La musica nel cinema thriller Marco Werba

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LA MUSICA NEL CINEMA THRILLER

Manuale di composizione e analisi di partiture

MARCO WERBA

MARCO WERBA

Prefazione di Roberto Lasagna L’esperienza accumulata da Werba in trent’anni di attività, è documentata e trascritta in questo minuzioso e accurato volume, un libro che colma un vuoto nel panorama saggistico

italiano e dal quale emerge la poetica originale e inconsueta di un compositore di talento. La funzione pragmatica della musica da film e la sua capacità di suscitare emozioni nel-

film di genere (thriller, horror, fantascienza); il metodo di lavoro del compositore, la colla-

borazione con il regista e il produttore, la convivenza tra dialoghi, musica ed effetti so-

nori; l’uso espressivo del “silenzio”. Questo saggio, che analizza alcune delle partiture più

famose della storia del cinema, come quelle scritte da Bernard Herrmann per i cult hit-

chcockiani Psycho e Vertigo o da Jerry Goldsmith per l’indimenticabile Basic Instinct di

Paul Verhoeven, è un punto di riferimento ideale per tutti i musicisti che intendano seguire questo percorso, dedicandosi, con impegno e professionalità, alla scrittura di colonne sonore originali per film di genere, pellicole che hanno scritto alcune delle pagine più rilevanti della Settima Arte.

Marco Werba è nato a Madrid nel 1963. Ha compiuto gli studi umanistici e musicali in Ita-

lia e all’estero. Si è diplomato in Composizione corale e direzione di Coro (sotto la guida

di Colomba Capriglione) presso il Conservatorio Licino Refice di Frosinone. Ha scritto

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l’inconscio dello spettatore; l’analisi delle funzioni espressive del commento musicale nei

vari articoli sulla musica nel cinema per riviste specializzate. Nel 1989 ha vinto il premio

“Colonna Sonora” (Opera Prima) dell’Ente dello Spettacolo per le musiche del film Zoo di Cristina Comencini. Ha vinto tre premi per Giallo di Dario Argento (con Adrien Brody

e Emmanuelle Seigner) e il “Globo d’Oro” per il film horror Native di John Real. Ha scritto, tra le altre, le musiche del thriller psicologico Seguimi di Claudio Sestieri, dei film horror

statunitensi Mr. Hush di David Lee Madison, The Inflicted di Matthan Harris e del thriller Pop Black Posta di Marco Pollini.

€ 19,00

www.falsopiano.com/musicathriller.htm FALSOPIANO


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CINEMA


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MARCO WERBA

LA MUSICA NEL CINEMA THRILLER Manuale di composizione e analisi di partiture

EDIZIONI

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Sommario

Prefazione di Roberto Lasagna

p. 9

Introduzione

p. 11

Funzioni pragmatiche della musica nei film di genere (Thriller, Horror, Fantascienza) dalle origini fino al 2019

p. 13

Il Metodo di lavoro

p. 57

La collaborazione con il regista e il produttore

p. 58

La convivenza tra dialoghi, musica ed effetti sonori

p. 62

Le due scuole di pensiero

p. 67

Analisi di alcune partiture

p. 78

Giallo

p. 88

Appendice: la partitura di Giallo

p. 121

Conclusioni

p. 263


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Marco Werba

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Prefazione di Roberto Lasagna Compositore e direttore d’orchestra attivo dal 1988, Marco Werba analizza in questo lungo saggio, accurato e minuzioso, le colonne sonore dei film di genere, in particolare quelle dei grandi maestri Bernard Herrmann (Psycho e Vertigo) e Jerry Goldsmith (Basic Instinct), citando anche John Williams, John Barry, Christopher Young, Ennio Morricone, Pino Donaggio, I Goblin e molti altri nomi entrati nella storia del cinema. In questo libro, unico nel suo genere in Italia, vengono anche analizzate le partiture scritte da Werba per Giallo di Dario Argento, per le quali il compositore ha vinto tre premi. Un film, Giallo, dal destino distributivo tormentato, movimentato dal guizzo visivo di un direttore della fotografia d’ispirazione realista, dove il serial killer si chiama appunto “Giallo”, proprio come il genere cinematografico e letterario da cui Argento prende le mosse. Werba porta il suo contributo a un cinema che cerca ancora il sapore della verità, il cui budget consistente e la troupe statunitense sono il contesto grazie a cui compare ancora una volta Torino, ambiente cosmopolita che permette al serial killer di allestire il suo sordido nascondiglio. Il film traghetta volti del cinema di Polanski (Adrien Brody e Emanuelle Seigner su tutti), fra le tinte fosche del cinema argentiano, a ribadire convergenze tra corpi e volti della perdita e dell’isolamento. Alle origini del film ci sono sempre un trauma e una situazione di oppressione del singolo (come ne Il pianista o in Profondo rosso). Il serial killer, schernito e deriso nell’orfanotrofio in cui fu rinchiuso da piccolo a causa del suo aspetto fisico, si “riscatta” provando piacere nel rapire e torturare donne bellissime. Le sottopone a sevizie e le lascia agonizzanti fino a quando, completamente appagato, le uccide e can-

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cella le tracce dei loro corpi. Soprattutto il mondo della moda sembra essere il luogo in cui l’assassino può trovare le sue vittime, dove la dimensione artificiale gioca un ruolo di tutto rispetto. Il narcisismo infranto è all’origine di un trauma che scatena una spasmodica sete di vendetta nei confronti di chi, come le fotomodelle, è idolatrato per il solo aspetto fisico. Argento si serve di immagini suadenti, e la musica di Werba le impreziosisce, per affondare colpi contro l’apparenza in cui ci muoviamo e agitare un monito contro la superficialità: una partitura contro l’indifferenza delle persone per le quali tutto diventa apparenza e virtualità, mentre il racconto crea un senso di attesa inquietante, per le vittime ma anche per lo spettatore. L’autore focalizza l’attenzione sulla funzione pragmatica della musica e la capacità che ha di suscitare emozioni nell’inconscio dello spettatore, analizzando le funzioni espressive del commento musicale nei film di genere (thriller, horror, fantascienza), il metodo di lavoro del compositore, la collaborazione con il regista e il produttore, la convivenza tra dialoghi, musica ed effetti sonori, l’uso espressivo del “silenzio” e la musica per contrasto. Pensiamo che questo saggio possa essere un punto di riferimento per tutti i compositori che intendano seguire un percorso professionale stimolante, dedicandosi, con impegno e professionalità, alla scrittura di colonne sonore per i film di genere.

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Introduzione Parlare della musica nei film di genere, per un compositore che si è dedicato, negli ultimi anni, soprattutto a questa tipologia di musica applicata, è come entrare in una dimensione che lui stesso ha creato, un’analisi del prodotto dal suo interno. In tale contesto è l’anima creativa a esprimersi e offrire uno spunto di riflessione in più (fino a oggi mancante nel panorama letterario musicale), diverso da quello che un critico, dall’esterno, potrebbe dare in materia. La musica nei film di genere acquista un valore aggiunto perché ha anche la funzione di rendere verosimili azioni e personaggi che nella vita reale spesso non esistono. Rispetto ai film del neorealismo e della “nouvelle vague” francese, questo tipo di musica è più presente e spesso più protagonista. Facciamo qualche esempio: il tema di John Carpenter per Halloween aiuta a capire che l’assassino è nelle vicinanze ed è pronto a uccidere, la musica di Williams in Superman rende verosimile il volo del supereroe, il tema di Jaws - sempre di Williams - rende più angosciante la presenza dello squalo, che si avvicina minacciosamente alla preda. In quest’ultimo film, tra l’altro, il compositore gioca abilmente sulle dinamiche: nella scena in cui Richard Dreyfuss si trova nella gabbia sott’acqua, si intravede lo squalo bianco che si avvicina mentre la musica lo accompagna pianissimo, seguendone la traiettoria, poi, al momento dell’attacco, il commento musicale cresce fino a raggiungere l’apice, per poi decrescere nuovamente con l’allontanamento dell’animale. In questo saggio intendo parlare di compositori illustri che si sono dedicati anche (o soprattutto) ai film di genere: James Bernard, John Williams, Bernard Herrmann, Jerry Goldsmith, Christopher Young. Uno spazio sarà dedicato anche ai compositori italiani, sui quali mi soffermerò per fare alcuni “distinguo” fra quelli maggiormente predi-

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sposti alla sperimentazione, come Ennio Morricone, che hanno trovato nei film di genere terreno fertile per adottare soluzioni innovative e composizioni dodecafoniche e sperimentali ricche di dissonanze, e i compositori più romantici come Pino Donaggio e Stelvio Cipriani che, invece, anche nei film di genere, sono riusciti a usare un linguaggio tradizionale melodico e nostalgico (buoni esempi per Pino Donaggio sono Don’t Look Now, Carrie, Dressed to Kill, Blow Out e Piranha, e per Cipriani Tentacles, Piranha 2, L’assassino è al telefono lo sono altrettanto). Citerò, infine, compositori non specializzati nei film di genere che hanno, saltuariamente, scritto musiche per film thriller, mentre saranno esclusi da questa analisi autori importanti come Nino Rota, Mario Nascimbene, Fiorenzo Carpi, Nicola Piovani e Georges Delerue, in quanto dediti quasi esclusivamente ai film d’autore.

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Funzioni pragmatiche della musica nei film di genere (Thriller, Horror, Fantascienza) dalle origini fino al 2019 Nella vita quotidiana le nostre azioni non sono accompagnate da un commento musicale (quando siamo innamorati non ci sono dei violini che suonano una melodia romantica, quando uccidiamo o veniamo uccisi non c’è una musica di tensione). Perchè questo accade al cinema? Perché il pubblico trova naturale seguire un film in cui è presente una musica di commento? La risposta è semplice: la generalità degli individui (con le dovute eccezioni) non percepisce la presenza della musica perché essa viene assorbita a livello inconscio e trasformata in emozione generata dall’insieme dell’opera audiovisiva. Anche nella mia personale esperienza ho potuto constatare questo fenomeno. Nel lontano 1976 andai a vedere con mio padre Logan’s Run: in un primo momento non mi resi conto della presenza della musica. Solo successivamente, dopo aver visto il film altre due volte, mi resi conto dell’esistenza di un commento sonoro (a mio avviso geniale), firmato dal premio Oscar Jerry Goldsmith, che solo alcuni anni dopo ebbi il piacere di conoscere. Lo scenario del film era visionario: una città del futuro e i suoi abitanti, i sopravvissuti a un’esplosione nucleare vivevano isolati dal resto del mondo e le loro vite venivano gestite da un computer. La musica di commento era una musica elettronica d’avanguardia, ma nelle scene all’esterno (che segnavano l’uscita dei protagonisti nel mondo e la scoperta della natura, del sole, e degli esseri viventi “anziani”) era stata inserita una musica orchestrale “tradizionale”. La presenza dell’orchestra nelle scene all’interno della città stava dunque a sottolineare i rari momenti di “umanità”. La mia teoria che la musica nel cinema è “invisibile” e non viene

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percepita come tale dallo spettatore trova riscontro in alcune affermazioni riportate nel libro-Bibbia di Ermanno Comuzio Colonna sonora, dialoghi, musiche, rumori dietro lo schermo, pubblicato da “Il formichiere” nel 1980. Comuzio è stato il maggior esperto su questo argomento e ha scritto diversi saggi (ormai, purtroppo, difficilmente reperibili). A lui devo la candidatura per il premio “Colonna sonora - Opera prima” dell’Ente dello spettacolo (per le musiche di Zoo di Cristina Comencini) e un’intervista per la rivista “Cineforum” di Bergamo. Conservo ancora le sue lettere in cui analizzava con rara attenzione i miei lavori. Una persona squisita che rimarrà sempre nel mio cuore. Ecco alcune affermazioni significative contenute nel libro di Comuzio: “Non andiamo al cinema per ascoltare musica” (Maurice Jaubert). “Il film con la musica raggiungerebbe la sua perfezione quando lo spettatore non si accorgesse più della musica, non ne avvertisse intellettualmente la presenza, ma ne ricevesse l’emozione che essa voleva dare” (Ildebrando Pizzetti). Da tali premesse dunque l’autore giunge all’assioma: - Se è vero che non si va al cinema intenzionalmente per ascoltare musica (per soddisfare tale bisogno si va in una sala da concerto); - se è vero che la migliore musica per film è quella che si fonde perfettamente con le immagini fino ad annullarsi in esse (per la questione della molteplicità degli apporti che nel risultato finale raggiungono l’unita); - è anche vero che la buona musica si fa ascoltare, volerlo o no, e che la qualità intrinseca di una musica contribuisce a elevare il livello del

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film e a dargli maggiore dignità. Naturalmente la parte visiva assorbe la maggior parte dell’attenzione dello spettatore”. Hans Keller, teorico inglese, scrive: “Solo una minoranza dell’umana società è sufficientemente attenta alle cose della musica, e di questa soltanto un’ulteriore minoranza si prende la briga di aprire le orecchie alla colonna sonora cinematografica”. Secondo Comuzio “c’è lo spettatore che assorbe globalmente la suggestione visivo-sonora che gli viene offerta e quello che sa riconoscere i singoli elementi costitutivi del film e ne soppesa e apprezza la portata, distinguendo la colonna sonora dall’immagine fotografica, dall’apporto degli attori [...]”. A dire il vero, nella mia esperienza ho notato che non solo lo spettatore non presta attenzione alla colonna sonora, ma spesso anche gli addetti al lavoro assorbono inconsciamente gli effetti della musica. Antonio Veretti descrive così il ruolo della musica nel cinema: “È la musica che dà voce e anima alla fotografia, è la musica che dà l’accento a certe situazioni umane e le scioglie, è la musica che crea atmosfere idilliche o tragiche, è la musica che talvolta dà il ritmo del montaggio di certe sequenze, è la musica che crea ricordi, i ritorni del tempo, che lega azioni diverse, è la musica che ci dà la presenza di un ambiente o di un fatto mentre la visione ne mostra un altro, è la musica infine che esprime il pensiero del personaggio muto, o che traduce i moti del suo animo”. L’inglese Raymond Spottiswoode teorizza le seguenti applicazioni della musica di commento, applicata a tutti i generi. 1) Impiego imitativo. La partitura imita i rumori naturali (suoni) e la parola. 2) Impiego per commento. Lo spartito prende la parte di uno spettatore che commenti il film. 3) Impiego evocativo. Allo spartito sincronizzato viene dato il suo massimo valore. Il silenzio è espressamente voluto come il suono.

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Leitmotiv: agisce emotivamente e ci aiuta a entrare nei personaggi del film con i quali sono connessi. 4) Impiego per contrasto (farò degli esempi relativi a questa categoria). Non si trova mai da solo, ma è combinato con il n. 2 e col n. 3. Lo spartito contrasta con il film e ne accresce l’effetto. 5) Impiego dinamico. Una corrispondenza dinamica di immagini e suoni mette in evidenza il ritmo del montaggio. Nel capitolo Logica musicale e logica dello schermo Comuzio si pone giustamente i seguenti interrogativi: Si può parlare di una estetica della musica per film? Esiste la musica per film? La stranezza è soltanto apparente. Mentre ogni altro tipo di musica (la sinfonia, la canzone, il melodramma) si ritrova tanto sul pentagramma, quanto durante l’esecuzione in sala, in teatro, o incisa in disco, cioè riprodotta, la musica cinematografica esiste solo riprodotta, ossia diffusa dagli altoparlanti di una sala cinematografica, mentre si proietta il film. Eppure lo “score” è una realtà fisica e opera (o può operare) decisivi interventi sulla funzione del veicolo filmico. Non è una questione di orecchie, si vuol dire, non è faccenda che riguardi più o meno felici melodie, confortanti abbandoni lirici, ma che investe tutto intero il messaggio che parte dallo schermo per arrivare allo spettatore. Se ne deduce che la musica cinematografica deve essere subordinata all’immagine. Accettato il fatto che è cinema, la si deve considerare come elemento costitutivo del film. Naturalmente c’è gente che ficca dentro apposta, in un film, una determinata melodia orecchiabile, un motivo di facile presa, che poi potrà avere successo nei “juke-box”. Evidentemente non ci si riferisce a tali fenomeni speculativi quando si parla di musica cinematografica, che resta quella composta per seguire, commentandola, l’azione. Suoni in funzione espressiva, dunque, più propriamente in fun-

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zione cinematografica. Inizialmente il commento musicale nel cinema era nato per coprire il rumore del proiettore e affidato a un singolo esecutore, un pianista, che improvvisava una musica o suonava partiture classiche. I critici francesi, Alain Lacombe e Claude Rocle, nel loro libro La musique du film, parlano delle origini della musica per film: “I Lumiere non consideravano il film come uno spettacolo completo... Forse non stavano ancora pensando al cinema sonoro, poiché le prove della scoperta del cinema erano andate oltre gli orizzonti scientifici, e la musica aveva fatto un notevole ingresso. L’industria della distribuzione cinematografica si affidava all’efficacia promozionale di alcuni locali come il caffè-concerto o il music-hall. Non era raro vedere musicisti e cantanti arrivare davanti allo schermo per accompagnare l’immagine. Niente era in sincrono, eppure il pubblico era catturato, affascinato e felice di questa giustapposizione di due dimensioni; la comparsa di cantanti e musicisti e l’immagine delle apparenze della realtà sullo schermo, la prima che rende convincente la seconda. Il Cinema rifiuta il silenzio. La vita quotidiana è un microcosmo progettato per organizzare e dedurre un immaginario insieme di suoni. Gli strumenti musicali diventano quindi delle sculture malleabili, degli oggetti mobili che vengono ‘triturati’ e che forniscono suoni calibrati in base alla gamma. La loro combinazione si basa sul montaggio e sul missaggio. L’essenza si unisce alla funzione”. Con Max Steiner, il pioniere della musica orchestrale cinematografica, si hanno le prime partiture per grande orchestra. Steiner, noto soprattutto per la musica di Gone with the Wind, scrisse anche il commento musicale per King Kong del 1933. Potremmo considerare questa partitura, di ottimo livello, come una delle prime musiche per film di genere. La musica di Max Steiner, in sintonia con le sue prece-

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denti composizioni, è un imponente affresco sinfonico dove vengono esposti i temi musicali (o leitmotiv), legati ai personaggi principali del film. Un metodo che è servito da modello per le musiche cinematografiche degli anni successivi. A quei tempi (dagli anni ’30 agli anni ’50) il commento musicale copriva quasi tutta la durata del film e risultava essere un po’ invadente, soprattutto sotto i dialoghi. Per fortuna la tendenza negli anni ’60, ’70 e ’80, è stata quello di avere una musica meno presente e di rispettare di più i dialoghi e gli effetti sonori. A mio parere la musica di John Barry per il remake di King Kong del 1976, era più interessante, perché aveva un’impronta più personale. A mio avviso Max Steiner, pur essendo un compositore di rilievo, non aveva uno stile altrettanto “individuale”. Quale funzione deve avere la musica nei film di genere? Quella di spaventare lo spettatore, questo è ovvio. Tuttavia ci sono anche delle altre possibilità, come quella della musica per contrasto, che può offrire delle soluzioni efficaci e inconsuete. Un esempio significativo è quello di Profondo rosso di Dario Argento: la musica, inizialmente affidata al jazzista Giorgio Gaslini, venne poi quasi totalmente sostituita da quella del gruppo rock Goblin. Nel film è rimasta una cantilena natalizia, scritta da Gaslini, che appare durante un flashback in cui viene inquadrata la madre della protagonista che uccide il marito durante le festività natalizie. Quella “innocente” cantilena, legata a un evento traumatico e al sangue sul coltello, dopo il delitto, provoca un profondo trauma nella giovane protagonista, che segnerà la sua esistenza portandola a commettere essa stessa dei crimini. Infatti è significativo che prima di ogni delitto la donna metta in funzione un registratore in cui è incisa la celebre cantilena natalizia, usandola come stimolo e incoraggiamento per commettere i delitti. Si tratta dunque sia di musica evocativa, che riporta ad un trauma vissuto in gioventù, sia di una musica per contrasto, ossia di

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una melodia serena ed infantile che non avrebbe, di per sé, una collocazione in una scena di violenza. Il grammatico del cinema Renato May affermava “Il sincronismo consiste in una sostanziale coincidenza dei fattori immagine e suono sul piano della tecnica (le sorgenti sonore sono rappresentate nel quadro) o sul piano dell’espressione (coincidenza di concetti: sincronismo ideologico), mentre l’asincronismo (musica per contrasto) rappresenta sul piano della tecnica i fattori immagine e suono in ritmi discordi (le sorgenti sonore sono scuse dai limiti del quadro, ma presenti nella scena) oppure, sul piano dell’espressione, un contrasto di concetti (o almeno una non coincidenza): asincronismo ideologico. I suoni poi, come le immagini, potranno riflettere un’interpretazione oggettiva del quadro, che si riferisca cioè a elementi del tutto estranei ai personaggi e alla vicenda, oppure un’interpretazione soggettiva del quadro, che si riferisca a elementi in tutto o in parte dipendenti dai personaggi o dalla vicenda”. Negli anni ’40 fino agli anni ’60, nei film di genere veniva spesso usato lo strumento “Theremin”, uno strumento particolare, inventato all’inizio del Novecento dall’ingegnere e musicista russo Lev Termen. Fu scoperto nel 1919, quando, all’età di ventitré anni, mentre stava in un laboratorio, intento a misurare la densità dei gas nel vuoto, Termen si rese conto che muovendo le mani nei pressi di questi apparecchi si produceva un fischio che variava di frequenza. Questo curioso strumento musicale, usato nei film horror, dava un sapore un po’ astratto alla musica, dando la sensazione di essere nelle vicinanze di un fantasma o di una presenza spiritica. Il Theremin venne usato anche nel film di Hitchcock Spellbound (1945), su musiche di Miklos Rozsa (un compositore importante, dallo stile personale, conosciuto soprattutto per le musiche di Ben Hur e di El Cid).

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James Bernard (1925-2001) Il compositore che per primo si è dedicato assiduamente ai film di genere è stato l’inglese James Bernard, che dal 1955 al 1989 ha scritto musiche per numerosi film horror della serie Hammer come The curse of Frankestein e Horror of Dracula, tutti diretti da Terence Fisher. Per il primo film della Hammer, The Curse of Frankenstein (1957) James Bernard ha usato alcune musiche che aveva originariamente composto per The Duchess of Malfi. A questo è seguito Dracula (1958), in cui il tema musicale era caratterizzato da un motivo basato sul suono Dra-cula, e successivamente The Kiss of the Vampire (1962), The Gorgon (1964), Dracula: Prince of Darkness (1966), The Plague of the Zombies (1966), The Devil Rides Out (1968), Dracula has Risen from the Grave (1968), Frankenstein must be Destroyed (1969), Frankenstein and the Monster from Hell (1974), The Legend of the 7 Golden Vampires (1974), The Hound of the Baskervilles (1959), The Stranglers of Bombay (1959), The Terror of the Tongs (1961), The Damned (1963), The Secret of Blood Island (1964) e She (1965). Ha anche scritto le musiche dei film di fantascienza The Quatermass Experiment di Val Guest e X the Unknown di Leslie Norman. Per il Quatermass Xperiment, Bernard aveva scritto una partitura per archi e percussioni. (A quei tempi John Hollingsworth era uno dei direttori principali del Royal Ballet alla Royal Opera House e quindi usava i musicisti dell’orchestra dell’Opera House). Questa colonna sonora anticipa di cinque anni quella di Bernard Herrmann per Psycho dove, per la prima volta, viene usata l’orchestra d’archi in maniera non convenzionale e anti-romantica, compreso l’uso di cluster e di stratagemmi e soluzioni tipiche della musica contemporanea atonale. Un tratto distintivo nelle partiture di Bernard nei film della “Hammer” è l’uso di armonie contrastanti, spesso create raddoppiando il tema un tono più alto, come nel suo famoso Tema di Dracula. La sua musica è

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a volte frenetica e a volte pacata, usando varie percussioni come i timpani. The Devil Rides Out (1968) e The Plague of the Zombies (1966) sono dei buoni esempi. A volte Bernard ha scritto melodie romanticamente ambigue, come quelle che appaiono in Frankenstein Created Woman (1967), Taste the Blood of Dracula (1970) e Scars of Dracula (1970). A differenza della maggior parte dei compositori di musiche per film, James Bernard ha orchestrato quasi tutti i suoi lavori, come farà poi anche Bernard Herrmann. Bernard Herrmann (1911-1975) Come già indicato nella prefazione, è stato il compositore più importante e le sue musiche sono servite da modello a diversi autori. Il primo film di genere per il quale Herrmann lavora è Citizen Kane (1941) di Orson Welles, per il quale scrive le musiche prima che inizino le riprese del film, al quale seguono The Day the Earth Stood Still (1951) di Robert Wise, On Dangerous Ground (1951) di Nicholas Ray e 5 Fingers (1952) di Joseph Mankiewicz. La collaborazione con Alfred Hitchcock inizia con The Wrong Man (1956) e prosegue con Vertigo (1958), North by Northwest (1959) e Psycho (1960). Scrive le musiche del film fantastico Jason and the Argonauts (1963) di Don Chaffey, della serie Tv The Twilight Zone (1959-1964) di Rod Serling e dei film The Night Digger (1971) di Alastair Red, Endless Night (1972) di Sydney Gilliat, Sisters (1972) e Obsession (1976) di Brian De Palma e Taxi Driver (1976) di Martin Scorzese. Il critico statunitense Steve Vertlieb, ha scritto un articolo molto interessante, in cui analizza il sodalizio tra Alfred Hitchcock e Bernard Herrmann, soprattutto per Vertigo - La donna che visse due volte e Psycho:

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Psycho (1960)

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“Nel 1958 Alfred Hitchcock creò il suo capolavoro, Vertigo. Basato sul romanzo D’Entre les Morts di Pierre Boileau e Thomas Narcejac Vertigo era, di per sé, una variazione moderna del mito di Tristano su cui Richard Wagner aveva basato la sua opera, Tristano e Isotta. Una storia di amore, ossessione e passione per una donna che va oltre i fragili confini che separano la vita e la morte, Vertigo divenne il culmine delle paure cinematografiche e della vulnerabilità di Alfred Hitchcock, ma anche di quelle di Bernard Herrmann. Un detective privato viene assunto da un vecchio compagno del college per scovare sua moglie che, egli teme, sia posseduta dallo spirito tormentato della sua bisnonna, Carlotta Valdez, una vittima suicida. Alla fine si innamora appassionatamente dell’enigmatica e inquietante giovane donna e cerca invano di impedire che il suo triste destino si compia. Il detective, un ufficiale di polizia in pensione, lotta con i suoi demoni personali, soffrendo di una paura irragionevole per l’altezza (vertigini), dopo aver assistito impotente alla morte di un ufficiale caduto mentre inseguiva un criminale. Ferguson (James Stewart) segue la reincarnata Carlotta-Madeleine in una vecchia villa spagnola dove sale i gradini della torre e si lancia nel vuoto, cadendo sulla strada sottostante. Colpito da un esaurimento nervoso, il detective sente il peso di due morti sulla coscienza. Vagando per le strade di San Francisco in depressione e acuta malinconia, Ferguson vede un’altra donna che, con qualche aggiustamento di capelli, vestiti e trucchi, potrebbe rassomigliare alla perfezione al suo amore perduto. Fa la sua conoscenza e prega Judy (Kim Novak) di vestirsi e comportarsi come Madeleine. Stranamente, è d’accordo, e il mondo di Ferguson sembra prendere di nuovo vita fino a quando un giorno in cui Judy per caso si mette la collana che indossava Carlotta Valez e Ferguson si rende conto che lei è la stessa donna. Il suo vecchio amico del college, consapevole delle vertigini del detective, uccide sua moglie e assume Judy per interpretarla, creando uno scenario perfetto per l’inganno, il che porta al momento cruciale in cui scaglierà il suo corpo

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senza vita dalla torre. ‘Scottie’ trascina Judy sulla scena del crimine dove vince la sua paura per l’altezza e alla fine sale le scale. Con orrore Judy indietreggia, cade e muore, questa volta per davvero”. Frainteso e sottovalutato dal pubblico americano al momento dell’uscita, Vertigo è considerato dalla maggior parte dei critici di oggi non solo il più grande lavoro di Hitchcock, ma uno dei più grandi film mai girati. Sia l’immagine che la colonna sonora di Bernard Herrmann sono gioielli preziosi. La musica di Herrmann per il film è quasi esuberante nell’esprimere l’angoscia mortale e la redenzione dell’amore. Il profondo desiderio di amore e di accettazione di Herrmann è a dir poco evidente nella musica ossessivamente adorabile, struggente e squisitamente dolorosa che “accarezza” il film. Wagneriana nella sua intensità, la musica di Vertigo è al tempo stesso sorprendente e tortuosa. La sua bruciante sensibilità è impressionante e mette a nudo le doti del compositore e la sua “vulnerabilità”. Un “ritratto” triste e bello, dipinto da un grande artista. Bernard Herrmann credeva che la musica cinematografica avesse la stessa importanza di quella scritta per la sala da concerto, mettendo a disposizione il suo talento a film, serie televisive, musiche per programmi radiofonici, opere e concerti. Rifiutava il termine “compositore da film” e se anche ci fosse stata una differenza qualitativa che distingueva le colonne sonore dalle musiche da concerto, gli atteggiamenti snob dei critici li riteneva assurdi. Per lui c’erano solo due tipologie di musiche: buona e cattiva. Tutta la musica di Herrmann apparteneva alla prima categoria. Un anno prima di Vertigo, il compositore ebbe la terza delle sue tre importanti collaborazioni cinematografiche: la prima con Orson Welles, poi con Alfred Hitchcock e, infine, con Ray Harryhausen, il leggendario mago degli effetti speciali, in “Stop Motion”. A partire dal 1957, con Il settimo viaggio di Sinbad e attraverso I tre mondi di Gulliver, Mysterious Island e Jason And The Argonauts,

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Psycho (1960)

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Herrmann sembrò trovare nell’immaginario Harryhausen un altro spirito affine e uno sfogo per il suo spirito in ascesa, uno spirito riluttante e incapace di essere contenuto in vincoli terreni o mortali. Il gentile e sensibile Harryhausen offrì una nuova dimensione al compositore, un mondo in cui i suoi confini musicali erano segnati con amore, un meraviglioso mondo fantastico in cui la sua immaginazione poteva felicemente prendere il volo attraverso scene mitologiche, scheletri, mostri ciclopici e draghi sputafuoco. Nel 1960 la Paramount Pictures distribuì quello che sarebbe diventato Alfred Hitchcock. I critici dell’epoca giudicarono il film scadente, indegno delle capacità artistiche del vecchio regista. Il pubblico non fu d’accordo e Psycho conquistò le platee di tutto il mondo. La Paramount trovò il film disgustoso e disdicevole, obiettando le tematiche legate all’ omicidio, l’incesto e la sessualità deviante. Hitchcock voleva girare Psycho in bianco e nero per motivi sia artistici che economici. Dopotutto, un film horror di colore “gotico” avrebbe distrutto il senso di “altre realtà”. Psycho era basato sul romanzo di uno degli scrittori di suspense e fiction più celebrati d’America, Robert Bloch. Quest’ultimo era un uomo dolce, spiritoso e gentile che, fin dagli anni ’30, era stato annoverato tra i maggiori scrittori di letteratura horror. Quando venne pubblicato Psycho, le sue perversioni oscure e argute attrassero Alfred Hitchcock. Sebbene lo sceneggiatore Joseph Stefano abbia, negli anni, rivendicato o ottenuto il merito della narrativa di Psycho, il regista affermava sempre nelle interviste che la sua versione “era il novanta per cento del film”. Hitchcock aveva realizzato Psycho con un budget e calendario di produzione televisivi, completando le riprese con una troupe televisiva in sole cinque settimane. Al completamento della fotografia, lo stesso Hitchcock aveva iniziato a nutrire seri dubbi sulla qualità del film. Sembrava in qualche modo piatto e senza vita, e per un certo periodo aveva pensato seriamente di ridurre il film a un’ora e di distribuirlo come film

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televisivo, o insieme ad altri episodi come serie TV. Quando Bernard Herrmann vide il film, ne intuì le possibilità più profonde e chiese al regista di affidargli il film mentre lui partiva in vacanza. Hitchcock accettò ma chiese un solo favore a Herrmann, di non prendere in considerazione la sequenza della doccia, preferendo che l’omicidio fosse illustrato solo dal suono solitario della doccia. Quando Hitchcock tornò dalle vacanze, guardò il film con l’ aggiunta della musica. A causa di un budget contenuto, Herrmann fu costretto ad utilizzare solo un’orchestra d’archi, senza l’aggiunta di altri strumenti. (Il compositore rimarcò in seguito che un film in bianco e nero richiedeva la semplicità di una partitura in bianco e nero). Herrmann, tuttavia, ignorò le istruzioni di Hitchcock di non musicare la sequenza della doccia, confidando di avere abbastanza rispetto da parte del suo datore di lavoro rischiando però le ire del leggendario regista. Quando Hitchcock vide la scena completa con i violenti glissandi di Herrmann, sulle urla di Janet Leigh, insieme al coltello di Anthony Perkins, fece un cenno di approvazione. “Ma Hitch,” chiese Herrmann “pensavo che non volessi musica durante la sequenza della doccia”. Hitchcock rispose: “suggerimento improprio, ragazzo mio, suggerimento improprio”. La colonna sonora di Psycho è un capolavoro sinfonico originale ed efficace. Hitchcock spesso proclamava agli intervistatori che “tre quarti” del successo di Psycho era dovuto alla musica di Bernard Herrmann. La partitura del film merita di essere analizzata attentamente perché presenta delle soluzioni innovative e molto efficaci. Per la celebre scena della doccia il compositore inizia con dei violini che suonano sulle note acute dei “trilli” insistenti e minacciosi per poi lasciare spazio ai violoncelli e ai contrabbassi, dopo che il corpo della vittima cade a terra. Questo contrasto tra le note molto acute dei violini e le note molto basse dei violoncelli e contrabbassi da un sapore molto particolare alla musica. Per questo film il compositore aveva deciso di usare solo un’orchestra d’archi. Scelta coraggiosa e raffinata.

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John Williams (1932) John Williams durante la sua ricca carriera artistica ha avuto varie occasione di cimentarsi con i film di genere: Images di Robert Altman (1972), pellicola borderline per il quale ha scritto una musica contemporanea molto interessante, Sugarland Express (1974), la sua prima collaborazione con Steven Spielberg, The Eiger Sanction di Clint Eastwood (1975), un thriller ambientato nelle montagne, con un tema melodico stile jazz, dei temi orchestrali “classici” e una ripresa del tema per tromba e archi, Jaws di Steven Spielberg (1975), un tema geniale ed efficace, che inizia con due note, poi si ferma, riprende e poi lentamente inizia ad accelerare. Per questo film Williams ha scritto anche una fuga per archi, per la scena in cui i tre protagonisti danno la caccia allo squalo. Star Wars di George Lucas (1977), celebre saga di fantascienza, alla quale seguiranno molti sequel e prequel, con un tema sinfonico roboante e un’orchestrazione ricca e colorita. Il brano più efficace di Star Wars è probabilmente la marcia di Dark Vader, Close Encounters di Spielberg (1977), The Fury di Brian De Palma (1978), un’eccellente partitura sinfonica, eseguita dalla London Symphony Orchestra, con un tema solenne, ripreso in alcuni momenti del film, un secondo tema per la protagonista, Gillian e l’uso del Theremin nelle scene parapsicologiche, Dracula di John Badham (1979), un tema corposo e sensuale e musiche di tensione, ET di Steven Spielberg (1982), un film di fantascienza con temi musicali molto piacevoli e avventurosi, AI di Steven Spielberg (2001), ancora un film di fantascienza sensibile e commovente, con una musica per coro e archi altrettanto sensibile e commovente e War of the Worlds sempre di Spielberg (2005).

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Jerry Goldsmith (1929-2004) Insieme a Williams, è stato uno dei compositori di musiche per film più importanti. Si è cimentato molto spesso nei film di genere, vincendo un Oscar per il film horror, The Omen di Richard Donner, (1976) con Gregory Peck. Una partitura per coro e orchestra ricca di pathos e in perfetta sintonia con la trama del film. Planet of the Apes di Franklin Schaffner (1968), una musica estremamente moderna e sperimentale, Escape from the planet of the Apes di Don Taylor (1971), The Mephisto Waltz (1971) di Paul Wendkos, Damnation Alley (1977) di Jack Smight, Logan’s Run (1976) di Michael Anderson, del quale ho già parlato, una musica eccellente che gioca sul contrasto tra musica elettronica e musica orchestrale, Capricorn One (1977) di Peter Hyams, splendida partitura corposa ma anche delicata, Cassandra Crossing (1977) di George Pan Cosmatos, Damien II di Don Taylor (1978), The Boys from Brazil (1978) di Franklin Schaffner, un film di fantapolitica che descrive un esperimento da parte di un gruppo di neonazisti per creare un nuovo Hitler in un ambiente familiare simile a quello in cui aveva vissuto il dittatore. Una musica con influenze dello stile di Strauss, efficace. Coma un film di Michael Crichton (1978) tratto dal suo romanzo, con Michael Douglass, con una musica di tensione estremamente efficace, che da un senso di instabilità e di ansia, alternata ad un tema d’amore più “tradizionale”. The Swarm (1978) di Irwin Allen, Star Trek di Robert Wise (1979), il film tratto dalla celebre serie Tv di fantascienza, con un tema solenne e percussioni particolari per la scena della battaglia spaziale. Alien (1979) di Ridley Scott, una partitura estremamente raffinata, con un tema lento e misterioso, eseguito con la tromba e gli archi e varie musiche di tensione, Outland di Peter Hyams (1981), Poltergeist di Tobe Hooper (1982), Psycho II (1983) di Richard Franklin, Gremlins di Joe Dante (1984), un tema ironico e incalzante, Runaway di Michael Crichton (1984), Leviathan di George Pan Cosmatos (1989), inciso a Roma, con

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Basic Instinct (1992)

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l’orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Warlock di Steve Miner (1989), Total Recall di Paul Verhoeven (1990) con Arnold Schwarzenegger, film di fantascienza con una musica di buon livello, ma meno efficace di altri suoi lavori, Sleeping with the Enemy (1991), di Joseph Ruben, Basic Instinct di Paul Verhoeven (1992), eccellente partitura sensuale e raffinata, ricca di pathos e mistero. The Vanishing di George Sluizer (1993), Malice (1993), di Harold Becker, The Shadow (1994), di Russell Mulcahy, Chain Reaction di Andrew Davis (1996), LA Confidential di Curtis Hanson (1997), The Edge di Lee Tamahori (1997), Deep Rising di Stephen Sommers (1998), The Haunting di Jan De Bont (1999), oltre a vari sequel di Star Trek. Il critico Maurizio Dupuis ha pubblicato un interessante saggio su Jerry Goldsmith (Robin edizioni), nel quale ha analizzato anche alcuni dei suoi lavori per i film di fantascienza. “Per Goldsmith la science fiction equivale per buona parte alla partecipazione a cinque film della saga di Star Trek... I titoli importanti nel genere sono parecchi, primi fra tutti Planet of the Apes e Alien. Il compositore si esprime così per descrivere il suo approccio a questo genere cinematografico: “Per i film di fantascienza ripenso ai miei primi tempi in televisione, quando feci The Twilight Zone. Mi piace fare quel tipo di film perché sono ricchi di fantasia. Come compositore mi davano un’ampia scelta, potevo fare quello che volevo. Il mio stile d’avanguardia culminò in Planet of the Apes, dove potevo fare l’impossibile e creare ciò che volevo. Più diventava sperimentale e più il regista era contento. Avevo carta bianca. Poi feci Logan’s run e Alien, oltre a molti altri”. “Per Planet of the Apes Goldsmith compie un’operazione simile a quella per Freud (1962), ossia propone un linguaggio musicale avanguardistico lontano dallo stereotipo corrente. Prima d’allora il cinema di fantascienza aveva prediletto al massimo atmosfere ‘sospese’, come ad esempio nella partitura di Bernard Herrmann per The Day the Earth Stood Still (1951), Ultimatum alla Terra, di Robert Wise. Mentre in

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questo caso la ricerca musicale giunge a utilizzare il parametro timbrico in modo del tutto nuovo per la musica cinematografica... Al cinema di fantascienza si avvicina sostanzialmente secondo due direttrici: una è scrivere un tipo di musica con una struttura a motivi di reminiscenza, che tornino lungo la durata di un film, o di una saga come quella di Star Trek, in vesti diverse a seconda della situazione rappresentata sullo schermo, seguendo cioè lo sviluppo drammaturgico. La seconda è quella per cui si da maggior importanza all’atmosfera del film, e la partitura viene quindi strutturata per brevi cellule - motiviche, armoniche, ritmiche - non univocamente associate a un personaggio, situazione o luogo. Le cellule vengono immerse in un “magma” che il più delle volte appare slegato dalle immagini per cui è stato creato e può suscitare monotonia e “mancanza di centro”, ma il cui scopo è appunto quello di disorientare lo spettatore. Utilizza questo secondo metodo in alcuni film di fantascienza di discreto successo. Uno di questi rappresenta il caposaldo della sua carriera - anche musicale in senso stretto - ossia Planet of the Apes. Altri due titoli che presentano simili modalità compositive, sia pure con risultati musicali di diversa natura, si situano vicini tra loro nel tempo: Alien (1979) e Outland (1981) di Peter Hyams. La prima partitura è coeva a quella per Star Trek, the Motion Picture ma ne è agli antipodi dal punto di vista del linguaggio musicale... accomunabili dal punto di vista stilistico, fanno parte di un tipo di narrazione musicale meno appariscente e allo stesso tempo creatrice di un mondo sonoro ‘soffocante’ e che, per sua stessa natura, ha l’obiettivo di provocare angoscia e incertezza. Più che basarsi sull’evoluzione della trama, nella seconda tipologia - quella atmosferica - ci si pone di fronte allo stato psicologico della situazione e dei personaggi... In Planet of the Apes il punto di forza è innanzitutto l’orchestrazione, eterodossa e sperimentale. In molte parti del film la composizione musicale è seriale - come lo stesso Goldsmith afferma - anche se si può dire si tratti di dodecafonia libera piuttosto di serialità rigorosa, la quale prevederebbe schemi più

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rigidi. Quindi non c’è traccia di motivi intesi in senso convenzionale, ma brevi cellule ritmico-timbriche sono gli unici riferimenti per l’ascoltatore... nell’esposizione del pezzo di apertura del film, il main title, è evidente l’assenza di un motivo musicale centrale, mentre viene privilegiata la rarefazione degli interventi in brevi incisi... Da principio il pianoforte espone in modo ribattuto il mi bemolle grave con un ritmo sempre più veloce, a cui segue un glissando del bass slide whistle, un particolare tipo di fischietto, alla ripetizione seguente della figurazione del pianoforte rispondono vari strumenti a percussione, come i timpani, l’angklung, il gong (suonato con un oggetto di metallo), e assieme a loro anche violoncelli e contrabbassi... La divisione degli interventi in brevi incisi degli strumenti è una delle caratteristiche di questa partitura. L’altra è l’emissione non convenzionale del suono da parte di alcuni strumenti a fiato, oltre all’uso di percussioni di vario tipo... Solo in Alien e Outland, distanti poco più di un decennio da Planet of the Apes, viene usato un linguaggio musicale in qualche modo più etereo e..indeterminato, che mette in evidenza, nonostante l’apparente calma, l’ansia che lo spazio trasmette”. Maurizio Dupuis cita e analizza anche la musica di Logan’s Run, del quale abbiamo già parlato: “Nel 1976 Goldsmith si cimenta in un’altra partitura legata a un film di genere futuristico: Logan’s Run (La fuga di Logan di Michael Anderson)… Il brano che apre il film, The Dome, si costruisce a poco a poco conducendo ad un crescendo che ricorda il celeberrimo inizio del poema sinfonico Also Spreach Zarathustra op. 30 di Richard Strauss... La musica si rispecchia nella visione sterile e poco passionale della vita di questa città del futuro scegliendo per gran parte un linguaggio atonale, con effetti elettronici usati per creare la sensazione di un ambiente - anche emotivo - totalmente asettico. I due pezzi che meglio denotano la partitura sono The Monument, un brano di otto minuti - sorta di suite caratterizzante l’intera partitura - e il pezzo finale End of the City, che vuole essere una catarsi musicale nel momento in

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cui i protagonisti scoprono la speranza di una vita diversa da quella programmata”. Gary Kesler, nella sua breve analisi del cinema di fantascienza goldsmittiano, ritrova certe aderenze al repertorio sinfonico. End of the City è così descritto da Kesler: “Il risvolto teso, significativamente espresso da Goldsmith con un libero atonalismo, lascia il posto verso la conclusione ad una melodia tradizionalmente intesa sostenuta dall’organico di archi, arpa e legni, proprio nel momento in cui i cittadini superstiti, uscendo dalla città dell’aria filtrata e della luce artificiale, scoprono per la prima volta un mondo non sintetico (...) A un magma sonoro liberamente atonale e di stretta aderenza alle sensazioni e alle situazioni descritte dalle immagini, vengono contrapposte oasi più liriche, di certo sapientemente orchestrate e ben costruite... Goldsmith qualche volta si mostra contrariato su come vengono gestiti i finali, dandone una propria interpretazione musicale diversa da quella voluta dal regista, è il caso già citato di Alien, di tre anni successivo a Logan’s Run”. Dupuis descrive minuziosamente la strumentazione usata da Goldsmith in Alien. “In questo film Goldsmith usa tecniche non tradizionali in quanto a linguaggio musicale. Riguardo la strumentazione, lui e Morton lavorano molto con gli archi, ma ciò che colpisce in questa partitura è l’impiego di inusuali - per l’orchestra sinfonica - strumenti a fiato di tradizione etnica: il Didjeridoo, lo strumento aborigeno per antonomasia, lo Shaum, un legno della famiglia degli oboi di origine mediorientale (Nella partitura per Alien questo appartenente alla famiglia dei legni è presente nel brano Face Hugger in the Lab - quando la creatura è sottoposta ad analisi dopo essersi attaccata al casco dell’astronauta Kane e nel brano The Droid, quest’ultimo cassato per gran parte nel missaggio finale), l’obsoleto Serpentone, il Conch o Shell turate, un fiato ricavato dal guscio di una conchiglia… Per Alien Goldsmith scrive, su richiesta del regista, un nuovo pezzo per i titoli di testa, di fattura molto più avanguardistica rispetto all’originario (che era un pezzo tutto som-

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mato convenzionale, ma con un notevole solo di tromba). Qui il serpentone fa la sua comparsa in due momenti e per due battute ogni volta, ma sarà in brani successivi che il suo timbro - assieme a quello del didjeridoo - genererà il ‘grugnito’ dell’alieno... distintamente presentato nel brano Breakaway, precisamente nella sezione che comincia a 1.21 dall’inizio. In altre circostanze, come in Face Hugger e The Droid, il serpentone si affaccia col suo timbro freddo. In The Shaft è ben presente apparendo costantemente... Goldsmith usa il Conch (Shell trumpet) all’inizio dell’avanguardistico pezzo per la nuova versione dei titoli di testa facendogli suonare in due occasioni una figurazione di quattro note staccate, sempre un fa#, dal momento che la maggior parte di questi strumenti può emettere una singola ‘altezza’”. John Barry (1933-2011) John Barry è stato il compositore inglese di musiche per film più importante. Ha iniziato un percorso come jazzista per poi iniziare la scrittura di colonne sonore, con uno stile molto personale, semplice ma estremamente pragmatico ed espressivo. Sono sue le musiche della maggior parte dei film di 007, come From Russia with Love di Terence Young (1963), Goldfinger di Guy Hamilton (1964), Thunderball di Terence Young (1965), You Only Live Twice di Lewis Gilbert (1967), On Her Majesty’s Secret Service di Peter R. Hunt (1969), Diamonds are Forever di Guy Hamilton (1971), The Man with the Golden Gun di Guy Hamilton (1974), Moonraker di Lewis Gilbert (1979), Octopussy di John Glen, (1983), A View to a Kill di John Glen (1985) e The Living Daylights di John Glen (1987), Ha scritto la musica di King Kong di John Guillermin (1976) (La musica di Barry dei titoli di testa inizia con gli archi e gli ottoni, per poi lasciare il posto ad un organo da chiesa, che aggiunge un elemento sacrale alla partitura. Questo per sottolineare

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come “Kong” fosse ritenuto dagli abitanti dell’isola dove viveva, una sorta di divinità. La partitura alterna poi un tema d’amore molto bello, a momenti di tensione e a musiche d’azione), The Killer Memorandum di Michael Anderson (1966), (per il quale ha usato lo strumento a percussione ungherese cymbalum), The Chase (1966) di Arthur Penn (1966), Deadfall di Bryan Forbes (1968) (per il quale scrive un bellissimo concerto per chitarra e archi, usato in una scena del film, nella quale si vede lo stesso Barry che dirige durante un concerto la sua composizione, eseguita da una celebre chitarrista spagnola e da un’orchestra sinfonica. Quindi una musica che svolge sia una funzione diegetica che extra diegetica), Star Crash di Luigi Cozzi (1978), The Black Hole di Gary Nelson (1979), un film di fantascienza prodotto dalla Walt Disney, con una musica ipnotica che accompagna i viaggi nello spazio, attraverso il “buco nero”, Masquerade di Bob Swaim (1988), The Specialist di Luis Losa (1994), Mercury Rising di Harold Becker (1998), Enigma di Michael Apted (2001). Christopher Young (1957) Chistopher Young è un ottimo compositore che si è dedicato frequentemente ai film di genere, sempre con risultati di alto livello. Noto per la serie dei film Hellraiser, per i quali ha scritto partiture per coro e orchestra, fino a Drag me to Hell (2009) di Sam Raimi, una bella pagina per violino e orchestra, dal sapore zigano (il film parla di una “strega” gitana che perseguita una giovane donna). Per Twisted di Philip Kaufman (2004), ha scritto un tema denso di pathos e molto misterioso. The Exorcism of Emily Rose (2005) è un lavoro interessante del regista Scott Derrickson. The Grudge (2004), film horror di Takashi Shimizu, The Glass House (2001) di Daniel Sackeim.

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Fernando Velázquez (1976) Un compositore spagnolo che ha avuto diverse occasioni per occuparsi di film di genere come Bosque des ombras (2006) di Koldo Serra, The Orphanage (2007) di J.A. Bayona, La Zona (2007) di Rodrigo Plà, Eskalofrio (2008) di Isidro Ortiz, Las manos del pianista (2008) di Sergio G. Sánchez, Sexy killer, morosa por ella (2008) di Miguel Marti, El mal ajeno (2010) di Oskar Santos, Los ojos de Julia (2010) di Guillem Morales, Devil (2010) di John Erick Dowdle (un film horror statunitense con un commento musicale efficace), Babycall (2011) di Pål Sletaune, Lo imposible (2012) di J.A. Bayona, Uskyld (2012) di Sara Johnsen, Mama (2013) di Andy Muschietti, Los ultimos dias (2013) di David e Alex Pastor, Out of the Dark (2014) di Lluis Quilez, Crimson Peak (2015) di Guillermo Del Toro, Pride and Prejudice and Zombies (2016) di Burr Steers, Contrattempo (2016) di Oriol Paulo, El guardian invisible (2017) di Fernando Gonzalez Molina, Submergence (2017) di Wim Wenders, Marrowbone (2017) di Sergio G. Sanchez, 70 Binladens (2018) di Koldo Serra. Ennio Morricone (1928) Ennio Morricone ha avuto diverse occasioni di lavorare sui film thrillerhorror per i quali ha scritto delle partiture interessanti. Il primo lavoro per un thriller d’autore è stato Un tranquillo posto di campagna (1968) di Elio Petri, al quale seguono le musiche de primi tre film di Dario Argento, L’uccello dalle piume di cristallo (1970), Il gatto a nove code (1974) e Quattro mosche di velluto grigio (1971). Tre partiture sperimentali molto efficaci e adatte ai film del regista romano. Nel primo film ha usato un linguaggio dodecafonico, nel secondo un tema con una voce di bambina, brani sperimentali dal sapore jazz, con basso elettrico

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e spazzole della batteria, nel terzo una musica astratta e moderna. Ha poi lavorato di nuovo con Argento per La sindrome di Stendhal (1996) e Il fantasma dell’opera (1998), con risultati, a mio avviso, interessanti ma meno convincenti dei primi tre film di Argento. Ha anche scritto le musiche di Una lucertola con la pelle di donna (1971) di Lucio Fulci, Con gli occhi freddi della paura (1971) di Enzo Castellari, La tarantola dal ventre nero (1971) di Paolo Cavara, Sans motif apparant (1971) di Philippe Labro, La corta notte delle bambole di vetro (1971) di Aldo Lado, Mio caro assassino (1972) di Tonino Valerii, La violenza: Quinto potere (1972) di Florestano Vancini, Il diavolo nel cervello (1972) di Sergio Sollima, Cosa avete fatto a Solange (1972) di Massimo Declamano, Revolver (1973) di Sergio Sollima, Spasmo (1974) di Umberto Lenzi, Le trio infernal (1974) di Francis Girod, Le secret (1974) di Robert Enrico, L’Anticristo (1974) di Alberto De Martino, L’ultimo treno della notte (1975) di Aldo Lado, Der richter und sein Henker (1975) di Maximilian Schell, The Human Factor (1975) di Edward Dmytryk, Exorcist II - The Heretic (1977) di John Boorman, per il quale ha scritto un bellissimo tema d’amore (Reagan’s Theme), una musica frenetica per voci e orchestra (Pazuzu), e musiche inquietanti, Orca (1977) di Michael Anderson (un’eccellente partitura, con un tema per archi molto commovente e musiche di tensione estremamente efficaci per le scene subacquee e le scene drammatiche con l’orca, Autostop rosso sangue (1977) di Pasquale Festa Campanile, Holocaust 2000 (1977) di Alberto De Martino, L’umanoide (1979) di Aldo Lado (per questo film di fantascienza italiano ha scritto una musica elettronica e orchestrale astratta e personale e una fuga in stile classico, eseguita con suoni elettronici insieme all’orchestra. Bloodline (1979) di Terence Young, The Island (1980) di Michael Ritchie (una partitura dal sapore esotico e misterioso, Copkiller (1883) di Roberto Faenza, The Thing (1982) di John Carpenter (una bella partitura, in bilico tra una scrittura atonale per archi e una musica elettronica un po’ nello stile della mu-

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siche dello stesso Carpenter), Les voleurs de la nuit (1984) di Samuel Fuller, Control (1987) di Giuliano Moltaldo, Frantic (1988) di Roman Polanski (una musica, su richiesta dello stesso regista, un po anni ’80, con l’uso del basso elettrico e della ritmica insieme all’orchestra d’archi), Legami (1989) di Pedro Almodovar (partitura interessante), Money (1991) di Steven Hilliard Stern, Una pura formalità (1994) di Giuseppe Tornatore, Wolf (1994) di Mike Nichols (una partitura con echi di lavori precedenti come La piovra), Disclosure (1994) di Barry Levinson, U-Turn (1997) di Oliver Stone, Mission to Mars (2000) di Brian De Palma, Ripley’s Game (2002) di Liliana Cavani, E ridendo l’uccise (2005) di Florestano Vancini, La sconosciuta (2006) di Giuseppe Tornatore. Riz Ortolani (1926-2014) Un compositore noto soprattutto per musiche melodiche sentimentali, ha avuto occasione di confrontarsi con il genere thriller-horror, a volte, con risultati interessanti. Il primo lavoro per i film di genere è stato La vergine di Norimberga (1963) di Antonio Margheriti (una partitura dal sapore jazz). A questo seguono Danza macabra (1964) di Sergio Corbucci e Antonio Margheriti, Nella stretta morsa del ragno (1974) di Antonio Margheriti, L’etrusco uccide ancora (1972) di Armando Crispino, Sette orchidee macchiate di rosso (1972) di Umberto Lenzi, Non si sevizia un paperino (1972) di Lucio Fulci, La morte negli occhi del gatto (1973) di Antonio Margheriti, Passi di morte perduti nel buio (1977) di Maurizio Pradeaux, La ragazza dal pigiama giallo (1977) di Flavio Mogherini, Enigma rosso (1978) di Alberto Negrin, Cannibal holocaust (1980) di Ruggero Deodato, La casa sperduta nel parco (1980) di Ruggero Deodato, Zeder di Pupi Avati, Killer crocodile (1989) di Fabrizio De Angelis, Killer crocodile 2 (1990) di Giannetto De Rossi.

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La musica nel cinema thriller

Body Double (1984)

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MARCO WERBA

LA MUSICA NEL CINEMA THRILLER

© Edizioni Falsopiano - 2019 via Bobbio, 14 15121 - ALESSANDRIA www.falsopiano.com Progetto grafico e impaginazione: Daniele Allegri Copertina: Luis Miguel Rojas L’immagine di Dario Argento e Marco Werba riprodotta in terza di copertina è di Lorenzo Muscoso, che l’editore ringrazia per la cortesia Prima edizione - Luglio 2019


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