FarCoro Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale- 70% CN/BO
n. 1 / 2017
Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori
Musica dell’anima
Storia
Tecnica
Cantiamo la Pasqua
Espressività e memoria a Mantova
Essere voce in coro
FarCoro
n. 1 / 2017
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale- 70% CN/BO
Editoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 DI NICCOLÒ PAGANINI
La lettera del Presidente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 FARCORO Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori Gennaio - aprile 2017 Edizione online www.farcoro.it Autorizzazione del Tribunale di Bologna N° 4530 del 24/02/1977 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - CN/BO. DIRETTORE EDITORIALE Niccolò Paganini direttore@farcoro.it COMITATO DI REDAZIONE Francesco Barbuto francescobarbuto@alice.it Giovanni Barzaghi doxnab@tin.it Luca Buzzavi lucabuzzavi@gmail.com Michele Napolitano napolitano.mic@gmail.com
DI ANDREA ANGELINI
Stile - Musica dell’anima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Cantiamo la Pasqua! DI LUCA BUZZAVI
Stile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 Coro Lab Feniarco DI CARLO PAVESE
Storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 Espressività e memoria a Mantova DI ANDREA TALMELLI
Analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 Conversazione con Vytautas Miškinis DI ANDREA ANGELINI
Vytautas Miškinis e la sua musica corale: O salutaris hostia DI FRANCESCO BARBUTO
GRAFICA E IMPAGINAZIONE Elisa Pesci
Tecnica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 Essere voce in coro
STAMPA Tipolitografia Tipocolor, Parma SEDE LEGALE c/o Aerco - Via Barberia 9 40123 Bologna Contatti redazione: direttore@farcoro.it +39 347 9706837 I contenuti della Rivista sono © Copyright 2009 AERCO-FARCORO, Via Barberia 9, Bologna - Italia. Salvo diversamente specificato (vedi in calce ad ogni articolo o altro contenuto della Rivista), tutto il materiale pubblicato su questa Rivista è protetto da copyright, dalle leggi sulla proprietà intellettuale e dalle disposizioni dei trattati internazionali; nessuna sua parte integrale o parziale può essere riprodotta sotto alcuna forma o con alcun mezzo senza autorizzazione scritta. Per informazioni su come ottenere l’autorizzazione alla riproduzione del materiale pubblicato, inviare una e-mail all’indirizzo: farcoro@aerco.it.
IN COPERTINA Vytautas Miškinis
DI ROBERTO SPREMULLI
Repertorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 Simone Campanini DI NICCOLÒ PAGANINI
AERCO notizie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 50 Anni del Coro Città di Morciano DI ORESTE PECCI E NICOLE LEARDINI
FarC
Editoriale
DR. NICCOLÒ PAGANINI Direttore editoriale
“Cerchiamo di fare in modo che la nostra rivista possa essere letta da tutte le componenti della nostra associazione: dai coristi ai segretari, dai direttori ai presidenti”
Carissimi Lettori, ci presentiamo in questo numero con una nuova veste grafica. Vogliamo dare una precisa e chiara identità alla rivista e speriamo che questa novità possa incontrare anche i vostri favori. Questo restyling sarà funzionale anche al sito della rivista, che sarà rinnovato per essere maggiormente funzionale alle esigenze dei tanti lettori che ci seguono anche nel formato digitale. Le novità non riguardano solo l’ambito estetico ma naturalmente anche quello dei contenuti. Da quando sono direttore editoriale ho sempre cercato di fare in modo che la nostra rivista potesse essere letta da tutte le componenti della nostra associazione: dal corista al segretario, dal direttore al presidente. Tutti devono trovare almeno uno spazio, un articolo che lo riguardi e che lo aiuti a mantenersi aggiornato nel suo ambito di competenza. Già da questo numero offriamo una rubrica sulla vocalità per i coristi e i maestri, un articolo di Roberto Spremulli che ha lo scopo di contribuire a trovare nuovi spunti di riflessione e suggerimenti in un ambito troppo importante per la coralità. In vista delle prossime uscite sono già pronte due rubriche rivolte rispettivamente ai direttori e ai presidenti e segretari. Luca Buzzavi, in Musica dell’anima, dà qualche spunto di riflessione e suggerisce alcuni brani per preparare al meglio le imminenti celebrazioni pasquali. Con la sua simpatia e ironia vuole aprire un confronto per giungere ad un rinnovato modo di curare il servizio musicale delle celebrazioni cristiane. Francesco Barbuto e Andrea Angelini contribuiscono con un focus su un grande compositore, il lituano Vytautas Miskinis. Oltre all’intervista, offriamo un’interessante analisi sulla sua musica corale, in particolare del brano O salutaris hostia. Lo spazio alla composizione e al repertorio viene completato da una rubrica che ha l’intento di presentare nuovi e giovani compositori; in questo numero intervistiamo il giovane parmigiano Simone Campanini e pubblichiamo alcune sue creazioni. Per la storia, con Andrea Talmelli, parliamo di espressività e memoria, presentando una serie di appuntamenti svoltisi a Mantova in occasione della Giornata della Memoria, il 27 gennaio scorso. Come sempre non manca lo spazio per la coralità scolastica e infantile, con l’esperienza del Coro Lab di Carlo Pavese, un progetto, organizzato da Feniarco, che ha riscosso grande successo di partecipazione e di risultati artistici. Infine, colgo l’occasione per ringraziare la gentile disponibilità di Giovanni Barzaghi ad essere parte della redazione della nostra rivista, certi che, con la sua competenza, il nostro lavoro avrà un ulteriore impulso di qualità e di creatività. Chiediamo anche a Voi, di contribuire alla rivista con qualche articolo, suggerimento o critica costruttiva; sarebbe interessante anche che qualcuno scrivesse a risposta dei nostri articoli. FarCoro auspica di aprire confronti e dibattiti e non solo di dare delle risposte. Quindi scriveteci direttamente alle mail degli autori o a direttore@farcoro.it . Corali saluti
Coro
Niccolò Paganini
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La lettera del Presidente Associazione Emiliano Romagnola Cori
DR. ANDREA ANGELINI Presidente AERCO
Omaggio ai 450 anni dalla nascita di Claudio Monteverdi: la Messa ‘In Illo Tempore’
Il 16 luglio 1610 Bassano Casola, un famoso cantante mantovano di quei tempi, scrisse al cardinale Ferdinando Gonzaga (figlio minore del duca Vincenzo): Monteverdi è in procinto di stampare una messa a cappella a sei voci scritta con studio e fatica, dal momento che ha dovuto manipolare continuamente ogni nota attraverso tutte le parti, rafforzando di continuo gli otto temi dal mottetto ‘In illo tempore’ di Gombert. Inoltre sta anche completando alcuni salmi per i Vespri della Vergine, con varie e diverse tecniche inventive ed armoniche, il tutto sopra un cantus firmus. Ha intenzione di venire in autunno a Roma per dedicarli a Sua Santità. Si tratta di una descrizione abbastanza precisa della pubblicazione, che apparve quello stesso anno a Venezia, dedicata a Papa Paolo V. Questa inizia con una ‘Missa da Capella a sei Voci fatta sopra il motetto In illo tempore del Gomberti’, per citare la versione più completa del titolo, che conteneva inizialmente anche la parte dell’organo. Non c’è contraddizione nell’avere steso anche la parte organistica in una Messa ‘a cappella’: a tale termine mancavano ancora le accezioni che vennero successivamente acquisite. C’era, tuttavia, un luogo dove la musica sacra veniva sempre cantata priva di accompagnamento: la Cappella Sistina a Roma; quindi non è sorprendente constatare che l’unica copia originale sopravvissuta della Messa ometta la parte dell’organo. Monteverdi si recò a Roma nell’autunno del 1610 per presentarne una copia, sperando in tale modo di ricevere in cambio una borsa di studio per il figlio Francesco (e forse qualche vantaggio per se stesso). Anche se l’intera pubblicazione della Messa e dei Vespri è stata dedicata al Papa, è molto probabile che solo la Messa gli fu presentata, dal momento che i Vespri non erano certamente in sintonia con il gusto papale: questi ultimi erano molto più adatti a Venezia, dove l’edizione era stata pubblicata e dove il compositore si assicurò presto (nell’Agosto 1613) una delle posizioni più pregiate ed ambite per un musicista, la nomina a maestro di cappella della Basilica di San Marco. Nicolas Gombert nacque nelle Fiandre intorno al 1495, studiò probabilmente con Josquin Desprez e trascorse la maggior parte della sua vita come cantante e compositore della cappella dell’imperatore Carlo V. A partire dal 1540 non risultano più prove della sua attività corale: stando ad una testimonianza del matematico Girolamo Cardano, Gombert fu accusato di violenza sessuale nei confronti di un ragazzo e fu condannato ai lavori forzati. Comunque fu presto graziato, ma poco si sa della sua successiva carriera. Morì tra il 1556 e il 1561. C’erano sicuramente alcuni collegamenti tra Gombert e un membro della famiglia Gonzaga, Ferrante, al quale Gombert inviò un mottetto nel 1547: infatti la biblioteca della cappella dei Gonzaga, Santa Barbara, comprendeva almeno una delle raccolte dei mottetti pubblicati da Gombert. Non c’è apparentemente alcuna evidente ragione per cui Monteverdi avrebbe dovuto scegliere un lavoro del com-
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positore fiammingo su cui plasmare la sua Messa; ma era chiaramente nelle sue intenzioni volgere lo sguardo alla precedente generazione di compositori italiani che avevano attinto alle sorgenti fiamminghe dello stile polifonico.
Claudio Monteverdi
Monteverdi consapevolmente modellò la sua composizione con alcuni temi estratti dal mottetto di Gombert (dieci di loro, in realtà), forse perché si rese conto che sarebbe stata una pratica difficile da scoprire per i non adepti o forse per dimostrare che era lui stesso interessato al trattamento astratto delle linee tematiche convenzionali piuttosto che alla parodia nel suo insieme. La scrittura a sei voci stava diventando insolita per la scrittura polifonica del tempo: è sintomatico il fatto che la più famosa Messa a sei voci di Palestrina, la Papae Marcelli, sia stata riscritta, dopo la sua morte, a quattro voci, secondo una pratica senza dubbio più in voga. Nei Vespri, di cui completò la pubblicazione nel 1610, Monteverdi mostrò un’impressionante abilità nello scrivere idiomaticamente per molte voci all’interno dei più chiari modelli armonici del nuovo stile; nella Messa, l’armonia è invece generata da una linea di basso che fa parte dell’intreccio contrappuntistico, anche se si avverte già un chiaro senso di tonalità. Nel Credo La tessitura è densa, con poche pause per le singole parti e solo una sezione presenta la scrittura accordale, ‘Et incarnatus est’, che richiama anche l’attenzione alla modulazione a Mi maggiore dal Do maggiore prevalente. Il seguente ‘Crucifixus’ ripristina la tonalità di Do maggiore, ma utilizza solamente le quattro voci superiori. Mi maggiore è di nuovo utilizzato per un magnifico contrasto tonale nel ‘Benedictus’. Il finale ‘Agnus Dei II’ è per sette voci, seguendo la tradizione di aggiungere una voce in più per l’ultima sezione della Messa. Partitura nella tonalità originale: http://www.johnkilpatrick.co.uk/music/1610/1610-mass-C.pdf Ascolto su YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=ZsBS8Sl1zKo Andrea Angelini - Presidente AERCO
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Stile Musica dell’anima
Manca poco alla Santa Pasqua e si è pensato di proseguire l’excursus sul repertorio liturgico, animati (è il caso di dirlo!) anche dai numerosi e positivi riscontri sull’incontro con l’Ensemble Sine nomine della parrocchia di Tal dei Tali. Siamo altresì lieti di discutere di questi argomenti con il maestro del coro Gli attenti cantori che, come evidentemente testimoniato dal nome del gruppo, è formato da responsabili coristi, abili nella lettura consapevole dei testi, delle partiture e familiari alla consultazione di articoli specialistici.
Cantiamo la Pasqua! DI LUCA BUZZAVI
Pensate che – ci informa il direttore – spesso capita che siano loro stessi a informarlo sulle novità editoriali, a stimolarlo sulla ricerca di nuove composizioni, a ricercare insieme utili corsi di formazione, a studiare scrupolosamente le partiture, a voler trovare le nascoste chiavi di lettura del repertorio più antico senza limitarsi, magari, a erronee o superficiali trascrizioni. Nessun cantante professionista, tutti amatori che hanno deliberatamente deciso di dare al canto corale un posto rilevante nella loro quotidianità. Incuriositi dalla florida realtà che il collega è stato in grado di coagulare intorno a sé, gli abbiamo chiesto come mai ci avesse contattati in seguito alla pubblicazione del contributo sul repertorio natalizio. “Da sempre scegliamo attentamente i brani da proporre in liturgia, anche se siamo stati talvolta redarguiti, perché la messa non è un concerto. Vedere avallati i nostri criteri di discernimento del repertorio da una nuova rubrica dedicata proprio alla Musica Liturgica, ci ha dato nuova linfa; così abbiamo pensato di renderci disponibili per un nuovo intervento sul repertorio liturgico.” A tal proposito, il gruppo è stato incaricato di cantare alle liturgie del Giovedì Santo e di Pasqua nella parrocchia di Poggio Navi: sarà indubbiamente interessante vedere che brani hanno scelto.
A. Van Dyck, Resurrezione
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MUSICA DELL’ANIMA
È indispensabile iniziare, come ormai sappiamo, facendo riferimento al repertorio Proprio. Il Graduale Romanum indica per la Messa vespertina del Giovedì Santo l’Introito Nos autem, il Graduale Oculi omnium, il Tratto Ab ortu
solis, durante la lavanda dei piedi propone sette antifone, all’Offertorio è prevista l’antifona Ubi caritas, poi il Communio Hoc corpus e durante la traslazione del Santissimo Sacramento l’inno Pange lingua; mentre per la Messa del Giorno di Pasqua vengono prescritti l’Introito Resurrexi, il Graduale Haec dies, l’Alleluia Pascha nostrum, la Sequenza Victimae paschali, l’Offertorio Terra tremuit, il Communio Pascha nostrum. Il maestro ci spiega, quindi, come ha scelto i brani da far cantare a Gli attenti cantori, tenendo come riferimento le indicazioni che la Chiesa dà attraverso il suo libro liturgico. Egli, come pure aveva fatto il direttore del Sine nomine di Tal dei Tali, si è prodigato in una approfondita ricerca di materiale: decide di affidare i due introiti al canto gregoriano (Nos autem e Resurrexi) e sostituisce i Graduali con i Salmi responsoriali su formule stereotipo. Ritiene troppo complesso il Tratto del Giovedì Santo per il pur capace solista di cui dispone nel coro, perciò sostituisce il Tratto con una melodia assembleare quaresimale; invece, al capace solista decide di affidare il versetto dell’Alleluia Pascha nostrum per il Giorno di Pasqua. Canteranno, a seguire, la sequenza Victimae paschali utilizzando la melodia prevista. Per il canto dell’Ubi caritas sceglie l’omonimo mottetto contemporaneo di Paul Mealor, mentre per l’Offertorio del Giorno di Pasqua attinge alla composizione palestriniana del Terra Tremuit. Affida poi entrambi i Communio alla forma salmodica antifonale del Graduale Simplex: Calicem salutaris, per il Giovedì e Alleluia per la Domenica. All’uscita dei fedeli, eseguirà infine l’antifona mariana gregoriana Regina cœli seguita dalla versione polifonica rinascimentale di Giovanni Giacomo Gastoldi e da un brano libero organistico. Inoltre, ci informa il maestro che il parroco di Poggio Navi è persona di cultura e riconosce da sempre l’importanza del canto nella liturgia, tanto da avergli chiesto di aiutarlo nell’apprendimento delle melodie previste dal Messale che dunque saranno cantate sia il Giovedì che la Domenica sortendo il duplice effetto di contribuire all’arricchimento della Liturgia e stimolare la partecipazione dei fedeli. Data l’importanza del tema, non mancheremo di approfondire l’argomento a breve sulla nostra rubrica. Tentiamo ora un’analisi delle scelte effettuate da Gli attenti cantori. Anzitutto gli Introiti gregoriani, Nos autem e Resurrexi. L’espressività che il canto gregoriano dona alle due antifone è totalizzante. Entrambe in IV modo, un deuterus plagale che a tutto farebbe pensare, meno che alla Resurrezione
Giovanni Pierluigi da Palestrina
del Cristo. Una modalità così dimessa che ci costringe inevitabilmente a riflettere sul mistero della Resurrezione come intrinsecamente legato a quello della Passione e della Morte di Cristo, un triplice mistero (passus et sepultus est et resurrexit) che è fonte esso stesso della nostra Salvezza, già annunciata dal Santo Natale. Il direttore non ha inteso rinunciare a una così grande ricchezza fatta risuonare esclusivamente – appunto – in questo modo. Della sostituzione del Graduale con il canto del Salmo responsoriale abbiamo già parlato nel numero precedente, quindi ci limitiamo a ricordare che, a fronte della semplicità formale e della pur salvaguardata pertinenza testuale, si ha una perdita notevole sia sul piano estetico che esegetico. Idem per le sorti del Tratto. Sul Graduale del Giovedì, inoltre, è qui il caso di ricordare che, prima della ricollocazione liturgica del Graduale Romanum del 1974, durante la Missa in coena Domini (Giovedì Santo) era previsto il Graduale Christus factus est (e non Oculi omnium), cantando soltanto la prima frase (Christus factus est usque ad mortem), completando la parte responsoriale il Venerdì Santo (Christus factus est usque ad mortem, mortem autem crucis) per arrivare a cantarlo per intero, compreso il versetto solistico e la ripresa del responsum corale, solamente il Sabato Santo. Dopo il 1974, la riforma della liturgia ha rinunciato a quest’occasione di profonda esegesi ricollocando il brano sia la Domenica delle Palme che durante l’azione del Venerdì Santo, in entrambi i casi – peraltro – non dopo la prima lettura (momento proprio del Graduale), ma al termine della seconda sostituendo così, in modo anomalo, la presenza di un Tratto.1
1 Pensiero ricostruito a partire dalla Guida all’ascolto Il Graduale della Passione proposta dal maestro Fulvio Rampi sul blog curato da Sandro Magister, rintracciabile al link http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350760
CANTIAMO LA PASQUA! | 7
“Da sempre scegliamo attentamente i brani da proporre in liturgia, anche se siamo stati talvolta redarguiti, perchè la messa non è un concerto”
Interessante è pure il ruolo del Graduale Haec dies del Giorno di Pasqua. Esso infatti viene riproposto per tutti i giorni dell’ottava fino alla Dominica in Albis (la prima dopo Pasqua) ribadendo che proprio Questo è il giorno che ha fatto il Signore! Da quel momento e fino a Pentecoste, il Graduale sarà sostituito da un Alleluia che si sentirà cantare quindi due volte per ogni Domenica. L’Alleluia, di carattere melismatico, trova nel Giorno di Pasqua uno jubilus in VII modo (lo stesso del Puer natus est, niente meno!) estremamente ricco. Il maestro non ha voluto farne a meno, perché dire Alleluia, significa essere nel Tempo di Pasqua. Una parola che contiene in sè l’allusione a Dio, proprio in quel melisma sulla sillaba ia che amplifica il termine stesso. Ia che sta anche per Yahweh, Io sono colui che sono, ovvero il nome ebraico di Dio. Una formula stereotipata assembleare non avrebbe avuto, è chiaro, la stessa valenza. Il bravo solista avrà un bel da fare nell’eseguire il versetto Pascha nostrum con speciale premura rispetto al ritmo suggerito dalle notazioni adiastematiche riportate dal Graduale Triplex; così l’attenzione di tutti i presenti sarà calamitata dalla sua voce, ricca occasione di meditazione del messaggio biblico prima della cantillazione del Vangelo da parte del celebrante. Altro che concerto: siamo di fronte al piegamento del fattore estetico alla Bellezza liturgica che, necessariamente, si fa sostanza e contenuto. Un messaggio per tutti, non per i pochi che sanno apprezzare, perché – ne siamo convinti tanto quanto Dostoevskij – la Bellezza ci salverà. La sequenza di Pasqua Victimae pachali è tra i brani più cantati dai cori che effettuano servizio liturgico, una melodia medievale di attribuzione non ancora ben definita, che funge da spiegazione del testo evangelico semplice e fruibile da tutto il popolo. Nell’attuale ordinamento liturgico si esegue prima dell’Alleluia, anche se la sua collocazione liturgica originale, mantenuta nel Graduale Romanum, è in coda al canto dell’Alleluia. Gli attenti cantori hanno poi studiato alcune antifone tra quelle proposte da cantarsi alla Lavanda dei piedi del Giovedì Santo. Ma è all’Offertorio che il coro darà sfoggio di capacità interpretando due impegnativi mottetti. Al Giovedì Santo sarà Ubi caritas del gallese Paul Mealor, brano composto nel 2011 per il matrimonio tra il Principe William e Kate Middleton ed eseguito in quella speciale occasione dal coro di Westminster Abbey. Il pezzo, a 4 voci con divisi, richiede ottima tenuta vocale per evidenziare tutte le sfumature dinamiche previste. Alla Domenica invece risuonerà il cristallino contrappunto di Giovanni Pierluigi da Palestrina, maestro della scuola rinascimentale romana, nell’impegnativa e geniale sinergia tra Parola e Musica del Terra tremuit.
Paul Mealor
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MUSICA DELL’ANIMA
Nel Communio, che come sappiamo è inteso come nuova meditatio del messaggio evangelico in stile semi-ornato, il maestro ha preferito deviare sul Graduale Simplex che propone due antifone sillabiche: Calicem salutaris al Giovedì, ma soprattutto il ben noto Alleluia di VI modo la Domenica. Ha sicuramente fatto questa scelta per ribadire la centralità dell’Alleluia nel tempo di Pasqua che qui si fa essa stessa antifona e non ritornello assembleare tipicamente bistrattato quando non si ha altro da proporre come canto al Vangelo. Dunque un Alleluia simplex al Communio che fa risuonare, come un’eco, quelli molto ornati ascoltati in precedenza sia nel canto al Vangelo sia nel mottetto palestriniano d’Offertorio.
Coro di Wetminster Abbey photo by Paul Grover
Durante la Traslazione del Santissimo Sacramento, al termine della liturgia del Giovedì, il coro intonerà il noto l’inno medievale Pange lingua, attribuito a S. Tommaso d’Aquino, che termina con il Tantum ergo da cantarsi alla Deposizione cui seguirà il devozionale silenzio in attesa dell’Adorazione della Croce il Venerdì fino alla solenne liturgia del Sabato Santo, centro dell’anno liturgico. Domenica la liturgia terminerà con la formula di saluto pasquale Ite missa est, Alleluia di VIII modo. Essa è stata studiata dal celebrante insieme al maestro e l’assemblea, guidata dal coro, risponderà sulle stesse note: Deo gratias, alleluia. All’uscita dei fedeli, poi, l’antifona mariana Regina cœli sarà cantata seguita dall’omonimo mottetto di Gastoldi, testimone della prassi compositiva tardo rinascimentale su cantus firmus: un saluto con stile da parte del coro prima di lasciare alla bravura dell’organista la coda improvvisata sul tema appena ascoltato. Per quanto riguarda il repertorio dell’Ordinario, il coro ha eseguito il Giovedì alcuni brani dalla Messa di Fulvio Rampi per coro e organo in alternatim con l’assemblea; mentre nel Giorno di Pasqua ha cantato alcune parti della prima messa del Kyriale, Lux et origo, indicata per il tempo di Pasqua. Ringraziamo in chiusura Gli attenti cantori e il loro maestro (augurandoci che in molti possano seguire il loro buon esempio…) e cogliamo l’occasione di questa prima uscita del 2017 di Musica dell’anima per augurare ai lettori Buona Pasqua, densa di appaganti attività musicali. Post scriptum. Sia l’Ensemble Sine nomine che Gli attenti cantori parteciperanno al I Concorso per Cori liturgici, che si terrà a Parma sabato 24 giugno 2017. Chissà quanti altri lettori si troveranno quel giorno insieme a loro… Nel caso interessasse, qui troverete il bando: http://www.asanbenedettopr.it/concorso-per-cori-liturgici.html
CANTIAMO LA PASQUA! | 9
Stile
Come Ulisse, il maestro del coro ha un “multiforme ingegno” e affascina i suoi ragazzi viaggiando con loro verso mete sconosciute. Coro Lab è un viaggio nell’intreccio delle discipline necessarie a guidare un gruppo corale e a navigare sicuri oltre le colonne d’Ercole. Come Antonio Stradivari, il maestro del coro costruisce il suo strumento. Coro Lab è una bottega di liuteria corale dove si approfondisce la conoscenza della voce, dell’intonazione, della fusione dei suoni e delle persone, anche grazie alla possibilità di lavorare con specifiche formazioni corali. Come Pino Lancetti e Pellegrino Artusi, il maestro del coro è un abile sarto e un fantasioso cuoco. Coro Lab è un atelier dove si apprende come scegliere e cucire la musica su misura per il proprio coro, è una cucina dove si impara a elaborare il repertorio per servire prove e concerti davvero saporiti. E se è vero che il maestro del coro è anche un piccolo mago, allora Coro Lab assomiglia a una scuola di magia. Ci vediamo tutti al binario nove e tre quarti!
Coro Lab Feniarco Progetto per lo sviluppo della coralità tra bambini e giovani
DI CARLO PAVESE
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STILE
Come si evince dal testo che a suo tempo presentò questo progetto APS di Feniarco, Coro Lab si è basato su una concezione artigianale del mestiere di direttore, rivolgendosi alle centinaia di musicisti e insegnanti che ogni settimana, talvolta ogni giorno, si dedicano alla crescita di cori di voci bianche e giovanili nelle scuole, nelle associazioni, sul territorio. Riconoscendo loro l’altissimo merito di educare al canto corale e alla musica generazioni di bambini e ragazzi, Feniarco ha concepito un progetto che potesse svolgere una doppia funzione: quella di aggiornamento e formazione ad ampio orizzonte, quella di creazione di una rete di confronto e scambio a livello nazionale. Nelle quattro sedi del progetto (Roma, Salerno, San Vito al Tagliamento, Torino) hanno partecipato 161 direttori da 17 regioni d’Italia. Si sono alternati 28 docenti e 20 cori laboratorio. Il programma di ciascuna sede ha previsto 42 ore di lezione articolate in tre fine settimana. La maggior parte dei docenti ha insegnato in più di una sede, alcuni in tutte e quattro, e in ogni sede si sono alternati circa 12 docenti.
Le materie proposte da Coro Lab sono state: direzione, vocalità infantile, vocalità giovanile, warm up, musical, repertorio multietnico, repertorio e gestione del coro di voci bianche, alfabetizzazione, arrangiamento, body percussion, choral pop, beat boxing, tecnologia, esperienze corali, coro dei direttori. Un centinaio di partecipanti ha partecipato ad un quarto incontro che si è svolto a Montecatini durante il Festival di Primavera. Tre quarti di questi direttori hanno scelto la settimana dedicata alla scuola primaria e secondaria inferiore, i rimanenti hanno seguito le scuole superiori. A entrambe i gruppi sono state offerte 15 ore di lezione e la possibilità di seguire il lavoro di 6 atelier e di incontrare complessivamente (nelle due settimane) 17 direttori e docenti. E’ bene chiarire che con Coro Lab non ci si è certo proposto un approccio approfondito alle discipline in programma, né altresì una superficiale spolverata tuttologica. Si è voluto piuttosto dare l’occasione ai partecipanti di incontrare alcuni dei più validi musicisti nel panorama corale nazionale e ricevere da loro spunti e coordinate per verificare lo stato delle proprie competenze e conoscenze, svelare aspetti e ambiti meno frequentati o innovativi del nostro mestiere, instillare dubbi, suggerire soluzioni, provocare curiosità ed entusiasmo verso nuove possibilità e modalità del fare coro oggi. Il successo di Coro Lab, in termini numerici e di consenso riscosso per l’iniziativa sia da parte degli iscritti che dei docenti, conferma la bontà dei presupposti e degli obiettivi del progetto, nonché dei mezzi e degli strumenti messi a disposizione del suo svolgimento, e suscita alcune riflessioni che mi sembra utile condividere. Il mondo corale è ricco di persone che vogliono mettersi in gioco, che sono desiderose di apprendere, migliorare, condividere, crescere insieme. C’è consapevolezza che questo percorso non è solo musicale e artistico, ma ha risvolti culturali ben più ampi e implicazioni sociali importantissime. Con il canto corale cresce una società che tutti ci auguriamo più aperta, giusta, solidale, coesa, umana. Per queste istanze la risposta non può essere solo “accademica”, nè serve l’eletto maestro che con il faro unico della sua arte polifonica illumina la via agli iniziati. Serve invece un’offerta formativa flessibile, rigorosa nella qualità ma attenta alla pluralità delle istanze, alla varietà degli stili e dei gusti musicali, che aiuti a intercettare il talento dei bambini e dei ragazzi, a moltiplicarlo e diffonderlo, a nutrirli di bellezza e di gioia di
cantare, a fare leva su curiosità e interesse per ampliare il panorama sonoro e culturale delle nuove generazioni. L’Italia è un mosaico di sfumature, di colori, di tradizioni locali e regionali, ma ha una cultura, un ricchezza musicale, una lingua, un sistema educativo che formano un patrimonio comune. Feniarco ha saputo dare questo respiro nazionale al progetto. Con la mobilità dei docenti e con la conclusione plenaria a Montecatini ha creato una rete estremamente importante, una piattaforma di condivisione e di confronto la cui rilevanza e utilità è stata confermata e ribadita dai partecipanti stessi, anche in recenti occasioni di incontro. I docenti stessi hanno affermato, più volte e con grande entusiasmo, quanto sia stato significativo e formativo per loro incontrare colleghi e discenti di regioni diverse, al punto che spesso si sono fermati ad assistere a lezioni altrui, seduti tra i partecipanti. Coro Lab ha quindi pienamente confermato l’importanza di un pensiero complessivo per la coralità italiana. Nel ruolo di coro laboratorio hanno talvolta partecipato eccellenze del nostro panorama, ma molto spesso si è trattato di formazioni perfettamente nella media, simili a quelle che la maggior parte dei direttori e degli insegnanti si trova a gestire nel quotidiano. Questo fatto ha mostrato che ogni coro può aiutarci a imparare, che ogni coro può apprendere cose nuove se non ha timore di aprirsi a nuove avventure, che qualsiasi sia il livello di partenza al quale ci troviamo è sempre possibile e quindi è molto importante lavorare bene e creare le condizioni per poter fare buona musica. Coro Lab lascia quindi un’eredità importante. Da questa esperienza, nei suoi aspetti più convincenti e nei suoi limiti, abbiamo tratto insegnamenti, ricevuto soprese positive, e soprattutto abbiamo ricavato molta energia e fiducia nella capacità di sviluppo e di contagio positivo della musica corale tra i bambini e i giovani, dentro e fuori dalla scuola. Grazie per avermi invitato a condividere questi spunti con i vostri lettori. CORO LAB | 11
Storia
Espressività e memoria a Mantova DI ANDREA TALMELLI
Invitati dal Conservatorio Lucio Campiani di Mantova a recensire l’evento conclusivo della Settimana della Memoria, abbiamo trovato nel maestro Andrea Talmelli, neo eletto Presidente della Società Italiana per la Musica Contemporanea, un valido e disponibile collaboratore per il presente contributo. Nel ringraziare sia il Conservatorio mantovano che il maestro Talmelli, la Redazione di FarCoro suggerisce ai lettori di prendere visione della ricca programmazione attraverso i materiali consultabili all’indirizzo: http://www.conservatoriomantova.com/it/il-conservatorio/ news/495-settimana-della-memoria-2017
Sarebbe oggi felice anche Paul Aaron Sandfort, il trombettista di Brundibar sopravvissuto allo sterminio che mi accompagnò nelle numerose rappresentazioni dello spettacolo dell’Istituto Peri di Reggio Emilia a cavallo del nuovo Millennio, di questo “passaggio del testimone alle generazioni nate dopo la Shoah”. A Mantova la Giornata della Memoria è diventata la Settimana della Memoria, sulla scia degli eventi numerosi e coralmente proposti da Enti e Istituzioni; e quel che più importa appunto, da Istituzioni scolastiche. “Impossibile pensare la formazione musicale senza la formazione delle persone e delle comunità”, si legge nel bel libretto che accompagna questa rassegna dedicata a Sergio Cordibella e culminata nella rappresentazione conclusiva del 29 gennaio al Teatro Bibiena. La formazione musicale e la formazione delle persone. Ne sapevamo qualcosa anche prima, a Parma, quando si avviò nel 1976 – tanti anni prima della stessa istituzione della Giornata della Memoria – la prima esperienza di Liceo musicale annesso al Conservatorio e io scrivevo Se questo è un uomo sui frammenti di Primo Levi che di lì a poco
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STORIA
avrei conosciuto. Ritrovarmi spettatore, a tanti anni di distanza, di questo interesse così importante per la formazione delle persone e con il Conservatorio Lucio Campiani protagonista dell’evento insieme al Liceo musicale e coreutico Isabella d’Este, è stato dunque un momento per rivivere molteplici emozioni già sperimentate. Ho assistito solo alla rappresentazione finale della Settimana, ma è facile intuire che, per la intensità partecipativa alla ricerca e all’approfondimento del progetto, tra conferenze, letture, canti, proiezioni e concerti in più parti della città, studenti e insegnanti coinvolti abbiano disegnato anche una bella pagina pedagogica oltreché artistica per Mantova, una pagina che è stato il frutto di lavoro di un intero anno. Se l’intento principale della rassegna era un percorso che conduceva alla rappresentazione conclusiva, quest’ultima a sua volta era concepita come un percorso che culminava nella riproposizione della ormai celebre opera da camera di Marc Neikrug, Through Roses, un monologo con attore ed ensemble da camera eseguita in più parti d’ Italia e d’Europa, ma per la prima volta qui in forma scenica, con l’apporto registico e drammaturgico di Chiara Olivieri e Giovanna Maresta. Questo percorso struttura dunque un concerto-spettacolo composto di tre momenti di coinvolgente crescendo emotivo; momenti diversi, anche per i contesti che ognuno assume, ma che tra loro non lasciano intravvedere alcuna frattura di un progetto delineato come continuum che appunto conduce lo spettatore tra scenari via via più complessi di questi gironi infernali. Asciutto, quasi un affresco, affidato a geometrie sonore che tessono maglie sempre più strette di un seduttivo reticolo sonoro, In memoria del giovane Igor Bianchini, si affida a un quartetto di sassofoni preregistrati, lasciando a due lettori, un uomo e una donna, Diego Fusari e Francesca Campogalliani, il compito di “chiamare” quei 99 deportati mantovani che non fecero ritorno, schegge o graffiti scolpiti su un terreno lastricato di suono. Discreto, quasi preoccupato di non lasciar percepire quei nomi scanditi, il brano è condotto con bella trama contrappuntistica fino all’inaspettata entrata finale del flauto, che trascolora il reticolo in un diafano cielo. “Io chiusa qui da filo spinato e lassù la bianca nuvola che verso casa va. Io qui chiusa da reticolati e poi sarò una bianca nuvola che a casa tornerà”. Inevitabile l’accostamento ai bianchi pensieri di questa bambina dei campi ricordata nel bel libro di Joza Karas sulla musica concentrazionaria, in questo passaggio finale del brano di Bianchini che conduce al coro a cappel-
la con cui Luca Buzzavi ha trascritto Kaddish, la prima delle celebri Mélodies ebraiques scritte da Maurice Ravel nel 1914. Un secondo movimento dello spettacolo che è anche una preghiera. Il Coro è sempre icona importante della musica dei lager, constatazione anche di quella povertà o assenza di risorse, di strumenti e spartiti, che impone di utilizzare al massimo lo strumento naturale della voce umana nel reagire a quella terribile dei campi descritta anche da Levi. Utilizzare il coro significa perciò educare e far rivivere, per quanto possibile, il senso di comunità. In questa direzione corale si spinsero anche diversi compositori affermati come quelli di Terezin, il ghetto di Brundibar e di Hans Kraza, che fu, non senza un ben preciso motivo strategico per i nazisti, una vera eccezione per la produzione musicale nei luoghi di concentramento e sterminio. Gli arrangiamenti di canti popolari di etnie diverse mischiate e accumulate nella sventura, fu una base di partenza ed è questo anche l’apporto fornito dalla bella trascrizione per coro di questa antica preghiera di magnificazione di Dio, composta da Ravel e riproposta spesso, oltre che dal canto accompagnato, anche da struggenti versioni per violino. Momento corale questo che precede la complessa opera di Neikrug. Pur con strumenti linguistici aggiornati al tempo della composizione (1980), Through Roses mantiene lo spirito e le suggestioni dell’epoca di riferimento in una struttura musicale dettata dalla disarmante narrazione qui affidata a un ottimo Marco Galifi. Le inflessioni del parlato multilingue sconfinano fino al cantato attraverso la vasta gamma di modi di esecuzione già introdotti da Schönberg fin dal Pierrot Lunaire, e si mescolano a quella ridda infernale di situazioni musicali spesso sovrapposte in allucinante policromia. E suggestivo è questo scollamento del tempo, ora ossessivo e interminabile, ora stretto e lacerante, ma soprattutto visibile nella sovrapposizione di più even-
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ti musicali contestuali, con lunghe fasce sonore tenute che accolgono frammenti di voci, bagliori di rumori, di marce e reminiscenze d’autori dei repertori storici. Ed è soprattutto visibile nella sovrapposizione sullo stesso palco del gesto scenico dell’orchestrina diretta dalla figura femminile interpretata dalla stessa Olivieri – uscita dai ricordi e dalle allucinazioni del violinista protagonista – in contrasto ritmico e visivo con quello subito dietro dell’orchestra ‘reale’ formata dagli otto esecutori diretti da Romano Adami. Il violino è il simbolo per eccellenza di questa storia, con i suoi fantasmi che affondano nel romanticismo paganiniano traghettati nell’espressionismo di Berg, e in questo inferno il nobile strumento trova anche la sua doppia immagine: quella del musicista “vero” (Giacomo Invernizzi) che si sovrappone alla figura del violinista “bambino” (Lorenzo Biancoli). Una ricerca della forma musicale tra Male e Bellezza, termini che hanno convissuto nella riflessione di Viktor Ullmann, grande compositore anche lui vittima dello sterminio. Ma tanti sono i richiami simbolici all’olocausto qui presenti: la valigia, i vestiti, il pigiama a strisce, i capelli, l’orchestra femminile, i bambini, il kapò donna, le marce, il cammino verso il nulla, … L’assemblaggio avviene in uno spazio scenico essenziale che permette di evidenziare tutti i protagonisti nello svolgere la parte di pupazzi che guardano nel vuoto perché ormai vuote sono le persone, annientate da incontrollati gesti di pazzia, pura reazione di muscoli e altre piccole parti del corpo, materia umana inanimata. Questa inespressività ricercata e così ben interpretata dagli attori è in realtà altamente espressiva in ogni parte del racconto svolto sulla scena o tra il pubblico. Semplicità di mezzi, dunque, ma grande efficacia nel risultato artistico complessivo. È quello che tutte le figure hanno generosamente mostrato insieme ai componenti dell’Orchestra da Camera della Memoria, per una attenta regia che ha saputo riportare lo spirito autentico di questo beffardo destino del violinista. È lui, il testimone della memoria, che infine sembra la vera vittima proprio per essere sopravvissuto grazie e solo alla sua bravura nel saper suonare. Pagherà questa beffa con le allucinazioni perpetue di quel che vide e anche di ciò che ha perso, soprattutto i sogni della bella amata vestita di rosso, infine spogliata, che esce di scena verso il crematorio e verso un’altra nuvola bianca. Ma attraversando un giardino di rose.
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STORIA
“Il Coro è sempre icona importante della musica dei lager, constatazione anche di quella povertà o assenza di risorse, che impone di utilizzare al massimo lo strumento naturale della voce umana nel reagire a quella terribile dei campi”
Analisi
La Grande Musica Corale in un Piccolo Paese: una Conversazione con il Compositore Lituano Vytautas Miškinis DI ANDREA ANGELINI
Vytautas Miskinis direttore di coro e compositore lituano, docente di direzione corale all’ Accademia musicale lituana, presidente dell’ Unione dei cori lituani e direttore artistico dell’ All-Lithuanian Choir Festival
Andrea Angelini: Come è stata la tua esperienza di crescere in Lituania? Vytautas Miškinis: Da bambino abitavo nella bella cittadina di Zervynos, dove metà degli abitanti erano miei parenti, da parte di mia madre. Si trattava di un posto tranquillo, lì ho frequentato la prima classe elementare; poi, all’inizio del secondo anno di scuola ci siamo trasferiti a Vilnius, la capitale. Mi ricordo che ho sempre amato cantare, non importa dove e quando: durante i pasti, nel bosco, nel bagno...Ben presto i miei genitori hanno notato questo mio interesse e mi hanno iscritto al coro maschile, dove ho cominciato la mia educazione musicale. Imparavo facilmente e di questo si accorse il direttore del coro, Harry Perelstein, che mi ha diretto e guidato in questo cammino e dal quale ho appreso tutte le mie competenze musicali. Mi sentivo orgoglioso di prendere lezioni musicali private come i grandi Mozart, Bach, Bruckner ed Elgar che hanno studiato privatamente. Oltre all’insegnamento musicale, la personalità di Perelstein ha avuto una grande influenza su di me. A 17 anni ho cominciato a frequentare l’Accademia Musicale e sono diventato assistente del direttore e, a 21 anni, sono diventato il secondo direttore del Coro Statale di Kaunas. Poi, a 25 anni, sono diventato Direttore Artistico del coro maschile, dopo il mio predecessore Perelstein, che si era trasferito negli Stati Uniti d’America. Di lì a poco ho fondato la Scuola di Musica Ažuoliukas. Quanto sopra descritto potrebbe sembrare una semplice biografia, ma per l’ambiente chiuso in cui vivevamo, la situazione era in realtà molto complessa: ci era proibito dal governo eseguire concerti all’estero e la diffusione di informazioni musicali era molto limitata. C’erano libri di testo di musica, politicizzati, e lo studio di una lingua straniera è stato uno dei pochi mezzi per apprendere la letteratura musicale di altre culture. Critiche a parte, l’educazione musicale e la formazione musicale professionale era di alta priorità per il governo. La piramide per l’insegnamento professionale funzionava bene: Scuola di Musica, College di Musica (equivalente all’attuale Conservatorio), Scuola Superiore di Musica (ora Accademia di Musica). A quei tempi, un diplomato all’Accademia di Musica, aveva il lavoro garantito, mentre ora si tratta di una questione personale e privata di fortuna. Inoltre, in quel periodo, le vacanze estive dei bambini erano organizzate dallo Stato ed i genitori potevano permettersi di mandare i loro figli ai campi estivi in cui veniva assicurato vitto, alloggio, attività sportiva e divertimento, sicuri che i bambini avrebbero avuto una piacevole vacanza.
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Purtroppo con le spese correnti per l’istruzione, i campi estivi sono troppo costosi per molte famiglie e sono spesso considerati un lusso. Con la scomparsa dei campi estivi statali, sono orgoglioso di organizzare, ogni anno, campi estivi per 130 coristi, ma la durata dei campi è già diventata più breve e meno alla portata di molte famiglie. Non prendete le mie parole come nostalgia per i vecchi tempi! Noi viviamo in una società moderna dove il benessere dipende dalle possibilità economiche. Per chiudere, vorrei citare un antico detto romano: ‘Se non sei istruito nella musica, sei un plebeo’. La musica per molti versi, è diventata oggetto di esigenze edonistiche piuttosto che parte dell’educazione estetica. Che tristezza! Oggi la musica è meno supportata e la partecipazione alle attività corali nella scuola non è più obbligatoria. La legge prevede che il Ministero dell’Istruzione stabilisca il curriculum e che le scuole siano finanziate e sostenute, ma i Comuni controllano le loro funzioni. Tali sono i cambiamenti nell’era del capitalismo. AA: Parliamo della trasformazione del vostro approccio al fare musica dopo il 1990, se c’è stato. Si sono verificati cambiamenti nella musica corale e nell’educazione musicale? VM: In passato, nessuna spesa è stata risparmiata per l’educazione musicale corale per dimostrare la superiorità del sistema educativo sovietico sugli standard occidentali, in quanto è stato uno dei settori in cui poteva essere applicato un approccio politico. Era più facile gestire una massa che una sola persona. Pertanto, la partecipazione di massa ai cori e l’educazione musicale sono state notevolmente incoraggiate, e c’era anche un incarico ufficiale di Coordinatore per lo sviluppo dell’Arte e della Cultura di massa. Come forse sapete, oltre all’attività professionale, molta attenzione è stata posta al mantenimento dell’attività amatoriale e al suo sviluppo. Sotto il regime sovietico, è stata sviluppata una vasta rete di scuole di musica per bambini, completamente gestite con fondi pubblici. Comunemente, le imprese e le fabbriche incoraggiavano e finanziavano la partecipazione dei dipendenti nei cori, nei gruppi di danza, nei gruppi folk ed orchestre, e alcuni luoghi di lavoro avevano dato vita a propri centri culturali. Il coinvolgimento nella musica e nell’educazione musicale era da considerarsi obbligatoria. Fortunatamente, nonostante il regime sovietico, emersero molte cose positive. Ad esempio, l’educazione musicale è stata presente dalla scuola materna alla scuola secondaria ed era obbligatorio per le scuole avere un coro, una banda, un’orchestra o un gruppo di danza. Purtroppo, dopo il ripristino dell’indipendenza della Lituania, la rete di educazione musicale è stata rovinata, e non solo a causa della mancanza di fondi per il mantenimento di tutte le istituzioni educative culturali, ma anche al fine di cancellare e distruggere la memoria del regime sovietico. Oggi concetti come ‘il sistema sovietico di istruzione’, ‘l’eredità sovietica’ o ‘la rete sovietica’ sono parzialmente associati con l’arte, in gran parte perché la rete dell’arte amatoriale è stata interamente sponsorizzata dagli ex sindacati. Dopo che la Lituania è diventata membro dell’Unione Europea, sorprendentemente, è ripreso il finanziamento parziale per le strutture altamente sviluppate e ben funzionanti. Sfortunatamente, oggi i modelli ‘modernizzati’ della vita sono integrati secondo gli standard comuni dell’Unione Europea. Ancora, il principale obiettivo dell’identità culturale sembra essere come proteggere e mantenere le cose tradizionali che si sono legittimate nel tempo. AA: Come sono state mantenute vive le tradizioni musicali corali lituane? VM: Francamente parlando, un’aperta opposizione al regime sovietico non è mai stata dimostrata in quanto era pericoloso o semplicemente impossibile. Il Festival Nazionale di Canti e Danze ha offerto l’opportunità di conservare le tradizioni del nostro patrimonio culturale nazionale. Per quanto riguarda il repertorio del festival, nessuno osava discutere il suo contenuto. In generale, è stato accettato tutto ciò che non si opponeva all’ideologia del sistema sovietico. I canti popolari e le danze sono stati curati con un’attenzione particolare in quanto hanno sostenuto la nostra identità nazionale. Tuttavia, il repertorio doveva essere vario, a livello internazionale, di solito costituito da brani di musica litua-
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ANALISI
“Ogni minuto vivo con la musica nella mia testa, nei miei pensieri, e qualche volta anche nei miei sogni”
na, russa, lettone, estone o altro, eseguiti in lingua originale, e poi tradotti in russo e lituano. Dato che la Lituania era un Paese bilingue, la lingua lituana e quella russa erano obbligatorie, ma il linguaggio lituano è sempre stata una priorità per i lituani autoctoni; era insegnato a scuola, utilizzato in pubblico e considerato la lingua madre in tutti i sensi. I sovietici temevano e rifiutavano di accettare il modernismo perché era associato con l’influenza occidentale, che per i sovietici significava capitalismo - un grande male che contestava i principi della società comunista e le sue idee. Nonostante qualsiasi comunista cercasse di limitare o ignorare l’influenza dell’Occidente, questa si era diffusa rapidamente in forma di dichiarazione tangibile di un ‘nascosto’ pensiero dimostrato principalmente attraverso la musica strumentale. Con una vasta quantità di composizioni di musica sinfonica, i messaggi non detti ad alta voce o le idee, erano avvertiti, nascosti in profondità, all’interno della musica. Allo stesso tempo, le idee comuniste e l’elogio del regime secondo le norme e i regolamenti stabiliti sono stati apertamente dichiarate e incoraggiate. L’arte popolare lituana non è stata né contestata, né vietata; al contrario, è stata tollerata e persino sviluppata. Nel frattempo, gli intellettuali hanno trovato alcuni elementi di resistenza nazionale nel patrimonio etnico-culturale e li hanno facilmente notati poiché la parola è un potente strumento per portare un messaggio chiaro; alcuni testi di canzoni possedevano ambiguità o elementi del linguaggio di Esopo. Ad esempio, nel canto popolare armonizzato da M.K. Ciurlionis Oh, volare, volare il testo afferma: ‘Oh, cigni volate, volate per difendere la patria e chiamare i fratelli per...’ Ma i censori dei canti popolari lituani non hanno trovato nulla di specifico da criticare poiché in tali testi le allusioni e le ambiguità erano sovente nascosti tra le righe. E se un compositore avesse soddisfatto il regime per aver composto almeno un brano che lodasse il sistema sovietico, poteva comporre musica più liberamente poiché i censori favorivano quei compositori che avevano dimostrato fedeltà al governo, e di conseguenza, le loro opere erano scrutate meno severamente. AA: La tua eleganza e la fluidità all’interno di stili diversi è notevole. Qual è il brano che hai scritto, di cui sei più soddisfatto? VM: Ho scritto un gran numero di canti di generi differenti e di vari stili e circa 800 opere corali e sono particolarmente orgoglioso dei miei lavori per bambini e delle composizioni di musica sacra. Sono particolarmente soddisfatto della mia Light Mass per due pianoforti e trio jazz, che recentemente ho trascritto per orchestra. Poi viene la mia fiaba musicale per i bambini La fiaba sulla tenerezza il cui testo è basato sul libro dell’autore americano Steiner. Un’altra composizione è la Passione di San Giovanni,
in tedesco, scritta per la Cattedrale di Graz, in Austria, per Evangelista (tenore), Pietro (tenore), Gesù (basso), Servo (soprano) e un coro a cappella a 4 voci (SATB). Ho anche scritto una composizione della durata di un’ora, in latino, con organo e orchestra. Tra i compositori europei, mi è stato dato il soprannome di ‘Mister Cantate Domino’ per un motivo molto semplice: Cantate Domino è il mio brano più frequentemente eseguito, pubblicato da Carus Verlag, e considerato un best-seller. Non vorrei mai comporre un brano che possa screditarmi come compositore e quindi sono estremamente cauto nel pubblicare i miei lavori; nel caso in cui un mio lavoro risultasse poco interessante per il pubblico non avrei poi il coraggio di deluderlo nuovamente con una mia nuova composizione. AA: Il tuo campo compositivo è molto vasto per un compositore contemporaneo. Ci puoi parlare del tuo processo compositivo, di cosa ti ispira. VM: Ciò che mi ispira sempre è una poesia. Leggo sempre tanti testi poetici, specialmente poesie per bambini. A volte il testo mi ‘accende’ spontaneamente, altre volte mi sento indifferente. E’ più difficile con i brani su commissione, soprattutto quando il testo mi viene dato e mi viene fornita l’indicazione dello stile. Per fortuna, sono abbastanza veloce a comporre, perché ogni minuto vivo con la musica nella mia testa, nei miei pensieri, e qualche volta anche nei miei sogni, che cerco di scrivere prima che l’audiovisivo svanisca. Tendo a sfruttare ogni minuto libero che possiedo, altrimenti non sarei riuscito a fare molto. Scrivo in attesa di un volo, a bordo di un aereo, nel corso di un minuto libero presso l’Accademia di Musica, quando uno studente non arriva per la sua lezione di direzione, a casa, al lavoro, semplicemente ovunque. Inaspettatamente, nel 2012 ho ricevuto dieci commissioni corali. Talvolta le idee nascono mentre sto guidando l’automobile. Poi mi fermo e cerco, in fretta, di catturare i pensieri su qualsiasi pezzo di carta e poi di correre a casa per esprimerli in forma musicale. Per esempio, Cantate Domino e diversi altri brani sono stati composti in
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questo modo. Inoltre, io amo la natura. Mi rigenera e libera la mia mente da tutti i pensieri negativi che affliggono le nostre vite. Quando mi sento triste, mi piace dedicarmi alla composizione di musica gioiosa. Quando sono ottimista, mi dedico alla musica nostalgica e melanconica. Chi lo sa, forse questo accade per bilanciare l’equilibrio nel mondo della natura, così come nella natura dell’uomo. Dopo la pioggia, aspettiamo che il sole torni a brillare e, allo stesso modo, dopo momenti di gioia seguono momenti di tristezza; anche l’euforia si placa con il passare del tempo. AA: Grazie ai numerosi festival corali organizzati in Lituania, abbiamo modo di apprezzare i musicisti di maggior talento del tuo Paese. La ricca tradizione corale della Lituania ha aiutato il Paese ad ottenere maggiore riconoscimento in tutto il mondo? VM: La Lituania è veramente un Paese ricco di talenti. Il nostro patrimonio etnico-culturale è molto vario e abbondante. All’interno della nostra popolazione di tre milioni, ci sono un numero significativo di cori e di artisti professionisti in molti campi. Il movimento corale è uno dei più potenti. Il potere del canto ha aiutato i Lituani a resistere alla pressione esercitata per venti anni dal regime sovietico, e ha sostenuto il desiderio di indipendenza della Lituania. Non c’è da meravigliarsi di questo fenomeno per il quale il canto si è rivelato più potente di un’arma: è stato definito La Rivoluzione del Canto. Non dimenticheremo mai la tradizione dei giganteschi Festival dei Canti Baltici che l’UNESCO, nel 2006, ha definito, con orgoglio, ‘capolavoro dell’umanità’. Ho avuto l’onore di prendere parte alla creazione di una legge, approvata nel 2008, per sostenere la continuità della tradizione del Festival del Canto Lituano. Il fatto che tre cori lituani siano stati vincitori del Gran Premio d’Europa, è più eloquente delle parole. Certo, dobbiamo ammettere che vi sono anche problemi, ma se confrontiamo la nostra situazione con quella di molti Paesi in cui il canto corale è meno coltivato, oserei dire che la nostra situazione è abbastanza buona, finora. Mi sento giustificato nel fare confronti di questo tipo dal momento che il ‘Consiglio Mondiale della Coralità’, al quale ho avuto l’onore di rappresentare la Lituania, si occupa di questi problemi su scala mondiale. Abbiamo molti artisti interessanti, per di tutti i generi di musica: pop, jazz e classica. Abbiamo anche molti validi compositori. Ma come possiamo farli conoscere al mondo? Il problema è che dopo aver vissuto per cinquant’anni dietro la ‘cortina di ferro’ siamo sconosciuti alla maggior parte del mondo. E come possiamo trovare un editore straniero che creda nel talento di un compositore e desideri promuovere la musica lituana al di fuori dal nostro Paese? Mi sento molto deluso dalla situazione attuale, ma io sono una felice eccezione: i migliori cori del mondo eseguono i miei lavori, e mi chiedono di lavorare per loro. E’ un grande onore e una grande gioia ma, allo stesso tempo, è grande la responsabilità di rappresentare la cultura lituana. AA: Nel 2006 hai ricevuto un importante riconoscimento nell’ambito della cultura della Lituania. Puoi parlarci della tua esperienza, del lavoro al quale ti sei dedicato? VM: Questo alto riconoscimento mi è stato dato per il mio lavoro con i ragazzi. Sono il direttore artistico dei più grandi cori a voci bianche e cori giovanili in tutta Europa, un sistema composto da 450 cantanti. Il sistema comprende otto gruppi di diverse età e dieci direttori assistenti. Si tratta di un sistema che comprende un programma di studi di otto anni, dove i ragazzi imparano il solfeggio e la storia della musica, e possono studiare individualmente direzione di coro, e prendere lezioni private di canto o studiare uno strumento musicale a loro scelta. Le lezioni principali sono quelle che riguardano il canto corale. Il premio concesso è il più grande riconoscimento della mia capacità di promuovere l’interesse per la musica in un gran numero di ragazzi che dedicano il loro tempo alla formazione musicale. Nel 2002 sono stato nominato ‘Miglior autore dell’anno e compositore di musica eseguita all’estero’ e negli ultimi dieci anni, tre dei miei lavori sono risultati come i più frequentemente eseguiti dai cori, in Europa. Il fatto che io sia interessante per qualcuno mi rende felice. AA: Grazie per averci illustrato in maniera così esaustiva l’importanza del canto corale, in Lituania e, nella crescita di ciascun individuo. VM: Grazie a FARCORO che mi ha permesso di esprimere il mio pensiero sulla coralità e di parlare delle mie esperienze musicali. Naturalmente ricevo molte e-mail con domande relative alla mia musica, dove possono essere reperiti i miei brani... Informazioni sui brani si possono trovare nel sito web www.mic.lt, nella sezione compositori. I miei brani sono pubblicati dai seguenti editori: Carus Verlag, Editions Ferrimontana, Schott Verlag, Germania; A Coeur Joie, Francia; CMEdiciones Musicales, Spagna; Astrum, Slovenia; Musica Baltica, Latvia; Laurendale Associates, Santa Barbara, USA. Informazioni sul Coro Ažuoliukas si possono trovare su www.azuoliukas.lt.
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ANALISI
Analisi
La musica corale di Vytautas Miškinis – direttore di coro e d’orchestra, compositore e insegnante di musica lituano – è ormai eseguita in tutto il mondo. Le sue composizioni sono pubblicate da molteplici case editrici musicali internazionali. Egli è anche membro di diverse giurie di concorsi corali internazionali in aggiunta alle sue funzioni di professore presso l’Accademia Lituana di Arti di Vilnius. Le sue opere corali sono principalmente di carattere sacro, come la Lituania è prevalentemente una nazione cattolica, e ha scritto oltre 700 opere tra cui: mottetti, messe e cantate.
Vytautas Miškinis e la sua musica corale O salutaris hostia, per coro a cappella a 7 voci miste
DI FRANCESCO BARBUTO
Miškinis ha composto anche molte musiche su testi di Tagore, certamente uno dei poeti a lui più cari. Il crollo dell’Unione Sovietica ha aperto l’accesso alla regione baltica dell’Estonia, Lettonia e Lituania, una cultura del canto corale precedentemente sconosciuta nel mondo. Miškinis fonde stili compositivi di compositori europei con le tradizioni della musica popolare lituana. Possiamo riconoscere almeno tre compositori tra i più importanti che influenzano il suo stile compositivo: Edward Elgar, Maurice Duruflé, e Francis Poulenc. Inoltre, Miškinis ha molteplici contatti con compositori contemporanei come Whitacre, Busto, Lukaszewsk e molti altri. La creatività e la costruzione di tutta la musica di Miškinis è radicata nella sua passione per il testo, sia liturgico sia laico secolare, che è per lui fonte di ispirazione musicale. Da questo punto di vista, il nostro compositore è anche un profondo conoscitore della musica vocale antica e rinascimentale, particolarmente legata al testo. Altra particolarità d’influenza molto importante nelle sue composizioni sono le Sutartines. Esse sono canzoni tradizionali polifoniche lituane. Il termine deriva dalla parola lituana sutarti, che significa “insediamento”.
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Infatti i testi narrano di racconti della vita e dell’importanza del vivere insieme sociale. Sono cantati nelle feste, nei matrimoni, ma anche duranti i lavori quotidiani. Sono un fenomeno locale, che si trova nella parte nord-occidentale della Lituania. Sono cantati dalle donne, mentre gli uomini eseguono versioni strumentali sui kankles (strumenti musicali simili al salterio), su corna di animali, e sui skuduciai (simili ai flauti di pan). Il linguaggio poetico è semplice, ma molto visivo, espressivo e sonoro. I ritmi sono sempre chiari e accentati.
O salutaris hostia per coro a cappella a 7 voci miste O salutaris hostia è un inno liturgico ed eucaristico cattolico composto da San Tommaso d’Aquino ricavato dalle ultime due strofe dell’inno Verbum supernum prodiens, per le Lodi Mattutine dell’Ufficio della festa del Corpus Domini. Questa preghiera è recitata durante la benedizione eucaristica. D’Aquino compose il testo per la festa del Corpus Domini, istituita nel 1264, quando il Santo era ancora in vita, per onorare il Signore nell’Eucaristia. Per quanto riguarda il testo, Miškinis comprende ed esalta non solo il significato delle parole che imposta, ma anche l’influenza prodotta da combinazioni che si producono nella narrazione. Egli dichiarò: “Ogni poeta dovrebbe essere trattato con rispetto ... perché il suo pensiero è prezioso.” Miškinis utilizza la prima delle due strofe composte dal Santo: O salutaris hostia quae caeli pandis ostium, bella premunt hostilia: da robur, fer auxilium. traduzione: O ostia salvatrice che spalanchi la porta del cielo, ostili assalti premono: dai Tu forza ed ausilio! Sul piano testuale, è interessante notare come Miškinis sfrutti una modalità che ricorda la figura retorica dell’anaphorá o repetítio (trad. ripetizione), cioè la ripetizione di una o più parole all’inizio di segmenti successivi, usata moltissimo nella musica antica e rinascimentale. Tutto il coro: O salutaris hostia, o salutaris hostia / quae coeli pandis hostium, quae coeli pandis hostium, o salutaris hostia! Soprani, Contralti I e II: Bella premunt hostilia, (sempre simile) e poi: da robur, fer auxilium, da robur, (più volte). Tenori e Bassi suddivisi in I e II: Bella premunt hostilia, bella premunt hostilia, bella premunt hostilia, (ben tre volte in crescendo da mp a f) e poi: da robur, fer auxilium, da robur, fer auxilium, da robur, fer auxilium, (ancora tre volte in diminuendo da f a p). Tutto il coro: O salutaris hostia, o salutaris hostia / hostia! Miškinis effettua ripetizioni plurime di frasi e di parole, in tutte le voci, con l’intento di
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sottolineare con forza e intensità le situazioni, i sentimenti e l’espressività di questi contenuti testuali, proprio come si faceva nella musica vocale antica. Riprendendo nella nostra analisi i Sutartines, cercheremo di seguire un filo conduttore di confronto tra questi canti antichi così amati da Miškinis e il nostro brano preso in esame. Questo genere popolare molto particolare della musica lituana è costruito e intonato su profili musicali melodici simultanei.
I Sutartines lituani sono molto specifici, ma simili tipi di canti si trovano anche in Ucraina, nei popoli ugro-finniche, nei paesi balcanici, in alcune parti dell’Africa sub-sahariana. Una caratteristica tipica è il ritmo sincopato e la dissonanza, come abbiamo visto dall’esempio.
Miškinis userà sistematicamente questo stilema nelle sue composizioni. Vediamo qualche similitudine nel brano preso in esame O salutaris hostia:
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Nel 2010 i Sutartines lituani sono stati ufficialmente iscritti nella Lista rappresentativa del Capolavori del Patrimonio Orale dell’Umanità dall’UNESCO. Potete guardare e ascoltare un bellissimo video-promo documentario direttamente dal canale Youtube ufficiale dell’UNESCO all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=Wij_cgVGOxw La stretta affinità di Miškinis con i sutartines della Lituania permette la fusione di più influenze del suo proprio stile musicale: la sensibilità per la musica antica, la musica folk e popolare lituana e il testo. Un’altra tecnica compositiva presa in prestito da Miškinis dalle sutartines è la dissonanza non risolta armonicamente. È tipico nelle sutartines intonare seconde e settime (minori o maggiori) non risolte, lasciando all’ascoltatore una sensazione “sospesa” della musica. L’armonia di questi canti ha sempre qualche tipo di dissonanza, sia durante le frasi sia sulle cadenze.
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ANALISI
Le armonie di solito non sono strettamente diatoniche (secondo una precisa dislocazione in scala dei suoni) e spesso finiscono su un certo tipo di accordi maggiori o minori, ancora una volta con seconde, settime, fino a none, undicesime, tredicesime e quindicesime non risolte, trasmettendo un sapore musicale ancor piĂš pieno di colori e sospeso:
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Miškinis utilizza diversi metodi per collegare il testo alla musica. Questi metodi includono: ritmo che imita la sintassi del testo, creando un effetto strettamente relativo al testo, quindi anche madrigalismi, la ripetizione di testo per dare enfasi espressive, recitativi e il trattamento armonico e melodico per enfatizzare il testo. Un aspetto ancora importante nell’atteggiamento compositivo di Miškinis, usato propriamente anche in questo brano, è l’ulteriore attenzione alla struttura ritmica di frammenti testurali, volti a realizzare piccoli procedimenti a doppio semicoro e canoni di tipo mensurale con metri misti. Il risultato porta a linee vocali che i cantanti troveranno molto invitanti, senza mai essere complicati, permettendo al testo di parlare a se stesso, come in uno “specchio”:
Un aspetto certamente evidente della sensibilità di Miškinis al testo, è l’attenzione che rivolge a trovare soluzioni musicali figurativamente più vicini possibili alle parole musicate. L’esempio più evidente (ma non solo) lo riscontriamo nelle parole: “Bella premunt hostilia” (ostili assalti premono, traducibile anche con guerre premono ostili) e “da robur, fer auxilium” (dai Tu forza e ausilio). La scelta della scrittura compositiva, particolarmente incalzante e concitata polimetrica, poliritimica e polifonica in crescendo dal mp al f per la prima frase e più distesa in diminuendo dal f al p nella seconda frase, risulta molto evidente.
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ANALISI
Suggerimenti per l’esecuzione Il brano, molto agevole alla lettura, godibile all’esecuzione e all’ascolto e molto chiaro dal punto di vista tonale, sembra a prima vista essere complesso, ma non particolarmente complicato. Vi sono tuttavia molteplici insidie nello studio di questo brano, che richiedono invece molte attenzioni, sia dal punto di vista intonativo e timbrico, sia dal punto di vista della corretta interpretazione dell’esecuzione corale. Vediamo alcuni punti di attenzione in merito. Il brano, tripartito nella forma ABA, è indubbiamente strutturato sul tono di Mib Maggiore. I tre bemolli in chiave e la scrittura complessiva del mottetto ci porta ad affermare questo con sicurezza. Notiamo, però già dalla prima sezione l’arrivo a fine periodo in un accordo che lascia l’ascoltatore in una condizione sospesa, ricordando tutto ciò che dicevamo in merito alla musica autoctona lituana, che ha tipicamente questa tendenza “dissonante” sia melodicamente sia armonicamente. Come possiamo interpretare e che relazione vera e propria potrà avere l’accordo finale a batt. 10 con il tono d’impianto o il tono successivo scritto in Lab Maggiore? (Vedi esempio sopracitato di Batt. 1-10) All’ascolto possiamo notare una vera e propria condizione “sospesa”, non definibile propriamente come tipica cadenza sospesa che vuole raggiungere convenzionalmente la Dominante. Tra l’altro, ad un ascolto ancor più attento, questo ampio accordo (Fa2, La2, Sib2, Reb3, Fa3, Do4) trasmette allo stesso tempo sia una condizione sospesa sia anche di delicata stasi. Lo dimostra il fatto che con la partenza successiva dei Soprani nella seconda Sezione, si ha la percezione di una condizione nuova, soltanto velatamente in relazione con quella precedente. Il suggerimento è quello di andare ad interpretare un modo di cantare che tenga conto di questi fattori, evitando il rischio di un’esecuzione vocale troppo marcata (per esempio con suoni liricamente presenti), che farebbe perdere quel sapore più mistico che invece si può ottenere con una vocalità sensibilmente più delicata. Ne gioverebbe anche un’interpretazione più spirituale della “preghiera” che stiamo cantando. Già all’inizio della partitura, proprio sul primo suono, troviamo un elemento particolare da affrontare. Miškinis segna sul suono del vocativo “O” (ripetuto poi anche alle battute 9 e 29) il segno di articolazione tenuto e un respiro, chiaramente indicato con l’apostrofo:
Nonostante questo vocativo faccia parte della semifrase O salutaris hostia, il compositore vuole proprio uno stacco e un respiro da parte di tutto il coro. Questo segno non è da interpretare come se ci fosse un’interpunzione, staccata dal resto delle parole, ma è da interpretare come la necessità di soffermarsi un momento proprio su questa sillaba, che ha una funzione importante “affettiva” in tutto il resto della frase e delle parole.
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“La musica aiuta i giovani a combattere la violenza e il male della strada!”
Infatti il vocativo ha una funzione di esprimere la chiamata, il richiamo, nel nostro caso l’invocazione dell’Ostia salvatrice. È un dettaglio che Miškinis non si lascia sfuggire. Un’altra particolare attenzione occorre dedicarla alle dissonanze vocalmente vicine, come gli intervalli di seconda. Se ascoltiamo attentamente esecuzioni di Sutartines, notiamo come i lituani intonino con estrema semplicità e libertà queste dissonanze. Come se fosse la normalità nel loro canto tradizionale folclorico. Anche noi dobbiamo comportarci in tal modo, evitando esecuzioni di queste dissonanze (ma possiamo dirlo anche per le altre dissonanze) particolarmente tese e percussive, più tipiche nell’esigenza di essere risolte a intervalli consonanti. Questo è possibile cercando di cantare con molta semplicità e nonchalance la propria melodia di sezione, senza sentirsi disturbati dalle dissonanze delle voci degli altri cantori. Esattamente come succedeva e come occorre cantare nella polifonia antica e rinascimentale, dove si ha un’attenzione più orizzontale che verticale dell’intonazione vocale. La musica, armonicamente, verrà da sé! Una questione centrale per questo brano è la seconda sezione. Miškinis mette in relazione tre sezioni femminili (SAA) con quattro sezioni maschili (TTBB), in un perfetto gioco di doppio semicoro. Cantare in piano i profili melodici femminili, nella prima parte della sezione, non sarà semplice. Se si mette particolare impeto, dovuto dal richiamo dell’agogica in Con moto, potrebbe portare ad un suono molto presente e sicuramente più forte della dinamica richiesta. Se ci si basa solo sul piano, si rischia di cantare troppo in falsetto e di perdere l’efficacia del contributo che vocalmente dobbiamo dare. L’effetto sarà vicino a un suono infantile e bambolesco. Un suggerimento per lo studio possiamo trarlo dal far partire prima le sezioni maschili per ottenere e raggiungere il suono più adeguato al mezzopiano e al poco risoluto e poi inserire le sezioni femminili, nell’intento di raggiungere una vera e propria “taratura” e un adeguato equilibrio vocale tra i due gruppi. Una volta raggiunto il risultato sperato, rieseguire nuovamente dal capo a fondo, rispettando le corrette entrate delle sezioni corali. Per la sezione dei Soprani, occorre prestare la massima attenzione al secondo segmento di questa Sezione, essendo particolarmente acuto; in particolare alla batt. 28, dove si raggiunge la nota più acuta del brano con il La4. Tutte queste note è bene cantarle con un buon appoggio diaframmatico, altrimenti risulterebbero asettiche e prive di presenza; allo stesso tempo non dobbiamo cantare così sforzato da imprimere una pesante invadenza alle altre voci. Le voci femminili coinvolte in questa sezione, sono palesemente eteree e hanno la funzione di creare un ambiente, come in una forma di arabesco e sottofondo sonoro per le voci maschili. L’ultima Sezione è tale e quale alla prima, salvo che nel finale. Nelle ultime due battute Miškinis inserisce l’agogica Lento in pianissimo e poi la corona lunga sull’ultimo suono con la dinamica fino al niente, con il chiaro intento di lasciare un finale che vuole prestare una particolare attenzione di significato affettivo ed espressivo sulla parola chiave di tutto il testo “hostia!” L’accordo finale sul Mib è chiaramente sospeso. Essendo formato da molti più suoni sovrapposti e dissonanti e l’inserimento del Reb, non più appartenente alla scala e al tono di Mib maggiore, non risolve sul tono d’impianto e lascia completamente aperto ancora il discorso musicale. L’accordo potrebbe essere interpretato come un V di 13esima. Sembrerebbe richiamare un accordo cadenzale verso un ipotetico tono di Lab, ma senza la sensibile, non essendoci la terza (Sol) che richiamerebbe con più chiarezza questa tonalità.
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ANALISI
L’accordo, come per quelli sospesi precedenti, risulta sia sospeso sia particolarmente calmo e di gusto neomodale. Il coro, arrivato alla fine, dovrà essere capace di trasmettere un suono vocalico che tenga conto di questi aspetti. Una particolare attenzione può essere dedicata alla dislocazione dei cantori per l’esecuzione di questo brano. Può essere molto interessante predisporre le sezioni maschili al centro e le sezioni femminili suddivise ai lati o perfino ampio “ad abbraccio” nei confronti del pubblico ascoltatore. Ne risulterebbe un’esecuzione davvero suggestiva sia visivamente sia musicalmente. Possiamo vedere e ascoltare un video su Youtube, dove è proprio Miškinis a dirigere e a gestire il coro proprio in questo modo: https://www.youtube.com/watch?v=u-2l-GcG3IE La musica di Miškinis è una musica molto “moderna”, anche se si relaziona molto con quella antica, in particolare quella folclorica lituana, ed ha una sua “freschezza” intrinseca particolarmente adatta anche a cori giovanili. Vi lasciamo con una sua dichiarazione, nella quale lui stesso afferma: «La musica aiuta i giovani a combattere la violenza e il male della strada!»
Miskinis e il Coro Ažuoliukas VYTAUTAS MIŠKINIS | 27
Tecnica
Cantare in coro e, nello specifico, esserne il preparatore o il direttore significa occuparsi di una lunga serie di aspetti individuali e collettivi che coprono un ampio spettro di tematiche. Volendo passare in rassegna alcuni di questi aspetti, senza alcuna pretesa di esaustività, vi sono questioni di apprendimento e di memorizzazione del brano, una ricerca di corretta intonazione degli intervalli, un attento dosaggio dei respiri, un’analisi che si muove dal piano del linguaggio musicale a quello semiologico, esegetico ed estetico, uno studio interpretativo, una messa in voce delle melodie, un approfondimento della dizione, nonché poi una cura per l’esecuzione collettiva nelle sue componenti di intonazione generale del brano e di uniformità ritmica, timbrica e fonetica.
Essere voce in coro Importanza di un corretto comportamento vocale
DI ROBERTO SPREMULLI
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TECNICA
La condivisione delle innumerevoli informazioni che ci arrivano dal brano musicale, la valutazione ed il superamento delle problematiche sopraccitate, l’apporto individuale di ciascun cantore ed il confronto con il direttore o il responsabile dell’esecuzione sono tutti ingredienti necessari per approdare ad un risultato consapevole che non sarà però definitivo ma sempre in evoluzione, mai uguale a se stesso. A tutte queste problematiche, che sono proprie del cantare in coro, vanno aggiunti alcuni accorgimenti che riguardano il contesto e l’ambiente che fisicamente conterrà e veicolerà i suoni prodotti. La prima preoccupazione di un qualunque esecutore musicale è legata certamente alla crescita tecnica riferita al suo strumento: è questa conoscenza che potrà permettergli di superare le insidie esecutive presenti in ogni brano musicale. Questo vale naturalmente anche per l’apparato vocale, strumento straordinario e al contempo misterioso del cantore, dalle innumerevoli possibilità ma anche molto complesso da conoscere, affinare e salvaguardare. Certamente l’aspetto tecnico non è l’unico obiettivo: se ci riferiamo alle preoccupazioni di chi deve trasmettere le strategie per una corretta crescita corale e vocale (penso a
docenti, direttori di coro, responsabili del canto nelle comunità parrocchiali, …), le competenze da mettere in gioco dovranno necessariamente essere molte di più e corrispondere a quel corpus di esperienze teorico-pratiche al quale ogni direttore dovrebbe attingere. Parliamo per questo di competenze musicali, tecnico-vocali, linguistiche, liturgiche, socio-psicologiche, pedagogiche e gestuali. Prima di affrontare teorie e problematiche riferite all’utilizzo dell’apparato fono-articolatorio, e visto che questo breve contributo fa da cappello introduttivo ad un percorso che i lettori potranno seguire nei prossimi numeri, penso sia interessante riflettere a grandi linee sulla storia del canto corale e dell’utilizzo della voce, per capire che l’argomento è sempre stato trattato e vissuto con attenzione nel corso della storia. Tornando indietro di qualche secolo, ci accorgeremo con piacevole sorpresa che gli argomenti che oggi affollano i pensieri di coristi e direttori di coro erano ben presenti, e in modo molto simile ad oggi, fin dall’antichità. Alcuni scritti di teorici della musica del XII secolo, riportati da E. De Mircovic nella pubblicazione “Una voce dentro il coro” - grazioso e interessante libretto pubblicato nel 2013 - parlano, in modo simpatico e a volte anche pungente, degli aspetti della pratica corale e dell’importanza che in quel periodo veniva data alla musica, alla sua dignità estetica e scientifica e alla sua importanza spirituale. Questi trattati erano molto letti e copiati nei monasteri medievali poi, come avvenuto per molti documenti storici, sono stati dimenticati per secoli; valenti filologi li hanno riesumati e ora li troviamo raccolti nel Thesaurus Musicarum Latinarum, odierno scriptorium elettronico, un data-base di ricerca musicale dell’Indiana University-Bloomington consultabile in lingua originale da chiunque. Di seguito riporterò una selezione dei “precetti” di Girolamo di Moravia (XIII sec.) e della “classificazione delle voci” di Isidoro di Siviglia (VI sec). Non faremo fatica a rintracciare in questi contributi, che cito come da pubblicazione, situazioni e personaggi che ancora oggi possiamo trovare nei nostri cori e che fanno parte a pieno titolo della vicenda corale. GEROLAMO DI MORAVIA “TRACTUS DE MUSICA” (FRANCIA, SEC. XIII) 1. Affinché il canto venga eseguito diligentemente da tutti, ci si accordi in anticipo sul ritmo di esecuzione, secondo l’uso antico o secondo l’uso moderno. (ndt. stavano diffondendosi in quegli anni nuove norme ritmiche per eseguire la polifonia, in contrapposizione al ritmo libero del canto monodico)
2. Quantunque nel coro vi siano cantori di ugual bravura, si deve tuttavia designare un unico direttore e intonatore, a cui tutti si atterranno con la massima diligenza e non si farà alcuna cosa diversa da ciò che lui farà, sia nelle note che nelle pause. Ciò appunto sarà perfetto. (ndt. le partiture erano rare, i cantori eseguivano a memoria e dovevano seguire le intenzioni del direttore che cantava insieme ai cantori dirigendo, eventualmente, con una sola mano) 3. Non si mescolino in tale canto voci dissimili, in quanto, parlando non scientificamente, ma volgarmente, alcune voci sono di petto, altre di gola, altre provengono dalla stessa testa […]. Le voci di petto hanno vigore nei bassi, quelle di gola negli acuti, quelle di testa nei sovracuti. Di medie sono di gola. Nessuna si mescoli alle altre, ma si uniscano tra loro. 4. Poiché, d’altra parte, tutte le voci riescono ad avere vigore nel registro di petto, è necessaria una quarta condizione: il canto non venga mai iniziato troppo in alto, ovvero da quelli che cantano di testa, e nemmeno troppo in basso, perché sarebbe simile ad un ululato, mentre se iniziato troppo in alto sarebbe simile ad un grido, ma si inizi nell’estensione media, consona per il canto, in modo che il canto non sia influenzato alla voce, ma piuttosto sia la voce indirizzata dal canto, altrimenti non si genereranno bei suoni. (ndt. in un’epoca in cui non c’erano diapason o strumenti precisi da cui prendere la nota iniziale, cominciare un canto con una nota troppo acuta o troppo bassa poteva significare non riuscire ad eseguire tutte le note del canto, ed era un rischio reale) 5. Se poi qualcuno vuole conoscere nuovi suoni gradevoli, si adegui a questa regola: non disprezzi alcun canto, nemmeno il più rozzo, ma ascolti canti d’ogni genere. Infatti, se a volte perfino da una macina esce un suono piacevole, nonostante essa sia inanimata, è impossibile che un uomo, essere razionale, magari per caso fortuito, talvolta non emetta qualche bel suono. Ogni qual volta si udirà un suono che ci alletta, con diligenza lo si ricordi, per poterlo COMPORTAMENTO VOCALE | 29
gere gli acuti sublimi, soave per addolcire gli animi degli ascoltatori, chiara per riempire le orecchie. Se manca qualcuna di queste qualità non sarà perfetta.
Isidoro di Siviglia
assimilare. Invece, il principale ostacolo alla bellezza dei suoni è la tristezza dell’animo, a causa della quale nessuna nota può aver vigore, né, d’altra parte potrebbe averne, se non fosse generata dalla gioia del cuore. Per questo motivo chi è malinconico può anche avere una bella voce, ma non può cantare veramente bene. ISIDORO DI SIVIGLIA “CLASSIFICAZIONE DELLE VOCI” (560 ca.- 636, Etymologiae): • Le voci soavi possono essere sottili o spesse, perlopiù sono le chiare e acute che risuonano più a lungo, riempiendo lo spazio con un suono mantenuto, come le trombe. • Le voci sottili, quando non hanno fiato, sono come quelle dei bambini o dei malati, o delle donne, o come il suono delle corde sottili. Infatti, sono appunto emesse da corde sottilissime ed emettono suoni sottili e deboli. • Le voci sono pingui quando emettono molto fiato, come negli uomini. • La voce acuta è tenue ed alta, come si percepisce negli strumenti a corda. • La voce dura è quella che emette un suono con violenza, come il tuono o come il suono dell’incudine sotto i colpi del fabbro mentre percuote il ferro. • La voce aspra è rauca e si disperde in accenti spezzettati e discontinui. • La voce cieca è quella che una volta emessa subito tace e si soffoca, né dura a lungo come accadrebbe nell’acqua. • La voce «vinnolenta» è fiacca, molle e non si sostiene. Si dice appunto vinnolenta da «vino», e si flette come un molle ricciolo. • La voce perfetta è alta, dolce e chiara; alta per raggiun30 |
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E così, fino al XVI secolo, possiamo trovare innumerevoli trattati e contributi al servizio di musici e cantori, basti pensare agli scritti di Adriano Banchieri nella sua “Cartella Musicale” o di Claudio Monteverdi come la “Lettera da Venezia ad Alessandro Striggio”. Dal XVI secolo fino all’inizio del XIX - come ampiamente esposto dalla relazione di Mauro Uberti “Caratteri della tecnica vocale in Italia dalla lettera sul canto di Camillo Maffei al trattato di Manuel Garçia” (Gorizia 1984) - la tecnica vocale non sembra subire importanti variazioni. È a partire dal XIX secolo che invece le tecniche vocali si moltiplicano e, nel 1931, il laringologo francese Alexis Wicard arriverà a descrivere approssimativamente dieci tecniche oltre a quella da lui definita “fisiologica”. Le fonti dell’epoca sono innumerevoli e di varia natura: vi sono trattati riferiti direttamente al canto, trattati strumentali che fanno riferimento alle dinamiche vocali, rappresentazioni iconografiche, libri-paga che si riferiscono al numero e alla tipologia delle voci, trattazioni di retorica e di prassi esecutiva che forniscono un’ampia trattazione sul comportamento e sulla tecnica vocale. Vorrei ora soffermarmi proprio sui due termini appena utilizzati: comportamento vocale e tecnica vocale. Questi vengono spesso grossolanamente accomunati, dal momento che si rifanno entrambe a ciò che comunemente, e in modo improprio, viene chiamata “prassi vocale” o “vocalità”. La “tecnica vocale” è rappresentata e definita da un insieme di regole che riguardano l’apparato vocale e il suo utilizzo al fine di produrre suono per un utilizzo specifico riferito all’esecuzione di un determinato passaggio o repertorio. Grazie ad essa possiamo apprendere e sperimentare atteggiamenti e movimenti corporei necessari ad ottenere il suono più adatto alle nostre esigenze, per il superamento della performance e per l’ottenimento degli obiettivi interpretativi. Molte volte, infatti, i risultati esecutivi non sono soddisfacenti proprio perché la comprensione stilistico-interpretativa non è supportata da una adeguata preparazione tecnico-vocale. I riferimenti strumentali di base, che potremmo definire preparatori o propedeutici al canto e che danno la possibilità di affrontare specifiche tecniche vocali, possono invece essere identificati come “comportamento vocale”. Parlando di corretto comportamento vocale vorrei fare alcuni brevi riferimenti agli aspetti che sono strettamente connessi all’argomento e che potranno essere approfonditi nei prossimi contributi. Il primo di questi aspetti è di tipo fisiologico e ci proietta
verso una conoscenza consapevole del nostro strumento; ogni direttore dovrebbe istaurare un dialogo tecnico-vocale con i propri coristi per portarli ad una conoscenza sperimentata degli apparati fono-articolatorio e respiratorio, ai quali attingere in fase di preparazione ed esecuzione del repertorio, qualunque esso sia. Gli apparati fono-articolatorio e respiratorio, che costituiscono l’asse portante del nostro sistema vocale, sono due apparati diversi ma che condividono gli stessi organi: polmoni, laringe, faringe, cavità orale e fosse nasali. Possiamo dunque pensare ad un insieme di tre sotto-apparati che, in modo coeso e complice, concorrono alla produzione del suono e della voce cantata. Essi funzionano in modo ottimale e del tutto naturale fin dalla nascita ma, per un utilizzo specifico come quello richiesto dal canto, è necessario conoscerli, sperimentarli e, non da ultimo, allenarli. Questi tre sotto-apparati sono: - apparato motore (corpo respiratorio) - apparato di produzione del suono (corpo vibrante) - apparato di amplificazione del suono (corpo risonante) APPARATO MOTORE (CORPO RESPIRATORIO) L’apparato motore comprende principalmente i due polmoni che sono contenuti nella gabbia toracica, limitati inferiormente dal diaframma e delimitati superiormente dal gruppo bronchiale. I polmoni presiedono alla funzione respiratoria. L’aria espirata dai polmoni, dopo aver attraversato le ramificazioni aerifere dei bronchi, passa nella trachea, costituita di anelli cartilaginei sovrapposti a forma di tubo cilindrico e adiacente agli organi deputati alla fonazione. Il cantore (o cantante) dovrà allenarsi in modo meticoloso per molti anni per imparare a gestire la respirazione in modo completo e consono alle esigenze canore. Una corretta respirazione preposta al canto utilizza tutti i muscoli che fanno parte dell’apparato motore, dando così origine ad una respirazione che possiamo pensare divisa in tre zone. Per permettere ai polmoni di espandersi durante la fase d’inspirazione in modo completo, dovremo imparare a rilassare e controllare tutti i muscoli preposti allenando così tutti i tipi di respirazione che questi muscoli generano: - respirazione addominale: (coinvolge le fasce muscolari addominali, cioè quelli che in fase di inspirazione, espandendosi verso l’esterno, permettono il giusto abbassamento del diaframma). - respirazione intercostale: (coinvolge le fasce muscolari attorno alla cassa toracica permettendo la sua completa apertura). - respirazione dorsale: (coinvolge le fasce muscolari della schiena, specie quelle della zona lombare a completamento di un movimento muscolare che sarà, in questo modo completo). La respirazione clavicolare, spesso utilizzata dai coristi non preparati, è da evitare, in quanto troppo vicina ai muscoli laringo-faringei che devono invece rimanere rilassati. Esistono appositi esercizi vocali che servono per allenare le tre zone adibite alle tre respirazioni che poi dovranno essere utilizzate simultaneamente e in modo integrato con l’unico scopo di far arrivare alla laringe una colonna d’aria di qualità. Una colonna d’aria di qualità sarà condizione imprescindibile per un corretto funzionamento dell’apparato laringeo
“Ogni direttore dovrebbe instaurare un dialogo tecnico vocale con i coristi, per portarli ad una conoscenza sperimentata degli apparati fono-articolatorio e respiratorio”
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e per un mantenimento in salute delle corde vocali. Molti direttori di coro poco attenti fanno utilizzare l’apparato vocale senza le dovute conoscenze tecniche, affaticando molto la voce dei coristi e causando, in qualche caso, l’insorgere di afonie o patologie che pregiudicano la qualità dell’esecuzione e che, a lungo andare, richiedono l’intervento di specialisti per la loro risoluzione in ambito clinico e terapeutico. APPARATO DI PRODUZIONE DEL SUONO (CORPO VIBRANTE) L’apparato di produzione del suono, cioè l’elemento vibrante, si trova nella laringe, anch’essa formata da cartilagini giustapposte in modo da creare un involucro funzionale alla protezione dei muscoli cordali e alla raccolta del suono generato. Tutte queste cartilagini sono riunite da membrane e muscoli che determinano l’abbassamento e l’innalzamento della laringe, per dare origine rispettivamente a suoni acuti e a suoni gravi. La struttura laringea, per le parti che ci interessano, è composta da: - cartilagine tiroidea - cartilagine cricoidea - epiglottide - corde vocali vere - corde vocali false - aritenoidi - anello ariepiglottico
aritenoidi corde
Le corde vocali sono poste nella zona tiroidea e innestate a V nella cartilagine, mentre, nella parte posteriore, i due estremi della V sono innestati alle cartilagini di forma piramidale chiamate aritenoidi che sono come due piccole leve incastonate nella cartilagine sottostante chiamata cricoide. Queste due piccole leve, grazie ad un movimento di rotazione e scivolamento, aprono e chiudono le corde vocali vere che sono le deputate alla trasformazione dell’aria in energia sonora.
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APPARATO DI AMPLIFICAZIONE DEL SUONO (CORPO RISONANTE) L’aria trasformata in energia sonora dalle corde vocali vere, si propaga nel tratto vocale sopraglottico costituito da: - parte superiore della laringe - faringe - cavità orale - cavità nasali - cavità para-nasali - cavità frontali - cavità temporali L’insieme di questi organi rappresenta lo spazio che il suono attraversa dalla sua produzione all’uscita dalla bocca o dal naso. In questo spazio il suono generato ha la possibilità di arricchirsi grazie all’energia dei suoni armonici superiori che si creano e che variano a seconda dei cambiamenti del tratto vocale. Una corretta emissione, cantata o parlata, prevede quello che foniatri e maestri di canto definiscono il bilancio di risonanza, cioè l’equilibrato coinvolgimento di quell’insieme di cavità situate nelle zone sopraelencate e che costituiscono la nostra cassa di risonanza fungendo così da amplificatore dei suoni. Queste zone, a differenza degli strumenti musicali, sono cavità modificabili in volume e conformazione, grazie alla presenza di organi mobili (lingua, labbra, laringe, velo palatino); la variazione, anche minima, di questi spazi muta la quantità e la qualità dei rinforzi armonici dando alla voce la straordinaria possibilità di modificare il timbro - in termini musicali il colore - dando luogo a quella multiformità di emissioni che noi classifichiamo grazie a determinate caratteristiche percettive riconoscibili. Le cavità di risonanza sono quindi spazi confinanti contenenti aria e in grado di risuonare, cioè di vibrare quando investiti da un’onda sonora, quella appunto che viene prodotta dalla vibrazione delle corde vocali. Il suono laringeo, arricchito e amplificato grazie agli ambienti di risonanza attraversati giunge all’ambiente, e quindi all’uditore, con caratteristiche acustiche strettamente dipendenti dall’atteggiamento funzionale adottato da colui che emette il suono, oltre che dalla natura anatomica delle cavità di risonanza. LA RESPIRAZIONE La respirazione, come tutti sanno, può essere involontaria o volontaria. Tutti noi respiriamo fin dalla nascita e non dobbiamo assolutamente ricordarci di respirare perché la respirazione è del tutto automatica e involontaria. Durante l’inspirazione, i polmoni si riempiono, la gabbia toracica si amplia, il diaframma si abbassa. Nell’espirazione avviene il contrario: il diaframma automaticamente si rialza, i mu-
scoli intercostali richiudono la gabbia toracica, i polmoni si svuotano buttando fuori l’aria inspirata. Quando parliamo o cantiamo, la respirazione, da involontaria, diventa volontaria, in quanto abbiamo diverse esigenze di durata e di controllo legate alla fase espiratoria, che deve certamente aumentare, onde evitare di rimanere senza aria prima della conclusione della frase. Inspireremo quindi una quantità maggiore d’aria e ne rallenteremo l’uscita nella fase espiratoria con l’obiettivo di far arrivare alle corde vocali un flusso d’aria a pressione costante. Come già schematizzato si hanno diversi tipi di respirazione: addominale (o diaframmatica), intercostale, dorsale e clavicolare. Voglio subito precisare che preferisco parlare di respirazione «addominale o basso-addominale» e non di respirazione «diaframmatica» in quanto, nella respirazione volontaria, cioè quella adatta al canto, noi andiamo ad allenare e ad agire sui muscoli addominali, per permettere al muscolo diaframmatico di poter lavorare nelle sue fasi di abbassamento e innalzamento in modo del tutto naturale e involontario, come da sempre fa. La respirazione più razionale e raccomandabile, dal punto di vista fisiologico e del rendimento vocale è quella addominale. Con essa, come avviene per un neonato in posizione supina, contemporaneamente alla dilatazione dei polmoni, che avviene nell’atto dell’inspirazione, si ha il sollevamento delle pareti addominali e quindi il naturale abbassamento del diaframma che accompagna i polmoni nella loro dilatazione dovuta all’entrata dell’aria. LA VOCE E I REGISTRI La voce umana ha delle casse di risonanza poste sopra l’organo di produzione del suono e altre casse di consonanza poste sotto tale organo. Alle prime appartengono la faringe, la bocca, le fosse nasali, le cavità facciali, le cavità frontali e temporali, mentre alle seconde appartiene la cavità toracica. La caratteristica delle prime è che al loro interno passa l’aria e, appena l’energia sonora arriva dentro di esse, l’aria contenuta comincia a vibrare, arricchendo e rafforzando quell’energia sonora. La cassa toracica, invece, permette al suono di arricchirsi creando così una gamma completa di armonici che danno al suono il colore proprio e la caratteristica vocale di ogni persona. L’utilizzo consapevole delle zone di risonanza, degli innumerevoli muscoli coinvolti, della lingua, del palato molle e delle mandibole permette al cantore di modificare gli spazi nei quali il suono si sviluppa e quindi di poter aumentare considerevolmente le qualità timbrico-sonore della voce. Quando parliamo di registri ci riferiamo ad alcune classificazioni che corrispondono alle zone dove si produce la sensazione sonora:
Scuola di Canto Gregoriano
Cremona
- Registro di petto - Registro di centro - Registro di testa - Registro di falsetto (più comunemente «voce di falsetto») Nel registro di petto le vibrazioni che si generano vengono portate verso le cavità di consonanza inferiori e cioè verso la cassa toracica e questo avviene grazie alla trachea e ad una posizione molto profonda della cartilagine laringea. Nel registro di centro le vibrazioni vengono portate verso le cavità della bocca. La consonanza di petto non cessa di esistere ma si unisce alla voce di testa, dando luogo ad un registro intermedio di “petto-testa”. La posizione della laringe è profonda come nella voce di petto, con un orientamento della colonna d’aria sonora verso le cavità di risonanza superiori alla laringe, cioè verso le zone della bocca e della testa. Un equilibrato passaggio dell’energia sonora attraverso il velo palatino, con conseguente coinvolgimento delle fosse nasali e delle ossa frontali e quindi di quella parte del viso chiamata, dagli addetti ai lavori, «maschera», ci dà la sensazione della giusta impostazione in questo registro. Questo famoso «cantare in maschera» rende molto sonora la voce, con la capacità di correre, di arrivare molto in profondità, di coprire lunghi spazi sonori pubblici e, al contempo, di rendere sensibili e molto espressivi i piani dinamici ridotti e sussurrati. Nel registro di testa, le zone di risonanza sono quelle più alte, cioè quelle che utilizzano le cavità temporali poste oltre il velo palatino. Il suono perde in forza ma ottiene in sottigliezza e agilità. Per dare corpo al suono, il cantore deve unire alla voce di testa un residuo di risonanza della voce di centro dando così origine ad una voce molto usata specie nella musica antica e nel Canto Gregoriano, chiamata voce mista. La voce di falsetto, detta anche semplicemente falsetto, è
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“Il corista dovrà essere guidato a conoscere la maggior parte dei trucchi legati alla respirazione, all’utilizzo delle vocali e delle risonanze”
usata per note acute e sovra-acute, quindi proprie del registro di testa. La usano soprattutto alcune voci maschili utilizzando zone e vibrazioni parziali delle corde vocali con grande uso dei suoni armonici. Il suono prodotto con questo tipo di tecnica può stancare per i suoni deboli, opachi e nasali: usato in modo accurato e sapiente, può però acquisire una certa sonorità trasparente e soave, ricca di fascino. Nei secoli XV e XVI i falsettisti erano cantori specializzati e molto ricercati, utilizzati dalla polifonia del tempo in sostituzione delle donne e dei fanciulli. Per concludere, possiamo dire qualcosa sulla voce bianca che è propria del bambino e del ragazzo pre-adolescente. Pur utilizzando le frequenze della voce femminile, ha un’estensione meno vasta specie nella zona grave ed un timbro inconfondibilmente più mordente. Oggi, quelli che furono i pueri cantores delle scholae, un tempo molto rinomate, vengono sempre più sostituiti dalle voci femminili; questo, probabilmente a causa dell’incostanza dei fanciulli e della sempre più scarsa adesione all’attività corale che dovrebbe essere guidata in tutte le scuole da Musicisti e Direttori di Coro molto preparati (non a caso, ho usato le lettere maiuscole!). COMPORTAMENTO VOCALE E INTONAZIONE Molte sono le virtù che un coro dovrebbe avere; a mio avviso la più importante è l’intonazione. È vero, gli aspetti sono molteplici, e la crescita di un gruppo corale e quindi del singolo corista deve riguardare tutti gli elementi che concorrono a fare di un corista un bravo corista e di un coro un buon coro. Senso ritmico, accuratezza melodica e armonica, maturità interpretativa e stilistica sono tutti tasselli che permettono di rispettare la partitura e l’idea musicale di un compositore. Tutti gli elementi sono basilari ma, come già affermato, l’intonazione è uno degli aspetti più delicati e di difficile conseguimento. In un coro, specie a cappella, l’intonazione è altamente qualificante e, per la stessa ragione, è anche di difficile realizzazione e mantenimento. Per il coro a cappella non è semplice mantenere la stessa altezza dall’attacco alla fine del brano. Difficile, sì, ma, come dicevamo, altamente qualificante della bravura e preparazione del coro, indice dell’abilità del maestro nonché della formazione musicale e corale dei singoli coristi. Oltre all’intonazione tonale, esiste anche quella interna che permette di mantenere il giusto rapporto tra le note che compongono un accordo, ed è quella che chiunque è in grado di percepire, anche l’orecchio di un ascoltatore non troppo acculturato musicalmente. Diversamente, la tenuta tonale non costante, cioè il calare o il crescere di un brano, può anche non essere avvertita da un ascoltatore inesperto, se i rapporti interni fra le parti vengono mantenuti inalterati. Per ovviare a questo, molti cori utilizzano stratagemmi armonici più o meno voluti, e l’ascoltatore non saprà dire se il coro è calato o cresciuto. Certamente si sarà accorto che qualcosa è cambiato, specie nel “colore” che caratterizzava quel brano all’inizio. Per un coro a cappella è più facile calare che crescere e le ragioni che portano al prevalere di questo inconveniente sono molte e di diversa origine. La mancanza d’intonazione può essere attribuita a molteplici cause tra le quali la mancanza di educazione musicale, la poca formazione di un orecchio interno melodico ed armonico, la scarsa fusione, un uso poco consapevole della voce e delle risonanze nonché dell’intero apparato respiratorio, gli influssi atmosferici, la stanchezza generale e la poca concentrazione, il particolare stato psicologico del gruppo corale, la mancanza della necessaria tensione muscolare nei cantori e nel direttore stesso. Il direttore, oltre ad essere molto formato a livello uditivo/musicale, dovrà, in fase di scelta del repertorio, fare attenzione ad evitare brani che non sono alla portata del suo coro. Per il repertorio contemporaneo e molto cromatico è richiesta una grande maturità del singolo corista, infatti i generi cromatico ed enarmonico si svilupparono soprattutto con il professionismo e il virtuosismo del periodo della decadenza. Una volta scelti i giusti
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brani, dovrà fare attenzione ai processi di studio e memorizzazione della parte, facendo in modo che il susseguirsi degli intervalli possano essere messi in voce senza il supporto strumentale. Il corista deve imparare a ragionare sul passaggio tra nota e nota e deve essere erudito dal direttore su come adattare l’intonazione alle esigenze armoniche del brano. Il direttore, prima dello studio di un brano, dovrà far esercitare i coristi proponendo loro un percorso di vocalità adeguato, basato sulla formazione dell’orecchio armonico e melodico. Per concludere, vorrei sottolineare un aspetto che mi sta profondamente a cuore: il momento della vocalità non deve essere inteso, come molto spesso succede, come un semplice riscaldamento della voce (alla sera, quando normalmente si tengono le prove, la voce non ha bisogno certamente di essere scaldata, essendo già stata impiegata durante la giornata!). Il corista dovrà invece essere guidato a conoscere la maggior parte dei trucchi legati alla respirazione, all’utilizzo delle vocali e delle risonanze per garantire il corretto rapporto tra i suoni e per risolvere autonomamente i problemi d’intonazione che in alcune circostanze si vengono a creare.
PUBBLICAZIONI E DOCUMENTI CONSULTATI ROBERTO SPREMULLI, Il Canto Gregoriano e la sua voce, cap. 7 di Alla Scuola del Canto Gregoriano, a cura di Fulvio Rampi, Parma, Musidora, 2015. ELISABETTA DE MIRCOVICH - PAOLO PILLON, Una voce dentro il coro. Roma, Freebook, 2013. MAURO UBERTI, Caratteri della tecnica vocale in Italia dalla lettera sul canto di Camillo Maffei al trattato di Manuel Garçia, XV Convegno Europeo sul canto corale, Gorizia, 1984. Thesaurus Musicarum Latinarum, il database di ricerca musicale elaborato a partire dal 1990 da studiosi della School of Music Indiana University Bloomington. ADONE ZECCHI, Il direttore di coro, Milano, Ricordi 1965, Ristampa 1986. ALFRED THOMATIS, L’orecchio e la voce, Milano, Baldini&Castoldi Socerdit, 1993. PAOLO IOTTI, Guidare un coro liturgico, Bologna, Centro Editoriale Dehonino, 1990.
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Repertorio
Intervista al compositore Simone Campanini
DI NICCOLÒ PAGANINI
I brani proposti: da ‘Quattro antifone’: Salve Regina, Alma redemptoris mater, Ave regina cælorum. Tre brani brevi, gli ultimi due brevissimi, costruiti parola per parola cercando di non abusare di ripetizioni del testo in modo da preservare la concisione delle tre preghiere. Il linguaggio armonico, talora moderatamente complesso, cerca sempre il significato della parola ed è questa la chiave di lettura. Qualche suggerimento.
Simone Campanini Diplomato in Organo e composizione organistica presso il Conservatorio «A. Boito» di Parma, dal 1996 è organista nella Basilica Cattedrale di Parma. Dal 2004 dirige il coro voci miste della corale Citta’ di Parma. Come compositore di musica per coro è stato premiato in concorsi nazionali (Assisi, Sassari) ed ha vinto il terzo premio al prestigioso Concorso Internazionale di Composizione Corale di Arezzo edizione 2016. Laureato cum laude in ingegneria elettronica, nel 2014 ha conseguito il PhD in Ingegneria Industriale. Attualmente si occupa di ricerca col gruppo di acustica del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Parma.
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REPERTORIO
Salve Regina: alle battute 7-8 la parte dei bassi è quasi un coro gregoriano in lontananza, è dunque importante che le tre voci superiori cerchino un suono compatto ma molto piano; simili le battute 31-32, ma questa volta il canto è affidato ai contralti. Alma redemptoris mater: non c’è indicazione di tempo, poiché esso è quello intrinseco sillabico del testo e a questa semplicità va ricondotto il brano. La struttura è chiaramente dialogica, ma è importante rispettare le sovrapposizioni di sonorità quando presenti (batt. 5 e 13). Questo brano può essere eseguito senza soluzione di continuità – giusto un respiro - con quello seguente. Ave Regina cælorum: per il tempo, vedi il brano precedente. Si curi di non respirare tra battuta 5 e 6 in modo da mantenere la giusta tensione del crescendo verso il forte. Per non affollare la pagina di elementi grafici ridondanti, le indicazioni espressive si riferiscono a tutte le voci cha si trovano al di sotto di esse, salvo diversamente indicato.
Niccolò Paganini: Qual’è il percorso che ti ha portato ad Il M° Campanini e il Coro Città di Parma avvicinarti alla musica corale? Simone Campanini: Il mio percorso musicale ha origine piuttosto presto, fin dall’età della scuola elementare, dove ai corsi facoltativi sportivi ho preferito quello di musica; è stato però con l’iscrizione al Conservatorio che tutto ha cominciato a prendere forma, prima le medie, quindi il Liceo Musicale, dove ho avuto il primo contatto con la musica corale grazie al corso di Ugo Rolli. Nel frattempo ero entrato come corista nel Coro Giovanile della Corale “Città di Parma” diretto da Gianluca Ferrarini, ed è lì che è iniziato l’”amore” vero e proprio. Infatti il repertorio che da sempre ha suscitato in me maggiore attrazione è quello romantico e contemporaneo, ed ai concerti del Coro Misto della Corale Città di Parma, allora diretto da Mario Fulgoni, se ne poteva ascoltare tanto, con mia grande soddisfazione. NP: Tuttavia tu non hai seguito corsi di canto, ma di organo. SC: Vero. Sono organista, allievo di Francesco Tasini prima, e di Stefano Innocenti poi, e credo fermamente che, ai fini della comprensione della scrittura corale, la letteratura organistica è quanto di più formativo ci possa essere, poiché da sempre fondata essenzialmente sul contrappunto polifonico; di conseguenza di esso è così diventato per me il linguaggio musicale più naturale, alla luce del quale osservare tutti gli altri. Un brano corale visto da un organista è qualcosa di estremamente familiare, sovente molto simile al repertorio propriamente strumentale, perfino nella condotta delle parti e nelle tessiture: da corista prima e da direttore poi, è assolutamente normale, mentre suono un ricercare oppure una fuga, sentire nella mia mente le singole parti cantate da un coro – nello specifico, dal mio coro - e condurle di conseguenza. Si capisce immediatamente quando uno strumentista non ha mai provato a cantare ciò che suona, e per ‘cantare’ intendo averlo fatto con una conduzione della frase sensata e con i respiri necessari; nel repertorio contrappuntistico, questo andrebbe esteso a tutte le parti senza privilegi, o perlomeno, per me è ovvio pensarlo così. NP: Dunque l’organo come un coro? SC: Esattamente, ma non solo l’organo. Come dicevo prima, il saper cantare una frase ci da la possibilità di donarle un’anima e questo vale per qualsiasi strumento. Per la musica polifonica, invece, bisogna poter cantare tutte le parti e qui l’esperienza diretta del coro può veramente fare la differenza. NP: Hai accennato alla tua attività di direttore: quindi da corista sei diventato direttore della Corale Città di Parma. SC: Si, è andata più o meno così. Verso la fine degli anni ‘90, Mario Fulgoni per varii motivi decise di abbandonare la direzione del coro misto – la formazione degli ‘adulti’, per intenderci – e, dopo qualche anno di vicissitudini, il gruppo rimase
nuovamente senza direttore: eravamo, mi pare, tra gennaio e febbraio del 2003 con un Requiem di Mozart da preparare per giugno, ed è lì che dapprima come preparatore (il direttore del coro per quel Requiem era Martino Faggiani), poi come direttore vero e proprio, il mio ruolo all’interno della Corale è divenuto quello che è tuttora. NP: Nel tuo curriculum si legge un Dottorato di Ricerca in Ingegneria Industriale, dunque non solo musicista? SC: Allora, mettiamola così: esistono persone che hanno un’unica, forte passione o talento che seguono in ogni loro scelta di vita; io reputo costoro per certi versi fortunati, poiché a me è sempre toccato dividermi tra numerosi interessi che mi divertivano ed appassionavano. Così è stato per gli studi di ingegneria: prima la laurea in Ingegneria Elettronica, poi la scoperta del gruppo di Acustica guidato dal prof. Farina col quale svolgo tuttora la mia principale attività lavorativa ed i cui campi di ricerca sono spesso a strettissimo contatto con musicisti o ambienti musicali. Uno dei nostri laboratori, per esempio, si trova presso la Casa della Musica di Parma. NP: Organo, direzione di coro, ingegneria, ma com’è arrivato il premio in composizione corale ad Arezzo? SC: Dal mio punto di vista c’è un fil rouge: scrivo musica perché mi piace costruire ed esprimermi costruendo qualcosa. Ma non ho cominciato presto. O meglio: ho sempre avuto la tendenza a scrivere note, ma fino a non troppi anni fa non l’ho mai coltivata seriamente. Il dover cercare repertorio per il coro che dirigo, però, mi ha dato una forte motivazione, poiché càpita che la letteratura disponibile non mi soddisfi, oppure che non esista, per esempio, l’elaborazione per coro di un particolare brano: i primi tentativi, infatti, sono proprio elaborazioni di canzoni di Gershwin, Cole Porter, ed altri brani piuttosto famosi come Les feuilles mortes, C’est si bon, Tea for two, My favourite things, ecc. dei quali non avevo trovato un’elabora-
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“Scrivo musica perchè mi piace esprimermi costruendo qualcosa; tutto inizia da un testo in grado di suscitare in me emozioni, a partire dalle quali nasce la musica”
zione corale e, quasi sempre, piuttosto che cercarne una ho sempre trovato molto più divertente scrivermela. Li abbiamo cantati spesso in concerto ed alcuni funzionano piuttosto bene da un punto di vista corale. I brani originali, invece, a parte un paio di una decina di anni fa mai eseguiti, sono un fatto più recente. Il punto è che quando li ho inviati a dei concorsi, sono stati premiati. NP: Più di un concorso quindi? SC: La questione dei concorsi è iniziata alla fine del 2015, dietro ai suggerimenti di Giovanna, mia moglie, anch’essa organista nonché docente di clavicembalo, che mi portò a casa un paio di depliant, quello del concorso Serenate di Calendimaggio di Assisi e Nella città dei Gremi… di Sassari. Due concorsi (nazionali), due premi, presi però in modo curioso, poiché nel primo caso il brano da me presentato era sostanzialmente fuori tema, ma ciononostante la giuria ha voluto all’unanimità che mi venisse comunque attribuito un attestato di merito, nel secondo, sempre la giuria all’unanimità ha chiesto che mi venisse assegnato il secondo posto anche se non previsto dal bando. Il terzo premio al Concorso Internazionale di Composizione Corale di Arezzo, invece, è stata davvero una sorpresa. Una gradita sorpresa! NP: Ci sono degli autori che hanno avuto o che hanno influenza sul tuo modo di scrivere? SC: Certamente sì. Io non sono diplomato in composizione, ma il corso di organo che ho seguito prevedeva una parte compositiva ed ancora ricordo con gratitudine gli insegnamenti del maestro Tasini; poi, come corista, il mio gusto è stato fortemente alimentato da Mario Fulgoni, splendido musicista della raffinatissima sensibilità cui sono e sarò sempre debitore: con lui ho conosciuto Poulenc, Brahms, Mendelssohn oltre che la sua stessa musica; l’aver cantato e gustato al pianoforte per conto mio più e più volte tanti loro brani è stata una lezione indimenticabile. Poi ancora quattro autori, la cui musica, per molti versi praticamente opposta, non finisce mai di emozionarmi e stupirmi, al di là della musica corale: Rachmaninov, Debussy, Stravinskij e, necessariamente, Bach. NP: Come potresti descrivere il tuo modo di comporre? SC: Tutto inizia da un testo, a partire dal quale cerco di immaginarmi il brano. Sembra banale, ma ciò che conta è che il testo sia in grado di suscitare in me emozioni, a partire dalle quali nasce la musica. Emozioni che possono essere le più disparate, anche una sana risata, come è stato per il brano che ho scritto l’estate scorsa al Seminario Feniarco per Giovani Compositori di Aosta, il cui testo era uno scioglilingua inglese; oppure il meraviglioso suono delle parole del poema di Baudelaire che ho musicato nel brano presentato al concorso di Arezzo, Chant d’automne: in quel caso nel mio immaginario il significato del testo è rimasto decisamente in secondo piano rispetto all’intrinseca musicalità delle sillabe del testo stesso, anche se poi, naturalmente, la musica deve raccontare il senso del poema. In uno scioglilingua come Peter Piper dove non c’è sostanzialmente nulla da raccontare, invece, le parole diventano un pretesto per inventare giochi ritmici più o meno complessi, mentre la componente armonica perde decisamente di importanza. Ancora prima del testo, però, è essenziale la motivazione, senza la quale non si muove proprio nulla. NP: Tu hai scritto brani di musica sacra: quali sono le tue riflessioni sull'ispirazione che agisce sopra e all'interno di un compositore quando si accinge a scrivere tale musica? SC: Quando mi capita di ascoltare brani di natura sacra scritti da autori non-credenti, mi capita spesso di percepire qualcosa di esteticamente o tecnicamente, magari, straordinario, ma privo di un “punto d’appoggio”: a volte si avverte una ricerca, talora sofferta, altre volte i dubbi, altre ancora, invece, traspare l’indifferenza o superficialità dell’autore nei confronti della tematica. Non trovo le certezze del messaggio cristiano. Questo dimostra ancora una volta come in un’espressione artistica tutta la nostra intimità venga mostrata, senza aver la possibilità di nascondere nulla: è quindi il momento in cui siamo più vulnerabili, poiché siamo completamente privi di ripari, ma proprio per questo è anche il momento in cui ci sentiamo più vivi, poiché possiamo esprimere ciò che proviamo.
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REPERTORIO
Coro Città di Parma nella
basilica superiore di Assisi
Per quanto mi riguarda, vorrei davvero che dai miei lavori si potesse respirare almeno un poco di quella speranza che anima la vita di chi è credente. Questa è la mia ispirazione e il mio proposito. NP: Qualche progetto per il futuro? SC: Idee tante. Tempo per concretizzarle, poco. La mia principale attività lavorativa, pur lasciandomi spazi impensabili con altri impieghi, non mi consente di dedicare al coro il tempo che vi ha dedicato chi mi ha preceduto; in più cerco di riservare un po’ di tempo per scrivere musica. Senz’altro mi piacerebbe mantenere un contatto più stretto col mondo corale italiano ed internazionale, rispetto a quanto ho fatto finora; in questo senso è stata illuminante la partecipazione al già citato Seminario Feniarco ad Aosta la scorsa estate, nella classe di Z.Randall Stroope, esperienza veramente entusiasmante, durante la quale ho avuto la sensazione di come in fondo siamo veramente tutti alla ricerca di buona musica. A questo proposito una bella sorpresa mi è giunta pochissimo tempo fa dal Giappone, dove il (meraviglioso!) coro del liceo Sakaide di Kagawa, diretto dal prof. Tomoki Maeda, canterà un mio brano ad un concorso il prossimo marzo: è stata una conoscenza del tutto fortu-
ita avvenuta a Parma lo scorso novembre in occasione di uno scambio culturale. Ascoltare quelle voci è stata un’esperienza straordinaria e, tornato a casa, ho subito desiderato scrivere un brano per loro, che poi gli ho inviato. Questo non fa che confermare quanto detto prima: siamo tutti alla ricerca di buona musica.
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da Quattro antifone per coro a quattro voci miste
1. Salve Regina Simone Campanini (*1977)
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41
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11/1/15 rev.2/2016
42 |
REPERTORIO
4
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44
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Na tu ra mi ran te,
4 4 Vir go 4 4
6 4 4 4
Vir
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tu um sanc tum Ge ni to rem
6 4
4 4
tu um sanc tum Ge ni to rem
SIMONE CAMPANINI | 43
pri us ac po ste ri us,
12
pri us ac po ste ri us,
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6 4 Ga bri e lis ab o re 6 4 Ga bri e lis ab o re
6 4
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6 4
A ve. 6/7/14
3. Ave Regina coelorum
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C
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Simone Campanini (*1977)
3 5 3 6 p
4 4 87 A ve, Re gi na CĂŚ lo rum, A ve, Do mi na An ge lo rum: 3 3 3 46 45 87 Sal ve, sal ve, ra dix, A ve, Do mi na An ge lo rum: A ve, Re gi na CĂŚ lo rum, 6 5 7 4 8 4 8
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3
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REPERTORIO
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qua mun do lux est or
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Music engraving by LilyPond 2.18.2—www.lilypond.org
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AERCO notizie
Il Professor Pecci ricorda che era il 1967 quando un piccolo gruppo di morcianesi, uniti dalla passione per il canto, ha iniziato l’attività corale in Valconca. “Eravamo un gruppetto di una decina di uomini, nei primi anni ci teneva uniti la passione per il canto soprattutto liturgico; si cantava per rendere più solenni e maestose le funzioni religiose, specialmente nelle grandi occasioni.
Coro Città di Morciano: 50 anni e non sentirli Il direttore e fondatore, Prof. Oreste Pecci, e il Presidente Nicole Leardini ci raccontano il Coro Città di Morciano
DI ORESTE PECCI E NICOLE LEARDINI
Durante l’intervallo di un concerto lirico al teatro Ronci di Morciano, la pianista Prof.ssa Emma Raggi Valentini, decise di farci partecipare ai concerti lirici su tutta la riviera Romagnola. Questa attività concertistica ci ha tenuti legati ed impegnati per circa 5 anni. All’epoca facevamo concerti da Pesaro a Cattolica, da Riccione a Rimini, fino a Castrocaro Terme.” Nel 1973 il coro inserisce nel suo organico anche le voci femminili, migliorando nella qualità del canto e nell’effetto scenico e incrementando la varietà del repertorio. Nel 1975 avviene l’incontro con la scuola “A. di Duccio” di Rimini diretto dalla signorina Benizzi. Essa ha proiettato il coro in una nuova esperienza. Nel mese di giugno
CORO CITTÀ DI MORCIANO | 47
1968 - la prima foto del coro
dello stesso anno, è stato inciso a Bologna il disco “Natale Vivo”: una raccolta di canti natalizi presa da tutto il mondo. Era appena terminata la fatica del disco, e già un nuovo programma attendeva il coristi: una tournée in Olanda, dove il coro di Morciano ha portato i canti e l’entusiasmo della Romagna. L’anno successivo è stata ricambiata l’ospitalità ricevuta; a Morciano sono arrivati due cori della città Olandese di Wijk Bij Duurstede. Inaspettatamente, nella primavera del 1979 il coro si reca per la seconda volta in Olanda. Il giorno di Pasqua, il coro accompagna la funzione nella cattedrale cattolica, ricevendo alla fine, una vera e propria ovazione. Alla celebrazione erano presenti anche svariate persone di fede protestante. All’inizio degli anni 80 il coro ha ulteriormente ampliato il proprio repertorio in tre diversi settori: musica sacra, lirica e popolare. Fra il 1983 e il 1984 il coro è stato invitato per ben tre volte alla messa che veniva trasmessa tutte le domenica in diretta da Rai1. L’emozione di quei momenti rimarrà per sempre impressa nelle menti dei coristi, e rappresentava una delle tante gratificazioni alla fatica e al costante impegno. Nel 1986 il coro è parte di un nuovo gemellaggio, con il coro Svizzero di Thun, cittadina meravigliosa che si trova sul lago omonimo. Con l’arrivo degli anni 90 il coro assume sempre più una dimensione europea. Infatti nel 1990 grazie al gemellaggio con il “Coro Accademico Cecoslovacco” affronta un altro lungo viaggio che porterà esibizioni a Praga e a Brno. Solo 3 anni più tardi, nel 1993 si completano le uscite nei paesi dell’est con una meravigliosa tournée in Polonia, ospiti del coro “Pallotti” di Poznan. L’anno seguente nel 1994 il coro è protagonista di un grande concerto nell’anfiteatro di Villa Berloni a Pesaro in collaborazione con la banda musicale di Candelara. Le musiche di Morricone e di Verdi hanno fatto trascorrere al numeroso e preparato pubblico un serata veramente unica. La fine del secolo ha visto il coro protagonista di due tournée in Svizzera, nel 1998 a Zofingen e nel 1999 a Lucerna. Ai connazionali che lavoravano in questo Paese abbiamo portato i canti della nostra terra che li ha visti nascere e crescere.
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AERCO NOTIZIE
Con l’arrivo del nuovo secolo il Coro Città di Morciano è stato protagonista in manifestazioni che si sono svolte in varie regioni italiane: Verona e Negrar nel 2000, Bergamo e Verona nel 2004 e Padova nel 2006, Siena nel 2009, Bologna nel 2011, Reggio Emilia nel 2013: si fatica a ricordare ogni posto in cui il Coro è stato chiamato a cantare. Il Presidente del Coro Nicole Leardini ci fa presente che all’arrivo di un traguardo così importante come il 50° anno d’attività non potevano mancare degli eventi importanti, in cui festeggiare degnamente gli sforzi fatti. “Sono molto felice di poter anticipare che gli appuntamenti destinati a sottolineare e festeggiare i 50 anni di attività sono fondamentalmente due. Il primo di musica sacra, si terrà nella chiesa parrocchiale di Morciano, San Michele Arcangelo il 29 aprile 2017 alle ore 21,15. Sarà un concerto che prevede un repertorio molto ambizioso: Mozart, Händel, Verdi, solo per citarne alcuni. In questa occasione avremo l’onore di poter cantare con il basso Mirco Palazzi, che ha iniziato la sua attività canora all’interno del coro. Mirco è un cantante di livello internazionale che ha conservato tutta l’umiltà e la genuinità dell’essere romagnolo e soprattutto non
1972 - Teatro Ronci, Morciano
ha mai dimenticato il coro. Ha iniziato giovanissimo lo studio del pianoforte per poi dedicarsi al canto, diplomandosi con lode e menzione d’onore al Conservatorio Rossini di Pesaro, sotto la guida di Roberto Merolla. Inizia subito una brillantissima carriera che lo porta ad esibirsi nei maggiori teatri europei. Inoltre saremo accompagnati dall’orchestra da camera “Città di Rimini” diretta dal Maestro Stefano Pecci figlio del direttore Oreste che ha fondato e guidato il coro per tutti questi 50 anni. Stefano Pecci compie i suoi studi musicali presso il conservatorio “G. Rossini” di Pesaro dove a soli diciotto anni si diploma in saxofono sotto la guida del M° Federico Mondelci con il massimo dei voti e la lode. Collabora come primo sassofono con: Orchestra dell’Accademia del Teatro ALLA SCALA di Milano, Orchestra del Teatro dell’OPERA di Roma, Orchestra “G. VERDI” di Milano, Orchestra Sinfonica di San Remo, Orchestra In-
Concerti degli anni ‘70
ternazionale d’Italia, Orchestra dell’Insubria e Orchestra Sinfonica di Pesaro. Per noi sarà un concerto molto impegnativo: richiede dosi massicce di studio. Il secondo appuntamento, nel mese di luglio, in data da destinarsi, si terrà sotto i portici del palazzo comunale a Morciano di Romagna con esecuzione di brani popolari e lirici: un concerto meno formale ma di grande presa sul pubblico. Il coro città di Morciano ha una lunga e gloriosa storia che attraversa due secoli; non è stato facile adattare un coro così longevo alle esigenze del nuovo millennio, mantenendo intatti quelli che sono i principi fondamentali su cui è stato fondato il coro: AMICIZIA, SOLIDARIETÀ E ARMONIA. Grazie al repertorio molto vasto, ai solisti che sono parte integrante del coro e all’impegno che ogni corista ha messo nell’adattarsi ad abitudini meno tradizionali, il coro città di Morciano non dimostra la sua veneranda età ed è pronto ad affrontare nuove sfide”. Il Direttore Oreste Pecci conclude: ”di solito non mi piace voltarmi indietro, ma preferisco guardare avanti verso nuove esperienze che contribuiscano ad arricchire la nostra personalità ed a farci sentire tutti amici. Voglio guardare al passato ancora per un attimo solo per ricordare coloro che non ci sono più. Se ne sono andati in punta di piedi lasciando nel cuore di tutti un vuoto incolmabile, quel vuoto che creano gli amici veri quando ci lasciano. Ci rimane una certezza che ci dà coraggio di continuare: ci ritroveremo un giorno tutti assieme come se non ci fossimo mai separati. Forse il buon Dio ci farà mettere i piedi sotto una tavola tutta bianca ed imbandita, attorno alla quale invece di cantare “Bela burdela” canteremo per sempre le sue lodi”.
Il direttore Pecci
CORO CITTÀ DI MORCIANO | 49
Feniarco e Arcc presentano
international choral festival
musica / arte / cultura
29 giugno-2 luglio 2017 iscrizioni entro il 31 marzo 2017
www.feniarco.it
Feniarco
in collaborazione con
Arcom e con European Choral Association - Europa Cantat presenta
9 European Academy th
for choral conductors
Fano/ Italy - 27 agosto/ 3 settembre 2017
WONDER & REFLECTION in choral music Docente
Ragnar Rasmussen (Norvegia)
Repertorio: Miserere (J. McMillan), Warum ist das Licht (J. Brahms), O sacrum convivium (O. Messiaen), Agnus Dei (S. Barber), Songs of Ariel (F. Martin), And death shall have no dominion (S. Bergh), Miserere (G. Allegri, rev. E. Correggia)
Iscrizioni entro il 31 maggio 2017 www.feniarco.it in collaborazione con Comune di Fano Coro Polifonico Malatestiano Incontro Internazionale Polifonico CittĂ di Fano
informazioni Feniarco - Via Altan, 83/4 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - info@feniarco.it