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Floris di Mario A. Rumor
Il cinema di Paul Verhoeven
La serie televisiva dei destini incrociati. Floris (1969)
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di Mario A. Rumor
Quando la televisione nasceva pressoché in studio, in bianco e nero e con soggetti tutto sommato addomesticati a budget risicati, in Olanda fa la sua comparsa una serie per ragazzi ambientata nel tardo medioevo che pare un omaggio raffazzonato a Robin Hood, ma in realtà è qualcosa di più. Si intitola Floris ed è trasmessa da NTS, la rete pubblica, oggi diventata NTR. L’anno è quello dello sbarco sulla luna, il 1969, eppure quello scricciolo di televisione riesce a tenere gli occhi del pubblico incollati a terra, mentre si susseguono sullo schermo combattimenti con la spada, inseguimenti a cavallo ed espedienti di ogni sorta per battere gli avversari del protagonista, un nobile spogliato dei suoi beni. Il successo di Floris è senza precedenti, nel senso che la televisione olandese mai aveva sperimentato qualcosa di simile, lasciandosi di solito ammaliare da serial di analogo tenore ma prodotti nel vicino Belgio. Un successo che era stato capace di riunire davanti al televisore giovani e adulti. In onore alla serie e al suo indimenticato eroe, il Museum of the 20th Century di Hoorn, in Olanda, ha allestito addirittura una mostra su Floris a settembre 2019, nata grazie alla collaborazione di Jaap Kooimans, autore dell’ unico libro dedicato “all’eroe della giovinezza” Floris: “Floris. Het complete verhaal achter de succesvolle televisieserie” (“Floris. La storia completa della fortunata serie televisiva” , Dato, 2018).
Al di là della sua veste ultrapopolare e l’ammissione nelle teche televisive, Floris è memorabile anzitutto per una ragione pratica. Rappresenta infatti l’incontro tra un regista alle prime armi, un attore ventiquattrenne senza particolare talento e un insegnante passato alla scrittura che sognava di scrivere per il cinema. Paul Verhoeven ha 29 anni quando riceve in seconda battuta la proposta di dirigere una serie televisiva per la rete di stato: si era rivelato autore di apprezzati docu-
Antonio Pettierre e Fabio Zanello
mentari negli anni di formazione all’accademia cinematografica e sembrava non possedere lo snobismo di quanti all’epoca consideravano la televisione un mezzo di espressione inferiore al cinema e al teatro (come farà il primo candidato al ruolo di regista di Floris, vale a dire Frans Weisz). L’attore si chiama invece Rutger Hauer e, prima della chiamata di Floris, recitava in una minuscola compagnia teatrale itinerante, la Noorder Compagnie, grazie alla quale lui e la moglie Ineke riuscivano a malapena a sbarcare il lunario pur portando in scena un repertorio di classici (Shakespeare e Molière) e qualche autore moderno (Eugène Ionesco). Gerard Soeteman, che era stato insegnante e spesso aveva allestito commedie teatrali, è già a buon punto come autore e produttore televisivo: in quegli anni aveva anche realizzato brevi documentari sulla vita in provincia, conoscendo in tal modo Hauer e la Noorder Compagnie. Mancano pochi anni ancora alla formulazione liberatoria e furiosa di Fiore di carne (Turks Fruit, 1973), il film da lui scritto e diretto per l’appunto da Verhoeven che lo catapulterà nell’olimpo degli scrittori olandesi per il cinema. Floris, senza pentimento, è un tassello integrante di quell’olimpo creativo dal quale, a 83 anni, egli non è ancora sceso. La sodale collaborazione dei tre va inquadrata come anticamera alle rispettive carriere cinematografiche, che tradotte in numeri equivale a ben tredici pellicole scritte da Soeteman e dirette da Verhoeven, alcune delle quali interpretate da Rutger Hauer. Col senno di poi, e con l’immagine primigenia e forse naïf di Floris, il loro insediamento nell’industria dello spettacolo appare una girandola vorticosa in cui numerosi temi affrontati nella serie televisiva finiscono riacciuffati, ampliati, esacerbati o privati di quell’ingenuità giovanile in film come Soldato d’Orange (Soldaat van Oranje, 1977) e soprattutto L’ amore e il sangue (Flesh+Blood, 1985) il cui protagonista Martin è sempre stato considerato dal suo interprete Rutger Hauer una versione matura e più cruda di Floris. L’ amore e il sangue in particolare si paleserà quale estradizione in piena regola del simpatico personaggio televisivo; tra l’altro Hauer lo aveva girato praticamente in contemporanea all’altro suo più celebre film ambientato nel medioevo: Ladyhawke (1985). Una simile
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abbuffata di quel periodo storico si rivela essere anch’essa frutto di fortunati incroci e coincidenze: l’interesse di Verhoeven per il medioevo; il desiderio di un produttore nel coinvolgere il regista in un film simile, ma per un pubblico adulto, grazie alla fortuna di Floris. D’altra parte, non va dimenticato che Gerard Soeteman per documentarsi e scrivere la serie aveva scelto come testo principe nientemeno che il classico di Johan Huizinga, “Autunno del Medioevo” .
C’è un punto inoppugnabile nella genesi del progetto di Floris. Rutger Hauer la pone con drastica lucidità nella sua autobiografia “All Those Moments” (Harper Entertainment, 2008), scritta assieme a Patrick Quinlan: la televisione olandese negli anni Sessanta a malapena esisteva e ciò che veniva prodotto era a dir poco pietoso.Tre canali e una programmazione da fame. Ma bastava guardare i vicini di casa per figurarsi tutto un altro mondo. La Tv belga in quel periodo poteva vantare numerosi programmi per ragazzi, alcuni ambientati proprio nel medioevo (un esempio: Gianni e il magico Alverman del 1965). Oppure bastava volgere lo sguardo ai classici televisivi inglesi Ivanhoe (1958), lo stesso Robin Hood (1955) o il francese Thierry La Fronde (1963) per tentare un rapido raffronto. Ed è a quei serial che guarda con ammirazione il direttore dei programmi televisivi Carel Enkelaar (un tempo popolare giornalista e primo caporedattore del telegiornale della rete NTS). Nel 1967 Enkelaar decide di avviare qualche innovazione coinvolgendo per primo il capo del dipartimento dei programmi per ragazzi Ben Klokman. Tre scrittori vengono invitati a presentare un progetto: Ann Rutgers van der Loef, Miep Diekman e Gerard Soeteman. Salteremo la parte in cui i primi due entrano in conflitto con la rete, per balzare direttamente al momento in cui la spunta Soeteman: dei tre il più abile nel proporre un pitch in linea con le direttive e il budget richiesto. Si tratta ovviamente di Floris en de Fakir (Floris e il fachiro, primo titolo con cui la serie è conosciuta), in cui egli aveva immaginato un nobile, Floris van Roozemond, vagamente ispirato al conte Floris V della storia olandese, di ritorno nei Paesi Bassi agli inizi del 1500 da un lungo viaggio per mare in Oriente accompagnato dall’indiano Sindala. Qui
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scopre che il suo castello è stato usurpato da uno sgherro del duca Karel van Gelre; dopo essere stato imprigionato, Floris fugge e da quel momento affronta in più occasioni i suoi avversari.
Paul Verhoeven una volta convocato da Ben Klokman, con il solo curriculum documentaristico in suo possesso, è inizialmente scettico sulla decisione da prendere: Floris è promettente ma resta pur sempre una serie televisiva dal destino effimero una volta esaurita la sua corsa. Preferirebbe di gran lunga un adattamento cinematografico. Mosso da spirito pioneristico e forse un po’di avventatezza (non avendo mai gestito grandi set e un cospicuo numero di attori e comparse) si convince che il progetto è alla sua portata e assieme a Soeteman, nell’aprile 1968, perfeziona le sceneggiature mentre parte alla ricerca dei luoghi (i castelli di Doornenburg, Loevenstein e Hernen) e dell’attore principale. Il primo in lizza è Carol von Herwignen, ma la compagnia Theater Rotterdam in cui lavorava si rifiuta di lasciarlo libero. Soeteman si ricorda allora di Rutger Hauer e delle sue qualità di spadaccino in scena e gli offre la parte, nella speranza che sappia pure cavalcare. Con un budget iniziale di 355 mila fiorini, destinato a lievitare fino a un milione e 200 mila attirando sul direttore Enkelaar non poche critiche, Floris viene girato in bianco e nero paradossalmente per contenere i costi ma anche per trarre vantaggio nello svantaggio: il pubblico si sarebbe mai accorto del diverso colore di un costume o di una barba posticcia? Certamente no. In linea di principio la serie si rivela la produzione pioneristica auspicata dai suoi produttori, e di proporzioni notevoli: 45 membri dello staff, 80 attori e migliaia di comparse, sette cavalli in scena e addirittura una scimmietta (che vedremo nell’episodio 2). Le riprese sono programmate da metà luglio a fine ottobre del 1968, ma le condizioni del tempo e imprevisti di varia natura rallentano la scaletta di marcia con un Paul Verhoeven autodidatta eppure rigoroso nel tenere sotto controllo l’intero baraccone (e per questo più libero di improvvisare). Dopo un mese, egli ha realizzato solo un dieci per cento di quanto programmato, facendo impensierire la rete che quindi gli affianca un ispettore di produzione con calcolatrice alla mano.
Il cinema di Paul Verhoeven
Floris viene girato interamente on location, perfino gli interni si filmano all’interno dei castelli, ma l’approccio di Verhoeven è già cinematografico, egli lavora con inusuale precisione e un ideale di riprese effettuate non in ordine cronologico ma in verticale per ambientazioni, attori in scena, eccetera, andando così a comporre un immenso mosaico televisivo da montare soltanto alla fine.Acausa dei ritardi, la serie viene passata da tredici a dodici episodi, con una puntata divisa in due parti. La recitazione immatura di Rutger Hauer, inclusi alcuni suoi stunt spericolati, mette in agitazione il regista, pertanto egli si vede costretto a ridurre il numero delle battute dell’attore. Verhoeven nota un miglioramento in corso d’opera e una maggiore spavalderia davanti alla macchina da presa spesso vedendolo avanzare di un passo rispetto alla posizione assegnata, quasi a voler dominare la scena come accadeva a teatro. Questo spiega due cose: il cambiamento del titolo originale in un semplice “Floris ” e la prevalenza delle scene d’azione che coinvolgono Rutger Hauer quando è ripreso a cavallo, mentre è portatore di ambasce o supera indenne le imboscate, o quando visita l’appassionata di poemi romantici LadyAda (Diana Dobbelman).Alle battute migliori o alle trovate brillanti ci pensa solitamente l’attore Jos Bergman nella parte di Sindala, e spesso anche i personaggi di supporto: un esempio riuscito è l’ammiraglio Pier (Hans Boskamp) con il suo abbigliamento piratesco.
Anche se può apparire dimesso nell’aspetto, televisivamente parlando, Floris è un gagliardo prodotto seriale capace di reggere il confronto con il tempo, grazie alla frizzante concentrazione di personaggi bizzarri ma piacevoli, e a una voluta leggerezza di fondo. Fin dal primo episodio, seguito all’epoca da oltre due milioni e mezzo di telespettatori, la serie afferma di essere una cosa (una copia di Robin Hood), per poi affrontare direzioni inaspettate basate sull’affermazione eroica del protagonista e sulla complicità con il fidato Sindala. Nel girone ben collaudato di episodi talvolta legati fra loro, trovano posto assalti ai castelli, potenti cannoni da sabotare, astute ruberie, matrimoni di convenienza, eccetera. Ogni situazione narrata è spesso filtrata dall’ironia (dame che
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incrociano gli occhi, gli avventori dell’osteria in fuga al suono del nome “Pier” , il banchiere scrupoloso) e da ammiccamenti ai tempi moderni: i giochi di magia del prigioniero muto, il pollice su di Floris, l’arguzia di Sindala, qualche numero musicale. In tale affresco di variabili narrative, Paul Verhoeven muove la camera con dinamicità, cercando spesso angolature “da grande schermo” o arricchendo la qualità scenica tramite riferimenti pittorici come vediamo accadere nell’episodio uno, Het Gestolen Kasteel (Il castello rubato), con le dame circondate da levrieri nella sala delle udienze. Girare in esterni, inoltre, gli consente di catturare la bellezza delle città olandesi (un po’meno efficaci e ridondanti si dimostrano invece le riprese di boschi e campagne).
Per tutto il tempo della sua permanenza sullo schermo, Floris vive di questa sua luce trasversale sulla Storia rivisitata con umorismo e avventura, consapevole di prendersi sul serio ma fino a un certo punto. Baciata da uno strepitoso successo di pubblico, la serie trasmessa nell’ottobre 1969 non ottiene la tanto desiderata seconda stagione a causa dei costi (nel 2004 viene prodotto un film scritto da Soeteman ma senza Hauer). Tutto l’entusiasmo di Verhoeven e Soeteman, e le idee accantonate dalla produzione finiscono pertanto riciclate nelle produzioni cinematografiche a seguire. Rutger Hauer diventa inaspettatamente una star alla tenera età di 25 anni, ma continua a recitare per la Noorder Compagnie. Del successo televisivo di Floris approfittano infine un po’ tutti: in quel periodo escono album a fumetti, fiabe con illustrazioni a colori e perfino gomme da masticare con l’effige del protagonista. Dal pantano “feudale” in cui si trovava, grazie a Floris e a Paul Verhoeven la televisione olandese entrò di diritto nell’età del progresso e della modernità.