La festa di san Petronio celebrata il 4 ottobre del 1722 alla presenza del pretendente al trono inglese Giacomo Stuart e della sua consorte Clementina Sobieski. Bologna, Archivio di Stato, Anziani Consoli, Insignia, vol. XIII, c. 37.
Editoriale
SILVIA PERUCCHETTI
Direttrice Responsabile
Il numero di FarCoro che avete fra le mani è ricco di novità! Innanzitutto inauguriamo una nuova importante rubrica, Vita associativa , pensata per essere “vicina ai cori” e accogliere il punto di vista e le esperienze delle Delegazioni provinciali e dei coristi, focalizzandoci in particolare su iniziative dallo speciale valore di condivisione e di scambio: apre la rubrica la collaborazione congiunta delle Delegazioni di Ferrara, Parma e Reggio, che ha portato al convegno su coralità e inclusione tenutosi al Conservatorio di Reggio Emilia in ottobre.
Inoltre, in questo numero avviamo un nuovo tipo di dossier che ci accompagnerà saltuariamente nei prossimi anni: un approfondimento dedicato alle città musicali della nostra Regione, partendo naturalmente da Bologna, sede di AERCO e culla di istituzioni musicali prestigiose e antichissime. Andremo alla scoperta dell’archivio e della cappella musicale della Basilica di San Petronio e della Cattedrale di San Pietro, che – oltre a custodire patrimoni librari di enorme valore, con ancora molto da esplorare – animano la vita cittadina con appuntamenti ormai irrinunciabili per il pubblico bolognese, come il concerto per la solennità del patrono della città, che ha luogo nella basilica minore ininterrottamente dal 1982. Leggeremo del severo esame sostenuto dal giovane Wolfgang Amadeus Mozart in Accademia
C oro
Filarmonica nel 1770, e ripercorreremo la storia del coro del Collegium Musicum Almae Matris dell’Università di Bologna, che nel 2023 ha compiuto 70 anni di attività; in occasione del recentissimo restyling , Andrea Angelini, Marco Fornasier e Puccio Pucci ripercorreranno le fasi evolutive dei loghi di AERCO e FENIARCO, la cui grafica narra «una storia di trasformazione, crescita e dialogo», dalla stilizzazione dei coristi all’esplicito richiamo alla coralità rinascimentale, al minimal design della versione 2025.
La Messa di Gloria di Puccini, la polifonia di Dufay, il rapporto sempre più stretto fra psicologia ed educazione della voce, utili pratiche di ‘sintonizzazione’ ed empatia, il meccanismo voce-respiro indagato da Raffaele Giordani: quello che spero è che sfogliare le pagine di FarCoro sia per lettrici e lettori una continua sorpresa, girovagando tra le infinite sfaccettature del cantare insieme; una molteplicità che ben si rispecchia nelle ricche e variegate attività di AERCO, che cerchiamo di raccontare qui su FarCoro nella rubrica Notizie – dai convegni alle masterclass , dalla decennale Scuola di Canto Gregoriano ai festival concertistici. Fra questi credo che meriti un’attenzione speciale la terza edizione del Festival Corale Interreligioso Spiritus , che quest’anno si è svolta a Parma e muoveva dal tema “Tempo di inquietudine, tempo di fiducia”: uno straordinario crogiuolo di riflessioni, tradizioni liturgico-musicali da tutto il mondo e occasione di ascolto reciproco, qui raccontatoci dal direttore artistico Bernardo Marconi. Debutta inoltre con questo numero anche la rubrica Salotto , che ospiterà consigli di lettura e ascolto, recensioni e ultime uscite editoriali.
E infine, come sempre FarCoro vuole essere un quaderno in cui trovare proposte musicali ‘pronte all’uso’: ringrazio Romano Vettori e Paolo Gattolin per averci fornito trascrizioni inedite dell’antifona mozartiana Quærite primum regnum Dei (che costituì la prova d’esame con cui Mozart fu aggregato all’Accademia Filarmonica e che rispetto alla corrente edizione critica offre integrazioni e suggerimenti ai fini dell’esecuzione pratica) e di una bella Ave Regina coelorum a 4 voci di Padre Martini, eseguibile a cappella, con organo e con strumenti ad libitum
Buona lettura!
L’Ave Maria di Giulio Caccini: il falso
storico che suona meglio dell’originale?
Di Andrea Angelini
Presidente di AERCO, direttore di coro, docente al Conservatorio di Venezia
Se siete appassionati di musica sacra o vi siete trovati a commuovervi ascoltando un’ Ave Maria struggente in una chiesa affollata durante un matrimonio, è probabile che abbiate sentito l’ormai celebre “Ave Maria di Giulio Caccini”. Tuttavia, c’è un piccolo dettaglio che potrebbe sorprendervi: Giulio Caccini non ha mai scritto quell’ Ave Maria . Sì, avete letto bene: è un falso storico... ma che falso!
Un mistero musicale degno di un giallo
La storia di questa composizione comincia non nel Rinascimento, bensì negli anni ’70 del Novecento. Esatto, in un’epoca in cui l’ Ave Mari a si trovava a competere non con il madrigale, ma con i Led Zeppelin. La composizione è stata attribuita a Vladimir Vavilov, un liutista russo noto per scrivere opere e poi attribuirle a compositori antichi per dar loro un’aura di autenticità. Forse era stanco di vedersi snobbato dai
critici, o forse voleva semplicemente giocare un brutto scherzo alla musicologia.
Vavilov compose quest’opera in ‘stile pseudorinascimentale’ e decise di regalarla postuma a Giulio Caccini, compositore italiano del tardo Cinquecento, noto per il suo ruolo nella nascita del melodramma. L’idea era geniale: chi avrebbe mai messo in dubbio che un’opera tanto melodica potesse venire dalla penna di un maestro come Caccini?
Un successo inaspettato
E così, il pezzo venne pubblicato con l’attribuzione a Caccini e cominciò a guadagnare popolarità, prima timidamente tra i musicisti e poi esplodendo nel repertorio dei cantanti lirici. Le note malinconiche, il lirismo esasperato e la melodia ipnotica conquistarono milioni di ascoltatori. Ma nessuno si prese la briga di indagare troppo a fondo. Dopo tutto, era un’Ave Maria: chi vorrebbe rovinare un momento così spirituale con un’indagine accademica?
Col passare del tempo, le registrazioni si moltiplicarono. Cantanti famosi, da Andrea Bocelli a Sarah Brightman, inserirono l’ Ave Maria nei loro repertori. E così, una bugia nata quasi per scherzo divenne una verità musicale accettata.
La rivelazione: Giulio Caccini si starà rivoltando nella tomba?
Col tempo, ovviamente, qualcuno cominciò a sollevare dubbi. Gli studiosi notarono che lo stile della composizione non corrispondeva del tutto al linguaggio musicale di Caccini. Non che Vavilov non fosse bravo: al contrario, aveva colto molte delle caratteristiche del tardo Rinascimento. Tuttavia, il suo tocco era inconfondibile, e un occhio (o meglio, un orecchio) attento poteva riconoscere l’impostazione moderna truccata da antica.
Ecco allora che il mito venne smascherato. Ma a quel punto, chi se ne importava? L’ Ave Maria di “Caccini” era già un classico. Se persino il Requiem di Mozart è in parte un lavoro di Süssmayr, perché dovremmo fare i difficili con un’ Ave Maria che, falsa o no, ci fa venire la pelle d’oca?
La morale della storia?
Forse questa vicenda ci insegna che la musica, in fondo, trascende l’autenticità storica. L’ Ave Maria di
A sinistra Giulio Caccini (1551-1618) a destra Vladimir Fëdorovič Vavilov (1925-1973)
Vavilov, attribuita a Caccini, è una bugia, certo, ma è una bugia meravigliosa. Se la senti cantare sotto le volte di una cattedrale o durante una cerimonia, non importa chi l’ha scritta: ciò che conta è che quelle note risuonano nel cuore.
Quindi, la prossima volta che ascolterete l’ Ave Maria di “Caccini”, potrete sorridere sapendo che è la composizione più ingannevolmente bella della storia della musica. E magari farete un brindisi a Vladimir Vavilov, l’uomo che ha dimostrato che, a volte, una bugia ben orchestrata può essere più potente della verità.
L’ennesima versione (perché non ci facciamo mai mancare nulla)
Ebbene sì, per chiudere questa storia – e non certo per pigrizia o conformismo – ho pensato di assemblare un’altra trascrizione dell’ Ave Maria , da aggiungere alla già ricca collezione universale di arrangiamenti. Un po’ per divertimento, un po’ per spirito natalizio, eccola qui, tutta per voi lettori di FarCoro .
Gli ingredienti? Serve un pianoforte, un violoncello e, ovviamente, un coro misto (perché il coro è sempre la ciliegina sulla torta, no?). Siete liberi di proporla ai vostri cori, di eseguirla in pubblico o, se preferite, di limitarvi a schiacciare play per ascoltarne l’effetto –che, diciamolo, non è affatto male.
E così, con questa ennesima trovata, vi saluto. Io (il meme), Giulio Caccini (il povero beffato) e Vladimir Vavilov (il geniale beffardo) ci congediamo augurandovi Buone Feste! E ricordate: che sia autentico o un falso ben fatto, l’importante è che la musica suoni bene e riempia l’aria di magia.
ANDREA ANGELINI Presidente AERCO presidente@aerco.emr.it
Ave Maria di V. Vavilov, Audio Ave Maria di V. Vavilov, Spartito
Andrea Angelini
Coralità e inclusione: un convegno al Conservatorio di Reggio Emilia
DI ALBERTO SIMONAZZI
Delegato AERCO di Reggio Emilia e cofondatore di Coro Interculturale di Reggio Emilia APS
Domenica 6 ottobre 2024, presso la sede reggiana del Conservatorio “Peri-Merulo” di Reggio Emilia e Castelnovo ne’ Monti, ha avuto luogo un convegno su coralità e inclusione organizzato dalle Delegazioni di Ferrara, Parma e Reggio Emilia. Obiettivo del convegno è stato quello di suggerire alcune strategie e di fornire alcuni strumenti tecnici e metodologici tesi all’inclusione, all’interno dei gruppi corali amatoriali, di persone con lingua madre diversa dall’italiano, con disturbi dell’apprendimento e con disabilità (soprattutto di tipo relazionale). Per quanto riguarda il lavoro con persone di origine straniera e parlanti l’italiano come L2, è intervenuta
Luciana Manca, docente di Musica presso un Istituto Comprensivo del brindisino che ha recentemente conseguito il dottorato in Etnomusicologia all’università Tor Vergata di Roma sotto la guida della prof.ssa Serena Facci, una delle più conosciute e apprezzate etnomusicologhe italiane. L’intervento della prof.ssa Manca, dal titolo “Plurilinguismo e coralità nell’approccio glottodidattico”, ha spaziato appunto dalla presentazione dei diversi approcci legati all’insegnamento dell’italiano come lingua seconda (da quelli più tradizionali, ormai in disuso, a quelli più recenti e innovativi) alla considerazione di una prospettiva di educazione interculturale, per definizione dinamica e inclusiva, che si pone da un lato l’obiettivo di evitare quel senso di “prigione culturale” da parte degli apprendenti di origine straniera e dall’altro quello di non indurre i parlanti l’italiano come
Luciana Manca - relatrice
Emilio Piffaretti - relatore
lingua madre a cadere in una “folklorizzazione” fine a se stessa. Dopo il contributo della prof.ssa Manca è stato il turno del prof. Emilio Piffaretti, docente presso il conservatorio di Milano e referente, per il medesimo Istituto, degli studenti con disabilità e con DSA. “Sistemi di notazione musicale alternativi” è stato il titolo proposto dal docente al proprio intervento, grazie al quale le persone presenti in sala (così come quelle collegate da casa) hanno avuto modo di ascoltare, grazie ad alcune registrazioni all’uopo effettuate, le difficoltà a solfeggiare che incontra uno studente o una studentessa a cui è stato diagnosticato un disturbo specifico dell’apprendimento, ma che contemporaneamente hanno sperimentato quanto queste difficoltà possano essere alleggerite grazie al ricorso a più sistemi di notazione musicale diversi da quello classico (note su pentagramma). Dopo la pausa di metà mattinata ha preso la parola la prof. ssa Giuseppina Casarin, direttrice del Coro “Voci dal Mondo” di Mestre (VE) e docente di Musica presso un Istituto Comprensivo della zona. Quello della relatrice veneta (il titolo del suo intervento, “Il canto che avvicina: un canto per sentirsi comunità”, si è rivelato azzeccatissimo) è stato un contributo che
è partito dall’esperienza personale di animatrice di un coro che ha fatto dell’inclusione e della presa in carico dei bisogni delle persone più fragili la propria caratteristica principale. Le tante anime che formano questo coro, nato con l’obiettivo di intercettare le comunità di stranieri che andavano formandosi in un quartiere di Mestre ormai diversi anni fa, sono infatti sempre in viaggio (metaforicamente e non) e alla ricerca di luoghi e comunità bisognosi di un messaggio di vicinanza da trasmettere attraverso il canto e la musica. Ha infine chiuso i lavori convegnistici il dott. Giorgio Guiot, direttore del coro della Fondazione “Cantabile” di Torino, il quale ha presentato un contributo dal titolo “Il relational singing model”. Dopo aver immediatamente convolto i presenti in un esercizio interattivo, il relatore ha proiettato un video formato dalle registrazioni di alcuni incontri con un gruppo di bimbi mostrando quanto il modello di insegnamento oggetto dell’intervento stesso fosse efficace al punto da generare in un bimbo con diagnosi di disturbo dello spettro autistico un’anticipazione rispetto a ciò che sarebbe successo da lì a poco. I lavori si sono conclusi verso le 13:30 con un ottimo feedback da parte delle persone presenti.
Giuseppina Casarin - relatrice
Giorgio Guiot - relatore
La Cappella Musicale di San Petronio
Nel 40° anniversario della rinascita
DI MICHELE VANNELLI
Maestro di Cappella della Basilica di San Petronio in Bologna
L’invito a scrivere qualche parola sulla Cappella musicale di S. Petronio giunge particolarmente gradito in questo 2024, quarant’anni dopo la sua rifondazione. Sarebbe irragionevole presumere di ricostruire in poche righe le vicende di un’istituzione la cui storia si snoda nell’arco di quasi sei secoli, tanto più che ad essa è dedicata una nutrita letteratura: la prima trattazione sistematica è idealmente l’ Origine della musica in S. Petronio di Bologna1, redatta da padre Martini nel 1761; in tempi più recenti, hanno dedicato alla Cappella due fondamentali monografie Osvaldo Gambassi2 e Marc Vanscheeuwijck3, ma la bibliografia si fa ancor più
La festa di san Petronio celebrata il 4 ottobre del 1722 alla presenza del pretendente al trono inglese Giacomo Stuart e della sua consorte Clementina Sobieski. Bologna, Archivio di Stato, Anziani Consoli, Insignia, vol. XIII, c. 37
cospicua se si considerano gli studi specifici riguardanti autori, fonti musicali, opere, stili compositivi e prassi esecutiva collegati a S. Petronio prodotti dai primi anni del Novecento a oggi. Questo breve excursus intende perciò offrire al lettore qualche spigolatura storica e qualche considerazione musicale utili a comprendere l’importanza tanto dell’antica tradizione quanto dell’esperienza contemporanea di questa istituzione, rinviandolo ai predetti contributi per ogni ulteriore approfondimento.
Il legame fra le vicende della Cappella musicale e quelle della Basilica costituisce un punto di partenza imprescindibile. Sul finire del 1388 il Comune di Bologna stabilì l’edificazione nella piazza maggiore di una chiesa pulcherrima et honorabilis4; non si trattava di una nuova sede vescovile, prerogativa della vicina cattedrale di S. Pietro, ma del tempio votivo eretto dai cittadini e della nobiltà bolognesi per celebrare il vescovo Petronio,
1. Giovanni Battista Martini, Origine della musica in S. Petronio in Liceo, Cappella di S. Petronio e Cappella della Metropolitana di Bologna. I Professori dei tre pubblici Stabilimenti di musica in Bologna, la cappella di San Petronio, quella di S. Pietro e il Liceo Comunale di musica, ms., Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna, M.51.
2. Osvaldo Gambassi, La Cappella musicale di San Petronio. Maestri, organisti, cantori e strumentisti dal 1436 al 1920, Firenze, Olschki, 1987.
3. Marc Vanscheeuwijck, The Cappella musicale of San Petronio in Bologna under Giovanni Paolo Colonna (1674-1695). HistoryOrganization - Repertoire, Bruxelles & Roma, Istituto Storico Belga, 2003.
4. Mario Fanti, La Fabbrica di S. Petronio in Bologna dal XIV al XX secolo. Storia di un’istituzione, Roma, Herder, 1980, p. 19.
santo patrono della città, e ospitarne le reliquie. La devozione al protettore celeste si accompagnava alla volontà di esaltare potenza e «libertas» del comune: da qui l’ambizione di innalzare un’architettura di proporzioni colossali. La prima pietra fu posata nel 1390 ma nel 1506 il definitivo assoggettamento al governo pontificio ad opera di Giulio II pose fine all’ambizione di realizzare una domus ecclesiæ superiore a tutte le altre per dimensioni e magnificenza. Alla metà del secolo XVI, la costruzione del palazzo dell’Archiginnasio a lato della fabbrica di S. Petronio rese di fatto impossibile la realizzazione della pianta a croce latina prevista dal progetto; nel 1663 l’edifico fu completato innalzando una grande abside nel punto in cui avrebbe dovuto innestarsi il transetto. Durante i 273 anni intercorsi fra l’inizio e la conclusione dei lavori S. Petronio non rimase un semplice cantiere: già nel 1393 era stato possibile chiudere le prime due campate con un’abside provvisoria al fine di poter officiare i riti sacri all’interno. Con queste modalità la vita liturgica - e musicale - della Basilica poté svolgersi regolarmente sin dai primi anni, mentre la fabbrica procedeva lentamente di campata in campata. Nel 1436 il papa Eugenio IV si insediò a Bologna; fra i primi atti del suo soggiorno vi fu l’emanazione di una bolla con la quale riformava l’organizzazione del clero assegnato alla chiesa di S. Petronio e vi istituiva una Cappella: essa comprendeva in origine un maestro del canto, due o tre cappellani cantori e ventiquattro
chierici, la cui mansione principale consisteva nell’esecuzione del canto gregoriano durante le celebrazioni della messa e dell’ufficio; questa compagine si trasformò gradualmente in un complesso stabile di cantanti professionisti versati nel canto figurato. Nel 1449 la nomina di don Battista di Nicolò inaugurò la serie insigne degli organisti di S. Petronio; fra il 1471 e il 1475 il maestro organaro Lorenzo da Prato costruì e installò in Basilica il suo capolavoro: il primo organo di concezione moderna con registri indipendenti di cui si abbia notizia, il più antico strumento di 24 piedi giunto sino a noi e uno dei più antichi al mondo conservato integro in tutte le sue parti e in perfetta efficienza. La prima figura notevole che emerge nella storia musicale petroniana è Giovanni Spataro (Bologna, 1458/59 –ivi, 1541), maestro di cappella dal 1512 alla morte. Egli è ricordato in primo luogo per i suoi scritti teorici, tuttavia sono giunte sino a noi anche alcune sue composizioni, tramandate in alcuni libri corali dell’Archivio di S. Petronio da lui stesso compilati5.
Nel Cinquecento la Cappella fiorì sotto la guida di maestri illustri quali Domenico Maria Ferrabosco (Bologna, 1513 – ivi, 1574), Bartolomeo Spontone (Bologna,
5. Cfr. Frank Tirro, Renaissance Musical Sources in the Archive of San Petronio in Bologna, I: Giovanni Spataro’s Choirbooks, NeuhausenStuttgart: American Institute of Musicology, 1986 (Renaissance Manuscript Studies, 4).
Giovanni Spataro, Nativitas tua (particolare), Archivio musicale di S. Petronio, Libro corale A.XXXI (autografo)
1530 – Treviso, 1592), e Andrea Rota (Bologna, 1553 – ivi, 1597); la pregevole e vasta produzione di quest’ultimo, che padre Martini indica quale capostipite della scuola musicale bolognese6, comprende alcune composizioni policorali, primizie di uno stile che ebbe grande fortuna presso i suoi successori secenteschi. La presenza stabile di strumentisti nella Cappella è attestata dal 1560, quando fu assunto il primo suonatore di trombone. Verso la fine del secolo l’organico raggiunse proporzioni ragguardevoli: nel 1593 si arrivò a stipendiare 34 cantori, un organista, un cornettista, un violinista e tre trombonisti. Risale al 1596 la costruzione del secondo organo della Basilica ad opera del centese Baldassarre Malamini e la conseguente assunzione del secondo organista «quod possint cum duobus organis fieri concertus et chori ac musica duplex et responsiva ac alternata»7. Giovanni Battista Mecchi (Bologna, II metà del sec. XVI – ivi, 1613) e Ottavio Vernizzi (Bologna, 1569 - ivi, 1649), entrambi valenti compositori, furono i primi a condividere la titolarità dei due magnifici strumenti. Nei primi vent’anni del Seicento la personalità di
maggior rilievo fu don Girolamo Giacobbi (Bologna, 1567 – ivi, 1628), che divenne maestro di cappella in S. Petronio nel 1604. La solida tecnica contrappuntistica del compositore si espresse fin dalla prima opera stampata, i Motecta multiplici vocum numero concinenda del 1601; egli fu, nel contempo, assiduo promotore del neonato stile concertato e del ‘recitar cantando’: a lui si devono i primi esempi di teatro musicale in area emiliana. Nel 1609 diede alle stampe la Prima parte dei salmi concertati a due e più cori, nella quale fissò la propria maniera di comporre grandi architetture policorali nello stile moderno. L’edizione dell’opera contiene alcuni preziosi
6. Giovanni Battista Martini, Esemplare, o sia Saggio fondamentale pratico di contrappunto fugato, dedicato all’illustrissimo... monsignore Gennaro Adelelmo Pignatelli arcivescovo di Bari da f. Giambattista Martini minor conventuale, accademico dell’Instituto delle scienze, e filarm. Parte seconda, Bologna, Lelio Dalla Volpe impressore dell’Instituto delle Scienze, [1775], p. 294.
7. Oscar Mischiati, Luigi Ferdinando Tagliavini, Gli organi della Basilica di san Petronio in Bologna, Bologna, Patron, 2013, p. 73.
Il presbiterio di S. Petronio durante la cerimonia per l’imposizione del galero cardinalizio ad Alfonso Litta (5 maggio 1666). La cantoria su cui è schierata Cappella musicale mostra ancora l’aspetto precedente alla sistemazione definitiva di Giovan Giacomo Monti. Bologna, Archivio di Stato, Anziani consoli, Insignia, vol. VIII , c. 93
Maurizio Cazzati, Sonate a due, tre, quattro e cinque con alcune per tromba, Bologna, Marino Silvani, 1665, parte di Violino primo, pp. 38-39.
avvertimenti indirizzati «al cortese lettore», indispensabili per allestirne l’esecuzione: il primo coro concertato richiede cinque voci sole, il secondo una voce e tre strumenti, viole o tromboni, il tutto sostenuto dal basso continuo. In ogni salmo vi sono passaggi che ammettono il raddoppio delle voci di concerto con uno o più cori «di ripieno» vocali e strumentali che l’autore suggerisce di collocare «convenientemente distanti dalli due cori principali».
Queste indicazioni di prassi esecutiva e queste composizioni richiamano la magnificenza degli apparati musicali solenni che si approntavano nella prima metà del Seicento in S. Petronio. La diffusione dello stile concertato non soppiantò tuttavia la musica nello stile a cappella, né le sue forme esecutive: a seconda dell’occasione liturgica e del repertorio, si cantava «su’ corridori», cioè sulle cantorie, o «al leggile», con i cantori raccolti a semicerchio intorno a un unico grande leggio; la presenza nell’Archivio di S. Petronio di una serie di libri corali contenenti musica polifonica compilati fra l’inizio del Cinquecento e il 1663 conferma la longevità di questa consuetudine.
Fra la metà del Seicento e la metà del Settecento il
magistero di tre grandissimi compositori, la presenza in organico di alcuni fra i migliori cantanti e strumentisti dell’epoca, la grandiosità delle esecuzioni, il progressivo definirsi al suo interno di uno stile caratteristico fecero della Cappella di S. Petronio una delle istituzioni musicali più celebri d’Europa. L’inizio di questo secolo d’oro coincise con la nomina a maestro di cappella di Maurizio Cazzati (Luzzara, 1616 – Mantova, 1678) nel 1657. Nel primo anno del suo mandato egli licenziò tutti i musicisti in servizio, promulgò meticolosi Ordini per la musica e procedette a nuove assunzioni funzionali a un radicale rinnovamento dell’organico e del repertorio. La formazione comprendeva a quel punto tredici cantanti, tre violini, due viole alto, una viola tenore, due violoni, una tiorba e un trombone. A seguito di queste riforme autoritarie si inimicò la consorteria musicale bolognese, che gli oppose un ostracismo ostinato sdegnando le sue origini forestiere, denigrando pubblicamente le sue deboli competenze tecniche nell’ambito del contrappunto osservato, escludendolo deliberatamente dal novero degli aggregati alla neonata Accademia Filarmonica. Esasperato dall’ostilità dell’ambiente musicale cittadino, lasciò nel 1671 l’incarico per riparare
Giovanni Paolo Colonna, Domine a 8 con violini e trombe (1679), Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, ms. Mus.Hs.16773, cc. 2v-3r
a Mantova. Nell’arco della sua frastagliata vicenda artistica, Cazzati pubblicò ben sessantasei opere a stampa che, insieme con alcuni lavori senza numero d’opera e un piccolo gruppo manoscritti, costituiscono una produzione sterminata. Sebbene la formazione e, per molti versi, lo stile di questo autore risalgano alla tradizione musicale lombarda, egli influenzò in modo decisivo la maniera dei compositori bolognesi della generazione seguente, particolarmente nei generi del mottetto a voce sola, della messa concertata e della musica strumentale.
Giovanni Paolo Colonna (Bologna, 1637 – ivi, 1695) e Giacomo Antonio Perti (Bologna, 1661 – ivi, 1756) assunsero la direzione della Cappella rispettivamente nel 1674 e nel 1696. A differenza del predecessore, furono annoverati fra i più dotti contrappuntisti del loro tempo e riscossero l’ammirazione di papi, imperatori e principi. Ricevuti i primi rudimenti della musica in patria, entrambi si perfezionarono con maestri di scuola romana: Colonna studiò a Roma con Abbatini, Benevoli e Carissimi, mentre Perti fu allievo a Parma di Giuseppe Corsi detto Celano, che di Carissimi era stato discepolo prediletto. Con le loro opere e con quelle dei musicisti che si formarono alla loro scuola essi definirono il gusto monumentale della musica bolognese di quell’epoca, caratterizzato dalla sintesi fra grandiose architetture contrappuntistiche e stile concertato, dall’uso massivo della policoralità e
dall’impiego di organici imponenti8
In quegli anni, la grande cantoria a ferro di cavallo della Basilica, completata nel 1674, soleva ospitare nelle occorrenze più solenni fino a centocinquanta esecutori fra cantanti e strumentisti. Dell’orchestra della Cappella fecero parte, in pianta stabile o come aggiunti in occasione degli allestimenti più sontuosi Giovanni Battista Vitali, Domenico Gabrielli, Giuseppe Torelli, Arcangelo Corelli, Giovanni Bononcini, Giuseppe Jacchini. Il contributo di S. Petronio allo sviluppo delle forme musicali tardo secentesche fu significativo anche in ambito strumentale puro: videro la luce in questo contesto i primi esperimenti di concerto grosso e le prime pagine della letteratura solistica per il violoncello e per la tromba.
Perti morì novantacinquenne nel 1756, dopo aver retto onorevolmente la Cappella per sessant’anni; gli succedette il suo vice, don Giuseppe Carretti (Bologna,
8. Cfr. Anne Schnoebelen, The concerted mass at San Petronio in Bologna: ca. 1660-1730. A documentary and analytical study, dissertation, University of Illinois, Ph.D., 1966; Michele Vannelli, I tre libri di salmi vespertini a otto voci (opp. I, VII e XI) di Giovanni Paolo Colonna, [Dissertation thesis], Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Dottorato di ricerca in Cinema, musica e teatro, 26 Ciclo (2015). DOI 10.6092/unibo/amsdottorato/6971.
1690 – ivi, 1774), che incrementò l’organico stabile dell’orchestra introducendovi oboi, fagotto, trombe e trombone. Né lui né i suoi successori poterono far fronte alla difficoltà sempre crescente di reperire cantanti castrati cui affidare i ruoli di soprano e contralto, ruoli che dal 1765 non compaiono più nelle liste dei musici al servizio ordinario della Cappella. Nel 1770 venne istituita la carica del primo violino ossia capo orchestra. Anche nel secolo XIX la carica di maestro di cappella fu affidata a personalità illustri quali don Stanislao Mattei (Bologna, 1750 - ivi, 1825), Gaetano Gaspari (Bologna, 1807 - ivi, 1881), Luigi Mancinelli (Orvieto, 1848 - Roma, 1921), Giuseppe Martucci (Capua, 1856 - Napoli, 1909); quest’ultimo tuttavia non assunse mai il ruolo. Durante il suo soggiorno bolognese, Rossini in persona aveva proposto la nomina in S. Petronio a Mercadante e a Donizetti, senza successo. Formulare considerazioni di natura stilistica sulla musica composta per la Cappella in questa stagione risulta difficile, poiché gran parte delle fonti attende ancora uno studio sistematico. Senza dubbio sulla fortuna ottocentesca della Cappella pesarono le mutate condizioni politiche ed economiche, l’insorgere ricorrente di situazioni conflittuali fra governo pontificio e fabbriceria, il disinteresse della fabbriceria stessa nei confronti dell’istituzione, la perdita di importanza della musica sacra nella percezione sociale collettiva di quegli anni; così la carica di maestro di cappella rimase vacante dal 1838 al 1856 e per un periodo ancor più lungo l’organico rimase totalmente sprovvisto di voci. I diversi tentativi di riforma posti in essere alla fine del secolo si rivelarono inconcludenti e la tradizione
della Cappella si incamminò verso una progressiva decadenza, per poi interrompersi del tutto dopo la prima guerra mondiale.
Nel 1984 la nomina di Sergio Vartolo a maestro di cappella segnò l’avvio della vicenda contemporanea della Cappella di S. Petronio; essa fu rifondata con una duplice vocazione: da un lato la cura del canto liturgico in occasione delle celebrazioni solenni officiate in Basilica; dall’altro la valorizzazione dell’inestimabile patrimonio musicale sorto in seno alla Cappella nel corso dei secoli e conservato in larga parte nel ricchissimo archivio della fabbriceria. Per adempiere in modo conveniente a questo mandato, le scelte in ordine a repertorio, organici e stile interpretativo furono illuminate dal fervore di ricerca intorno alla prassi esecutiva storica che andava diffondendosi nell’Europa di quegli anni: sotto il magistero di Vartolo, essendo organisti titolari Luigi Ferdinando Tagliavini e Liuwe Tamminga e archivista Oscar Mischiati, fu creata un’orchestra con strumenti antichi (una delle prime in Italia) e si riunì un agguerrito gruppo di cantanti; ciò da un lato fece affluire a Bologna da tutto il mondo i più accreditati specialisti nell’ambito della cosiddetta musica antica; d’altro lato fece sì che in seno alla Cappella si formasse una generazione di musicisti italiani destinata ad affermarsi negli anni successivi sulla scena concertistica internazionale. Da allora, attraverso studi, trascrizioni, edizioni critiche, pubblicazioni, concerti e registrazioni discografiche, centinaia di capolavori sconosciuti sono stati riportati alla luce e restituiti al suono grazie al lavoro della rediviva Cappella di S. Petronio.
42° Concerto per la solennità di S. Petronio, 3 ottobre 2024 (foto di Massimo Gennari)
L’Archivio Musicale della Cattedrale di S. Pietro a Bologna
DI ANTONIO LORENZONI
Musicista e diplomando in Musica corale e direzione di coro, primo cantore della Cattedrale di S. Pietro in Bologna
E GIACOMO CONTRO
Cantante, ricercatore e trascrittore
L’Archivio musicale della Cattedrale di S. Pietro si trova presso l’Archivio Generale Arcivescovile di Bologna, e contiene grosso modo le musiche usate nelle celebrazioni liturgiche a partire dal secolo XVII fino alla fine dell’Ottocento. Fu perlopiù ignorato dagli studiosi fino a circa il 1983, quando Elita Maule incominciò una nuova schedatura dell’Archivio basato sui generi ivi presenti, che però non fu mai completata: l’ultimo indice si deve a Petronio Belvederi, che nel 1845 ne curò uno per autore e generi, poi integrato con aggiunte successive (molti manoscritti e spartiti non vi sono riportati). Nel 2015 il dott. Lars Magnus Hvass Pujol ha incominciato un’opera di catalogazione e messa in sicurezza dell’archivio stesso, tuttora in corso: in totale l’Archivio consta di 1330 manoscrit ti.
La musica nella Cattedrale di Bologna
Nonostante si abbiano testimonianze di musica in Cattedrale a partire dai secoli XIII-XIV (come si evince dalla raccolta di corali miniati presenti nell’Archivio del Capitolo della Cattedrale, i cui più antichi esempi, come quello contenente il Proprio della Messa, risalgono almeno all’inizio del ‘300), non abbiamo molte informazioni su come si eseguissero tali musiche.
Abbiamo inoltre testimonianze dell’esecuzione in Cattedrale anche di musica figurata (ossia polifonica) a partire dal XVI secolo, e della presenza di un organista stabile a partire dalla fine del XV secolo, ma non vi sono resoconti d’archivio di quali musiche venissero eseguite. Grazie a notizie d’archivio sappiamo che con il pontificato del cardinale Gabriele Paleotti, tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, la cappella musicale fu fondata come cantoria e stipendiava mensilmente
L’interno della Cattedrale di Bologna ed il suggestivo effetto di luce che si verifica ogni anno a maggio (foto di Martina Caroli)
una decina di cantori professionisti ed un trombone, oltre ai mansionari, ai cappellani, ai chierici e alla scuola dei putti; dal 1592 si hanno testimonianze dell’uso del violino almeno saltuariamente, e il suo primo utilizzo risulta nell’Oratorio di S. Pietro, quindi in contesto extra-liturgico.
La scarsità di notizie sull’organico della cappella musicale nel XVII secolo è sconcertante, ma forse dovuta ad una sua stabilità d’organico: si sa infatti che dal tempo del magistero di Lorenzo Perti e del nipote Giacomo Antonio Perti (i quali tennero la cappella alla fine del XVII secolo), l’organico era ormai stabilito e tale rimase fino alla fine del ‘700, ovvero un cantante per voce ( cantus, altus, tenor e bassus ), due violini, un violoncello ed un violone oltre all’organista, il maestro di cappella e gli alzamantici; si sa però che in occasioni particolarmente solenni, come la Messa solennissima fatta celebrare dal cardinale Boncompagni il 21 dicembre 1716, essa comprendeva ben 21 strumentisti ed un coro di 25 elementi.
I manoscritti
Sarà dunque dalla metà del XVIII secolo che si inizierà a formare stabilmente l’Archivio musicale, periodo in cui i vari maestri di cappella inizieranno a far propria la concezione di lasciare le proprie composizioni alle chiese in cui avessero prestato servizio – quindi, per riferirci al nostro archivio, fino al magistero di Antonio Mazzoni, che nel 1769 lascia come legato testamentario tutta la sua produzione alla conservazione nell’Archivio; e così fecero i suoi successori, come Gabriele Vignali, Ignazio Fontana, Giovanni Tadolini e Benedetto Donelli. Dei precedenti (i già citati Lorenzo e Giacomo Antonio Perti, Giacomo Cesare Predieri e Angelo Antonio Caroli) non si conservano veramente che pochi manoscritti: due di G. A. Perti, un Adoramus te Christe (Belvederi, Settimana Santa, 42) ed un Dixit Dominus a 4 con strumenti (Belvederi, Perti, 1): di Predieri invece sono
1. Lars Magnus Hvass Pujol, La musica nella Cattedrale di S. Pietro a Bologna (1417-1754), tesi di dottorato, Milano, 2019.
D. G. M. Carretti, Responsi da morto a due voci cioè tenore e basso con organo
G. A. Perti, Miserere a 8 voci e basso continuo
conservati invece 6 manoscritti1 di genere liturgico vario. Come si è detto i successori di Predieri – di cui Antonio Mazzoni (in carica dal 1779 al 1785) fu il primo, con un lascito di più di 50 manoscritti, Gabriele Vignali (17851798) il secondo con più di 110 e Ignazio Fontana (17981820) con una sessantina – furono molto generosi nelle loro donazioni: Giuseppe Pillotti (in carica dal 1820 al 1825, anno in cui venne eletto maestro di cappella in S. Petronio) donò invece un solo manoscritto. Il successore di Pillotti fu Giovanni Tadolini (1825-1872), che fece lunghi periodi di assenza per impegni operistici a Parigi e in Italia, poi sostituito da Antonio Fabbri, Benedetto Donelli e Giuseppe Busi: egli lasciò all’Archivio 75 brani registrati nell’indice Belvederi ed altri 130 non registrati (probabilmente successivi all’Indice). Nel dicembre del 1872 il capitolò nominò Antonio Fabbri, che lasciò all’Archivio una quindicina di manoscritti e fu sostituito nel settembre 1887 da Federico Parisini, del quale cui sono presenti solo due musiche per la Madonna di S. Luca; nel 1891 fu eletto Alfonso Milani, ultimo maestro di cappella del XIX secolo, che lascia all’Archivio solo una composizione in una silloge di piccoli brani bandistici sempre per la Madonna di S. Luca.
L’indice di Belvederi
Scorrendo l’indice Belvederi (che come si è detto è il più recente di cui disponiamo, compilato nel 1845) possiamo avere un’idea di che cosa sia contenuto nell’Archivio musicale di S. Pietro: l’indice è diviso per autori (ne presenta 19: Alberghini, Basili, Beccantini, Bertoni, Caretti, Dallari, Dal Fiume, Donelli, Favi, Fontana, Gibelli, Mazzoni, Martini, Predieri, Perti, Tesi D. Angelo, Tesi D. Valerio, Tadolini e Vignali)2, nonché sette categorie determinate dalla destinazione liturgica delle composizioni (Settimana Santa, Inni Exultet, Tantum Ergo, Te Deum, Litanie, Beata Vergine, Per Defunti), a cui Belvederi aggiunse in secondo momento la categoria Mattei. Belvederi compilò anche un secondo indice, detto Indice dei Pezzi, che permetteva la ricerca per generi attraverso i rimandi all’indice generale secondo 26 categorie (Chirie, Chirie e Gloria, Gloria, Beatus Vir, Laudate Pueri, Laudate Dominum, Nisi Dominus Laetatus sum,
2. Lars Magnus Hvass Pujol, La musica nella Cattedrale di S. Pietro a Bologna (1417-1754), tesi di dottorato, Milano, 2019.
Credidi, In Convertendo, Domine probasti, De Profundis, Inni, Magnificat, Tantum Ergo, Messa a pieno, Introiti, Antifone e Te Deum). Queste ci fanno intuire che tipo di brani siano conservati nell’Archivio e soprattutto ci danno un’idea del loro utilizzo liturgico-musicale: possiamo notare come essi siano afferenti soprattutto all’Ordinarium della Messa e ai salmi presenti nei vari communia delle ufficiature festive vespertine secondo i libri liturgici romani, nella forma che oggi viene identificata ‘straordinaria’; è inoltre interessante notare le voci Pezzi di Gloria e Pezzi di Credo, che afferiscono alla pratica molto usata nella musica sacra dei secoli XVIII-XIX di creare messe ‘pasticcio’, ovvero composte da sezioni chiuse (tipiche delle messe concertate italiane) di diversi autori, oppure di prevedere in musica polifonica solo
3. Liber hymnarius cum invitatoriis et aliquibus responsoriis (Antiphonale Romanum tomus alter), Solesmes, Abbaye SaintPierre, 1983.
alcune sezioni dell’Ordinario, lasciando il resto in canto fermo.
Degna di nota è inoltre la sezione Exultet: essa indica l’inno Exultet orbiis gaudiis, che il Liber Hymnarius3 fa risalire al X secolo circa, afferente al Comune degli Apostoli per i Vespri, che veniva cantato in cattedrale in una para-liturgia celebrata durante la novena alla festa dei SS. Pietro e Paolo, ovvero nei nove giorni antecedenti al 29 giugno (di cui, nell’attuale assetto celebrativo della Cattedrale, si sono perse sia la memoria che la pratica liturgica).
Il grande Giovanni Battista Martini
Ed a proposito di quest’ultima festività, così solenne ed importante per la Cattedrale, ci colleghiamo ad uno dei più importanti autori che ha scritto per la chiesa metropolitana bolognese: Giovanni Battista Martini.
B. Martini, Antifona V (Tu es Petrus) per i Vespri
G.
dei SS. Pietro e Paolo
G. B. Martini, Antifona V (Tu es Petrus) per i Vespri dei SS. Pietro e Paolo
Egli fu indubbiamente e indiscutibilmente un’autorità musicale e musicologica in tutta Europa: a lui sappiamo che si rivolgevano tantissimi compositori, e come tale fu chiamato a scrivere musica anche per la Cattedrale della Città.
Lo stile compositivo di Padre Martini era a dir poco flessibile alle esigenze, ai gusti e alla destinazione delle proprie commissioni; le sue composizioni variano dalla polifonia a cappella, agli oratori con orchestra, alla musica sacra a doppio coro, ma le composizioni contenute all’interno dell’archivio della cattedrale
vertono verso quella che era, nella seconda metà del ‘700, la composizione corale più richiesta all’interno della Cattedrale: il coro maschile a 2 e 3 voci (TB e TTB) a cappella o con accompagnamento di basso continuo. Egli infatti, l’anno prima della sua morte, nel 1783, scrisse le sue penultime due opere datate a noi note:
4. Vittore Zaccaria, Padre Giambattista Martini compositore, musicologo e maestro. Con il catalogo di tutte le opere, Padova, Il messaggero di S. Antonio, [1969?]; «Il Santo. Rivista antoniana di Storia, dottrina, arte», a. 9 n. 1 (gennaio-aprile 1969).
Antiphonae in primis Vespri SS. Apostolor. Petri et Pauli 3 vocibus e Antiphonae in primis Vesperi SS. Apostolor. Petri et Pauli 4 vocibus (1783)4. Ma non solo: di questa tipologia di composizione, dedicate proprio ai primi e secondi vespri per la solennità del Patrono della Cattedrale, abbiamo tanti esempi, ma la quasi totalità non è datata, e quasi tutte sono per coro a 3 voci maschili (a parte l’unica già citata del 1783).
Ma non ci fermiamo qui: la musica di Padre Martini contenuta in questo fondo musicale è totalmente musica liturgica. Delle sue quasi 30 composizioni si spazia dai Tantum Ergo, ai Te Deum (fra questi ne spicca uno a 2 voci con strumenti), agli introiti per le varie solennità dell’anno, a molte composizioni dedicate al culto dei defunti, alcune messe e salmi, e appunto le antifone ai salmi dei SS. Pietro e Paolo; e ad esclusione degli introiti (per le feste della Pentecoste, Epifania e di Ognissanti),
di un Tantum Ergo e dell’antifona già citata del 1783, parliamo di composizioni tutte scritte per coro maschile a 2 e 3 voci.
Con gli studi fatti sui manoscritti di padre Martini all’interno di un Archivio musicale così importante non possiamo che accrescere le nostre conoscenze relative agli altri altrettanto importanti compositori bolognesi, che necessitano di sempre maggiore attenzione e riscoperta, esattamente come l’Archivio musicale arcivescovile della Cattedrale di Bologna.
G. S. Silvani, Profezia ultima del Sabato Santo a 8 voci e basso continuo
«Inter Academiae nostrae Magistros Compositores»
L’Esperimento di Mozart all’Accademia Filarmonica di Bologna (nuove ricerche e considerazioni)1
DI ROMANO VETTORI
Musicologo
Premessa
Una delle tappe fondamentali del primo viaggio in Italia del giovane Mozart fu la sua seconda permanenza a Bologna, nel corso della quale egli sostenne l’esame per l’aggregazione all’Accademia Filarmonica, una delle più prestigiose istituzioni musicali d’Europa. Questa vicenda vide coinvolti, oltre a Mozart, Padre Giambattista Martini e altri membri dell’Accademia. Da metà Ottocento, in seguito alla scoperta a Bologna del testo di una differente versione autografa di tale prova d’esame, apparvero su questa vicenda, nella letteratura mozartiana, le più varie ricostruzioni degli eventi, talora sommarie o reticenti, talora leggendarie, quasi tutte fondate più sulla confusa ripetizione di quanto già scritto da altri, che sull’attento esame critico della documentazione nota.
1. Sull’argomento è in corso di pubblicazione un ampio studio, Il Principe il Frate e il Cavaliere - Mozart, Bologna 1770, da parte di Mario Armellini (Université de Rouen-Normandie) e Romano Vettori (Accademia Filarmonica di Bologna); se ne veda l’anteprima in «Studi e Materiali per la storia dell’Accademia Filarmonica di Bologna», Nuova Serie, I, 2024, pp. 1-23.
Johann Nepomuk della Croce, ritratto di Wolfgang Amadeus Mozart, 1780-‘81 (The Mozart-Museums of the International Mozarteum Foundation Salzburg)
W.A. Mozart si fermò Bologna una seconda volta tra il 20 luglio e il 12 ottobre 1770 – la prima era stata nel marzo – nel viaggio di ritorno da Roma, e sostenne ufficialmente l’esame in Accademia il 9 ottobre, chiedendo di effettuarlo secondo la procedura “alla bolognese”, cioè in clausura presso la Residenza Accademica, in maniera dunque più restrittiva, come era prescritto per coloro che volevano ottenere il posto di lavoro come maestro di cappella nella diocesi di Bologna. A lui (e al padre) non interessava però lavorare a Bologna, ma ottenere secondo la forma più rigorosa (e più difficile – per dimostrare la sua abilità) un riconoscimento di prestigio da utilizzare a livello internazionale. Infatti il diploma accademico gli fu assegnato come Maestro Compositore “alla Forastiera”, che di per sé sarebbe stato meno difficile, in quanto in questo caso la prassi era quella di “presentare” un elaborato, non necessariamente redatto “in” accademia.
Le circostanze
• I Mozart padre e figlio ebbero vari contatti con gli accademici filarmonici, sui quali esistono appunti nelle carte mozartiane del viaggio in Italia del 1769-1770, e fra i quali troviamo, oltre al Principe Petronio Lanzi (1728-1791), anche l’abate Domenico Zanardi (c. 1690-1783), cantante, consigliere designato dallo Statuto allora in vigore (1721) quale “promotore” delle nuove aggregazioni; come noto, i Mozart furono inoltre presenti all’annuale Festa per il protettore spirituale dell’Accademia Filarmonica Sant’Antonio in S. Giovanni in Monte descritta da C. Burney (30 agosto 1770) 2
• Mozart si recò col padre e nello studio di padre Martini numerose volte agli inizi di ottobre del 1770 («andiamo tutti i giorni da lui e conversiamo sulla storia della musica» 3 ).
• Sembra tuttavia che la decisione di sostenere
2. Charles Burney, Viaggio musicale in Italia, Torino, EDT, 1979, pp. 196-197).
3. Cfr. lettera di L. Mozart alla moglie del 6 ottobre (Lettere della famiglia Mozart, volume II. I viaggi in Italia, a c. di Cliff Eisen, traduzione di Elli Stern e Patrizia Rebulla, Milano, Il Saggiatore, 2019, n. 213, p. 162.
l’esame sia stata presa solo pochi giorni prima, e che le regole da seguire per il compito gli fossero state comunicate in un lasso di tempo ristretto (Leopold Mozart dice che «questo genere di composizione vieta molte cose che gli era stato detto preliminarmente di non fare» 4 ).
I documenti musicali
Del Compito ( «Esperimento» ) esistono due versioni musicali (A-B) contenute in quattro manoscritti (tre autografi di W. A. Mozart (WAM); un autografo di G. B. Martini (GBM):
1. Bologna Museo Internazionale della Musica: versione A/WAM1 (primo autografo di Mozart) giudicato non regolare da padre Martini e forse dal principe dell’Accademia Petronio Lanzi (vedi Considerazioni)
2. Bologna Museo della Musica: versione B/GBM (autografo di padre Martini)
3. Bologna Accademia Filarmonica: versione B/ WAM2 (secondo autografo di W. A. Mozart, medesima musica di 2., B/GBM); è quella “ufficiale”, rimasta agli atti e giudicata dalla commissione «sufficiente riguardo alle circostanze di esso lui [Mozart]» 5 (sul voto v. Considerazioni)
4. Salisburgo Mozarteum: versione B/WAM3 (terzo autografo di W. A. Mozart); si tratta probabilmente di una copia fatta da Mozart per conservarla presso di sé e la famiglia).
Considerazioni
Su come sia andata la storia leggenda vuole che Mozart (3.) sia pura copia di Martini (2.); possiamo però dire comunque che Martini non era presente all’esame (dato certo desumibile dai Verbali) e non può averla “passata” sottobanco. La procedura ufficiale prevedeva che durante la seduta di esame si aprisse a caso un antifonario – quello con ogni probabilità utilizzato per l’esame di Mozart è stato rintracciato nel corso delle ultime ricerche, v. nota 1 – e che si desse al candidato il canto gregoriano che vi compariva; così è detto anche nel verbale del 9 ottobre 1770. Sicuramente, però, la prima composizione (1.) fu fatta in preparazione
4. Cfr. lettera di L. Mozart alla moglie del 20 ottobre 1770 (Lettere cit., n. 214, p. 165).
5. Bologna, Accademia Filarmonica, II - Verbali, 3, p. 6.
W. A. Mozart, Compito nella versione ufficiale dell’Accademia (I-Baf, Composizioni Musicali d’Esperimento, Capsa IV, n. 134). Per gentile concessione dell’Archivio Biblioteca dell’Accademia Filarmonica di Bologna
dell’esame e quindi è certo che Mozart conosceva già il cantus firmus gregoriano (tema dato: antifona Quærite primum regnum Dei ) che gli sarebbe stato poi assegnato all’esame vero e proprio. La votazione, che si riferisce probabilmente alla versione B, fu giudicata «sufficiente»: un termine che ricorre solo 5 volte su 29 giudizi espressi rintracciati nei verbali dell’Accademia (gli altri: 3 negativi, 14 fatto a dovere/buono/degno/bello, 7 eccellenti, rispetto a 69 Esperimenti registrati tra 1750 e 1771).
Ipotesi
Vari indizi e circostanze portano a ritenere che:
• Mozart potrebbe aver sostenuto una sorta di pre-esame fuori dell’Accademia (quasi sicuramente nel convento di S. Francesco alla presenza di Martini (allora secondo Definitore perpetuo della Filarmonica) e del Principe dell’Accademia in carica Petronio Lanzi; di quest’ultimo – sempre attraverso le ricerche dello studio citato – è stata identificata la grafia dell’intero cantus firmus , delle chiavi, del segno di tempo e delle stanghette di misura nel manoscritto 1, con musica A (A/WAM): nell’intera serie degli esperimenti sia in Accademia Filarmonica sia nella biblioteca di Martini, la presenza di elementi di grafia musicale estranei a quelli del candidato rappresenta un caso unico).
• Martini conservasse copie autografe degli Esperimenti dei suoi scolari, e anche copie di sua mano, non è chiaro se fatte in seguito all’esame o prima, in qualche caso sicuramente prima (per es. J. Myslive č ek 1771).
• Nel caso di Mozart fosse stata attuata in via preventiva – per capire come sarebbe potuto andare l’esame - la prassi differenziata per “approvare” maestri di cappella ‘semplici’, non da aggregare come Maestri Compositori filarmonici a tutti gli effetti: tale prassi è testimoniata almeno in un caso con procedure molto simili a quelle che potrebbero aver generato la prima versione musicale dell’esperimento mozartiano (autografo A/WAM1): Giovanni Battista Predieri (fl. 1730-55), per esempio, fu “approvato” maestro di cappella nel luglio 1749 con un Esperimento di questo tipo - fuga autografa e sottoscritta dall’autore in doppia copia, la prima - bella copia – corredata
da firme autografe di A. Bernacchi Principe e G. A. Perti Definitore perpetuo. Forse Mozart in un primo momento fu messo alla prova con una analoga procedura, ma “ufficiosamente”, alla presenza delle stesse cariche accademiche (Principe e Primo Definitore Perpetuo 6 ), per poi, saggiato il rischio di non essere approvata la composizione (A), predisporne una seconda versione (B) e quella trascrivere all’esame ufficiale in Accademia.
• La versione B, sicuramente più consona alle regole propugnate da Martini nell’ Esemplare potrebbe essere il frutto di una lezione ‘riparatrice’ fatta da Martini a Mozart (B/GBM porta infatti diverse cancellature, e vi si intravede il tentativo, all’inizio, di mantenere il soggetto (tema) musicale che Mozart aveva proposto in 1. A/WAM1).
• Mozart (B/WAM1) avrebbe potuto poi riportare a memoria il compito nella versione B nella prova ufficiale in clausura sostenuta in Accademia (era da poco reduce dall’impresa a Roma di aver ‘portato fuori’ dalla Sistina riscrivendolo a memoria del celebre Miserere di G. Allegri dopo averlo udito solamente due volte, fatto eccezionale che probabilmente gli era valso il titolo di Cavaliere dello Speron d’Oro da parte del Papa). Il manoscritto 3. (secondo autografo di Mozart) è pulitissimo, senza sbavature o ripensamenti.
• L’autografo 4. del Mozarteum (B/WAM2) potrebbe essere la copia che i Mozart si portarono a Salisburgo come testimonianza dell’avvenimento.
Nello studio in corso di pubblicazione si affrontano però numerose altre questioni che, sulla base di un ingente quantitativo di documenti originali raccolti e di approfondite analisi paleografiche, possono indirizzare anche verso ipotesi più circostanziate.
A seguire viene data una trascrizione moderna che rispetto all’edizione della Mozart-Ausgabe offre alcune integrazioni e suggerimenti, ai fini di una sua pratica esecuzione.
6. Cfr. Museo Internazionale e Biblioteca della Musica, ms DD.56 cc. 15v-17v.
I 70 anni del Collegium Musicum dell’Università di Bologna
DI DAVID WINTON Direttore di coro
Reunion 70
Nel 2023 il Collegium Musicum Almae Matris dell’Università di Bologna ha festeggiato i suoi 70 anni invitando i soci del passato a incontrarsi e a fare musica insieme ai membri attuali. Dopo due giorni intensi di prove, tutti si sono esibiti in un concerto la sera di sabato 21 ottobre, nell’aula magna dell’Ateneo che, per questa
occasione, ha visto i suoi spazi invertiti: un pubblico ristretto nei posti normalmente riservati agli esecutori e i 500 esecutori in quelli del pubblico. L’imponente coro e l’orchestra multigenerazionale si sono formati e sono svaniti nello spazio dei due giorni della Reunion; non sono mai esistiti prima e non esisteranno mai più, ma la loro fugace esistenza è stata la testimonianza entusiasmante di una tradizione tramandata da classe in classe di studenti per 70 anni, una lunga storia che si cerca di riassumere nei paragrafi che seguono.
S. Giovanni in Persiceto, 1972: concerto del Collegium Musicum diretto da Fulvio Angius
Bologna, Teatro Comunale, 2006: Europa, spazio musicale comune (Evento organizzato dal Centro Studi per il Progetto Europeo dell’Università di Bologna)
La storia
È il 1953 quando nell’Aula Carducci dell’Università di Bologna si riuniscono i primi componenti del Collegium Musicum Universitatis studiorum bononiensis Chorus academicus. Il gruppo è da subito riconosciuto come coro ufficiale dell’Ateneo, inserendosi nell’antica tradizione dei cori universitari internazionali, e trova molto presto il suo spazio anche all’estero: nel 1955, infatti, viene organizzata una tournée in Germania, il primo di una lunga serie di scambi con le università straniere. Solamente nel 1961 il coro prende il nome di Collegium Musicum Almae Matris, con cui oggi è conosciuto, quando il professor Giuseppe Vecchi, docente di Letteratura latina medievale e di Storia della musica, ne riconosce per primo il valore e dà una struttura organizzata al giovane complesso. Sotto la sua guida il gruppo si arricchisce di un ensemble di strumentisti che si dedica alla riscoperta degli strumenti antichi, denominato Antiqua Musica Italica. La direzione artistica viene dapprima affidata a Mario Baroni e, negli anni successivi, tanti sono i nomi che si susseguono alla guida del Collegium Musicum, tra cui Fulvio Angius, che ha diretto il gruppo per oltre un
decennio, Tito Gotti, Angelo Ephrikian, Giorgio Pacchioni e dal 1980 David Winton.
Negli anni Ottanta nascono due nuovi complessi: nel 1985, in occasione dell’Anno Europeo della Musica e degli anniversari di J. S. Bach, G. F. Händel e D. Scarlatti, il coro si esibisce accompagnato da un piccolo complesso strumentale e sono quelli gli inizi dell’orchestra del Collegium Musicum; nel 1988, accanto al coro, ormai orientato verso repertori più adatti alla sua dimensione sempre crescente, si forma il coro da camera, un piccolo ensemble che si dedica allo studio del repertorio a cappella.
Nello stesso anno, con la conclusione della carriera accademica del professor Vecchi, a lungo anima e motore del Collegium Musicum, un gruppo di coristi e orchestrali decide di fondare l’associazione Collegium Musicum Almae Matris: indipendente dall’Università ma collegata ad essa, l’associazione ha come obiettivo la diffusione della pratica corale e strumentale all’interno dell’Ateneo.
Il Collegium Musicum diventa sempre più un ambiente internazionale poiché, grazie al successo del progetto Erasmus, sono tanti gli studenti che arrivano a Bologna per un periodo di studio e scelgono di fare musica all’interno dell’associazione. Continuano gli scambi con
gruppi musicali di altre università e, da questo impulso, nel 1990 nasce MusicAteneo, la rassegna internazionale che ogni anno ospita nel proprio cartellone concerti di orchestre e cori provenienti da tutta Europa. Si amplia l’offerta formativa con la creazione del Laboratorio corale, attività pensata per far avvicinare alla pratica corale anche le persone senza esperienza musicale. L’orchestra accoglie tanti nuovi giovani musicisti e raggiunge i numeri di una formazione sinfonica che, dal 1998, viene diretta da Barbara Manfredini.
Gli anni 2000
Nel 2000 la nomina di Bologna a Capitale Europea della Cultura e le celebrazioni per il decimo anniversario della rassegna internazionale vengono coronate da un evento di grande prestigio: l’esecuzione del Requiem di G. Verdi diretta da Donato Renzetti, alla quale prendono parte, oltre al Collegium Musicum, i cori di altre tre città Capitali, Bergen, Praga e Reykjavík, e l’orchestra di Heidelberg.
Negli anni che seguono, il Collegium Musicum rafforza le relazioni con le istituzioni musicali della città. Tra queste il Teatro Comunale di Bologna, il Teatro Duse, la Fondazione Musica Insieme e il Bologna Festival. Prosegue infine il proficuo rapporto con l’Accademia Filarmonica di Bologna, che richiede la partecipazione del Collegium in diverse occasioni, tra le quali spicca
la prima esecuzione della cantata La vera storia del Va’ pensiero, di A. Corghi.
Sono sempre di più gli studenti e le studentesse che scelgono di fare musica al Collegium Musicum durante gli studi universitari, e l’abbondanza di voci femminili rende possibile, nel 2008, la creazione di un terzo organico corale, il coro femminile.
L’ambiente vivace e dinamico e la ricchezza della proposta formativa sono di stimolo per diversi giovani musicisti che, proprio al Collegium Musicum, muovono i primi passi di quello che diventerà un percorso musicale professionale. È il caso di Enrico Lombardi che, entrato a far parte dell’associazione come corista nel 2005, nel 2014 diventa direttore del coro da camera e del coro femminile, con i quali partecipa a diverse rassegne: è da ricordare la partecipazione al Festival di Santa Croce, ospitato dall’omonima basilica a Firenze, con l’esecuzione della Petite messe solennelle di G. Rossini, in seguito replicata al Lerici Music Festival.
Al lavoro dei direttori stabili si affianca regolarmente la presenza di direttori ospiti, che portano la loro esperienza professionale nell’ambiente del Collegium Musicum: tante le collaborazioni nel corso degli anni, tra cui spiccano i nomi di Marco Angius, Filippo Maria Bressan, Piero Monti, Zoltán Peskó.
Gli anni della pandemia mettono in pausa le attività dell’associazione; tuttavia, il bisogno di fare musica è più forte e apre nuovi orizzonti e prospettive. Il 2020 è l’anno degli ensemble virtuali e delle attività di
Bologna, Teatro Duse, 2017: Collaborazione con il cantautore Simone Cristicchi nel progetto Il secondo figlio di Dio. Vita, morte e miracoli di David Lazzaretti
Bologna, Aula Magna di S. Lucia, 21 ottobre 2023: concerto in occasione di Reunion 70 morte e miracoli di David Lazzaretti
formazione a distanza, nonché l’occasione per stringere nuovi rapporti e collaborazioni con le Università italiane e internazionali: nasce così il progetto della #Gaudeamuschallenge, che riunisce 11 versioni del Gaudeamus igitur, inno accademico per eccellenza, eseguite da altrettanti cori universitari e dall’orchestra del Collegium Musicum. Le limitazioni imposte dalla pandemia, con la riduzione dei numeri di musicisti e spettatori, forniscono lo stimolo per dare vita a una rassegna di musica da camera: nasce così Una pausa in musica, a cui prendono parte piccoli ensemble strumentali e corali del Collegium Musicum e giovani pianisti che affiancano lo studio dello strumento al percorso universitario all’Alma Mater. I brevi concerti di musica da camera offrono ancora oggi al personale e agli studenti dell’Università di Bologna una pausa pranzo musicale.
Dal 2022 il calendario degli appuntamenti del Collegium Musicum torna a riempirsi. Si forma anche un nuovo
organico, il CFU (Corpo Filarmonico Universitario), nato dall’entusiasmo di un gruppo di soci interessati a esplorare le opportunità del repertorio bandistico. Riprendono le collaborazioni con orchestre e cori universitari, che danno vita a nuove tournée all’estero. Una vita associativa e artistica ripresa a pieno regime, che porta con sé anni di storia, di ricerca, di scambi internazionali, di collaborazioni e, soprattutto, tanta musica.
Nel corso di questi 70 anni, il Collegium Musicum è stato un punto di riferimento per tante persone, rappresentando un momento d’incontro, di crescita, di amicizia e di sperimentazioni per giovani musicisti. Per la maggior parte di loro il Collegium Musicum è stata un’esperienza fondamentale negli anni universitari, e l’obiettivo è che continui a esserlo, per tanti altri, anche in futuro.
L’evoluzione visiva di AERCO e FENIARCO: un dialogo grafico tra passato e futuro
DI ANDREA ANGELINI
Presidente
AERCO
CON I CONTRIBUTI DI MARCO FORNASIER
General Manager FENIARCO
E PUCCIO PUCCI
Past Segretario Generale AERCO
Dal 1° gennaio 2025, AERCO (Associazione EmilianoRomagnola Cori) inaugurerà una nuova era con l’introduzione di un logo ispirato a quello in uso da FENIARCO e dalla maggior parte delle associazioni regionali corali. Questa transizione segna non solo un rinnovamento estetico, ma anche un passo verso una maggiore coesione visiva all’interno del panorama corale italiano. Per comprendere il significato di questa scelta, è interessante ripercorrere la storia dei due loghi, evidenziando le loro origini e il percorso che li ha portati all’attuale configurazione.
Le origini del logo AERCO: un legame con la tradizione
AERCO, nata inizialmente come AERCIP (Associazione Emiliano-Romagnola Cori di Ispirazione Popolare) il 16 maggio 1971, ha radici profonde nel canto popolare e polifonico dell’Emilia-Romagna. Nei suoi primi anni di vita, l’associazione, costituita da un nucleo di cori pionieri, sentì la necessità di dotarsi di un simbolo rappresentativo. Grazie al Maestro Giorgio Piombini,
venne individuata un’antica stampa rinascimentale raffigurante cantori attorno a un “badalone”, il grande leggio dell’epoca. Questo elemento, adattato graficamente da Puccio Pucci, storico segretario di AERCO, divenne il primo logo ufficiale: un omaggio visivo alla storia e alla tradizione della musica corale. Il logo AERCO è rimasto fedele a questa rappresentazione per decenni, evocando un senso di appartenenza e continuità storica. Tuttavia, con il passare del tempo, la necessità di un’immagine più moderna e in sintonia con l’evoluzione del mondo corale ha portato all’adozione di un nuovo simbolo, che entrerà in uso dal 2025.
FENIARCO: un’evoluzione grafica continua
La storia del logo di FENIARCO, nata nel 1984 come federazione nazionale delle associazioni corali italiane, riflette un costante processo di evoluzione e modernizzazione.
1984-2002: un simbolo pionieristico
Il primo logo FENIARCO, caratterizzato da una grafica “classica” e dagli omini colorati, rappresentava l’unione di persone diverse accomunate dalla passione per il canto corale. Questo design trasmetteva solidità e comunità, principi fondamentali per il mondo corale.
Logo FENIARCO 1984-2002
2002-2005: snellimento e modernità
Nel 2002, il logo subì una prima trasformazione, con un design più minimalista che mantenne gli omini colorati ma li rese più essenziali. Questo aggiornamento rifletteva la volontà di rendere il simbolo più adatto ai nuovi mezzi di comunicazione.
Logo FENIARCO
2002-2005
2005-2013: semplicità cromatica
Con il logo del 2005, gli omini passarono a tinta unita, conferendo un aspetto più sobrio e istituzionale. Questa scelta rispecchiava il consolidamento di FENIARCO come ente di riferimento per il mondo corale italiano.
Logo FENIARCO 2005-2013
Dal 2013 a oggi: inclusività e simbolismo
L’attuale logo, introdotto nel 2013, segna un ulteriore passo avanti. Ogni elemento – i pallini – è carico di significati: rappresentano i coristi, le aree di interesse e le note musicali, esprimendo un’identità visiva inclusiva e dinamica. Questo design riflette la missione di FENIARCO: valorizzare l’individuo all’interno del collettivo e celebrare la ricchezza del panorama corale italiano.
Un nuovo logo per AERCO: armonia e continuità
L’adozione di un nuovo logo da parte di AERCO nel 2025, ispirato al design attuale di FENIARCO, simboleggia una scelta di continuità e appartenenza al sistema corale nazionale. Come il logo di FENIARCO, il nuovo simbolo di AERCO sarà caratterizzato da elementi visivi semplici ma evocativi, capaci di raccontare la diversità e la coesione del mondo corale.
Logo AERCO dal 2017
Logo AERCO originale
Logo AERCO per i 50 anni
Un dialogo tra passato e futuro
L’evoluzione dei loghi di AERCO e FENIARCO racconta una storia di trasformazione, crescita e dialogo tra tradizione e innovazione. Mentre il primo affonda le sue radici nella storia rinascimentale, il secondo rappresenta un esempio di modernizzazione progressiva. Con il nuovo logo, AERCO rinnova il proprio impegno a essere parte integrante del sistema corale nazionale, mantenendo al contempo un legame profondo con la propria storia. Il risultato è un racconto visivo in cui passato e futuro si fondono, celebrando l’essenza stessa del canto corale: l’armonia delle voci unite in un unico respiro.
Logo FENIARCO dal 2013
Logo AERCO 2025
La Messa di Gloria di Giacomo Puccini
La storia, la musica
DI MATTEO UNICH
Direttore di coro
Il primo grande successo di un giovane compositore lucchese
Giacomo Puccini, del quale ricorre quest’anno il centenario della morte, nacque a Lucca il 22 dicembre del 1858. Discendente di una famiglia di musicisti e dotato di precoce talento, iniziò gli studi presso la città natale, in cui mostrò, almeno inizialmente, scarsa applicazione e ben poca dedizione. Ciononostante, la vocazione cominciò presto a farsi strada e il giovane Puccini, dopo alcune lezioni non molto fruttuose presso lo zio materno, frequentò con buon profitto il Liceo musicale “Pacini” di Lucca, di cui suo padre (morto quando Giacomo aveva cinque anni) era stato insegnante. Nel frattempo, si adoperava per sostenere le scarse risorse finanziarie della famiglia prestando servizio come organista in due chiese lucchesi e come pianista intrattenitore in un caffè della sua città. Risale a questo periodo l’aneddoto – uno dei più noti e dei più improbabili della ricchissima messe di episodi relativi al Maestro – secondo cui, di tanto in tanto, Puccini e i suoi compagni di baldoria vendessero una canna dell’organo per procurarsi soldi da spendere in vino e sigarette, e che gli amici si impegnassero a sostituire cantando il suono della canna mancante. Provate voi, poi ditemi se riuscite… Fu proprio al termine del corso di studi lucchesi che Puccini si cimentò con il genere di composizione sacra per eccellenza: la Messa. Già nel 1878 aveva scritto un Credo eseguito, con buon successo, presso il duomo di Lucca; due anni dopo gli affiancò le altre parti della Messa (Kyrie, Gloria, Sanctus-Benedictus, Agnus Dei) completando nel 1880 la Messa a quattro voci con
orchestra, che successivamente e impropriamente sarà detta Messa di Gloria. Anche questa composizione venne eseguita, con lusinghieri apprezzamenti, nel Duomo di Lucca in occasione delle celebrazioni per San Paolino,
Giacomo Puccini, Messa a 4 voci - frontespizio dell’Edizione Nazionale (Carus Verlag)
patrono della città.
La partitura per soli (tenore e baritono), coro e orchestra nel catalogo Ricordi è disponibile a noleggio, mentre lo spartito per canto e pianoforte è disponibile per l’acquisto. Dal catalogo si evince che l’organico strumentale prevede tre flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti, due corni, due trombe, tre tromboni e tuba, timpani, arpa e archi. Online si può invece reperire un adattamento per orchestra da camera delle edizioni Ingo Schultz, il cui organico è flauto, oboe, clarinetto, fagotto, corno, tromba, trombone, timpani e archi. Il successo della Messa sembrava confermare che anche Giacomo avrebbe seguito la tradizione di famiglia nella città in cui era nato. Non fu così: occorre infatti precisare che Giacomo Puccini, prima della stesura della Messa, aveva avuto la sua ‘folgorazione sulla via di Damasco’ o, per meglio dire, ‘di Pisa’. Pare che nel 1876, appena diciottenne, sia andato a piedi appunto a Pisa per assistere a una rappresentazione dell’Aida di Verdi. L’animo musicale del giovane ne venne completamente conquistato e quella sera avrebbe rappresentato la chiave di volta nella sua vocazione artistica. Non più quindi maestro di cappella in una città relativamente provinciale quale Lucca, ma compositore d’opera. Da qui il grande passo: Milano, il Conservatorio più importante
d’Italia, il primo teatro lirico del mondo, e la casa editrice più importante, la Ricordi, alla quale si si sarebbe legato per la vita. Ma questa è un’altra storia.
Gli auto-imprestiti dalla Messa di Gloria Rispetto ad altri compositori d’opera, Puccini raramente impiegava nei suoi melodrammi imprestiti da sue composizioni precedenti. Campione indiscusso di questa prassi era stato Gioachino Rossini, che aveva utilizzato ad esempio la Sinfonia dell’Aureliano in Palmira nel Barbiere di Siviglia. La Messa però divenne per Puccini terreno fertile per prestiti successivi: dal Kyrie ricavò un pezzo della sua seconda opera (Edgar), ma l’imprestito più vistoso è quello dell’Agnus Dei della Messa, che divenne il “madrigale” (Sulla vetta tu del monte…) del secondo atto della Manon Lescaut, primo grande successo del compositore lucchese. Le differenze tra i due passi sono comunque parecchie: il brano originale, in do maggiore, per tenore, baritono e coro a quattro voci miste, è trasposto in si bemolle maggiore e adattato al differente organico di mezzosoprano e coro femminile a quattro voci. La ritmica è alterata (poiché ovviamente dal testo liturgico latino si passa a quello poetico italiano), compaiono abbellimenti nelle linee melodiche e morbide dissonanze; manca una frase, il coro femminile riprende alcune parti che nell’originale erano riservate ai solisti, e il finale è del tutto diverso. Ciononostante, all’ascolto i due brani appaiono pressoché identici. Indubbiamente la versione operistica, molto più raffinata, risente anche della maturazione del compositore, che era alla sua terza opera lirica, e del tempo trascorso tra le due composizioni, ben tredici anni.
Giacomo Puccini da giovane
ALESSIO ROMEO
Compositore
La Messa di Gloria tra convenzione e originalità
Composta per tenore, baritono, coro misto e un’orchestra di legni a due (ma con ottavino e due flauti oltre a tre tromboni), la Messa a quattro voci testimonia al massimo grado le qualità sviluppate da Puccini nei suoi anni lucchesi e, al tempo stesso, rivela già in nuce alcuni aspetti che sarebbero stati sviluppati dal compositore nel suo percorso artistico successivo. Per un verso si assiste infatti alle solide capacità tecniche che gli permisero di tessere idee musicali ben scolpite e di manipolarle con sicurezza, per l’altro risaltano alcuni tratti melodicoarmonici – soprattutto nell’uso di certi cromatismi e parallelismi – che diventeranno tratto caratteristico dello stile pucciniano; non ultimo, notevole si rivela la cura nella scrittura orchestrale, cura che anticipa tanto l’acceso interesse sinfonico dei successivi anni milanesi, quanto l’attenzione prestata all’orchestra anche nella produzione operistica. Tali pregi permettono, a posteriori, di riconoscere i segni del compositore che Puccini sarebbe stato ma, al tempo stesso, non possono dirsi costanti in tutta la partitura, che si presenta infatti discontinua tanto dal punto di vista
8 agosto 1974, francobollo per il 50º anniversario della morte di Giacomo Puccini (foto da www.ibolli.it)
stilistico quanto nell’invenzione. Al di là dei limiti del giovane compositore, va tuttavia rilevata l’impasse della musica sacra europea di quegli anni: la frammentazione stilistica, la pressione della musica profana e, in Italia, del melodramma, avevano ingenerato infatti una certa confusione negli indirizzi della musica liturgica, che manifestava intenti tutt’altro che unitari. In un certo senso l’eclettismo stilistico della Messa a quattro voci non è quindi solo frutto dell’incertezza giovanile, ma anche specchio della situazione della musica liturgica del tempo, in cui arie dagli accenti melodrammatici convivevano con procedimenti imitativi e fugati percepiti quale segno distintivo della musica sacra, ma assunti più con atteggiamento manieristico che non con reale aderenza al contesto testuale e musicale. Ciò rilevato, il giovane Puccini fu capace di muoversi all’interno dello stile musicale sacro dell’epoca con grande disinvoltura
Christos Theodorou, Statua di Giacomo Puccini a Lucca (foto di Livorno Daily Photo)
e abilità, disseminando la vasta partitura di momenti di ispirata musicalità che la eleva a esempio non irrilevante nella musica sacra italiana di fine Ottocento.
Il Kyrie ha struttura tripartita fondata su opposizione tonale e modale: alla prima sezione in la bemolle maggiore segue un’altra in fa minore prima della ripresa nel tono di impianto. Il trapasso dall’una all’altra parte avviene in modo consequenziale e senza cesure nette, coerentemente con il carattere essenzialmente unitario del numero.
L’ampia e articolata struttura del Gloria rende questa pagina, nonostante la disparità stilistica delle differenti sezioni, uno dei numeri della Messa che meglio testimoniano le qualità del giovane Puccini. I sei movimenti che lo compongono si snodano in un percorso tonale che, a partire dal luminoso do maggiore iniziale vi ritorna attraverso i toni di la bemolle, mi bemolle, re bemolle e fa maggiore, mostrando un certo interesse per relazioni tonali non accademiche che, va comunque rilevato, erano ormai ricorrenti nel linguaggio musicale del tempo. Un simile percorso tonale è in realtà prefigurato sin dall’inizio quando, in modo assai interessante, alla prima enunciazione tematica delle voci femminili in do maggiore, le voci maschili rispondono nel tono di Mib maggiore prima del tutti di nuovo in do. Al cuore del Gloria si trova l’Andante sostenuto affidato al tenore solo: si tratta di una pagina che, nonostante la riuscita della linea vocale, emerge all’attenzione soprattutto per la ricchezza di dettagli e finezze orchestrali. Un altro passo interessante risiede in chiusura del Cum Sancto Spiritu, convenzionalmente trattato con un fugato: in conclusione viene riproposto il tema iniziale del Gloria quale controsoggetto del tema di fuga, fatto attraverso cui viene assicurata una solida unità al numero. Nella Messa confluì anche il Credo già composto ed eseguito due anni prima per le medesime celebrazioni della festa di San Paolino che ospitarono la Messa del 1880. Rispetto al luminoso carattere giubilare del Gloria, il Credo si rivela sin dalle sue prime battute percorso da un’intensa atmosfera drammatica e da un’atmosfera essenzialmente scura, rivelata già dal tono di do minore su cui è impostato il numero. Naturalmente ciò non esclude la presenza di passi improntati a maggiore serenità e il finale, sulle parole et vitam venturi saeculi, si snoda in do maggiore su un gioioso ritmo di 6/8.
Di fronte all’imponenza del Gloria e del Credo, le modeste dimensioni del Sanctus-Benedictus e dell’Agnus Dei arrecano al disegno complessivo un certo squilibrio, in parte compensato dalla riuscita dell’Agnus. Il Sanctus, in mi bemolle maggiore, è in una forma ternaria che oppone con efficacia, alla scrittura corale dei pannelli
esterni, il solo della parte centrale. Ciò nonostante, il pezzo dà l’impressione di uno svolgimento affrettato, fatto che fu rilevato già dai primi ascoltatori. Diverso invece il caso dell’Agnus Dei, per tenore e baritono soli alternati al coro, il cui tono carezzevole appare assai appropriato e al tempo stesso originale, come la stampa lucchese non mancò di sottolineare recensendo l’opera. L’ambivalenza della Messa a quattro voci, in tutta la sua disomogeneità stilistica, discontinuità d’invenzione e squilibrio formale, ma al tempo stesso in tutta la sua evidenza espressiva e nel suo magistero tecnico, è dimostrata in un certo senso dal comportamento dello stesso Puccini. L’efficacia e maturità di alcuni passi convinsero infatti il compositore a reimpiegarli in alcuni lavori successivi: il primo tema del Kyrie fu ripreso nell’Edgar, un frammento del Benedictus e l’intero Agnus Dei in Manon Lescaut. D’altra parte, tuttavia, non risulta che Puccini abbia mai accarezzato l’idea di organizzare una ripresa della Messa, neppure quando il suo prestigio e la sua notorietà ne avrebbero garantito certo un’ampia diffusione. La sorte dell’opera fu invece quella di essere nota solo agli specialisti, almeno fino a quando, nel 1951, Dante Del Fiorentino non ne diede la prima edizione a stampa con il titolo apocrifo di Messa di Gloria, permettendo al pubblico di accostarsi a un’esperienza di ascolto con cui apprezzare le doti giovanili di uno dei protagonisti della musica europea a cavallo tra Ottocento e Novecento.
La basilica di San Paolino a Lucca
Storia
Un mirabile cammino che conduce al firmamento
Nei 550 anni dalla morte di Guillaume Dufay (1397-1474)
DI ALBERTO GRASSO Giornalista, divulgatore culturale e cantore
Guillaume Dufay, i tredici mottetti isoritmici: un simbolico addio alla musica medievale. Con il suo stile moderno, precursore dell’armonia tonale e dell’arte impegnata, segnò indelebilmente lo sviluppo della polifonia rinascimentale fino all’avvento del periodo barocco.
Guillaume Dufay e Gilles Binchois in una miniatura dal Champion des dames di Martin Le Franc, Cambrai, circa 1451 (Gallica Digital Library)
Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile ed alta più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio, tu sei colei che l’umana natura nobilitasti, sì che il suo fattore, non disdegnò di farsi sua fattura.
Queste parole dell’angelo rivolte alla Madonna si affacciano nella mente di Guillaume ancora cariche di tensione e mistero, mentre egli inginocchiato ammira l’affresco nel tempietto della Basilica della Santissima Annunziata.
Quel giorno che era ancora aurora era andato a salutarla, la Vergine Maria: un omaggio a colei che lo aveva tanto ispirato. Era il 25 marzo 1436, quarto giorno di primavera e del Capodanno fiorentino, e l’ammirato compositore franco-borgognone era atteso da Papa Eugenio IV e da Piero, figlio di Cosimo de’ Medici, per la consacrazione della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, con la nuova ed immensa cupola del Brunelleschi. Il mottetto Nuper rosarum flores, commissionatogli dal Papa, cominciò a diffondersi vibrante tra le candide mura di pietra della cattedrale.
La basilica tutta intera risuonava di sinfonie così armoniose che si sarebbe detto che il suono e il canto del paradiso fossero scesi dal cielo sulla terra: fu questo il resoconto della consacrazione, scritto da Giannozzo Manetti, oggi conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma.
Nella ricorrenza dei 550 anni dalla morte di Guillaume Dufay, questo è un modesto contributo sul grande fiammingo, attraverso uno spaccato della sua vita artistica che si apre idealmente proprio a Florenza ,
Il duomo di Santa Maria del Fiore nel 1450 circa (Codice Rustici, Biblioteca del Seminario Arcivescovile Maggiore di Firenze)
la ‘città dei fiori’ dove visse e che tanto amò. Un contributo che in parte mira a rinnovare l’attenzione sulla straordinaria ed innovativa produzione musicale del compositore che si pone al centro di quella rivoluzione che ha caratterizzato il panorama musicale a cavallo tra il XIV e XV secolo.
Nuper rosarum flores e i mottetti isoritmici
Fra i tredici mottetti isoritmici del compositore Nuper rosarum flores, destinato alla celebrazione sonora solenne di grandi avvenimenti pubblici, è quello più famoso e tra i più ammirati del ‘4001 Impostato a quattro voci (tenor, contratenor, motetus e triplum), la sua ossatura formale è costituita da un cantus firmus che i due tenores eseguono a note lunghe, ritmicamente sfalsati a distanza di un intervallo di quinta, sul motivo Terribilis est locus iste (‘Questo luogo incute rispetto’).
Ma in cosa consiste la tecnica dell’isoritmia? L’isoritmia in musica è una tecnica compositiva che permette di creare corrispondenze fra differenti parti d’una composizione; utilizzata da molti compositori fra Tre e Quattrocento, gli studiosi moderni la descrivono come l’impiego ripetuto di un’idea musicale – un ‘frammento’ melodico di base – in una o più parti dell’ordito polifonico, dalla stessa voce o dalle altre, sia riproponendone solo la struttura ritmica (che prende il nome di talea) pur variandone la melodia, che riproponendone la sequenza di altezze (color).
1. Il mottetto divenne ulteriormente celebre, assurgendo a icona della storia della musica occidentale, nel 1973, quando fu oggetto di un provocatorio saggio di Charles Warren, che ne interpretò la struttura musicale (numero di tactus, macro-sezioni, alternanze delle voci, ripetizioni) come un riflesso esatto delle misure architettoniche della Cattedrale di Firenze; questa tesi, ardita e suggestiva, venne successivamente smontata ‘pezzo per pezzo’ e misurando la basilica ‘metro alla mano’ da un altro musicologo americano, Craig Wright [ndr]. Cfr. Charles W. Warren, Brunelleschi’s Dome and Dufay’s Motet, «The Musical Quarterly», a. 59 n. 1 (Jan., 1973), pp. 92-105 e Craig Wright, Dufay’s “Nuper rosarum flores”, King Solomon’s Temple, and the Veneration of the Virgin, «Journal of the American Musicological Society», a. 47 n. 3 (Autumn, 1994), pp. 395-441.
Hans Memling, Cristo con angeli musicanti, circa 1480 (Koninklijk Museum voor Schone Kunsten Antwerpen)
Il tenor isoritmico del Kyrie della Messa di Guillaume de Machaut (circa 1360). Il modulo ritmico (talea) si ripete, anche se con note ogni volta diverse, sette volte
Oltre il Medioevo: la polifonia dell’avvenire
La serie di mottetti isoritmici di Dufay non costituisce un ciclo unitario a sé stante, ma ciascuna delle tredici opere è una pièce de circonstance, talvolta scritta a intervalli di diversi anni tra loro. Fondamentale è il fatto che Dufay ci lasci un’eredità dove già si possono intravedere i germi della cultura moderna: la sua opera non si colloca quindi al tramonto del Medioevo, come qualche musicologo ebbe modo di asserire, bensì agli albori del primo Rinascimento, di cui fu protagonista indiscusso.
I suoi mottetti rappresentano così un simbolico addio alla musica medioevale, e segnano il confine tra due modalità di fare musica, in cui la figura di Dufay viene ad incarnare quella transizione che ha portato ad aprire la strada verso lo sviluppo della polifonia rinascimentale, fino all’avvento del periodo barocco.
La formazione in Borgogna
Ma andiamo con ordine: Dufay si formò come compositore nella scuola di Cambrai, città dove visse a più riprese e morì il 27 novembre 1474. La cattedrale di Cambrai all’epoca era un centro musicale di prim’ordine ed in piena fioritura, uno dei poli culturalmente più evoluti dei Paesi Bassi. Molti compositori della Scuola di Borgogna – fra cui Johannes Tinctoris e Johannes Ockeghem – qui si formarono, o vi tornarono per insegnare.
La formazione di Dufay nell’ambito della Scuola
Borgognona fu inoltre agevolata dall’itinerante corte ducale, la cui residenza variava in un’area compresa tra l’attuale Belgio e la parte nord-orientale della Francia; un territorio fertile per le arti in generale, in quanto i Duchi di Borgogna furono sempre solleciti mecenati di pittori e musicisti. Il mecenatismo musicale di Filippo il Buono, soprannome di Filippo III di Borgogna (13961467), fu talmente influente ed esteso che il termine ‘borgognone’ venne assegnato proprio allo stile musicale e ai compositori che fiorirono durante il suo regno. Il teorico fiammingo Tinctoris scrive che l’onore e le ricchezze offerte in ricompensa agli artisti stimolavano e incrementavano a tal punto il talento, che la musica sembrava «una nuova arte, la cui fonte erano compositori come Dufay e Binchois».
Una vita in viaggio… verso Rimini
I viaggi che Dufay intraprese lungo l’Europa rappresentano il tratto fondamentale della sua esperienza formativa. Tra questi, il Concilio di Costanza (1414-1418) fu per lui un’occasione straordinaria di relazioni fra un numero enorme di musicisti di culture diverse, non solo europee ma anche orientali; un fatto, questo, che spiega gli sviluppi successivi della sua carriera. È proprio presso il Concilio che emerge uno dei tratti più significativi della vita di Dufay: in quello che fu, secondo il cronista Ulrich von Richental, il più grande congresso ecumenico del Medioevo, avviene il suo incontro con Carlo I Malatesta, signore di Rimini, e Pandolfo Malatesta arcidiacono di Bologna, presenti anch’essi all’evento, e
due figure chiave tese a raggiungere il secondo obiettivo del Concilio – riunificare la Chiesa d’Oriente con quella d’Occidente.
Il giovane Dufay arriva così in terra malatestiana. La sua presenza qui è testimoniata da tre importanti opere: in ordine cronologico
- Vasilissa, ergo gaude, un mottetto isoritmico che dedicò alla bellissima Cleofe Malatesta, sorella di Pandolfo, in occasione delle sue nozze con Theodoro II Paleologo;
- Resvellies vous et faites chiere lye, una ballata dedicata a Carlo Malatesta, anch’esso per le sue nozze;
- Apostolo Glorioso, un altro mottetto isoritmico che Dufay dedicò a Pandolfo Malatesta arcivescovo di Patrasso.
Lo stile
L’orientamento compositivo di Dufay è, di fatto, frutto di una combinazione di diversi stili che in quegli anni si svilupparono in Europa. Dufay apprende e sintetizza il senso della forma tipicamente francese, la sensualità armonica del modello inglese di Dunstable, e il caldo lirismo italiano che egli aveva scoperto alla corte dei Malatesta. Questa fusione diede vita ad un linguaggio singolare, unico, che arrivò ad influenzare tutta la futura polifonia e che raggiunse il suo massimo sviluppo negli anni ‘40 del Quattrocento.
Stilisticamente Dufay si distingueva per una struttura contrappuntistica chiara, trasparente, con cadenze ben definite, come la successione dominante-tonica scritta a tre parti, strettamente legata alla struttura retorica del testo che ha spinto diversi studiosi, a partire da Besseler, nel 1950, a considerare la sua musica come un passo fondamentale verso l’emergere dell’armonia tonale, che continuerà le fasi del suo sviluppo nel secolo seguente. Un altro aspetto interessante della scrittura di Dufay è l’uso ‘discorsivo’ dell’alterazione cromatica, come recentemente reso evidente dai musicologi statunitensi Graeme Boone e Thomas Brothers.
A testimonianza del suo ruolo avanguardista nella scena musicale del tempo, Dufay fu uno degli ultimi compositori a fare uso di tecniche strutturali polifoniche del tardo Medioevo (come il citato isoritmo). I suoi tredici mottetti, tutti appartenenti alla prima metà della sua carriera, e perlopiù composti per fini squisitamente religiosi, sono opere che denotano uno stile moderno, quasi precursore dell’arte impegnata, in confronto all’anonima severità liturgica di altra polifonia quattrocinquecentesca.
Una messa per Bologna: la Missa Sancti Jacobi di Alessio Romeo
Risalente a un periodo compreso tra il 1426 e il 1428, la Missa Sancti Jacobi (‘Messa di San Giacomo’) è in ordine di tempo il secondo contributo di Dufay al genere più illustre della musica liturgica. Si è a lungo ritenuto che fosse stata composta a Parigi, o comunque al di là delle Alpi; tuttavia gli studi di Planchart e i successivi sviluppi delle ricerche hanno reso molti musicologi concordi nel collegare la messa alla basilica di San Giacomo Maggiore di Bologna. Tra le prove che avvalorerebbero tale ipotesi, la più importante è stata la riscoperta, nel 2002, dell’Antifonario di San Giacomo Maggiore, con cui è stato possibile dimostrare che il cantus firmus impiegato da Dufay nell’Introito, Rite maiorem, deriva dal repertorio dell’Ufficio del giorno di San Giacomo lì impiegato, repertorio, allo stato attuale delle conoscenze, appartenente in modo esclusivo alla tradizione di quel luogo di culto. D’altra parte è documentato che Dufay si trovava all’epoca proprio a Bologna al seguito del vescovo Louis Aleman, in quegli anni legato papale nella città felsinea. Tramandata dal codice Q15 della Biblioteca della Musica di Bologna –confezionato probabilmente in area veneta –, la Missa Sancti Jacobi è una messa plenaria, ossia di una messa che, oltre ai testi dell’Ordinarium, ne intona alcuni del Proprium: in questo caso Introito, Alleluia, Offertorio e Communio. Dal punto di vista musicale, la Messa è testimone della fase di trasformazione delle tecniche compositive in atto nel secondo quarto del XV secolo. Infatti, a differenza di quanto Dufay avrebbe fatto più di venti anni dopo con la Missa Se la face ay pal, la Missa Sancti Jacobi non impiega alcun cantus firmus comune a tutti i movimenti e, in tal senso, risulta persino meno unitaria della precedente Missa Resvelliés vous, in cui frammenti dell’eponima ballade sono impiegati quale strumento unificante; tuttavia il Communio rappresenta, allo stato attuale delle ricerche, il primo esempio di fauxbourdon attestato al di fuori dell’area anglosassone, dove tale tecnica era stata elaborata. Un simile bifrontismo si riscontra anche nello stile, che in Kyrie, Gloria e Credo è più arcaico rispetto a quello più aggiornato degli altri movimenti: una mistura di passato, presente e futuro che, se pure intacca l’unità del lavoro, ne è al tempo stesso motivo primo del suo fascino.
Psicologia ed educazione vocale: verso un approccio integrato1
DI LUCIANA CARBONARA
Cantante e didatta
La voce di un individuo è la traccia acustica che manifesta aspetti relativamente oggettivi, età e sesso, e altri variamente interpretabili come carattere, personalità, ruoli sociali e professionali se vi è una forte identificazione con essi: la voce è dotata di potenziale comunicativo, pertanto può essere oggetto di ricerche anche delle discipline psicologiche. L’obiettivo dello studio «Psicologia ed educazione vocale: verso un approccio integrato» è fornire una visione psicopedagogica su cui basare l’educazione vocale offrendo all’insegnante, che guida i propri allievi in questo ambito, conoscenze e competenze di tipo interdisciplinari. Tali informazioni derivano dall’aver indagato la voce in modo da restituire di essa una concezione in cui ne si completi la già nota dimensione fisiologica e culturale. Di interesse per l’elaborato è la comprensione delle difficoltà dei propri studenti attraverso l’approfondimento di aspetti psicologici intrinseci all’atto fonatorio. La trattazione è divisa in due parti: una teorica ed una in cui si analizzano aspetti più pratici. Dal principio si approfondisce la psicologia della voce attraverso un’analisi delle connessioni tra identità e voce e delle modalità in cui quest’ultima possa esprimere emozioni. A seguito si inizia ad andare a fondo riguardo la psicologia del canto, sottolineando l’espressione emotiva dello strumento vocale e la sua efficacia nel creare senso di appartenenza e benessere, migliorando la sintomatologia di malattie fisiche e disturbi psicologici. Viene introdotta quindi la
1. Questo articolo è un estratto della tesi di Biennio in Didattica della Musica presso il Conservatorio “N. Rota” di Monopoli, relatore M° Luca Buzzavi.
sezione metodologica descrivendo le psicoterapie che intervengono sulla psicopatologia attraverso tecniche vocali. In particolare si rendono noti i lavori di Diane Austin, basati sulla teoria di Jung e delle relazioni oggettuali di Winnicott, in cui la voce viene vista come qualcosa che contiene importanti informazioni
Carl Gustav Jung (anni ‘30). Psichiatra, psicoanalista, antropologo e filosofo svizzero
sul passato e in particolare sulla prima esperienza di relazione tra madre e bambino. Approfondita la visione della vocalità nel Neo-funzionalismo di Luciano Rispoli, vengono descritte le tecniche psicologiche utili nell’insegnamento del canto. Gli esercizi presenti in appendice sono relativi agli argomenti trattati all’interno della sezione “Cantare con la Mindfulness” e sono validi per chiunque svolga o, nel caso di studenti, si prepari a svolgere la professione di musicista cantante. Il canto ci porta nel momento presente, è un esercizio che invita costantemente a stare nel qui ed ora e come tale può davvero essere una pratica trasformativa. Cantare risveglia ad una vita più consapevole e serena, perché strettamente connessa al nostro respiro, conferendoci una maggiore apertura e connessione con le altre persone e con il mondo. Infine si descrive un modello specifico di canto-terapia: la coralità.
Partendo dall’esperienza diretta come cantante e insegnante di canto, dall’apprendimento della tecnica all’insegnamento della stessa, ho potuto osservare come la grande maggioranza degli allievi da me seguiti abbiano avuto un percorso tutt’altro che lineare. Il confronto quotidiano con impedimenti nell’espressione del canto e le difficoltà che si incontrano per apprendere e sviluppare le capacità tecniche, mi ha fatto intuire che esistono blocchi emotivi che vanno al di là della predisposizione fisica, ma anche intellettuale,
chiamata “talento”, i quali impediscono il corretto uso dell’apparato fonatorio. In altri termini, pur partendo da aspetti didattici, la voce nel canto così come nel parlato, è espressione dello stato emotivo e sentimentale del soggetto e inevitabilmente l’educazione canora tocca l’unità psicosomatica/somatopsichica della persona. Lavorare con la voce costringe a lavorare con la personalità nella sua globalità e, per il soggetto che canta, si rende necessaria una mediazione tra strutture fisiologiche, attività emotive e attività cognitive a loro volta modulate dai meccanismi di difesa: l’armonia o la disarmonia dei suoni emessi ci da indicazioni sull’armonia o sulla disarmonia del funzionamento dell’insieme di quella unità psicocorporea.
L’attività di ricerca è stata finalizzata a mettere in evidenza problematiche concrete che spesso riguardano la didattica del canto. La modalità con cui l’insegnante di canto possa trasmettere all’allievo tutte le necessarie indicazioni tecniche, interpretative e stilistiche, è uno di quegli argomenti che hanno dato vita a contrapposizioni spesso aspre. Inevitabilmente si finisce con il parlare del proprio “metodo”, e questo, in modo quasi altrettanto inevitabile, viene contrapposto ad altri “metodi”, ognuno cercando poi antenati illustri siano questi trattatisti del presente o del passato piuttosto che famosi cantanti. D’altra parte, non credo si possa negare che questo rapporto didattico è di norma molto più personale in quanto investe aspetti e motivazioni anche profondi dell’indole assenti in altri casi, e, a mio parere, di esso non si può parlare in termini asettici e generali (che finiscono con l’essere soltanto generici).
Insegnare significa comunicare verbalmente una serie di informazioni; la comunicazione presuppone l’esistenza di un linguaggio condiviso fra coloro che interagiscono. Alcuni di noi avranno incontrato problemi trovandosi occasionalmente all’estero, non sapendo parlare la lingua del luogo e non potendo in molti casi cavarsela con l’inglese; in genere in qualche modo si utilizzano i gesti, ma sembra chiaro che in questo modo si riescano a trasmettere soltanto informazioni molto semplici e di uso comune, non paragonabili ad un insegnamento complesso. In primo luogo, la mancanza di un linguaggio comune - e quindi l’impossibilità di una comunicazione/ insegnamento complessi - è la principale caratteristica dell’iniziale interazione fra maestro di canto e allievo. Se non si riesce, da parte dell’insegnante, ad eliminare questo problema in tempi molto brevi, la persistenza dell’incomprensione produrrà a lungo andare danni più o
Donald Woods Winnicott (Plymouth, 1896 – Londra, 1971), pediatra e psicoanalista britannico.
meno gravi, sia in termini di salute vocale e di mancato apprendimento che - forse, soprattutto - in termini di autostima e di una corretta valutazione di sé nell’allievo. Molto spesso vengono usati termini che nel linguaggio comune non conducono ad alcun significato, come i classici “voce in maschera” o “appoggio sul fiato”, senza spiegare in modo chiaro all’allievo che cosa essi vogliano indicare. Altre volte i termini compongono una sorta di “formula magica” che in quanto tale non richiede spiegazione alcuna: si va dal pittoresco “metti la voce in punta di labbra”, al poetico “pensa a dei bambini che saltellano fra l’erba”, all’un po’ sgradevole “vomita il suono”!
Tutto ciò ritengo non risolva il problema della comunicazione né crei un linguaggio condiviso e il più possibile privo di fraintendimenti, cosa che invece può derivare da una semplice spiegazione dei fondamentali meccanismi fisiologici fonatori e respiratori, in modo che l’allievo comprenda sin da subito che la voce parlata o cantata è prodotta dall’azione concomitante e armonica di una serie di muscoli, alcuni più importanti di altri, e dei quali si possa iniziare ad apprendere l’utilizzo con facili esercizi. Questo non significa assillare l’allievo come se dovesse preparare un esame in Fisiologia dell’Apparato Vocale, ma piuttosto fargli capire come anche il canto - nei suoi fondamenti - si basa su meccanismi di causaeffetto tipici di qualunque attività umana e non su sue proprie caratteristiche avulse dalla quotidianità. Questo tipo di approccio può essere molto utile - oltre che ovviamente con allievi italiani - anche con studenti stranieri e orientali, per i quali spesso le nostre parole tendono ad assumere significati e sfumature per noi imprevedibili.
Superato in questo modo lo scoglio iniziale, si potrà quindi procedere approfondendo di volta in volta gli argomenti necessari e affrontando con lo stesso principio i problemi che nel corso dello studio si pongono, inclusa la spiegazione dei già citati “voce in maschera” e simili, in maniera che tutto diventi più chiaro e lineare.
Chiunque insegni o studi canto sa che il rapporto che si instaura tra Maestro e allievo è diverso da qualsiasi altro rapporto docente-discente, derivando dalla natura stessa di tale disciplina che, per suo peculiare intreccio di interazioni psico-fisico-emotive, “costringe” l’allievo (e l’insegnante) ad entrare in contatto con il sé più profondo, spesso con le proprie intime paure. Mettersi “a nudo” e conseguentemente mettersi “in gioco” completamente sono le condizioni indispensabili per
trovare la propria vera essenza vocale e ciò è vero nel senso di ciò che rappresenta la seconda problematica: di solito chi comincia a cantare pensa di sapere già qual è il suono giusto e quindi esegue con un precondizionamento o pregiudizio sbagliato credendo di conoscere cosa cercare e quali siano i parametri di valutazione. Quasi sempre fa riferimento a componenti del suono assolutizzate: per esempio la rotondità e lo spazio inteso sia come spazio di risonanza che dà un senso di comodità’, sia come spazio verticale (ed ecco il motivo per cui se si fa l’imitazione del cantante operistico si userà la vocale “o” nella versione più appariscente ma squilibrata).
Luciano Rispoli (Napoli, 18 febbraio 1946). Psicologo, psicoterapeuta italiano e fondatore della corrente scientifica ed epistemologica del Neo-funzionalismo
La vera ricerca di se stessi, in qualità di strumento, è invece capire cosa avviene nel corpo a livello di sensazioni e di movimenti, una consapevolezza di tipo orientale direi, nel senso che non si tratta di controllare attivamente o di fare il movimento che si ritiene corretto (a qualsiasi livello, sia esso respiratorio, articolatorio ecc.) ma di “lasciare avvenire” il movimento giusto che è quello naturale, prendendone coscienza e sapendolo integrare con altri aspetti della voce. Da questo punto di vista penso a volte che il canto sia un’arte femminea, perché presuppone una sensibilità e duttilità che spesso manca alla mente maschile tendente più al controllo volontario, al dominio. Con un tale approccio è facile sfociare nel canto spinto perché si instaura una lotta tra “leggi universali” e quelli che il soggetto pensa siano i meccanismi che danno vita ad un suono efficace.
Se la capacità di comunicazione accomuna l’insegnamento del canto a quello di altri strumenti musicali, il primo differisce, oltre che per la natura dell’arte trasmessa, anche per la peculiarità’ dell’insegnante. Quando l’insegnante è o è stato un grande cantante, tende a voler fare dell’allievo una copia di se stesso per ciò che riguarda semplicemente il risultato vocale, l’effetto esterno, non partendo quindi dalle esigenze intime del canto. Altre componenti psicologiche derivano dal fatto che la deformazione professionale del cantante famoso sia l’egocentrismo e questo tende a riproporsi quando egli scende dal palcoscenico e comincia ad insegnare. Ritengo a riguardo che sia necessario porsi completamente al servizio dell’allievo; entrare empaticamente nel corpo dell’allievo ed essere quindi consapevoli del rapporto che c’è tra determinate coordinazioni muscolari e determinate sensazioni.
Vi è infine un aspetto, quello riguardante le dinamiche psicologiche che il canto scatena in chi ne intraprende lo studio, con le insicurezze, i deliri di onnipotenza, le paure anche profonde che talvolta emergono. Spesso alcuni problemi persistono, sono irriducibili a qualunque tipo di rimedio, esercizio, tecnica, e non si trova una soluzione sino a che l’insegnante, parlando con l’allievo, non capisce quale sia la ragione profonda per cui quel difetto, quell’ostacolo, continuano a presentarsi. Può trattarsi di incomprensioni, errori di poco conto che si sono ingigantiti sino a diventare macigni in mezzo al percorso. Altre volte - quasi come in una seduta psicanalitica - si scopre che le motivazioni di un certo comportamento vocale reiterato ed errato sono da ricercarsi in convinzioni o meccanismi psicologici che
solo in maniera accidentale riguardano il canto, ma che tuttavia sono tali da impedire o limitare molto una performance professionale.
Il buon insegnante, il maestro capace, deve quindi essere il più possibile attento al carattere e alla psicologia dell’allievo, deve cercare in una parola di “capirlo” - in relazione al canto - anche più di quanto l’allievo capisca se stesso, e di essergli vicino con onestà intellettuale e rigore nella sua evoluzione vocale e di futuro artista. Allo stesso tempo, nel rispetto del proprio ruolo, deve filtrare il coinvolgimento emotivo, poiché è più che ovvio che una situazione si giudichi meglio restando oggettivi. In questo modo si può forse riuscire ad evitare i deleteri eccessi a volte presenti nei rapporti maestro di cantoallievo, comportamenti che rischiano di condizionare nel discente emotività e apprendimento.
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Musicale di San Petronio
Un Coro per tutti
Utili pratiche per la voce nella coralità
Dalla propriocezione alla sintonizzazione attraverso l’empatia e l’evocazione emozionale
DI AURORA PACCHI
Cantante, insegnante di canto, musicoterapeuta, psicomotricista funzionale
E DANIELE GUIOTTO
Organista e direttore di coro, diplomato in Musicoterapia
Moltissime volte ci siamo trovati in occasioni di chiedere ad un/a corista di un coro amatoriale di cantare la propria parte di un certo brano. Nella stragrande maggioranza dei casi, potremmo leggere sul suo volto un evidente e plausibile disagio, seguito da una serie di scuse e/o motivazioni (“non ricordo bene la parte”, “sono senza voce”, “il direttore non l’ha insegnata bene”, ecc). Il disagio poi, comprensibilmente, aumenterebbe se tale richiesta fosse fatta in presenza dell’intero gruppo corale. Generalmente i direttori, conoscendo questa timida ritrosia, se possibile, tendono ad evitare di far eseguire solisticamente le singole parti. Quali considerazioni esperienziali possiamo trarre da questo comportamento naturale, legittimo e autoprotettivo? Ecco alcune che ci hanno portato ad approfondire un approccio a tutto tondo, ispirato proprio dai coristi, persone che risuonano e si incoraggiano insieme, in coro; considerazioni per provocare ed ampliare il proprio percorso corale e direttoriale:
- la compagine corale amatoriale condivide e supporta debolezze e fragilità: lo stare insieme a cantare permette di superare la bassa autostima, dando forza e dignità al singolo tramite il gruppo;
- la pedagogia corale si basa generalmente sulla performance e sulla prestazione melodica, insistendo
nell’eseguire la parte secondo quanto scritto nel pentagramma, tralasciando talvolta fattori emozionali che favorirebbero l’apprendimento;
- il ritmo ed il metro sono “corpo”: battito cardiaco, pulsazioni, energia vascolare, muscolare, neurologica che si irradia. La stessa emissione vocale, produce vibrazioni che possono essere acquisite e condivise con i presenti;
- si trascura, perdendo in sicurezza e consapevolezza, la percezione dei propri meccanismi fisiologici (propriocezione) durante il meccanismo affascinante della fonazione che, partendo dalla respirazione, coinvolge la laringe, il cavo orofaringeo, l’epiglottide, la lingua, i denti, il palato e le cavità nasali.
Si ritiene quindi maggiormente utile e necessario utilizzare un approccio “olistico” che attenzioni non solo la figura del corista come esclusivo produttore vocale, ma la persona nella sua interezza, che dona la propria voce al coro. La persona è composta di sensi, percezioni, emozioni, veicolate anche dal ritmo corporeo e dall’energia vibrazionale che emette e distribuisce, e che caratterizzano la relazione umana tramite, soprattutto, la voce (il termine persona, di probabile origine etrusca, da Phersu, significava ‘maschera teatrale’ utilizzata anche per amplificare la voce). Inoltre, a favore di un approccio globale e ampliando gli orizzonti delle nostre riflessioni, bisogna anche considerare che la musica evoca stati emozionali da vivere e gestire, anche dimenticati, che possono rimanifestarsi all’ascolto di uno specifico brano (melodie ascoltate durante la prima infanzia o durante l’adolescenza, colonne sonore di eventi significativi, ecc) e che possono inaspettatamente farci ‘vibrare’ ed emozionare fortemente. Anche l’esperienza del
vero ascolto, l’‘orecchio’, ha un carattere totalizzante: «L’orecchio non ha palpebre… il suono ignora la pelle, non sa cosa sia un limite: non è né interno né esterno. Illimitante, non è localizzabile. Non può essere toccato: è l’inafferrabile. Udire non è come vedere. Ciò che si vede può essere rimosso dalle palpebre… L’udito è la percezione più primitiva nel corso della storia personale: precede di gran lunga la vista, persino l’odorato… Sentire è essere toccato a distanza! È in questo che la musica rende involontariamente intimi dei corpi giustapposti… Il suono non si emancipa mai del tutto dal movimento del corpo che lo causa e che lui amplifica. La musica non si dissocerà mai del tutto dalla danza che anima ritmicamente. Non si può essere impermeabili di fronte al sonoro. L’udito è l’unico senso in cui l’occhio non vede1».
Propriocezione, Sintonizzazione, Empatia
Rientrando quindi nel tema del titolo, una riflessione su propriocezione, sintonizzazione ed empatia, andiamo a vedere cosa significano questi termini e in che modo possono contribuire a facilitare la produzione corale.
Propriocezione
Con il termine propriocezione si vuole descrivere l’insieme delle informazioni sensoriali che permettono al corpo di riconoscere la posizione di sé, delle sue parti nello spazio in rapporto al mondo esterno e il loro movimento. La propriocezione assume un’importanza fondamentale nel complesso meccanismo di controllo del movimento e della postura. Il termine fu coniato
da C. S. Sherrington nel 1906 da receptus (atto del ricevere) e proprius (da sé stesso) per definire il senso di percezione della posizione del corpo. In buona sostanza, per propriocezione si intende la capacità di riconoscere quanto succede nel nostro corpo tramite una accurata osservazione interna, come “girare gli occhi all’interno” e guardare tutte le modificazioni muscolari, scheletriche, neurologiche prodotte da movimenti meccanici e fisiologici, facendo attenzione alle vibrazioni prodotte. Consiste anche nell’attenzionare le modificazioni corporee dovute al riconoscimento delle emozioni. Nella pratica vocale e corale, la propriocezione parte dall’auto-osservazione:
1. della postura (appoggio dei piedi, colonna vertebrale, testa)
2. del respiro (clavicolare, toracico, addominale, apnee)
3. della laringe e faringe
4. delle varie posizioni che la lingua assume nella pronuncia delle vocali e delle consonanti
5. dell’apertura/chiusura delle labbra
6. delle vibrazioni dei risuonatori (orofaringei, nasali, ossei).
Auspicabili, in questo contesto, sperimentazioni di pratiche di humming e canto armonico. Una ulteriore riflessione: tutto ciò risiede in una testa che occupa circa un decimo di tutto il nostro corpo! Pensate a quanta ricchezza vi alberga: una ricchezza che trasuda il nostro linguaggio interno ed emozionale, che ci rende unici ed irripetibili, e che costituisce il pilastro delle nostre interazioni.
Sintonizzazione
Forse non c’è ancora consapevolezza che la pratica del cantare assieme possa sincronizzare anche i battiti del cuore dei coristi, creando un legame unico; eppure la ricerca neuroscientifica ha dimostrato che, quando le persone cantano insieme, accadono fenomeni straordinari
1. Pascal Quignard, L’odio della musica, Torino, EDT, 2015.
nel loro corpo e nella loro mente. Uno degli aspetti più affascinanti è appunto la sincronizzazione dei battiti del cuore: i cuori dei coristi tendono a battere all’unisono durante una performance, un riflesso di una connessione emotiva e sociale profonda. Come funziona? Quando cantiamo, il respiro diventa sincronizzato con le frasi musicali. Questo respiro comune porta i battiti cardiaci dei coristi ad entrare in sintonia, creando un ritmo collettivo che rafforza tantissimo il senso di appartenenza. Questo fenomeno avviene in modo naturale e inconscio nelle persone e trasforma radicalmente la dinamica del coro. Le persone si sentono unite, si abbattono le barriere interpersonali e cadono le inibizioni tra i membri del un gruppo, facilitando la formazione di legami sociali.
Empatia
Il termine empatia deriva dal greco “en-pathos” (sentire dentro), e consiste nel riconoscere le emozioni degli altri come se fossero proprie, calandosi nella realtà altrui per comprenderne punti di vista, pensieri, sentimenti ed emozioni. L’empatia, in un coro, si traduce anche nella capacità di immedesimarsi nel senso del brano che si andrà a eseguire. Per questo è di fondamentale importanza costruire una cornice culturale di riferimento del pezzo, permettendo così, sia al direttore che ai coristi, di dare un impulso emotivo e quindi interpretativo, alle parole che si andranno a cantare, facilitando un sentire comune che può sostenere l’energia canora di tutti i partecipanti.
SOVTe (Semi-Occluded Vocal Tract exercises)
Gli esercizi di tale metodo, sono utili per aumentare la propriocezione interna del tratto vocale, ottenendo un massimo risultato con il minimo sforzo e cioè minor fatica fonatoria con migliore qualità risonanziale e maggiore disponibilità armonica. Di questi esercizi fanno parte i classici vocalizzi, glissati e scale con la consonante /M/ detti “Humming”, le sirene con /n/ velare e altri vocalizzi che utilizzano le mani come ausilio per creare una maggior pressione sopraglottica. Gli esercizi di respirazione sono fondamentali per aumentare la propriocezione della muscolatura respiratoria e delle tensioni muscolari. Utilizzando ad hoc fasce elastiche o foulard intorno alle costole si possono percepire i muscoli che intervengono sia nell’inspirazione che nell’espirazione, lavorando su tempi diversi in “inspirazione-apnea piena-espirazioneapnea vuota”, andando a percepire e a controllare consciamente la respirazione. Una buona percezione del lavoro muscolare in glottide ci permette di sentirne la qualità e di dosare la forza muscolare, suggerendo esperienze di apertura e chiusura totale della glottide che danno la possibilità di sentirne la quantità e la qualità di lavoro, promuovendo inoltre la propriocezione e stati di tensione/distensione.
EVT (Estill Voice Training)
Alcuni metodi di pedagogia vocale volti alla propriocezione, sintonizzazione ed empatia
Molti sono gli esperti di pedagogia vocale, molti i metodi, la letteratura e anche i social abbondano di proposte interpretative: dalla nostra esperienza che abbraccia anche i campi della musicoterapia, ci permettiamo di consigliare alcune interessanti metodologie finalizzate alla propriocezione, sintonizzazione ed empatia, approfondibili anche online.
Le “Figure per il Controllo della Voce” di EVT (Estill Voice Training) e le “Qualità Vocali Estill” permettono di avere padronanza delle combinazioni delle varie parti anatomiche del tratto vocale per avere stili diversi a seconda delle esigenze artistiche e stilistiche.
L’EVT è uno strumento pratico e scientifico che, lavorando attraverso la propriocezione del tratto vocale e della muscolatura, permette di avere dei buoni risultati in termini di emissione vocale equilibrata e senza sforzi. Attraverso la conoscenza e la pratica si imparerà a controllare la qualità risonanziale e timbrica del suono aumentando la propriocezione e stimolando la ricerca
sensoriale e propriocettiva. La pratica eutonica (giusto tono muscolare), presa in prestito dalle tecniche distensive propriocettive della Psicomotricità Funzionale® di J. Le Boulch, permette di ritrovare il giusto tono muscolare sia nella produzione vocale che in quella respiratoria migliorando la qualità della propriocezione.
Metodo Lichtenberger®
UNA CANZONE DOLCISSIMA
MORBIDA COME UN BIGNE’ PIU’ DEL GELATO, DEL CIOCCOLATO, UNA CANZONE PER TE!
Il Metodo Vocale Lichtenberg®, fondato dalla cantante e insegnante Gisela Rohmert nel 1982 con il nome Institut für funktionales Stimmtraining (‘Istituto di Training Vocale Funzionale’ di Lichtenberg, in Germania) si pone come obiettivo non solo di formare al suono cantato o parlato, ma di fornire un itinerario volto all’acquisizione di una conoscenza di sé e della propria corporeità attraverso la scoperta del proprio suono e l’utilizzo funzionale dell’apparato vocale. Si tratta di un percorso personale guidato da una pedagogia stimolativa, rivolta alla persona nella sua globalità che, risvegliando la propriocezione del nostro ricchissimo mondo fisiologico e sensoriale, permette di dialogare con ciò che ci accade e di espandere la coscienza percettiva allontanandoci dai modelli del controllo muscolare o dell’abitudine, alla scoperta di nuove potenzialità. Protagonista centrale di tale pedagogia è proprio il Suono e i suoi parametri, raffinati ordinatori, che coordinandosi in un naturale processo sinergetico, creano le condizioni per fare esperienza di flessibilità e leggerezza, maggiore estensione e inattese risonanze. È in questa vibrante esperienza che scopriamo un’altra, privilegiata, possibile via nascosta dalle nostre abitudini esecutive e dalla nostra quotidianità, troppo spesso minata da fattori di stress, paure e relative tensioni, più o meno consapevoli. Conoscere i “luoghi del canto” (anatomia e fisiologia),
gli organi direttamente interessati (laringe, orecchio, respiro, ecc) e le loro relazioni, diviene così un percorso esperienziale e non solo intellettuale. Il Suono della voce diviene quindi uno strumento privilegiato, che ci permette di entrare in relazione con le tutte nostre strutture, sul piano fisiologico, psichico ed emozionale e nelle loro manifestazioni più profonde, conducendoci in una dimensione segreta, intima e ricca di potenzialità inesplorate.
Per approfondire:
• Donna Farhi, Il grande libro del respiro. Esercizi e tecniche per ottenere salute e vitalità, concentrazione e rilassamento , Cesena, Macro, 2018
• Kristin Linklater, La voce naturale , Milano, Franco Angeli, 2006
• Patsy Rodenburg, Il diritto di parlare. Lavorare con la voce , Milano, Franco Angeli, 2015
• Corrado Veneziano, Manuale di dizione, voce e respirazione , Nardò, Besa, 1997
• Buddhadasa, La consapevolezza del respiro. Un manuale per il principiante serio , Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1998
• Silvia Magnani, Io sono la mia voce. Quando la mente fa ammalare la voce , Milano, Volontè & Co, 2020
• Jonathan Goldman e Andi Goldman, L’effetto ‘mmmmmm...’: il canto a bocca chiusa ci guarisce? , Rimini, Amrita, 2017
• Flora Gagliardi, Percezione, conoscenza, arte, terapia , [s.l., s.n.]
• Alfred A. Tomatis, L’orecchio e la vita, Como, Xenia, 2013
• Alfred A. Tomatis, Ascoltare l’universo: dal Big Bang a Mozart , Milano, Baldini & Castoldi, 2005
• David Rossato, Voiceling, la voce che cura. Spunti per un counseling centrato sulla voce , [pubblicato in proprio], 2014
• Laura Pigozzi, A nuda voce. Vocalità, inconscio, sessualità , Torino, Antigone, 2008
• Giovanni Battista Bortoluzzi, Cantare gli armonici. Il Metodo 4L. Guida teorica e pratica all’utilizzo melodico degli armonici naturali della voce , Roma, Di Leandro & Partners, 2024
Aurora Pacchi
Tecnica
La voce e il respiro: un meccanismo perfetto
Masterclass con Raffaele Giordani
A CURA DI CHIARA LEONZI
Direttrice di coro
Il direttore di coro, lo sappiamo bene, deve concentrare in sé una lunga serie di competenze che vanno dalla gestione della prova alla gestione delle dinamiche sociali. In questo enorme universo rientrano anche le conoscenze sull’uso corretto della voce, del fiato e sulla fisiologia dell’apparato che ci permette di cantare. Se in un passato neanche troppo remoto il suono di un coro era affidato esclusivamente alla sapienza del proprio direttore, a volte esigua in questo campo, oggi, sempre più spesso, i cori si affidano a preparatori vocali svincolando di fatto, almeno in parte, il direttore dall’onere dell’educazione vocale. Per coloro che non vogliono cedere a questo fenomeno di deresponsabilizzazione del direttore, la via percorribile è quella della formazione. Così AERCO ha dato questa possibilità agli iscritti all’Accademia per direttori di coro e a tutti coloro che volessero muovere i primi passi nel mondo della tecnica vocale, organizzando due giornate di studio con Raffaele Giordani. Una delle voci italiane più importanti nell’attuale panorama musicale internazionale, Giordani collabora con i migliori ensemble italiani ed europei di musica antica, tra cui Concerto Italiano, Vox Luminis, Coro e orchestra Ghislieri, esibendosi nei più prestigiosi teatri e sale dal concerto al mondo. È membro de La Compagnia del Madrigale fin dalla sua fondazione ed ha cantato per molti anni con La Venexiana, senza tralasciare la carriera solistica sempre nel campo della musica barocca. La sua formazione tecnica è quella del belcanto italiano, ma adattata alle esigenze dei vari stili musicali che esegue; questo gli permette di affrontare un repertorio piuttosto vasto spaziando dalla musica medievale a
polifonica rinascimentale a quella del tardo settecento, arrivando fino alla musica da camera ottocentesca. Nel suo brillante curriculum non si può non citare le collaborazioni con direttori come Rinaldo Alessandrini, Claudio Cavina, Michael Radulescu, Ottavio Dantone, Fabio Bonizzoni, Giulio Prandi, Diego Fasolis, Robert King, Jos van Veldhoven e Jordi Savall. Le sue numerose incisioni discografiche vantano importanti premi della critica internazionale. Il 14 ed il 28 febbraio 2024 la Casa della Musica di Parma ha ospitato i numerosi iscritti alla Masterclass con Raffaele Giordani che, con pazienza e con un eloquio semplice ha guidato tutti attraverso una maggiore consapevolezza delle possibilità del nostro apparato fonatorio, spiegandone il funzionamento e la struttura fisiologica. Nell’uditorio direttori di coro, studenti dell’Accademia di direzione di coro AERCO e anche semplici coristi. Abbiamo rivolto qualche domanda al Maestro per approfondire ulteriormente alcuni aspetti legati alla tecnica vocale nell’ambito corale amatoriale e non solo.
Nell’ambito di un coro amatoriale, quanto è importante dedicare una parte della prova alla tecnica vocale?
Credo che la cosa migliore sia dedicare del tempo alla formazione del cantore in generale. Trovo, ad esempio, che si possano ottenere miglioramenti significativi lavorando anche solo sul solfeggio ritmico, rendendo i cantori autonomi individualmente e più rapidi nella lettura delle parti. Certamente, basi tecniche di canto devono assolutamente far parte del bagaglio culturale sia del cantore sia del direttore, così che possa instaurarsi un linguaggio tecnico comune: questo può
diventare molto utile durante le prove e soprattutto durante il concerto quando, con pochi e studiati gesti, il direttore può comunicare al coro gli aspetti tecnici da richiamare all’occorrenza. Lavorare con un esperto di tecnica vocale può dare risultati molto importanti anche dal punto di vista interpretativo. Ricordo il commento di un direttore quando, alla fine di un pomeriggio passato a lavorare tecnicamente assieme al suo coro, mi disse che poteva finalmente eseguire quel meraviglioso brano nel modo che aveva sempre desiderato, ma che non era ancora riuscito a fare. Venendo al lato pratico della gestione delle prove, credo che possa essere molto di aiuto parlare di tecnica vocale già durante gli esercizi di riscaldamento, utilizzando anche i più semplici e comuni vocalizzi, applicando ora questo, ora quel concetto, per poi riportare nel corso della prova gli elementi tecnici via via appresi: ne gioverà la costruzione del suono corale e sarà più semplice cercare di risolvere i passaggi più complicati dei brani che si stanno studiando.
Quali danni può produrre nei propri cantori un direttore poco formato dal punto di vista vocale?
Come un buon direttore d’orchestra deve conoscere le caratteristiche principali di ogni strumento che la
compone, così un buon direttore di coro dovrebbe conoscere almeno le basi della tecnica vocale in modo da comprendere meglio le difficoltà che ogni cantore può affrontare. Nell’ambito del coro amatoriale, credo che i danni vocali che un cattivo direttore possa produrre siano abbastanza relativi, tranne in casi limite particolarmente sfortunati. Certamente però può produrre molta confusione e fraintendimenti! Ricordo un direttore che dava ai suoi coristi indicazioni tecniche tutto sommato esatte ma, non avendo mai cercato di migliorare il suo modo di cantare, produceva esempi vocali totalmente all’opposto di ciò che si sarebbe dovuto fare. Anche in quel caso, credo che lavorare tecnicamente sia sul coro sia sul direttore avrebbe dato risultati importanti. I guai più grossi avvengono quando un cantore amatoriale decide di studiare canto in modo professionale: in quel caso un direttore con idee tecniche vocali piuttosto confuse può lasciare in eredità guai tecnici potenzialmente molto difficili da risolvere.
L’utilizzo del vocal coach, distinto dalla figura del direttore musicale, arricchisce il coro o rende pigro il suo direttore?
Quando la sinergia tra direttore e vocal coach è produttiva e basata su stima reciproca, la prova può
Raffaele Giordani
venir gestita assieme e sia il coro sia il direttore possono arricchire le proprie conoscenze e il proprio vocabolario tecnico con risultati talvolta molto importanti. Certamente occorre trovare l’equilibrio giusto tra le due figure: a volte bastano alcuni incontri periodici nei quali invitare un tecnico vocale per migliorare assieme. Certo un buon direttore che abbia anche buona esperienza di tecnica vocale sarebbe auspicabile, ma lavorando assieme ad un vocal coach credo sia difficile che il direttore diventi pigro, ammesso che già non lo sia!
Si può essere buoni direttori se non si canta con una tecnica corretta?
Credo proprio di sì! Un buon direttore deve padroneggiare moltissime competenze e la tecnica vocale rappresenta una di queste: l’importante è conoscere le basi tecniche di canto in modo da guidare i coristi verso un suono corretto ed efficace, anche a seconda degli effetti timbrici che vuole ottenere, ma non è detto che egli stesso debba essere un buon cantante. Un buon direttore, però, può sempre organizzare delle prove periodiche assieme ad un tecnico vocale per cercare di colmare le lacune che egli stesso riconosce nel coro e in se stesso.
Qual è, secondo te, lo stato di salute della tecnica vocale nei cori italiani?
Da quello che conosco mi sembra ci siano cori con
livelli molto differenti: da quelli con preparazione più limitata a quelli con livelli molto elevati, talvolta simili a cori professionali. Ovviamente imbattersi in un coro con un livello tecnico elevato è più difficile rispetto ad incontrarne uno di tecnica meno raffinata, ma da quando ho frequentato il mio primo coro, circa trent’anni fa, sto notando un’attenzione all’aspetto vocale via via sempre più marcata a più o meno tutti i livelli: oggi è più difficile incontrare un coro che non abbia mai avuto, nella sua vita, alcun contatto con un esperto di tecnica vocale. In questo, le associazioni corali come AERCO giocano un ruolo di importaza strategica, perchè favorendo occasioni di studio accessibili a tutti, con proposte formative molto variegate, tracciano una via di qualità riconosciuta capace di essere da stimolo per l’intera rete corale della Regione di competenza.
La tecnica vocale per coristi ha un’età limite o ci possono essere margini di miglioramento ad ogni età?
Col passare degli anni tutto è più complicato, come ben sappiamo. Tuttavia, margini di miglioramento sono certamente possibili ad ogni età. A livello amatoriale credo che un grosso discrimine sia, più che l’età anagrafica, la volontà del corista di migliorarsi e di mettersi in gioco con (tanta!) pazienza e fiducia.
Sebbene la tecnica vocale non sia una materia teorica e debba costruirsi attraverso la pratica, puoi darci qualche titolo di manuale che non può mancare nella libreria di chi vuole approfondire l’argomento?
In questo campo ci sono molti testi e ogni anno ne escono di nuovi. In ognuno di questi si può trovare qualcosa di interessante per ampliare la propria cultura, quindi suggerirne alcuni piuttosto di altri può essere difficile. Tuttavia, per avere una buona infarinatura, posso consigliare Il canto e le sue tecniche di Antonio Juvarra, o il più recente I segreti del belcanto dello stesso autore. Interessante anche L’Arte di cantare di Richard Miller.
Raffaele Giordani
CORSI E MASTERCLASS
Accademia
L’ Accademia Corale ti offre diversi percorsi di formazione di alto livello in ambito corale. I percorsi sono dedicati a: Direttori di Coro che vogliano migliorare le proprie competenze; Cantori che vogliano intraprendere un percorso formativo sul canto in ambito corale; Presidenti, Segretari e Manager , ovvero chi si occupa della gestione dell’amministrazione e dello sviluppo delle attività legate ai cori amatoriali; Diplomati in Conservatorio in materie non legate alla coralità che vogliano riprendere ed ampliare le loro possibilità lavorative attraverso lo sviluppo delle competenze corali. La scuola prevede diversi corsi annuali, triennali e propedeutici (questi ultimi in convenzione con il Conservatorio di Ferrara). Scopri di più su www.aerco.academy
Musica dell’anima
Spiritus
Festival Corale Interreligioso
DI BERNARDO MARCONI Direttore del Festival
“SPIRITUS Festival Corale Interreligioso”, giunto alla sua III edizione, si è svolto a Parma dal 22 al 24 novembre 2024, per la prima volta in questa città dopo le precedenti due edizioni bolognesi. Il festival è organizzato da AERCO, Associazione Emiliano-Romagnola Cori, con il contributo del Ministero della Cultura e la Regione Emilia-Romagna, e con il patrocinio del Comune di Parma, della Diocesi di Parma, dell’Università degli Studi di Parma, della Casa della Musica e di Feniarco.
SPIRITUS Festival è stato concepito nell’intento di far dialogare culture e religioni, partendo dalla musica
come linguaggio che non necessita di traduzioni e in grado di unire mondi, culture e naturalmente religioni differenti. L’obiettivo essenziale è conoscere attraverso inni, canti, testi sacri, ma anche gli strumenti musicali, le armonie, le sonorità proprie dei gruppi culturali, questi mondi a volte così lontani.
Il tema della rassegna di quest’anno è stato “Tempo di inquietudine, tempo di fiducia” e si propone di offrire una prospettiva critica del nostro tempo, unito alla naturale inquietudine dell’uomo, attraverso l’incredibile tesoro culturale e spirituale delle religioni, che da tempo immemore hanno saputo veicolare questa ricchezza attraverso la musica, il canto, la danza e le arti, offrendo non soltanto una risposta alle domande delle diverse epoche, ma producendo nuova cultura nel senso pieno del termine in un orizzonte dinamico e creativo.
Con la scelta di questo tema si è voluto creare un legame con un altro importante festival corale europeo: il “Musica Sacra International festival” di Maktoberdorf, in Baviera, con lo scopo di ampliare le tematiche di riflessione ed offrire una panoramica di largo respiro. In questa edizione si è pensato infatti di aprire le porte non solo a gruppi corali ma anche alla danza sacra e a ensemble strumentali, al fine di poter immergersi totalmente nelle tradizioni delle diverse confessioni religiose; la musica diventa così un mezzo autentico, che favorisce il dialogo interreligioso tra le persone. I concerti ed i programmi pensati per quest’anno avevano l’intenzione di rispecchiare il tema guida proponendo una commistione di musica assieme alla storia delle comunità religiose che l’hanno prodotta, custodita e rinnovata attraverso i secoli.
La rassegna si è aperta con il M° Riccardo J. Moretti, presidente della Comunità Ebraica di Parma, che ha presentato la sua lectio magistralis dal titolo La Musica
è la voce dello Spirito, toccando vertici di profondità mistica e spirituale frutto della millenaria tradizione ebraica, che ha saputo trovare nel canto e nell’ascolto la chiave di contemplazione del creato e della vita. Ospitato nell’Aula Magna dell’Università, il primo concerto è stato animato dai canti sacri della comunità Sikh di Novellara (RE), dai ritmi curativi marocchini subsahariani gnawa del musicista Reda Zine, e dalla concertazione coreografica dei Fudendaiko, il gruppo di tamburi giapponesi del Tempio Fudenji (PR). Ogni ensemble ha contribuito con un approfondimento sul significato dei brani e sulla storia del genere musicale. Il Palazzo del Governatore ha ospitato una stimolante riflessione condotta da Don Lorenzo Montenz, responsabile della Pastorale della Cultura della Diocesi di Parma e docente al Conservatorio Reale di Anversa, dal titolo Musica, arte, cultura: una riserva di sapienza per giorni cattivi, che si è rivelata un eccellente sguardo critico sull’ambiente culturale attuale e sul significato intrinseco del “fare cultura”.
A seguire, il forum sul tema centrale della rassegna ha offerto un momento di alta cultura attraverso gli interventi del M° Mons. Giuseppe Liberto, direttore emerito della Cappella Musicale Pontificia “Sistina”; p. Paolo Gamberini SJ, teologo; Abu Bakr Moretta, presidente Co.Re.Is, Alessandro Shuichi Antonicelli, monaco buddhista di tradizione Zen Soto; Ilenya Goss, teologa e musicista, pastora della comunità valdese di Mantova, ciascuno dei quali ha saputo coinvolgere l’assemblea attraverso ascolti e testimonianze della propria tradizione religiosa.
Il secondo concerto, presso la Casa del Suono, è stato dedicato interamente alle sonorità della tradizione popolare che in alcuni casi sono entrati a far parte anche del patrimonio liturgico, con musiche tra il sacro e il profano originarie delle province di Parma, Piacenza e Reggio Emilia, eseguite dal D’Esperanto Trio; in seguito il coro Il Convitto Armonico, diretto dal M° Stefano Buschini, ha concluso il pomeriggio con la missa parodica de Il bianco e dolce cigno di Stefano Bernardi, in una rara riproposizione filologica accompagnata da basso continuo.
Per il terzo concerto si è assistito ad una serata corale tutta al femminile all’insegna della musica sacra e popolare delle chiese d’oriente ed occidente. Ha aperto l’Ensemble Cuore Ucraino diretto da Maria
Cholovska con inni della tradizione ucraina ed alcuni canti contemporanei. Nella seconda parte la Schola Medievale del Coro Paer diretta dal M° Ugo Rolli ha ripercorso le sonorità festive del medioevo europeo attraverso antifone e canti dei pellegrini le cui melodie hanno unito l’Europa in tempi di gradi incertezze.
Domenica la Cattedrale ha ospitato un evento nuovo per lo stesso festival, che ha contribuito non poco a rendere completo il cartellone e significante la presenza delle comunità cristiane locali (cattolici, greco-cattolici, ortodossi, metodisti, evangelici).
In stretta collaborazione con l’ufficio liturgico della Diocesi di Parma, ha avuto luogo un Vespro cantato presieduto dal vescovo di Parma, Mons. Enrico Solmi, guidato dalla Schola gregoriana San Pietro di Bologna diretta la M° Antonio Lorenzoni, dall’organo del M° Simone Campanini, e dallo stesso diretta Corale Città di Parma, che ha eseguito un inno in una sua inedita composizione, a segnalare un continuo rinnovamento della musica liturgica, che è qualcosa di vivo e non semplicemente una torre d’avorio da esporre solamente in concerti slegati dalla sua funzione primaria. Hanno arricchito il momento l’Ensemble Cuore Ucraino con il suggestivo canto del lucernario e l’Ensemble Soul Winning Evangelical Mission diretto dal M° Emmanuel Orelusi, che ha concluso la liturgia con un gioioso gospel.
Ensemble Soul Winning Evangelical Mission di Parma - Ensemble Cuore Ucraino - Corale Città di Parma - Cattedrale di Parma
Foto di Andrea De Simon
Lo spazio di preghiera ha voluto essere un’occasione per cogliere al meglio tutta la profondità spirituale della musica liturgica nei tempi e nei luoghi per cui è stata composta, in un susseguirsi di inni, salmi e melodie che travalicano i secoli e le diverse tradizioni liturgiche.
Il festival si è poi concluso nella serata con l’ultimo concerto dal titolo Il mare, il cielo e oltre eseguito dal Coro Giovanile Italiano, che sotto la direzione del M° Filippo M. Bressan ha compiuto una vera elevazione spirituale ad opera dei compositori del Novecento. Il pubblico ha largamente apprezzato l’esecuzione di
altissimo livello di componimenti sacri evocativi e riflesso di un’epoca di cambiamento.
Tutti i concerti e gli eventi del festival sono stati gratuitamente offerti grazie ai finanziamenti ricevuti, ed hanno riscontrato un’ottima partecipazione.
Auspichiamo che anche in futuro sia possibile organizzare sempre meglio questo momento di pieno dialogo culturale e realmente inclusivo che altro non può che accrescere il patrimonio intellettuale e spirituale di ciascuno.
Corale Città di Parma - Cattedrale di Parma - Foto di Andrea De Simon
Schola Medievale del Coro Paer - Chiesa di Santa Cristina - Foto di Andrea De Simon
Foto di Andrea De Simon
Il XV Festival Adolfo Tanzi
Parma, 31 maggio-2 giugno 2024
DI NICCOLÒ PAGANINI
Musicologo e direttore di coro
Dal 31 maggio al 2 giugno 2024 a Parma si è tenuta la quindicesima edizione del festival della coralità “Adolfo Tanzi”. La manifestazione è stata organizzata dall’APS Associazione culturale “San Benedetto” di Parma, dall’Associazione “Rinascimento 2.0”, dall’Associazione “Corale Giuseppe Verdi” di Parma e dall’Associazione Emiliano-Romagnola Cori (AERCO). La direzione artistica è affidata ai maestri Niccolò Paganini, Ilaria Cavalca e Daniele Sconosciuto. Il tutto si è realizzato con il patrocinio della Regione Emilia Romagna, della Provincia di Parma e del Comune di Parma, di Colorno, di Noceto, di Felegara e dell’Associazione Nazionale Direttore di Coro italiani.
Adolfo Tanzi è un musicista la cui fama è andata oltre i confini nazionali ma è sempre rimasto legato alla sua terra, i cui sentimenti più autentici ed i valori umani si
sono trasmessi nella sua musica. Nato a Roccalanzona, in provincia di Parma, nel 1944 si formò musicalmente presso il Conservatorio di Musica “A. Boito” della città ducale sotto la guida del M° Franco Margola, conseguendo i diplomi di Canto Corale e Polifonia Vocale. Fu ospite con una borsa di studio del “Coro Accademico dell’Università di Varsavia e all’Istituto di Musicologia dello stesso Ateneo polacco, sotto la guida del Prof. Miroslaw Perz. Sempre a Varsavia seguì un corso di interpretazione di musiche medievali con il Prof. Kazimiers Piwkowski, decano della “Sezione Strumentale” del Conservatorio di musica di Varsavia. Il M° Tanzi collaborò in qualità di filologo musicale con il “Centro di Studi Umanistici Nicolò V” di Castiglione del Terziere (Massa Carrara) fondato dal Prof. Loris Jacopo Bononi, per la valorizzazione e la diffusione della cultura lunigianense: in tale sede gli venne assegnata la “Libera Cattedra di Polifonia Vocale”, per la quale diresse, in Italia ed all’estero, vari concerti di musiche rinascimentali. Diresse inoltre il Coro del Teatro Regio di Parma dal 1982 al 1987 e collaborò con altri teatri lirici: Tours, Nantes e San Remo. Inoltre, fu docente di Armonia e di Canto corale presso il Conservatorio di Musica “A. Boito” di Parma.
«Il coro è un’entità collettiva, composta di tante persone diverse, che il Maestro deve plasmare per ottenere un’unità d’intenti finalizzata a interpretare il fenomeno Musica. Il maestro è demiurgo, che forma, dà l’impostazione, fa crescere la qualità, crea il gusto, dà sapore all’esecuzione».
In queste parole del nostro Adolfo Tanzi leggiamo in lui l’uomo, il musicista, il maestro.
Adolfo Tanzi
Paola Cirani, musicologa e direttrice della Biblioteca Palatina di Parma, così lo ricorda:
«Semplice d’aspetto, altrettanto naturale nei modi, ebbi occasione di parlargli soltanto alcuni anni prima che venisse a mancare. Lo vidi entrare un giorno nella biblioteca del Conservatorio di Parma in cui operavo, accompagnato da un amico: teneva un cestino colmo di pane con una mano, una bottiglia di vino con l’altra e un salame sottobraccio. Pensai a uno scherzo. Ero presa da diversi problemi di lavoro e, inizialmente, non riuscii a rendermi conto di chi fosse quella persona che, con tanta familiarità, invadeva la stanza in cui ero alle prese con la sistemazione di una serie inestricabile di documenti. Una volta ripresami dall’inaspettata intrusione, capii di chi si trattasse: era Adolfo Tanzi che, come se mi conoscesse da sempre, iniziò quella sorta di rito di assaggio dei suoi salumi che – egli disse – da anni veniva praticato proprio negli spazi in cui mi trovavo. Con fare cerimonioso e al tempo divertente, principiò quindi a omaggiarmi con una successione di versi encomiastici che, lì per lì, mi lasciarono a bocca aperta. Capito un po’ il soggetto che mi stava di fronte, stetti al gioco e cominciò pertanto tra noi due un vivace botta e risposta. Al suo iniziale: “Deh, pastorella mia, per dio, non mi fuggire”, replicai a mia
volta con una serie di citazioni poetico-musicali. Procedendo in quella “singolar tenzone”, mi sentivo tuttavia sempre più inadeguata a reggere la sfida; non sapevo davvero a cosa far ricorso per proseguire la gara e, ovviamente, fu lui ad avere l’ultima parola. Peraltro i suoi versi divenivano sempre più audaci e non ero certo in grado di sostenere ulteriormente il curioso imbarazzante confronto. Quello era Adolfo Tanzi, un vero uomo e un impareggiabile generoso artista che, con la massima semplicità e signorilità di modi, sapeva evidenziare in ogni circostanza, con bontà di spirito e senza ostentazione, la profonda cultura della quale era permeata la sua personalità».
Adolfo Tanzi
La Corale Verdi diretta da Claudio Cirelli
A Parma l’affetto verso il Maestro Tanzi non si è mai affievolito e, appena giunta la notizia della sua scomparsa, si è pensato di organizzare subito un festival di cori in suo onore. Il collante di questa iniziativa è proprio il grande affetto verso Adolfo. Quest’anno siamo giunti alla quindicesima edizione e abbiamo voluto organizzare non la solita rassegna, ma un vero e proprio simposio, con la possibilità di trascorrere tre giorni nella bellissima città ducale e poter vivere immersi nella musica corale a 360°: concerti, atelier e incontri a carattere musicologico. I corsisti hanno potuto partecipare a workshop con importanti maestri, hanno approfondito la filologia della prassi verdiana, hanno ascoltato concerti e hanno avuto l’opportunità di cantare anche con il proprio coro in concerto. La rassegna è cominciata il 31 maggio presso la chiesa di San Giovanni Evangelista con il coro voci bianche e giovanile della Corale “Giuseppe Verdi”, diretto da Niccolò Paganini, e la Corale “Giuseppe Verdi” diretta da Claudio Cirelli. Sabato 1 giugno, invece, presso la
sede della Corale “Verdi”, si sono tenuti due workshop : il primo dedicato alle voci bianche e ai brani con la lingua dei segni, con la Maestra Camilla Di Lorenzo, e il secondo con il Maestro Ugo Rolli, sulla polifonia sacra e profana. I workshop hanno visto la partecipazione di circa trenta bambini e venti adulti. Al pomeriggio, presso la Casa della Musica, i maestri Marco Faelli e Sebastiano Rolli ci hanno parlato della filologia della prassi verdiana, un’interessante tavola rotonda sul grande Maestro di Roncole di Busseto. La giornata si è conclusa alla chiesa di San Vitale con il concerto del prestigioso Coro da Camera di Torino, diretto da Dario Tabbia.
La mattina del giorno successivo, sono continuati i workshop , presso Bosco Spaggiari a San Prospero, in collaborazione con il Festival della Parola, in cui le voci bianche dirette da Camilla Di Lorenzo hanno proposto un concerto utilizzando per alcuni brani anche la lingua dei segni. Il weekend corale si è concluso nella chiesa
Il Coro di voci bianche diretto da Camilla Di Lorenzo
di San Vitale con le voci bianche e, poco dopo, con il coro dell’Università di Parma “Ildebrando Pizzetti” diretto da Ilaria Poldi e il coro “Città di Parma” diretto da Simone Campanini. Il programma completo della rassegna è stato arricchito da concerti collaterali: il 27 aprile presso la Chiesa di Felegara, il 25 maggio nella chiesa parrocchiale di Noceto e infine l’8 giugno nella bellissima cornice dell’Aranciaia di Colorno.
Il Festival della coralità “Adolfo Tanzi” è un progetto ambizioso che ha voglia di crescere e diventare un appuntamento fisso nel panorama del mondo musicale italiano.
Il Coro da Camera di Torino diretto da Dario Tabbia
Notizie
I 50 anni del coro Paer
Una conversazione con Ugo Rolli, direttore-fondatore del Coro
Ferdinando Paer
A CURA DI PIETRO MAGNANI Cantore
Il Coro Ferdinando Paer di Colorno (Parma) è entrato dal giugno 2024 nel cinquantesimo anno di attività, con il proprio direttore-fondatore Ugo Rolli ancora al timone. Una storia ricca di esperienze, che abbiamo ripercorso insieme al Maestro Rolli.
E dunque Ugo, come si fa spesso in prova, partiamo dall’inizio. Come nasce tutto?
Tutto nasce a Colorno nel 1974. In quegli anni cantavo nella Corale “Santa Margherita” di Colorno, diretta da don Gabriele Fridoletti, un coro dal repertorio molto vario. Un giorno, sempre a Colorno, ascoltai il Coro
dell’Università Ildebrando Pizzetti, allora diretto da Adolfo Tanzi. Eseguivano polifonia classica. Per me è stata un’esperienza decisiva: mi sono innamorato di quel genere e così ho chiesto ad altri membri della Corale di trovarci una sera supplementare per studiare polifonia, che la Corale non cantava.
E da lì è partito il Paer.
È partito quasi come gruppo di studio, poi si è evoluto. Agli inizi eravamo in 13. Io e un altro corista andavamo in auto a prendere i coristi che non avevano la patente e a fine serata li riportavamo a casa. Pensa che non ci chiamavamo neanche Paer, ma “Coro Geminiano Giacomelli”, in onore di un altro compositore colornese. Paer è comparso qualche anno dopo.
Cosa ricordi di quei primi tempi?
A parte i primi concerti pubblici, ricordo lo studio costante, sia di vocalità che di lettura cantata –considera che agli inizi nessuno sapeva leggere la musica. Andavo a studiare privatamente con Roberto Goitre, allora docente a Piacenza, poi insegnavo al coro quanto imparavo. La prima mezz’ora di ogni prova era dedicata agli esercizi di lettura con il Metodo Goitre.
Bisognava avere una gran pazienza…
Pazienza e costanza. In questo lavoro mi aiutò Aldo Bertone, mio collega per molti anni in conservatorio a Parma e poi mio corista. La fatica però ha dato molto frutto: oggi possiamo permetterci di leggere a prima vista, bene o male, un brano da capo a fondo – cosa che all’inizio dell’attività era impensabile.
In quegli anni com’era la vita corale a Parma?
C’erano già diversi cori, alcuni dei quali sono ancora in attività. C’era la Corale Città di Parma diretta da Antonio Burzoni; c’erano il Coro CAI Marotti di Gian Bernardo Ugolotti, il coro “Voci di Parma” di Mario Corradi, il coro dell’Università “Ildebrando Pizzetti” di Adolfo Tanzi, la Corale Dellapina di Marina Gatti, i Cantori del Mattino sempre di Adolfo Tanzi, oltre ovviamente alla Corale Verdi di Edgardo Egaddi, e altri in città e provincia. Non c’era però un’associazione di cori che unisse e organizzasse le nostre attività, come poi arriverà in futuro.
C’è stato un modello per il coro?
Sì, la Corale Città di Parma di Antonio Burzoni è stata per tanti aspetti il modello del Paer. Burzoni mi ha insegnato tanto: per l’attività corale è stato il mio vero maestro.
E così, tra Goitre e Burzoni, ti sei formato e hai fatto crescere il Paer.
Sì, e devo dire che negli anni siamo cresciuti molto. Dalle tredici voci degli inizi siamo arrivati a trenta, in certe occasioni quaranta, divise anche in più gruppi corali. Hanno cantato con noi circa trecento persone. Ammetto che ho avuto una grande fortuna: per ventisei
anni ho insegnato canto corale in Conservatorio, e grazie a questo ho potuto avere un vivaio sempre pronto di giovani voci. Tempo fa i cantori non mancavano e per alcuni anni riuscii persino a mettere in piedi un coro giovanile; quando si sciolse, i ragazzi entrarono nel Paer – alcuni di loro cantano nel Paer ancora oggi, dopo decine di anni.
Oltre a questo, insegnare in conservatorio ti ha dato altri spunti?
Mi ha fatto capire come impostare l’attività del coro. Quando ero allievo di contrabbasso, il conservatorio era più una caserma che una scuola. Quell’ambiente però mi ha insegnato la disciplina che ho poi preteso da
Il Coro Paer nel 1976
Il Coro Paer nel suo cinquantesimo (2024), Aranciaia di Colorno (foto di Cristian Bellini)
insegnante con gli allievi e da direttore con il Paer. Per un coro la disciplina è importante e ci tengo molto, da sempre. Sono cinquant’anni che a fine prova segno ogni assenza sul registro, come a scuola.
Sottolineo che insegnare a cantare è stata la missione di una vita.
Direi anche una passione. Mi ha spinto a studiare per anni come far impostare la voce ai coristi. È un argomento che in coro abbiamo sempre affrontato, perché il corista prima di tutto non deve rovinarsi la voce e poi deve trovare un timbro adeguato. Su questo argomento ho imparato tanto da Antonio Burzoni, ascoltando il suo coro e seguendo i suoi consigli. Ma da lui ho avuto tanto, persino il gregoriano.
Come?
Ho conosciuto il Canto gregoriano grazie a lui.
E ti ricordi com’è andata?
Un giorno, mentre ero a colloquio da lui, ho visto sul tavolo un librone nero: era la prima edizione del Graduale Triplex. L’ho aperto e sono rimasto esterrefatto da quella quantità di segni rossi e neri (i neumi) stampati sopra e sotto ai canti. Burzoni mi ha spiegato lì per lì due o tre cose, citandomi i corsi
A.I.S.C.Gre. di Cremona, Nino Albarosa, la Semiologia gregoriana di Eugène Cardine. Il pomeriggio stesso sono andato a Cremona e ho comprato il mio Triplex.
A giugno mi sono studiato la Semiologia, a luglio ho frequentato il primo corso.
E ti sei immerso…
Me ne sono innamorato. Ho seguito sette anni di corso, studiando con la prima generazione di maestri (Nino
Albarosa, Luigi Agustoni, Johannes B. Goeschl e altri). Con me c’era anche Oreste Schiaffino, già allora corista e oggi direttore della Schola. Ci siamo appassionati così tanto che nel 1984 ho deciso di fondare la Schola gregoriana del Coro Paer. Oreste è parte del gruppo dal primo giorno e dagli anni ‘90 lo dirige. Dieci anni dopo, non pago di medioevo, ho fondato anche una Schola medievale femminile; oggi si è specializzata polifonia medievale, laude, cantigas, musica profana e altro.
Pure le due Scholae hanno fatto strada.
Pensa che all’inizio registravo tutte le lezioni dei corsi di Cremona, poi mi trovavo in canonica con gli altri cantori ad ascoltare i nastri, studiando e replicando gli esempi.
Anche in questo caso, fatica e soddisfazioni.
Andiamo fieri dei premi nella categoria Gregoriano al Concorso internazionale di Arezzo: in tre anni vincemmo il terzo, il secondo e il primo premio – in giuria c’erano i massimi gregorianisti di allora. Ma anche dei premi vinti dalla Schola medievale a Quartiano e delle partecipazioni a rassegne di rilievo. Per me, Oreste e le Scholae sono grandi traguardi.
Non i soli, aggiungo.
Ne abbiamo avuti altri con il Coro polifonico, come nel 1994 a Riva del Garda: arrivammo secondi per tre centesimi di punto! Ma vincemmo il premio come miglior coro italiano.
E tu, Ugo, come miglior direttore. Insomma, dalle prove in canonica a Riva del Garda, Vittorio Veneto, Arezzo la crescita del coro è stata notevole.
Sì, e quegli anni, gli anni Novanta, sono stati un grande periodo per il Coro Paer, non solo per i concorsi.
Ci sono stati altri episodi memorabili?
Senza dubbio quando abbiamo eseguito la JohannesPassion di J.S. Bach, nell’aprile 1998. Studiammo come non mai: due prove a settimana per due anni interi. Eravamo in cinquanta, con gli allievi del Liceo Musicale di Parma e l’orchestra Toscanini diretta da Moshe Atzmon. I coristi che c’erano si ricordano ancora i
Il Coro Paer e La Reverdie nel 2024 (foto di Cristian Bellini)
“Kreuzige! Kreuzige!”.
Quindi il Paer nasce con l’amore per la polifonia classica, ma nel tempo si è innamorato anche di altro.
Sì, con i primi paeristi ci siamo trovati proprio per studiare la polifonia, soprattutto Palestrina, Victoria e altri autori classici. Ma periodicamente ci siamo innamorati di altri autori, anche molto diversi tra loro. Ricordo i periodi di Schutz, Bruckner, Poulenc. E poi Gesualdo per cui ho un amore sviscerato. Insomma, Palestrina è sempre presente, ma non è il solo. E diverse occasioni ci hanno spinto ben oltre…
Ad esempio?
Abbiamo partecipato a una produzione di Un sopravvissuto a Varvasia di Arnold Schoenberg e all’incisione di Dedica di Giacomo Manzoni nel 1986. Ma nel 1988 abbiamo anche collaborato con Franco Battiato, registrando alcune parti corali per Fisiognomica. Sempre nel 1988, quando incidemmo per l’album Te Deum di Juri Camisasca con Donatella Saccardi, Battiato si mise a cantare in coro di fianco a me.
E il Paer ha avuto esperienze a teatro?
No, non è mai stato il nostro repertorio, ma abbiamo avuto qualche esperienza a fianco della scena. Abbiamo cantato in alcune produzioni di AterBalletto. Poi ricordo un Peer Gynt nel 1980. Eravamo al Teatro S. Carlo di Napoli, con il coro Città di Parma e l’Orchestra Stabile dell’Emilia Romagna diretta da Piero Bellugi. Recitavano Albertazzi, la Toccafondi, Elisabetta Pozzi… Io facevo l’assistente alle luci: mi segnavo tutti i cambi sulla partitura; di fianco a me ogni tanto si sedeva Albertazzi e mi chiedeva “Maestro, sta segnando tutto?”.
Un pensiero conclusivo.
In questi anni la dedizione per il coro è sempre stata grande: io ci ho messo una vita, ma anche i coristi si sono sacrificati molto. Si viene alle prove con neve, pioggia, vento, ghiaccio, per due o tre volte a settimana; tanti vengono da lontano. Vorrei concludere proprio con un grande grazie a tutti i coristi, perché il Coro Paer vive principalmente grazie alla loro partecipazione.
Il Coro Ferdinando Paer
Il Coro Ferdinando Paer nasce nel 1974 a Colorno (Parma). Oggi si compone di tre gruppi corali: coro polifonico, schola gregoriana maschile e schola medievale femminile. Negli anni ha riportato successi sia in concerto che in concorsi.
Ugo Rolli, fondatore e direttore, è diplomato in Contrabbasso al Conservatorio di Parma.
Dopo l’attività orchestrale, è stato docente di Esercitazioni corali al Conservatorio e al Liceo musicale di Parma.
Storia completa del Coro Paer, con repertorio e cronologia dell’attività
Ugo Rolli (foto di Cristian Bellini)
Dieci anni di Scuola di Canto Gregoriano
A CURA DI LUCA BUZZAVI
Direttore di coro, Direttore artistico della Scuola di Canto Gregoriano AERCO, maestro della Schola Gregoriana Ecce
«Una Scuola di Canto Gregoriano non è la visita ad un museo, stiamo attenti: è un investimento sul futuro. Non è un rifugio in un passato, sia pur glorioso, perché lo è – certamente –, non è un rifugio in un’esperienza plurisecolare, ma è la chiave di lettura per nuove prospettive per il canto liturgico, per il canto della Liturgia. Di questo si tratta, una definizione enorme, troppo grande. Si tratta di rendere ‘sonora’ la Liturgia!» (Fulvio Rampi)
Così si aprirono dieci anni fa le lezioni alla Scuola di Canto Gregoriano. Ne sono passati di neumi, di studenti, di docenti, di celebrazioni, di luoghi meravigliosi, e la scorsa estate, durante il Corso Estivo che ha chiuso il decennale della Scuola, si è tenuta una stimolante tavola rotonda per mettere a fuoco gli obiettivi raggiunti e per far nascere le nuove idee che
danno nuova linfa all’XI anno che è appena iniziato. Ma facciamo un passo indietro.
Già dal 2012 si tennero nella bassa provincia mantovana, a Poggio Rusco, i primi Laboratori di Canto Gregoriano su iniziativa del M° Luca Buzzavi con la presenza di alcuni cantori e maestri di coro del territorio e la guida, in alcune giornate di approfondimento, del M° Fulvio Rampi. In seguito alle prime esperienze e su richiesta crescente da parte di numerosi interessati, nacque nel luglio 2014 il I Corso Estivo di Canto Gregoriano presso il Santuario della Madonna della Comuna, a Ostiglia (MN). E sulla propulsione derivata da questa esperienza vene attivata a Cremona, nei locali della Chiesa di S. Abbondio, la prima classe della Scuola di Canto Gregoriano a partire da gennaio 2015. Ogni annualità prevedeva dunque due Messe in Canto Gregoriano, una in provincia di Mantova e una a Cremona. Nel 2016 il Corso Estivo iniziò a tenersi a Mantova presso il Conservatorio, con celebrazione conclusiva presso il Duomo alla presenza di S. E. Mons. Marco Busca, Vescovo. La Scuola, progressivamente spostata completamente a Mantova, subì uno stop forzato a causa dell’emergenza Covid nel 2020, anno in cui,
Scopri il decennale della Scuola di Canto Gregoriano AERCO
grazie alla visione lungimirante di AERCO e del suo Presidente, prof. Andrea Angelini, iniziarono i primi corsi online di Canto Gregoriano registrando record di presenze da tutta la penisola e dall’estero. Già dall’anno accademico 2020-2021 fiorì la modalità mista, che perdura tuttora, secondo cui da ottobre a giugno si alternano lezioni online riguardanti le varie discipline più teoriche (Semiologia, Paleografia, Teoria Musicale Medievale, Tropi e Sequenze, corsi introduttivi, seminari…) a incontri di una o più giornate dedicati alla prassi esecutiva e, soprattutto, all’esecuzione in liturgia di Vespri e Messe. Non solo, ma da tre annualità sono sorte in Brasile (prof. Clayton Dias) e in Messico (prof. Eduardo Acosta) altre esperienze che si fondano sul modello della Scuola di Canto gregoriano, allargando così il campo a corsi in lingua portoghese e spagnola, oltre a un corso, per ora solo digitale, in lingua inglese. I corsi raggiungono quindi centinaia di studenti a vari livelli in tutto il mondo e le idee innovative sono in continuo fermento.
La collaborazione con il gruppo professionale Cantori Gregoriani (diretti dal M° Fulvio Rampi) è stata ed è fonte di continua ispirazione, così come le numerose partnership realizzate con AISCGRE, PIMS, FENIARCO, ANDCI, AISC.
A partire dal 2020, AERCO ha fatto nascere anche la Schola Gregoriana Ecce, in cui entrano tramite audizione cantori molto motivati provenienti non solo dall’Emilia-Romagna e che, proprio nel 2024, a coronamento del decennale, ha inciso il CD Lumen Christi insieme al M° Wladimir Matesic, organista. Attualmente la sede del Corso Estivo è presso l’Abbazia di S. Maria del Monte a Cesena dove ci si ritrova con
grande piacere ogni anno per studiare e cantare insieme, ma anche per fare il punto della situazione e vagliare nuove prospettive per l’anno successivo.
Invitiamo i lettori a inquadrare i codici QR per visionare il foto-racconto di questi dieci meravigliosi anni e le video testimonianze dal Brasile e dal Messico.
Consulta le brochure 2024-2025
Chiedi un’audizione per la Schola Gregoriana Ecce
Lumen Christi
Un CD da non perdere
A CURA DELLA REDAZIONE DI FARCORO
Lumen Christi è il frutto della virtuosa collaborazione tra l’organista M° Wladimir Matesic e la Schola
Gregoriana Ecce diretta dal M° Luca Buzzavi. Si tratta di una silloge di brani organistici che trae ispirazione diretta da alcune melodie gregoriane considerate ‘iconiche’ per i momenti forti dell’Anno Liturgico. Fil rouge che percorre tale antologia è, da una parte, l’omaggio alla grande tradizione organistica sinfonica che tra Otto e Novecento si è sviluppata in Francia, attorno agli organi costruiti dal geniale facteur d’orgue
Aristide Cavaillé-Coll [1811-1899] – considerata sotto il duplice aspetto compositivo ed improvvisativo –
e, dall’altra, l’illustrazione cronologica dei principali momenti dell’Anno Liturgico – Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua, Pentecoste, senza dimenticare il Saluto a Maria. L’antologia, tuttavia, vuole cominciare proprio dal cuore della Fede cristiana: l’annuncio della vittoria di Cristo sulla Morte. Organo e canto gregoriano si trovano a dialogare secondo l’antica prassi dell’ alternatim in un viaggio che non è solo musicale, ma anche spirituale e artistico-culturale. Le registrazioni, a cura di AERCO, sono state riprese nella Chiesa di S. Michele Arcangelo di Saletta di Copparo (FE) per quanto riguarda le voci, e nella Chiesa di S. Agostino Vescovo e Dottore a Terre del Reno (Fe) per quanto riguarda l’organo D. Michelotto (2019).
Copertina del CD
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Recensioni
Lumen Christi, Deo gratias: in apertura di questo avvincente florilegio di brani corali e organistici, scelti a rappresentazione dell’anno liturgico, l’acclamazione del Sabato Santo, perentoria, grandiosa, lapidaria, è intonata dal coro e trova una stupefacente amplificazione nelle note organistiche di Jean Langlais - Incantation pour un jour saint - che trasfigurano il semplice motivo reiterante e ne fanno una litania dalle armonie ardite e cangianti, cui la timbrica magniloquente dell’organo Michelotto dona gli echi ieratici delle grandi cattedrali francesi. Un assaggio dell’intima trepidazione dell’Avvento ci viene in seguito, su un tappeto di viole e voci celesti e su un lungo pedale, dall’intonazione improvvisata di Wladimir Matesic, capace di impreziosire la raffinata e accorata esecuzione dell’inno Veni redemptor gentium . La dolcezza dell’attesa prorompe, si sa, nella gioia sfolgorante nel Natale, e l’incontenibile emozione si riflette nel canto Christe Redemptor omnium , intonato con grande precisione dalla Schola Gregoriana e commentato con altrettanta accuratezza dall’organista, nel primo movimento della Symphonie-Passion di Marcel Dupré, dal titolo Le monde dans l’attente du saveur ; le robuste sonorità dello strumento fanno la loro parte, profondendo, con generosità, un apporto timbrico e dinamico che non fa rimpiangere la grandeur dell’arte organaria parigina.
Una neoclassica chiarezza formale, coniugata ad una sapienza compositiva di qualità garantita, sono le cifre distintive dei versetti sullo Stabat Mater di Alexandre Guilmant, una costellazione di stilemi organistici uscita con la consueta, fresca immediatezza dalla penna felice del compositore francese; le brevi frasi sono il perfetto alter ego ai corrispettivi tratti in canto gregoriano, che il coro propone con la levigata pulizia e con l’accurata
intonazione che ne contraddistinguono la ricercata vocalità.
Haec dies, il responsorio per l’Ottava di Pasqua, iconicamente introdotto dal coro, trova eco sublime nel Moderato dalla Symphonie Romane di CharlesMarie Widor, pagina dal respiro gigantesco, summa del repertorio sinfonico tardoromantico; Matesic la padroneggia con grande disinvoltura, coadiuvato dal generoso spettro fonico dell’organo, che sa restituire alla partitura l’ampia tavolozza che le compete, ricchissima, proprio come negli strumenti d’oltralpe. Altra perla della letteratura d’oltrecortina, il Choral varié sur le thème du Veni creator di Duruflé, è resa con perfetta maestria dal coro e dall’organo; apprezziamo in particolare, da parte dello strumentista, le scelte dinamiche e coloristiche, il fraseggio, la cura nella registrazione: tutto contribuisce alla resa ottimale di un capolavoro assoluto. L’antologia si chiude con una vera e propria fucina di idee musicali, la Fantasia improvvisata sopra “Salve Regina” di Wladimir Matesic, non scevra da influenze progressive-rock , impreziosita da un uso sapiente del crescendo e del diminuendoartifici nei quali l’organista ha buon gioco, considerata l’invidiabile dovizia di registri di cui dispone lo strumento – e arricchita da una grazia particolare nel porgere le frasi musicali. In quest’ultimo brano, in particolare, risalta la capacità di Matesic nel maneggiare un apparato di per sé macchinoso e freddo, qual è l’organo, e di farne un mezzo sonoro vivo e pulsante, un essere vivente dotato di un’anima, che “respira” insieme al suo artefice e demiurgo.
Stefano Rattini, organista titolare dell’Abbazia Benedettina Muri-Gries di Bolzano e titolare emerito presso la Cattedrale di Trento. Trento, 30 ottobre 2024
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LUMEN CHRISTI.
Luca Buzzavi (foto di Marco Marani - Fotografix, Carpi, MO)
Wladimir Matesic (foto di Elia Falaschi, Phocus Agency)
Il programma qui registrato si apre con un capolavoro della musica organistica del XX secolo: la Incantation pour un jour saint di Jean Langlais, la cui cellula portante è il tono con cui si canta l’annuncio Lumen Christi nella notte di Pasqua, la madre di tutte le vigilie. Da qui prende avvio un percorso teologico, liturgico e musicale che tocca le tappe fondamentali di Natale, Settimana santa, Pasqua e Pentecoste, evocate da composizioni organistiche di epoca moderna e contemporanea ispirate a canti del repertorio liturgico, in prevalenza inni, a loro volta intonati nella loro melodia originale. La scelta felice delle pagine organistiche è rappresentativa di una spiritualità musicale che nella Francia del Novecento ha trovato declinazioni di eccezionale rilevanza. È sorprendente la naturalezza con cui le melodie gregoriane risuonano accanto a questi componimenti talora estremamente complessi, come se esse costituissero davvero un filo rosso che attraversa i secoli e i millenni nutrendo diverse epoche e culture. L’esito più affascinante del disco risiede tuttavia nella capacità di suscitare il senso dell’ineffabile di fronte al mistero dell’universo e allo sguardo sull’eternità. È la parola, quasi intraducibile nelle sue risonanze profonde, con cui s’intitola il primo brano, la citata Incantation pour un jour saint di Langlais. È la stessa parola con cui, scrivendo alla sorella Marcellina, sant’Ambrogio parla dell’incantesimo dei suoi inni, con cui, secondo gli avversari, ha ammaliato il popolo. «Hymnorum quoque meorum carminibus»: là dove il concetto di ‘incantesimo’ è espresso dalla parola
‘carmen’, che significa anche ‘canto’. L’appassionante programma riesce così a trasmettere all’ascoltatore un riflesso sonoro dell’antica concezione della musica quale ponte tra il visibile e l’invisibile, tra la materia e lo spirito, che, alla stregua di una conoscenza pre-razionale, sembra comune da sempre a tutti i popoli e culture. Animati dallo stesso soffio di una spiritualità profonda, il canto piano e le composizioni dei grandi maestri dell’organo francese nell’epoca della riscoperta del gregoriano fra la fine dell’Ottocento e il XX secolo si nutrono reciprocamente dello stupore dell’uomo al cospetto dell’infinito. Wladimir Matesic suona con padronanza tecnica assoluta e potenza espressiva non comune le pagine di Langlais, Widor, Dupré, Guilmant e Duruflé, aggiungendovi due improvvisazioni in cui l’elaborazione, oltre a non sopraffare il senso della melodia originale, va nella stessa direzione estetica del programma. I canti del repertorio liturgico sono eseguiti dalla Schola Gregoriana Ecce, diretto da Luca Buzzavi, con suono bello, pulito ed espressivo. Un disco da non perdere, che merita di essere ascoltato e meditato
Angelo Rusconi, musicologo Lecco, 7 novembre 2024
Già dal primo ascolto il CD Lumen Christi traspare come un impressionante lavoro di ricerca sonora, timbrica ed esegetica. Il percorso, infatti, copre lo scorrere dell’Anno Liturgico dall’Avvento a Pentecoste, con un Saluto Mariano in chiusura. Le improvvisazioni organistiche che Wladimir Matesic realizza a partire da alcuni noti temi gregoriani risultano felicemente essenziali e creano un’atmosfera in perfetta consonanza con il testo e la melodia dei canti cui sono ispirate e accostate. Tali improvvisazioni si alternano a validissime e convincenti esecuzioni dal repertorio organistico.
I canti gregoriani, a cura della Schola Gregoriana diretta da Luca Buzzavi, appaiono eseguiti con voci intonatissime, dal timbro nobile e con un convincente ritmo fluido.
Complimenti e tanti auguri per il buon successo che questo disco merita.
P. Theo Flury, organista titolare della chiesa abbaziale di Einsiedeln (Svizzera), docente di Organo e Improvvisazione organistica presso il PIMS (Roma) 21 novembre 2024
La Schola Gregoriana Ecce
Giovanni Battista Martini: Ave Regina Coelorum
per coro a 4 voci miste
A CURA DI PAOLO GATTOLIN Direttore di coro e compositore
‘Ecco le mie fatiche, portate in luce…’
Così esordisce Padre Martini (Bologna, 24 aprile 1706 - Bologna, 3 agosto 1784) presentando Litaniae atque Antiphonae Finales B. Virginis Mariae … cum Organo, & Instrumentis ad libitum , di cui qui pubblichiamo un estratto. L’opera, dedicata alla Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri di Bologna, contiene 8 brani, di cui 4 Litanie della B.V. e 4 antifone mariane (Alma Redemptoris Mater, Ave Regina Coelorum, Regina Coeli laetare e Salve Regina). Si parla di mottetti in ‘stile severo’, a 4 voci con accompagnamento di organo e strumenti ad libitum pubblicati dalla typographia
Lelii a Vulpe , ossia Lelio della Volpe (1685-1749), editore di primo piano nella Bologna del periodo che seppe dare un importante contributo all’attività culturale della città in vari ambiti del sapere. In campo musicale esordì con la pubblicazione di Regole per il Canto
G. B. Martini, frontespizio delle Litanie ed Antifone del 1734. Per gentile concessione di Museo e Biblioteca della Musica di Bologna (collocazione HH.5)
Fermo di Angelo Michele Bertalotti nel 1720 e arrivò successivamente alle opere di Padre Martini, Giacomo Antonio Perti ed altri contemporanei. Il figlio Petronio (1721-1794) ereditò la fiorente attività pubblicando, tra il 1757 e il 1781, 3 volumi della famosa Storia della Musica dello stesso Padre Martini.
Fabio Ciaponi
Coro Giovanile dell’Emilia-Romagna
PARMA, 28-30 NOVEMBRE 2025
Con il patrocinio di:
EVENTS 2025
INTERNATIONAL CHOIR COMPETITIONS AND FESTIVALS
3RD RIGA SINGS - INTERNATIONAL CHOIR COMPETITION & IMANTS KOKARS CHORAL AWARD
April 3-7, 2025 | Riga, Latvia
8TH VIETNAM INTERNATIONAL CHOIR COMPETITION
April 9-13, 2025 | Hoˆi An, Vietnam
4TH VOX LUCENSIS – CONCORSO CORALE INTERNAZIONALE
April 12-16, 2025 | Lucca, Italy
2ND HULL INTERNATIONAL CHOIR COMPETITION
May 2-6, 2025 | Hull, Great Britain
6TH EUROPEAN CHOIR GAMES & GRAND PRIX OF NATIONS AARHUS 2025
June 28 - July 6, 2025 | Aarhus, Denmark
7TH INTERNATIONAL CONDUCTOR‘S SEMINAR WERNIGERODE
June 28 - July 1, 2025 | Wernigerode, Germany
13TH INTERNATIONAL JOHANNES BRAHMS CHOIR FESTIVAL AND COMPETITION
July 2-6, 2025 | Wernigerode, Germany
SING ALONG CONCERT BARCELONA 2025
September 12-14, 2025 | Barcelona, Spain
AFRICAN ASIA PACIFIC CHOIR GAMES & GRAND PRIX OF NATIONS MAURITIUS 2025
September 27 - October 5, 2025 | Mauritius
1ST INTERNATIONAL CHOIR COMPETITION SARAWAK October 15-19, 2025 | Kuching (Sarawak), Malaysia
11TH CANTA AL MAR – FESTIVAL CORAL INTERNACIONAL
October 16-20, 2025 | Calella/Barcelona, Catalonia (Spain) FOR INDIVIDUAL SINGERS