Farcoro 02-2023

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Unich, un direttore nell’alluvione

Primo Piano Notizie CantaBO 2023 Storia William Byrd
n. 2 / 2023

FARCORO

Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori Maggio-Agosto 2023

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IN COPERTINA

Concorso Corale Nazionale Giuseppe

Savani 2023 - Ensemble Vocale Calycanthus, direttore Pietro Ferrario. Vincitore del Gran Premio e 1° posto nella categoria Voci Miste.

FarCoro n. 2 / 2023

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Editoriale 01 DI SILVIA PERUCCHETTI La lettera del Presidente 02 DI ANDREA ANGELINI Primo Piano 04 Il Concorso delle meraviglie DI MIRCO TUGNOLO Unich, un direttore nell’alluvione DI MATTEO UNICH Storia 10 William Byrd DI ANDREA ANGELINI Popolare 16 Arturo Zardini DI GIULIANO RUI “...e più forti dei cannoni noi sarem!” INTERVISTA A MANUELA ROSSI A CURA DI FRANCESCA CANOVA Analisi ................................................................ 24 Analisi strutturale del madrigale spirituale DI LUCA BUZZAVI Un Coro per tutti .................................................. 31 Per una nuova coralità a partire dalla Voce-Persona DI MARINA MUNGAI Tecnica ............................................................... 34 Sbagliando si inventa DI SERENA SALERNO Didattica 38 Giro in tondo 2 DI TULLIO VISIOLI Repertorio 43 Ave Maria DI CORRADO PESSINA Notizie 46 Autunno, è tempo di CantaBO! DI ELIDE MELCHIONI I (primi) 50 anni dei Ragazzi Cantori di S. Giovanni-Leonida Paterlini DI MARCO ARLOTTI I 50 anni dei Ragazzi Cantori, una tradizione che viene da ben più lontano… DI MARCO ARLOTTI Various Voices 2023 DI MARCO BOSCOLO E NICOLA MAINARDI

Cari Lettori, ricordo bene la telefonata di Andrea Angelini in cui mi proponeva di entrare nella Redazione di FarCoro: accettai subito, dato che si preannunciava come un’occasione unica per coniugare alcune delle mie passioni più care - la coralità, scrivere di musica, e la divulgazione. Ora, a distanza di due anni, la sorpresa di ricevere la proposta di dirigere la rivista è stata ancora più emozionante. Fin da subito sono stata accolta da questa Redazione con entusiasmo, e per prima cosa desidero ringraziare il direttore uscente Sandro Bergamo per l’eccellente lavoro di coordinamento e per la costante fiducia nei confronti dei redattori, segno di grandi apertura e curiosità nei confronti dei più vari repertori e approcci alla coralità (curiosità, a mio parere, niente affatto scontata). Non da ultimo, devo a Sandro molti consigli di cui già ho avuto modo di beneficiare nel gestire l’uscita di questo secondo numero di FarCoro 2023. Oltre ad Andrea Angelini per la fiducia che ripone in me in tanti settori della vita di AERCO, ringrazio fin da ora i redattori per prezioso lavoro d’equipe e do il benvenuto ad Alessio Romeo, che da questo numero fa parte della nostra squadra.

Le prossime uscite della rivista si prennunciano piene di idee e spunti di approfondimento che

spero risulteranno non usuali, andando a toccare in dossier e interviste repertori profondamente radicati nella tradizione di tanti cori ma che meritano rinnovata considerazione: lo spiritual e il repertorio lirico, novità relativamente recenti come il folk corale di ispirazione irlandese (che vedo appassionare sempre più cantori) e repertori cantati per secoli ma solo di recente oggetto di riscoperta in sede esecutiva (come il canto fratto, una sorta di canto gregoriano tardo, ritmico e talvolta a due voci, diffuso nelle nostre chiese ancora fino alla prima metà del ‘900).

Oltre alle rubriche di matrice storica, didattica, di analisi e sul popolare proseguiranno naturalmente Un coro per tutti (incentrata su musicoterapia e proposte di coralità ‘a tutto tondo’, secondo un’ottica nuova, scientifica, che indaga e valorizza il coro come grande strumento per migliorare il benessere della persona), Tecnica (in questo numero troverete un bell’articolo sull’improvvisazione come strategia didattica), Musica dell’anima e la sezione Repertorio , con la partitura di una agile composizione corale scritta ai nostri giorni (spesso da un giovane autore) da scoprire e - perché no - provare a leggere con il proprio coro.

Buona lettura dunque!

Editoriale
SILVIA PERUCCHETTI Direttore Responsabile
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C oro

La lettera del Presidente

Le

difficoltà dei cori emilianoromagnoli nell’affrontare

l’alluvione di maggio 2023

L’Emilia-Romagna è stata recentemente colpita da una devastante alluvione nel mese di maggio 2023. Questo disastro naturale ha causato gravi difficoltà a molte persone e settori, non ultimi i cori. Questi, che rappresentano un importante tessuto culturale e comunitario, hanno affrontato sfide significative a causa degli allagamenti, dimostrando comunque grande resilienza nel cercare di superarle. Le forti piogge e le inondazioni hanno avuto un impatto significativo sull’infrastruttura delle città emiliano-romagnole. Alcune sale prove, teatri e luoghi di esibizione sono stati danneggiati dalle acque in tempesta. Questo ha causato una drastica riduzione delle opportunità per i cori di esibirsi e ha messo a rischio la sopravvivenza di alcuni di loro.

Le strade allagate e i danni alle infrastrutture di trasporto hanno reso difficile per i coristi residenti nelle province colpite raggiungere le loro prove e gli eventi programmati. Le restrizioni di viaggio e gli avvisi di sicurezza hanno ulteriormente complicato gli spostamenti, causando la cancellazione o il rinvio di molte esibizioni. I cori hanno dovuto affrontare l’organizzazione di trasporti alternativi, spostando le date dei concerti e adattando i loro programmi per far fronte alle difficoltà logistiche. L’alluvione ha anche causato danni significativi agli strumenti musicali utilizzati dai gruppi corali. L’acqua, la fanghiglia e i detriti hanno compromesso la funzionalità di molti strumenti, rendendoli inutilizzabili o richiedendo costose riparazioni. Per i cori con risorse limitate, la sostituzione o la riparazione degli strumenti

2 | LA LETTERA DEL PRESIDENTE

danneggiati è un’ulteriore sfida finanziaria da affrontare. Gli effetti dell’alluvione non si sono limitati solo ai danni materiali. Alcuni coristi hanno sperimentato una perdita personale o hanno subito danni alle loro abitazioni a causa delle forti piogge. Questo ha avuto un impatto significativo sullo stato emotivo e morale, influenzando la loro capacità di partecipare alle attività musicali. Comunque, nonostante le numerose difficoltà causate dall’alluvione, i cori romagnoli hanno dimostrato una notevole resilienza. Molti gruppi hanno organizzato concerti benefici per raccogliere fondi per le comunità colpite, dimostrando solidarietà e impegno nella ricostruzione. Alcuni cori hanno trovato alternative creative, come l’utilizzo di spazi temporanei per le prove e la collaborazione con altri gruppi musicali per esibizioni condivise. Questa capacità di adattamento e di superare le avversità ha dimostrato la forza e la determinazione dei cori della nostra regione. AERCO, con il sostegno e la collaborazione di FENIARCO ha avviato una campagna di solidarietà nazionale atta alla raccolta di fondi da donare sia alle popolazioni colpite sia alla realizzazione di progetti musicali di rinascita. Nel retrocopertina troverete

tutte le info per partecipare a questa manifestazione di solidarietà che terremo accesa sino a Natale. Il sostegno della comunità locale e l’aiuto reciproco sono fondamentali nel superare questa crisi e nel prepararsi a un futuro in cui la musica corale possa risuonare ancora una volta con forza e bellezza nelle terre emiliano-romagnole.

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Alluvione in Emilia-Romagna

Il Concorso delle meraviglie

A Carpi, la 2° edizione del Concorso Corale Nazionale Giuseppe Savani

Le premesse erano buone. Una cittadina, Carpi, assolutamente a misura di concorso: accogliente, ricca di arte, cultura e convivialità. Luoghi di primissimo ordine: l’Auditorium S. Rocco e lo splendido Teatro Comunale. Un’ottima sinergia con l’Amministrazione locale e le realtà economiche del territorio. Insomma, non poteva che essere un successo. E così è stato! Un concorso neonato, con alle spalle un’unica edizione realizzata dopo 2 anni di restrizioni sanitarie che aveva visto “solo” 7 iscritti alla categoria competitiva e 5 al non-competitiva, si è presentato al mondo corale attraverso un passaparola e qualche post sui social. Risultato: 19 cori iscritti alle varie categorie competitive e 8 gruppi al festival non competitivo. Ma andiamo con ordine. Dal 21 al 23 aprile, Carpi è stata la sede della 2° edizione del Concorso Corale Nazionale intitolato al compositore carpigiano Giuseppe Savani,

con il patrocinio di Ministero della Cultura, Regione Emilia-Romagna, Provincia di Modena, Comune di Carpi, Unione delle Terre d’Argine, Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi e FENIARCO. La struttura del concorso è stata impostata semplicemente: una parte non competitiva, per tutti quei cori che non avevano intenzione di gareggiare, ma che comunque avevano la voglia di inserirsi in un contesto musicale prestigioso. Una parte competitiva suddivisa in 4 categorie: cori a voci miste, cori a voci bianche/voci pari, cori gospel/ spiritual/pop e infine i cori di ispirazione popolare. Il primo appuntamento del festival non competitivo, venerdì 21 aprile, presso l’Auditorium San Rocco, ha visto protagonista la Corale “Antonio Vivaldi” di Gambettola (FC) diretta da Rosita Paolucci, la Corale “Giovanni Pierluigi da Palestrina” di Carpi, diretta da Giulio Pirondini, il Coro “San Lazzaro” di

Primo Piano 4 | PRIMO PIANO
DI MIRCO TUGNOLO Direttore Generale AERCO Gruppo Vocale Novecento, diretto dal Maestro Maurizio Sacquegna, 1° posto nella categoria Cori di Ispirazione popolare

Modena diretto da Veronica Zampieri e il Coro “La Fonte” di Cognento (MO) diretto da Cecilia Fontana. L’Auditorium, messo a disposizione della Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi, è risultato gremito di persone pronte ad applaudire tutte le compagini. Sabato 22, presso il Teatro Comunale, è iniziata la parte competitiva con i cori della Categoria gospel/spiritual/ pop con il Coro “Gospel Soul” di Carpi diretto da Grazia Gamberini e la Corale “Maniaghese” di Maniago (PN) diretta da Cristina Del Tin. Successivamente è stata la volta della categoria dei cori di ispirazione popolare con il Coro Giovanile “Valsugana Singers” di Borgo Valsugana (TN) diretto da Giancarlo Comar, il Gruppo Vocale “Novecento” di San Bonifacio (VR) diretto da Maurizio Sacquegna, il Gruppo Costumi Tradizionali Bisiachi di Turriaco (GO) diretto da Antonella Costantini e il Coro da Camera “Antonino Giunta” di Calascibetta (EN) diretto da Carmelo Capizzi. La giornata di è conclusa con il festival non competitivo con il Coro “Armonico Ensemble” di Carpi, diretto da Alessandro Pivetti, il Coro “Croma col punto” di Fagagna (UD) diretto da Orfeo Venuti, il Coro “Valle del Lambro” di Besana in Brianza (MB) diretto da Marco Villa e il Coro “La Capricciata” di Cislago (VA) diretto da Antonella Moretti. Domenica, sempre nella splendida cornice del Teatro Comunale di Carpi, si svolta la categoria regina del concorso: cori a voci miste. A contendersi il titolo il Coro “La Capricciata” di

Cislago (VA) diretto da Antonella Moretti, il Gruppo Vocale “Kantor” di Roma diretto da Daniele Cacciani, l’Ensemble Vocale “Calycanthus” di Parabiago (MI) diretto da Pietro Ferrario, la Corale Collecchiese “Mario Dellapina” di Collecchio (PR) diretta da Leonardo Morini, il Coro “Luca Lucchesi” di Motta di Livenza (TV) diretto da Marco Girardo e il Gruppo Corale “Licabella” di La Valletta Brianza (MB) diretto da Flora Anna Spreafico. Nel pomeriggio è stata la volta della categoria Voci Pari/Voci Bianche con il Coro Giovanile “Valsugana Singers” di Borgo Valsugana (TN) diretto da Giancarlo Comar, il Coro di Voci Bianche “Il Calicanto” di Salerno diretto da Milva Coralluzzo, il Coro “Piccoli Cantori delle Colline di Brianza” di La Valletta Brianza, diretto da Flora Anna Spreafico, il Coro “Voci Bianche” di Rimini, diretto da Maria Elvira Massari, il Gruppo Vocale “Garda Trentino” di Riva del Garda (TN) diretto da Enrico Miaroma, il Coro “Melos” di Montodine (CR) diretto da Luca Tommaseo e infine il Gruppo Vocale “Novecento” di San Bonifacio (VR) diretto da Maurizio Sacquegna. La Giuria, coordinata dal Direttore Artistico Andrea Angelini, era composta da importanti esponenti del mondo musicale e corale nazionale. Presidente di giuria, Mario Lanaro, compositore, didatta e docente presso l’Istituto Diocesano di Musica Sacra di Vicenza. Fabrizio Barchi, direttore pluripremiato con le sue formazioni corali è stato docente di Direzione di Coro in diversi conservatori d’Italia. Franca Floris, esperta di vocalità, direzione di coro e interpretazione corale, già direttrice

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IL CONCORSO Coro Gospel Soul, direttrice Grazia Gamberini. 1° posto nella categoria Gospel/Spiritual/Pop

di diverse compagini, attualmente impegnata in attività di giurata in molti contesti nazionali e internazionali.

Franco Radicchia, diplomato in Tromba, Musica Corale e Direzione di Coro, ha partecipato a numerosi progetti

musicali oltre che essere docente di Teoria, Analisi e Composizione presso alcuni importanti istituti musicali.

Claudia Rondelli, già membro della Commissione Artistica di AERCO, è docente di Accompagnamento

PRIMO PIANO
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Coro Giovanile Valsugana Singers, direttore Giancarlo Comar. 2° classificato nella categoria Cori di ispirazione popolare Gruppo Vocale Garda Trentino, diretto dal maestro Enrico Miaroma, 1° premio nella categoria Voci Bianche/Voci Pari Coro da camera Antonino Giunta, diretto da Carmelo Capizzi, Menzione speciale per l’originalità della proposta artistica

pianistico presso il Conservatorio di Parma. Infine, in un concorso non può mancare la premiazione. Ecco che il palco del Teatro Comunale si è trasformato in un podio assegnando numerosi riconoscimenti. Vincitori della Categoria Voci Misti sono stati il Coro “Calycanthus” – 1° Premio, il Gruppo Corale “Licabella” – 2° premio e il Gruppo Vocale “Kantor” – 3° posto. Per la categoria Voci Bianche/Voci Pari, il 1° premio è stato assegnato al Gruppo Vocale “Garda Trentino”, mentre il 2° premio è andato al Gruppo Vocale “Novecento”. Infine il terzo posto è stato assegnato al Coro “Piccoli Cantori delle Colline di Brianza”. La categoria Gospel/spiritual/pop ha visto premiare entrambe le formazioni partecipanti: 1° premio al Coro “Gospel Soul”, 2° premio alla Corale “Maniaghese”. Per la categoria Cori di Ispirazione popolare, la giuria ha assegnato il primo premio al Gruppo Vocale “Novecento”, il secondo premio al Coro Giovanile “Valsugana Singers” mentre il terzo premio è stato assegnato al Coro da Camera “Antonino Giunta”. Premio speciale assegnato al miglior direttore a Daniele Cacciani del Coro “Kantor”.

Infine, il Gran Premio. I primi 2 cori di ogni categoria si sono sfidati per aggiudicarsi il premio più ambìto e “pesante”: un trofeo ceramico realizzato e decorato a mano da maestri ceramisti romagnoli e un contributo economico di 3000 euro. Dopo una camera di consiglio di poco più di mezz’ora, la giuria ha espresso il suo verdetto: a vincere il riconoscimento è l’Ensemble Vocale “Calycanthus”

di Parabiago (MI) diretto da Pietro Ferrario. Un teatro colmo di spettatori ha applaudito e salutato i vincitori e i cori partecipanti a questa memorabile edizione.

| 5 IL CONCORSO DELLE MERAVIGLIE IL CONCORSO
Ensemble Vocale “Calycanthus”, direttore Pietro Ferrario. Vincitore del “Gran Premio” e 1° posto nella categoria Voci Miste Daniele Cacciani del coro Kantor riceve il Premio “Miglior Direttore” da Andrea Angelini, Presidente AERCO Coro Voci Bianche di Rimini. Direttrice Maria Elvira Massari.

Unich, un direttore nell’alluvione

DI MATTEO UNICH

“D. C. al fine” dicevano gli spartiti, di gloriosa memoria, delle arie cosiddette col da capo, frequenti, se non obbligatorie, nell’opera barocca. Le due lettere iniziali indicavano appunto “da capo”, ripartire dall’inizio. È questa la sensazione che ho provato, la mattina di sabato 20 maggio dell’anno in corso, quando sono rientrato a casa mia dopo quarantotto ore di permanenza dell’acqua all’interno della stessa (delle quali trentasei condivise

con essa, l’acqua al pianterreno e noi al primo piano). Da capo: ripartire dall’inizio, magari - secondo la prassi dell’epoca - con variazioni. Vedere gli oggetti raccolti in tutta la tua vita, e che ti aiutavano a viverla, galleggiare in un metro d’acqua, o sommersi da essa (valga per tutti il pianoforte elettronico, completamente immerso e ricoperto di acqua fangosa), la scrivania capovolta, il divano galleggiante, il televisore rovesciato a terra, una grandissima quantità di spartiti accumulati con amore - lo dico senza vergogna, amo la musica, quindi amo gli spartiti che ci permettono di tramandare le idee geniali dei compositori anche dopo centinaia di anni dalla loro scomparsa terrena - resi inutilizzabili e illeggibili dall’acqua entrata in casa, in modo inaspettato (gli allarmi riguardavano Lugo sud e ovest, io abito a Lugo centro) la mattina di giovedì 18 maggio. Reset , ripartire, ricominciare, mettersi le mani sui fianchi, guardarsi attorno e poi cominciare a raccogliere, pulire dalla melma il salvabile (ben poco) e buttare tutto ciò da cui mai, e poi mai, e poi mai avresti voluto separarti. I danni materiali, i mobili, la lavatrice, il frigorifero, il televisore, mettiamoci pure il pianoforte e gli spartiti, sono ingenti, ma in qualche modo sopportabili. Certo, si tratta di una batosta economica molto forte. Quello che non è sopportabile, invece, è il dolore emotivo, il senso di violazione subita, di stupro della tua intimità domestica da parte di una forza cieca e inarrestabile: il fuoco è terribile, ma presto o tardi lo domi, l’acqua no, non la fermi, và dove vuole e resta finché non decide lei di andarsene. Tutte quelle cose che davo per scontate, il libro del quale conoscevo con certezza la collocazione, le partiture corali o orchestrali che sapevo che mi sarebbero servite presto o tardi, libri di strumentazione,

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Direttore del Coro Casa della Carità di Lugo (RA)

di contrappunto, di armonia (si è salvato Schönberg, non l’ha voluto nemmeno l’acqua), tutte andate. La memoria torna all’indimenticabile Rutger Hauer e al monologo finale di Blade Runner, il film capolavoro di Ridley Scott: “tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia”. Fortuna ha voluto che le mie partiture di opere liriche e di composizioni sinfoniche fossero collocate in alto, in scaffali che hanno resistito alla piena. Una consolazione, magra, ma comunque presente. Io dirigo tre cori, siti in tre località diverse: Ravenna, Lugo, Barbiano di Cotignola. Alcuni dei miei coristi hanno condiviso questa tragedia, hanno avuto l’acqua in casa (da me un metro, 98 cm per gli amanti della precisione, da alcuni loro molto di più) e magari non avevano un primo piano nel quale rifugiarsi: io ho salvato tutti i vestiti, per esempio, altri hanno perso anche quelli; molti altri hanno avuto poco o nulla, e si sentono in colpa per non aver subito anch’essi la stessa sorte: dico sul serio, molte persone che hanno avuto magari l’acqua che ha lambito la loro porta, o che si è fermata a cinquanta metri da casa loro, adesso aiutano come possono e cercano di perdonarsi per non aver avuto danni, cosa della quale io sono invece profondamente grato. Anche qui, reazioni diverse: c’è stato chi ha detto che non se la sentiva di cantare in un momento simile e chi, invece, non vedeva l’ora di ricominciare, di perdersi nella musica, di allontanarsi mentalmente dalla realtà fangosa per abbeverare lo

spirito all’acqua pulita e cristallina della musica e del coro. E il naufragar m’è dolce in questo mare, disse il Poeta. Da capo: noi direttori di coro queste due semplici parole, tre sillabe in tutto, le diciamo spesso, magari cogliendo di sfuggita un’occhiataccia esasperata da parte di un corista e sorridendo interiormente perché sappiamo che a volte è importante ripartire dall’inizio per avere la consapevolezza globale del pezzo che stiamo provando, una visione complessiva di tutto il brano. Adesso tocca a noi: Da capo, si ricomincia. Magari con variazioni.

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William Byrd

Compositore cattolico in un regno anglicano

La vita e le attività di William Byrd, compositore elisabettiano per eccellenza, mostrano tanti legami con il mondo letterario del suo tempo. Come compositore di musica vocale profana, Byrd conosceva e utilizzava la poesia coeva come testo per le sue opere e, probabilmente, conosceva personalmente molti poeti di spicco. Per molti anni detenne il brevetto per la stampa musicale, controllando di fatto l’ampia diffusione della poesia attraverso la musica (sia nei suoi canzonieri che in quelli di altri compositori dell’epoca) e offrendo una rara visione del complesso mondo dell’editoria e del mecenatismo. Le prefazioni ai suoi numerosi volumi stampati di musica vocale lo indicano come un autore riflessivo e articolato, seriamente interessato alla natura del rapporto tra poesia e musica. Anche la sua vita privata coinvolse i soci dei circoli culturali. Byrd era un cattolico praticante e il racconto della sua vita mette a fuoco una piccola ma importante sottocultura di cattolici recusanti che occupavano posizioni di rilievo nella società elisabettiana, un gruppo che comprendeva anche eminenti letterati. William Byrd nacque intorno al 1543 e il commento di Anthony Wood in Athenae Oxonienses1 (1691-1692), secondo cui «fu allevato da Thomas Tallis», ha fatto

1. Anthony Wood, Athenae Oxonienses: An Exact History of All the Writers and Bishops Who Have Had Their Education in the University of Oxford … To Which Are Added the Fasti, or Annals of the Said University, Londra, R. Knaplock, D. Midwinter & J. Tonson, 1721 (1. ed. Londra, Thomas Bennet, 1691): storia esatta di tutti gli scrittori e vescovi che hanno avuto la loro formazione nell’Università di Oxford; a cui si aggiungono i Fasti, o Annali della suddetta Università.

supporre che fosse uno dei coristi della Cappella Reale e che, quindi, sarebbe stato introdotto alla liturgia cattolica e alla sua musica in giovane età. Non si sa nulla di certo sulla famiglia di Byrd e veramente poco sui suoi primi 20 anni di vita. La prima notizia documentata della sua carriera risale al 1563, quando accettò un posto di organista presso la Cattedrale di Lincoln e, a quanto pare, iniziò a comporre musica liturgica inglese. Fu nominato cantore della Cappella Reale nel febbraio 1570, ma sembra che non abbia lasciato l’incarico a Lincoln fino al 1572, quando si presume che abbia iniziato a condividere le responsabilità di organista della Cappella Reale con l’anziano Thomas Tallis. Nel settembre 1568, mentre era ancora a Lincoln, Byrd sposò Juliana Birley; i loro due figli maggiori, Christopher ed Elizabeth, furono battezzati a St. Margaret-in-the-Close nel 1569 e nel 1572. Un terzo figlio, Thomas, nato nel 1576, prese il nome del suo padrino, Thomas Tallis, ed è l’unico dei figli di Byrd che divenne musicista. Juliana Byrd dev’essere probabilmente morta intorno al 1586 e Byrd sposò una seconda donna, Ellen. Altri due figli, Rachel e Mary, sono menzionati in documenti successivi, ma le loro date di nascita non sono registrate e non si sa se fossero figli di Juliana o

Storia
DI ANDREA ANGELINI Presidente AERCO
STORIA 10 |
Cantiones Sacrae - William Byrd

di Ellen Byrd. I compositori di musica nell’Inghilterra del tardo Rinascimento dipendevano, ancora di più delle loro controparti letterarie, dal patrocinio di persone ricche e famose e Byrd sembra aver avuto un’eccellente capacità nel negoziare queste vie di sostegno. Raggiunse l’apice del successo nella Cappella di Elisabetta pur rimanendo fedele al desiderio espresso nel suo testamento di «vivere e morire da vero e perfetto membro della santa Chiesa cattolica di Dio». La lista dei notabili elisabettiani che gli offrirono il loro aiuto, e i tempi e i luoghi in cui gli fu offerto, suggeriscono che la sua devota adesione alle sue credenze e pratiche religiose non fu un ostacolo e che anzi potrebbe essere stata un vantaggio nel fornirgli i contatti di cui aveva bisogno. Dal 1575 al 1596 Byrd e Thomas Tallis detennero il brevetto reale per la stampa di musica in Inghilterra. Insieme pubblicarono, nel 1575, le Cantiones Sacrae . Il volume fu dedicato a Elisabetta I, probabilmente come gesto di ringraziamento per la concessione del brevetto; conteneva mottetti latini, quattordici di Tallis e quattordici di Byrd, alcuni dei quali legati alla liturgia cattolica romana e pubblicizzati nelle prefazioni come «forieri di fama per la musica inglese sul continente». La pubblicazione di questa raccolta fu apprezzata e riconosciuta nei circoli letterari, poiché il noto pedagogista e grammatico elisabettiano Richard Mulcaster fornì una serie di versi elogiativi per abbellirne l’apertura. Come impresa commerciale, tuttavia, il volume non ebbe successo. Byrd e Tallis cessarono le pubblicazioni e, mentre Elisabetta venne in aiuto di Byrd con l’affitto di una proprietà quando l’attività editoriale non si dimostrò redditizia, tutta la stampa musicale in Inghilterra languì per i successivi tredici anni. La collaborazione terminò con la morte di Tallis nel 1585, anche se Byrd mantenne il monopolio. Intorno al 1577 Byrd trasferì la sua famiglia a Harlington, nel West Middlesex, dove visse fino al 1592. Questa residenza e Stondon Place, la successiva e l’ultima casa di Byrd, assumono significato per il loro ruolo evidente nella sua vita religiosa: da questo momento in poi il suo coinvolgimento aperto con la comunità cattolica aumentò. I primi indizi documentati del reclusorio di Byrd si hanno con il trasferimento a Harlington nel 1577, quando la sua prima moglie, Juliana, fu citata per non aver partecipato alle funzioni della chiesa riformata. Le citazioni continuarono regolarmente, il nome di Juliana era spesso accompagnato da quello di John Reason, un servitore di casa Byrd, e nel 1580 il nome di Byrd cominciò a comparire negli elenchi di coloro che erano sospettati di fornire luoghi di incontro ai ricusanti2. Nel 1583 John Reason fu sorpreso a consegnare una lettera del compositore, insieme ad alcune sue musiche, a una famiglia cattolica. In quell’anno Byrd fece parte di un gruppo di cattolici

che si incontrarono con alcuni noti gesuiti, tra cui il poeta Robert Southwell (noto come missionario gesuita), padre William Weston (un sacerdote gesuita) e un altro missionario gesuita, padre Henry Garnet, in un’assemblea di otto giorni che comprendeva una messa cantata con coro e strumentisti. Dal 1585 Byrd stesso cominciò a essere incluso nelle citazioni per l’assenza dalle funzioni. L’intensificarsi delle attività di Byrd come recluso non sembra aver influenzato la sua vita professionale. Esiste una quantità importante di musica composta per la liturgia inglese, tra cui due servizi completi (il “Breve” e il “Grande”) e altri due servizi parziali, una litania, tre preci con salmi o risposte (petizioni antifonali o preghiere) e più di 60 inni inglesi o pezzi devozionali simili, molti dei quali per uso liturgico. Per motivi stilistici, Joseph Kerman ha collocato la composizione del Great Service, l’opera più significativa di Byrd per la liturgia anglicana, negli anni ‘80 del 1500. Sembra probabile che anche gran parte della restante musica liturgica inglese risalga a questo periodo intermedio, sebbene nessuna delle musiche ecclesiastiche inglesi, ad eccezione degli inni e dei canti devozionali, sia stata pubblicata durante la vita del compositore, rendendo impossibile una datazione precisa.

2. Ricusanti: nome con cui nei secoli XVI-XVIII furono indicati, in Inghilterra, coloro i quali si «rifiutavano» di assistere alle pratiche del culto nazionale anglicano.

WILLIAM BYRD COMPOSITORE CATTOLICO IN UN REGNO ANGLICANO | 11
Ritratto di Elisabetta I, 1585 (attribuito a William Segar)

Nel 1588, nonostante le restrizioni che si diceva rendessero la stampa di musica tutt’altro che redditizia, Byrd riprese la pubblicazione della musica che lui e Tallis avevano interrotto, trasformando questa volta l’impresa in un’attività piccola ma fiorente, con maggiore importanza per l’apprezzamento e la diffusione della letteratura. Aggiunse altri due volumi alle Cantiones (1589 e 1591, dedicati rispettivamente ai mecenati cattolici Charles Somerset, conte di Worcester, e John Lumley, barone Lumley) ed entrò nel commercio della musica non strettamente liturgica con Psalmes, Sonets & songs of sadnes and pietie (Salmi, sonetti e canti di tristezza e di pietà) nel 1588 e Songs of sundrie natures (Canti di diverse nature) nel 1589, questi ultimi dedicato a Henry Carey, barone Hunsdon, che era lord ciambellano e cugino di primo grado della regina. Tutti e quattro i volumi comprendono opere che circolavano manoscritte nel decennio precedente e molte di esse presentano testi attribuibili a noti poeti. Oltre ai salmi della raccolta del 1588, molti dei canti profani sono di carattere moralistico (come le due poesie attribuite a Sir Edward Dyer, I Joy Not in No Earthly Bliss e My Mind to Me a Kingdom Is ), compaiono accanto a proposte più mondane come O you that hear this voice di Sir Philip Sidney (il sesto

brano da Astrophil and Stella , 1591), Farewell, false love, the oracle of lies di Thomas Deloney e If women could be fair and never fond. Questo volume contiene anche un’ambientazione di strofe tratte da Why do I use my paper, ink, and pen di Henry Walpole, scritta come epitaffio per il padre gesuita Edmund Campion, giustiziato nel 1581. La raccolta del 1589 contiene un’ambientazione di una delle poesie moralistiche di Geoffrey Whitney tratte da A Choice of Emblems (1586), cinque delle quali apparvero nell’ultimo volume profano del 1611. È chiaro, quindi, che le stesse composizioni vocali di Byrd furono un veicolo comune per la diffusione della poesia dell’epoca. Byrd fu anche responsabile della pubblicazione di circa dieci volumi di musiche di altri compositori; il suo ruolo di editore gli permise di svolgere un ruolo ancora più importante nel rendere la composizione letteraria e musicale molto più accessibile al pubblico. La maggior parte dei brani contenuti in queste raccolte, come le composizioni dello stesso Byrd, hanno uno stile musicalmente conservatore. Due dei libri, tuttavia, sono raccolte di madrigali italiani con testi in inglese, Musica

Transalpina di Nicholas Yonge (1588) e Italian Madrigals Englished di Thomas Watson (1590), che diedero impulso alla nuova moda dei madrigali in Inghilterra. Watson era un

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La Congiura delle polveri - Guy Fawkes interrogato da James “I e VI”. Dipinto di Sir John Gilbert, 1869-70.

noto poeta e Yonge, pur essendo un musicista, aveva contatti regolari con un circolo letterario. Ognuno dei loro volumi includeva due dei primi madrigali originali inglesi, con musica dello stesso Byrd, annunciata in modo evidente insieme all’autorizzazione di Byrd alla pubblicazione sul frontespizio. In Musica Transalpina i contributi di Byrd sono stati musicati sulle traduzioni di due parti dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto (1532), mentre in Italian Madrigals Englished Byrd si è dedicato anche ai versi inglesi, fornendo due diverse ambientazioni di This Sweet and Merry Month of May di Watson, presumibilmente su richiesta di quest’ultimo. In questo modo il compositore-editore si affermò chiaramente all’avanguardia della confluenza di letteratura e musica nel Rinascimento inglese. Quando Byrd ripristinò la stampa di musica nel 1588, il mercato doveva essere sostanzialmente stagnante. Le prefazioni e le epistole dedicatorie allegate alle raccolte del 1588-1591 indicano la necessità di sviluppare acquirenti per la musica stampata, cosa che Byrd apparentemente riuscì a fare. Byrd sembra preoccupato di accontentare tutti e con quasi tutti i mezzi. Nell’ Epistola al lettore all’inizio di Psalmes Songs & Sonnets, annuncia il suo intento di fornire canzoni adatte a tutti gli umori e a tutti gli stati d’animo, dichiarando: «Se ti diletti di musica di grande respiro, ecco diverse canzoni, che essendo originariamente fatte per gli strumenti per esprimere l’armonia e per una sola voce per pronunciare la canzoncina, sono ora incorniciate in tutte le parti per le voci per cantare lo stesso». L’enfasi è sull’ampio richiamo, non sull’effetto artistico. L’idea è confermata poche frasi dopo, quando dice: «Qualunque sia la fatica che ho fatto qui, riterrò di averla ben impiegata se la stessa sarà ben accettata, e la musica sarà così più amata e più esercitata». Nella nota prefatoria a Songs of Sundry Natures dell’anno successivo, Byrd dichiara che «la mia ultima impressione sulla musica... ha avuto un buon passaggio e una buona espressione» e che «da quando è stata pubblicata, l’esercizio e l’amore per quest’arte [sono] aumentati in modo considerevole». Il compositore è quindi «incoraggiato a dedicarvi ulteriori sforzi e a rendere te [il barone Hunsdon, il dedicatario] partecipe, perché vorrei mostrarmi grato a te per il tuo amore e desideroso di deliziarti con la varietà, di cui (a mio parere) nessuna scienza è più abbondantemente adornata della musica». Nel 1592 o 1593 Byrd si trasferì a Stondon Massey, nell’Essex, dove visse fino alla fine della sua vita. La casa, Stondon Place, apparteneva a William Shelley, un simpatizzante dei gesuiti che aveva rinunciato alle sue proprietà per aver partecipato a un complotto per insediare Maria, regina di Scozia, sul trono inglese. Byrd, per uno strano scherzo del destino, la prese in affitto

dalla Corona, ottenendo da Elisabetta, nel 1595, un contratto di locazione che estendeva il diritto di occupazione della famiglia fino alla vita del figlio Christopher e delle figlie Elizabeth e Rachel. Dopo la morte di Shelley nel 1597, la vedova tentò di sfrattare Byrd, avviando una lunga e difficile battaglia legale, ma Byrd tenne duro e, dopo la morte della signora Shelley nel 1610, acquistò Stondon Place da John Shelley, l’erede della proprietà. Nonostante avesse affittato Stondon Place dopo averla incamerata da una famiglia cattolica, questa mossa sembra essere stata congeniale, se non motivata, dal desiderio di Byrd di mantenere una vita religiosa attiva come cattolico. L’area era una delle tante nell’Inghilterra elisabettiana in cui si raggruppavano famiglie di reclusi, e la famiglia Petre, che viveva vicino a Stondon Massey a Ingatestone, manteneva una congregazione clandestina di reclusi. I Petre furono mecenati di Byrd, destinatari delle dediche di alcune composizioni pubblicate da Byrd, e durante gli anni 1590 egli probabilmente compose la maggior parte, se non tutta, della sua musica per la liturgia cattolica da utilizzare nelle messe celebrate nella loro casa. Il secondo libro dei Gradualia è dedicato a Lord Petre di Writtle in termini che suggeriscono fortemente che questa musica fu composta per l’uso nelle funzioni in casa Petre. (Il primo libro dei Gradualia era dedicato al cattolico Henry Howard, conte di Northampton e secondo figlio del poeta Surrey). Per tutto questo periodo e fino alla fine della sua vita, Byrd e altri membri della sua famiglia continuarono a essere citati per recidiva, come in un passaggio dell’11 maggio 1605 del registro diocesano di Chelmsford, (gli Essex Archidiaconal Records), che nomina anche la sua seconda moglie, Ellen: «William Byrd [e] Elena [sua moglie, presentata] come recusanti papisti. È un gentiluomo della Cappella della Maestà del Re e, come hanno sentito il ministro e i guardiani della chiesa, il suddetto William Byrd, con l’assistenza di un certo Gabriel Colford che ora si trova ad Anversa, è stato il principale e più importante seduttore di John Wright. ... E la suddetta Ellen Byrd, come è stato riferito e come hanno confessato i suoi servitori, ha fissato degli affari nel giorno di sabato per i suoi servitori allo scopo di tenerli lontani dalla Chiesa... e la suddetta Ellen rifiuta la conferenza, e il ministro e i commissari della Chiesa non hanno ancora parlato con il suddetto William Byrd perché è fuori casae sono stati scomunicati in questi sette anni». Dopo il 1590 Byrd scrisse di più per la liturgia cattolica romana, utilizzando il suo monopolio di stampa per pubblicare tre messe dal 1593 al 1595 circa; sebbene nessuna di queste abbia un frontespizio, la paternità di Byrd è chiara. I suoi mottetti di questo periodo, dopo la pubblicazione delle Cantiones del 1589 e del 1591, utilizzano testi liturgici, in

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contrasto con i testi devozionali dei mottetti precedenti, suggerendo che erano destinati all’uso nel rito piuttosto che alle devozioni personali. Questi mottetti liturgici furono pubblicati nel 1605 e nel 1607 nelle due serie di Gradualia, pubblicazioni audaci anche per Byrd, poiché coincidevano con la rinascita dell’anticattolicesimo in Inghilterra a seguito del Gunpowder Plot (la congiura delle polveri3); entrambe le serie sembrano essere state ritirate e ripubblicate nel 1610. Sono considerevolmente più brevi e meno elaborati dei mottetti non liturgici delle Cantiones , in linea con il loro apparente uso nelle celebrazioni della messa nelle famiglie recusanti. Dopo il 1596 Byrd non detenne più il monopolio della stampa musicale. Non pubblicò più nulla fino al 1605 e nessuna nuova musica profana fino a Psalms, Songs and Sonnets (1611). Questo volume riassume la personalità pubblica di quest’uomo brillante e ambizioso; dedicato a Francis Clifford, conte di Cumberland - che non era cattolico - il volume include alcune canzoni tratte da libri precedenti, ma è composto soprattutto da opere composte nei 20 anni successivi. La prefazione di Byrd è radicalmente

diversa da quella che era apparsa nei libri precedenti, adottando un tono nuovo e meno lezioso, esortando alla cura e alla pratica nell’esecuzione dei suoi brani e sostituendo l’esortazione ai potenziali acquirenti delle prime raccolte con una toccante dichiarazione di un uomo quasi settantenne: «L’inclinazione naturale e l’amore per l’arte della musica, in cui ho trascorso la maggior parte della mia età, sono stati così forti in me, che anche nei miei vecchi anni, desiderosi di riposo, non riesco a trattenermi dal dedicarmi ad essa». La preoccupazione nell’indirizzo «A tutti i veri amanti della musica» è rivolta all’esecuzione piuttosto che all’acquisto, alla discriminazione e al gusto piuttosto che all’ampiezza del pubblico, e l’impulso a creare piuttosto che a vendere sembra aver determinato la decisione di pubblicare.

Byrd morì, presumibilmente a Stondon Place come desiderava, il 4 luglio 1623 e si presume che sia stato sepolto lì. Nel 1923, in occasione del terzo centenario della sua morte, fu posta una lapide commemorativa nel muro della chiesa di Stondon. L’unico ritratto conosciuto di William Byrd è opera di G. Van der Gucht e non è attendibilmente autentico, poiché fu inciso intorno al 1729 per essere utilizzato in una storia della musica non pubblicata di Niccolò Francesco Haym.

La musica vocale di Byrd è stata talvolta definita non letteraria, perché non risponde alle sfumature di un testo poetico nel modo in cui il madrigale e la successiva canzone per liuto del Rinascimento inglese l’avevano resa famosa. La raccolta di canzoni del 1611 è la fonte della nota dichiarazione che la sua musica è «incorniciata alla vita delle parole», ma ciò che Byrd intendeva con questo era in qualche modo diverso dall’estetica dell’ambientazione del testo favorita dai suoi contemporanei. Il lavoro di Byrd può essere visto come incentrato sull’ascoltatore come lettore, che rende la poesia più accessibile rafforzando i suoi contorni formali e la sua forza retorica, in modo che le parole stesse siano percepite chiaramente e accuratamente. Per Byrd, la musica utilizzata in questo modo aveva uno scopo morale: facilitare la comprensione di testi importanti. Si ritiene anche che fosse più interessato a offrire un servizio alla sua chiesa che a corteggiare il favore dei posteri. La storia, tuttavia, ha conferito a Byrd una venerazione che non

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3. La congiura delle polveri, o congiura dei Gesuiti (in inglese  The Gunpowder Plot, oppure Jesuit Treason) del 1605 fu un complotto progettato da un gruppo di cattolici inglesi a danno del re protestante Giacomo I d’Inghilterra, conclusosi con un fallimento. William Byrd

viene accordata a molti. Durante la sua vita godette della più alta stima concessa a un musicista dalla sua società: gentiluomo della Cappella Reale dal 1570 alla sua morte, fu lodato dal suo famoso allievo Thomas Morley come un grande maestro; John Baldwin, che copiò il My Lady Nevell’s Book, afferma in un lungo poema manoscritto sui musicisti contemporanei che Byrd «eccelle su tutti in questo momento» e fu perfino esaltato nel Cheque Book della Cappella Reale, al momento della sua morte, come «il Padre della Musica». Henry Peacham, in The Complete Gentleman (1634), offre alcuni stravaganti elogi per un musicista le cui composizioni dovevano sembrare ormai fuori moda: «Per i mottetti e la musica di pietà e devozione, sia per l’onore della nostra nazione che per il merito dell’uomo, preferisco sopra ogni altro la nostra fenice, il signor William Byrd, che in questo genere non so se qualcuno possa eguagliare. Sono sicuro che nessuno

lo eguaglia, anche secondo il giudizio della Francia e dell’Italia, che sono molto parsimoniose nell’elogiare gli stranieri per la presunzione che hanno di sé stesse».

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Stondon Place - Lapide a William Byrd

Arturo Zardini

Il padre di Stelutis Alpinis

Prima di capire chi fu mio nonno materno Arturo Zardini (1869-1923), del quale ricorre quest’anno il centenario dalla morte, è meglio fare un quadro sull’ambiente in cui nacque e visse sino alla sua prematura morte, cioè sulla Pontebba e Pontafel che fin dalla notte dei tempi furono il confine tra due popoli diversi per storia e cultura: quello friulano/ italico e quello carinziano/asburgico. Già dai tempi del Patriarcato di Aquileia il confine arrivava sino al torrente Pontebbana, mentre dalla sponda opposta iniziava il territorio sotto il dominio di Bamberg. I rapporti tra i due popoli, salvo qualche periodo, furono buoni e specie nelle calamità il soccorso era reciproco, e i matrimoni misti non erano infrequenti.

Arturo Zardini nacque a Pontebba (UD) il 9 novembre 1869 da Antonio e Khatarina Gortani: la madre era nativa di Malborghet (allora Austria) e il padre proveniva da Cormons (GO). All’età di 7 anni fu mandato alle scuole primarie comunali del paese, dove frequentò solo le prime tre classi con il maestro don Rodolfo Tessitori, che era anche cappellano del luogo. Fin da piccolo dimostrò una spiccata sensibilità musicale ed una eccezionale passione per la cornetta. Il primo direttore di banda che Zardini conobbe fu il Kolbe. Fu questi che, notando nel fanciullo tanta predisposizione per la musica, gli impartì le prime cognizioni, chiamandolo quindi a far parte della sua banda come allievo cornettista.

Verso i 15 anni emigrò in Austria, ritornò a Pontebba nel 1887 a diciotto anni; nel 1888 si arruolò nel Regio Esercito e venne destinato, come allievo cornettista, nella banda del 36° Reggimento Fanteria di stanza a Modena. La sua preparazione specifica poté così iniziare regolarmente, ed in breve tempo assunse nella banda militare il ruolo di

primo cornettista. «Quando portava alla bocca la tromba, era formidabile», ricordavano i coetanei. L’autorità militare infatti, notate le sue capacità eccezionali, dopo averlo nominato nel 1893 sotto capomusica, lo manda all’Istituto musicale di Alessandria, dove frequenta un corso quadriennale di armonia e contrappunto sotto la guida del maestro Cicognani. Successivamente, rientrato al corpo, viene iscritto ad un corso annuale di perfezionamento presso il Liceo Musicale Rossini di Pesaro. Fu Cicognani a presentarlo, quale uno dei suoi migliori allievi, all’esame di licenza di Strumentazione per Banda nell’agosto 1899.

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DI GIULIANO RUI
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Storico e biografo di Arturo Zardini Zardini a Modena, circa 1898

Ebbe esaminatore il maestro Giuseppe Perosi, padre del grande Lorenzo Perosi e venne abilitato all’esercizio della professione il 15 agosto 1899 ottenendo il diploma di Direttore di Banda. Poté così finalmente «avendo tutte le carte in regola» essere nominato Capo musica di banda militare presso il suo 36° Reggimento Fanteria «Pistoia». Arturo ricordava poi sempre con affetto il suo maestro e l’Esaminatore, come coloro che l’avevano assai benevolmente incoraggiato nell’arte. In un concorso Musicale del 1901 indetto dalla Società Artistica Musicale Diritto e Giustizia di Palermo otteneva un diploma di I grado con medaglia d’argento per una sonata a soli archi. Lasciata la vita militare, ritornò nella nativa Pontebba, e nel suo tinello, seduto al pianoforte, si ispirava a musica varia: dalla religiosa (aveva composto una bella messa, che oggi non esiste più) alle marce, alle canzoni, alle classiche e patetiche villotte. Prese parte anche a concorsi di musica, nei quali aborriva dall’esercitare pressioni; ebbe lettere di congratulazioni dal Re, esortazioni a farsi conoscere, a mettersi in vista; ma volle rimanere tranquillo con la sua musica. Nel 1902, per onorare una promessa di matrimonio, si congeda dall’esercito con il grado di Furier Maggiore (Maresciallo Maggiore) rientra a Pontebba e poco dopo viene assunto come applicato all’anagrafe comunale. Subito diventa motore trainante del paese e nello stesso anno costituisce il primo coro con statuto del Friuli, un coro che porterà allo splendore (con una uscita anche internazionale), e che nel 1911 si esibì con successo a Tarvis (allora Austria). Il 18 febbraio 1903 mantenne fede alla promessa e sposò Maria Nassimbeni; il 9 dicembre dello stesso anno nacque Angelina Caterina Eva che, a nemmeno un anno di vita, il 10 ottobre 1904 morì. Il dolore dei genitori fu davvero grande; ma le disgrazie non finirono lì, perché la madre Maria, già malata di tisi (Arturo ne era stato sempre a conoscenza), seguì la figlioletta il 21 maggio 1905. Ad Angelina il compositore dedicò una simpatica villotta, Birichine , recuperata casualmente

solo pochi anni fa (fu composta quasi certamente fra 1903 e 1904, ed è la partitura zardiniana più datata esistente). Seguirono anni di tristezza e malinconia in cui il maestro si dedicò a comporre musica sacra. Nel 1908, vedovo da tre anni, conobbe e sposò in seconde nozze la diciannovenne Elisabetta Fortuzzi, figlia di un sorvegliante emiliano delle ferrovie, da poco giunto a Pontebba. Con Elisa ebbe quattro figliole e un figlio: Angelina, deceduta a due anni per difterite, Elvira, Angelina, Antonio (l’agognato maschietto che visse solo alcune ore il 10 dicembre 1920) e Anna, nata quaranta giorni prima della morte del padre.Modesto era nel vestire, semplice nei modi, senza alcuna pretesa di far valere o di farsi compensare i parti della sua genialità musicale. Componeva i suoi canti e ne faceva omaggio ad amici e a personaggi ragguardevoli, senza talora avere l’avver tenza di trattenersi l’originale o una copia della composizione. Teneva ben poco di conto i suoi i lavori e prima di renderli pubblici chiedeva consiglio agli amici e principalmente alla moglie Elisa. Il coro e la banda durarono sino al 21 maggio 1915, quando i pontebbani e i dirimpettai pontafelesi dovettero lasciare le loro case - tutte nella zona divenuta prima linea - per iniziare un doloroso esilio attraverso la penisola. Zardini si rifugiò prima a Moggio Udinese poiin seguito alla ritirata di Caporetto - a Firenze, seguendo praticamente il Comune di Pontebba, ove continuò a svolgere il suo incarico di applicato. Stelutis Alpinis venne cantata per la prima volta a Firenze, la città dei profughi friulani, dove - ferito nel più intimo degli affetti di cittadino e di friulano - si trovava rifugiato anche lo Zardini. In Firenze, sgorgarono dal suo animo (anche se non furono subito musicati) 5 canti pieni di una delicata nostalgia, che portano i profughi e non solo ad amare, ma ad attaccarsi ancor di più alla loro madre terra, il Friuli. È

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Nella foto: confine austriaco di Pontafel (dal 1919 diventa Pontebba)

qui, nel mese di gennaio 1918, che con grande nostalgia per la sua terra nasce Stelutis : la canzone fu composta alla trattoria «Al Porcellino» (nell’omonima piazza) e per “testarla” Zardini riunì alcune persone amiche (poche in confronto a quelle del suo coro) che provavano il canto, esprimendo il loro entusiasmo e la loro ammirazione, sia per le parole che per la musica. Rimpatriato nel 1919 si ritrovò fra i suoi coristi superstiti (molti perirono infatti nella Grande Guerra) e riorganizzò la Società Corale

Pontebbana, incassando successi e molti applausi nei più noti centri della Provincia e della Regione; e il 5 dicembre 1920, nella sala del palazzo Bartolini a Udine (oggi biblioteca comunale), la Società eseguì per la prima volta pubblicamente Stelutis Alpinis, sotto la direzione dell’autore. Zardini compose molte villotte: attualmente, dopo anni di ricerche (molte composizioni vennero smarrite e distrutte durante la Grande Guerra) ne sono state recuperate oltre 30; vi sono poi inni e marce militari ( Derna e Ascari ) e musica sacra, andata in parte persa. Il 5 febbraio 1922 veniva creato Cavaliere della Corona d’Italia. In quest’ultimo tempo attendeva con rinnovata passione ad istruire la vecchia e nuova banda cittadina, ma il 20 ottobre lo colpiva la dolorosa malattia che doveva fatalmente strapparlo agli innumerevoli amici ed ammiratori. Sopportò con serenità edificante i 75 giorni di malattia, ricordando anche fra i dolori del male le sue composizioni profane e sacre, cantandole agli amici che lo visitavano. Spirò nell’Ospedale di Udine alle ore 12 del 4 gennaio 1923, e venne seppellito con i massimi onori a Pontebba il 6 gennaio. Morì per uremia, non diagnosticata, a 53 anni, lasciando una famiglia (la moglie Elisa e tre bimbe) nella disperazione e un grande vuoto in paese e in Friuli.

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Manoscritto originale di Stelutis Alpinis, 1921 Lapide a Firenze, 2008; a pochi passi da qui nel 1918 nacque Stelutis Alpinis

Stelutis Alpinis in concerto e in disco

Stelutis Alpinis, celebre brano polifonico che narra di un alpino morto nella Grande Guerra che si rivolge alla propria sposa, ricordandole che lui, come la stella alpina, le saranno sempre accanto, è stata eseguito da innumerevoli formazioni di tutto il mondo. Fra questi i Philippines Madrigal Singers di Manila, il coro Tone Tomsic di Lubiana, il Vancouver Youth Choir (Canada), il Coro Marmolada di Venezia (che ha anche contribuito al recupero di molte composizioni di Zardini), il Coro Monte Cauriol, il Coro regionale del Friuli-Venezia Giulia, il Vôs de Mont diretto da Marco Maiero, il quartetto vocale Armonía di Buenos Aires e la banda militare della polizia argentina, il coro universitario giapponese “Fantasia” di Senzoku e naturalmente il Coro della SAT, vero artefice della diffusione e della fama di cui Stelutis e Zardini hanno goduto nel repertorio corale popolare dagli anni ’50-’60 ad oggi.

La prima incisione discografica del brano, nel 1927, si deve al coro udinese a voci maschili “Alberto Mazzucato” diretto dal M° Adelchi Demetrio Cremaschi, per La Voce del Padrone (una serie di 8 dischi comprendenti 16 brani friulani, tra cui Stelutis ); il Coro della SAT lo incise invece per l’etichetta Odeon-Carisch nel secondo Dopoguerra (la registrazione è datata 24 aprile 1949), sebbene lo avesse in repertorio dalla metà degli anni ‘30.

Degni di nota anche i compositori e i cantautori che hanno rivisitato il brano, come Antonio Pedrotti per il Coro della SAT, Mario Lanaro, Lamberto Pietropoli e

Francesco De Gregori, che l’ha tradotto in lingua italiana interpretandolo a voce sola nell’album Prendere e lasciare (1996).1

1. Per le informazioni sulla discografia e le prime esecuzioni di Stelutis alpini s si ringrazia Franco Colussi; per approfondire si rimanda a Bruno Rossi, “ Il çant dal Friul”. Dischi e registrazioni storiche del Friuli (Pizzicato, 2009) e a Franco Colussi, Uno scherzoso inedito di Arturo Zardini nel centenario della sua morte , in «Choralia», n. 100 (aprile 2023), pp. 21-22 e I-III.

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Arturo Zardini

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“...e più forti dei cannoni noi sarem!”

Intervista a Manuela Rossi, presidente del Coro delle Mondine di Novi di Modena

DI FRANCESCA CANOVA

Direttrice di coro

Perché la nostra storia?

Perché non abbiamo altro da lasciare, la nostra eredità è l’eredità di donne che hanno combattuto e pianto, faticato e sofferto, riso e cantato, comunque hanno vissuto per ciò che oggi sembra così naturale e scontato. (dal “Manifesto della Mondina” di Manuela Rossi)

È bello pensare al canto delle Mondine, delle nostre mamme, nonne e bisnonne come un tesoro nostro, un bene immateriale dell’umanità da tutelare, un po’ come ha scelto l’Unesco proteggendo il canto a tenore sardo. Dobbiamo difendere tradizione, repertorio e tecnica di quei canti che, condizionati dai cambiamenti sociali, ecologici e culturali rischiano di scomparire anche se parlano di noi e possono ancora testimoniare energia e resilienza in musica. Il “Coro delle Mondine di Novi di Modena” rappresenta una testimonianza viva e vivace di una tradizione che riprende forma attraverso il canto. Il coro è composto da più di 20 “ragazze”, le eredi delle vere “mondariso” fondatrici del gruppo; sono figlie, nipoti di mondine o semplicemente donne che amano le tradizioni popolari. Il primo nucleo corale risale agli anni ’70 grazie al maestro Torino Gilioli, colpito dalle voci così “pulite e spiegate” di ragazze accomunate dall’esperienza in risaia. Alla scomparsa del Maestro, prende le redini del progetto Maria Giulia Contri, profonda conoscitrice della musica popolare, il cui intento è stato ricercare continuamente nuove espressioni musicali valorizzando gli ideali che un

tempo avevano consentito la conquista di diritti umani inalienabili, consegnandoli come testimone alle giovani generazioni. Inizia con lei un altro viaggio fatto di grandi esperienze, portando presenti e toccanti testimonianze nel proprio comune modenese con concerti in centri sociali, scuole, circoli, teatri, piazze e esibendosi all’estero, in Francia, Belgio, Lussemburgo, Slovenia, Bulgaria, Cecoslovacchia, Ungheria, Crimea, Argentina, Irlanda, Stati Uniti, Canada, Scozia, sottolineando ulteriormente l’universalità di un messaggio solidale veicolato dalla musica. Importanti e fruttuosi sono gli scambi culturali (Puglia, Campania) e arricchenti le “contaminazioni musicali” tra generi, generazioni e discipline (Fiamma Fumana, Modena City Ramblers, Tupamaros, Flexus di Carpi in una esperienza innovativa ed esaltante con le canzoni di Fabrizio De André, con Cisco rivisitando in chiave rock le canzoni della tradizione popolare italiana, Ginevra Di Marco, Paolo Fresu, Le chemin des femmes, Ivana Monti, e tanti altri). Tra le partecipazioni a festival: Musicultura Festival di Macerata, Terra madre a Torino, Festival of Colors di Detroit, Celtic Connections “Voci Dal mondo” in Scozia, Ragnatela della Taranta ed una alla “Notte della taranta” in Puglia, Ventennale del “Folk Club” presso Teatro Regio di Torino, Festival dell’Oralità (TO), Festival della Lentezza Veneto. Sono protagoniste del film “Di madre in figlia”, regia di Andrea Zambelli, prodotto da Davide Ferrario, che ha rappresentato l’Italia in festival di tutto il mondo con grandi consensi di pubblico e di critica, testimonianza di un passaggio di testimone da generazione a generazione con interessanti spunti folkelettronici. Con la prematura scomparsa di Maria Giulia Contri il testimone è passato a Giulia Berni, che per una bellissima maternità ha dovuto cedere la bacchetta a Fulvia Gasparini, già direttrice di cori ed insegnante di musica. Giulia e Fulvia hanno colto lo spirito del progetto che è alla base del Coro, un progetto che vuole sostenere,

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proteggere, divulgare, con semplicità, umiltà, attraverso musica e racconti, la storia della “mondina”, icona di un femminismo ante litteram, da sempre in prima linea per la conquista dei diritti, con la rinnovata sfida di condurlo a nuove esperienze, delle quali parleremo in questa intervista con la presidente Manuela Rossi.

Innanzitutto cosa rappresenta il canto per una mondina: un mezzo, uno sfogo, una testimonianza?

Innanzi tutto è una eredità, l’eredità delle nostre madri, zie, nonne che attraverso le loro storie di fatica, di miseria, di sacrificio e di lotta hanno conquistato spazi in tempi in cui la donna era solo la madre di …, la moglie di…, la sorella di… La musica poi è stata ed è tutt’ora un potente lenitivo della fatica, della sofferenza. La musica scende dolcemente nella mente, nelle membra e scioglie ansie e dolori e porta pace.

Mi ha colpito la frase presente sul vostro sito: cantiamo come una volta, “con i piedi nell’acqua”. Come vi preparate vocalmente, quale è la vostra tecnica e i vostri consigli per avere una voce così squillante e pulita come la vostra?

“Con i piedi nell’acqua” è il titolo di un mio libro in cui sono raccolti i testi dei primi dieci anni di spettacoli, perché nei nostri concerti ogni canzone è preceduta dalla lettura di una pagina in cui si racconta non solo la vita in risaia,

ma si parla di resistenza, di vita contadina, soprattutto si parla molto di donne, donne il più delle volte anonime, a sottolineare l’umiltà, la semplicità con cui in fila, unite dalla medesima condizione, scendevano in acqua a mondare il riso e da quelle schiene chine, per non sentire il dolore e la fatica, dal profondo dell’animo, scaturivano voci inimmaginabili, aperte, spiegate, rivoluzionarie. Sotto la guida della nostra direttrice, ogni mercoledì sera ci troviamo per rivedere il nostro repertorio, affrontare nuovi pezzi, preparare spettacoli. Non ci sono tecniche particolari, c’è una grande passione e la voce esce naturalmente. Quelle di noi che hanno avuto la fortuna di crescere vocalmente con le nostre anziane cercano di trasferire questo patrimonio alle più giovani, ma il nostro rimane un canto spontaneo fatto di amore e di solidarietà.

Vi ho ascoltato più volte in concerto, il vostro canto mi ha coinvolto empaticamente. Potere della musica o del vissuto?

L’una e l’altro. Credo che il pubblico recepisca tutta la carica, la grinta che mettiamo nel canto, nei racconti di un passato che faceva della miseria, delle sopraffazioni il fondamento di valori quali solidarietà, comunità, dignità. Tutti motivi che portarono a lotte, a ribellioni ed a conquiste di cui ancora oggi beneficiamo.

Come avviene la scelta del repertorio: c’è una ricerca di testimonianze dirette? Una scelta prettamente musicale?

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Il nostro repertorio è molto ampio. Raccontare la storia attraverso i concerti, lasciare alle sole canzoni popolari il compito di tramandare una tradizione, una cultura che nel tempo rischiava di perdersi, ci ha dato un senso di incompletezza. Così dal 2001 è nata l’esigenza di rinnovare lo stile del racconto, di andare in profondità, di sperimentare nuovi modelli di comunicazione, di cercare un linguaggio più vicino ai giovani per farsi capire, per continuare a raccontare e cantare di piazza in piazza, di villaggio in villaggio, di dialetto in dialetto, la storia della mondariso. Nascono così diversi momenti di narrazione che, in sintonia con le canzoni, sono diventati un vero e proprio “spettacolo teatrale” fatto di racconti, storie, ispirati dalle testimonianze delle più anziane, che sottolineano quanto già le canzoni popolari evidenziano, che danno vita a voci di donne, a generazioni diverse che hanno condiviso le stesse esperienze.

Come si strutturano le vostre prove?

Sotto la guida della direttrice si rivisita il repertorio che più frequentemente viene richiesto o ci si cimenta in nuove canzoni cercando da noi stesse, in base alla nostra voce, le giuste tonalità, perché non dimentichiamo che le “mondine” la musica non la conoscono. Ascoltiamo e ci ascoltiamo, la direttrice ci aiuta a rafforzare le varie voci in modo più organizzato ed armonico rispetto a quel canto spontaneo che scaturiva quando le mondine lavoravano chine in risaia, ma comunque sempre in sintonia con quella tipologia di voci che si alzavano squillanti, quasi selvagge ed anarchiche, eppure così “pulite e spiegate”.

Quale è il brano che più vi rappresenta e perché?

Penso “Bella ciao della mondina”. Racchiude tutta la sofferenza, tutta la fatica ma anche la voglia di riscatto. Noi poi abbiniamo questo pezzo al “Bella ciao del partigiano” che nasce posteriormente.

Come testimonianza diretta delle vostre donne: come il canto è stato resilienza e come il coro ha armonizzato i dolori e le fatiche?

Il canto per le nostre mondariso era sfogo, ribellione, un urlo contro la miseria, la fatica, i padroni che le sorvegliavano dall’argine, era sorellanza perché, unite da una stessa sorte, riuscivano ad amalgamare le voci, e tutto questo ha portato alla nascita del coro, ed ancora oggi aleggia questo spirito perché unite siamo veramente

invincibili e questo il pubblico lo percepisce.

Molti brani hanno un potente e trascinante aspetto ritmico, che mi ricorda alcuni degli intenti di work song internazionali, per alleviare le fatiche e accompagnare gesti lavorativi ripetuti. Cosa vi hanno raccontato di specifico le vostre mondine? C’erano dei canti favoriti che aiutavano le mansioni delle donne? Come venivano scelti i canti?

Ho scoperto nel parlare con le più anziane che a loro interessava cantare, cantare, cantare. Le canzoni dell’epoca, quelle trasmesse dalla radio, quelle imparate dalle mamme o dalle nonne, quelle per capirci che hanno decenni di storia e di cui non si conoscono gli autori, anche quelle politiche, insomma dare voce alla propria anima. Ma gli stornelli erano una vera passione. Si trattava di gare canore tra le varie squadre di risaiole. Rime completamente inventate che prendevano in giro ora l’una ora l’altra squadra e alcune di queste strofe le abbiamo conservate e fanno parte del nostro repertorio.

La vostra storia è molto ricca, poiché inizia prima del coro e continua tutt’oggi, sia nella riscoperta di fonti storiche attendibili riguardante il campo del lavoro delle mondariso sia nell’interpretazione creativa del repertorio con collaborazioni internazionali. Quali sono alcuni episodi e aneddoti formativi della vostra esperienza come coro?

Un ricordo particolarmente emozionante risale a quando abbiamo cantato a Torino, ospiti di Terra Madre, davanti ad una platea di 6000 contadini di tutto il mondo, avvolti nei loro costumi tradizionali, molto più belli e variopinti del nostro costume di scena. Ascoltavano in cuffia la traduzione delle nostre canzoni ed a fine concerto abbiamo attraversato un lungo corridoio in mezzo a loro ed è stato un momento estremamente emozionante perché ci hanno circondato, abbracciato, e insieme abbiamo pianto e noi eravamo loro e loro erano noi. Ma di storie come questa ne abbiamo tantissime.

Avete fatto molte esperienze all’estero: d’altronde cantate e raccontate di diritti universali, diritti delle donne, del lavoro, della solidarietà. Come hanno recepito il messaggio i paesi che vi hanno ospitato?

22 | POPOLARE

Come vi hanno interpretato?

Ci riconoscono nelle storie comuni, non importano le parole delle canzoni, sono i gesti, le mosse. D’altra parte il lavoro, la fatica, l’arroganza dei potenti sono la storia dell’umanità e tutti si identificano, un po’ come il “bella ciao” riconosciuto e cantato in tutto il mondo.

Per molti anni siete stati seguiti dalla instancabile ed ispirata Giulia Contri: quale è stato il suo apporto, come vi ha accompagnato in questo viaggio, che testimone vi ha passato?

Giulia è stata l’incarnazione della mondina, della sua forza, della sua rabbia, della sua ribellione. È stata l’erede di un femminismo delle origini, ha cercato di ricreare lo spirito della risaia nel suo coro, ha coccolato le sue “vecchie” per carpirne i più profondi segreti, l’essenza delle donne del secolo scorso, è stata l’interprete che non si è fermata a “Sciur padrun” ed ha rotto barriere musicali cercando contaminazioni, accostando altri dialetti, insomma ci ha portato ad essere ciò che siamo, senza contare che era un vero e proprio animale da palcoscenico. Noi abbiamo il dovere di continuare questa narrazione e, forti della sua forza, guardiamo avanti consapevoli che ci saranno anche cambiamenti, ma che il cuore continuerà a battere per mantenere viva la sua eredità. La mondariso è ormai un’icona della libertà, della sorellanza, dell’unione e della lotta, questo i giovani lo recepiscono, questo li entusiasma e anche per questo proprio ultimamente il coro si è arricchito di giovanissime.

Quali brani moderni possono incontrare il vostro gusto musicale e la vostra mission?

Non abbiamo limiti. Abbiamo cantato De André, Gaber…. Poi in dialetti e altre lingue: in pugliese, russo, napoletano, bulgaro… Siamo incuriosite da tutta la musica, stiamo sperimentando anche un connubio musica classica musica popolare con l’orchestra “Oro del Reno” diretta da Michela Tintoni, un esperimento entusiasmante, che presto riproporremo al pubblico. Siamo consapevoli di quanto abbiamo da imparare e conoscere ma, pur cercando di rinnovarci, non dimentichiamo quelle che sono le nostre radici.

Molto importante è il festival “AIA FOLK FESTIVAL”, che nel 2022 riportava la dicitura: “50 anni in sella”. Parlateci di

questo bellissimo viaggio e quali saranno le nuove tappe!

Questo è il nostro orgoglio, un progetto che con Maria Giulia Contri abbiamo iniziato 15 anni fa, con l’intento di valorizzare, attraverso la musica e gli eventi collaterali in programma, il paesaggio, i luoghi, gli spazi e l’uomo che li ha abitati e vissuti in passato e che li vive oggi. Il sottotitolo del festival, coniato proprio da Maria Giulia, racchiude in una frase il senso dell’evento: “Tutto il mondo è un paese” e ben si attesta nell’attuale situazione sociopolitica. In pochi giorni e grazie alla collaborazione di amici e volontari, riempiamo Novi di eventi musicali, mostre, presentazione libri, teatro, danza e buona cucina. Tutti i proventi del Coro vengono investiti nel festival che quest’anno avrà luogo dal 29 giugno al 2 luglio in location quali la Corte Frassona, gentilmente offerta dalla famiglia Moretti, il Parco della Resistenza per i concerti ed il Parcobaleno dove sono previsti spazi per i più piccoli.

Un tema che sta a cuore a molti direttori di coro è come avvicinare le generazioni odierne e future al repertorio popolare. La vostra esperienza è preziosa: qualche suggerimento?

Passione, apertura, storia. Noi raccontiamo, ci raccontiamo, non insegniamo, semplicemente cantiamo un mondo che non esiste più ma grazie al quale godiamo di certi diritti. Le storie anonime che raccontiamo e che cantiamo parlano di ideali, di piccole rivoluzioni compiute da figure anonime, ma protagoniste di eventi che in qualche modo cambiarono il corso della storia. I giovani queste storie le amano, non si stancano di chiedercele perché hanno bisogno di conoscere le loro radici, le loro origini. Siamo un mondo al femminile con tante età a confronto ed io, che ormai sono giovane da tantissimo tempo, guardo le nuove ragazze che hanno chiesto di entrare nel coro e mi sembra che un futuro sia veramente possibile. Siamo una piccola comunità di donne, con tutti i pregi e difetti che ha una comunità, ma quando saliamo sul palco siamo una entità sola e siamo un tutto unico senza età e questo dà forza, coraggio e speranza.

| 23 ...E PIÙ FORTI DEI CANNONI NOI SAREM!

Analisi strutturale del madrigale spirituale

Il sangue à pena havesti di Ludovico Grossi da Viadana

Ludovico Grossi da Viadana (Viadana, 1564 – Gualtieri, 1627) fu un francescano e compositore. Nato a Viadana, al tempo borgo del Ducato di Mantova, divenne maestro del coro della Cattedrale di Mantova prima del gennaio 1594, negli anni in cui Claudio Monteverdi prestava servizio presso la Corte gonzaghesca. In seguito al trasferimento a Roma, trovò poi incarichi come maestro di cappella a Cremona, Portogruaro e Fano. Tra il 1614 e il 1617 diventò responsabile dell’Ordine dei Frati minori osservanti per la provincia di Bologna (comprendente Ferrara, Modena e Piacenza), si spostò poi a Bussetto ed infine a Gualtieri dove morì il 2 maggio 1627.

Il brano è collocato nella raccolta, curata da Giacomo Vincenti nel 1597, dedicata ai componimenti poetici in lingua italiana del Padre Angelo Grillo, monaco cassinense, allora Priore di S. Giuliano di Genova. Tutti i testi musicati nella pubblicazione sono stati «posti in Musica da diversi Reverendi, & Eccellentissimi Autori» e sono tutti a cinque voci. Si tratta, dunque, di una monografia autoriale realizzata da mani diverse che danno uno spaccato dello stile compositivo mottettistico e madrigalistico su tema sacro sul finire del Cinquecento.

La prima frase è realizzata secondo uno stile imitativo canonico riproponendo l’incipit mi-la nelle risposte la-mi oppure mi-la ; alle entrate iniziali fa seguito uno sviluppo libero e molto sillabico che conclude a batt. 35 il primo lungo periodo con una cadenza a do. A questo punto, sulle parole Innocente bambino , il compositore stringe i valori ritmici e inserisce suoni estranei, prima a quattro voci, poi nuovamente a cinque, in uno stile maggiormente

omoritmico sfruttando la figura del noema. L’episodio si conclude a batt. 45 con una cadenza perfetta sulla triade di la maggiore, preceduta da un pedale di dominante di quattro misure.

Tutta la restante parte del componimento è divisa in due sezioni identiche, che presentano cadenze a do e a la, a meno dell’inversione, a batt. 74, delle parti di cantus e quintus , testimonianza dell’ormai diffusa ricerca della stereofonia corale. Degne di nota le entrate precedute da pause del tenor a batt. 65 e 70 per evidenziare i motiviparola dell’essere pegno e del destino indegno riferiti al Gesù neonato.

Il brano si conclude con una cadenza composta a la maggiore, dopo un pedale di dominante su mi. Il valore ritmico più breve che viene sillabato è la semiminima e si possono segnalare due soli melismi sui termini fu-tu-ro e pe-gno.

Si consiglia ai gruppi vocali di avvicinarsi anche a questo tipo di repertori, sia per la novità che apportano nel panorama concertistico attuale, sia per lo stile ‘misto’ di cui sono portavoce.

Analisi
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DI LUCA BUZZAVI Direttore di coro, docente della Schola Gregoriana Ecce e della Scuola per Direttori e Cantori AERCO Academy
ANALISI STRUTTURALE DEL MADRIGALE SPIRITUALE | 25
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ANALISI STRUTTURALE DEL MADRIGALE SPIRITUALE | 29
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Per una nuova coralità a partire dalla Voce-Persona

30 anni di esperienze dal Coro Note Blu di Roma

DI MARINA MUNGAI

Se riuscirò ad aprire anche solo un angolo nuovo nel cuore di un uomo non sarò vissuto invano (Khalil

“No, il lunedì mai… ho le prove del coro”. Quante volte abbiamo sentito i nostri cantori rispondere così anche ad allettanti inviti. Già, perché chi sceglie di cantare in coro viene preso da una passione che lo porta a dedicare serate e weekend, a percorrere centinaia di chilometri, a vincere la stanchezza di una giornata di lavoro, lasciare famiglia, figli o semplicemente un divano per ritrovarsi a cantare con i propri compagni. Questa circolazione di energia, di passione, di musica si chiama coralità. Non c’è dubbio che la coralità sia un fenomeno antropologico, oltre che sociologico. I suoi risvolti psicologici si riverberano nella vita di relazione, nella capacità di ascolto, nell’autostima dei cantori. Come dare importanza e rilevanza a questi aspetti nell’esperienza corale? come il direttore può favorire la crescita umana, oltre che artistica, del gruppo che conduce? Nel 1993sono trent’anni quest’anno - mi diplomai in Musicoterapia al CEP di Assisi, dopo aver frequentato con entusiasmo il quadriennio. Come Direttore di Coro ero interessata a quanto questa nuova disciplina potesse offrire alla mia formazione, e grazie all’incontro con Bernardino Streito e Giovanni Maria Rossi iniziai la sperimentazione che mi porta oggi a scrivere questo articolo. Giovanni Maria Rossi, padre camilliano, organista, compositore, musicoterapista appassionato (1929-2004), aveva teorizzato che la sua metodologia Voce-Persona avrebbe potuto generare un

nuovo approccio alla formazione vocale e gruppale di un coro. Tale intuizione, nata dalle sue frequentazioni non solo con la scuola tradizionale di canto, ma ancor più con lo yoga, il tai-chi, il training autogeno, vedeva nel coro la realizzazione di quella CON-SONANZA che era il compimento della triade INsonanza, PERsonanza, CONsonanza, nel viaggio personale di ciascuno alla scoperta della propria voce-persona. Le tre fasi di ricerca erano già una realtà nell’approccio musicoterapico di GM Rossi, che rimaneva comunque principalmente individuale. Si può comprendere come una proposta così originale – per non dire avveniristica, come poi si è rivelata – negli anni ’80 non vedesse un consenso immediato: vale sempre il detto “nemo profeta in patria”, e Padre Rossi non trovò nei suoi cantori quella disponibilità che invece fu offerta a me, sua allieva, giovane musicista alla guida di un coro giovanile parrocchiale nella città di Roma. La sperimentazione durò 3 anni, dal 1990 al 1993:

| 31 PER UNA NUOVA CORALITÀ A PARTIRE DALLA VOCE-PERSONA
Un Coro per tutti
Direttrice di coro e musicoterapista Giovanni Maria Rossi

questionari iniziali, incontri settimanali per gruppi larghi e piccoli (le sezioni), un percorso specifico di 8 incontri di 2 ore organizzato con osservazioni dirette, stesura di protocolli, misurazioni e valutazioni finali con report e questionari finali. Tutto ciò si sarebbe realizzato parallelamente allo svolgimento delle prove corali settimanali. Un’esperienza immensa, una quantità di dati sorprendente. Nella fase di ideazione delle attività chiesi aiuto anche a Maria Elena Garcia, danzaterapeuta e mia docente al Corso di Assisi, con la quale avevo intrapreso una serie di esperienze sul rapporto tra musica, corpo e movimento. Inserimmo degli esercizi che avrebbero dato un taglio relazionale più intenso al percorso. Ora cerchiamo di entrare nel dettaglio della metodologia, presentandone alcuni caratteri specifici. Per fare questo, dobbiamo ribadire alcuni concetti di base, primo tra tutti: che cos’è la nostra voce? È l’espressione sonora della nostra personalità. La voce è il mezzo con il quale quotidianamente ci mettiamo in relazione con il mondo che ci circonda. La voce è il nostro strumento di comunicazione per eccellenza, segue le nostre emozioni ed i nostri stati d’animo e di salute… vive e “cresce”, si modifica con noi nel corso del tempo. Nella metodologia della Voce-Persona, l’esperienza vocale si intreccia con l’auto-terapia e l’integrazione psicofisica della persona. Lo studio della vocalità parte quindi dalla distensione psicofisica e dalla coscienza che il nostro corpo è il primo “risuonatore”, che la respirazione è il suo “grande regolatore” e che il primo atto di questo cammino è “prendersi in mano”, cioè dedicare la propria attenzione, tempo e spazio per tornare ad auto-ascoltarsi. L’atto del cantare presuppone un coinvolgimento fisico ed emotivo della persona, porta con sé una serie di informazioni “sincere” sui contenuti relazionali della comunicazione. Tali informazioni sono comunicate in gran parte attraverso il non-verbale. Eccoci all’azione collante del gruppo-coro, il cantare. L’osservazione della voce e delle

sue funzioni, delle sue qualità e possibilità sono punto di partenza per arrivare ad un corretto approccio alla vocalità intesa come armonia fra persona, corpo e voce. Tutto il percorso sulla Voce-Persona si presenta come “laboratorio”, nel quale la curiosità della ricerca è primo ingrediente. Non più quindi i tradizionali “vocalizzi”, ma esercizi di propriocezione, centrati sulla respirazione e le qualità corporee di peso, spazio, volume; esercizi di autoascolto, di percezione delle sensazioni legate alla corretta postura, alla corretta emissione, alla ricerca del suono come espressione di sé. La padronanza di sé inizia con esercizi tecnici desunti dal training autogeno, dallo yoga, dalle discipline orientali e dall’intuizione di alcune scuole occidentali, come quelle di Gisela Rohmert e di Jo Estill. Nella sperimentazione introdotta insieme al Coro Note Blu, ho fin da subito considerato quanto fosse importante arrivare ad una migliore comunicazione interpersonale e di gruppo. Ho quindi integrato gli esercizi personali con spazi di improvvisazione ed espressione creativa con la propria vocein ascolto e in dialogo sonoro con quella degli altri compagni. Dopo moltissimi anni di esperienza, possiamo affermare che questa parte del lavoro ha regalato le più grandi emozioni ai gruppi, aprendo nuovi orizzonti non solo alle relazioni tra i cantori, ma anche alla vita artistica del Coro stesso. Nel caso specifico del Note Blu, la pratica dell’improvvisazione ha generato non solo il nome del coro (che prende spunto dall’“errore creativo” degli afroamericani nell’intonazione della scala diatonica, che andò a generare la scala “blues”) ma il taglio artistico decisamente rivolto verso la produzione contemporanea che il gruppo si è dato negli anni successivi e che tuttora persegue. Si può dunque parlare di musico-coro-terapia? Nella misura in cui la persona vive nel benessere l’integrazione nel gruppo e l’acquisizione di una maggiore conoscenza e coscienza del proprio corpo attraverso un uso sempre più consapevole della propria vocalità, si può. La musicoterapia, infatti,

32 | UN CORO PER TUTTI

UNA CANZONE DOLCISSIMA

MORBIDA COME UN BIGNE’ PIU’ DEL GELATO, DEL CIOCCOLATO, UNA CANZONE PER TE!

deve tendere al benessere della persona, alla sua integrazione, inclusione, al riconoscimento della sua unicità. Ogni persona umana è caratterizzata dal suo bisogno di relazioni: il coro rappresenta una cellula di “società cantante”, o meglio, un “corpo vivo cantante”. Un coro è una scuola di relazioni, se la ricerca dell’armonia musicale diventa ricerca di relazioni positive e costruttive nelle somiglianze e nelle diversità, nell’unico intento di espressione e di elevazione che la musica propone. Chi fa l’esperienza del coro come espressione di Sé e come comunicazione e relazione con gli altri, ben sperimenta che la propria personalità non è appiattita dal far parte del gruppo, bensì può essere arricchita, nella misura in cui il coro è realmente sentito come corpo vivo, formato da voci vive. Infatti, formare un coro vuol dire lavorare sulla voce ma soprattutto sulla relazione, sulla presenza, primo vero ingrediente di un gruppo sano. L’idea di abbandonare la concezione di coro come strumento musicale per passare ad un concetto di gruppo dove realizzare la propria personalità vocale fondendola in armonia con gli altri mi affascinava, perché conoscevo e vivevo le difficoltà di integrazione tra le diverse motivazioni dei miei cantori, le resistenze nell’accogliere nuove persone, o il semplice fatto che la conoscenza reciproca tra loro fosse sempre superficiale, e a volte potesse generare (ricordiamo anche le diverse fasce generazionali di molti dei nostri cori) piccole diffidenze o gelosie. Il lavoro di formazione vocale basato sul dedicarsi piuttosto che l’esercitarsi può quindi orientare in modo diverso anche la prova corale, il tradizionale riscaldamento vocale, ed entrare in una propedeutica didattica per l’autonomia e la crescita artistica del singolo cantore, qualsiasi sia il suo livello di partenza. La Voce-Persona è una metodologia

adatta a tutti, dai bambini fino agli adulti, e interessante per tutti, amatori e professionisti. Il successo di quella che è diventata la prassi di quel primo gruppo di esploratori “vocali e relazionali” lo raccontiamo, in conclusione, con alcune cifre e avvenimenti:

• Nel 1993, anno della mia tesi in Musicoterapia Per una nuova coralità a partire dalla Voce-Persona, il Coro si costituisce in Associazione Culturale e prende il nome di Coro Note Blu: oggi è considerato uno dei gruppi corali “storici” romani; nello stesso anno il Note Blu si iscrive all’Associazione Regionale Cori del Lazio e, tra i primi cori italiani, ad Europa Cantat

• Il palmares del Coro Note Blu sfiora i 30 premi in Concorsi Regionali, Nazionali ed Internazionali. Nonostante la crescita artistica, il Coro è rimasto fedele all’idea di amatorialità, accogliendo cantori senza preparazione musicale o vocale, e lasciando che attraverso la formazione “interna” sostenuta da una buona musicalità, le capacità dei singoli potessero contribuire ai traguardi del gruppo.

• Dal 2000 il Coro si è orientato decisamente verso la musica contemporanea, in particolare italiana, e sono nate feconde collaborazioni con numerosi compositori. Ad oggi, il Note Blu ha curato circa sessanta prime esecuzioni ed ha ricevuto circa 40 dediche dalle maggiori “firme” corali italiane. Ha registrato per Radio Vaticana, è stato ospite di trasmissioni televisive e radiofoniche, ad esso la stessa Radio Vaticana ha dedicato ultimamente (giugno 2022) un’intera trasmissione in occasione del quarantennale del Coro.

• Nel 2007 la Dottoressa Laura Romano si è laureata in Logopedia presso l’Università di Parma con una tesi dedicata all’esperienza della metodologia della VocePersona e del Coro Note Blu.

Coro Note Blu
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Sbagliando si inventa

L’improvvisazione come strategia didattica

DI SERENA SALERNO

Musicista e didatta

Il primo passo per la buona riuscita di un coro è renderlo capace di saper costruire, condividere e riflettere insieme. Quando un coro è chiamato a lavorare in produzioni e progetti, si stabiliscono relazioni positive di collaborazione e crescita individuale e collettiva. L’idea dunque di partire dal vissuto musicale di ciascuno, favorisce una crescita necessaria per la riuscita dell’esperienza corale. Tra le strategie didattiche che si possono individuare, l’improvvisazione diventa uno strumento valido in grado di sviluppare creatività, curiosità, senso critico eliminando le preoccupazioni. L’improvvisazione è spesso vista come una dote innata principalmente dei musicisti formati in grado di comporre in forma estemporanea strutture musicali complesse e piene di tecnicismi. In questa visione tuttavia si considera unicamente la funzione interna dell’improvvisazione: ovvero i comportamenti finalizzati ad un risultato propriamente musicale. L’improvvisazione, al contrario, acquista una seconda funzione di carattere esterno diventando dunque uno strumento utile a consolidare e/o sviluppare abilità musicali. L’improvvisazione, come strumento e strategia didattica, consente di raggiungere fin da subito una consapevolezza musicale e una conoscenza maggiore di sé e del proprio strumento/ voce. Come evidenziato pocanzi, l’improvvisazione ha in sé una funzione interna in cui il musicista improvvisa per ottenere un prodotto musicale attivando una dimensione esecutiva. Nel secondo caso invece è il processo che acquista un valore poiché in ambito educativo favorisce l’acquisizione di elementi musicali. Prendendo la definizione utilizzata da Maurizio Vitali in Alla ricerca di un suono condiviso possiamo definire

dunque l’improvvisazione un «esperimento di identità»1 poiché permette di focalizzare l’attenzione sul valore umano della musica; il musicista prima di essere costruttore di un prodotto musicale è un individuo unico. L’improvvisazione è uno strumento di valorizzazione delle peculiarità di ognuno poiché è necessario l’apporto i tutti nell’attività affinché questa venga portata a termine. La riuscita del singolo permette la riuscita dell’attività e viceversa. Il gruppo gestisce il lavoro ed è quindi necessario che ci sia un continuo autocontrollo collettivo, e non passività o meccanicità. Il risultato finale e la riuscita dell’attività dipendono dalle dinamiche interne che si creano nel gruppo e dal grado di relazione che si stabilisce. Maria Montessori nella sua idea pedagogica afferma l’importanza della scoperta autonoma degli elementi che circondano il bambino e delle loro funzioni nell’ambiente e tra loro. Facendo un parallelismo in ambito musicale l’improvvisazione favorisce una scoperta degli elementi musicali che attraverso attività manipolative vengono interiorizzati. In un primo approccio alla musica

Tecnica
TECNICA
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1. Maurizio Vitali, Alla ricerca di un suono condiviso: l’improvvisazione musicale tra educazione e formazione, Franco Angeli, 1963, p. 10.

improvvisata, lavorare per tentativi, attivando un processo di scoperta autonoma, favorisce una situazione educativa costruttiva e stimolante. In questo caso l’errore diventa punto di partenza per l’auto-apprendimento. Il punto centrale della riflessione della Montessori è quello di basare l’intera azione educativa sull’autonomia e sulla creatività e attraverso «l’auto-istruzione lo studente è chiamato a reagire con il proprio ritmo agli stimoli presenti nei materiali programmati2», rendendolo protagonista della propria crescita. In quest’ottica viene meno anche la dimensione dell’errore o meglio acquista un’accezione positiva. L’errore in una concezione negativa acquista un valore di irreversibilità e genera una sensazione di inadeguatezza e incertezza in chi lo compie. Per chi si approccia a un nuovo ambito, partire dal definire gli errori pone dei limiti che ostacolano la libertà creativa ed espressiva, condizionando e giudicando un’azione in fase di crescita. Manipolando i suoni e gli elementi si giunge a quello che Rodari definisce errore creativo, ovvero un qualcosa su cui costruire e su cui far galoppare la fantasia. Nel libro Scuola di fantasia Rodari scrive: «Dall’errore può nascere una storia3» evidenziando la presenza di infinite possibilità creative. Puntare l’attenzione sull’errore

creativo consente una ulteriore possibilità manipolativa poiché l’errore verrà preso in considerazione attraverso un processo di analisi, verrà arricchito di elementi nuovi dando seguito a un nuovo spunto per allargare l’attività. La manipolazione degli elementi del linguaggio musicale diventa dunque una strategia utile per facilitare molte dinamiche tanto che lavorare con la voce, primo strumento che ognuno di noi ha a disposizione, diventa complesso se non si hanno fin da subito chiari i processi espressivi ed esecutivi. Attraverso un lavoro di manipolazione e improvvisazione vengono scoperti e assimilati autonomamente gli elementi del linguaggio musicali favorendone un’acquisizione permanente. Prendendo in prestito le parole di Violeta Hemsy de Gainza nel testo L’improvvisazione musicale «La persona che esplora la propria voce o il proprio strumento attraverso un gioco manipolativo, […] esercita l’orecchio, la sua sensibilità e il suo senso estetico; senza dimenticare le sue facoltà intellettuali, a sua immaginazione e la sua memoria, e al tempo stesso acquisisce e riafferma conoscenze ed esperienze4». L’improvvisazione dunque favorisce l’acquisizione di creatività, curiosità, senso critico, eliminando le preoccupazioni.

2. Augusto Scocchera, Maria Montessori. Quasi un ritratto inedito, La Nuova Italia, 1990, p. 179. 3. Gianni Rodari, Scuola di fantasia, La nave di Teseo, 2020.
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4. Violeta Hemsy de Gainza, L’improvvisazione musicale. L’improvvisazione nell’educazione musicale: un gioco creativo per tutte le età e tutti i livelli scolastici, Ricordi, 1991, p. 7.

Un altro aspetto legato all’improvvisazione è la dimensione collettiva. Il gruppo diventa un elemento fondamentale nella didattica improvvisativa inquanto: allenta le inibizioni, sostiene nella maturazione individuale, mettersi alla prova, autonomia, dialogo, confronto, interazione. Seguendo l’idea piagetiana secondo cui il bambino impara attraverso il gioco: gioco libero, gioco sensomotorio, gioco di regole possiamo definire l’improvvisazione come un gioco di regole. Le regole scandite all’inizio dell’attività organizzano i diversi momenti e i ruoli stabilendo ciò che è consentito e ciò che non lo è. L’improvvisazione al di là di quanto si possa pensare è un’attività che necessita di una strutturazione e della definizione dei ruoli, della consegna e dei criteri di organizzazione. La scoperta autonoma delle regole musicali associate alle regole di gioco consente il raggiungimento di una teorizzazione degli elementi musicali attivando ciò che si definisce Sapere Agito. L’improvvisazione come strategia didattica consente l’attivazione di due condotte. Con il termine condotte François Delalande intende dei comportamenti orientati da una motivazione e da una finalità. Con l’improvvisazione si attivano due condotte: l’interiorizzazione che implica l’assorbimento dei materiali uditivi attraverso stimoli percettivi e l’esteriorizzazione ovvero un processo espressivo che avviene dopo introiezione, destrutturazione e metabolizzazione.

Un altro elemento che rende l’improvvisazione una strategia ottimale è la dimensione inclusiva poiché includere significa abbattere le barriere e gli ostacoli che impediscono l’accessibilità. In questo caso l’improvvisazione consente la valorizzazione dell’unicità dunque si è tutti indispensabili alla riuscita dell’attività e ognuno proponendo un pezzo di sé. Le attività acquisiscono una ricchezza e complessità intesa come unione di più elementi.

Partire dunque dall’esperienza implica una costante ricerca di situazioni stimolanti, il contesto in cui inserire il processo di educazione musicale va ben preparato per favorire la crescita dell’individuo in maniera olistica. Gli elementi atti a favorire un contesto funzionale sono:

• gli spazi in cui avvengono le situazioni educative;

• la relazione che si stabilisce tra il gruppo e il singolo;

• il ruolo del docente o della figura dell’educatore.

Lo spazio fisico in cui inserire un’esperienza musicale stimolante non prevede l’utilizzo di banchi e sedie come postazioni fisse (che delimitano gli spazi e gli spostamenti), considerato che il primo obiettivo di una

educazione musicale di base è quello della scoperta autonoma. Tuttavia Enrico Strobino stravolge l’idea di staticità attribuita ai banchi e alle sedie in classe sollecitandone usi alternativi per poter realizzare attività improvvisative. All’interno dello spazio, inoltre, la presenza di una varietà di strumenti musicali alimenta la curiosità che diventa motore di azioni musicali. Il gruppo è un elemento indispensabile poiché promuove le potenzialità e le capacità individuali, i processi di costruzione dell’identità, sviluppa percorsi di apprendimento basati su processi di collaborazione tra pari. Si ha dunque, in questo modo, un reale processo di crescita, sia individuale che collettivo. La dimensione collettiva dell’improvvisazione implica delle forme di relazione tra i componenti del gruppo, di affiatamento e capacità di ascolto. L’atteggiamento ricettivo del gruppo favorisce il cambiamento e consente l’acquisizione di elementi musicali e la riuscita del prodotto finale.

Il ruolo del docente o della figura dell’educatore diventa un ruolo di guida informale che facilita le situazioni di gruppo, fornendo stimoli e input lasciando spazio al naturale processo educativo del gruppo.

Il percorso di improvvisazione sperimentato in questi anni in prima persona ha spinto la mia curiosità e creatività verso mete apparentemente irraggiungibili. L’idea alla base di tutto questo è dare un senso nuovo all’educazione che, come insegna Rodari, «sappia intrecciare sempre di più vita della scuola e vita della società, quotidiano e futuro, e che faccia diventare sempre più lo spazio-tempo della scuola, un nucleo generativo di trasformazione che nella società».

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TECNICA

Giugno, Luglio, Agosto, Settembre 2023

Direzione Artistica: Gianluigi Giacomoni

Organizzazione: Mirco Tugnolo e Delegazioni Provinciali

Informazioni e Calendario completo alla pagina

Didattica

Giro in tondo 2

DI TULLIO VISIOLI

Compositore e docente di Musicologia e Didattica della Musica presso l’Università LUMSA di Roma

Elio Pecora, oltre ad essere un grande poeta, saggista, critico autore di testi teatrali, ha scritto delle bellissime poesie destinate al mondo dei bambini condensate in due raccolte che hanno avuto notevole diffusione e successo. Anche lui, come tanti, non ha saputo resistere al fascino del girotondo e nella raccolta che ha per titolo L’albergo delle fiabe, e ne ha pubblicato uno che, non appena l’ho letto, ho ‘osato’ subito a mettere in musica tanto che, dopo qualche tempo, l’ho fatto ascoltare al poeta da due classi terze di una scuola primaria di Roma, un giorno che gentilmente ci è venuto a fare visita.

Ed ecco qui il testo:

Girotondo

Girotondo, girotondo, se tu giri intorno al mondo puoi affacciarti sulle cime di montagne e di colline, vedi i laghi, guardi i mari, golfi, porti, spiagge, fari,

c’è una donna su un terrazzo, fra le nubi passa un razzo, la campagna è un gran tappeto colorato, c’è un vigneto e nel centro una torretta, sopra i tetti una civetta, strade, piazze, slarghi, ponti, cieli aperti ed orizzonti rossi, blu, viola, arancio, c’è la luna appesa a un gancio, nell’oceano profondo anche là si gira in tondo.

Giri tu e gira la Terra, mentre è in pace e quando è in guerra, giri e intanto gira tutto: Sole e stelle, bello e brutto.

Chissà dove c’è chi tira Una leva e tutto gira…

«Che cos’è l’ispirazione per un poeta? Semplice: “Il primo verso ce lo mette Dio, gli altri ce li metto io!”» (Elio Pecora)
DIDATTICA 38 |
Elio Pecora
GIRO IN TONDO 2 | 39
40 | DIDATTICA
GIRO IN TONDO 2 | 41

Si tratta di un vivace e spiritoso giro intorno al mondo, nel quale incontriamo di tutto e, oltre a viaggiare in superficie, si viaggia anche nell’oceano profondo. E si presume che c’è anche qualcuno che aziona la leva… del mondo! Dal momento che si gira e che tutto sembra girarci intorno, mi è venuto spontaneo di inventare un valzer che si sviluppa in due parti (A e B) contrapposte e alternate: quattro versi in modo maggiore [in carattere normale] e due versi, più meditativi, in modo minore [in carattere corsivo]. Ecco la mia realizzazione musicale, da una a tre voci, con gli accordi per la chitarra e il pianoforte e una piccola parte per il glockenspiel o il metallofono. In questo modo il girotondo può essere proposto sia in una versione semplice, con la sola linea del canto I e l’accompagnamento, che in una versione un po’ più complessa, sia utilizzando le voci che gli strumenti (flauti dolci, strumenti a barre e gli strumenti della scuola media a indirizzo musicale (violino, flauto traverso, clarinetto, chitarra…). Nell’esecuzione è possibile ‘respirare’ prima di intonare il modo minore e anche espandere leggermente l’andamento agogico del brano, per ampliarne il carattere meditativo: tutto ciò a discrezione dell’eventuale direttore e degli interpreti. Ho volutamente aggiunto alcuni semplici suggerimenti per la realizzazione pianistica degli accordi indicati in partitura, quello che gli anglosassoni definiscono come voicing, a significare le differenti modalità di dispozione degli accordi. Come sempre vi auguro buona musica e buon girotondo! Per eventuali chiarimenti, osservazioni o comunicazioni mi potete scrivere all’indirizzo tulliovis@tiscali.it

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L’albergo delle fiabe, Orecchio Acerbo editore, Roma

Ave Maria Repertorio

DI CORRADO PESSINA

Compositore e direttore di coro

Ho iniziato gli studi musicali nella banda del mio paese, Castelnovo Sotto (RE) sotto la guida del maestro D. Gilocchi, entrando successivamente nella classe di Clarinetto del prof. A. Condolucci presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali “A. Peri” di Reggio Emilia, nel 1977; nel 1978 ho affiancato gli studi di Clarinetto a quelli di Composizione sotto la guida di A. Fontana, A. Gentilucci e C. Speroncini. Dopo un periodo di attività come secondo clarinetto e clarinetto basso presso l’Orchestra Sinfonica dell’Emilia Romagna

“A. Toscanini”, ho sostenuto il concorso ordinario a cattedre per l’insegnamento musicale nella scuola secondaria di primo grado, entrando di ruolo nel 1985. Successivamente sono entrato a far parte del corpo docente della scuola di musica “C. Orff” di Gattatico e, nel 1988, insieme a Moreno Cionini, ho fondato il Coro “Vocinsieme”, ora diretto da Ilaria Cavalca con la collaborazione tecnica del mezzosoprano Josette Carenza e la mia partecipazione nella sezione dei tenori. Attualmente dirigo la scuola di musica “C. Orff” e l’Orchestra che la rappresenta e sono corista nella Cappella Musicale di S. Francesco da Paola di Reggio Emilia diretta da Silvia Perucchetti, alla quale mi lega una solida amicizia e una profonda stima. Dal 2021 sono direttore del gruppo corale-strumentale “J.C.Band”. Da sempre interessato alla composizione, sono autore di un metodo didattico per sax, di una messa per coro, organo e orchestra da camera, della messa Regina Pacis e di alcuni mottetti per coro a cappella ( O Sacrum Convivium, Tantum ergo Sacramentum, Ave verum Corpus ), di tre canzoni natalizie per voce bianca solista e pianoforte, e varie composizioni strumentali, come alcuni lavori cameristici su poesie di U. Saba. Dal 2021 ho inoltre iniziato una collaborazione con il regista I. Grossi, consistente in tre cortometraggi dei quali sono autore delle musiche. La tradizione polifonica

e contrappuntistica, non disgiunta da riferimenti armonici novecenteschi con l’uso, seppur accorto, di tensioni armoniche a volte sospese e non risolte, tese alla ricerca di un’espressione timbrica il più possibile originale, costituiscono il principale obiettivo stilistico della mia ricerca compositiva. L’idea iniziale di questa Ave Maria nasce quindi da una dimensione armonica, in un contesto comunque di carattere minimale.

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Autunno, è tempo di CantaBO!

DI ELIDE MELCHIONI

Direttrice artistica Festival CantaBO

Dal 7 ottobre al 2 dicembre 2023 Bologna sarà piena di musica con CantaBO, il Festival che porta ogni anno musica di grande qualità nel capoluogo, con ospiti importanti del panorama nazionale e non solo. Ascolteremo Ensemble di varie dimensioni, repertori e stili, perché CantaBO è Festival creativo ed aperto alle diverse anime dell’espressione vocale.

Quest’anno avremo cinque importanti appuntamenti in cui la voce, anzi, tante e diverse voci saranno assolute protagoniste! Per il secondo anno siamo onoratissimi di proseguire la collaborazione con il Museo Internazionale della Musica di Bologna, che ospiterà gli ultimi due appuntamenti. Come di consueto, ogni serata è strutturata come Concerto Programma ed ospita un solo ensemble.

ll Festival si aprirà ad inizio ottobre con la Corale Rossini di Sassari - per la prima volta a Bologna - che ci proporrà un programma ottocentesco e non solo comprendente anche lo splendido Requiem di Faurè. https://www.gioacchinorossini.com/associazione.aspx

Sempre in ottobre potremo ascoltare la Cantoria Sine Nomine di Castelnuovo - Trento con un repertorio classico e romantico di grande interesse e fascino. Pagina su Italiacori: Cantoria Sine Nomine.

Il mese di novembre vedrà il Concerto di Santa Cecilia Patrona della Musica, tradizionalmente riservato a tre Cori Aerco, ed incontrerà il quintetto femminile Neuma , che propone un excursus vocale tra il repertorio medievale ed alcune tra le più evocative pagine musicali

del Novecento, arricchito di sperimentazioni ed arditezze vocali nati all’interno del progetto Neuma.

Ultimo ed imperdibile appuntamento, sabato 2 dicembre con il Concerto di Margherita, magnifico ensemble che si concentra sulla pratica storica del canto autoaccompagnato: tutti e cinque i musicisti cantano e si accompagnano con tiorba, viola, chitarra barocca, arpa e liuto. Il repertorio è quello madrigalistico italiano di fine ‘500, con particolare attenzione ai compositori attivi alla corte estense di Ferrara, i cui manoscritti sono conservati proprio al Museo Internazionale della Musica di Bologna che ospiterà il concerto.

https://concertodimargherita.com/

Vi aspettiamo!

Elide Melchioni, direttrice artistica Festival CantaBO

Info, date e modalità di prenotazione sul sito CantaBO

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Notizie

FUORI E DENTRO LE RIGHE

Ottobre, Novembre, Dicembre 2023

L’autunno corale bolognese si apre con CantaBO, il Festival Corale Internazionale organizzato da AERCO (Associazione Emiliano-Romagnola Cori), che si tiene ogni anno tra ottobre e dicembre in splendide location della città petroniana.

Direttrice artistica: Elide Melchioni

I (primi) 50 anni dei Ragazzi Cantori di S. Giovanni-Leonida Paterlini

Chi entrasse dalla vecchia porta in via d’Azeglio 28 in pieno centro storico a S. Giovanni in Persiceto (BO) si troverebbe all’interno di un piccolo oratorio, perfettamente restaurato, attiguo alla chiesa detta del Crocifisso , antica sede della Confraternita del Suffragio. All’interno, una trentina di sedie disposte a semicerchio, e al centro un usurato leggio. In fondo alla sala un antico altare con una bellissima lastra di marmo rosaceo sormontato dalla scritta: “QUI BENE CANTAT BIS ORAT”. È questa la casa dei Ragazzi Cantori di S. Giovanni-L. Paterlini, coro polifonico che festeggia quest’anno il 50° genetliaco. Tutto ebbe inizio nel lontano mese di gennaio 1973: era periodo post-conciliare dove, nella rinnovata liturgia in lingua italiana, dal punto di vista musicale si sperimentava tutto e il contrario di tutto, molto spesso con risultati alquanto discutibili. Invece il giovane parroco di Persiceto don Enrico Sazzini ebbe una formidabile e provvidenziale intuizione: dotare la Basilica Collegiata di una vera Cappella Musicale. Radunò quindi un gruppo di ragazzini… 22 gennaio 1973, prova della voce. Era iniziata l’avventura dei cantori del “Sängerknaben”! Tale altisonante denominazione era stata scelta dal primo Direttore di questo gruppo, il M° Giorgio Bredolo organista e compositore che frequentava allora il Conservatorio di Bologna. All’appellativo di Sängerknaben seguiva la specifica “Bach Musik Freude” atta a fugare eventuali dubbi sull’impostazione di questo manipolo di voci bianche: gregoriano, Palestrina, polifonia classica e soprattutto “lui”,

il grande M° Bach. Esploriamo per un momento le prime partiture di questo gruppo: la n. 28 consiste nientemeno che nel Vidi speciosam di Victoria a 6 voci! Al n. 30 un autentico capolavoro: lo Stabat Mater a 8 voci in doppio coro di Palestrina, tutto in chiavi antiche! Non manca naturalmente Bach, ad esempio con 6 corali (denominati “Schübler” nella loro versione organistica) rigorosamente in lingua tedesca, si intende! Si arrivò a questi straordinari risultati nel giro di un anno e mezzo e il 22 giugno 1974 il Sängerknaben si presentò per la prima volta al pubblico persicetano inaugurando la felice tradizione dei “Concerti di S. Giovanni”. Ma… attenzione: le intenzioni del saggio parroco don Enrico non erano certo quelle

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Notizie
DI MARCO ARLOTTI Organista, concertista, direttore di coro, docente ai Conservatori di Pesaro e Bologna La prima formazione del Coro dei Ragazzi Cantori di S. GiovanniLeonida Paterlini

di creare un ensemble concertistico fine a sé stesso, e così fin dall’inizio il Sängerknaben prestò servizio nella liturgia domenicale, tutte le domeniche da settembre a giugno. E tale servizio continua ininterrottamente da allora fino ad oggi!

Il gruppo di ragazzini si ampliava, cresceva nella preparazione e nell’affiatamento, arrivavano i primi concerti, impegni, trasferte, la strada verso un futuro di soddisfazioni sembrava spianata ma si sa, gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo e come un fulmine a ciel sereno nell’estate 1975 giunse la notizia della partenza del M. Bredolo, chiamato ad un importante incarico in quel di Milano. All’interno delle vecchie mura dell’oratorio del Suffragio si instaurò, comprensibilmente, un clima di incertezza e scoramento: come andare avanti? Dove trovare un nuovo maestro fedele all’impostazione originale? In sintesi… che ne sarà di noi? Ad autunno inoltrato uno spiraglio: Il signor Fernando Rossi, padre di due cantori e ferroviere di professione, è convinto che un suo collega possa essere la persona giusta… il riferimento è a tal Leonida Paterlini, eclettico e geniale impiegato in uno sperduto ufficio alla stazione centrale di Bologna, con un passato di saltuari studi musicali e di direzione di gruppi corali a livello parrocchiale, un passato, appunto… al presente Leonida impiega il proprio tempo libero sempre in campo artistico ma nella pittura, e non è

intenzionato ad accettare la proposta dei Persicetani. Il buon Fernando insiste con il collega e amico: ovviamente vi è l’incoraggiamento anche di don Enrico, insomma il lavoro ai fianchi è inesorabile e alla fine l’insistenza di Rossi riesce portare Paterlini a Persiceto per un’audizione nel tardo pomeriggio del 27 novembre 1975 - chiaramente, come affermò Paterlini, “senza alcun impegno”… E invece l’impegno lo prese eccome! Se gli occhi di allora videro un esitante Leonida molto dubbioso sulle proprie capacità, non certo sulle potenzialità del coro, con gli occhi di oggi, guardando gli eventi in retrospettiva potremmo definire Paterlini come l’uomo della Provvidenza: non solo garantì al coro di proseguire il cammino ma con le sue intuizioni, il suo instancabile studio e la sua incredibile caparbietà portò il coro a varcare confini allora inimmaginabili. Ad esempio, lo sperimentare con coraggio (sfidando talvolta le “contestazioni” dei cantori, molto legati al modello originario) un repertorio “nuovo” come la musica moderna e contemporanea, come pure la decisione di abolire il vincolo dell’esclusività delle voci maschili per aprire le porte ad un organico più duttile, versatile, adatto anche ai repertori dall’800 in poi dei quali Paterlini era avido esploratore e sperimentatore. Le vecchie mura dell’oratorio di via d’Azeglio vedevano i cantori quasi tutti i giorni della settimana: prove 4

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Il Coro dei Ragazzi Cantori di S. Giovanni-Leonida Paterlini nel 25° dalla fondazione

pomeriggi a gruppi separati all’incirca una mezz’ora a testa, e il sabato e la domenica (prima della Messa) si metteva tutto insieme. Fantascienza? Con gli occhi di oggi sicuramente, ma allora i pomeriggi erano liberi dalla scuola, il parossismo delle attività sportive ancora era ancora da venire quindi l’antico oratorio diventò la frequentatissima sala prove dei “Ragazzi Cantori” … E il Sängerknaben? Fu una delle prime decisioni del nuovo Maestro: troppo impegnativo questo nome tedesco, chiamiamoci più modestamente “Ragazzi Cantori” e aggiungiamo “di S. Giovanni”! Ragazzi… sì, gruppo vivace che negli anni d’oro arriva a contare anche 60 e più elementi, gruppo che dopo il necessario periodo di assestamento con il nuovo Maestro inizia a prendere le ali e volare in alto… viene selezionato per la Rassegna di Loreto 1980, e nel 1981 Paterlini osa l’inosabile (così sembrava allora) e porta i Ragazzi Cantori al Concorso Internazionale “Guido D’Arezzo”, dove ottiene un insperato Premio Speciale per il canto gregoriano. Nel 1983, una fantastica esperienza ai “Recontres Internationales de Montreux” in Svizzera e nel 1984 il primo dei numerosi “Primi Premi” in un concorso: vale a dire Vallecorsa (FR), primo premio assoluto! Nel 1985 il repertorio del coro arriva a quota 180 titoli, con ampia rappresentanza di autori di epoca rinascimentale ma altrettanta presenza di repertorio moderno, anche contemporaneo! E ci sono titoli di assoluto valore ed impervia difficoltà: in ambito di rigorosa par condicio possiamo citare la monteverdiana Missa a 4 voci da cappella e dall’altra parte la monumentale Missa Brevis di Zoltán Kodály, o ancora il Mottetto Exaudi Domine

di Giovanni Gabrieli a 10 voci in doppio coro e il modernissimo Salmo 67 di J. P. Ostendorf. Tutto sembra andare nel migliore dei modi… sembra... ma ecco le prime avvisaglie di una crisi profonda. Ricordiamo che il gruppo è solo maschile e nella seconda metà degli anni ’80 la concorrenza delle attività sportive si è fatta spietata: molti cantori abbandonano e vi è difficoltà a reperire nuove leve. Paterlini inizia a pensare seriamente di aprire le porte alle voci femminili; non tutti, cantori e genitori, sono d’accordo e il momento è molto delicato. Il Maestro, come sempre, va dritto per la sua strada, non è un accentratore e tantomeno un “dittatore”. Ha riflettuto molto, ne ha parlato diffusamente con i suoi principali collaboratori e con don Enrico, è fermamente convinto che sia l’unica strada che possa garantire la sopravvivenza dei Ragazzi Cantori. E così nell’ottobre 1987 dalla vecchia porticina di via d’Azeglio iniziano ad entrare alcune bambine; si tratta di ricominciare, magari non da capo ma quasi, oltretutto con l’aggiunta di una certa freddezza da parte dei cantori più “stagionati”. Altro necessario periodo di studio e di assestamento della nuova formazione poi ancora una volta il gruppo ritrova le ali… gli anni ’90 sono anni meravigliosi, di severa preparazione ma anche di grandissime soddisfazioni e prestigiosi riconoscimenti: si conseguono piazzamenti onorevoli ai concorsi di Stresa e Vittorio Veneto. A confermare una ritrovata armoniosa unità del gruppo, nel 1995 Il coro ritorna a Vallecorsa e ottiene il Primo Premio Assoluto oltre ad un Premio Speciale della Giuria per la migliore interpretazione di musica rinascimentale. Nel 2000 altro Primo Premio al Concorso per cori

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Il Coro dei Ragazzi Cantori di S. Giovanni-Leonida Paterlini nel 50° dalla fondazione

liturgici dell’Emilia-Romagna.

Il gruppo è ormai consolidato, l’età media è cresciuta, molti dei “Ragazzi” sono in realtà adulti, padri e madri di famiglia… e iniziano ad entrare nel coro anche i figli dei Cantori. Nel novembre 2004 il coro effettua una memorabile trasferta a Londra per alcuni concerti, con esecuzioni presso le Cattedrali di St. Paul e St. Albans.

Il 24 giugno 2005 il M° Paterlini dirige il suo ultimo concerto di S. Giovanni: dopo 30 anni di frenetica attività appare molto provato fisicamente ed è costretto a fermarsi; mesi dopo gli verrà diagnosticata la S.L.A., una malattia terribile. Nel settembre 2005 il Consiglio Comunale di S. Giovanni in Persiceto assegna al coro dei Ragazzi Cantori un encomio solenne “per l’opera di divulgazione musicale in Italia e all’estero” e per aver rappresentato splendidamente la cultura persicetana. Il riconoscimento viene consegnato durante una riunione del Consiglio Comunale, e il coro in tale occasione è invitato ad esibirsi. Paterlini, come detto, non è in grado di dirigere; quindi, nell’incertezza generale si trova una soluzione “provvisoria” almeno per questa occasione: i Ragazzi Cantori verranno diretti dal loro organista, il M° Marco Arlotti, persicetano e docente al Conservatorio di Bologna. E dopo? Permanendo l’incertezza si decide di continuare con la soluzione “provvisoria” almeno fino a Natale… E dopo? Fino a Pasqua ovviamente. E dopo?

Facciamola breve e sveliamo subito il finale: la direzione (non più provvisoria, ormai lo possiamo dire) del M° Arlotti continua ancora oggi…

Nel 2010 dopo alcuni anni di lavoro e ricostruzione del gruppo il nuovo Direttore decide di mettere alla prova il coro iscrivendosi al Concorso Nazionale di Stresa.

Si spera al massimo in un onorevole piazzamento, ma si va soprattutto per fare esperienza e ascoltare cori più blasonati. E invece i Ragazzi Cantori trionfano: Primo Premio assoluto! Nessuno se lo aspettava, è comunque un meritato riconoscimento per il lavoro svolto, la dedizione e la passione dei Cantori. Un mese dopo il trionfo stresiano, il 26 dicembre 2010, muore il M° Paterlini; verrà ricordato come “Maestro di musica, di canto e di vita”. In suo onore i Cantori decidono all’unanimità di modificare la denominazione del coro, aggiungendo il suo nome.

Anno dopo anno il coro prosegue il cammino, il repertorio si amplia, e alle soglie del 50° anniversario arriva a superare i 600 titoli! Prosegue naturalmente il servizio liturgico tutte le domeniche e festività. A tal proposito non sarà inutile specificare che nella Liturgia i Ragazzi Cantori eseguono musiche polifoniche

appartenenti alla migliore tradizione musicale della chiesa latina: in ossequio ai dettami dei documenti della Chiesa cattolica sulla musica sacra nella liturgia, si privilegiano il canto gregoriano, la polifonia classica e l’organo, naturalmente mantenendo un sano equilibrio tra musiche polifoniche e canti eseguiti dal popolo. Si può dire, senza alcuna presunzione, che nel dilagante sfascio liturgico/musicale la Collegiata di S. Giovanni Battista rimane un’isola felice, una delle poche.

L’anno delle celebrazioni del 50° si è aperto lo scorso 28 gennaio 2023 con una Messa solenne nella quale il coro ha eseguito la Messe Solennelle di Louis Vierne, un capolavoro assoluto. Un’ultima considerazione: In questi 50 anni possiamo stimare circa 400 ragazzi e ragazze passati tra le fila dei Cantori; un’opera educativa imponente, non solo considerando l’aspetto musicale ma anche umano:

Cantare in coro educa al rispetto degli altri, è esercizio di pazienza e umiltà.

Cantare in coro vuol dire fondere in armonia le diverse individualità, armonizzarsi con il gruppo, acquisire senso di responsabilità rispetto e collaborazione.

Raccogliere ragazzi e giovani per una formazione attenta ai valori dello spirito per mezzo della polifonia antica e moderna quasi esclusivamente sacra.

Questa è la motivazione profonda unita alla passione per il canto e al valore dello stare insieme attraverso la musica. Questa è l’essenza dell’attività del coro polifonico I Ragazzi Cantori di San Giovanni-Leonida Paterlini

www.ragazzicantori.it

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I 50 anni dei Ragazzi Cantori, una tradizione che viene da ben più lontano…

DI MARCO ARLOTTI

Organista, concertista, direttore di coro, docente ai Conservatori di Pesaro e Bologna

La prima testimonianza, sia pure indiretta, riguardante attività musicale presso la Basilica Collegiata di S. Giovanni in Persiceto risale all’anno 1573: si compie in quell’anno la visita apostolica di Mons. Ascanio Marchesini delegato dal Papa Gregorio XIII. Fra le molte prescrizioni il visitatore apostolico dispone l’obbligo, entro due anni, di dotare la chiesa di un nuovo organo. Ci stiamo riferendo alla vecchia chiesa in stile romanico, demolita alla fine del ‘600 per le precarie condizioni strutturali, che lascerà il posto alla nuova Collegiata in stile barocco. Possiamo affermare con sicurezza che la prescrizione del visitatore viene esaudita, poiché dal 1600 troviamo negli archivi alcuni nomi di organisti e maestri di cappella operanti in Collegiata, alcuni completamente sconosciuti, ma vi sono anche nomi di un certo rilievoad esempio, il bolognese Ercole Porta e padre Francesco Passarini, minore conventuale.

Alcune composizioni di questi musicisti sono conservate nella biblioteca del Museo della Musica di Bologna, e nella prefazione di alcune di queste opere possiamo leggere dediche gratulatorie verso la Comunità di Persiceto; significativa a questo proposito è la dedicatoria scritta da Francesco Passarini nella sua Compieta concertata (1672) dedicata «alla molt’illustre Communità di S. Gio. in Persiceto»: una dedica forse un po’ retorica, ma che rivela, a voler dar credito alle parole del Passarini, come a S. Giovanni ci fosse già una tradizione musicale che

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Notizie
Ercole Porta, Hore di ricreatione musicale a una, e due voci (Venezia, 1612) - Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna, BB.174
| 53 I 50 ANNI DEI RAGAZZI CANTORI UNA TRADIZIONE CHE VIENE DA BEN PIÙ LONTANO…
Programma della Messa Solenne in Musica composta e diretta da Francesco Forni (1850)

vedeva chiamati all’incarico di organisti e maestri di cappella musicisti di rilievo. Nel corso del ‘700 sono censiti vari nomi di maestri di cappella e organisti, per lo più sconosciuti. L’unico che assunse una certa notorietà fu don Gabriele Vignali, il quale esercitò il suo incarico all’incirca dal 1751 al 1770. Molte sue composizioni si trovano presso la Biblioteca del Museo della Musica di Bologna: di particolare interesse è la raccolta di sonate per cembalo dedicate al canonico persicetano don Ercole Morisi, che in seguito diverrà maestro di cappella a Persiceto succedendo allo stesso Vignali. Nemmeno nella prima metà del ‘800 abbiamo particolari notizie, mentre nella seconda metà del secolo spiccano tre musicisti dal tipico cognome persicetano: Augusto, Francesco e Oreste Forni. Tutti e tre i maestri sono diplomati alla maggiore istituzione musicale del tempo, la Regia Accademia Filarmonica di Bologna, la cui biblioteca conserva alcune loro composizioni. Il principale protagonista musicale del periodo a Persiceto è Francesco Forni, il quale reggerà l’incarico di organista e maestro di cappella dal 1850 al 1887. Nell’archivio della Collegiata vi sono diversi documenti riguardanti il M° Forni: fra quelli degni di nota un programma, purtroppo incompleto, di una Messa Solenne che vedeva la presenza

di numerosi strumentisti e cantanti solisti, varie lettere, e una richiesta di aumento di stipendio, con tanto di puntiglioso elenco di tutti i compiti dell’organista: Forni arriva ad elencare ben 228 obblighi per messe e funzioni varie nel corso di un anno. Una mole di lavoro non indifferente che meritava, a suo dire, un aumento. Oreste Forni, nipote di Francesco, prestò servizio come maestro di cappella a Persiceto per pochi anni, dal 1893 al 1897. In seguito si trasferì in Germania per studiare Composizione e Violino al prestigioso Conservatorio Stern di Berlino. Fondatore di un complesso musicale denominato Concerto Felsineo, che annoverava molti musicisti persicetani, con questo gruppo girò tutta Europa ottenendo straordinari successi. Rientrato in Italia Oreste Forni concluse la sua carriera musicale come direttore della banda musicale di Sassocorvaro nelle Marche. Musicista di rilievo e assolutamente da riscoprire, lasciò in eredità al comune di Sassocorvaro la sua ricchissima biblioteca contenente, tra l’altro, centinaia di sue composizioni. È probabile che in questa biblioteca si possano trovare sue composizioni risalenti al suo periodo persicetano. L’inizio del ‘900 fu caratterizzato dalla promulgazione del Motu proprio di Pio X sulla riforma del linguaggio della musica sacra; incoraggiata

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La corale di S. Giovanni in Persiceto nel novembre 1968

da questo documento avanzò a grandi passi la cosiddetta “riforma ceciliana”, che si riprometteva un ritorno del linguaggio liturgico musicale alla purezza del contrappunto in stile classico e la purificazione da tutti i moduli e gli stili tipici dell’opera lirica, che avevano via via invaso i sacri riti. Sulla scia delle composizioni e soprattutto delle messe di don Lorenzo Perosi fiorirono numerosissime le scholae cantorum. A S. Giovanni in Persiceto, nel Dopoguerra, si ricostituì una corale formata da adulti, prima solo maschile poi dalla metà degli anni ‘50 coro misto: il repertorio era costituito dalle messe di Perosi e da altre composizioni classiche, come l’ Ave verum di Mozart, brani di Händel, ecc. Ultimo direttore di questa corale fu il M° Giuseppe Crema. Il 27 aprile 1966 ebbe luogo un avvenimento di grande portata per la comunità parrocchiale e per la città di Persiceto: l’inaugurazione del nuovo grande organo fortemente voluto dal parroco Mons. Guido Franzoni. Coincidenza davvero significativa: in quello stesso giorno alla stessa ora a Roma aveva luogo la prima mondiale della cosiddetta “messa beat” , un nuovo stile di musica liturgica “giovanile” ispirato alle canzonette di musica leggera… che tanti danni

procurò in seguito nell’ambito della musica per la liturgia. Grazie anche alla presenza del grande organo, dei numerosi organisti e delle corali polifoniche, questo degrado a Persiceto non si diffuse. L’organo Tamburini ha dato lustro alla intera città di Persiceto: sotto l’impulso di Don Guido Franzoni molti giovani persicetani intrapresero la strada dello studio della musica e dell’organo in particolare, e ad oggi sono ben 7 i diplomati in organo; molti sono concertisti affermati e docenti in vari conservatori italiani, un fatto più unico che raro. A fine gennaio 1971 il parroco Mons. Guido Franzoni, tanto legato alla corale, lasciò la parrocchia. L’anno seguente ritornò nella sua terra veneta don Giovanni Volpato, che per 16 anni era stato oltre che cappellano un vero protagonista e il collante della corale polifonica, che si sciolse poco tempo dopo. Infine, Il 27 gennaio 1973 - esattamente a 400 anni dal primo documento con cui abbiamo iniziato questo breve excursus -, per iniziativa di don Enrico Sazzini nuovo parroco di Persiceto e del M° Gian Paolo Bovina (organista della Collegiata), nasceva la nuova cappella musicale della Collegiata di S. Giovanni Battista: il coro dei Ragazzi Cantori di S. Giovanni.

AERCO supporta i giovani nello sviluppo della loro formazione corale-musicale e sociale al fine di preservare le tradizioni e, allo stesso tempo, di affrontare nuovi repertori. Il Coro Giovanile dell’Emilia Romagna, nato nel febbraio 2017 per volontà di AERCO, è composto da coristi provenienti dal territorio regionale di età compresa tra i 18 e i 35 anni.

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Various Voices 2023

Una marea di musica arcobaleno su Bologna

DI MARCO BOSCOLO, giornalista

E NICOLA MAINARDI

Direttore Various Voices 2023

Piazza Maggiore a Bologna gremita, il Palazzo del Podestà illuminato con i colori dell’arcobaleno e dal palco un susseguirsi di cori che hanno inebriato il pubblico sulle note delle più famose colonne sonore del cinema italiano e dell’opera lirica: è il Gran Galà. I due giorni dei T-Days successivi trasformati in un “luna park” della coralità: esibizioni all’aperto in tantissimi luoghi del centro storico della città. Cori da tutta Europa - e non solo - che si alternavano alle realtà locali, in una pacifica invasione musicale delle aree pedonalizzate del centro, dei cortili dei palazzi medievali, delle piazze e delle strade. E ancora, i quattro maggiori teatri della città che hanno visto susseguirsi sui propri palchi oltre 3500 coristi e coriste, le visite guidate “musicali” in due musei cittadini con la coralità che entrava in dialogo con le collezioni, un Village che per quattro serate ha offerto occasioni di esibizione e divertimento negli spazi di DumBO. Tutto questo è stato Various Voices 2023 , il più importante festival internazionale di cori LGBTQIA+ che si è tenuto a Bologna tra il 14 e il 18 giugno scorsi, e che al motto di “I Sing What I Am” ha portato per la prima volta musica e istanze queer nel sud dell’Europa.

Che cos’è Various Voices

Il festival nasce alla metà degli anni Ottanta, quando un gruppo di quattro cori provenienti da altrettanti paesi europei si ritrovano a Colonia, in Germania, per

una piccola serie di concerti che andava sotto il nome di “Homo Cantat”. I quattro pionieri furono il coro Triviatas di Colonia, i Noot Aan De Man di Amsterdam, il Choeur Accord da Parigi e il Gay Kor di Stoccolma. Da allora, il festival è cresciuto con l’impegno di Legato, l’associazione europea dei cori LGBTQIA+, e dei vari cori che hanno materialmente organizzato l’evento nella propria città. Various Voices , inizialmente biennale, con l’aumentare dei cori partecipanti ha dovuto dilatare la sua frequenza, svolgendosi ogni quattro anni in una città diversa, finora sempre nel Nord Europa - Londra, Parigi, Berlino, Dublino, Amsterdam per citarne alcune. Quella di Bologna (spostata dal 2022 al 2023 per le incertezze legate alla pandemia) è la quindicesima edizione e la più

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Notizie
Arena del Sole - Christian-Kreil

partecipata di sempre: 105 cori provenienti da 20 paesi del mondo. Il numero di coristi e coriste partecipanti (3500) ha superato quello già alto (2800) dell’ultima edizione, svoltasi a Monaco di Baviera nel 2018. La storia del festival è legata a doppio filo a quella della coralità LGBTQIA+, che nasce fin dagli anni Sessanta del secolo scorso, quando gay, lesbiche e persone trans che chiedevano più tutele e diritti negli Stati Uniti hanno spesso marciato a fianco dei movimenti per i diritti civili, mutuando così l’uso della voce in coro per farsi sentire ed esprimersi. Da allora il movimento internazionale è cresciuto non solo in Europa e nel

mondo, ma anche in Italia, dove nel 2015 nasce il festival Cromatica, il primo incontro dei cori arcobaleno italiani (che allora erano solo 7) proprio a Bologna. Da quell’impulso si è costituita l’omonima associazione, che conta oggi 15 cori iscritti da Torino a Bari, da Roma a Milano. Komos, il coro bolognese nato nel 2008, sulla scia di questa grande crescita nel panorama italiano, nel 2018 ha candidato la città felsinea come meta di Various Voices, aggiudicandosi la quindicesima edizione del festival con una proposta che i membri di Legato hanno preferito a quella di Palma di Maiorca e Reykjavík.

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Teatro Manzoni - Nicola Ortona DumBO - Distretto urbano multifunzionale di Bologna - Nicola Ortona DumBO - Distretto urbano multifunzionale di Bologna - Nicola Ortona

Gli ospiti speciali

La prima edizione nell’Europa del sud ha segnato anche un’altra prima volta, quella di un coro proveniente dall’Africa. Ospite speciale è stato infatti il Johannesburg Queer Chorus , coro misto amatoriale del Sudafrica, che è stato fondato nel 2020 proprio poco prima dello scoppio della crisi pandemica. Ma loro non si sono dati per vinti e oggi contano una sessantina di membri che, per usare le loro parole, “si impegnano per creare un’atmosfera amichevole per la nostra comunità attraverso il potere del canto”. Da molto lontano, anzi lontanissimo, proviene anche un altro ospite speciale: GALS , il coro rainbow di Auckland, Nuova Zelanda. Fondato nel 1992, è un coro misto che conta oggi una cinquantina di elementi e che aveva già partecipato a due edizioni precedenti di Various Voices: erano presenti a Dublino nel 2014 e a Monaco nel 2018. Altro viaggio importante è stato quello dei cori provenienti dal Nord America: the Gay Men’s Chorus of Washington DC, OurSong Atlanta e Atlanta Gay Men’s Chorus hanno inserito Bologna in un itinerario di concerti in Italia e in Europa. In questo momento di grande difficoltà per il loro paese non è stato facile portare a Bologna due cori ucraini, ma la loro presenza è stata una testimonianza importantissima per tutta la comunità raccolta attorno al festival. Il primo coro si chiama Queer-Essence e proviene da Kharkhiv, città fra l’altro gemellata con Bologna. Il coro è stato fondato nel 2019 e, come dicono loro, “non è solo un coro, ma una famiglia in cui puoi

essere te stesso ed essere accettato così come sei”. Il secondo coro ucraino si chiama Qwerty Queer e proviene da Odessa, dove è nato nel 2014, proprio durante la prima invasione russa del paese. Oltre a vivere la guerra in casa, va anche ricordato che essere una persona LGBT+ in Ucraina è ancora più difficile che in altri paesi.

Cinque giorni di note e colori ovunque

Ognuno dei 105 cori partecipanti si è esibito sul palco di uno dei quattro principali teatri della città: Arena del Sole, Auditorium Manzoni, Teatro Duse e Oratorio San Filippo Neri. Il format prevede per ogni coro una performance di 30 minuti, in quella che è stata una vera e propria maratona musicale che il festival ha corso tutti i pomeriggi. Accanto a queste esibizioni, l’organizzazione

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Gran Galà - Marco Piraccini MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna - Christian-Kreil

del festival ha voluto il più possibile coinvolgere la città nel suo insieme. Così è nata l’idea delle già citate esibizioni nelle aree pedonali durante il fine settimana, in cui sono stati coinvolti anche cori soci di AERCO, che si sono così alternati ai partecipanti del festival creando una marea corale davvero indimenticabile ed emozionante, una sorta di utopia musicale senza confini. Per i cori che lo desideravano, ci si poteva esibire anche su uno dei due palchi previsti a DumBO , lo spazio urbano rigenerato da una vecchia officina delle Ferrovie dello Stato, che è stato un vero e proprio Various Voices Village con spazio dedicato alla convivialità e alla socialità per coltivare amicizie vecchie e nuove tra i cori e le serate dedicate al clubbing. Qui si sono svolte anche le cerimonie di apertura e di chiusura del festival, che hanno visto come ospiti la drag internazionale Aura Eternal e la cantante Deborah Iurato, nonché il saluto finale a tutta la platea dei 3500 coristi del Sindaco di Bologna, Matteo Lepore. Esperienze molto particolari sono state certamente quelle nei musei. Il Museo internazionale e biblioteca della musica di Strada Maggiore ha ospitato 7 speciali visite guidate accompagnate da altrettanti piccoli ensemble: una situazione unica sia per il pubblico,

sia per i performer che hanno visto la propria voce animare le sale e la strabiliante collezione del museo. Al MAMbo il museo di arte moderna di Bologna, gli ospiti hanno potuto visitare la collezione e gli ambienti dell’ex-forno muovendosi in un percorso animato dai cori posizionati all’interno della struttura, ponendo in dialogo la musica e l’arte in un connubio unico. Il grande abbraccio alla città è stato il Gran Galà del venerdì sera, trasmesso in diretta televisiva e streaming. Per l’occasione, presentati dalla cantante bolognese Senhit e dal conduttore RAI Mario Acampa, i cori di Various Voices hanno reso omaggio ad alcuni grandi musicisti italiani: Ennio Morricone, Nicola Piovani, Giuseppe Verdi. Oltre ai Pink Singers, primo coro LGBTQIA+ europeo nato quarant’anni fa che si è esibito sulle note della colonna sonora di Amarcord, cori speciali si sono formati appositamente per l’occasione fondendo formazioni provenienti da diversi paesi per cantare insieme. Tutti i brani sono stati il frutto di un lavoro di arrangiamento portato avanti dal Maestro Lorenzo Orlandi e dai due direttori dell’Orchestra Senzaspine, Tommaso Ussardi e Matteo Parmeggiani, che hanno accompagnato il canto suonando sul palco. Ospite speciale della serata é stato Antonino, che ha regalato alla piazza una struggente interpretazione di I wanna dance with somebody di Whitney Houston. A chiudere lo spettacolo, una versione speciale del brano di Gloria Gaynor a cui è ispirato il motto di questa straordinaria edizione del festival, I Am What I Am , cantata da Senhit con i padroni di casa di Komos, che hanno trascinato tutta la piazza in un grande coro collettivo festante e liberatorio. Un augurio perché tutti e tutte possiamo sempre essere ciò che siamo senza vergogna e paura. Various Voices tornerà nel 2026, l’appuntamento per la sedicesima edizione è a Bruxelles!

| 59 VARIOUS VOICES 2023
Outdoor - Christian-Kreil Outdoor - Christian-Kreil

Isotta Alessandri

Giovanna Bacilieri

Francesca Cavalca

Valentina Cavalca

Adriana Cordua

Monica De Carne

Luisa Di Pierdomenico

Silvia Fanti

Serena Fava

Isabella Franchini

Nadia Mantovani

Maria Luisa Moro

Chiara Periodici

Monica Ricci

Greta Silvi

Edi Strocchi

Manuela Tassani

Paola Zappi

Antonella Casalboni

Monica Cesari

Maria Antonietta D’Aquila

Eloisa Ferrari

Katia Frati

Ivana Agata Leonardi

Evelyn Nericcio

Barbara Peccenini

Silvia Perandin

Alessandra Riminucci

Emanuele Ammaccapane

Massimiliano Archina

Lucio Bazzocchi

Gabriele Caselli

Loris Derni

Adriano Rebesco

Pietro Russo

Renato Vanzini

Franco Bacciottini

Roberto Fabbi

Federico Murero

Francesco Paolo Zienna

Bruno Abelli

Michele Fazzalari

Dino Lombardi

In autunno nuovi appuntamenti corali con il Coro Regionale dell'Emilia-Romagna
JulY 10-20, 2024 Auckland, New Zealand WCG2024.com

Ti abbiamo a cuore Sostieni il Progetto Cori per l’Emilia-Romagna

Il progetto “Cori per l’Emilia-Romagna” promosso da AERCO in collaborazione con FENIARCO mira a raccogliere fondi atti a sostenere le persone e le comunità emiliano-romagnole che sono state colpite da alluvioni o frane conseguenti agli eventi atmosferici estremi che si sono verificati nel mese di maggio 2023. Le donazioni ricevute verranno devolute in primo luogo agli eventuali cori che hanno avuto danni alla sede, alla strumentazione musicale e/o informatica, ai loro archivi musicali. Dopodiché, i fondi residui verranno destinati sia al recupero di una struttura culturale danneggiata (auditorium, teatro, sale da concerto, etc..), sia alla popolazione gravemente colpita, tramite la Protezione Civile Italiana EmiliaRomagna.

Le donazioni raccolte ai concerti potranno essere versate sul conto corrente intestato ad AERCOIBAN IT61G0306902520100000005066, con la causale “Cori per l’Emilia-Romagna”.

AERCO - Associazione Emiliano-Romagnola Cori - Via Barberia, 9 - Bologna (BO) Tel. +39 051 0067024 - aercobologna@gmail.com - www.aerco.it

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