Dossier La vocalità dei cori jazz e pop Repertorio Ave Maria Un coro per tutti Un arcobaleno di voci n. 1 / 2024
FARCORO
Quadrimestrale dell’AERCO
Associazione Emiliano Romagnola Cori Gennaio-Aprile 2024
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FarCoro n. 1 / 2024
IN COPERTINA AERCO ACADEMY La Masterclass di John Rutter a Parma (marzo
Editoriale 01 DI SILVIA PERUCCHETTI Editoriale del Presidente 03 Conciliare la passione per il canto corale in tempi di guerra: una riflessione su Ucraina e Palestina DI ANDREA ANGELINI Dossier 04 L’importanza della tecnica vocale nei cori amatoriali INTERVISTA A LAURA REBUTTINI A CURA DI SILVIA PERUCCHETTI Strike up the choir! DI GIOVANNI BATALONI Insieme si… pop!!! DI MASSIMO PIZZIRANI CON IL SUPPORTO DI ALEX CAVANI Dedica 18 L’amore unificato che è il canto gregoriano DI D. ANTONIO DI MARCO OSB Popolare 22 Cori alpini prima dei cori alpini DI ALESSIO BENEDETTI Un Coro per tutti 27 Il coro, un armonioso Arcobaleno di voci DI FRANCESCA CANOVA Storia 32 Gian Francesco Malipiero DI ALESSIO ROMEO Musica dell’anima 44 Suoni e musicalità nella preghiera islamica DI ABU BAKR MORETTA Notizie 48 Un direttore… fuori dal pentagramma INTERVISTA A MARCO CAVAZZA A CURA DI MICHELE NAPOLITANO John Rutter: una masterclass, un evento DI MIRCO TUGNOLO Diverse voci fanno dolci note DI SILVIA PERUCCHETTI Repertorio 58 Ave Maria DI FABIO CIAPONI
2024)
DI SILVIA PERUCCHETTI
Direttore responsabile direttore@farcoro.it
Condividere: secondo una delle ipotesi etimologiche la parola viene da cum, dis , vĭdere, ossia mettere insieme chi, essendo separato dagli altri, vede ‘singolarmente’; guardare dunque tutti insieme, ma mantenendo la propria unicità, la propria visione. Sono molto orgogliosa di questo numero di FarCoro, che si apre con un focus sulla vocalità ‘leggera’ dei cori pop e jazz: innanzitutto un’intervista a Laura Rebuttini, cantante, direttrice coro ed esperta vocal coach , che per l’appunto condivide con noi la sua quotidiana esperienza di insegnamento e applicazione delle tecniche per migliorare e plasmare l’emissione, allenare l’ascolto e la consapevolezza della propria voce insieme agli
altri nei cori amatoriali. Una testimonianza preziosa, dalla quale partire per riflettere sia su come poter intervenire in presenza delle tipiche abitudini vocali di coristi non formati, come le faticose compensazioni laringee (altrimenti dette ‘cantar di gola’), sia per scoprire una molteplicità di nuove idee formative, come workshop di improvvisazione vocale circolare o per imparare a gestire le tensioni corporee prima di un concerto. Poi, i contributi di Giovanni Bataloni, che ci racconta la sua esperienza didattica con cori jazz (dal lavoro sul tactus a quello sul parlato, con una piccola ‘spigolatura’ che mostra come la pratica esecutiva jazzistica abbia molto in comune con quella rinascimentale), e di Massimo Pizzirani, direttore del coro EKOS Vocal Ensemble con cui porta avanti uno spumeggiante lavoro sul repertorio pop e ne esplora la teatralità della performance. A questi fa da contrappunto – nella rubrica Popolare – un contributo di Alessio Benedetti: “I cori alpini… prima dei cori alpini”, dedicato agli esordi della coralità popolare maschile poi resa celebre dai grandi cori SOSAT/ SAT, ma che affonda le sue radici nello straordinario lavoro di chi, negli anni della Grande Guerra (e a volte direttamente dalla trincea), appuntò in diari e memorie la pratica del canto spontaneo dei soldati. Fra queste figure di grande modernità, l’articolo si concentra su Piero Jahier, autore nel 1918 dell’antologia Canti di soldati, dove i testi delle musiche sono corredati da Regole del canto a orecchio e da interessantissime annotazioni di prassi esecutiva1. In calce al suo articolo Benedetti ci fornisce la trascrizione integrale di questi importanti testimonianze, permettendoci così di andare direttamente, e comodamente, alla fonte. Anche Francesca Canova, Serena Daolio e Francesca Galeotti condividono con noi riflessioni riguardanti la voce, il coro e la musicoterapia maturate nel corso dell’esperienza ‘olistica’ del Coro USHAC Arcobaleno di Carpi (MO): altre appassionate testimonianze di come la coralità possa, voglia, debba coinvolgere davvero tutti, superando le barriere e gli scogli che una grave malattia o la disabilità pongono sulla strada.
1. La seconda edizione dell’antologia (1919) presenta, oltre ai testi dei canti, anche le musiche, trascritte a orecchio e armonizzate dal direttore d’orchestra e compositore Vittorio Gui: una scelta editoriale di novità assoluta per quei tempi. Fra i canti armonizzati troviamo Quel mazzolin di fiori, Ai preât la biele stele, Il testamento del maresciallo, Dove sei stato mio bell’alpino e tanti altri brani poi entrati stabilmente nel repertorio corale.
Editoriale
C oro | 1
Quanto all’approfondimento storico, ringrazio Alessio Romeo per il ritratto di Gian Francesco Malipiero, compositore veneziano autore di belle pagine corali e ben noto a chi si occupa di Monteverdi: sua è infatti la cura della prima edizione completa delle opere del genio cremonese, un monumento di importanza decisiva che gettò le basi sia della fortuna moderna dell’autore che della musica antica tout court , proprio negli anni in cui veniva riscoperto Antonio Vivaldi; a corredo, troverete tutti i 5 libri-parte del celebre madrigale monteverdiano Ecco mormorar l’onde , da confrontare con l’edizione moderna curata da Malipiero.
E venendo ad una delle rubriche a cui più sono affezionata, con il pensiero che inevitabilmente va alle tragiche vicende di guerra, ecco che diviene più che mai importante incontrare i linguaggi musicali ‘altri’, «travalicando –come scrive Andrea Angelini – confini e differenze» nel reciproco ascolto: Musica dell’anima di questo numero è dedicata a questo, e nello specifico al ruolo del suono e della musica nella preghiera islamica. Ringrazio Silvia Biasini, direttrice artistica di Spiritus Choral Festival, per aver proposto questa importante collaborazione con Abu Bakr Moretta, autore dell’articolo e presidente della Comunità Religiosa Islamica italiana: essere curiosi nella conoscenza reciproca è condizione necessaria per poter instaurare un vero dialogo interculturale e interreligioso. Completano il numero il ricordo commosso dei
gregorianisti Daniel Saulnier e Nino Albarosa, entrambi scomparsi nel 2023, a firma di D. Antonio Di Marco OSB; ringrazio la Redazione per aver ideato a questo proposito la rubrica Dedica , che d’ora in poi accoglierà articoli come questo ma senza limitarsi al ricordo di chi non c’è più: un’occasione per conoscere meglio, o magari per la prima volta, figure che si occupano o hanno dedicato l’intera vita alla coralità, con affetto e riconoscenza, e magari da ‘punti di osservazione’ non scontati.
Ancora, il racconto della masterclass tenuta da John Rutter a Parma lo scorso marzo, e l’intervista a Marco Cavazza, nuovo direttore del Coro Regionale dell’EmiliaRomagna; e ancora ‘musica dell’anima’ per la rubrica Repertorio : il giovane compositore Fabio Ciaponi propone una bella Ave Maria a quattro voci, che ha visto una prima esecuzione nella splendida Abbazia di Chiaravalle della Colomba ad Alseno (PC), e attende di risuonare nuovamente dalle voci di altri cori.
Facendo mie le parole con cui Laura Rebuttini conclude la sua testimonianza, la mia speranza è che leggere FarCoro sia sempre di più uno stimolo «a “fare cose”, a sperimentare, a studiare”»: un punto di ritrovo, fra le pagine della rivista, per condividere esperienze, approcci, idee ed eventuali difficoltà. Perché vivere in coro è questo: emozionarsi, sperimentare, giocare… ma soprattutto condividere.
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Conciliare la passione per il canto corale in tempi di guerra: una riflessione su Ucraina e Palestina
In un mondo devastato da conflitti e tragedie, dove le cronache sono dominio di guerre e violenze, può sembrare un’impresa titanica trovare spazio per la bellezza e l’armonia. Ma per coloro che abbracciano la passione del canto corale, la musica diviene un faro di speranza, un baluardo di solidarietà persino nei momenti più cupi. Le notizie provenienti dall’Ucraina e dalla Palestina ci colpiscono nel profondo, trasmettendo dolore e sgomento. I conflitti armati, le sofferenze umane e le devastazioni inflitte lasciano segni indelebili nelle vite di milioni, lasciando cicatrici profonde nelle comunità colpite. Tuttavia, è proprio in quest’abisso di disperazione che il potere della musica risplende con una luce accecante, rivelandosi più necessario che mai. Il canto corale, con la sua capacità unica di unire le persone, travalicando confini e differenze, diviene un’isola di coesione e fratellanza. In un coro, individui di provenienza variegata si incontrano per tessere armonie che superano barriere linguistiche e culturali. È un atto di condivisione e collaborazione, un’esperienza che ci ricorda la nostra comune umanità e ci avvicina come nessun’altra. Nei giorni cupi della guerra e del
conflitto, il canto corale offre un rifugio sicuro, un’oasi di conforto e speranza. I cori divengono comunità di sostegno emotivo, permettendo alle persone di esprimere e condividere le proprie emozioni attraverso la musica. Cantare insieme aiuta ad elaborare il dolore e la sofferenza, offrendo un modo per mostrare la propria resilienza e la determinazione a superare le avversità. Tuttavia, conciliare la passione per il canto corale con le atrocità della guerra non è privo di sfide. È importante riconoscere che il canto corale da solo non può risolvere i conflitti o porre fine alla violenza. Ma può offrire un’opportunità unica per promuovere la comprensione reciproca, la tolleranza e la pace attraverso la condivisione di esperienze musicali e culturali. In risposta ai conflitti in corso in Ucraina e Palestina, numerose corali in tutto il mondo hanno scelto di dedicare le proprie esecuzioni e le proprie risorse alla sensibilizzazione e alla raccolta fondi per le vittime dei conflitti. Queste iniziative dimostrano il potere della musica come strumento per ispirare azioni positive e solidali, unendo le persone in un impegno comune per la pace e la giustizia. Inoltre, il canto corale può fungere da ponte tra diverse comunità e culture, promuovendo il dialogo e la comprensione reciproca attraverso la condivisione di tradizioni musicali e artistiche. Attraverso progetti di scambio culturale e collaborazioni internazionali, i cori possono contribuire a costruire ponti di pace e amicizia tra popoli che altrimenti potrebbero essere divisi da conflitti e divisioni politiche. È vero anche che, in alcuni casi, i cori possono essere chiamati a confrontarsi con decisioni difficili riguardanti la partecipazione a eventi o iniziative culturali patrocinati da governi o istituzioni coinvolte nei conflitti. È essenziale che le corali operino con consapevolezza del contesto politico e sociale, agendo responsabilmente e solidalmente nei confronti delle vittime dei conflitti. In conclusione, conciliare la passione per il canto corale con i tremendi fatti di guerra dei nostri giorni richiede una riflessione profonda e un impegno sincero verso la pace e la giustizia. Il canto corale può offrire un rifugio di speranza e solidarietà in tempi di crisi, richiedendo una consapevolezza critica dei nostri ruoli e responsabilità come musicisti e cittadini del mondo. Attraverso la musica, possiamo trovare la forza e l’ispirazione per affrontare le sfide che ci circondano, lavorando insieme per un futuro di pace e armonia.
ANDREA ANGELINI Presidente AERCO presidente@aerco.emr.it
| 3 CONCILIARE LA PASSIONE PER IL CANTO CORALE IN TEMPI DI GUERRA: UNA RIFLESSIONE SU UCRAINA E PALESTINA
L’importanza della tecnica vocale nei cori amatoriali
Intervista a Laura Rebuttini (alias Laura Mars) cantante, docente di canto, esperta in Vocologia Artistica e vocal coach
A CURA DI SILVIA PERUCCHETTI Musicologa e direttrice di FarCoro
Laura, puoi darci qualche informazione su di te?
Sono una cantante e cantautrice professionista, docente di Canto Pop e Canto Jazz, vocal coach, Esperta in Vocologia Artistica. Conduco laboratori e svolgo seminari di formazione sull’utilizzo della voce parlata e cantata e sulla respirazione, in ambito artistico e non solo. Mi sono diplomata presso il Conservatorio G. B. Martini di Bologna in Musica Jazz al Biennio sperimentale (Diploma accademico di II Livello) e al triennio ordinamentale (Diploma accademico di I livello) in Canto Jazz. Ho conseguito il master post laurea di I livello dell’Università di Bologna di “esperto in Vocologia Artistica” a Ravenna. Faccio parte dell’albo insegnanti VoiceToTeach ® dopo aver superato l’esame di abilitazione nel settembre 2023. Ho conseguito i livelli I e II metodologia di allenamento vocale EVT (Estill Voice Training) e i livelli I, II, III di Psicofonia. Sono mamma di una splendida bimba di 7 anni.
Quanto ritieni sia importante formare ed educare i coristi a un buon uso della voce?
La voce è lo strumento musicale umano per eccellenza, lo portiamo con noi dalla nascita e ci accompagna sempre durante la nostra vita. È unico
e inimitabile, è la nostra carta d’identità sonora, è in costante e diretta relazione con le nostre emozioni primarie e secondarie (rabbia, paura, gioia, tristezza, sorpresa, disprezzo, disgusto, allegria, invidia, vergogna, ansia, gelosia, rassegnazione, nostalgia…). Ecco perché ritengo sia importantissimo conoscerlo meglio, capire come funziona e come averne cura. Conoscere meglio la nostra voce significa conoscere un po’ meglio noi stessi e il nostro corpo. Quasi sempre la voce è “qualcosa” che si dà per scontata, proprio perché, come accennato prima, ci accompagna dalla nascita. Allo stesso modo e con lo stesso principio, non ci preoccupiamo nemmeno di come respiriamo, visto che per le funzioni primarie del nostro corpo (la sopravvivenza) l’apparato respiratorio funziona egregiamente senza la necessità che ci si ponga il problema di quale sistema o di quali muscoli vengano impiegati nel suo lavoro. Quando però parliamo molto (penso per esempio a tutti gli insegnanti di scuola, agli istruttori sportivi, ai centralinisti dei call center o a chi lavora a diretto contatto col pubblico, giusto per citare alcune categorie) e ancora di più quando cantiamo, chiediamo al nostro organo fonatorio un atto più performante, che necessita di un allenamento, una preparazione, una cura e un’attenzione particolari, al fine di poter sostenere il carico di lavoro al quale viene sottoposto. Va da sé quindi che sia di grande importanza formare ed educare la nostra voce, e questo vale dunque anche per i coristi. L’apparato fonatorio è formato da muscoli che, allenandosi, migliorano il loro lavoro e la loro funzionalità. La voce ha bisogno di essere riscaldata prima della performance vera e propria
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e di essere raffreddata alla fine. Ha bisogno di essere allenata e seguita per poter meglio sostenere il repertorio che viene affrontato ed eseguito.
Puoi parlarci della tua esperienza come direttrice di coro? La tua formazione come influisce e s’interseca nella direzione?
La mia esperienza inizia nel 2016, con l’allora neonato Coro femminile Anello Forte di Casalgrande (RE), esperienza durata sei anni e conclusasi nel 2022. Dal settembre del 2022 dirigo il Coro femminile Coriste Per Caso di Correggio (RE). Entrambi i cori hanno trattato e trattano generi musicali differenti nell’ambito della musica pop. Premetto che dirigere un coro, per me che ho una formazione altra rispetto a quella della direzione di coro o di orchestra, è innanzi tutto un onore e una grande e magnifica responsabilità: avere infatti l’opportunità di ascoltare e lavorare con tante singole voci che diventano nel canto corale una sola è sempre un evento
di grande intensità e nel quale trovo tanta magia. È importante dire che (nella mia esperienza) non è possibile destinare troppo tempo alla tecnica vocale durante le prove con il coro, perché il tempo delle prove è dedicato a molto altro (allo studio del repertorio, al lavoro con le singole sezioni prima e con l’insieme poi, a ricercare il suono del coro, …) ma certamente non si può dire che le due cose non siano strettamente collegate, quindi diventa necessario cercare un equilibrio tra questi due elementi. I cantanti amatoriali per esempio, che non hanno un’educazione all’uso della voce e difficilmente hanno preso lezioni di canto, non è detto che siano sempre in grado di raggiungere le note ad altezze gravi o acute che è facile trovare nella scrittura delle partiture corali a 3 voci, quindi quando è possibile cerco di scegliere un repertorio che possa essere sostenuto vocalmente da tutte le voci (o dalla maggior parte di esse), oppure ancor meglio di realizzarne uno ad hoc. Cerco poi di lavorare (soprattutto all’inizio dell’anno) sulla respirazione, poiché una respirazione
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Laura Rebuttini
corretta è per la voce come un buon motore per l’automobile, quindi se e quando è possibile, dedico qualche incontro esplicitamente a questo tema. Dal punto di vista dell’emissione vocale l’argomento richiederebbe ampio approfondimento e tanto lavoro, ma ci sono alcuni piccoli elementi che possono aiutare coriste e coristi ad avere un’emissione meno faticosa e possibilmente libera da tensioni e/o costrizioni: - è molto utile fare un po’ di riscaldamento corporeo, qualche esercizio di allungamento e di stretching di tutte le fasce muscolari. Sono esercizi semplici, ma che favoriscono l’ossigenazione e la riattivazione muscolare oltre a diminuire le tensioni accumulate durante la giornata lavorativa (visto che le prove vengono fatte quasi sempre alla sera); - esercizi semplici di riscaldamento vocale ed esercizi sull’attacco del suono per favorire attacchi morbidi. Che ruolo gioca l’ascolto?
L’allenamento all’ascolto (ascolto della propria voce, ascolto della propria voce all’interno della propria
sezione, ascolto della voce di sezione in armonia con le altre, ascolto delle proprie voci in relazione alla musica che sia su base o eseguita da musicisti che accompagnano) è un aspetto davvero molto importante. Generalmente, soprattutto quando si inizia a lavorare su un nuovo brano, la tendenza del coro amatoriale è quella di urlare (ad esempio perché coristi e coriste dicono di non sentire la propria voce, oppure di non capire se stanno cantando intonati, e così via). Nella mia esperienza ho riscontrato una prassi di gestione del rapporto ascolto/emissione vocale dei/delle coristi/e che potrei schematizzare nel modo seguente; si tratta di tre fasi “di affinamento progressivo all’ascolto” di sé prima, e dell’altro poi, che si susseguono in quest’ordine:
1. l’ascolto di sé e della propria voce (non in relazione al gruppo) – in questa fase i coristi urlano, perché ognuno è concentrato e intento a sentire la propria voce e non quella degli altri;
2. l’ascolto della propria voce all’interno della sezione di appartenenza (contralti, soprani, tenori, bassi) –
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all’inizio le voci della stessa sezione cantano ma come se fossero da sole (fase 1), poi lentamente riescono ad ascoltarsi un po’ più tra loro e a trovare un equilibrio con l’obiettivo di unificarsi in un “ grande tandem ” (fase 2); 3. l’ascolto della voce di sezione che entra in relazione con le altre sezioni – in questa fase l’ascolto deve ulteriormente affinarsi per far in modo che l’individualità lasci spazio all’insieme, con l’obiettivo di diventare una voce sola.
Fino a quando le tre fasi non sono concluse, difficilmente si può lavorare sulla “voce del coro”. (Non andrò ad approfondire l’aspetto del rapporto tra il coro e la musica che lo accompagna, che sia su base o suonata da musicisti, perché è un ulteriore lavoro di affinamento dell’ascolto che richiede ampia ed ulteriore attenzione). Quindi, come dice anche il bravissimo Paul Phoenix, di cui ho avuto il piacere di frequentare il workshop
organizzato da AERCO lo scorso anno a Parma, less is more: di solito uso qualche piccolo espediente divertente che funziona bene e non richiede troppe spiegazioni, come chiedere al coro d’immaginare di cantare la canzone nell’orecchio dell’ascoltatore, oppure immaginare una leva del volume con una numerazione da 1 a 5 e dare indicazioni di cantare a volume 1 o 2. Giocare con la leva può diventare molto divertente e favorire l’allenamento alla gestione delle dinamiche. La gestione del volume aiuta moltissimo i coristi a comprendere meglio il rapporto ascolto/emissione vocale.
Ci racconti qualcosa di più sulla gestione dell’intensità del suono (forte/piano) e delle dinamiche nel canto amatoriale?
Spesso il/la corista che non ha mai preso lezioni di canto attiva continuamente compensazioni
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a livello laringeo per andare a gestire il volume, cosa che si traduce dal punto di vista musicale nell’emissione di un suono a volte poco preciso nell’intonazione o d’insufficiente durata, oppure poco efficace nella timbrica. Dal punto di vista funzionale invece le compensazioni laringee non sono d’aiuto al lavoro delle corde vocali, che quindi si affaticano facilmente. Fare formazione in ambito vocale può certamente aiutare a portare benefici nell’uso della voce, rendere il/la corista più consapevole e quindi più a suo agio con il proprio strumento, per vivere al meglio l’esperienza del canto.
Pensiamo ai direttori di coro che non hanno una formazione sulla voce come la tua: come possono aiutare i loro coristi a migliorare le performance vocali?
Le collaborazioni che ho attivato con alcuni cori in questi anni e i laboratori di formazione che organizzo trattano proprio queste tematiche: sono piccoli workshop, seminari d’approfondimento, la cui durata varia (a volte si tratta di piccole serie d’incontri da 2/3 ore ciascuno, a volte workshop più intensivi giornalieri o concentrati in due giornate per esempio, a volte sono appuntamenti a scansione annuale), durante i quali il lavoro che si fa è sempre
molto pratico ed esperienziale, così i partecipanti hanno modo di divenire i diretti protagonisti di ciò che poi potranno allenarsi a fare in autonomia. Le tematiche che tratto e su cui ritengo sia importante fornire delle basi di conoscenza ed esperienza riguardano principalmente la respirazione, l’emissione vocale e la risonanza, poiché tendenzialmente non sono elementi che vengono trattati o approfonditi nei cori. Poi mi vengono richiesti anche temi specifici, oppure decido io di creare workshop che affrontano determinati argomenti, perché vedo l’esigenza di trattare il contenuto in maniera più approfondita, al di fuori dei miei incontri con il coro oppure a supporto ulteriore delle mie lezioni individuali con gli allievi di canto.
Ci racconti qualcuno di questi tuoi progetti, recente o in programma?
Per esempio, nei mesi di giugno e novembre del 2023 ho organizzato alcuni workshop d’improvvisazione vocale circolare (quella che viene definita circle singing ), un lavoro molto divertente e interessante sull’improvvisazione vocale, in cui i coristi possono lavorare moltissimo su tanti aspetti legati all’ascolto, all’intonazione, al ritmo (per citarne alcuni); lo scorso gennaio in collaborazione con il batterista Lele
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Veronesi abbiamo realizzato un workshop legato al timing , al ritmo per i cantanti che ha riscontrato molto interesse. E il prossimo 14 aprile, in collaborazione con Giovanna Corradini (fitness e wellness coach) , faremo un workshop di due ore sulla relazione corpo/voce, indirizzato ad esercizi di riscaldamento e allenamento corporeo, per migliorare la performance vocale e musicale e non solo, per capire meglio come gestire le tensioni corporee che si possono presentare per esempio prima di un’esibizione, di un saggio o di un concerto. Mi piace molto questa frase di John Lennon
che vorrei fosse un bellissimo augurio per tutti, uno stimolo a “fare cose”, a sperimentare, a studiare, a non fermarsi davanti agli ostacoli, agli imprevisti, alle difficoltà. Più conosciamo, più approfondiamo, più il mondo s’illumina davanti ai nostri occhi e noi con lui.
Non c’è nulla che tu possa fare che non sia possibile fare. Non c’è nulla che tu possa cantare che non sia possibile cantare.
John Lennon
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Un workshop sulla voce tenuto da Laura Rebuttini (2022)
Laura Rebuttini in studio di registrazione (foto di Pietro Fontanesi - Studio Esagono)
Strike up the choir!
La didattica corale di un coro jazz Dossier
DI GIOVANNI BATALONI
Compositore e direttore di coro
Si fa presto a dire jazz…
Per chi si accinga a progettare un coro jazz, manco a dirlo, il primo problema sta proprio nella definizione stessa di “jazz”. Tale etichetta infatti è utilizzata correntemente, ma senza che alcuno si preoccupi di definirne i contorni: ai fini del nostro discorso in particolare ci si chiede quali sonorità possano essere universalmente considerate come “jazz” e, ancora più nello specifico del coro, a quale tipo di vocalità si intende fare riferimento. Per farsi una prima idea si potrebbe scorrere il cartellone di uno dei tanti festival al jazz dedicati, o il catalogo di una delle etichette discografiche specializzate, ma in
ambedue i casi ci si troverebbe di fronte a un ventaglio di possibilità decisamente ampio e tutt’altro che omogeneo. Nell’immaginario di massa la parola jazz è di volta in volta associata alla musica afroamericana - quella vecchia però, da Louis Armstrong a Nat King Cole, perché oggi ci sono il rap e l’ R&B – o ai classici del musical di Broadway o del cinema hollywoodiano e a figure come Frank Sinatra o Bing Crosby. Tra le persone un po’ meglio informate passa invece per quel tipo di musica di difficile ascolto, non priva di fascino - ma ragazzi, che “borsa”! Ecco infine la categoria degli appassionati che però, oltre ad essere tutt’altro che maggioritaria, si presenta pure molto divisa al suo interno: vi allignano infatti diverse fronde di puristi, patiti del jazz di questo o quel periodo, di questo o quello stile dei tanti che nel corso di una pur breve storia (poco più di un secolo) hanno caratterizzato il modo di suonare e pensare il jazz. Avremo così gli amanti del jazz tradizionale (grossomodo quello suonato da Woody Allen con il suo gruppo, tanto per intenderci), i patiti dello swing classico (la musica delle orchestre di Duke Ellington e Count Basie, per esempio, ultimamente molto in voga anche come musica da ballo), i fanatici del bebop e delle sue derivazioni ( cool jazz e hard bop ) e tutti costoro a volte poco aperti a considerare gli altri stili degni di attenzione. Infine ci sono gli entusiasti non solo della tradizione, ma anche di ogni novità che si presenti, che considerano a pieno titolo “jazz” anche stili variamente contaminati come la fusion , il jazz-rock , l’ acid jazz, il latin ecc.
Costruire un coro jazz
Già da questo rapido sguardo sui mondi espressivi che stanno a vario titolo sotto l’etichetta di “jazz” si capisce come il panorama sia molto complesso, sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista stilistico e come, di conseguenza, l’approccio a una idea di coralità jazzistica sia di difficile inquadramento. Di fronte a tale complessità, la strada che personalmente
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ho deciso di intraprendere iniziando l’avventura della costituzione di un coro jazz è stata quella di tracciare dei contorni generali, cercare una sintesi degli elementi che possano tenere insieme i diversi stili, mantenendo però anche una certa plasticità di approccio vocale. Così, quando nel 2018, dopo diverse esperienze come pianista e arrangiatore jazz e nella musica moderna e gospel come direttore di coro, decisi di fondare a Milano il gruppo Random Notes Jazz Choir (inizialmente coro femminile, poi divenuto coro misto), incominciai rivolgendomi ad alcuni tra gli autori più “classici”, George Gershwin e Duke Ellington su tutti, aprendo poi successivamente a qualche incursione in territori più “moderni” e non propriamente jazzistici (come i Beatles e Michael Jackson); tutto questo senza tralasciare il mondo del cosiddetto latin jazz – brasiliano, in particolare – e lavorando su arrangiamenti da me stesso approntati in base alle esigenze del gruppo. Nel lavoro di arrangiamento vocale poi mi sforzai da subito di facilitare l’accesso allo stile cercando di ottenere il risultato armonico voluto, salvando però una certa fluidità e cantabilità delle singole parti, insomma di preservare le singolarità armoniche e timbriche tipiche della musica afroamericana, filtrate però attraverso le tecniche del contrappunto europeo.
If it ain’t got that swing… La sfida del ritmo
Al di là del caso specifico, nel lavoro di costruzione del repertorio del coro jazz si presentano alcune difficoltà intrinseche alle caratteristiche peculiari di quel genere rispetto al contesto e alla tradizione musicale e corale del nostro paese; quello che forse è lo snodo principale nel cammino di avvicinamento alla musica afroamericana in generale sta nel comprendere la sua natura ritmica e metrica. Dal punto di vista della gestione del tempo lo swing , il caratteristico andamento ritmico che caratterizza la gran parte della musica jazz , ha due caratteristiche principali: innanzitutto una metrica binaria, o meglio quaternaria, con gli accenti principali sul secondo e sul quarto tempo della misura – caratteristica quest’ultima che si è estesa un po’ a tutta la musica moderna americana e non solo, ma che ancora può costituire un problema per coristi non abituati a quello stile. La seconda importante peculiarità sta nel fatto che il fluire del tempo è attraversato da una sorta di corrente continua sotterranea di terzine di crome; alcune delle quali espresse dagli interventi della
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batteria e degli strumenti di accompagnamento. Lo schema della sezione ritmica base è infatti fondato sul flusso continuo di semiminime del contrabbasso, vero perno della sezione, intorno al quale il batterista gioca suonando sul piatto “ride” e sul tamburo quelle crome di terzina che, suddividendo il tactus, conferiscono il caratteristico swing al brano.
Il training corale
Il training per ottenere la corretta “pronunzia” (così si dice nel linguaggio tecnico) jazzistica parte senz’altro
dall’ascolto delle incisioni storiche dei grandi jazzisti di oltreoceano: ascolto assiduo e anche attivo, accompagnato cioè dalla risposta fisica del movimento, del battito di mani, piedi e ‘snap’ sul levare che l’aspirante jazzista deve praticare quotidianamente. In coro poi ci si allenerà collettivamente a sentire e far sentire l’andamento swing anche solo sul parlato e con esercizi di coordinazione corporea, chiedendo al gruppo di tenere il tactus sui tempi deboli della misura e contemporaneamente di sottolineare gli accenti secondari con la voce o con altre tecniche di body percussion . L’ascolto del repertorio è condizione
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essenziale per appropriarsi di tutti quegli aspetti non scritti (e nel caso del jazz sono molti) di questo linguaggio.
Quanto alla tecnica vocale, oltre al normale lavoro sul suono e sull’intonazione, sarà interessante lavorare sulle dinamiche tipiche dello stile, imitando inoltre articolazioni e fraseggio degli strumenti a fiato e delle sezioni delle big band. Una difficoltà vocale specifica riguarda il fatto che il canto jazz nasce e si sviluppa principalmente come canto solistico e nell’epoca dei microfoni. Le e i cantanti jazz, per la maggior parte, hanno studiato e messo a punto una tecnica vocale intonativa ed espressiva tipica del canto solistico, e trovandosi nel coro dovranno necessariamente piegare in parte il loro approccio alle esigenze del suono d’insieme. D’altro canto il corista “tradizionale” dovrà lavorare per trovare la plasticità di suono e di espressione utile a rendere le caratteristiche del nuovo stile: la contaminazione e il cooperative learning saranno aspetti stimolanti del lavoro d’insieme. Quanto al microfono, l’errore è considerarlo un mero amplificatore della voce, quando in realtà si tratta di un vero e proprio strumento che da un lato amplia le possibilità foniche ed espressive della voce, dall’altro richiede l’apprendimento di una tecnica specifica per essere utilizzato in modo corretto ed efficace. A prescindere dalla necessità di usare regolarmente il microfono nei concerti, è buona cosa che il corista dedito al jazz si abitui a familiarizzare con tale strumento.
Infine una cura particolare andrà dedicata, per i cantanti meno abituati allo stile, a curare che le accentuazioni e gli scatti ritmici tipici del linguaggio jazzistico non siano accompagnati da colpi di glottide o goffe spinte che finirebbero per appesantire il ritmo anziché farlo fluire: quegli accenti devono risultare piuttosto da una efficace articolazione delle parole e dei fonemi (nel caso di scat) su cui si intona il suono al fine di ottenere un andamento ritmico scattante e sincopato, ma anche fluido e scorrevole, conferendo all’interpretazione quella coolness che è un po’ la “sprezzatura” del canto jazz.
Fra antica e jazz… La sprezzatura rinascimentale
«Bella musica […] parmi il cantar bene a libro sicuramente e con bella maniera. […] Dà ornamento e grazia assai la voce umana a tutti questi instrumenti […]. Ma avendo io già più volte pensato meco onde nasca questa grazia, lassando quegli che dalle stelle l’hanno, trovo una regola universalissima [...] fuggir quanto più si po, e come un asperrimo e pericoloso scoglio l’affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura che nasconda l’arte, e dimostri, ciò che si fa e dice, venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi».
Bella musica è cantar bene la polifonia, con sicurezza ed eleganza. […] La voce aggiunge raffinatezza e grazia agli strumenti con cui canta […]. Mi sono chiesto molte volte da dove derivi questa qualità, al di là di coloro che dimostrano di avere un talento naturale: trovo che una regola generale sia quella di evitare il più possibile l’affettazione, esattamente come si evita uno scoglio affilato e pericoloso; e, per dirla con una parola nuova, l’usare sempre una certa sprezzatura, che ‘nasconda’ la tecnica e faccia sembrare canto e dizione cose facilissime, senza fatica e senza pensarci.
Baldassarre Castiglione, Il libro del Cortegiano, Venezia, 1528
A Cappella II Compilation eseguita da Jazzchor Freiburg
Summertime di Gershwin nell’arrangiamento di Giovanni Bataloni, eseguito dal Random Notes Jazz Choir
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Dossier
Insieme si… pop!!!
Il direttore del coro EKOS Vocal Ensemble, Massimo Pizzirani, ripercorre il proprio percorso vocale e corale contemporaneo, divertente, divertito e di qualità, all’insegna del “Vocal Pop”
DI MASSIMO PIZZIRANI
Direttore del coro EKOS Vocal Ensemble
CON IL SUPPORTO DI ALEX CAVANI
Quando si ascoltano cantare i ragazzi dell’EKOS Vocal Ensemble si percepisce subito una magia, qualcosa che sta al di sopra di una normale esecuzione corale: è quel qualcosa che io tento continuamente di spiegare a chi sta al di fuori del gruppo, ma è davvero difficile definire quell’amicizia e quell’alchimia che ci uniscono indissolubilmente, quel legame forte che fonde i coristi in un’unica entità fin dalla loro giovane età, un’armonia
vera e propria, non solo musicale! I ragazzi stessi l’hanno sempre definita con un termine che mi emoziona ogni volta: una famiglia. Il requisito fondamentale per avere una vera unione di anime (che a mio avviso, dalla mia esperienza nel campo corale, è ancora più importante della cosiddetta “bella voce”) è trovare i coristi che ancora prima di cantare e tuffarsi nella musica pratica abbiano la sensibilità necessaria per collegare il proprio cuore alla voce. EKOS Vocal Ensemble è un coro a cappella misto di 12 coristi, nato tra le aule di una scuola di musica di Vignola (MO), nella quale ho insegnato canto solistico per 14 anni; le lezioni individuali mi han dato l’opportunità di rapportarmi giorno per giorno in maniera profonda con i miei allievi e di conoscerne non solo la tecnica e il range
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vocale, ma anche le caratteristiche caratteriali di ciascuno di loro. In questo modo ho potuto raggruppare i ragazzi che potessero condividere lo stesso modo di stare insieme e di fare musica, per sviluppare una sintonia di intenti, una squadra. Il gruppo non è quindi solo divertimento, ma anche disciplina e potenziamento costante delle proprie capacità tecniche a servizio degli altri; in ogni prova ho quindi proposto:
• esercizi di respirazione di gruppo anche attraverso l’utilizzo di basi musicali su cui allenare il diaframma e prendere maggiore consapevolezza del suo utilizzo;
• vocalizzi per amalgamare le voci con una precisa e stilisticamente omogenea impostazione in mix voice, senza rinunciare alla conoscenza di altre tecniche come belting (tecnica tipica del musical, in cui si potenzia al massimo la cosiddetta voce di petto tramite tecniche consone di appoggio e di respirazione) e twang (tecnica messa a punto dalla grande ricercatrice della voce Jo Estill). Questo studio ci ha consentito di analizzare vari cantanti pop e di vedere come prediligessero nel loro stile una caratteristica tecnica vocale piuttosto che un’altra, rendendola peculiare di quello specifico stile musicale;
• ascolto e autoascolto critico, cioè essere consapevoli della propria vocalità e quella di ogni altro singolo corista. Essere un ensemble composto da soli 12 elementi ci consente di lavorare anche uno alla volta davanti agli altri. Ad esempio, ad un solista a turno è stata fatta intonare una scala in mix voice e gli altri coristi hanno dovuto percepirne il cambio di registro verificandone così la corretta appartenenza ad una precisa sezione vocale. Di controprova, anche con altre impostazioni come il belting è stata verificata su ognuno l’estensione di questa tecnica vocale, differente per ogni sezione di appartenenza;
• la lettura della musica attraverso l’utilizzo della
solmisazione con il metodo di Zoltan Kodaly e di Roberto Goitre, allo scopo di riconoscere la tensione dei vari gradi della scala e intonarne correttamente gli intervalli;
• allenare l’orecchio di ogni allievo attraverso esercizi di ear-training riuscendo così a comprendere la tonalità di un determinato brano e le note di tensione o risoluzione della tonalità cantata. Ho proposto inoltre esercizi di intonazione con il diapason e consapevolezza delle zone di “rottura” (o passaggio) della voce in relazione all’esecuzione di differenti scale;
• esaminare storicamente e stilisticamente i brani che abbiamo in repertorio: durante il lungo periodo di lockdown causato dalla pandemia del 2020 ho assegnato ad ogni allievo un brano a scelta facente parte del nostro repertorio ed ognuno di loro ha compiuto una ricerca storiografica e stilistica di tale brano; ad ogni nostro incontro un ragazzo a turno ha poi illustrato agli altri coristi il lavoro sviluppato e queste analisi hanno consentito al gruppo di prendere coscienza delle diverse caratteristiche compositivo-esecutive di ogni brano legate al periodo storico dello stesso e alla sensibilità e maturità dell’artista che lo ha scritto o eseguito. L’aspetto più importante emerso dalla ricerca condivisa è stata la consapevolezza che ogni brano musicale ha alle spalle una vicenda, un’emozione scatenante che come una scintilla ha messo in moto la fantasia del compositore. Conoscere e comprendere queste informazioni spinge ogni corista verso una percezione della musica molto più profonda e creativa.
• comprendere l’andamento di ogni brano: come direttore non impongo in maniera sterile le indicazioni agogiche e dinamiche presenti in un brano, ma illustro ai ragazzi le motivazioni delle mie scelte stilistiche ed interpretative, spiegando quali fattori della mia cultura ed esperienza musicale mi hanno portato
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a tali conclusioni. Questo per creare negli allievi un gusto critico non solo verso i brani che eseguiamo, ma anche verso le musiche che loro ascoltano tutti i giorni. Ho notato che questa attività migliora la loro sensibilità musicale, spronando i ragazzi a non giudicare un brano semplicemente come “brutto” o “bello” sulla base di mere osservazioni estetiche. Musica che alle proprie orecchie può risultare brutta, se eseguita con certe intenzioni e dando significato a precise figure retoriche musicali, acquisisce una valenza positiva e arriva al pubblico in maniera estremamente diretta. Quando interpretiamo la difficile armonizzazione di W. Blanco di Bohemian Rhapsody dei Queen, dove la complessità armonica della composizione originale viene mantenuta intatta attraverso un perfetto equilibrio tra tutte le voci del coro, in cui il corista è talvolta solista e talvolta gregario, in cui la voce può sostituire una sezione ritmica o un assolo di chitarra elettrica, in cui le dissonanze devono essere perfettamente intonate, abbiamo un completo tornaconto artistico del nostro percorso tecnico.
Ritmo, movimento, teatralità nel coro
Chi ha avuto l’occasione di assistere ad un nostro spettacolo ha notato subito una caratteristica che sul palco ci contraddistingue rispetto ad altre formazioni corali: la presenza, nelle nostre esecuzioni, di momenti coreografati
e di teatralità espressiva ma calibrata sapientemente col canto. Per meglio capire la scelta che mi ha portato a stravolgere il cliché del “coro tradizionale” bisogna fare un salto indietro a tanti anni fa nel mio variegato percorso… Da bambino, all’età di 8 anni, ho iniziato a cantare in un coro di voci bianche a Vignola: inutile dire che questo mondo mi ha immediatamente ammaliato! A darmi il primo “imprinting drammaturgico” all’interno della musica corale è stata però la mia esperienza nel Coro T. L. De Victoria col Maestro Giovanni Torre: mi sono innamorato del madrigale drammatico di Orazio Vecchi e di Adriano Banchieri. Se a questo aggiungiamo i miei studi di canto lirico e successivamente i corsi di musica antica col Maestro Giovanni Acciai si capisce come abbia cominciato a ragionare su un concetto di musica corale a tutto tondo, aperto, in grado di arrivare direttamente all’ascoltatore. Un pensiero strettamente personale: ho sempre creduto che, a prescindere dal periodo storico del brano interpretato, la musica non debba essere presentata al pubblico cercando di renderla esattamente identica a come è stata scritta, perché sento che non abbiamo le stesse sensibilità storiche, culturali e antropologiche. Pertanto, affinché un qualunque brano possa essere compreso nella sua essenza profonda, ho maturato la necessità di facilitarne la fruizione “traducendolo” (perdonatemi questo termine) attraverso una codifica moderna: sento l’esigenza di far calare lo spettatore nell’atmosfera di quel periodo, utilizzando sì riferimenti
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storici, ma soprattutto cercando di trasferire il messaggio principale e l’essenza comunicativa del compositore. Questa consapevolezza ha innescato in me la voglia di creare questo gruppo vocale e di utilizzare, come nel madrigale drammatico, il teatro come mezzo per abbattere le barriere temporali facendo coesistere musiche “POP” di 50, 60, 70 anni fa e, attraverso il movimento ed il gesto, provare a trasmettere il significato di ogni brano facendo entrare lo spettatore nell’atmosfera di quegli anni, stando sempre attentissimi affinché il sottile divario fra musica e dramma non ecceda verso la componente teatrale. Ho quindi coinvolto la professionalità della coreografa Viktoria Vandelli, la quale ha il compito di occuparsi con equilibrio della teatralità a tutto tondo insita in ogni brano. Tutti i brani del nostro repertorio, insieme alle rispettive coreografie, sono stati imparati cercando di mantenere un filo conduttore costante e cercando di infondere un’ideale legato ad un’intima ricerca di coerenza esecutiva, al punto che abbiamo dato al nostro concerto il titolo “Lo Spettacolo nello Spettacolo”, definizione calzante fornitaci da Roberto Soci, direttore di coro al quale sono particolarmente legato. Questa è l’esperienza EKOS, questo è tutto ciò che dà vita alla magia del gruppo: non solo musica e canto, ma anche un’esperienza da vivere, da interpretare… ensemble, ASSIEME!
EKOS Vocal Ensemble
EKOS Vocal Ensemble nasce nel settembre 2007 grazie al maestro Massimo Pizzirani, insegnante di canto presso il circolo “G. Bononcini” di Vignola (MO), con l’obiettivo di approfondire la conoscenza musicale del canto a cappella. Ben presto all’interno di questo progetto didattico nasce una forte amicizia e una grande voglia di far conoscere la propria musica attraverso concerti e concorsi: partendo dal 1° premio assoluto per la propria categoria al Concorso “16° Trofeo Italiano Città Di Ascoli Piceno” del 2008, passando dal 4° posto al concorso internazionale “SolevociCompetition” a Varese del 2009 e arrivando tra i semifinalisti al concorso “TIM –Torneo Internazionale di Musica” a Verona del 2010; sempre a Verona, nel 2012, l’ensemble vince il Trofeo Argento nella categoria Pop/ Swing/Blues/Spiritual in occasione del “24° Concorso Internazionale di Canto Corale della città di Verona” ed è del 2019 il 1° premio ex-aequo della propria categoria al concorso internazionale “CorAmare” di Sestri Levante. Nel 2017 viene invitato come coro ospite nel contesto del “Festival del Canto Corale Echo”, svoltosi ad Hodonín, in Repubblica Ceca. Nel 2010 l’ensemble si costituisce “Associazione Culturale Ekos Vocal Ensemble” e lo stesso anno entra a far parte di AERCO – Associazione Emiliano-Romagnola Cori. La continua formazione canora svolta attraverso le prove settimanali viene affiancata dallo studio coreografico di ogni brano del repertorio, sotto la supervisione di Chris Channing dal 2015 e di Viktoria Vandelli dal 2017. Nel 2020 il gruppo diventa definitivamente APS, Associazione a Promozione Sociale. Ad oggi i membri dell’ensemble sono: Mary Brusiani, Viviana Liuni, Carlotta Brighetti (soprani), Morgana Mattioli, Chiara Cavallini, Silvia Albertini (mezzosoprani), Simone Pizzirani, Alex Cavani, Mirco Cantergiani (tenori), Luca Degli Esposti, Massimo Pizzirani e Andrea Carrabs (bassi). In supporto alla sezione dei soprani dal 2023 Arianna Baccarini.
Massimo Pizzirani
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L’amore unificato che è il canto gregoriano
Un ricordo di Daniel Saulnier e Nino Albarosa
DI D. ANTONIO DI MARCO OSB
Durante il 2023 sono venute a mancare due figure di riferimento nel panorama del canto gregoriano, accomunate da competenza e passione, ricerca e insegnamento, dedizione e spiritualità: Nino Albarosa e Daniel Saulnier hanno dedicato gran parte delle loro vite allo studio e alla prassi del canto gregoriano,
seppur in ambiti diversi, raggiungendo competenze tali da esser considerati veri maestri in materia. Senza addentrarci in disquisizioni troppo tecniche, alle quali invitiamo ad approcciarsi leggendo i numerosi testi dei nostri autori, tenteremo di tratteggiare i loro ambiti di ricerca e l’importanza del loro studio, nonché la preziosità della loro opera nella prassi esecutiva e nella formazione umana dei gruppi che li hanno conosciuti. Daniel Saulnier, già monaco di Solesmes, dopo gli
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studi teologici e la specializzazione in musicologia, ha dedicato la sua ricerca in particolare all’ambito della modalità gregoriana. Dopo il volume Le chant grégorien, tradotto in più di dieci lingue, che costituisce una sorta di manuale generale di canto gregoriano in cui si intersecano storia, grammatica, teoria e prassi, e che lo consacra al grande pubblico, ha editato nel 1997 Les modes grégoriens , un testo scientificamente più specializzato, frutto di idea, intuizione e ricerca, che critica e rilegge la classificazione dell’ octoechos alla luce di strumenti filologici e paleografici rinnovati.
Analizzando dall’interno il repertorio, infatti, Saulnier dimostra il derivare dei modi ecclesiastici, che ci sono stati tramandati dalla classificazione medievale, da corde di recita più antiche, che definiamo arcaiche, attorno alle quali si sono sviluppate scale e cadenze melodico-ritmiche numerosissime che poi sono confluite negli otto modi che conosciamo. Notevole e sconvolgente è la novità di approccio alla materia, che risulta completamente rivisitata e che, con questo nuovo approccio, è stata in grado di costituire una base teorica efficace in vista dei progressi che la scienza della restituzione melodica avrebbe compiuto di lì a pochi anni: grazie alle teorie di Saulnier, infatti, si spiegano la compresenza di più corde di recita all’interno di uno stesso modo, l’osmosi stessa tra caratteristiche che si credevano appartenenti a modi differenti e di conseguenza si scoprono e giustificano tutte quelle modifiche che i notatori più tardi avevano apportato al repertorio per farlo rientrare negli stringenti canoni teoretici dell’ octoechos . La portata di questa nuova concezione modale, inoltre, non si ferma ad un puro aspetto grammaticale ed interno alla musicalità del canto piano, ma riesce a mostrare anche notevoli ed inaspettate corrispondenze a livello testuale, e quindi spirituale e simbolico. Molto interessante risulta essere la comprensione dell’evoluzione storica del canto piano che, vista sotto questa luce, assume connotati sempre più nitidi e riesce a legarsi sempre di più ed in maniera sempre più esplicita con i dati adiastematici a nostra disposizione, rendendo conto di quelle incoerenze restitutive dei primi esperimenti solesmensi e legandosi, al contempo, alle radici più antiche del canto romano antico. Una intuizione, quella di Saulnier, che abbraccia, dunque, due grandi aree di studio del canto piano: quella grammaticale-teoretica e quella più squisitamente storico-filologica. Come tutte le teorie di cui si occupa lo studio storico-critico, anche questa ha le sue lacune e i suoi punti d’ombra, non riuscendo, per mancanza di dati empirici, a dimostrare positivamente tutti i suoi assunti; tuttavia, sembra ragionevole affermare che
essa si avvicini verosimilmente alla realtà degli eventi storici, ricostruendoli logicamente in base ai dati a nostra disposizione. L’opera di Saulnier non si limita a questa intuizione, che tuttavia consideriamo centrale,
e prosegue efficacemente con altri studi, interventi in conferenze e volumi (citiamo, ad esempio, il testo del 2009 Gregorian chant: a guide to the history and liturgy ), ma soprattutto nell’insegnamento prima al Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma e poi all’università di Tours. Non possiamo non ricordare con riconoscenza il corso sulla modalità gregoriana che ha tenuto per la Scuola di Canto Gregoriano di AERCO in modalità online tra il gennaio e il marzo del 2022, in cui siamo stati accompagnati con dolcezza e competenza all’interno del complesso argomento in oggetto, senza scordare l’ironia sottile ed acuta che contraddistingueva il maestro e le eleganti passerelle del suo gatto ai lati dello schermo. Contenuti di quantità e qualità significative si sono avvicendati nelle dieci presentazioni che ci sono state proposte, innescando dialoghi illuminanti ed esercitazioni pratiche che hanno fatto vivere anche in noi un lavoro che, come accennavamo in precedenza, non è stato soltanto teorico. È tanta la gratitudine per averci permesso di entrare con lui nella vita della modalità. Nino Albarosa, il professore , discepolo diretto di Eugène Cardine e suo successore alla cattedra di canto gregoriano del Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, ha
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proseguito il solco inaugurato dal suo grande maestro nel campo della semiologia. Basterebbe leggere il curriculum del nostro per rendersi conto della grandezza della sua personalità nell’ambito degli studi gregoriani: ad una solida formazione filologica, paleografica e musicale è seguito l’insegnamento nelle università di Parma, Bologna, Messina e Udine. Tra i fondatori dell’Associazione
Internazionale Studi di Canto Gregoriano, è stato anche fondatore della rivista Studi gregoriani , che ha diretto per molti anni. La sua preparazione poliedrica gli ha permesso di dedicarsi al canto gregoriano sia sotto l’aspetto della ricerca e dello studio, sia sotto quello della prassi esecutiva, come cantore e come direttore, permettendogli di sperimentare quella contemplazione spirituale dell’arte che dona pace e indirizza a Dio. Egli stesso si definiva insegnante, divulgatore, musicista, cantore e ricercatore – non a caso in quest’ordine –considerando queste qualifiche varie sfaccettature di un unico processo cognitivo-spirituale che coinvolgeva l’intera sua persona. La forza della sua passione e la competenza che dimostrava rendevano indimenticabile il suo ricordo e la sua ammirazione nelle persone che incontrava e, al contempo, efficace il suo insegnamento. Memorabili per chiarezza di fraseggio e di intenzione rimangono le sue interpretazioni con la Schola “Mediæ Ætatis Solidacium” che ha diretto in Italia (anche spessissimo nella “mia” abbazia di S. Maria del Monte a Cesena, ospite dell’amico M. Casadei Turroni Monti che gli succederà alla direzione di Studi gregoriani) e all’estero. Il suo apporto alla ricerca in campo semiologico è vastissimo e facilmente desumibile consultando la sua bibliografia gregoriana ragionata, aggiornata al 2014 ed edita su Studi gregoriani da Michal Sławecki 1. Il suo più grande merito è probabilmente quello di aver sostenuto la scientificità, la necessarietà e la plausibilità del metodo semiologico e paleografico
inaugurato da Cardine e di averlo non solo proseguito, ma anche perfezionato ed implementato, specialmente in materia ritmica. Si pensi allo studio dinamico del neuma, alla tendenza al movimento ( Bewegungstendez ), al movimento al grave2, che non ebbero solo ammiratori e detrattori, ma diedero un fortissimo impulso alla ricerca e consegnarono frutti ancor oggi validi. Una vita dedicata interamente allo studio, all’insegnamento, al canto, alla spiritualità e alla ricerca che gli ha meritato nel 2008 il conferimento del dottorato honoris causa in Musica Sacra, consegnato presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra dal Card. Grocholewski, allora prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica. Concludiamo approcciandoci alla sfera più intima di questi due studiosi, uomini di fede profonda, che proprio grazie alla loro spiritualità cristiana hanno potuto approcciarsi in pienezza al canto gregoriano. Lo facciamo parafrasando alcune espressioni del professor Albarosa in una intervista per l’Associazione Spazio Interiore Ambiente ormai più di dieci anni fa, che ben si adattano ad entrambi, costituiscono il loro lascito spirituale e riassumono la grande passione di questi due grandi studiosi: l’amore per il latino, l’amore per la musica e l’amore per la Bibbia sono le tre componenti che sviluppandosi e fondendosi hanno prodotto questo amore unificato che è il canto gregoriano, un fenomeno quasi teandrico, profondamente umano e divino insieme, culturale e spirituale per eccellenza, gesto musicale e contemplativo al contempo.
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1 Michal Sławecki, Bibliografia gregoriana di Nino Albarosa, «Studi gregoriani», 29 (2013), pp. 83-102.
2. Cfr. Nino Albarosa, Mensuralismo e ritmo gregoriano, «Studi gregoriani», 27 (2011), pp. 45-56; Nino Albarosa, Per una nuova lettura degli elementi neumatici: la Bewegungstendenz nel canto gregoriano, «Studi gregoriani», 3 (1987), pp. 31-57.
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CONCORSO NAZIONALE CORALE Giuseppe SAVANI Concorso Corale Nazionale Giuseppe Savani a Carpi, dal 3 al 5 Maggio 2024 AERCO - Via Barberia, 9 - Bologna (BO) - Tel. +39 051 0067024 - ufficio@aerco.emr.it - www.aerco.it www.concorsocoralegiuseppesavani.it
Cori alpini prima dei cori alpini
Nei Canti di soldati di Piero Jahier le origini della coralità maschile
DI ALESSIO BENEDETTI
Musicista e insegnante di musica
La storia è ricca di momenti, persone, luoghi che si fissano come punti sulla linea del tempo e a questi si fa riferimento per iniziare una spiegazione, proporre un ragionamento, fare un paragone. Anche la musica obbedisce a questa dinamica. Approfondendo però quei punti, ci si accorge che essi sono il più delle volte il risultato di idee che partono da un altro luogo, da un’altra persona o ben più lontane nel tempo. È successo così anche nel mondo dei ‘cori alpini’ (o altrimenti definiti ‘degli Alpini’, o ‘di montagna’, o ‘popolari’, o ‘di ispirazione popolare’). Senza nulla togliere ai cori SOSAT/SAT, la cui vera nascita è pressoché avvolta nel mistero e che fra poco saranno i primi a festeggiare il secolo di vita di quel tipo di coralità (1926-2026), si può dire che le origini, il germe meglio documentato sulla coralità popolare maschile è anteriore di una decina di anni. Piero Jahier (scrittore e poeta, nato a Genova nel 1884 e morto a Firenze nel 1966) inizia nel 1917 a raccogliere i canti dalle voci dei soldati al fronte e a pubblicarli sulla rivista letteraria La Riviera Ligure. In seguito questi verranno raccolti in Canti di soldati, uscito in diverse edizioni tra il 1918 e il 1919. Nella prima, oltre ai testi dei canti, si trovano anche una dedica, dei ringraziamenti, una spiegazione e delle regole del canto a orecchio. In queste parti, con un linguaggio che si muove tra il serio e il burlesco, tra il vero e il romanzato, si possono leggere molte delle dinamiche che si trovano ancora oggi nei cori alpini. Certo, non solo in quelli, ma leggendo quelle parole il primo collegamento che balza alla mente,
trattandosi di soldati, è quello con gli odierni cori alpini. La sede: «la scuola di canto era in strada», «in cortile», «in osteria», «in piedi», «su un prato», «dentro», «una spianata verde in faccia alle Dolomiti», «nelle montagne». La burocrazia: «radunare i canterini in base alle informazioni dei compagni e dei graduati», «dividere le voci in: alte e basse e farne un ruolino».
Le armonizzazioni: è interessante notare i diversi vocaboli utilizzati per descriviere il canto a più voci: «fanfara di voci», «diverse voci», «controcanto», «grugnito di basso», «coro a tre voci», «acuti», «bassi», «terza», «contralto», «secondo», «accompagnamenti», «varie parti» e «armonia».
Il repertorio: «la popolarità è una scelta già fatta: vuol dire che corrispondono al nostro sentimento di guerra», «canti di popoli che hanno un valore universale», «[di canti] ce ne sono molti veneti...», «canti popolari a musica più semplice e piana», «canti più complicati e variati come sono gli inni nazionali», «scegliere i cori adatti come tempo (es. Inno degli sciatori per gli alpini; Piume baciatemi per i bersaglieri)», «canti così semplici e vivi».
Il direttore: «dovevo cantare, ricantare, stracantare la stessa parte sempre io», «correggere gli errori più comuni. Gli errori più comuni sono...», «stabilire i comandi, a cenni, per ottenere il piano, il forte, il presto, l’adagio», «insegnare a intonar giusto a orecchio», «abituare a non cominciare mai a caso», «correggere e migliorare il controcanto», «insegnare le parole a memoria spiegandole», «basta controllare e temperare». Infine non mancano nemmeno consigli per i direttori più... impazienti: «ci vogliono parecchie prove», «non scoraggiarsi alle difficoltà» e... «perseverare»!
Nei diversi box a fianco pubblichiamo i testi integrali che si trovano sulla prima edizione di Canti di soldati di Piero Jahier (1918):
Popolare
22 | POPOLARE
Canti di soldati di Piero Jahier
[DEDICA]
Questa raccolta non è dedicata a Soldati che si fabbricano una chitarra colle latte da petrolio o un violino colle casse da aranci né ai mitraglieri che cantano colle mitraglie a spalla ma al fante più scalcinato e ammutolito nella trincea più battuta e gli porta il buon consiglio che un fante compagno aveva graffiato nella parete di una dolina.
CANTA CHE TI PASSA
SPIEGAZIONE
Questo libretto si propone di aiutare ogni reparto volenteroso a fabbricarsi un buon coro di soldati senza bisogno di nulla. Né di musica, né di strumenti, né di locali. È un arrangiamento di guerra. Come un telo da tenda e quattro sassi ci si arrangia una casa, così ci si può arrangiare una buona fanfara di voci, con tre cose che si trovano dappertutto:
l’orecchio giusto di un capocoro l’anima canterina del soldato italiano questo libretto di parole.
«Ho fatto la prova; sono sicuro. E io non avevo l’aiuto di questo libretto – dovevo insegnar le parole a memoria; e non avevo neanche un trombettiere intonato che potesse accennare le diverse voci; non avevo le regole dell’esperienza che si trovano alla fine di questa spiegazione. Chi prova dopo me si troverà avvantaggiato. Fu all’istruzione delle reclute del ’97 che feci la prova io. Ci avevano levato la fanfara, ma, quasi a rimpiazzare il nostro bisogno di musica, ogni giorno crescevano i cori. Mi misi a osservarli questi cori – come facevano a insegnarseli e a imparare? Dov’era la scuola di canto? La scuola
di canto era in strada, in cortile, in osteria; imparare imparavano come si è sempre imparato – a orecchio, per imitazione. Chi aveva la grazia della voce faceva centro –gli altri gli tenevan dietro; chi aveva la grazia dell’armonia inventava il controcanto e anche lui trovava seguaci; qualche anziano, per compiacenza, ci aggiungeva un grugnito di basso. Ecco fatto un coro a tre voci.
E che pazienza! E che passione! Le parole se le copiavano in ginocchio, sulle assicelle in camerata; di nascosto, per non scoprire la presenza vietata della boccetta d’inchiostro nel paglione. Se le passavano come una lettera della morosa! Cento volte ripetevano la stessa nenia – pur di cantare! Per stanca e appesantita che fosse la colonna in marcia bastava che in un punto qualunque della fila scoppiasse il richiamo della bella voce serena per vedere gli amanti del canto volar via di corsa a raggiungerla, collo zaino ballante sul groppone sudato!
Allora dissi tra me: dal momento che siamo italiani e non possiamo fare a meno di cantare, perché non si potrebbe disciplinare e indirizzare questo amore così ardente con un po’ di scuola? Innalzarlo fino ai canti dei
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Baccio Maria Bacci (Firenze, 1888-1974), ritratto di Piero Jahier, 1920
popoli liberi che danno la coscienza di questa guerra, fabbricare un coro che rimpiazzi davvero la fanfara per marciare in cadenza e intanto ci sfoghi dei nostri dolori di soldati?
Ci sono tante istruzioni secondarie che consistono nel dormire in cerchio intorno a un graduato! Cantare – per l’anima – è come far zaino a terra – per la schiena! Detto fatto: come avevo imparato da loro. Cominciai anch’io a ricopiar foglietti colle parole: ogni cinque uno; inventai un segnale: adunata canterini che me li portasse intorno in qualunque formazione e in testa alla colonna quando marciavamo; provai le voci una a una e le divisi; e poi avanti: a orecchio e per imitazione. La scuola di canto la impiantai dove e quando capitava: in piedi, su un prato, tra un lancio di bombe e un’arrampiacata; dentro, i giorni piovosi, che me li salvava dalla morra e dal sette e mezzo clandestino. Non avevo neanche un trombettiere in grado di aiutarmi accennando i motivi: dovevo cantare, ricantare, stracantare la stessa parte sempre io: a volte mi toccava sedermi sfinito su uno zaino e chiedere un pezzetto di formaggio per rifar forza a continuare. Ma non importa; ci ho un ricordo che compensa tutto: una spianata verde in faccia alle Dolomiti dove siamo adunati per giurare, tutta la leva; e la fanfara di voci dei miei tosatti che tiene il tempo e mantiene lo scatto per tutti, mentre sfiliamo in parata! La testa bianca del mio colonnello tentennava commossa lassù nel mezzo: sì, sì bravi figlioli! Ecco perché ho raccolto questi canti di soldati – così alla buona, a memoria, ma subito. Nel raccoglierli ho ubbidito a una legge sola: che fossero popolari tra noi soldati. La popolarità è una scelta già fatta: vuol dire che corrispondono al nostro sentimento di guerra. Ci ho aggiunto soltanto pochi canti di popoli che hanno un valore universale. Qualcuno troverà che ce ne sono molti veneti. Ma è naturale. Non solo perché il Veneto è terra di armonia. Ma perché la guerra è stata nel Veneto, non bisogna dimenticarlo mai. O nostra santa terra – la più ferita figliola della patria – anche noi soldati ti abbiamo invasa e turbata coi nostri tanti bisogni dalla cravatta da lavare al sorriso della tosa; son state di tutti noi combattenti le tue dolci case... E così siano di tutti i fanti italiani queste tue canzoni e le riportino in memoria tua alle case più lontane».
Copertina di Canti di soldati, «pubblicati dalla sezione P della 1. Armata in Trento redenta, capodanno 1919 - edizione numerata di 5000 esemplari»
POPOLARE 24 |
Barba Piero [alias Piero Jahier]
Piero Jahier
REGOLE DEL CANTO A ORECCHIO
«Radunare i canterini in base alle informazioni dei compagni e dei graduati.
Provare le voci facendo cantare a ciascuno una canzone che sappia bene. Dividere le voci in: alte e basse e farne un ruolino.
Diffidare delle prime impressioni perché sono emozionati.
Far cantare, a tutti insieme, uno dei canti che sanno meglio per correggere gli errori più comuni.
Gli errori più comuni sono: cantano troppo a voce spiegata, e cioè gridano, mentre la bellezza del canto nasce dal contrasto tra forte e piano; cantano tutto collo stesso tempo, con tendenza ad accelerare verso la fine, mentre la bellezza del canto nasce dal contrasto tra presto e adagio.
Far intendere, coll’esempio, che piano e forte, presto e adagio dipendono dalle parole. Dare, cioè, un’idea del colorito del canto. Renderla evidente cantando a galoppo un’aria mesta e una allegra a mortorio.
Stabilire i comandi, a cenni, per ottenere il piano, il forte, il presto, l’adagio.
Far intonare canti che tutti sanno bene ora da uno, ora dall’altro e quando gli alti non arrivano agli acuti o i bassi non arrivano ai bassi, spiegare che dipende da aver cominciato troppo alto o troppo basso. Dare, cioè, un’idea del tono.
Insegnare a intonar giusto a orecchio: il metodo più semplice consiste nel ripassare in fretta a memoria o a mezza voce tutto il canto, prima di intonarlo, correggendo in alto o in basso la prima nota se la voce fatica ad arrivare ai bassi o agli acuti.
Abituare a non cominciare mai a caso, ma a scegliere la prima nota da cui dipende tutto il canto, a ripeterla a bassa voce tutti insieme, prima di attaccare.
Abituare quelli che fanno il controcanto (terza, contralto o secondo che lo si voglia chiamare) a cantare da soli la loro parte come se fosse un cantabile indipendente. Correggere e migliorare il controcanto da loro inventato.
Non passare a insegnar nulla di nuovo se non si è ottenuto un progresso reale di bellezza nell’esecuzione dei canti vecchi, che abbia persuaso tutti dell’utilità della scuola e invogliato ad avanzare.
Passando al nuovo: scegliere da principio un canto molto melodioso e facile e non abbandonarlo finché non si è ottenuta la perfezione.
Insegnare le parole a memoria spiegandole, una per una, perché solo chi sa cosa vuol dire canta bene. Se si tratta di un inno nazionale, spiegarne l’occasione e raccontarne la storia.
Far sentire tutta l’aria per interessare, ma poi insegnarla un verso per volta e agli alti soltanto, esigendo che quelli del controcanto e del basso stiano in disparte silenziosi.
Appena gli alti hanno imparato un verso, metterli a riposo e passare a insegnare lo stesso verso (nella parte loro) agli accompagnamenti, cioè controcanto e basso.
Qui comincia la difficoltà vera. Nei canti popolari a musica più semplice e piana, controcanto e basso se lo inventano da sé i canterini: basta controllare e temperare. Ma nei canti più complicati e variati come sono gli inni nazionali di questa raccolta, gli accompagnamenti sono stati scritti dagli autori e vanno eseguiti fedelmente altrimenti troppa bellezza del canto va perduta. A risolvere la difficoltà – se l’istruttore non ha orecchio finissimo e pratica musicale – serve un trombettiere musicante. Basta procurargli una semplice partitura per piano e penserà lui ad accennare le varie parti, risparmiando fiato all’istruttore.
Appena gli accompagnamenti sanno un versetto della loro parte, farli provare insieme agli altri per realizzare subito la gioia dell’armonia che li compenserà della pena durata. In generale al principio e alla fine di ogni lezione far eseguire quei canti che già si sanno bene, per consolazione. Per il canto in marcia, a passo cadenzato, converrà scegliere i cori adatti come tempo (es. «Inno degli sciatori» per gli alpini; «Piume baciatemi» per i bersaglieri), e non cominciare prima di aver ottenuto che tutti vadano perfettamente al passo. Ci vogliono parecchie prove.
Soprattutto non scoraggiarsi alle difficoltà. Perseverare. Il popolo che ha saputo creare tanti bei canti, saprà anche imparare quelli che gli sono insegnati. I miei soldati erano seggiolai e minatori dell’Agordino, eppure in quattro lezioni cantavano la Marsigliese a tre voci disuguali: e in francese» .
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RINGRAZIAMENTI
«Anzitutto agli ignoti poeti di popolo che hanno creato – senza ambizione – questi canti così semplici e vivi. Poi ai soldati che cantandoli con me nelle montagne e sulle strade mi han suggerito l’idea di raccoglierli a conforto comune. Infine a quanti hanno aiutato e soprattutto al buon compagno profugo che ha scelto e curato quelli della sua terra armoniosa».
Piero Jahier, Canti di soldati (1918)
L’Astico. Giornale delle trincee n. 17 (6 giugno 1918), testata e appello per la raccolta dei Canti
Pagine da Canti di soldati del 1919
POPOLARE 26 |
Un Coro per tutti
Il coro, un armonioso Arcobaleno di voci
Riflessioni riguardanti la voce, il coro, la musicoterapia grazie all’esperienza “olistica” musicale del Coro USHAC Arcobaleno di Carpi (MO)
DI FRANCESCA CANOVA
Direttrice di coro
Il viaggiatore statunitense Christopher McCandless dopo numerosi viaggi esperienziali è arrivato alla conclusione che la felicità è reale solo se condivisa. Come musicista, soprattutto dopo le specializzazioni in Musicoterapia, vivo la musica come gioia, quindi un dono da condividere per renderlo tangibile, usufruibile, condiviso e ancor più prezioso. Con il Coro USHAC Arcobaleno di Carpi (MO) da me diretto, un grande progetto che coinvolge nel canto ragazzi portatori di handicap di diverso grado insieme a familiari, volontari, care-giver e coristi senza alcuna esclusione, abbiamo pensato di condividere un evento di bellezza musicale a tutto tondo con la comunità, con le famiglie, con artisti in un luogo fortemente iconico:
il Duomo di Carpi. L’idea di partenza non era realizzare un “saggio” (accezione prevalentemente didattica/ dimostrativa) o un “semplice” concerto (accezione performativa), bensì era il bisogno di condividere la gioia del canto attraverso le nostre abilità resilienti e fonderle in un dialogo arricchente e armonioso di carattere esperienziale e partecipativo per chiunque fruisse l’esperienza. La volontà, forse un po’ supponente, ma sentita dai coristi spesso stanchi di sofferenze o difficoltà quotidiane ma vogliosi di esprimersi a tutto tondo, era quella di rendere tutti attori protagonisti, tutti autori di una storia, tutti pazienti e medici curanti dell’anima. Il titolo da me entusiasticamente proposto è stato “Dialogo di pace”, esperienza canora in cui i protagonisti sono chiamati a rappresentare la vera pace in maniera artistica: utilizzare poeticamente le proprie abilità senza sopraffare l’altro ma arricchendolo, creare ponti e nuovi
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modi per capirsi, cantare comprensione e armonizzare le differenze. Essendo tutte le voci uniche e speciali, non ci sarebbero stati gregari, tutti sarebbero stati protagonisti e prova tangibile dell’armonia. Inoltre, la pace è creativa, va inventata, pensata, coltivata e adattata, come il programma musicale e musicoterapeutico che andava definendosi. Così oltre al nostro corposo coro (40 coristi), abbiano invitato altri protagonisti che dovevano come noi mettersi in gioco, mettersi in mostra, ascoltare, improvvisare, dialogare e farci tutti migliorate con la loro arte. Il Coro USHAC Arcobaleno ha portato la propria esperienza sulla ritmica, sulle lallazioni e giochi vocalici (alcuni coristi hanno sì difficoltà nel linguaggio ma non ad interpretare brani ambiziosi e con valenze che sembrano provenire dalla logopedia, quali per esempio Adiemus di Karl Jenkins!). L’Associazione USHAC Carpi (Unione Sportiva Portatori di Handicap) ha coinvolto nel coro e nella musicoterapia anche per la prima volta la propria sezione giovanile (nuovi ingressi dai 13 ai 18 anni) che ha contribuito al canto anche attraverso la gestualità e la LIS, vera e propria lingua visibile che con eleganza supera le barriere dei testi cantati. Abbiamo coinvolto poi un fidato compagno di viaggio, il Coro Le Nuvole (Associazione Parkinson Carpi-MO), specializzato in musicoterapia e malattia di Parkinson insieme con A.L.I.Ce. Carpi (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale), con il loro lavoro ispirato dalle neuroscienze riguardo all’attivazione dei gangli basali e con esperienze in concento con la logopedia riguardo la fonazione in toto. Abbiamo poi richiesto la preziosa collaborazione del soprano Serena Daolio che si è messa in gioco per noi: tra spartiti da comporre, vocalizzi da
improvvisare, effetti vocali inusitati, abbiamo trovato il modo creativo di combinare le nostre voci bisognose con le sue prodezze tecniche, all’evidenza di range diversi ma compatibili (un soprano drammatico ed un coro eterogeneo con bisogni speciali). Abbiamo subito realizzato nelle nostre prime prove che condividere felicità, musica e abilità resilienti è un percorso vincente da far conoscere anche ai giovani: per questo motivo ho contattato il Coro di Voci Bianche Augusto Del Rio di Reggio nell’Emilia diretto da Francesca Galeotti. La loro estensione vocale e la timbrica peculiare delle voci bianche ha completato lo spettro completo delle partiture da me rielaborate, arrangiate e talvolta improvvisate. I bambini hanno rispettato i tempi dei coristi più bisognosi, hanno messo nella loro voce contagioso entusiasmo e visto la musica in un’ottica non solo didattica, concertistica o da concorso, ma come utilità e mezzo di comunicazione, talvolta come cura. Con gli sguardi, con le armonie, con i respiri, con la VOCE ci siamo detti tante cose come se ci conoscessimo e provassimo da tempo. La fiducia era palpabile, e noi direttori di coro abbiamo provato con esaltante emozione quel kairos, quel momento speciale come descritto dai filosofi greci, in cui tutto sembra essere connesso, sembra funzionare e comunicare. Un momento magico. Nei miei gesti, sentivo come le voci, quando cantano bene insieme in empatia, non possono mentire, possono solo celebrare la loro reciproca bellezza. Per l’occasione, finalizzata il 16 dicembre 2023, ho deciso di dirigere e accompagnare al pianoforte, in un’ottica di ascolto e aiuto, di contributo umile e attivo. Mi sono fatta aiutare da una profonda e vellutata base di violoncello
28 | UN CORO PER TUTTI Coro USHAC Arcobaleno
(Francesco Bussei) e ho impreziosito le partiture con interventi di oboe e violino (Flavio Bussei); ho imparato a chiedere aiuto ai musicisti, non solo per un rinforzo armonico o un arricchimento melodico, ma per creare un clima collaborativo, per cercare soluzioni musicali a problemi di realizzazione, richiedendo di condividere un progetto. Così i musicisti hanno dovuto cambiare gli arrangiamenti in itinere , suonare talvolta in modo non convenzionale e in alcuni momenti contribuire con la loro voce. Penso che possa succedere che il musicista che, come me, proviene da studi accademici, tenda a specializzarsi troppo in un ruolo “inciso” nella partitura e dimentichi la propria musicalità a tutto tondo. Tutti ci siamo quindi messi in una “posizione scomoda” o comunque nuova e la sorpresa è stata trovare la soluzione creativa alle nostre difficoltà (è questo il significato di resilienza): un’esperienza dalle molteplici implicazioni metaforiche e molto incoraggiante. Sicuramente è la magia della valenza multiforme della voce che permette una riflessione a tutto tondo (valenze di psicologia, identità, espressione, benessere psicofisico: si possono approfondire tematiche tecniche e valenze trasversali leggendo ad esempio il libro di Gisela Rohmert, Il cantante in cammino verso il suono. Leggi e processi di autoregolazione nella voce del cantante, Diastema, 1995). Trovarsi per necessità o virtù a dover usare la creatività insieme anche in posizione “scomoda”, come dicevamo prima, è stato un pratico esercizio di problem solving, caratteristica spesso elogiata in ambienti di lavoro e management: non a caso sempre più ditte si rivolgono a professionisti della coralità, della body percussion, delle circle songs… Importantissimo ovviamente il ruolo del pubblico, che speravo potesse “sentire” non solo con le orecchie ma anche col cuore i benefici del canto e del coro attraverso le nostre voci. Abbiamo previsto nelle partiture alcuni interventi improvvisativo-vocali per “sfondare” la cosiddetta quarta parete. Ad un certo punto si è creato
un bagno sonoro, un vortice di voci che ha riempito il Duomo e ha avuto l’effetto di un canto caldo, calmante e coinvolgente, un’esperienza primigenia che può ricordare l’ambiente favorevole della nostra gestazione, in cui suoni, vibrazione, cuore, respiro sono un fluire unico. Mi è capitato di ammirare, anche se nel più semplice mondo animale, come la mia gatta, spaventata dal veterinario, si calmasse con le sue stesse fusa, vibrazioni non ancora del tutto spiegate dagli etologi: lo stesso veterinario mi ha confermato un’interpretazione scientifica che le vede come una sorta di massaggio sonoro e autoincoraggiamento e consolazione.
Penso che anche in noi umani il canto, un certo tipo di canto che abbiamo sperimentato in musicoterapia, possa consolare e “riarmonizzarci”. Noto però che l’effetto è esponenzialmente potenziato se avviene una condivisione (che è anche metafora del mio obiettivo di inclusione e riconoscimento sociale di soggetti deboli o con difficoltà), una vibrazione collettiva, in cui gli intenti si muovono in armonia. Il coro è così un rituale sonoro condiviso con l’abbattimento delle barriere tra amatori, professionisti, malati, medici, pubblico, direttori, musicisti e musicoterapeuti. Nei momenti in cui tutto “funziona” il suono circola, tutti sono in sintonia e in vibrazione simpatica ed empatica, l’individuo si perde per un attimo nell’esperienza sia attiva che riflessiva per poi ritrovarsi con una rafforzata autostima e con nuovi rapporti profondi. Diverse le tipologie tecniche di canto corale sperimentate nella serata: canone (voci che si rincorrono con egual importanza), bordoni affidati creativamente a diversi reparti (per inspirare la consapevolezza di esser talvolta gregari ma fondamenta dell’armonia) , giochi vocali con onomatopee con ostinato (per stimolare espressività, innalzare il tono d’umore e mettere in musica le piacevoli fatiche della logopedia), arrangiamenti a più voci miste in cui le melodie principali “viaggiano” tra i reparti come il gioco del testimone, piccole improvvisazioni
| 29 IL CORO, UN ARMONIOSO ARCOBALENO DI VOCI
inserite con gestualità guidata e prime esperienze di circle songs come ci ha insegnato il grande Bobby McFerrin (che ci ispira con la sua Don’t worry, be happy ). Ringrazio quindi la professionalità di tutti i partecipanti del progetto che hanno avuto il coraggio e la creatività di “perdere” per un momento le loro consuetudini accademiche per poi ritrovarle nel percorso arricchite di nuove profonde consapevolezze musicali, in un approccio sistemico, globale e interdisciplinare. Per concludere, il racconto di un canone norvegese realizzato durante la serata: il coro delle voci bianche imita con la voce i violini, risponde il soprano in vece di flauto “in agilità”, la sezione maschile del mio gruppo di musicoterapia ha scelto di vocalizzare i timpani, la sezione femminile con suono un po’ nasale i clarinetti, in chiusura i giovani con spinta interpretano tromba e trombone, un solista improvvisa una viola dal carattere ombroso e vellutato… sembra però, in versione positivamente leggera, una “Prova d’Orchestra” quasi felliniana… Ironicamente cito il controverso film del Maestro che, tra mille altre profonde considerazioni, provocatoriamente sosteneva che una prova d’orchestra altro non è che il vano tentativo di un gruppo di individui diversi e disorganizzati (lui usa anche il termine “dissociati”) guidati da un altro individuo (direttore) nel realizzare un’utopia (l’esecuzione perfetta di un’idea altrui): nel nostro piccolo, abbiamo colto la “sfida” e provato a realizzare esattamente il contrario! Abbiamo provato, connettendo le nostre sensibilità, a realizzare insieme una nostra partitura in maniera interconnessa e creativa: il tentativo non è stato vano, il concerto è stato un successo. Proprio in quel film, un protagonista si chiede dove vada la musica quando tu non suoni più… noi rispondiamo che si trova e riverbera nei nostri cuori, nella nostra voce e nella vita di tutti i giorni, per stare meglio, insieme.
Coro USHAC Arcobaleno
L’USHAC ARCOBALENO ODV nasce nel 1986 ed è un centro permanente di vita associativa improntata alla partecipazione, alla solidarietà e al pluralismo, che ha lo scopo di favorire l’inclusione sociale dei disabili. Organizza attività sportive, come l’atletica leggera, il nuoto, basket e volley, attività ludico-motorie in palestra e piscina, attività ricreative come feste, cene, gite e soggiorni al mare ed in montagna, e attività culturali come visite a musei e città d’arte. L’esperienza del canto corale è iniziata nel 2009 sotto la guida della maestra Francesca Canova e si è costantemente sviluppata. Attualmente è composta da 40 coristi, di cui 20 sono portatori di disabilità. Questa bellissima esperienza ci ha fatto scoprire i benefici del canto corale sul controllo della voce, della respirazione e della memoria. Il canto corale è molto utile anche per l’aggregazione e la socializzazione. Nel coro tutti i componenti hanno un proprio ruolo e tutti concorrono alla esecuzione dei canti e questo è particolarmente importante per le persone con disabilità, perché nel coro si sentono pari agli altri, si sentono considerati e valorizzati con beneficio per la loro autostima.
Via B. Peruzzi 22 - 41012 Carpi (MO) www.ushac.it - info@ushac.it
30 | UN CORO PER TUTTI
Coro USHAC Arcobaleno
Il concerto del 16 dicembre 2023 nella
Cattedrale di Carpi
Questo concerto ha visto collaborare tante forze e tante anime che si sono unite festosamente per celebrare il Natale. Io mi ero già esibita con i cori “Arcobaleno” e “Le Nuvole”, ma questa serata è stata arricchita da bravissimi musicisti e da un coro di voci bianche. La Maestra Francesca Canova ha ideato un programma che ci ha visti impegnati in brani particolarmente toccanti ed intensi. Penso ad esempio a “Nella fantasia” di Morricone, nel quale io ed i cori ci siamo alternati. Lo scorso anno ho seguito i cori “Arcobaleno” e “Le Nuvole” in un percorso vocale più mirato e volto ad una migliore prestazione. La voce è uno strumento straordinario. Le persone posso avere difficoltà, dovute a varie tipologie di fragilità, ma la voce risuona in ognuno di esse e può essere formata, arricchita e plasmata dallo studio e dalla tecnica. Ciò che ho potuto avvertire è stato l’entusiasmo, l’impegno e la passione.
Serena Daolio
Se dovessi riassumere in una sola parola l’esperienza vissuta a Carpi il 16 dicembre 2023 direi CONDIVISIONE. Il coro di voci bianche “Augusto Del Rio” ha avuto la fortuna di poter condividere una serata musicale davvero speciale con i cori “Arcobaleno” e “Le nuvole” di Carpi. Ringrazio, anche a nome di tutti i coristi, la direttrice Francesca Canova per averci proposto di prendere parte a questo progetto, che ha visto coinvolti coristi di tutte le età con le loro capacità musicali, ma soprattutto con la voglia di mettere a disposizione i propri talenti. È come se tante voci fossero diventate una voce sola, senza lasciare spazio a confronti o differenze di nessun genere.
Francesca Canova mi ha proposto di preparare un
concerto che fosse un vero e proprio dialogo tra le realtà corali coinvolte ed insieme abbiamo pensato ad un repertorio che potesse valorizzarle. I bimbi e i ragazzi del coro di voci bianche hanno imparato ad ascoltare gli altri cori dialogando ed interagendo con essi, cercando di rispettare le dinamiche, le esigenze musicali, gli ingressi, le velocità idonee, la ritmica… Abbiamo capito cosa significa sentirci accolti da persone speciali che fanno del canto un motivo di vita, di unione e soprattutto di cura. Credo che il brano La cura di Franco Battiato abbia messo in evidenza lo scopo dell’intero progetto: prendersi cura di qualcuno donando il proprio canto, il proprio tempo, le proprie abilità (di chi canta o suona per professione, ma anche di chi ad esempio suona le percussioni in modo amatoriale lasciandosi trasportare dal ritmo…) e certamente i propri sentimenti. Per l’occasione abbiamo imparato tanti brani nuovi, passando dal canone al gospel, da De André alle atmosfere natalizie di vari paesi e, tornando nella nostra aula, tutto questo ci ha dato nuovi spunti e nuove idee… Le prove in vista del concerto si sono svolte presso la Casa del volontariato di Carpi dove ci siamo sentiti immediatamente accolti in un’atmosfera familiare e amichevole da persone che ci hanno mostrato un’inaspettata riconoscenza per la nostra presenza. Il meraviglioso Duomo di Carpi ha fatto da cornice a questo “quadro” musicale e, nonostante l’acustica all’interno non fosse del tutto favorevole, abbiamo imparato ad ascoltarci, a fare affidamento sugli sguardi, cercando un modo di dirigere comune, un’intesa fra coristi, direttrici ed i preziosi musicisti che ci hanno accompagnato dando un tocco magico ai brani. La commozione di tante persone presenti tra il pubblico ci ha fatto capire di aver centrato l’obiettivo: emozionare, far arrivare un messaggio di pace ma soprattutto di inclusione. Credo che i miei piccoli coristi abbiano capito una cosa importante grazie a questa esperienza, cioè che un concerto non debba consistere necessariamente in un’esibizione “perfetta”, quanto piuttosto essere l’occasione perché ogni persona, anche se fragile, possa esprimersi grazie alla musica e sentirsi parte di un progetto comune.
Francesca Galeotti
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Serena Daolio
Gian Francesco Malipiero
Un moderno dal cuore antico Storia
DI ALESSIO ROMEO Compositore
Giuseppe Verdi stava lavorando alla versione italiana in quattro atti del Don Carlo quando, il 18 marzo del 1882, nasceva a Venezia Gian Francesco Malipiero. Non molti anni dopo, l’affermazione di Cavalleria Rusticana pose alla ribalta nazionale e internazionale una nuova generazione di compositori, a conferma della vitalità e della continuità di una tradizione operistica che, nell’ultimo secolo, si era imposta di fatto quale esclusivo genere cui un compositore italiano in cerca di consensi potesse rivolgersi. D’altra parte la popolarità e il prestigio dell’Opera facevano sì che in Italia pochi fossero in grado di immaginare una cultura musicale differente, e men che meno prevedere le trasformazioni che, nei successivi cinquant’anni, avrebbero profondamente mutato il panorama musicale della penisola. Sporadici tentativi di rinnovamento quali la fondazione della Società del Quartetto di Milano nel 1864, l’esecuzione di opere di Wagner o le composizioni strumentali di Marco Enrico Bossi e Giovanni Sgambati sembravano, piuttosto che i primi indizi di cambiamento, eccezioni a conferma della regola, viste peraltro con più di una punta di sospetto. Fatto sta che, lentamente ma inesorabilmente, emersero compositori mossi da una sempre maggiore esigenza di ampliare gli orizzonti culturali, nel tentativo per un verso di rinnovare il teatro musicale purificandolo dalle presunte corruzioni di gusto
del melodramma dell’Ottocento, dall’altro di sviluppare una musica strumentale italiana che, complice il coevo incremento degli studi musicologici in Italia, trovasse nella progressiva riscoperta dell’antico patrimonio musicale indirizzi verso nuove vie. Rendere conto dell’entità di tale mutamento sarebbe tuttavia impossibile senza menzionare la personalità e l’opera di Gian Francesco Malipiero che, per ricchezza d’invenzione, ampiezza di cultura musicale, autorevolezza intellettuale e originalità di risultati artistici, fu indubbiamente uno dei protagonisti del rinnovamento musicale italiano dell’inizio del Novecento. Nato, come già accennato, nel 1882 a Venezia, fu indirizzato fin da bambino allo studio del violino dal padre musicista che, in seguito al divorzio, portò il figlio con sé negli impegni artistici in Italia e all’estero. Il piccolo Gian Francesco ebbe quindi modo assai presto di entrare in contatto con la musica d’oltralpe, di segno assai differente rispetto alla cultura operistica prevalente in Italia; ha peraltro probabilmente origine da qui l’affinità di Malipiero con i paesi di lingua tedesca, dove la sua musica avrebbe trovato consensi e ammirazione persino più che nel paese natale. Tornato stabilmente a Venezia, approfondì in costanti
STORIA 32 |
Gian Francesco Malipiero
Gian Francesco Malipiero
e appassionati studi presso la biblioteca Marciana la conoscenza dell’immenso patrimonio musicale italiano, e in special modo veneziano, lì conservato. Anni dopo avrebbe reso noti i tesori lì scoperti attraverso edizioni a stampa, i cui risultati più significativi furono le edizioni di musiche di Vivaldi e soprattutto, come si vedrà, la prima edizione a stampa di tutte le opere di Monteverdi. Tali studi condussero Malipiero a sviluppare, nonostante l’interesse spiccatissimo per l’espressione vocale, una forte propensione verso la musica strumentale, in parte senz’altro incoraggiata dagli studi in conservatorio con Marco Enrico Bossi che, come si è accennato, era all’epoca uno dei più convinti propugnatori dell’esigenza che l’Italia sviluppasse un proprio repertorio strumentale. Nel corso di pochi anni si delinearono quindi le coordinate fondamentali
della poetica di Malipiero: apertura alle esperienze europee, riscoperta e assimilazione
della più antica tradizione musicale italiana e veneziana in special modo, vocazione alla musica strumentale non meno che vocale. A completamento del percorso di maturazione si aggiunse il soggiorno a Parigi, dove entrò in contatto con molte delle personalità più significative della musica europea del tempo, tra cui Debussy, Casella e Stravinskij. Lo stesso Malipiero era ben consapevole dell’eccentricità della sua posizione rispetto agli indirizzi della musica italiana coeva, come ebbe in seguito a scrivere:
«All’inizio di questo XX secolo, giovanissimo, ho reagito per istinto contro le condizioni della musicalità italiana soffocata dalla tirannide melodrammatica. Mi sono formato la convinzione che il canto gregoriano fosse la vera origine della nostra musica. Attraverso il canto gregoriano, a passo a passo ho raggiunto la grande scuola dei polifonisti italiani per arrivare inevitabilmente a Claudio Monteverdi che va considerato il primo musicista dell’era moderna1».
Lo stile maturato da Malipiero mostrò presto spiccati
caratteri di originalità. Dall’organizzazione sintattica della musica vocale rinascimentale, in special modo madrigalistica, emerse da un lato il rifiuto dell’elaborazione motivico-tematica di ascendenza austro-tedesca e, dall’altro, la predilezione per la giustapposizione di situazioni musicali sottilmente relate ma non strettamente collegate. Da ciò emerge sempre una scrittura fluida, variamente articolata, apparentemente rapsodica ma in realtà solidamente consequenziale. Come scrisse Vittore Branca, che di Malipiero fu amico e collaboratore presso la Fondazione Cini di Venezia, «il movimento della sua musica e della sua scrittura ha questo stesso fascino, insieme dell’imprevedibile, anzi del rabdomantico, e del logico e conseguente: dell’avventura a sorpresa e del già tutto stabilito2». Esemplare in tal senso il quartetto d’archi Rispetti e strambotti (1920), che sin dal titolo denuncia lo sguardo alla poesia per musica del ‘400 e al tempo stesso alla polifonia di situazioni di cui l’opera è costituita. L’altro aspetto essenziale è il tendenziale diatonismo della sua musica che, seppur non priva di cromatismi, tende a prediligere inflessioni melodiche di natura modale mutuate dal canto gregoriano e dalla polifonia vocale del ‘500, combinate tuttavia a una scrittura armonica fondata su accordi di quarta, di nona, e collegamenti non ortodossi. Altro tratto distintivo della sua poetica è la natura spesso vocale della sua scrittura strumentale, in modo affine alla musica di fine XVII e inizio XVIII secolo, in cui si assisteva alla perfetta integrazione di gestualità tra voci e strumenti. Tale stile trovò prolifica espressione in un’attività creativa intensa e molteplice, da cui non fu escluso alcun genere tanto strumentale quanto vocale. Se si aggiunge al panorama fin qui delineato la cultura letteraria vastissima di cui Malipiero era in possesso, non stupisce allora che alcuni degli esiti artistici più celebrati
1. G. F. Malipiero, Claudio Monteverdi. Commiato in Il filo d’Arianna. Saggi e fantasie, Einaudi, Torino 1966, p. 96.
2. V. Branca, Malipiero, musicista da grandi battute, «Il Sole 24 ore», 4 marzo 2001, ora in M. Brighenti (a cura di), Incontri con Gian Francesco Malipiero, LIM, Lucca 2023, p. 149.
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siano stati quelli nel campo teatrale, in cui il suo mondo creativo poteva trovare un punto di congiunzione tra molteplici attitudini: sapienza nella scrittura strumentale e vocale, dottrina polifonica, conoscenza del teatro rinascimentale e barocco, e non ultima la passione letteraria che gli permise di confezionare da sé i libretti ricavandoli da testi della tradizione o scrivendoli di suo pugno – sia pure con saltuarie eccezioni, tra cui si segnala La favola del figlio cambiato (1934), su libretto di Pirandello. I soggetti teatrali scelti sono del tutto estranei alle consuetudini ottocentesche e virano bruscamente dal taglio melodrammatico fin dall’organizzazione drammaturgica, che nei lavori più importanti realizza nella forma teatrale i principi di sintassi musicale prima delineati per mezzo della libera successione di scene tra loro tenuamente collegate. Ciò risulta evidente sin dal titolo in Sette canzoni (1919), breve opera formata da sette scene irrelate, ciascuna delle quali con al centro una canzone su testi poetici antichi; lavoro confluito a sua volta ne L’Orfeide (1922), opera in tre parti in cui ciascuna appare esteriormente indipendente dalle altre. Ma si pensi anche a Torneo notturno (1931), in cui sette notturni – ossia scene di ambientazione notturna – collegate da intermezzi orchestrali sono connesse dalla ricorsività delle figure simboliche dello Spensierato e del Disperato senza alcun reale divenire drammatico, o del più tardo I capricci di Callot (1942).
Le composizioni per coro
Nonostante Malipiero abbia mostrato più compiutamente le sue doti nelle composizioni teatrali e in quelle strumentali, le opere destinate al coro rivestono un interesse tutt’altro che marginale, tanto numericamente quanto qualitativamente. La produzione per coro a cappella è ristretta a soli tre titoli: Tu es Petrus, di datazione incerta, Una canzone a Chioggia del 1923, tratto dalle Baruffe chiozzotte e, tratto da Catullo, Passer mortuus est del 1952, tra i tre il più significativo. La scrittura vocale di questo lavoro si dispiega in un discorso fluido e mutevole che si avvale del contrappunto con valore espressivo piuttosto che meramente architettonico, nella migliore tradizione madrigalistica riletta secondo la sensibilità di un compositore del Novecento. Tra più numerosi i lavori per coro e orchestra, la compagine corale è protagonista assoluta in Universa universis (1942), Ave Phoebe… dum quaeror (1964) e soprattutto ne Li sette peccati mortali (1946), il cui testo è tratto dai Sonetti sopra li sette peccati capitali di Fazio degli Uberti e ne La terra (1946), lavori in cui particolare suggestione esercitano soprattutto le pagine in cui il coro è impiegato in modo spoglio e
dimesso. In tutti gli altri casi al coro sono associati uno o più solisti. Tra questi lavori spicca la Missa pro mortuis, composta nel 1938 e dedicata alla memoria di Gabriele D’Annunzio; si tratta di un’opera in cui l’intenso studio del canto gregoriano da parte di Malipiero è più manifesto del solito, al punto da impiegare motivi tratti dalla missa pro defunctis. Il coro riveste poi un ruolo di grande importanza nelle quattro composizioni appellate dall’autore mistero, in cui Malipiero si ricollega alle sacre rappresentazioni medievali nel tentativo di ritrovare nell’arte del suo tempo un’autentica ispirazione religiosa. Già nel San Francesco d’Assisi del 1921 – i cui testi sono tratti dai Fioretti di San Francesco – il coro punteggiava l’azione rappresentando ora la folla ora i compagni di Francesco; ma è soprattutto nei due misteri tratti dalla Rappresentatione della cena e passione (1519) del savonaroliano Pierozzo Castellano Castellani, La Cena (1927) e La passione (1935), che il coro assume un ruolo di altissimo rilievo, essendo chiamato a dare voce alle parole di Cristo, poiché solo il coro è considerato da Malipiero il mezzo adatto a dare voce a chi trascende la persona umana.
L’opera omnia di Monteverdi
L’ammirazione profonda di Malipiero per Monteverdi rinvia agli anni della giovinezza, come dimostra il fatto che già nel 1902 risulta aver chiesto alla Biblioteca Marciana la consultazione dell’Incoronazione di Poppea: è lo stesso Malipiero a narrarlo, all’inizio del breve scritto Così parlò Monteverdi, precisando le fortuite coincidenze che lo indussero ad accostarsi alla musica monteverdiana:
«Da un piccolo libraio veneziano acquistai una sbiadita, ma leggibile copia fotografica dell’Orfeo, la quale attirò tutta la mia curiosità; la studiai, quasi mio malgrado. Io fui sempre favorito dal caso, difatti come per incanto quando ormai conoscevo profondamente l’Orfeo, si presentò l’occasione di assistere (prima del 1918), a una sua esecuzione che mi sbalordì3».
A sbalordirlo furono però anche le modifiche disinvolte e irrispettose con cui fu approntata la partitura per lo spettacolo; non stupisce dunque che nel compositore
3. G. F. Malipiero, Così parlò Monteverdi, All’insegna del pesce d’oro, Milano 1967, ora in «Musica/Realtà», XXXV/97, marzo 2012. È possibile leggere il testo al seguente link [ultimo accesso 1 marzo 2024]:
www.rodoni.ch/malipiero/monteverdi2.html
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maturasse l’intenzione di mettere a disposizione del mondo musicale un’edizione completa delle opere di Monteverdi che fosse rigorosa sotto il profilo musicologico ma che al tempo stesso ne favorisse l’esecuzione e ne permettesse la diffusione nel modo più conforme possibile alle intenzioni dell’autore. L’impresa, durata oltre vent’anni, si concretizzò in ventisette volumi, editi integralmente a partire dal 1927 dalla Universal Edition:
Grazie ad essa fu finalmente possibile avere a disposizione in edizione moderna l’intera opera monteverdiana, favorendo così enormemente il sorgere della fortuna moderna del compositore dopo secoli di oblio. Come si è detto, l’auspicio di Malipiero era quello di contribuire al ritorno di Monteverdi nelle sale da concerto: lungi dunque dal licenziare una pubblicazione musicologica più adatta alle biblioteche che alla pratica musicale, l’edizione contiene integrazioni dinamiche e suggerimenti di agogica; scelte fatte tuttavia con tatto, nel limite dell’indispensabile e con aderenza allo spirito della musica. La realizzazione del basso continuo, che nelle esecuzioni coeve tanto scandalizzava Malipiero per il gusto modernizzante e non appropriato allo stile, è compiuta in modo essenziale ma sempre con gusto, senza armonizzazioni anacronistiche e indebite rispetto al contesto4. Queste qualità rendono tutt’oggi la consultazione del lavoro di Malipiero uno strumento di grande utilità per penetrare nel mondo monteverdiano. Certo, va rilevato che la lettura malipieriana di Monteverdi non è indenne dalla temperie dell’epoca e dal gusto antiottocentesco dell’autore, che infatti più volte nei suoi scritti si appella al cremonese per giustificare le proprie posizioni estetiche; ciò avvenne tuttavia proprio in virtù della capacità di Malipiero di vivere la modernità con gli occhi dell’antico e l’antichità con quelli del moderno. E certo di lui, più che di chiunque altro nel suo tempo, si può dire che fosse un moderno dal cuore antico.
4. In verità la disinvoltura negli interventi sopra le partiture monteverdiane non cessò ma anzi, per certi aspetti, fu favorita dalla maggiore diffusione garantita dall’edizione di Malipiero, che non mancò a più riprese di lamentarsene. Si veda ad esempio il seguente estratto di un’intervista: www.youtube.com/watch? v=aI726Ch9tI8&ab_channel=marcobrighenti
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Libri-parte del madrigale Ecco mormorar l’onde di Claudio Monteverdi da Il secondo libro de madrigali a cinque voci (Venezia, Alessandro Raveri, 1607)
Ascolta Ecco mormorar l'onde di Claudio Monteverdi (La Venexiana, direttore Claudio Cavina, CD Glossa 2004)
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Il madrigale Ecco mormorar l’onde di Claudio Monteverdi nell’edizione curata da Francesco Malipiero (Tutte le Opere di Claudio Monteverdi, vol. 2)
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Organizzazione: Mirco Tugnolo e Delegazioni Provinciali Informazioni e Calendario completo alla pagina Giugno, Luglio, Agosto, Settembre 2024
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Suoni e musicalità nella preghiera islamica
DI ABU BAKR MORETTA
Presidente della Comunità Religiosa Islamica Italiana
Nelle cinque preghiere giornaliere che il musulmano compie secondo l’alternarsi del giorno e della notte (al tramonto, nella notte, all’alba, al mezzogiorno e nel pomeriggio), seguendo il ritmo del ciclo solare scandito dalle stagioni, la musica è assente così come concepita e intesa in altre tradizioni – come avviene invece, per esempio, nel Cristianesimo, dove ha una funzione
specifica all’interno del rito. Tuttavia, sia nella chiamata alla preghiera, adhan, che nella salmodia della recitazione del Sacro Corano, si possono prendere in considerazione alcuni elementi ritmici e sonori che nello svolgersi della preghiera caratterizzano la ritualità secondo una musicalità. Si racconta che il Profeta Muhammad, poco dopo il suo arrivo a Madina, discusse insieme ad alcuni suoi compagni sulla necessità di chiamare i fedeli alla preghiera. Le diverse possibilità proposte non furono soddisfacenti, fino a quando un giorno un compagno del Profeta ‘Abd Allah bin Zaid bin Abi Rabbihi disse: «Stavo dormendo, quando ho visto un uomo che aveva in mano un naqus [una specie di gong] e gli chiesi: “Servo di Dio, me lo vendi?”; quando l’uomo mi chiese cosa ne avrei fatto, io risposi che lo avremmo usato per chiamare i fedeli alla preghiera. Allora l’uomo disse: “Posso suggerirti qualcosa di meglio?” Ed io risposi: “Certo!”, allora egli mi suggerì le formule dell’adhan. Quando raccontai al Profeta, la mattina seguente, ciò che avevo visto in sogno egli disse: “È una visione veridica, se Dio vuole, quindi vai da Bilal e, dopo che gli avrai insegnato ciò che hai udito, fai che ne faccia uso nel chiamare alla preghiera, poiché lui ha una voce più forte della tua”». Da allora sono passati quattordici secoli e ancora oggi in ogni moschea dall’Oriente all’Occidente il mu’addhin (muezzin), chiama con voce chiara e sonora alla preghiera ripetendo le stesse formule:
Allahu Akbar, Allahu Akbar (x2) (Dio è più Grande)
Ash-hadu An la ilaha illa-l-lah (x2) (Testimonio che non c’è dio, se non Iddio)
Ash-hadu anna Muhammad r-rasulu-l-lah (x2) (Testimonio che Muhammad è l’Inviato di Dio)
Hayya ‘ala-s-salat (x2) (Venite alla preghiera)
Hayya ‘ala-l-falah (x2) (Venite al successo)
Allahu Akbar, Allahu Akbar (Dio è più Grande)
La ilaha illa-l-lah (Non c’è dio, se non Iddio)
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dell’anima
Musica
Abu Bakr Moretta
La testimonianza di fede islamica “Non c’è dio se non Iddio e Muhammad è l’Inviato di Dio” iscritta su una delle porte del Palazzo Topkapi a Istanbul
Generalmente l’ adhan è solo vocale, anche se nel corso dei secoli in alcune aree geografiche vennero utilizzati strumenti della famiglia delle percussioni, idiofoni e talvolta anche aerofoni, formando dei veri e propri ensemble . Un esempio è alla corte ottomana quando, soprattutto durante il mese di Ramadan , dall’alto di una torre dei giardini del Seray all’alba e al tramonto i loro suoni segnalavano alla comunità l’inizio e la rottura del digiuno. Più che intonare o cantare l’ adhan secondo i termini dalla pratica vocale così come è intesa nella musica in Occidente, il muezzin vocalizza le formule e può passare dal ripetere un singolo suono a sviluppare diverse e ampie sequenze musicali con linee melodiche caratterizzate da veri e propri maqam, ovvero le scale musicali proprie alla civiltà islamica. L’andamento è lento, e i tratti melodici spesso si muovono tra due suoni fondamentali, a distanza di un intervallo di
quarta o di quinta, che in più parti del mondo islamico contraddistinguono la chiamata alla preghiera. Come ricordava ‘Abd al – Haq Isa Croce , un artista musulmano italiano e membro di un ordine contemplativo islamico, «l’ incipit di quinta giusta ascendente segna il passaggio da una dimensione orizzontale (tonica) ad una verticale (dominante), richiamando la necessità di elevarsi dal sonno alla veglia al cospetto della Presenza Divina, quale prefigurazione del Giorno della Resurrezione del giorno alla chiamata della tromba angelica». La ripetizione delle formule consente di passare da una linea melodica semplice, senza articolazioni melismatiche, ad un utilizzo di abbellimenti e fioriture che arricchiscono il passaggio da un intervallo all’altro del maqam, nel rispetto rigoroso della priorità dell’invocazione della formula che con chiarezza e forza è quello di richiamare il cuore del credente ad interrompere le attività quotidiane, onde rivolgersi verso Colui che è all’origine della sua natura e creazione. Non a caso il padre deve recitare nell’orecchio del neonato la chiamata alla preghiera, al fine di orientarlo in questa vita e ricordargli la sua origine nell’Altro Mondo, così come viene recitata la testimonianza di fede presente nell’adhan anche all’orecchio di chi è in prossimità della morte o di chi è già defunto. Il Profeta Muhammad, i maestri e santi nell’Islam insegnano come il senso dell’udito sia l’ultimo dei cinque sensi ad
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Ascolta l’adhan (la chiamata alla preghiera)
abbandonare il corpo.
La Rivelazione Islamica inizia storicamente nel VI secolo d.C., quando Dio rivela il Suo messaggio di Verità nel Sacro Corano dando voce alla lingua sacra dell’arabo durante un ritiro del Profeta Muhammad in una grotta del monte Hira, nella penisola arabica. Fin dai tempi del Profeta il Corano veniva recitato in maniera da sottolinearne il valore sacro e richiamare la comunità dei credenti al timore e al rispetto della Parola di Dio, Allah, nella Sacra Rivelazione, con una salmodia dettata dalla naturale ritmicità della lingua. Infatti, l’arabo è composto da lettere lunghe e lettere brevi che conferiscono un ritmo alla recitazione. Si racconta che ‘Ali ibn Abi Talib, cugino e genero del Profeta Muhammad, affermò che il significato del versetto della sura Al-Muzzamil (L’Avvolto) nel quale Allah dice: «E recita il Corano salmodiando» significherebbe: con una «resa eccellente delle consonanti e delle pause». Da questo insegnamento nasce la scienza della recitazione, ilm al – tajwid, che sviluppa non solo l’articolazione delle consonanti e delle vocali ma anche quelle delle pause. Oggi questa scienza si apprende grazie alle scuole di recitazione e cantillazione presenti nel mondo islamico, dove si insegnano, attraverso regole e discipline precise, i diversi metodi di salmodiare, o meglio cantillare, la Sacra Rivelazione. La recitazione durante la preghiera è eseguita dall’imam, colui che guida e sta davanti alle schiere dei fedeli, e non può essere accompagnata dall’uso di strumenti.
Ascolta la recitazione
Ogni sura (o capitolo) del Corano può essere recitato in modo semplice utilizzando due o tre suoni o in maniera più articolata, con abbellimenti e alcune fioriture. Il rigore e la disciplina nell’accostare la Sacra Rivelazione e la sua recitazione vogliono scongiurare slanci personali sul piano emotivo, nella ricerca estetica fine a se stessa o nel dispiegamento di una tecnica vocale che ecceda nel volume della voce e nei relativi vocalismi, creando così una distrazione per i fedeli o – ancor peggio – illudendo il recitatore di sovrapporre una propria presunta recitazione a quella autentica, guidata dal Profeta Muhammad, al servizio di Dio, Signore della Rivelazione e della Recitazione. L’imam, invece, deve predisporsi a dar voce e suono alla Sacra Rivelazione di Allah, aprendo se stesso e i fedeli all’ispirazione superiore e sovraindividuale della Verità. Allora, nell’articolazione dei sublimi suoni si potrà anche realizzare la straordinaria bellezza di una musicalità sovrannaturale secondo l’insegnamento del Profeta Muhammad: «Dio è Bello e ama la Bellezza».
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Palazzo Topkapi a Istanbul
Nato il 3 dicembre del 1964 a Ventimiglia dove risiede e vive da qualche anno, Abu Bakr Moretta è diplomato in violino e svolge l’attività di violinista sia in concerti cameristici sia in qualità di insegnante di tale strumento in diversi istituti della Provincia di Imperia. Ha partecipato alla scuola permanente di formazione per responsabili religiosi e per imam presso la Moschea Al –Wahid di Milano e un suo sermone è stato pubblicato nel libro “Dentro la Moschea” ed. BUR di Yahya Pallavicini.
Infine in veste di musicista è stato promotore di diversi ensemble con i quali ha partecipato a molteplici progetti di testimonianza religiosa e di dialogo, in Italia e in Francia, per una maggiore conoscenza del patrimonio artistico musicale dell’Islam. Dal 2020 è membro del Consiglio di Amministrazione della CO.RE.IS. Italiana e dal 2022 ne è il presidente.
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Abu Bakr Moretta
Spiritus Choral Festival 2021
Notizie
Un direttore… fuori dal pentagramma
Intervista a Marco Cavazza, nuovo direttore del Coro Regionale dell’Emilia-Romagna
A CURA DI MICHELE NAPOLITANO
Docente di Direzione di Coro e Composizione
Corale al Conservatorio “G. Frescobaldi” di Ferrara
Marco, quali sono state le tue reazioni quando hai ricevuto la proposta per questo incarico di direzione del Coro dell’EmiliaRomagna?
Caro Michele, che piacere ritrovarci. Ci conosciamo da più di vent’anni! Abbiamo studiato insieme al Conservatorio “G. B. Martini” di Bologna e abbiamo vissuto anni importanti nella storia dell’AERCO. Quando abbiamo iniziato a dirigere cori, nel ‘secolo scorso’, non eravamo reperibili ai cellulari perché non c’erano... Le riunioni dell’AERCO erano le uniche occasioni di conoscersi e di scambiarsi spartiti e informazioni prima dell’avvento di internet. Poi, per tanti anni mi sono messo da parte e sono rimasto a guardare un’Associazione che si rinnovava al passo coi tempi e proponeva iniziative concertistiche e didattiche, pubblicazioni, corsi di formazione coordinati da grandi professionisti. Ciascuno un tassello, un aiuto, un modo di pensare che contribuisce al grande progetto di fare grandi progetti.
Una sera di dicembre 2023 il Presidente Andrea Angelini mi dice che si vuole realizzare il Requiem di John Rutter e una masterclass da lui diretta. Non so come sia stato proposto il mio nome per la preparazione del coro ma penso sia arrivato il momento che anch’io possa dare il mio contributo all’Associazione.
Dato l’argomento dell’opera dovrei preoccuparmi? – No, non sono superstizioso! Data la presenza di Rutter dovrei preoccuparmi? – Sì… non so una parola di inglese… Dunque: la sorpresa è stata tanta, so che posso fare qualcosa per
l’Associazione e lo farò. Questa è stata la reazione.
Alla luce della prima prova fatta, ci puoi dire qualcosa in più sui partecipanti attuali?
Ieri [a gennaio 2024, ndr] a Parma la prima prova, molto freddo ma soleggiato. Tutti in una sala meravigliosa con un pianoforte che sembra sapere quello che vuoi e il coro tutto intorno. Al termine ho schiena e collo a pezzi. Sei ore di prove piene. Alla fine fuori è buio: tutti a casa ovunque sia. I partecipanti attuali sono uomini e donne arrivati da tutta la Regione, pieni di entusiasmo. Senza entusiasmo nulla riesce bene nell’arte – noi dell’ambiente lo sappiamo bene… Non conosco ancora i loro nomi, e ancora non conosco le loro storie ma so che vogliono far bene, perché si sente. Vogliono far talmente bene che ogni tanto ‘fanno casino’, ma si sentono l’impegno, la concentrazione, la gioia, la consapevolezza di far parte di un momento unico, irripetibile, “sacro” in un certo senso, che giustifica tutti i sacrifici di una giornata pienissima.
Che profilo dovrebbe avere un corista di questo coro e quali sono i motivi per cui ti senti di consigliare questa esperienza?
Sicuramente tutti coloro che amano il canto corale dovrebbero poter vivere un’esperienza così intensa, profonda e gratificante. In questa particolare situazione i tempi strettissimi che ci troviamo a dover sostenere richiedono un certo grado di preparazione ed esperienza e disponibilità di tempo per lo studio a casa, condizione essenziale per la riuscita. Diciamo che alle prove le parti si presuppongono già in buona parte assimilate per dedicare in presenza tutto il tempo possibile alla parte musicale e al raggiungimento di unione di suono per qualità e
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intonazione. Quest’ultimo aspetto è fondamentale: viene affrontato con cura quando settimanalmente frequentiamo i nostri gruppi corali; a maggior ragione è necessario dedicarvi tempo ed energia in un progetto in cui tante persone si trovano a cantare insieme in modo così saltuario.
Come sono organizzate le prove e come si fa a entrare nel gruppo?
Mi scuserai la battuta: le prove sono organizzate bene, benissimo! E, in fondo, non è una battuta ma il mio modo di ringraziare Mirco Tugnolo che si dedica con grandissimo impegno senza tralasciare alcun particolare, sempre con una straordinaria e incrollabile gentilezza. Nella mia esperienza poter pensare esclusivamente al lato musicale è tutto tranne che scontato. Ritengo sia una grandissima fortuna. Posso dire che durante la prima prova tutti abbiamo pensato solo a cantare. Quando tante persone possono dedicarsi a realizzare un progetto e non si accorgono della preparazione organizzativa che c’è dietro vuol dire che qualcuno ha fatto un lavoro davvero grande e ben riuscito.
Come si fa a entrare nel gruppo? Non penso sia più possibile ma per ogni informazione si può contattare AERCO. Penso che le voci maschili siano sempre ben accette – ci crederesti?
Su che repertorio state lavorando e su quale ti piacerebbe lavorare durante il tuo mandato?
Ma tu hai voglia di scherzare! Mi trovo sul collo il fiato di Mr. Rutter! Mica mi metto a fare altre cose per ora. Il pensiero di fargli fare un sacco di chilometri mi fa sentire una grande responsabilità. Ma più di tutto ci tengo a portare questo bellissimo gruppo corale nella condizione ottimale a potersi esprimere al meglio. Sarebbe davvero bello non preoccuparsi delle “note sbagliate” e pensare solamente a Cantare con la “C” maiuscola. Manca pochissimo tempo: la masterclass si terrà il 10 marzo 2024 a Parma, ho idea che gli iscritti superino di parecchio il centinaio. Anche per loro e per la buona riuscita della giornata si impone un lavoro quanto più possibile accurato. Sicuramente il progetto del Requiem non finirà il 10 marzo ma si farà il possibile per presentarlo in altre occasioni. Le proposte in questo senso stanno già arrivando. Poi con calma penseremo a cosa realizzare. Vorrei ascoltare anche i desideri dei coristi. Sicuramente con un gruppo misto di cinquanta elementi che si trova una volta al mese so cosa non è il caso fare. Sarei comunque un bugiardo se ti dicessi che non ho ancora idee. Ce le ho eccome. Ma per scaramanzia non te le dico.
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Dovessi farti una domanda, Marco, che cosa ti chiederesti?
Mi chiederei: Dovrai preparare e dirigere un Requiem. Credi in Dio? E la mia risposta sarebbe: No Michele, nel modo più assoluto. Credo fortemente nell’amore inteso come forza creatrice dell’uomo. Nel campo dell’arte quanta forza creatrice e quanto amore c’è in un uomo che scrive la Passione secondo S. Matteo! O la Sagra della primavera! O che trasforma una tela bianca in Guernica! C’è tanto amore ogni volta che creiamo con cura. Anche in un tortellino fatto con cura c’è del divino. C’è qualcosa di religioso quando alle prove ci troviamo insieme e incanaliamo il nostro entusiasmo (en theós) e il nostro amore nel ricreare queste opere. E, pure, ci vedo qualcosa di fortemente religioso se penso a tanti animaletti bipedi che si recano insieme, alla stessa ora, e si siedono tutti nella stessa direzione in silenzio ad ascoltare l’esecuzione di un’opera; non è forse un momento di grande “comunione”? Un pesce non riconosce la grandezza della creazione. Quando riusciamo a riconoscere la grandezza dell’amore davanti a queste grandi opere, e sentiamo vibrare qualcosa in noi siamo un po’ in Paradiso. Quando litighiamo per un parcheggio siamo un po’… in Purgatorio.
Hai qualche “sogno nel cassetto” per questo progetto? Ad esempio, un luogo in cui fare un concerto, o l’esecuzione di un brano in particolare, o un tema da affrontare?
Mi conosci e sai che l’idea di poter fare musica in luoghi meravigliosi di cui la nostra regione è piena è un’idea che mi solletica alquanto. A parte questo per me già essere alla direzione musicale di questo progetto è una grande soddisfazione. In generale non ho sogni nel cassetto. O forse non ho cassetti vuoti. Sono molto fortunato ad avere dei cassetti pienissimi. Penso di averli riempiti lavorando per la musica ogni singolo giorno per più di quarant’anni. Più che di sogni parlerei di speranze per questo progetto. Spero di far bene, spero di divertirmi e far divertire, spero di stare bene e fare star bene. Spero sia un orgoglio sempre più grande per tutti coloro che ne fanno parte lavorare in questo gruppo. Spero di non essere picchiato da Rutter. Spero di fare un servizio quanto più soddisfacente per l’AERCO. L’AERCO è ogni coro che ne fa parte, ogni corista che ne fa parte, ogni corista che ancora non ne fa parte, ogni persona che ci verrà ad ascoltare. Ognuno di loro merita il nostro massimo impegno.
Marco Cavazza
Marco Cavazza si dedica quotidianamente alla musica dall’età di otto anni; ha studiato pianoforte con Valeria Cantoni, composizione con Chiara Benati e Cristina Landuzzi, direzione di coro con Tito Gotti e Pierpaolo Scattolin. Si è perfezionato presso il Mozarteum di Salisburgo con Sergei Dorensky. Ha seguito corsi di prassi esecutiva barocca con Emilia Fadini, di musica da camera con Enzo Porta e Francesco D’Orazio e di musica contemporanea con Annamaria Morini e Adriano Guarnieri. Numerosi sono i concerti in Italia e all’estero come pianista, in formazione da camera, come Accompagnatore di cantanti e come direttore di coro. Si è particolarmente dedicato allo studio del repertorio contemporaneo realizzando diverse prime esecuzioni. Numerose pure le realizzazioni discografiche. Unisce all’attività concertistica l’insegnamento in importanti istituzioni musicali. Sempre interessato alla musica corale in tutte le sue forme e generi, dal 2003 ha collaborato per più di dieci anni al “Progetto Cori Scuole Superiori di Bologna” dell’Accademia Filarmonica di Bologna come direttore e organizzatore. È oggi direttore del coro “Armonici senza fili”, del coro femminile “Mosaico” e dei numerosi ensemble strumentali che si sono avvicendati nella realizzazione di progetti e manifestazioni culturali e divulgative della Fondazione “Rocca dei Bentivoglio” di Valsamoggia (Bologna). È inoltre Direttore del coro “CantER” - Circolo Dipendenti della Regione Emilia-Romagna di Bologna fin dalla sua nascita nel 2011.
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Notizie
John Rutter: una masterclass, un evento
DI MIRCO TUGNOLO
Direttore Generale AERCO
Sono passati solo due anni da quando il M° Rutter venne a Parma per la sua prima masterclass targata AERCO. Era il 2022 ed eravamo appena usciti da una serie di rigidissime norme restrittive causate dalla pandemia Covid. Allora, come oggi, l’entusiasmo per un evento del genere non è mai scemato. Anzi! Non appena le pagine social di AERCO hanno iniziato a diffondere le informazioni circa la nuova masterclass, le iscrizioni sono cominciate ad arrivare copiose. Ne sono arrivate tante che si è reso necessario trovare una nuova sede per contenere tutti
gli iscritti. Troppo piccola, infatti, era la Sala da Concerti della Casa della Musica di Parma, sede naturale degli eventi legati alla AERCO Academy. Ecco, quindi, che il bellissimo Auditorium del Carmine del Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma ha spalancato le sue porte agli oltre 280 partecipanti provenienti da moltissime nazioni: Germania, Irlanda, Spagna, Polonia ma anche Argentina e Colombia. Naturalmente il grosso è arrivato dall’Italia, con alcuni cori iscritti per intero. Quando il M° Rutter fu contattato dal Presidente di AERCO, Andrea Angelini, per richiedere la disponibilità a venire in Emilia-Romagna per un nuovo appuntamento, il grande compositore inglese ha accettato subito con entusiasmo. Ecco, quindi,
| 51 JOHN RUTTER: UNA MASTERCLASS, UN EVENTO
La Masterclass di John Rutter a Parma (marzo 2024)
la proposta di Angelini di sfruttare l’occasione per approcciarsi allo studio e all’esecuzione di una delle sue opere più rappresentative ed eseguite del suo repertorio: il Requiem. Scritto nel 1985, in memoria di suo padre, l’opera conobbe subito una enorme fortuna e diffusione. Nei primi sei mesi dalla data di pubblicazione, si contano più di cinquecento esecuzioni solo negli USA. Composto originariamente per orchestra, soprano solista e coro, Rutter ne rielabora anche una versione per ensemble e organo. I sette movimenti che lo compongono sono tratti dallo schema classico dei requiem: Requiem aeternam, Pie Jesu, Sanctus, Agnus Dei e Lux Aeterna. A questi, il compositore aggiunge due brani, in lingua inglese, che si rifanno alla tradizione corale della liturgia anglicana: O ut of the Deep e The Lord is my Shepherd. La masterclass è stata impostata, dietro suggerimento del compositore, senza la presenza dell’orchestra ma con l’aiuto di un pianoforte, suonato da Marco Cavazza, già Direttore del Coro Regionale dell’Emilia-Romagna, dall’oboe di Rebecca Roda e dal violoncello di Francesca Neri. Un piccolo trio che ha saputo però rendere le sonorità basilari tipiche di quest’opera.
All’arrivo in auditorium del M° Rutter i presenti hanno fatto partire un lunghissimo applauso di stima e ringraziamento. La disponibilità e generosità del Maestro nel concedersi a foto, autografi o semplicemente un
saluto vis à vis, sono stati una costante che lo hanno accompagnato per tutta la giornata. Con il suo sorriso e sguardo benevolo, non si è mai sottratto a quelle attenzioni che i suoi fan gli hanno riservato. Alle prime parole, al primo gesto direttoriale di inizio dell’opera, tutti i presenti sono stati rapiti da quest’uomo, il quale
52 | NOTIZIE
Coro Alla Polacca
ha saputo raccontare quest’opera attraverso aneddoti e ricordi. Tra gli iscritti, vanno menzionate le 25 coriste del coro “Alla polacca” di Varsavia, venute appositamente dalla Polonia per studiare l’opera con il suo compositore. Arrivate a Parma il giorno precedente, AERCO ha voluto ringraziarle organizzando un concerto presso la chiesa di San Vitale. Ad aprire l’evento il Coro Giovanile dell’EmiliaRomagna, diretto da Daniele Sconosciuto. Il Coro “Alla Polacca”, diretto da Anna Bednarska, ha eseguito alcune bellissime pagine di musica corale per voci femminile, di autori quali Elberdin, G. B. Martini, Fauré e per finire la versione per voci pari di The Lord bless you and keep you di John Rutter, il quale era presente alla serata.La masterclass è stata anche l’occasione per il debutto della nuova formazione del Coro Regionale dell’EmiliaRomagna, la cui guida, per il 2024 è stata affidata al M° Marco Cavazza. Già direttore di numerose compagini musicali, direttore del Coro Cant-ER di Bologna, docente presso il Conservatorio di Novara, ha saputo raccogliere l’eredità della precedente direttrice Ilaria Poldi, instaurando in tempi rapidissimi, un notevole feeling con tutti i componenti del Coro. La masterclass è stata l’occasione per mettere a frutto le prove organizzate nei mesi precedenti, le quali hanno avuto per oggetto, appunto, il Requiem di Sir John Rutter. La finalità della loro presenza alla masterclass si concretizzerà con una
serie di concerti che il Coro realizzerà nei prossimi mesi sul territorio emiliano-romagnolo, che vedranno protagonista l’opera del compositore inglese unitamente ad altri brani che, per affinità musicale o tematica, bene si abbineranno. Tra gli appuntamenti futuri da segnalare il concerto del 22 giugno presso la chiesa di San Vitale a Parma, in occasione della Festa della Musica. Inoltre, il gruppo sarà ospite della prestigiosa rassegna Soli Deo Gloria di Reggio Emilia e sarà protagonista del Concerto del Ringraziamento, evento benefico bolognese a cura di AERCO in programma il 1° dicembre.
I quasi 50 elementi del CRER – Coro Regionale dell’EmiliaRomagna provengono da formazioni corali associate ad AERCO e che hanno deciso di investire una parte del loro tempo per realizzare progetti musicali importanti e dall’alto valore musicale e corale. La masterclass si è conclusa con l’esecuzione integrale del Requiem, diretto dal suo creatore. Il riverbero dell’ultimo accordo è stato seguito da un lunghissimo applauso rivolto a John Rutter e alla sua musica, la quale ha saputo coinvolgere, emozionare e raccontare una bellissima giornata di metà marzo, iniziata sotto una piaggia battente ma terminata con un sole che ha illuminato, sotto molti aspetti, tutti i presenti.
Alla prossima, Maestro!
| 53 JOHN RUTTER: UNA MASTERCLASS, UN EVENTO
La Masterclass di John Rutter a Parma (marzo 2024)
Notizie
Diverse voci fanno dolci note
AERCO diventa partner del festival Soli Deo Gloria a Reggio Emilia
DI SILVIA PERUCCHETTI
Musicologa e direttrice di FarCoro
Nel 2023 AERCO è divenuta festival partner di Soli Deo Gloria. Organi, Suoni e Voci della Città, festival concertistico concepito per volontà, amore e passione
del direttore artistico Renato Negri (titolare della cattedra di Organo al Conservatorio di Reggio Emilia e Castelnovo ne’ Monti) e che da quasi trent’anni anima con un fitto calendario la vita musicale di Reggio Emilia. La culla di questo ormai storico festival, amatissimo dai Reggiani e che propone da sempre concerti rigorosamente a ingresso libero, è la chiesa di San Francesco da Paola, situata appena al di fuori dal centro storico della città: grazie al restauro ed ampliamento del suo organo (ad opera
Il Coro del Conservatorio di Reggio Emilia e Castelnovo ne’ Monti diretto da Andrea Angelini esegue il Requiem di Fauré nell’ambito del festival Soli Deo Gloria a Reggio Emilia, 2023 (foto di Silvia Perucchetti)
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Il CRER Coro Regionale dell’Emilia-Romagna diretto da Ilaria Poldi esegue il Requiem di Duruflé a Reggio Emilia (4 novembre 2023), nell’ambito del festival Soli Deo Gloria. Organi, Suoni e Voci della Città, di cui AERCO è dal 2023 festival partner (foto di Silvia Perucchetti)
dell’organaro reggiano Pierpaolo Bigi), diventa, dalla prima edizione del 1996, centro di una attività musicale di portata internazionale. Sono nove le stagioni di concerti che si susseguono fino al 2004: il nucleo originario costituito dai concerti d’organo si amplia progressivamente, affiancando allo strumento ensemble strumentali e gruppi corali; la presenza di pubblico è notevole e sorprendente, smentendo così quel luogo comune che vede la musica per organo riservata a una nicchia di specialisti e appassionati. Nel 2005 la svolta, con l’idea di estendere il progetto ad altre chiese della città e - in seguito - della provincia, allo scopo di valorizzare luoghi e spazi e dar voce agli organi presenti su tutto il territorio reggiano. La stagione diviene così Soli Deo Gloria. Organi, Suoni e Voci della Città: il motto SDG, con cui Johann Sebastian Bach siglava le sue composizioni, unito al sottotitolo testimoniano la volontà di coniugare la dimensione universale della musica con la valorizzazione del patrimonio locale, organario, architettonico (i concerti permettono di riscoprire spazi di singolare bellezza, a volte sconosciuti
ai più o inaccessibili nel corso dell’anno) e vocale (dando spazio ai cori attivi in città e provincia). Da allora Soli Deo Gloria ha portato a Reggio Emilia i più importanti interpreti della musica antica e barocca, come Ton Koopman, Ottavio Dantone, Trevor Pinnock, i Tölzer Knabenchor, La Reverdie, Sigiswald e Wieland Kuijken, Gustav Leonhardt, il conduttore di Radio3 Paolo Terni e tanti altri; grande rilievo ha avuto l’esecuzione, pressoché annuale, di capolavori del grande repertorio bachiano, dalla Messa in si minore (in occasione della riapertura della Cattedrale restaurata, 2008) a varie cantate di Bach, alle integrali delle Sonate e Partite per violino solo, a quella delle Variazioni Goldberg, del Clavicembalo ben temperato, delle Suites francesi e inglesi, delle Partite per clavicembalo e delle Sonate per violino e cembalo. Negli ultimi anni la collaborazione con AERCO si è fatta poi sempre più stretta, dedicando molti concerti del calendario alle compagini corali del territorio, promuovendo rassegne e invitando cori da tutta Italia e dall’estero.
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Il Coro Filarmonico di Modena Luigi Gazzotti diretto da Giulia Manicardi nell_ambito del festival Soli Deo Gloria a Reggio Emilia, 2023 (foto di Silvia Perucchetti)
L’edizione 2023
Nella stagione 2023 fondamentale è stato il nuovo ruolo assunto da AERCO come festival partner; fra gli eventi di maggior rilievo spicca l’esecuzione dei due grandi Requiem di Fauré e Duruflé (il primo eseguito dal Corso di esercitazioni corali del Conservatorio di Reggio Emilia e Castelnovo ne’ Monti diretto da Andrea Angelini, il secondo dal CRER Coro Regionale dell’Emilia-Romagna diretto da Ilaria Poldi). Il Coro Luigi Gazzotti di Modena diretto da Giulia Manicardi si è esibito nella Basilica della Beata Vergine della Ghiara, proprio nell’anno in cui il coro compie 100 anni dalla sua fondazione, mentre tre cori uniti (il Coro Polifonico di Santo Spirito di Ferrara, il Coro Gli Antènori di Padova, la Nova Symphonia Patavina di Padova) hanno proposto il Requiem del grande polifonista cinquecentesco spagnolo Cristóbal de Morales. È destinato a rimanere a lungo nella memoria dei fortunati ascoltatori inoltre il concerto del CGER Coro Giovanile dell’Emilia-Romagna diretto da Daniele Sconosciuto, che ha incantato per la scelta del repertorio sacro contemporaneo unito a soluzioni spaziali di grande impatto.
Protagonisti delle rassegne corali sono poi stati diversi cori del territorio reggiano: Coro Gospel and More, Fonte Armonica Ensemble, Coro Mavarta di S. Ilario, Cappella Musicale San Francesco da Paola e Amorosa Concordia - una collaborazione fra Coro Polifonico Sant’Anselmo di Lucca e Coro Città di Castellarano); ancora, il concerto della Schola medievale del Coro Paer di Colorno diretta da Ugo Rolli, che ha eseguito musiche dal Llibre Vermell de Montserrat , dal Codice Montpellier e dalle Cantigas de Sancta Maria con l’accompagnamento di strumenti antichi, e uno splendido suggello a chiusura del festival, con gli ensemble Flos Musicae e Delirium Amoris che hanno proposto cantate di J. S. Bach e J. Pachelbel. Arrivederci al 2024!
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| 57 DIVERSE VOCI FANNO DOLCI NOTE
Flos Musicae e Delirium Amoris diretti da Giorgio Musolesi eseguono cantate di Bach nell’ambito del festival Soli Deo Gloria a Reggio Emilia, 2023 (foto di Marcello Romani)
Il CGER diretto da Daniele Sconosciuto nell’ambito del festival Soli Deo Gloria a Reggio Emilia, 2023 (foto di Silvia Perucchetti)
Repertorio
Ave Maria
Alla Vergine del Santo Rosario di Fontanellato
DI FABIO CIAPONI
Compositore
Dopo aver fermamente giurato in quinta elementare che non avrei mai avuto nulla a che fare con la musica, eccomi ad affrontare gli studi di Composizione nella classe del M° Luca Tessadrelli a Parma. Per conciliare l’inclinazione compositiva e la vocazione verso il sacro, ho proseguito gli studi al Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, studiando con i Maestri Italo Bianchi, Maria Luisa Balza e Valentino Miserachs Grau. Parallelamente alla formazione accademica, le numerose possibilità musicali incontrate nel contesto liturgico e la partecipazione costante a celebrazioni cantate, anche in qualità di cantore della Cappella Giulia e collaboratore di altre diverse realtà corali, hanno contribuito all’ampliamento di una pratica vocale e corale a servizio della liturgia. Nasce così questa Ave Maria . Le potenzialità conosciute da quelle frequentazioni sono state maestre nella ricerca di un tessuto articolato sulle quattro voci canoniche di un coro misto, disegnando melodie e armonie che ricercano sonorità oggi ampiamente usate nella scrittura corale contemporanea, senza però allontanarsi da un realismo compositivo che rende effettivamente possibile interpretazione ed espressiva esecuzione. Come eseguirlo? Dando senso al testo e seguendo le poche indicazioni scritte che vogliono essere più intuizioni per l’espressione che altro.
SCHEDA TECNICA
Anno di composizione: 2013
Organico: SATB
Durata: 2’15’’ ca.
Prima esecuzione: Chiaravalle della Colomba, Abbazia di Chiaravalle della Colomba, 23 agosto 2015, Schola Columbae
Prima pubblicazione
64 | AERCO Coro Giovanile dell’Emilia-Romagna
REPERTORIO
Fabio Ciaponi
AVE MARIA | 59
60 | REPERTORIO
AERCO supporta i giovani nello sviluppo della loro formazione corale-musicale e sociale al fine di preservare le tradizioni e, allo stesso tempo, di affrontare nuovi repertori. Il Coro Giovanile dell’Emilia Romagna, nato nel febbraio 2017 per volontà di AERCO, è composto da coristi provenienti dal territorio regionale di età compresa tra i 18 e i 35 anni.