Shinya Tsukamoto. Dal cyberpunk al mistero dell'anima

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ShinYA 塚本晋也 tSUKAmoto

dal cyberpunk al mistero dell’anima AndreA chimento

pAolo pArAchini

FALSOPIANO LIGHT


FALSOPIANO

eBOOK

Andrea Chimento Paolo Parachini

SHINYA TSUKAMOTO DAL CYBERPUNK AL MISTERO DELL’ANIMA


INDICE

Introduzione

p. 7

Shinya Tsukamoto: biografia di un artista

p. 9

Capitolo primo Corpo, mutazione, fusione: il Cyberpunk

p. 15

Capitolo secondo La danza

p. 38

Capitolo terzo SessualitĂ

p. 51


Capitolo quarto Il demiurgo, il voyeurismo

p. 70

Capitolo quinto Degrado ed emarginazione

p. 93

Capitolo sesto Il tema del doppio

p. 105

Capitolo settimo Il tema della coppia e l’intrusione del “terzo uomo”

p. 125


Capitolo ottavo Il passato che ritorna

p. 134

Capitolo nono La malattia, il suicidio, la morte

p. 146

Capitolo decimo Rinascita, esterioritĂ e interioritĂ , ambiente e anima

p. 161

Filmografia

p. 185

Bibliografia essenziale

p. 194

Intervista a Shinya Tsukamoto

p. 199


Shinya Tsukamoto


INTRODUZIONE Shinya Tsukamoto è uno dei rari autori cinematografici ad esser riuscito a diventare un “regista di culto” fin dal primissimo lungometraggio realizzato. Tetsuo, del 1989, viene presentato al Fantafilm Festival di Roma, dove vince il premio come miglior film, e subito diventa un caso tra gli appassionati cinefili di tutto il mondo. Insieme ai suoi primi due corti (Phantom of Regular Size e Le avventure del ragazzo palo elettrico) e al successivo Tetsuo II: Body Hammer, Tetsuo: The Iron Man forma una sorta di tetralogia cyberpunk in cui Tsukamoto indaga approfonditamente il rapporto tra la carne e il metallo. Con le sue opere successive ci sarà un progressivo, seppur parziale, allontanamento da queste tematiche che avevano caratterizzato i suoi esordi di fine anni Ottanta. Nel corso del decennio successivo, Tsukamoto, sviluppa una più forte attenzione alla condizione dell’uomo nella società contemporanea: il degrado, l’emarginazione, la solitudine e la vita di coppia nel Giappone di fine (e nuovo) millennio. Le motivazioni che ci hanno spinto a scrivere questo libro sono, in particolare, due: da una parte il tentativo di sviluppare un percorso analitico sulle tematiche che hanno caratterizzato il cinema di Shinya Tsukamoto nel corso della sua ormai ventennale carriera; dall’altra la volontà di realizzare una riflessione (contenutistica) su uno dei più importanti registi del cinema contemporaneo che però, ancora oggi, viene (purtroppo) considerato un “autore di nicchia”. Soprattutto in Italia.

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Phantom of Regular Size (1986)

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Shinya Tsukamoto: biografia di un artista Le credenze popolari di diverse culture attribuiscono proprietà misteriose e sinistre a chi nasce la notte di Capodanno. Sotto questi inquietanti auspici nasce, il 1 gennaio 1960 a Tokyo (precisamente nel quartiere di Shibuya), Shinya Tsukamoto. La passione per il cinema arriva a Shinya al compimento del suo quattordicesimo compleanno: il padre, come regalo, gli porta a casa una macchina da presa Super8 con la quale realizzerà i suoi primissimi esperimenti. La città di Tokyo con le sue stranezze, i manga, i kaijû eiga (film di mostri giapponesi) e mitiche figure come Godzilla, rappresenteranno la base culturale d’ispirazione per i suoi esordi. Fin dall’adolescenza Tsukamoto sarà molto attivo nel suo lavoro d’artista: convince un programma televisivo giapponese, chiamato Ginza Now, a mostrare alcuni suoi film girati in 8mm e, nel 1979, grazie ad una sorta di “cinema mobile” riesce a portare le sue opere in tutta Tokyo. La sua produzione in 8mm è già decisamente ambiziosa: da citare, ad esempio, il film Jigokusho Shoben Geshuku Nite Tondayo della durata di due ore. Dopo aver lavorato per un’agenzia pubblicitaria nei primissimi anni Ottanta, nel 1982 si iscrive all’Università di Belle Arti di Nihon dove, tre anni dopo, prende una laurea con specializzazione in pittura ad olio. Subito dopo l’esperienza universitaria, tra il 1985 e il 1986, fonda il Kaiju Theater (letteralmente “Teatro dei mostri marini”), una compagnia teatrale di stampo underground per la quale produce alcuni testi drammatici. La libertà creativa di quest’attività teatrale indipendente per-

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metterà a Tsukamoto a controllare tutte le fasi della lavorazione sul set, dalla regia alla scrittura alla recitazione. Nel 1986 realizza, con alcuni componenti della compagnia, il suo primo cortometraggio cinematografico (dopo quelli in Super8) intitolato Phantom of Regular Size (Futsu saizu no kaijin) con il quale inizierà la sua ascesa di regista. Con questo lavoro e con il successivo mediometraggio, Le avventure del ragazzo palo elettrico (Denchu Kozo no boken, 1987), inizierà a sviluppare tematiche e ossessioni che troveremo molto spesso nella sua filmografia successiva. Il prestigio internazionale arriverà due anni dopo con il lungometraggio Tetsuo: The Iron Man (Tetsuo, 1989) opera che diventa immediatamente di culto, con la quale Tsukamoto vince il primo importante premio della sua carriera: miglior film al Fantafestival di Roma. Successivamente Tsukamoto ha realizzato, fino ad oggi, altri 10 lavori (8 lunghi, 1 medio e 1 corto), molti di questi premiati in diversi festival in tutto il mondo, tra cui spicca il Premio della Giuria alla Mostra di Venezia 2002 per A Snake of June (Rokugatsu no hebi, 2002), che hanno portato Shinya ad essere considerato uno dei più importanti e innovativi registi asiatici del cinema contemporaneo. Tsukamoto: artigiano del cinema Uno degli aspetti che contraddistingue fortemente Shinya Tsukamoto nel panorama dei registi mondiali è la sua polivalenza nella realizzazione di un film. Come Charlie Chaplin (che vince però il confronto grazie al fatto che componeva anche le musiche)

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Tsukamoto cura soggetto, sceneggiatura, regia, fotografia, scenografia, montaggio e molte volte interpreta anche uno dei ruoli principali. Può essere dunque considerato non un semplice regista, ma un artigiano che costruisce il suo film. Uno degli aspetti di messa in scena dei suoi primi film che lo avvicina ancora di più alla figura di un vero e proprio artigiano è l’uso di costumi “fatti in casa”, e la loro animazione. In Phantom of Regular Size, Le avventure del ragazzo palo elettrico, Tetsuo: The Iron Man, Tetsuo II: Body Hammer (id., 1992) e anche in Hiruko the Goblin (Yôkai hantâ: Hiruko, 1991) notiamo immediatamente come le mutazioni dei personaggi in esseri mostruosi siano effettuate con mezzi semplici e soprattutto, in alcune sequenze, come vengano pregevolmente animate. In assenza di un grande budget e delle tecniche digitali (non ancora “inventate”), Tsukamoto ha fatto ricorso all’animazione in stop motion e alla pixilation, termine che sta semplicemente ad indicare la medesima tecnica che interessa però attori in carne ed ossa. La stop motion, usata per animare il processo di mutazione dei “costumi” degli attori, è stata indubbiamente la scelta migliore. Questa tecnica ha radici lontane, e il primo film interamente realizzato con tale tecnica è Mobilier Fidele (id., 1909), opera del grande Emile Cohl, uno dei pionieri dell’animazione mondiale. In questo cortometraggio assistiamo a dei mobili che si muovono da soli e che arredano una casa. Per quanto riguarda la pixilation, ci troviamo di fronte ad un’altra ottima scelta del regista, che usa tale tecnica nelle scene in cui assistiamo agli attori che sfrecciano veloci nelle vie cittadine senza però mostrare movimenti fisici. Questa tecnica non è prerogativa o invenzione di Tsukamoto, ma nei suoi film la troviamo usata nella maniera più convincente ed ideale. La pixilation è stata infatti

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introdotta da Norman McLaren, che ne ha anche coniato il termine. Quest’uomo è sostanzialmente uno dei pilastri dell’animazione del 1900, e nel 1952 realizzò Neighbours (id., 1952), primo cortometraggio in pixilation e vincitore nello stesso anno dell’Oscar per il miglior cortometraggio 1. Tra le trovate dettate anche dalla necessità del momento c’è senz’altro quella di aver utilizzato della semplice colla per applicare le componenti metalliche al corpo del povero attore Tomorowo Taguchi, causandogli dolorose abrasioni durante la rimozione. Questo particolare rende bene l’idea della semplicità e della povertà dei mezzi tipica delle produzioni del Kaiju Theater, che però non ne hanno minimamente risentito, anzi ne hanno sicuramente giovato. L’aver incollato alla pelle degli attori i costumi, anche se ha comportato ovvi disagi fisici, ha permesso di raggiungere un’impressione di realismo stupefacente, dove i costumi non essendo semplicemente indossati diventano parte integrante dell’attore e della sua recitazione. Collaboratore costante di tutti i film del regista è il musicista Chu Ishikawa, le cui musiche hanno senz’altro contribuito alla resa finale dei film del Kaiju Theater, in particolare nei primi lavori cyberpunk. Esperto nella musica industrial, Ishikawa ha sapientemente utilizzato suoni metallici e di chiara provenienza industriale, consentendo una perfetta amalgama alle immagini dei film, in quanto si nota un riferimento agli stessi luoghi e alle stesse “impressioni”. Un altro aspetto che contraddistingue molto l’opera di Tsukamoto è l’uso attento del viraggio verso alcuni colori. È facile notare positivamente come il regista cerchi spesso di connotare gli ambienti per mezzo di un colore dominante. Esempio lampante è A Snake of June, in cui tutta la pellicola è virata sul blu. Tsukamoto spiega la scelta del blu come «la tinta dell’acqua che si sporca con

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l’asfalto e ottiene quel blu un po’ sporco. Giugno è la stagione delle piogge e di acqua ne cade tantissima» 2. Altro film in cui si nota simile attenzione al colore è Gemini (Sôseiji, 1999), in cui vengono usati dei concetti di viraggio che ricordano il cinema impressionista: il rosso per gli interni di giorno, il blu per la notte e il verde per l’esterno. Il cinema di Tsukamoto è dunque principalmente frutto del lavoro e dell’impegno di un uomo che il cinema lo fa sia con l’atteggiamento di un artista, sia con l’atteggiamento umile dell’artigiano che nella sua bottega confeziona il suo lavoro. Note 1 Curiosamente non il premio per il corto d’animazione, in quanto all’epoca non veniva considerata animazione un lavoro privo di disegni o pupazzi.

http://www.asianworld.it/forum/index.php?showtopic=191, 13/12/2007, 17.51.

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Phantom of Regular Size (1986)

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Capitolo primo Corpo, mutazione, fusione: il Cyberpunk

Credo nel potere che ha l’immaginazione di plasmare il mondo, di liberare la verità dentro di noi, di cacciare la notte, di trascendere la morte, di incantare le autostrade, di propiziarci gli uccelli, di assicurarsi la fiducia dei folli. Credo nelle mie ossessioni, nella bellezza degli scontri d’auto, nella pace delle foreste sommerse, negli orgasmi delle spiagge deserte, nell’eleganza dei cimiteri di automobili, nel mistero dei parcheggi multipiano, nella poesia degli hotel abbandonati. (...) Credo nella bellezza di tutte le donne, nella perfidia della loro immaginazione che mi sfiora il cuore; nell’unione dei loro corpi disillusi con le illusorie sbarre cromate dei banconi dei supermarket; nella loro calda tolleranza per le mie perversioni. (...) Credo nella gentilezza del bisturi, nella geometria senza limiti dello schermo cinematografico, nell’universo nascosto nei supermarket, nella solitudine del sole, nella loquacità dei pianeti, nella nostra ripetitività, nell’inesistenza dell’universo e nella noia dell’atomo. Credo nella luce emessa dai televisori nelle vetrine dei grandi magazzini, nell’intuito messianico delle griglie del radiatore delle automobili esposte,

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nell’eleganza delle macchie d’olio sulle gondole dei 747 parcheggiati sulle piste catramate dell’aeroporto (…) 3.

Il cosiddetto cyberpunk è nient’altro che un termine giornalistico che è riuscito ad acquisire significato solo col passare degli anni. Un termine come tanti nato per cercare di imbrigliare in esso un fenomeno ampio, antico e in continuo mutamento. C’è chi dice che il cyberpunk sia morto, ma il punto è che non è mai nemmeno nato. O meglio, il cyberpunk è la concretizzazione artistico letteraria del sentimento che l’uomo nutre nei confronti della tecnologia in tutte le sue forme, un sentimento che racchiude in sé potere e timore. Potere perché con i molteplici strumenti a sua disposizione, l’individuo si illude di poter arrivare a qualsiasi meta; e timore perché forse, se già non è così, finirà con esserne schiavo. Da padroni a schiavi. La scimmia di kubrickiana memoria solleva al cielo l’osso che le permetterà di uccidere, così come quell’osso potrebbe ucciderla per mano di un’altra. Potrebbe riuscire a vivere senza quell’osso, una volta scoperte tutte le sue potenzialità? La risposta è ovviamente negativa. Si dice che il cyberpunk sia nato negli anni Ottanta e morto nei Novanta. Parzialmente vero, se intendiamo come cyberpunk la miriade di opere letterarie, filmiche e artistiche nate in quegli anni. Ma la realtà è, come già detto, che il cyberpunk è sempre esistito ed esiste ancora oggi. Solo che era ed è difficile scovarlo, visto che prima era ancora troppo poco “cyber” mentre oggi è semplicemente non così tanto fantastico ed affascinante. Avere un peace maker, agli occhi di chi viveva cent’anni fa, potrebbe far diventare protagonisti di un’opera cyberpunk. Il genere ha però preso contorni più nitidi a cominciare dalla

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rivoluzione industriale, fenomeno che ha chiaramente dato allo sviluppo tecnologico una maggiore visibilità ed una maggiore consapevolezza. Ed è chiaro che abbia raggiunto il suo culmine nel periodo in cui il boom tecnologico si è fatto visibilmente sentire, per poi lentamente scemare nel momento in cui la tecnologia e il suo sviluppo siano divenuti per l’uomo parte integrante della normalità e della sua esistenza. Lo sviluppo scientifico non attira, non affascina e non inquieta più così tanto come faceva prima, semplicemente perché da “novità” è divenuto “normalità”. Il cyberpunk è la branchia più particolare e riconoscibile del genere fantascientifico. Nel cyberpunk uomo e macchina si fondono, sono in dubbio, mutano uno dentro l’altro; la fisicità artificiale si mescola alla fisicità carnale, una diventa parte dell’altra. Frankestein (id., 1818) di Mary Shelley è cyberpunk, Dalla terra alla luna (Da la terre à la lune,1865) di Jules Verne è fantascienza pura. Nonostante gli sporadici accenni di fantascienza cyberpunk preottocenteschi, come i racconti di Hoffman sugli automi, possiamo definire Frankenstein di Mary Shelley una delle prime concretizzazioni di fantascienza cyberpunk. La mostruosità fatta di carne umana prende nuova vita grazie all’incredibile potere dell’elettricità, di cui si iniziava a scorgere l’effettivo valore. Il cyberpunk si è fatto dunque, fin dai suoi inizi, il promotore di quella fantascienza angosciata, più legata all’uomo e ai suoi sentimenti. Quello che però viene comunemente chiamato cyberpunk oggi è tutta quella produzione che parte dagli anni Sessanta - Settanta e che ha come promotori personaggi quali James Graham Ballard, Bruce Sterling, William Seward Burroughs, Timothy Leary, Philip Kindread Dick e William Ford Gibson. Proprio in questi autori si hanno le maggiori concentrazioni di aspetti e caratteri che oggi

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possiamo definire tipici del genere cyberpunk. Tra questi caratteri possiamo delineare sicuramente degli aspetti comuni: la claustrofobia degli ambienti, l’inquietudine, il degrado, la fusione tra carne e tecnologia a tutti i livelli, sia fisici che mentali. E guarda caso è proprio tra questi nomi che si hanno i creatori delle opere letterarie che hanno ispirato il cinema di genere. James G. Ballard: Crash; William S. Burroughs: Il pasto nudo; Philip K. Dick: Blade Runner e A Scanner Darkly, quest’ultimo recentemente portato su pellicola interamente in rotoscope 4; William F. Gibson: Jonnhy Mnemonic. Solo per citare i più famosi. Questo genere così ampio e sfaccettato ha portato influenze anche nella terra del sol levante. Se, come già detto, il cyberpunk può essere trovato in quasi tutta la fantascienza precedente agli anni d’oro dello stesso, il cyberpunk per come è inteso oggi lo troviamo appunto negli anni Ottanta, con i fumetti di Masamune Shirow 5 e di Katsuhiro Otomo 6, e con il cinema di Sogo Ishii 7, senza dimenticarci del nostro Shinya, che ha iniziato la sua opera proprio con il cyberpunk. Phantom of Regular Size, Tetsuo: The Iron Man, Tetsuo II: Body Hammer e Le avventure del ragazzo palo elettrico, sono diventati titoli di assoluto rilievo nell’immaginario cyberpunk odierno. Tsukamoto ha utilizzato gli aspetti tipici della letteratura, del cinema (Cronenberg è suo padre ispiratore) e del fumetto di genere mescolandoli in modo da creare uno stile unico. Il proprio viaggio nel genere cyberpunk Tsukamoto lo intraprende con il suo primo cortometraggio Phantom of Regular Size del 1986. È facile notare in questo lavoro come esso si presenti in realtà una sorta di palestra verso il suo film culto Tetsuo: The Iron Man, in quanto ne presenta una trama pressoché identica, ma meno

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Phantom of Regular Size (1986)

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sviluppata, e in quanto si nota già un ampio uso di quella tecnica che lo contraddistinguerà in buona parte dei suoi lavori: la stop motion. The Great Analog World and The New World Il grande mondo analogico. Così il regista ci invita alla visione del suo primo cortometraggio. Analogico come una branchia della tecnologia, ma analogico anche nel senso di una analogia. Tsukamoto vuole così invitarci, probabilmente, in un mondo analog(ic)o fatto di frenesia, angoscia e orrore, luogo in cui c’è il rischio di doversi confrontare con il mostro che è dentro di sé. Ed è altrettanto esplicativo il game over finale, che ci ricorda «è stato solo un gioco». Una scritta simile la troveremo anche nel primo Tetsuo: «The new world», il nuovo mondo. Ma quali sono i temi che accomunano i primi lavori, in particolare la sua trilogia, la sua “serie di mostri a grandezza naturale” (visto che per Le avventure del ragazzo palo elettrico il discorso è leggermente diverso), e che fanno delle prime produzioni del Kaiju Theater opere che si sviluppano in uno stesso mondo? Partiamo dalla trama, simile per ogni film della trilogia. Un salaryman 8 occhialuto, interpretato sempre da Tomorowo Taguchi, per motivi diversi ma simili, inizia a mutare in un essere metà umano e metà “metallico”. Questa mutazione ha inizio da un impulso sessuale, tranne che in Tetsuo II: Body Hammer, dove il discorso risulta differente. Abbiamo già quindi il particolare della mutazione in un essere nuovo, che nasce dalla carne umana e diventa nuova carne, una nuova carne che non è più solo carne ma

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è carne e metallo. Il ferro, i tubi, le protesi metalliche che scaturiscono dal protagonista crescono a dismisura, andando quasi ad annullare la fisicità carnale di Tomorowo, lasciando del vecchio uomo solo un volto straziato, dietro cui si nasconde ancora la sua mente. Da questo aspetto si nota, quindi, come Tsukamoto sia stato ispirato da quel filone cyberpunk che fa del proprio cavallo di battaglia la mutazione in esseri metà uomini e metà “altro”, dai cyborg alle protesi cibernetiche. Quello che però contraddistingue il lavoro di Tsukamoto è la capacità di creare un’opera filmica che ci offre un’esasperata visione di una realtà che disumanizza l’uomo, di fronte alla frenesia, all’alienazione metropolitana, circondandolo di metallo, cemento e spingendolo a reprimere ogni sua fantasia. In Tsukamoto c’è la capacità di immergere lo spettatore in una visione che è nettamente al di fuori di quella che ci offre Cronenberg in Videodrome (id., 1983) o La mosca (The Fly, 1986), o che ci viene offerta in Blade Runner (id., 1982) da Ridley Scott. Queste opere sono ancorate maggiormente al reale e cercano di inquietare e trasmettere una sorta di claustrofobia, una sorta di “sentimento più pacato”. Manca ciò che rende la visione di Tsukamoto più, come dire, “esaltante”. Ma il ragionamento non fa una piega: «il nuovo mondo» (o «il grande mondo analogo») di cui ci parla Tsukamoto non è altro che l’esasperazione di un mondo che è (era) già la nostra realtà, un mondo dove si va di fretta e dove si è persa la percezione di un mondo naturale, sradicato e sostituito da pura artificialità. La frenesia della vita lavorativa, in particolare quella giapponese, viene trascorsa immersi nell’underground, fatto di cemento e metallo: nell’underground della metropolitana, nell’underground del proprio ufficio, e nell’underground del proprio appartamento. Un underground che sotterra chi vi è dentro. Ma a differenza di Videodrome, de La mosca o di Blade Runner, in cui i prota-

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gonisti sono sostanzialmente chiusi in se stessi, Tsukamoto li fa impazzire, facendoli esplodere, li fa “saltare allo scoperto”, obbligando loro a rigettare tutto quello che prima li schiacciava. E diciamo che è Tsukamoto a farlo proprio perché nei suoi film interpreta il ruolo di colui che innesca la mutazione dell’occhialuto Tomorowo. L’economica stop motion permette inoltre di realizzare effetti speciali con una spesa minima. Ma, come da tradizione giapponese, l’obbligo a risparmiare diventa un incentivo, visto che il mezzo più economico è risultato il mezzo migliore. L’utilizzo di un montaggio rapidissimo, alla velocità del suono (o alla velocità del rumore, magari quello prodotto da un pezzo metallico che stride su una lastra d’acciaio, e che perfora le menti), frammentato dall’uso di una stop motion mai così tanto azzeccata e ben amalgamata al resto della produzione, ricreano alla perfezione la sensazione di vera e propria pazzia che i personaggi stanno vivendo. Vengono percorsi chilometri nelle vie cittadine in pochi secondi, le mutazioni proseguono sempre più velocemente, e lo spettatore non può che sbarrare gli occhi di fronte ad un viaggio allucinato nella mente di personaggi altrettanto allucinati.

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FALSOPIANO

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Gli autori ringraziano il RC San Donato Milanese (Distretto 2050 del Rotary International) per la cortese collaborazione.

Š Edizioni Falsopiano - 2009 Via Bobbio, 14/b 15100 - ALESSANDRIA http://www.falsopiano.com

Per le immagini, copyright dei relativi detentori Progetto grafico e impaginazione: Daniele Allegri - Roberto Dagostini Prima edizione - Novembre 2009


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