Nella vostra storia ce sta nu guaglione che muore all’ospedale, ‘na madre che chiagne, ‘nu guappo acciso?’. Al diniego un po’ schifato dell’altro, Barattolo troncò la seduta, dicendogli: ‘Allora nun me’interessa’”. (Riccardo Freda) “Montillo, un uomo di cultura modesta, ma di grande simpatia e grande istinto, era un vecchio produttore del cinema muto napoletano. Durante le riprese modificava il copione ma solo per poter risparmiare. Per esempio il giorno che girai questa scena lui era sul set di un film di cui non ricordo il titolo. Stavano girando un matrimonio all’aperto. Sui tavoli c’era un buffet molto modesto. Durante le riprese le comparse non dovevano mangiare i pasticcini, perché altrimenti non sarebbero bastati per le altre inquadrature. Dovevano solo far finta. Ad un certo punto cominciò a piovere. E l’operatore, che, sebbene non fosse affermato era tuttavia un professionista, un forestiero venuto dalla capitale, disse che non si poteva più girare. Montillo chiese perché. L’operatore spiegò che le inquadrature girate con la pioggia non avrebbero legato con le precedenti. Montillo non si perse d’animo e fece un piccolo ritocco alla sceneggiatura, aggiungendo un’inquadratura nella quale lo sposo diceva: ‘Uuuh, piove!’. E così risolveva il problema.” (Ugo Gregoretti) “In Italia non esiste nessuna industria. Un regista dedica il 5 per cento della sua fatica al film e, il 95 per cento a chiedere, pregare, telefonare, sostituirsi al produttore, al distributore o al press agent che non sanno fare il loro mestiere. I produttori italiani vivono barricati nei loro uffici, sperando che nessuno bussi mai alla loro porta per proporre un film.” (Nanni Moretti) “Un giorno parlando con un amico produttore, anche simpatico, a dire il vero, mi espone questo ragionamento. Oggi con il cinema si può anche guadagnare senza che il film lo veda nessuno e ti spiego come. Nei negozi di videocassette vanno molto i generi horror o splatter, quindi è necessario avere un bel titolo violento e molto sangue in copertina. La cassetta finirà nel reparto per appassionati, attratti dalla foto e dal titolo. Sicuramente poi, piuttosto che comprare una cassetta preferiranno affittarne tre al prezzo di una, poi sceglieranno a casa cosa guardare. A casa ne vedranno uno e il lunedì successivo riconsegneranno le tre cassette affittate. Quindi il tuo Pugnali insanguinati avrà conquistato un noleggio senza neppure essere stato guardato. Per questo sono sicuro che se scegli il titolo giusto e un’immagine forte di copertina è fatta. Il film che girerai poi ha molta meno importanza: che sia bello o brutto può anche succedere che non lo veda mai nessuno.” (Maurizio Nichetti) 40


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“Perché non faccio film più prettamente politici. È molto semplice, perché i film si fanno con i soldi, i soldi li mettono i produttori e i produttori davvero non sono degli asceti col problema delle ingiustizie sociali. Sono degli affaristi semmai. Dei sordidi affaristi a volte. E anche pieni di paure, anche legati mani e piedi al capitale straniero. I produttori vogliono altra roba, vogliono il nudo, vogliono l’erotismo.” (Roberto Rossellini) “La donna del fiume? Non me ne parlate, quando incontrai Ponti mi disse: ‘voglio il film con Sophia Loren, ci dovete mettere la motocicletta, ci dovete mettere il ballo, ci dovete mettere il bambino che muore, tutto deve finire male, anzi deve finire bene, lei deve essere madre, lei deve essere attrice, lei deve andare in bicicletta, lei deve’”. (Mario Soldati) IL RAPPORTO ATTORE/REGISTA “Manca solo un giorno alle riprese di Fino all’ultimo respiro e lui non ha scritto ancora niente. Io, che sono abituato a vedere arrivare i registi con quintali di scartoffie e montagne di ciclostilati, vedendolo presentarsi a mani vuote gli chiedo, per pura curiosità: ‘Ma sai cosa fare, almeno?’. Ottengo una lunga ed esauriente risposta: ‘No’, che mi accende di entusiasmo. L’indomani, il 7 agosto 1959 arriva con pochi fogli di quaderno su cui ha scarabocchiato qualche appunto e degli schizzi, che però non guarda nemmeno. Le uniche cose chiare che ha in testa riguardano la psicologia dei due protagonisti e le tre righe della trama. Il resto verrà da sé, in vivo. Fin dai primi minuti, il tono del film di Godard mi è chiaro: una libertà assoluta, a volte sconcertante. Siamo in un boulevard a SaintGermain e mi indica un caffè: ‘Lo vedi quello, l’Universo? Bene, entra lì’. ‘E dopo che faccio?’ ‘Quello che vuoi’. Più tardi mi fa entrare in una cabina telefonica, gli chiedo: ‘Che dico?’. ‘Quello che vuoi’. La giornata trascorre così com’è cominciata, divagando e improvvisando.” (Jean Paul Belmondo) “Ne La notte, restai deluso, perché il protagonista mi sembrava al limite della convenzione. Forse avrei preferito che fosse un po’ più cattivo, un po’ più cinico. La verità è che avevo come modello uno scrittore mio amico, Ennio Flaiano, e mi pareva che il protagonista del film dovesse somigliargli. Ma Antonioni era di diverso avviso. Da qui una certa incomprensione tra me e il regista. Cosicché la gioia e l’entusiasmo con cui avevo incominciato il film, strada facendo andarono dileguandosi, mettendomi in uno stato d’animo di disagio. D’altro canto Antonioni non aveva un grande dialogo con gli attori, usava gli attori come delle silhouette, se non proprio come degli oggetti. Nelle sue storie erano importanti le atmosfere, le immagini, le suggestioni, non gli attori. Non poteva non nascerne qualche incompatibilità. Per di più, io non sono uno che si batte per far valere le proprie opinioni. Se, sin dall’inizio mi accorgo che non trovo le ‘distanze’, 41


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per usare un termine pugilistico, mi ritiro nell’angolo e accetto, più o meno passivamente, l’andamento delle cose.” (Marcello Mastroianni) IL RAPPORTO ATTRICE/ REGISTI “Per la prima volta con Germi mi sono sentita a mio agio davanti alla macchina da presa: ho cominciato a capire che potevo fare di tutto con quell’occhio fisso su di me, purché fosse messo al posto giusto. Ho cominciato a vivere la cinepresa nel ruolo di un’amica, la mia complice: ‘l’ho sentita’ per la prima volta. E mi sono sentita, davanti a lei, libera e senza inibizioni. Ho capito, fin da quel momento, che davanti a quell’occhio meno facevo, meglio era: al cinema, il primo piano è talmente immenso che devi fare poco, o pochissimo, altrimenti il rischio è di apparire ‘gigiona”, eccessiva, di maniera’”. (Claudia Cardinale) “Visconti mi diceva: ‘Devi convincerti che tutto il corpo recita, non solo il viso: recitano le braccia, le gambe, le spalle: tutto’. Ed io da allora, ho imparato: ho cambiato modo di camminare. Non più, come facevo, caracollando un po’ sui tacchi alti. Ho imparato come lui voleva, a camminare a falcate, non a passi. Visconti mi ripeteva anche: ‘Ricordati, gli occhi devono dire una cosa che la bocca non dice, perciò lo sguardo deve avere un certo tipo di intensità che contrasta quello che stai dicendo. Anche se ridi, gli occhi non devono ridere. Insomma, devi separare il tuo viso in due: lo sguardo è una cosa; quello che dici è un’altra’”. (Claudia Cardinale) “Ne Il mestiere delle armi, Olmi fin dal primo momento ha insistito molto sullo sguardo. Mi ha detto e ripetuto che la parte sarebbe stato soprattutto uno stato d’animo. Non c’era sviluppo del personaggio. Dovevo incarnare un sentimento. Dargli corpo e volto. Rendere visibile l’innamoramento quando va contro tutto e tutti e diventa oblio. Per amore, il mio personaggio va contro la famiglia, contro la comunità, contro il concetto d’onore. Olmi mi ha detto proprio questo: ‘Non ti chiedo altro che di capire questo sentimento. Quest’amore perso e appassionato. E di provare a renderlo come Mastroianni. Che conosceva talmente bene i sentimenti dei suoi personaggi da riuscire a renderli con gli occhi’”. (Sandra Ceccarelli) “Come attore non potrei desiderare di meglio, come regista è grande. Per descrivere come dirige gli attori la cosa migliore è citare uno dei molti aneddoti su di lui. ‘Signor Jouvet, che cosa pensa che dovrei sentire quando dichiaro il mio amore alla ragazza, nella prima scena?’ ‘Non sentire niente figliolo. Recita, recita.” (Marlene Dietrich) “Non so se Petri insegnasse a recitare, ma t’insegnava il pensiero che tu devi avere. Non ti diceva mai ‘dilla così o dilla cosà. Dilla come ti pare ma quello che deve arrivare è questo pensiero, quest’idea’”. (Mariangela Melato) 42


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“Il pubblico dà sempre la colpa agli attori come me. Ho lavorato con registi così stupidi che ripetevano le battute come se stessero leggendo l’orario dei treni. Non ho avuto alcun aiuto da parte loro. Ho dovuto trovarlo altrove.” (Marilyn Monroe) “È vero che dopo le riprese de La notte mi ero permessa di dire che avevo sofferto molto, e che c’era un’atmosfera talmente pesante che mi aveva resa infelice. Dopo mi sono pentita. In effetti, l’atmosfera assomigliava al film, c’era qualcosa di latente, né triste né malinconico, ma in certi momenti violentemente disperato, una solitudine terribile. Le riprese si svolgevano sempre di notte. Dormivamo di giorno in un hotel in pieno centro a Milano, tra i rumori. E la cosa più!atroce, per cui ho sofferto particolarmente, e non ero la sola, è stata dormire di giorno. Le riprese sono state molto lente, perché Michelangelo Antonioni privilegiava i grandi piani sequenza, e qualche volta si aveva l’impressione che noi attori non esistessimo. Un attore si attacca al suo personaggio e ha bisogno che qualche volta gli si parli. Non solo eravamo in mezzo a una folla, la borghesia di Milano, tra cui non c’erano dei professionisti, e non sapevano nulla di cinema, ma inoltre Michelangelo era molto lontano, magari su una gru, da qualche parte a riflettere, e non c’era un rapporto con noi. E poi, tutto questo camminare, questo errare per Milano... Tutto a un tratto lui decideva chi doveva camminare: ‘Jeanne, cammina’. E la troupe cominciava a prendermi in giro sul fatto che non facevo che camminare: ‘Jeanne si allena alla maratona’, per fortuna c’era sempre voglia di scherzare. E mi ricordo che le riprese hanno coinciso con l’elezione del Papa, e voi sapete che con il Papa si aspetta una fumata bianca... con lui era lo stesso. Il set era un gioco d’attese: oggi fumata bianca? La sua decisione si faceva sempre aspettare.” (Jeanne Moreau) “Antonioni è stato il primo regista con cui abbia lavorato per il quale era della massima importanza la forma che un attore prendeva stando seduto, l’angolazione con cui si sedeva, la posizione della sedia, la posizione di qualunque oggetto e il movimento o lo spazio creato da un oggetto vivente, una donna, o da un oggetto inanimato in mezzo, sopra, sotto o di traverso rispetto agli altri. E appena ho capito cos’era veramente importante per lui, e appena lui si è reso conto che io l’avevo capito, e che non mi sarei mai messa a dire, come è tipico degli anglosassoni, ‘Perché?’, ‘Cosa?’, ‘Se’, ‘Ma’, abbiamo cominciato a intenderci molto meglio, perché lui ha capito che volevo interpretare ogni scena esattamente come la vedeva lui, e che solo e soltanto lui riusciva a vederla in quel modo.” (Vanessa Redgrave) “Bernardo Bertolucci è un uomo capace di coinvolgere gli altri nel gioco, nell’oblio dell’Io e il divenire del Sé, così che il nostro doppio si ritrovi lontano dalle proprie paure, leggero, allegro, dimentico di qualsiasi pesantezza. Proprio di questo ha bisogno l’attore: di essere semplicemente. Conosco pochissime persone 43


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che possiedono quella forza di liberare l’altro, indubbiamente la forma d’amore più alta che esista, sia nella vita che nel lavoro.” (Dominique Sanda) RECITAZIONE “Recitare non c’entra con le parole. Non si recita con le parole, ma con l’anima.” (Stella Adler) “Sviluppiamo la tecnica di recitazione presto, molto presto. Già da bambini, quando facciamo cadere per terra i cereali solo per richiamare l’attenzione della mamma. Recitare significa sopravvivere.” (Marlon Brando) “Mentire per vivere, ecco cos’è la recitazione. Non ho fatto altro che imparare ad esserne consapevole. Tutti voi siete attori e bravi attori perché siete tutti bugiardi. Quando dici una cosa che non intendi e quando eviti di dire qualcosa che intendi veramente. Questo è recitare.” (Marlon Brando) “Ci sono due modi di recitare: con il cavallo o senza.” (Robert Mitchum) “La recitazione è l’arte di nascondere l’arte.” (Carlo Verdone) LA REGIA “Leo Mc Carey stava patrocinando il suo caso davanti a un banchiere. Sperava di avere un prestito di uno o due milioni per il suo prossimo film. Il finanziere era sconcertato: ‘So cosa fa un operatore, diceva: fotografa il film. E so anche cosa fa lo sceneggiatore, scrive la sceneggiatura. Gli attori ovviamente, recitano. Ma, mi dica, Mr. Carey, cosa fa un regista?’” (Edward Dmytryk) “La regia di un film è sempre il comando sulla ciurma di Cristoforo Colombo che vuole tornare indietro.” (Federico Fellini) “Inizia ad avere la sensazione che c’è una sorta di estetica lavorando a queste cose e hai la sensazione che non devi sapere come fare un film. Se ami davvero il cinema con tutto il tuo cuore e con abbastanza passione, non puoi non fare un buon film. Non devi andare a scuola, non devi conoscere le lenti, sei una 40 e una 50, fanculo a tutta quella roba. Fare scavalcamenti di campo, non importa un cazzo di nulla. Se, semplicemente, ami davvero il cinema con abbastanza passione e lo ami davvero, allora non puoi non fare un buon film.” (Quentin Tarantino)

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IL REGISTA “Il regista è un uomo che riesce a trovare i soldi per fare il suo film.” (Glauber Rocha) “Ogni regista fa sempre un film di troppo. Per questo ho smesso al penultimo.” (Ettore Scola) “Il regista è un ladro.” (François Truffaut) “I registi sono tutti dei gangster.” (Wim Wenders) LA SCENEGGIATURA “Da una bella sceneggiatura è impossibile fare un brutto film e viceversa. Lo so, perché sono passato da entrambe le esperienze. Con certe sceneggiature che non erano molto convincenti ci siamo illusi io ed Antonio dicendo: ‘poi sul set si aggiusta tutto’. Non è vero. Quelle carenze che erano in scrittura non l’abbiamo risolte.” (Pupi Avati) “Di solito scopro che se una scena non funziona con degli attori molto bravi, vuol dire che la sceneggiatura ha qualcosa che non va.” (Nick Cassavetes) “Uno sceneggiatore modifica il suo lavoro quando viene a sapere il cast. Per esempio, quando scrissi Il mondo nelle mie braccia, io avevo in mente John Wayne. Ma lui si rifiutò di fare il film. La sceneggiatura che avevo non si sarebbe adattata a nessun altro. Allora Gregory Peck ottenne 100.000 dollari di contratto e un terzo film. Ma Gregory Peck, nonostante sia un buon attore, non è John Wayne, e quindi, per renderlo tale, assumemmo un tipo di nome Radovich, che sembrava un masso di granito. Ne facemmo un esquimese che funge da spalla per Peck. In una scena in cui Wayne avrebbe dovuto gettare giù una porta a calci, sollevare di peso alcuni degli astanti e scaraventarli fuori dalla finestra, noi facemmo entrare Peck come un duro, e subito dopo, questo suo compagno getta giù la porta, la spacca tutta e fa tutto il lavoro fisico, mentre Peck gli dà le direttive. In altre parole abbiamo preso due persone per farne una: John Wayne.” (Borden Chase) “Conosco dei produttori, dei registi che la considerano addirittura inutile o perlomeno lo considerano un male necessario. Rossellini, per esempio, fa scrivere la sceneggiatura del suo film a quattro persone che si mettono d’impegno, poi butta la sceneggiatura, va a pesca e comincia il film come gli pare.” (Ennio Flaiano) 45


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“Gran parte della gente crede che la sceneggiatura sia fatta solo di dialoghi e che vi siano persone che scrivono quelle orribili battute che meravigliosi e splendidi attori devono recitare. Ma la realtà è che la sola cosa più importante elaborata dallo sceneggiatore è la struttura.” (William Goldman) “C’è una vecchia ruggine tra sceneggiatore e regista, perché nessuno dei due sopporta di dipendere dall’altro. In particolare lo sceneggiatore si lamenta che il suo rapporto creativo è quasi sempre sottovalutato, che alla fine sono sempre gli attori e il regista a prendersi l’applauso. La pellicola, però, non si fabbrica con la macchina da scrivere.” (Nicholas Ray) “Ho ben chiara in mente la ‘continuità’ del film; inoltre ho le tasche piene di note, tuttavia devo confessare che non ho capito mai bene la necessità di avere una sceneggiatura, se non per rassicurare i produttori. Non ho bisogno di appoggiarmi a schemi per girare. Per me l’ispirazione viene sul posto.” (Roberto Rossellini) “Non sempre la sceneggiatura è la base stessa del film.” (Ridley Scott) “Io credo che ci siano tre fasi nello scrivere una sceneggiatura. Prima, bisogna avere un tema, qualcosa che si vuole dire. Non deve essere necessariamente una cosa importante, ma ognuno ha qualche cosa che lo disturba. Nel caso di Taxi Driver il tema era la solitudine. Poi bisogna trovare una metafora che esprima quel tema. In Taxi Driver era il tassista, la perfetta espressione della solitudine urbana. Quindi bisogna trovare un intreccio, che è la parte più semplice dell’intero processo.” (Paul Schrader) “Negli anni Cinquanta noi avevamo una quindicina tra attori e attrici capaci di attirare il pubblico. E in quegli anni l’attrice e l’attore che voleva lavorare, andava dallo sceneggiatore, cioè dove nasceva il film, a chiedere la parte. Allora chi scriveva il film, aveva pronto il copione, andava dal produttore e diceva: ‘Guardate, io ho questa storia, ci sono già gli attori’. E il produttore allora prendeva atto e aggiungeva: ‘Ora vediamo chi c’è libero come regista’. E cominciava a elencare: Monicelli, Comencini ecc. E il film si faceva in questa sequenza: storia, attori, regista. Dopo una quindicina d’anni è successo che gli attori che avevano le copertine sui giornali, soldi in banca, ville con piscina, hanno cominciato a pensare cose del tipo: ‘Ma chi sono io? Ma se ho tutto questo, valgo qualcosa! Sono io il centro del film’. E a quel punto è cominciata la rovina. Gli attori prima e poi, a ruota, i registi, hanno cominciato a voler fare i loro film. Tutti si mettevano a scrivere di notte da soli, venivano da noi sceneggiatori dicendo: ‘Ho questa idea, questo soggettino, ho questo amico che mi ha raccontato questa storia’. Il pubblico conosceva loro e loro hanno pensato di conoscere il pubblico, saltando la nostra mediazione.” (Rodolfo Sonego) 46


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“Da soggetto si passa alla sceneggiatura. Altra riscrittura, altro tradimento. Una sceneggiatura talvolta impone un’ellissi, in altre circostanze pretende epifanie. Ci mette nelle condizioni di individuare personaggi imposti dal soggetto che adesso si rivelano inutili e altri, inesistenti, che si rivelano necessari. Sintesi di più scene in una sola sequenza, scissione di una di essa in più blocchi narrativi. Addirittura sconvolgimenti radicali dell’assunto di partenza. L’esempio di Pietro Germi è il più clamoroso. Quando stava scrivendo un film drammatico sul delitto d’onore, esattamente dopo aver completato la sceneggiatura, ebbe la folgorazione di ribaltare il tutto e trasformare in comico un film che doveva essere tragico. Così nacque Divorzio all’italiana.” (Giuseppe Tornatore) “Scrivere una sceneggiatura è come fare il letto di qualcuno e poi l’altro arriva, ci salta dentro e a voi non resta che andarvene.” (Billy Wilder) “Ricordo Scott Fitzgerald, seduto da Oblath, a bere una tazza di caffè nero. Era un uomo riservato, pallido e grigio, con i tratti sbiaditi dell’alcolista, di una certa età. Sembrava smarrito e disperato. Iniziò a parlare con me di più di una volta. Sembrava che pensasse che io sapessi dei segreti, che, ad impararli, lo avrebbero reso un buon sceneggiatore. Mi sembrava che non riuscisse mai ad andare oltre la pagina tre di sceneggiatura. Mi faceva pensare a un grande scultore che fosse stato assunto per un lavoro di idraulico. Non riusciva a mettere insieme i tubi in modo che l’acqua scorresse.” (Billy Wilder) LA SCRITTURA “Penso sempre che un film lo scrivi in ogni momento. Lo scrivi nel copione, lo riscrivi e lo modifichi quando fai il casting, quando vedi gli esterni e così via. A volte apporto delle modifiche perché il produttore mi dice che non possiamo permetterci di realizzare una certa scena nel modo in cui voglio io. Poi cambio la sceneggiatura mentre sto lavorando sul set, a anche durante il montaggio del film. Non ho alcun problema a riguardo. Son ben lieto di prendere una scena che dovrebbe essere la numero venti e infilarla al primo posto o cose del genere, perché il film è una cosa in costante evoluzione.” (Woody Allen) “Al momento di scrivere hai bisogno di appoggi che non siano esclusivamente quelli della tua immaginazione. Negli ultimi mesi la mia vita è invivibile e ho l’impressione che non stia registrando niente. Sento di passare per dei luoghi nei quali non si sviluppa la mia vita, posti di transito senza alcuna natura, che non appartengono a nessuno, né a nessuna situazione, né a nessun stato d’animo. Alberghi, aeroporti, interviste. In genere io scopro delle piccole cose tutti i giorni. Per esempio, io non so guidare ma la Renault che mi ha regalato una macchina, per quella storia della pubblicità. La macchina la guidano i miei amici e 47


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mi sono appena reso conto come sia difficile portare l’autoradio; voglio dire che una persona si porta tutto il giorno appresso l’autoradio, che la porta a prendere il caffè, quando si ferma in un negozio a fare acquisti in un negozio, per bere al bar. Questo tipo di dettagli, dei quali sono pieni i miei film, vengono fuori dall’osservazione, dal vedere come vivono gli altri. Anche se, in realtà, adesso ho poca vita privata, intima. Ma quando sei sveglio queste cose insignificanti sono quelle che più mi eccitano e dalle quali traggo più particolari.” (Pedro Almodovar) “Scrivere un film è molto diverso dallo scrivere un libro. Quando scrivi un romanzo sei solo di fronte al tuo pubblico. Anche se vendi cento milioni di copie, è una persona alla volta che legge quel testo. Sono i lettori a stabilire il proprio ritmo. Leggono il libro e si domandano: ‘Oh, lo farà?’ poi lo mettono giù. ‘Continuo domani. Voglio conservarmi la sorpresa, non voglio leggere l’ultima pagina’. Con un film, se dura due ore e dieci minuti, sono due ore e dieci minuti ogni volta che viene proiettato. E se in una sala cinematografica ci sono cento persone, ognuna si trova in uno stato d’animo diverso. Qualcuno è venuto perché sta vivendo un momento tragico che vuole dimenticare; qualcun altro perché vuole divertirsi. E tu, tutto ad un tratto devi far seguire a tutta quella gente il ritmo del tuo film. Ed è impossibile. Se facessi un film che piacesse a tutti sarebbe un’idiozia, non sarebbe niente.” (Robert Altman) “Soffro, anche da spettatore, davanti ai film in cui la struttura è troppo evidente, quando il modello della struttura in tre atti o quello epico del viaggio dell’eroe è troppo visibile. Soprattutto quando il finale chiude la vicenda e il protagonista si è trasformato e ha imparato qualcosa su se stesso ed il mondo. Questo tipo di retorica, che nella vecchia e nuova Hollywood ha fatto la fortuna anche di capolavori, semplicemente non mi appartiene. Cerco di chiudere un film su un sentimento più che su un avvenimento conclusivo o risolutivo.” (Claudio Giovannesi) “Se la protagonista è legata a un binario e il treno è in arrivo, e il pubblico non sa chi sia, dirà: ‘È terribile, quella poverina sta per essere uccisa’. Ma se quella poveretta è una star del calibro di Claudette Colbert o Greer Garson, la gente urlerà, perché è come se al suo posto ci fosse una loro parente. L’efficacia centuplicata.” (Alfred Hitchcock) “Fidatevi, è andata proprio così. Il primo spunto del soggetto risale al 1987. Ma se dicessi che per diciannove anni non ho desiderato altro che realizzare La sconosciuta, direi una solenne bugia. Rimuginando, l’ho rimuginato molte volte, questo sì, com’è naturale per un cacciatore di storie, durante le notti d’insonnia, nei primi pomeriggi d’autunno post-ora legale, aspettando il conto al ristorante o un taxi sotto casa, ascoltando una musica che conosco già, guidando a passo d’uomo nell’orrore del traffico metropolitano, fingendo di seguire quando gli 48


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Le frasi più belle di attori, attrici e registi © Edizioni Falsopiano - 2019 via Bobbio, 14 15121 - ALESSANDRIA www.falsopiano.com Progetto grafico e impaginazione: Daniele Allegri Per l’immagine in copertina: © Andrey Kuzmin - Can Stock Photo Inc. Prima edizione - Novembre 2019


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