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Soldato d’Orange di Ilaria Dall’Ara

Il cinema di Paul Verhoeven

Soldato d’Orange (1977)

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di Ilaria Dall’Ara

Soldato d’Orange è il quarto lungometraggio di Paul Verhoeven, distribuito nel 1977, dopo Gli strani amori di quelle signore (Wat zien ik!?, 1971), Fiore di carne (Turks fruit, 1973) e Kitty Tippel... quelle notti passate sulla strada (Keetje Tippel, 1975) e prima sua opera in cui abbandona il genere prettamente drammatico e si cimenta in un’avventura a sfondo bellico. Più precisamente in Soldato d’Orange Verhoeven affronta uno degli episodi più cruenti e traumatici della storia olandese, vale a dire l’occupazione tedesca dei Paesi Bassi tra il 1940 e il 1945. Lo stesso regista, nato nel 1938, era appena un bambino durante la Seconda Guerra Mondiale e crebbe a L’Aia, ripetutamente bombardata dagliAlleati, quindi non sorprende che in numerose interviste abbia dichiarato come il fatto di essere venuto a contatto ravvicinato con la morte in tenera età abbia fortemente condizionato la sua coscienza e il suo approccio alla violenza. Ma quello che fa Verhoeven con Soldato d’Orange non è affatto un mero resoconto degli avvenimenti storici che innalza suoi protagonisti a eroi senza macchia e senza paura, anzi.

Liberamente tratto dal romanzo Soldaat van Oranje ’40’45 pubblicato nel 1971 e scritto dall’eroe di guerra Erik Hazelhoff Roelfzema, il film solleva una questione controversa in merito a quella che si pensava essere stata un’onorevole resistenza da parte della nazione olandese nei confronti della Germania nazista, che diversi storici e giornalisti avevano già iniziato a contestare a partire dagli anni Sessanta. Ciò fu dovuto per esempio al fatto che la sezione olandese delle Waffen SS (forza armata della Germania nazista) era la più grande fra quelle non tedesche e che il numero di ebrei olandesi presenti pre-guerra e poi deportati nei campi di concentramento tedeschi fu a dire poco cospicuo (ben 100.000 su 140.000, la proporzione più alta tra tutte le nazioni europee).

Antonio Pettierre e Fabio Zanello

Roelfzema, interpretato nel film da un giovane e aitante Rutger Hauer, che dimostra talento da vendere e una fisicità che buca lo schermo, alla terza delle cinque collaborazioni con Verhoeven (le prime furono Fiore di carne del 1973 e Kitty Tippel del 1975, e le successive saranno poi Spetters del 1980 e L’ amore e il sangue del 1985), studente dell’ università di Leida, nell’Olanda meridionale, che si unì alla resistenza, fuggì in Inghilterra, divenne pilota della RAF per poi ritornare in Olanda come aiutante sul campo della Regina Guglielmina durante la Liberazione.

Ma più che concentrarsi solo sulle sue gesta, Soldato d’Orange è un racconto corale che illustra gli avvenimenti che coinvolsero una mezza dozzina di studenti universitari privilegiati e l’impatto che la guerra ebbe su di loro.

Il film si apre brutalmente con una cerimonia di iniziazione di una confraternita in cui dei nuovi studenti dalle teste rasate vengono brutalizzati dai compagni più vecchi. Già questa prima scena denota potentemente il tono dell’opera: da una parte conferma l’attitudine di Verhoeven di autore libero e contro corrente, che non ha remore a scioccare il suo pubblico, dall’altra ci introduce in un mondo dove si intuisce chiaramente quanto un atteggiamento di stampo violento e fascista venga tollerato e anzi accettato con facilità, anche in ambienti cosiddetti “privilegiati” . Un mondo dove l’annuncio dell’inizio della guerra verrà successivamente accolto con superficialità dagli studenti viziati, suscitando il loro interesse solo come l’ennesima avventura in cui possono competere, un modo come un altro per mettere in mostra il proprio machismo e spinti più dal cameratismo che da un reale interesse politico.

In Soldato d’Orange quindi vengono narrate le vicende intrecciate tra loro di diversi personaggi, tra cui appunto il protagonista Erik (Rutger Hauer), che incarna la spavalderia, il senso dell’onore e la voglia di avventura, si distinguerà sul campo e diventerà un elemento di fondamentale importanza nella Resistenza olandese, arrivando a guadagnarsi il rispetto della Regina Guglielmina.Abbiamo poiAlex (Derek de Lint),

Il cinema di Paul Verhoeven

Soldato d’Orange (1977)

Antonio Pettierre e Fabio Zanello

alter ego di Erik, fortemente provato dall’internamento della madre di origine tedesca, dopo aver servito nell’esercito olandese, decide di unirsi alla divisione delle Waffen SS. I due si incontreranno due volte ancora: una durante una parata militare e un’altra, alla fine, a un ballo, dove si evince che la loro amicizia sia più importante del fatto che siano su fronti opposti.

Altro personaggio chiave delle vicende è Robby (Eddy Habbema), entrato a far parte della Resistenza come operatore radio, successivamente scoperto dalla Gestapo, si vedrà costretto a tradire i suoi compagni per proteggere la fidanzata ebrea Esther (Belinda Meuldijk) dalla deportazione. C’è poi Jacques (Dolf de Vries), unico sopravvissuto insieme a Erik, che trascorre tutta l’occupazione con la testa nella sabbia, concentrandosi unicamente sul portare a termine la sua laurea positivamente; ed ancora Nico (Lex van Delden), ragazzo serio e molto attivo nella Resistenza che finirà ucciso in una trappola a causa di Robby; e Jan (Huib Rooymans), unico ebreo del gruppo, appassionato di pugilato, che dopo essere entrato nell’esercito, verrà catturato dalle SS durante una fuga e finirà fucilato.

Senza alcun dubbio il personaggio su cui Verhoeven accentra gli avvenimenti, oltre a Erik, è Guus, interpretato da Jeroen Krabbé, altro attore di forte spessore e che, oltre a Soldato d’Orange, lavorerà con il regista anche nei suoi successivi due film, Spetters e Il quarto uomo. Guus, presidente della confraternita universitaria, diventerà il miglior amico di Erik e si distinguerà per il suo coraggio e spirito di sacrificio, morendo poi alla fine ghigliottinato in un campo di concentramento. Curiosamente è l’ unico particolare che si discosta dagli eventi reali: Guus infatti fu ispirato dal vero Peter Tazelaar, che sopravvisse alla guerra, divenendo poi un agente della CIA, fino alla sua morte, nel 1993.

Soldato d’Orange consolidò la fama di Verhoeven di regista fuori dagli schemi, controverso, estremo ed eccessivo, e non ricevette critiche positive in patria, ma nonostante ciò fu un enorme successo al box office e risaltò non solo per la sua audacia nel rivelare un passato scomodo sul suo paese, ma anche perché fu in sintesi un grande e riuscito

Il cinema di Paul Verhoeven

Soldato d’Orange (1977)

Antonio Pettierre e Fabio Zanello

film di intrattenimento. Verhoeven dimostrò di saperci fare e mise in mostra tutto il suo talento tecnico come filmmaker, tra scene di azione e di guerra, un ritmo forsennato e un notevole realismo a livello di violenza grafica (una gamba tranciata dal corpo, carne umana sciolta su una porta, torture anali). Dopo Soldato d’Orange, Verhoeven girerà in Olanda ancora Spetters e Il quarto uomo, ma aveva già suscitato l’interesse di Hollywood. Mike Medavoy, vicepresidente della Orion Pictures affermò che “era un film estremamente ben fatto, e realizzato per davvero con pochi soldi secondo gli standards americani” . Steven Spielberg chiamòVerhoeven dopo aver visto il film, chiedendogli cosa stesse ancora facendo in Olanda e invitandolo a lavorare negli Stati Uniti, dove si sarebbe divertito molto di più.

E come ben sappiamo, l’olandese pazzo ci andò eccome negli States e per ben quindici anni, tra il 1985 e il 2000, vi girò ben sette film, lasciando certamente il segno, tra alti e bassi al botteghino, e spaziando tra i generi di azione, thriller, horror, fantascienza e dramma, prima di ritornare in patria con un altro splendido film di guerra, Black Book (2006). E credo che ci sia divertito anche molto a girarli; noi di sicuro ne abbiamo goduto pienamente e gli saremo sempre grati per la sua temerarietà e versatilità.

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