e-FARCORO 2-2017

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FarCoro Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale- 70% CN/BO

n. 2 / 2017

Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori

Musica dell’anima

Analisi

Tecnica

Il ruolo del celebrante e la partecipazione attiva

Bruno Bettinelli

Il modello Coro: per un futuro in armonia


FarCoro

n. 2 / 2017

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Editoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 di Niccolò Paganini

La lettera del Presidente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 FARCORO Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori maggio - agosto 2017 Edizione online www.farcoro.it Autorizzazione del Tribunale di Bologna N° 4530 del 24/02/1977 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - CN/BO. Direttore Editoriale Niccolò Paganini direttore@farcoro.it Comitato di Redazione Francesco Barbuto francescobarbuto@alice.it Giovanni Barzaghi doxnab@tin.it Luca Buzzavi lucabuzzavi@gmail.com Michele Napolitano napolitano.mic@gmail.com Grafica e impaginazione Elisa Pesci

di Andrea Angelini

Primo Piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Claudio Monteverdi e il suo Vespro: una funzione tendente all’infinito di SARA DIECI

Stile - Musica dell’anima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 Il ruolo del celebrante e la partecipazione attiva di PADRE MATTEO FERRALDESCHI

Repertorio - Musica dell’anima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 Ordinario per Schola, Assemblea e Organo di FULVIO RAMPI

Analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 A colloquio con Silvia Bianchera Bettinelli di FRANCESCO BARBUTO

Già mi trovai di maggio, dalle ‘ Tre espressioni Madrigalistiche’ per coro misto di Bruno Bettinelli di FRANCESCO BARBUTO

Tecnica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

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Una funzione biologica di scarto

Sede Legale c/o Aerco - Via Barberia 9 40123 Bologna Contatti redazione: direttore@farcoro.it +39 347 9706837

Il modello Coro: per un futuro in armonia

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in copertina Claudio Monteverdi

di GIORGIO MAZZUCATO

di ANDREA LANDRISCINA

Repertorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 Angel Fly - Angelus Domini di FABIO PECCI

Improvviso, l’inverno di GIAN PIETRO CAPACCHI

Commento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 Recensione de I Quaderni di Farcoro di michele peguri

AERCO notizie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54

Far arC

IV Concorso Corale Città di Riccione di fabio pecci


Editoriale

PROF. NICCOLÒ PAGANINI Direttore editoriale

Carissimi Lettori, sono soddisfatto nel poter presentare a Voi un numero così ricco e interessante. La nostra Associazione in questi ultimi anni si è arricchita di tante personalità che hanno avuto la forza e la competenza di renderla una realtà viva e dinamica. Grazie al lavoro prezioso della Redazione, anche la rivista è cresciuta garantendo qualità e professionalità. In questo numero vi proponiamo una serie di articoli che mi auguro possiate trovare interessanti e utili per la vostra attività corale. In Primo Piano, Sara Dieci ci offre un prezioso spunto di riflessione su Claudio Monteverdi e la sua musica per coro. Vogliamo rendere onore ancora una volta al grande musicista di cui lo scorso 9 maggio è stato celebrato il 450° compleanno. La musica sacra e in particolare quella di ambito liturgico è sempre al centro della nostra rubrica Musica dell’anima, curata da Luca Buzzavi. Poniamo la nostra attenzione sul ruolo del celebrante e la sua partecipazione attiva grazie alla grande esperienza e competenza di Padre Matteo Ferraldeschi, fondatore e docente dei Corsi estivi di Assisi e di Farfa, Vicario parrocchiale della Chiesa di San Gregorio VII in Roma e direttore del Coro Laudesi Umbri di Spoleto. Sempre per la rubrica Musica dell’anima, pubblichiamo un Signore pietà e un Gloria di Fulvio Rampi, tratte da una Messa composta per Schola, Assemblea e Organo. Francesco Barbuto, per Analisi, ha intervistato Silvia Bianchera, moglie di Bruno Bettinelli. In questo interessante colloquio scopriremo alcuni aspetti peculiari e importanti della poetica e artistica del Maestro. A seguire l’analisi del brano Già mi trovai di maggio dalle “Tre espressioni Madrigalistiche” per coro misto a cappella. Per la Tecnica Giorgio Mazzucato vuole proporci una riflessione sull’importanza della voce. Egli definisce la voce come uno strumento straordinario d’identificazione della persona, e la paragona alla nostra foto, al documento d’identità. Per la stessa rubrica, invece, Andrea Landriscina ci presenta il modello Coro, attraverso sette semi che lo caratterizzano. In Repertorio, abbiamo due proposte: una per coro di voci bianche o giovanile e una per coro popolare. Fabio Pecci ci presenta il brano di Manolo Da Rold, Angel Fly (Angelus Domini), uno delle composizione più eseguite da cori di voci bianche e giovanili femminili. Per l’ambito popolare abbiamo il piacere di pubblicare Improvviso, l’inverno di Gian Pietro Capacchi, una composizione che ha avuto una segnalazione di merito nell’ambito del Concorso di Composizione Corale ‘Una canzone per l’Adunata’, ideato quest’anno dalla sezione ANA di Treviso. Infine pubblichiamo, per la rubrica Commento, la recensione di Michele Peguri al decimo Quaderno di FarCoro, Esercizi d’intonazione e di lettura per coro, di Pier Paolo Scattolin, e il resoconto della IV edizione del Concorso corale Città di Riccione. Augurando una proficua e piacevole lettura, Vi porgo corali saluti

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Niccolò Paganini | 3


La lettera del Presidente Associazione Emiliano Romagnola Cori

Dr. ANDREA ANGELINI Presidente AERCO

‘La musica è una matematica misteriosa i cui elementi partecipano dell’Infinito. Essa è responsabile dei movimenti delle acque, del gioco delle curve descritte dalle mutevoli brezze; niente è più musicale di un tramonto’ C. Debussy

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‘L’acqua che tocchi de’ fiumi è l’ultima di quella che andò e la prima di quella che viene. Così il tempo presente.’ Mi piace cominciare, con queste parole di Leonardo da Vinci, alcune considerazioni in questo caldo periodo estivo. L’acqua è da sempre sinonimo di vita e ogni giorno, sotto diverse forme, regala a tutti noi sensazioni di piacere, di sollievo, di fascino e purezza. L’acqua è estremamente adattabile, è flessibile e cambia la sua forma. Si adatta alle circostanze, aggirando gli ostacoli che incontra nel suo cammino. Tutto questo in un processo di continua trasformazione che è la sua vera forza. Associando questo fondamentale elemento alla musica, mi vengono in mente i magnifici spettacoli delle fontane danzanti, osservati in varie città del mondo, e la loro suggestiva bellezza. La tradizione dei giochi d’acqua è, come sappiamo, molto antica e già i Romani ne riconoscevano l’importanza sia dal punto di vista funzionale, in quanto venivano sfruttate come punto di distribuzione dell’acqua cittadina, sia dal punto di vista ornamentale poiché erano un’espressione artistica alla portata di tutti. Acqua e musica: i Jeux d’eau, Giochi d’acqua, di Maurice Ravel inaugurano la musica francese del Novecento. Le novità riguardano in particolare l’armonia: fin dalla prima battuta l’accordo consonante ingloba due suoni (settima maggiore e nona maggiore rispetto al suono fondamentale) che erano sempre stati considerati dissonanti. Sia Chopin che Liszt avevano allargato il concetto di consonanza, ma in via del tutto episodica: con Ravel il nuovo concetto di consonanza diventa un tratto lessicale costante. E si tratta di un passo molto importante, da cui scaturirà nove anni più tardi, con il Trattato d’armonia di Schönberg, l’abolizione del concetto stesso di dissonanza. Per la teoria degli opposti, l’altro elemento su cui mi piace soffermarmi, in contrapposizione all’acqua, è il fuoco: è per eccellenza un elemento dinamico, in quanto genera trasformazioni. In particolare tende a purificare tutte le cose, elevandole ad un livello di perfezione maggiore. Il fuoco è un’energia radiante, eccitante, piena di fervore. Il fuoco viene spesso associato al coraggio, alla fiducia nel proprio valore e al gusto della sfida di fronte alle prove della vita. Tornando alla musica è immediato l’accostamento con la Musica per i Reali Fuochi d’Artificio composta da Georg Friedrich Händel nel 1749 su commissione di Giorgio II di Gran Bretagna. Il pretesto per la composizione di questo lavoro fu la firma del trattato di Aquisgrana del 1748 che mise fine alla guerra di successione austriaca. Il re non badò a spese e volle che si celebrasse l’avvenimento con grandi festeggiamenti e fuochi d’artificio, questi ultimi prodotti da una gigantesca struttura in legno. Ritornando al tema dell’acqua, nella vasta produzione di brani per coro, vorrei ricordare, come autentica gemma, il brano Gesang der Geister über den Wassern, Canto degli Spiriti sulle Acque, di Franz Schubert su testo di Goethe. La poesia di Goethe tratta temi di alto impegno concettuale; il parallelo


 Maurice Ravel

 Claude Debussy

fra gli elementi della natura, l’acqua, il vento, e l’uomo, la sua anima e il suo destino, sono di grande intensità. ‘La musica è una matematica misteriosa’ - scrive il grande musicista francese Debussy - i cui elementi partecipano dell’Infinito. Essa è responsabile dei movimenti delle acque, del gioco delle curve descritte dalle mutevoli brezze; niente è più musicale di un tramonto’. Analizzando i titoli suggestivi che Debussy ama apporre alle proprie composizioni si nota il proliferare di riferimenti legati alla natura e ad alcuni spettacoli che essa offre. Molti di questi titoli sono correlati all’immaginario acquatico: Le jet d’eau, La mer est plus belle, Jardins sous la pluie, Reflets dans l’eau, Poissons d’or, La cathédrale engloutie, Ondine, En bateau, Pour remercier la pluie au matin, Sirènes, La mer, De l’aube à midi sur la mer, Jeux de vagues, Dialogue du vent et de la mer. I riferimenti all’acqua affollano i testi delle mélodies per canto e pianoforte che Debussy sceglie fra i componimenti di numerosi poeti simbolisti, fra cui Verlaine, Baudelaire e Mallarmé. Nella musica d’acqua di Debussy, i suoni sfumano i propri contorni e si immettono in un flusso che spesso pare emergere dal nulla. Tali suoni scorrono fluenti e poi svaniscono all’orizzonte, riassorbiti dal silenzio e dall’oscurità oppure confluiscono in un nuovo flusso. Questo accade in modo esemplare nel terzo dei Nocturnes per orchestra. Scorrono fluidi i vocalizzi evocatori di Sirènes. Gli ipnotici cori sembrano infatti affiorare alla superficie del mare, per poi inabissarsi nuovamente. ‘Sirènes è il mare e il suo ritmo infinito - scrive ancora Debussy in una nota esplicativa redatta per l’esecuzione di questo brano - poi tra i raggi argentei della luna si sente, ride e passa il canto misterioso delle sirene’. Il coro è qui usato come se fosse un gruppo strumentale, è fuso all’orchestra e non ha un testo da cantare. Questi sensuali e avvolgenti vocalizzi sono un canto smaterializzato, morbido, curvilineo. Archi, fiati e arpe intrecciano suoni vellutati e fluenti. Il tema affidato alle voci del coro affiora con frequenza dalla liquida materia sonora. Dopo questo immaginario contatto dei due elementi, vi auguro una magnifica estate. AERCO invece continuerà a lavorare per presentarvi, a Settembre, il nuovo Corso per Direttori di Cori Scolastici, con grandi nomi quali Anna-Maria Hefele, Basilio Astulez, Tullio Visioli ed altri, CantaBO, il Festival per la coralità bolognese e la Rassegna Di Cori un altro Po, quest’anno esteso anche al Piemonte. Andrea Angelini - Presidente AERCO

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Primo Piano

Si presume che quest’anno si canterà di più Monteverdi. Lo scorso 9 maggio si è festeggiato il suo 450° compleanno e non ci sarebbe occasione migliore per onorarlo, dal piccolo concerto in provincia al festival internazionale. Quanto oggi sia rilevante la figura di Monteverdi fra le associazioni corali di tutto il mondo è fuori discussione: basta solo provare a contare quante di queste realtà sono a lui intitolate.

Claudio Monteverdi e il suo Vespro: una funzione tendente all’infinito di sara dieci Molte sono le ragioni per cui i cori di oggi studiano la sua musica. Anzitutto, come ‘monumento’ della nostra storia musicale, ed è difficile individuare l’esatto istante in cui la sua figura è divenuta archetipo di stile e di costruzione formale: infatti, è stato citato, imitato, contraffatto quando era ancora in vita. Appena un secolo dopo il padre di tutti gli storiografi, l’arcidotto Padre Martini, selezionava campioni della scrittura monteverdiana nel corredare di autorevoli esempi il suo metodo di contrappunto1. Ma il vero e proprio monumento sarà eretto ai tempi della cosiddetta ‘musica al quadrato’, quando il ripescare vecchie carte di musica dal passato era molto più di un semplice sport archeologico, dato che tale attitudine riuscì a influenzare in modo determinante le carriere di tanti compositori; tra tutti, Gian Francesco Malipiero2, che venne incaricato nel 1926 di curare l’opera omnia monteverdiana e se ne invaghì a tal punto da cimentarsi nell’orchestrazione di alcuni madrigali, fino a creare nuove pagine con la medesima ispirazione formale (e contagiando con questo gentile morbo vari colleghi e discepoli). Ancora oggi, sebbene per 1 Giovanni Battista Martini, Esemplare o sia Saggio fondamentale pratico di contrappunto fugato, Bologna, Lelio della Volpe 1774, vol. II, pp. 180-198, 242-250. 2 Tutte le opere di Claudio Monteverdi, a cura di G. Francesco Malipiero, Wien, Universal Edition 1926-1942.

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Primo PIANO


una strana sorta di snobismo in troppi non hanno il coraggio di ammetterlo, assai sovente quei tozzi volumi dalla copertina color lambrusco lasciano gli scaffali delle biblioteche per servire ai direttori più intransigenti, ai continuisti più ortodossi, al cantore più esperto nella prassi informata: un fenomeno che di certo non si fermerà in questo anno di festa, nonostante le auguste edizioni critiche confezionate nell’arco temporale tra Malipiero e noi. Non dimentichiamo poi che il componimento di Monteverdi è un ottimo esercizio di stile e in quanto tale è contenuto in qualche vecchia (ma sempre efficace) antologia corale: il madrigale e il mottetto insegnano a pronunciare, a respirare, a intonare come pochi riescono a fare; ecco quindi che diventa il pallino di un direttore o di qualche corista entusiasta, un po’ per i motivi che abbiamo già enunciato, un po’ perché è difficile e fa crescere. Si indica come brano d’obbligo a un concorso. Si registra per l’ennesima volta su CD. Ma il maestro cremonese, la cui produzione è totalmente consacrata alle voci, non pensava certo al coro nell’accezione a cui oggi siamo più abituati. Ai suoi tempi, nel suo periodo di attività un compositore della sua categoria doveva avere dimestichezza con una multiforme casistica dei gruppi vocali, variabili per luogo e situazione e soprattutto a seconda della funzione che gli si attribuiva. Egli ebbe la fortuna di lavorare in contingenze in cui la macchina a disposizione era efficiente, alquanto versatile e senz’altro di lusso; accanto a queste c’era sempre e comunque il coro più astratto, quello ideale: trasmesso dall’eredità dei maestri come prototipo assoluto di scrittura e poi immortalato su un foglio di carta dagli attrezzi del tipografo. Della produzione monteverdiana oggi conosciuta, il madrigale è entrato nel repertorio corale suo malgrado, ma a beneficio di una certa fruizione didattica e storiografica cui abbiamo già accennato. Perciò non è del tutto legittimo trattarne in queste righe, ma che un prodotto concepito ‘per pochi intimi’ si sia potuto estendere a una compagnia assai più nutrita sarebbe senz’altro un fatto degno di essere osservato nel suo percorso storico ed estetico. Non tutti i brani di questa forma si prestano a un simile uso, si noterà infatti che solitamente la scelta cade su una limitata casistica. Riproporre oggi un’immagine così circostanziata della produzione madrigalistica è però una professione di differenti valori, non soltanto legati alla rappresentazione di un contesto che, come quello mantovano, si avvaleva delle maestranze più acclamate del tempo. Il recupero di quel suono che è origine di ogni parola ci permette l’accesso a un gioco in cui molti sono i percorsi possibili e in cui ognuno di noi può soffermarsi a osservare la pianificazione strutturale delle voci, la resa mimetica di ogni affetto, o ancora confrontare le scelte dei diversi musici che hanno adottato le stesse linee. O semplicemente abbandonarsi a una ricezione incondizionata, dettata dalla semplice reazione emotiva. Non si distaccano da questa concezione formale gli interventi corali dell’Orfeo, che anche quando vi prevale l’andatura omoritmica sono autentici ‘calchi madrigaleschi’ 3. Questi, sotto il peso del progetto narrativo si differenziano nel tessuto, nella scrittura, nelle scelte timbriche. Nella tragedia (che la sera di quel 24 febbraio 1607 si definiva ‘favola’) il coro è un’entità drammaturgica che ottempera a una regola antica: che sia intonato da spiriti o pastori, che costituisca un commento morale o un grido di compassione, esso è sempre l’elemento di mediazione fra noi e i personaggi della favola, che si assume il compito della suddivisione temporale del racconto, l’articolazione del dramma, il respiro della storia. Non cinque voci, ma una soltanto che si rifrange in cinque dimensioni. Durante il suo magistero mantovano, Claudio otterrà solo nel 1601 di estendere la propria autorità direttoriale dalle stanze di palazzo alla basilica di Santa Barbara. Assai probabilmente aveva già partecipato all’intonazione di messe, salmi e mottetti e condiviso una certa maniera gonzaghesca di concepire la musica devota che portava avanti un ideale sapientemente costruito dal duca Guglielmo, morto nel 1587. Guglielmo, oltre a ordinare

‘Il maestro cremonese, la cui produzione è totalmente consacrata alle voci, non pensava certo al coro nell’accezione a cui oggi siamo più abituati’

3 Claudio Gallico, Monteverdi, Torino, Einaudi 1979, p. 65.

CLAUDIO MONTEVERDI E IL SUO VESPRO | 7


 Basilica di S. Barbara a Mantova

l’edificazione della basilica (eretta un tempi brevissimi) si impegnò a insistere pertinacemente presso le autorità vaticane affinché i riti in Santa Barbara mantenessero un’identità esclusiva rispetto alle disposizioni del recente Concilio; un’operazione diplomatica tra le più complesse, che portò passo dopo passo all’istituzione di un solido organigramma ecclesiastico, di un apposito calendario, alla convalida di un programma liturgico e affidato a cantori specializzati. Intorno agli anni Settanta del Cinquecento Guglielmo invocò da Pio V l’approvazione di messale, breviario, cerimoniale e un repertorio di canto piano appositamente modellato sulle consuetudini cittadine. Il suo obiettivo fu raggiunto nel 1583 con papa Gregorio XIII, dopo trattative estenuanti: si trattava di un fatto decisamente eccezionale, se si considera che il Concilio di Trento aveva riconosciuto come legittimi solo i rituali attivi da almeno duecento anni4. Al rinnovato interesse per il canto piano da parte del duca, si associava la volontà di portare avanti un modello polifonico di tradizione fiamminga: fra i diversi maestri che scrissero per questo particolarissimo luogo sacro Giaches 4 Si veda Paola Besutti, Un modello alternativo di controriforma: il caso mantovano, in La cappella musicale nell’italia della controriforma a cura di Oscar Mischiati e Paolo Russo, Firenze, Olschki 1993, pp. 111-121.

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Primo PIANO

Wert, maestro di cappella di Santa Barbara, e Palestrina, chiamato a produrre alcune messe di foggia mantovana allo scopo di agevolare la trattativa in corso5. Ecco dunque il primo luogo eccezionale in cui Monteverdi si ritrovò ad agire: uno spazio esclusivo, appositamente progettato per la perfetta rifrazione delle voci, dotato di un organo magnifico e dove si poteva contare su una squadra di cantori molto affiatata. Nel campo della produzione sacra di Monteverdi, il coro − inteso nella nostra più comune accezione − trova una più legittima sede; qui si attua un’innovazione meno esplicita agli occhi dell’uomo di oggi, ma ben più sostanziale e sostanziosa. Sanctissimae Virgini Missa senis vocibus ac Vesperae pluribus decantandae cum nonnullis sacris concentibus: ad sacella sive principum cubicula accommodata (Venezia, Ricciardo Amadino 1610) è il lungo e controverso (in particolar modo riguardo all’espressione principum cubicula, che lascia supporre una destinazione al culto privato del duca) titolo che appare sul frontespizio del primo libro contenente musiche d’uso liturgico pubblicate da Claudio Monteverdi. Concepito per una festività mariana, è composto di una Messa e di una serie di Salmi da Vespro, presentati secondo l’ordine consueto che presuppone l’inserimento di opportuni canti fermi. La prima parte del libro è dunque interessata da una Messa polifonica interamente costruita su alcuni frammenti melodici tratti dal motetto di Gombert In illo tempore. L’arte di combinare in modo assai cimentoso tutte le parti in gioco è il dichiarato manifesto del lavoro, come fra l’altro si percepisce in una sorta di legenda che l’autore riporta al principio del fascicolo affidato all’organista, dove si dà mostra di tutte le fughe contenute nella composizione. Un congegno che appartiene in modo assai veritiero alla tradizione di quella stessa Messa polifonica che Guglielmo volle erigere a modello supremo e quindi un’operazione ‘in vecchio stile’, ma anche in stile mantovano, nonché molto pertinente alle corde monteverdiane. Il sottotitolo ‘da concerto’ apposto al titolo del Vespro si riferisce invece a una tipologia opposta a quella della Messa, ma anche per questo complementare. Esso comprende Salmi, Inni e mottetti eseguiti nella massima varietà di forme presenti ai suoi tempi, articolando la maggiore differenziazione possibile dei piani sonori; gli strumenti a fiato, abituali nella concertazione policorale, sono coinvolti tanto quanto i (poco più che neonati) violini e, difatti, tra le composizioni funzionali al Vespro non manca una magnifica sonata dove è incastonato il 5 È dedicato alle “messe mantovane” di Palestrina l’intervento di Paolo Bucchi, Palestrina e Mantova: storia di una relazione a distanza, Farcoro Settembre 2010 http://www.farcoro.it/palestrina-mantova-storia-relazione-distanza.html


canto fermo di una litania d’uso mantovano. Questa pubblicazione rappresenta un punto di svolta nella carriera del compositore, tant’è che per molti studiosi è da intendersi quale parziale e sottile risposta alle invettive del teorico Giovanni Maria Artusi, che dieci anni prima aveva segnalato al mondo dei curiosi alcuni errori d’ortografia contenuti in diverse composizioni di Monteverdi6. Perché proprio qui, e non altrove? Ma soprattutto, perché in un diverso campo tematico rispetto a quello del madrigale? Monteverdi sceglie anzitutto di rappresentare un modello perfetto di scansione liturgica così come si articolava ai suoi tempi. Infatti, i Vespri si alternavano alla Messa secondo una ritmica successione chiamata a scandire il tempo di ogni uomo di fede: la liturgia eucaristica era anticipata, la sera precedente, dai Primi Vespri e seguita, la sera stessa, dai Secondi. Ed è in questa accezione che potremmo ricercare uno dei significati più affascinanti del termine funzione applicato alla cerimonia religiosa: derivato dal latino functio, rinvia a un adempimento, al compimento di un bisogno individuale o collettivo. Nella disposizione degli eventi essa non segue un ordine romano, né uno lombardo e nello stesso tempo potrebbe funzionare per entrambi, avendo il suo autore opportunamente organizzato le proprie idee al fine di lasciare un certo margine di adattabilità. Non sarà quindi azzardato considerare la presenza di più cori per un solo Vespro: quantomeno uno per il canto fermo, uno (ben nutrito) per quello figurato, uno per la ‘Litania’ della Sonata, altri gruppi di pochi cantori per i mottetti. Questo dato, unitamente alle infinite variabili offerte dalle discipline legate alla prassi esecutiva, ci permette di formulare un bilancio di tutti i Vespri ascoltati fino a oggi: nessuno è (o mai sarà) uguale all’altro, ma nonostante questo saranno tutti veri e plausibili; e non parliamo semplicemente di interpretazione, bensì di ricomposizione liturgica, perché quello edito a stampa nel 1610 non è un Vespro verosimilmente conforme all’uso pratico, ma un iper-Vespro, un modello paradigmatico frutto di una conoscenza immensa, di una straordinaria immaginazione creativa. Il carattere più esaminato e contemplato dagli studiosi di questa raccolta è tuttavia offerto dalla perfetta compresenza di stile antico e stile moderno. Monteverdi, infatti, pare guardare continuamente sia avanti, sia indietro, tanto che a volte non è possibile sapere se stia adottando l’uno o l’altro atteggiamento. Inoltre, sembra guardare alle diverse tipologie di sonorizzazione che caratterizzano le maggiori lingue musicali del suo tempo, primo fra tutti quell’idioma veneziano che da lì a poco diventerà la sua nuova casa musicale. Una dimora ancora una volta 6 Giovanni Maria Artusi, L’Artusi, overo delle imperfettioni della moderna musica, Venezia, Vincenti 1600.

 Claudio Monteverdi

d’ambito esclusivo: la cappella privata del Doge, che Claudio dirigerà fino alla fine della sua vita, già da mezzo secolo aveva raggiunto una significativa espansione e quella disposizione di corpi sonori che la rendeva eccelsa in tutta Europa7. Solo da uno sguardo superficiale si potrebbe giudicare antica la Messa e moderno il Vespro: a pensarci bene si potrebbe affermare anche il contrario, già che la Messa è un perfetto esempio di ordinato esercizio polifonico posttridentino e il Vespro è pervaso di accenni alla tradizione più remota, alle leggi più imperturbabili del canto cristiano. Nelle studiate trame di questo monumento sonoro si affaccia, come ulteriore artificio narrativo, anche il silenzio. Monteverdi ne fa un uso funzionale e poeticamente diversificato: nella ricerca di particolari effetti di risonanza, nell’impiego quale figura retorica, come elemento del discorso ben distribuito nelle parti con il fine di far respirare ordinatamente ogni cantore coinvolto in questa festa. La prima raccolta di musica sacra di Monteverdi è dunque una musica che tende all’infinito, non solo in senso puramente spirituale, ma anche perché ci ha regalato e ci regalerà infinite possibilità di realizzazione.

7 David Bryant, Una cappella musicale di stato: la Basilica di San Marco, in La cappella musicale nell’italia della controriforma, a cura di Oscar Mischiati e Paolo Russo, Firenze, Olschki 1993, pp. 67-74.

CLAUDIO MONTEVERDI E IL SUO VESPRO | 9


Stile Musica dell’anima

Proseguiamo lungo il percorso della rubrica Musica dell’anima con una riflessione sulle melodie previste per i Celebranti. Ce ne parla Padre Matteo Ferraldeschi, Frate Minore, ha studiato Canto Gregoriano presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra in Roma, fondatore e docente dei Corsi estivi di Assisi e di Farfa, Vicario parrocchiale della Chiesa di San Gregorio VII in Roma, direttore del Coro Laudesi Umbri di Spoleto.

Il ruolo del celebrante e la partecipazione attiva di padre matteo ferraldeschi

 Padre Matteo Ferraldeschi

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Musica dell’anima

Tema importante e delicato quello dell’actuosa participatio, del quale tenterò di dire qualcosa non tanto e solo a livello di principi e di documenti, quanto a livello pratico ed esperienziale. Sono un sacerdote e quotidianamente celebro la Liturgia delle Ore e la Santa Messa. Sono anche addetto ai lavori in fatto di canto e musica per la liturgia: questo già sin da ragazzo e maggiormente ora, dopo aver studiato presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra in Roma. Sono anche viceparroco da un paio d’anni, e dunque come celebrante ho modo di trovarmi frequentemente e direttamente o di fronte e insieme al coro, o al popolo o ad entrambi. Se già negli anni della mia permanenza nella Basilica di Santa Maria degli Angeli in Assisi mi ero fatto un’idea del concetto di partecipazione attiva, nel nostro caso riferito al canto sacro, l’esperienza di questi anni immediatamente successivi all’ordinazione sacerdotale mi ha confermato che il ruolo del Coro e del cantore sono certamente importanti, ma direi che quello del sacerdote celebrante, se è in grado di cantare, è davvero determinante nel coinvolgere l’assemblea a prender parte attiva al canto nella Liturgia. Per dirla con un’immagine semplice e alla portata di tutti: il gregge va dove lo conduce il pastore. Anzitutto credo che vi sia ancora bisogno di sgomberare il campo o il concetto della actuosa participatio da un terribile equivoco, che inevitabilmente conduce a derive pericolose: quello che tutti debbano necessariamente fare qualcosa. L’actuosa participatio è anzitutto interna: occorre come prima cosa esserci fisicamente e al contempo avere quella disposizione o atteggiamento


 Padre Matteo Ferraldeschi mentre dirige il Coro Laudesi Umbri e la Corale Porziuncola

interiore per cui mente, cuore e sensi si conformano alle parole che si pronunziano o si ascoltano1 . Capita infatti, ad esempio, che gli zelanti di turno (del concetto di partecipazione attiva), rimproverino, e anche malamente, il Coro o il Cantore o lo stesso Celebrante perché nel giorno di Pasqua si è cantata la sequenza Victimae Paschali laudes escludendo (apparentemente) la massa e con l’ulteriore danno, a dir di costoro, che nessuno avrebbe capito nulla dell’antica e nobile Sequenza in lingua latina, nonostante l’aver fornito melodia e testo tradotto a fronte, e che dunque sarebbe stato assai più fruttuoso recitarla tutti insieme, in italiano. Si verifica poi che, interrogate le stesse persone circa il tema del Vangelo, o del Prefazio o delle preghiere eucologiche proclamate in lingua italiana alla medesima Messa, non ti sappiano balbettare alcunché, quando al termine delle medesime -e dunque senza granché comprendere- siano partite in automatico le risposte: Lode a te o Cristo, Santo santo santo…, Amen! La pia illusione della partecipazione attiva! È ovvio poi che questa dovrà necessariamente esternarsi e manifestare quella partecipazione che, partendo dall’interno, coinvolge i gesti e l’atteggiamento del corpo, e suscita le acclamazioni, le risposte e quindi il canto 2. L’esperienza personale cui sopra ho accennato e della quale vorrei trattare, incarna direi perfettamente quanto 1 Cf. Istruzione del «Consilium» 
e della Sacra Congregazione Dei Riti Musicam Sacram, del 5 marzo 1967, n. 15 a. 2 Cf. Ibidem, n. 15 b.

mirabilmente enuncia la già citata Istruzione Musicam Sacram ove si esplicitano i dettami del Concilio Vaticano II in materia, ed espressi nel capitolo VI della Costituzione Conciliare Sacrosanctum Conciulium. Forse pochi ancora sanno, e tra essi certamente numerosi confratelli nel sacerdozio, che in fatto di partecipazione attiva al canto si distinguono tre gradi, oserei dire con intensità crescente. I grado: i recitativi del Celebrante, (compresi: Sanctus e Pater noster); II grado: i canti dell’Ordinarium Missae (Kyrie, Gloria, Credo, Agnus Dei e Orazione dei fedeli); III grado: i canti del Proprium Missae (Ingresso, Offertorio, Comunione, Salmo interlezionale, Alleluia, canto delle letture). Essi vanno così ordinati: il primo può essere usato anche da solo; il secondo e il terzo, integralmente o parzialmente, solo insieme al primo. Tutto ciò onde condurre i fedeli alla partecipazione piena al canto3 . Credo che a questo punto debbano necessariamente cadere le barriere dagli occhi, e riconoscere che nella maggior parte dei casi si pensa e si opera esattamente per moto contrario, ossia cercando e curando l’actuosa participatio al canto sacro a partire da quello che è l’ultimo grado, per passare talvolta (ma raramente) per il secondo, senza peraltro quasi mai pensare al primo. Non ci pensano i direttori di coro, meno ancora ci pensano i preti che ne sono protagonisti, vuoi per non aver avuto 3 Cf. Ibidem, nn. 28-29. IL RUOLO DEL CELEBRANTE E LA PARTECIPAZIONE ATTIVA | 11


‘L’actuosa participatio è anzitutto interna: occorre come prima cosa esserci fisicamente e al contempo avere quella disposizione interiore per cui mente, cuore e sensi si conformano alle parole che si pronunziano o si ascoltano’

 Don Nicola Bux, autore di

Come andare a Messa e non perdere la Fede.

un’idonea formazione in Seminario4 , vuoi adducendo la scusa dell’essere stonati, e forse in gran parte - chiedo venia! - per pigrizia e per accorciare i tempi, salvo poi violentare da una parte il Coro o gli addetti al canto con il: ‘fate cantare il popolo’, oppure quest’ultimo: ‘Forza, coraggio, cantate’! E invece, da prete che canta e che vuole cantare non per ostentare alcunché, ma per dare, almeno talvolta, alla Parola Sacra e Liturgica la giusta collocazione a quel livello superiore rispetto al linguaggio comune parlato, che solo l’arte musicale riesce ad ottenere, sperimento così di continuo come la partecipazione al canto, specie assembleare, passi e si realizzi anzitutto nel canto delle parti che spettano al celebrante, nel I grado appunto. Sia che si celebri in lingua latina sia in lingua italiana, - parlo del Novus Ordo, ove mi sembra che gli interventi cantati del Celebrante siano in numero nettamente superiore al Vetus Ordo (pur essendo il sottoscritto un grande simpatizzante della Messa in rito romano antico), - è possibile, almeno nelle domeniche e nelle feste, solennizzare in tutto o almeno in qualche parte con i cosidetti recitativi del Celebrante. Le melodie sono contenute: per la lingua latina nel Missale Romanum, o nell’Ordo Cantus Missae edito da Solesmes, per la lingua Italiana in fondo al Messale Romano oppure in un volume a parte contenente le sole melodie 5. Si possono scegliere due o tre melodie: le due gregoriane di do o di re sia per il latino che per l’italiano, oppure, soltanto per l’Italiano, la nuova melodia. Personalmente preferisco le due melodie gregoriane per nobiltà, essenzialità, e per quel mirabile connubio testomelodia, che a onor del vero non sempre ottiene la melodia nuova. E anche per ciò che concerne le risposte del popolo: mentre esse sgorgano quasi spontanee dalle labbra dei fedeli nel primo caso, nel secondo risultano alquanto stentoree come se, nonostante il gregoriano sia stato bandito ormai da cinquant’anni da casa sua, il popolo lo avesse quasi insito nel DNA. È felicemente sorprendente rendersi conto di come, non appena io canti le parti che mi spettano, l’assemblea d’improvviso si svegli, tenda le orecchie e levi il capo e lo sguardo verso di me; non tanto verso di me ma verso l’altare o l’ambone: mi viene da dire dunque che il canto del celebrante è un canto che orienta: orienta la preghiera, orienta il cuore e i sentimenti, orienta i sensi, la vista, l’udito. Lo stupore si fa ancora più grande poi quando mi rendo conto che il mio canto provoca immediatamente la risposta dei fedeli, nelle acclamazioni, nei dialoghi… e questo molto di più - almeno nella mia esperienza- che non nella semplice proclamazione. Talvolta certamente molto dipende dalla composizione dell’assemblea, ma al presente non mi è mai capitato di dovermi rispondere da solo al canto dei recitativi, anzi, ripeto, nel caso del canto la risposta avviene più immediata oltre che, evidentemente, più sonora e quindi incisiva. Noto che magari alcuni del popolo possono non cantare qualche brano di repertorio pur popolare, ma quasi tutti invece si uniscono alle risposte al celebrante: anche gli stonati, anche all’ottava inferiore. ‘Fate cantare la gente’: il ritornello comune che ci tocca sentire a ogni pie’ sospinto! Ebbene se e quando io, sacerdote, canto le parti che dovrei cantare - il primo grado! -, il popolo ha la possibilità di intervenire: al segno della croce iniziale, al saluto, all’Amen delle preghiere di colletta, superoblata e postcommunio, alle acclamazioni al 4 Con dolore e con verità, bisogna ammettere che nei Seminari italiani l’insegnamento del canto gregoriano e corale è disatteso e visto come ambito ozioso quando non salottiero; nella migliore delle ipotesi le prove di canto vengono affidate alla più o meno buona volontà dei medesimi seminaristi, dai quali si pretende un’autoformazione senza alcuna formazione. 5 Melodie per il rito della messa e altri riti. Sussidio musicale per il canto dei ministri in dialogo con l’assemblea, a cura della Conferenza Episcopale Italiana, LEV, Roma, 1993.

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Musica dell’anima


Vangelo, ai saluti del Prefazio, al Sanctus, al Mistero della Fede, all’Amen della grande dossologia, al Pater noster, all’Embolismo, alla Benedizione e congedo. Noto anche che quando canto il Prefazio e l’Istituzione dell’Eucaristia nella Prece Eucaristica (talvolta canto la Prece per intero!) il popolo assume un atteggiamento più attento e devoto e cala più spontaneamente anche quel sacro silenzio tanto necessario al rito e tanto caro ai documenti Conciliari. Certamente non sempre si potrà o dovrà cantar la Messa per intero: in questo il Novus Ordo non da vincoli particolari. Si potrà dunque con criterio scegliere, a seconda del grado della festa, cosa cantare e cosa no. Talvolta ad esempio mi trovo a cantare le sole orazioni con il Prefazio, altre volte le orazioni e l’Istituzione dell’Eucaristia, altre volte la benedizione e il Pater assieme alle tre orazioni: in questo mi sembra di poter asserire che abbiamo una grande libertà. Di certo, quando decido di cantare qualcuna delle parti che mi spettano, non manca mai la grande dossologia Per ipsum / Per Cristo..: da qui infatti sgorga l’Amen più solenne e importante di tutta la Celebrazione. Se noi preti cantassimo tutto o in parte quanto è a noi proprio, credo che non avremmo più bisogno di tediare le nostre corali, organisti, maestri di coro, e nemmeno il nostro povero popolo: avremmo spontaneamente quella partecipazione esterna che -confessiamolo - andiamo a cercare laddove è meno spontanea da ottenere. Non sempre infatti possiamo chiedere a una qualsiasi assemblea di intervenire per intero nel primo e nel secondo grado: si tratterebbe davvero da una parte di violentare l’assemblea ma anche di snaturare e sminuire la Liturgia: come pretendere che l’assemblea possa cantare sempre e tutto il vasto repertorio dell’anno liturgico? Dovremmo forse appiattire e livellare il tutto più di quanto già questo non sia avvenuto? O forse il ruolo delle Corali può e deve essere meglio compreso alla luce dei documenti Magistrali? Sono forse degli alieni i membri della Corale o per caso essi stessi assemblea, una parte certamente specializzata dell’assemblea che può e deve compiere il suo ministero particolare? Forse lo stesso prete è sceso direttamente dal cielo o è uno scelto da Dio di tra il popolo, e dunque del popolo, per celebrare e dispensare i Sacramenti? Si chiedono forse all’assemblea i medesimi gesti e parole del sacerdote per poter dire che essa ha partecipato attivamente alla Celebrazione? «Tra i fedeli esercita un proprio ufficio liturgico la schola cantorum o coro, il cui compito è quello di eseguire a dovere le parti che le sono proprie, secondo i vari generi di canto, e promuovere la partecipazione attiva dei fedeli nel canto. Quello che si dice della schola cantorum, con gli opportuni adattamenti, vale anche per gli altri musicisti,

 Card. Robert Sarah, autore

di La forza del Silenzio.

specialmente per l’organista»6. Circa le parti che sono proprie alla Schola e all’Assemblea, (e anche al Celebrante), non mi dilungo oltre, ma consiglio vivamente una lettura attenta e sapienziale dei documenti citati: Musicam Sacram e Istruzione Generale del Messale Romano. Ma poi occorre passare ai fatti, come li ha pensati e codificati la Chiesa, attraverso i secoli e la tradizione. Di recente si è celebrato il cinquantesimo anniversario dell’Istruzione Musicam Sacram con un Congresso Internazionale. Non vi ho partecipato - lo confesso - per un certo spirito di reazione! Non metto in discussione la bontà e l’importanza dell’evento ma resto convinto che dopo ormai cinquant’anni di chiacchiere, per quanto studio e riflessione siano sempre importanti, sia il tempo di mostrare fatti concreti secondo il più genuino spirito conciliare ampiamente espresso nei documenti e negli Ordinamenti Generali ai libri liturgici. Da parte mia, felice per ciò che sperimento e desideroso che la mia esperienza diventi quella di molti, mi auguro che la Chiesa, nei suoi pastori, sia fedele ai suoi principi di curare la formazione dei sacerdoti al canto sacro; e che questi, assieme ai musicisti, ai maestri di Coro, ai Cantori altrettanto ben formati, sappiano armonizzare sempre meglio doni e carismi per la lode di Dio, il decoro della Liturgia e il servizio al popolo cristiano per aiutarlo ad esprimere sempre più quella actuosa participatio ai sacri misteri che si realizza anche nel prender parte al canto sacro. 6 Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 103. IL RUOLO DEL CELEBRANTE E LA PARTECIPAZIONE ATTIVA | 13


Repertorio Musica dell’anima

Presentiamo, a corredo della rubrica Musica dell’anima, le partiture gentilmente inviateci dal maestro Fulvio Rampi, di questa Messa composta per Schola, Assemblea e Organo. Come avevamo promesso nei numeri precedenti, iniziamo a parlare anche dell’Ordinarium Missae.

Ordinario per Schola, Assemblea e Organo di Fulvio Rampi

 Fulvio Rampi e i Cantori Gregoriani

Fulvio Rampi, diplomato in organo e composizione organistica con Luigi Molfino, ha conseguito il Magistero ed il Dottorato in Canto Gregoriano presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra sotto la guida di Luigi Agustoni. Successore dello stesso Agustoni alla cattedra di Canto Gregoriano presso il medesimo Pontificio Istituto, ha al suo attivo numerose pubblicazioni. Nel 1985 ha fondato i Cantori Gregoriani, un ensemble professionistico a voci virili, del quale è direttore stabile. Con tale gruppo svolge

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REPERTORIO

una intensa attività discografica, didattica e concertistica in Italia e all’estero. Dal 1998 al 2010 è stato direttore della Cappella Musicale della Cattedrale di Cremona. Nel 2010 ha costituito il Coro Sicardo di Cremona, un ensemble polifonico col quale svolge regolare servizio liturgico nella chiesa di S. Abbondio in Cremona, dove è anche organista titolare. Attualmente è titolare della cattedra di Prepolifonia al Conservatorio di Musica G. Verdi di Torino.


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Analisi

Bruno Bettinelli non ha bisogno di presentazioni. La sua lunga e grande carriera artistica e professionale ha accompagnato e ha attraversato tre quarti del Novecento e la sua musica ha sempre trasmesso e conservato una non comune originalità e riconoscibilità. Possiamo anche affermare che la sua musica corale ha senza ombra di dubbio contribuito a dare al nostro movimento corale un alto risvolto artistico.

Bruno Bettinelli, compositore del profondo e dell’esistenziale, che credeva nell’Uomo A colloquio con Silvia Bianchera Bettinelli, moglie del Maestro

DI FRANCESCO BARBUTO

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Analisi

Siamo a colloquio con Silvia Bianchera Bettinelli, moglie del Maestro scomparso nel 2004, anch’ella musicista, cantante e compositrice, oltre ad essere stata docente al Conservatorio ‘G. Verdi’ di Milano e all’Istituto Musicale ‘G. Donizetti’ di Bergamo, con cui cercheremo di scoprire insieme alcuni aspetti peculiari e importanti della poetica musicale e artistica del Maestro.  Francesco Barbuto: Voglio ringraziarti, intanto, Silvia per aver accettato questo nostro incontro e colloquio dedicato al maestro Bettinelli, e non ti nascondiamo anche di voler scoprire alcune curiosità e aneddoti di come lui lavorava e si poneva nei confronti della musica e anche del nostro mondo corale. Si dice da parte di molti, e le sue composizioni ritengo lo confermino palesemente, che lui fosse un esponente della modernità, con una grande attenzione e riguardo anche alla musica antica – musica ‘passata’, come lui stesso amava definirla – in particolare quella vocale. Quali furono le ragioni che lo spinsero in questa direzione artistica? Possiamo dire che Bettinelli abbia mantenuto una strada propria da questo punto di vista. Come si poneva nei confronti della musica d’avanguardia, in particolare quella in fermento del secondo Novecento?


Silvia Bianchera Bettinelli: Secondo Bruno noi siamo anelli di una catena passata, presente e futura, non possiamo ignorare gli ‘anelli’ che ci hanno preceduto: Dallapiccola, Pizzetti, Berg, Schönberg, Stravinskij, Brahms, Beethoven, Mozart e così via verso il Gregoriano. ...Non possiamo ignorarli perché siamo loro figli, così come noi siamo ‘genitori’ di coloro che ci seguiranno. Per quel che riguarda la musica d’avanguardia, essa è sempre esistita, basta leggere le cronache di ogni epoca (Berlioz, Wagner Debussy, Stravinskij, ecc), ma nessun grande musicista innovatore ha mai spezzato l’anello della catena del passato, semmai l’ha rinnovata, l’ha arricchita.  F.B. Posso immaginare quanto abbiate parlato insieme di musica e quanto vi siate confrontati su tanti aspetti artistici. In che cosa, secondo te, possiamo considerare ‘moderna’ la musica di Bettinelli? E quanto ha inciso tutta la sua esperienza didattica e d’insegnamento nella sua dedizione artistica compositiva? S.B.B. L’esperienza didattica, così importante per noi studenti della sua classe, non penso abbia influito sulla sua arte compositiva, semmai il dialogare con noi, che appartenevamo ad altre generazioni, lo invitava a... osare di più. F.B. Si è sempre distinta una riconoscibile personalità nella musica (certamente anche quella corale) di Bettinelli. Quali sono i segni distintivi nel suo modo di comporre, per affermare questo? S.B.B. Bruno, aveva certamente trovato una sua chiara personalità compositiva – dopo essere stato anche lui ‘figlio di Ravel e Berg nei lavori giovanili...’– che lo rendevano e lo rendono senz’altro, facilmente riconoscibile. L’utilizzo della politonalità, del totale cromatico, dello sviluppo delle microcellule melodiche, la concitazione ritmica, il contrappunto sempre sotteso, sono le cifre del suo comporre, così assolutamente unico.

 Bettinelli con Riccardo Muti e Riccardo Malipiero

presso Gli amici della Scala, fine anni ‘70

F.B. Ho letto e mi ha colpito molto in una presentazione di un concerto del 2013 in omaggio al maestro per il centenario della  Bettinelli con Nino Sanzogno durante le prove di ‘Cont down’ alla Piccola Scala foto di Lelli Masotti sua nascita, tenutosi alla Scuole Civiche di Milano, il riferimento a un profondo ‘umanesimo’ di Bettinelli, sia per la sua consapevole e rispettosa memoria di un passato sia per la sua esperienza didattica. Cosa ne pensi di questa affermazione? S.B.B. Nel 2013, con il FESTIVAL 5 GIORNATE ci fu una serie ciclopica di manifestazioni dedicate a Bruno cui parteciparono centinaia di artisti, tra cui “tre” cori! A conclusione di questa magnifica maratona, il Museo del 900 di Piazza Duomo a Milano, ospitò una tavola rotonda, cui parteciparono molti artisti, giornalisti, ex allievi. Farò il nome solo di tre personalità che BRUNO BETTINELLI | 23


intervennero quel giorno: Quirino Principe, Marcello Abbado, Giorgio Gaslini e l’Assessore alla Cultura del Comune di Milano che mi fece omaggio di una pergamena a ricordo delle manifestazioni. Si parlò senz’altro di ‘umanesimo’, perché Bruno credeva profondamente nell’Uomo, nelle sue potenzialità positive, malgrado tutte le brutture di cui l’uomo sa essere capace, purtroppo. Questa sua positività intellettuale è chiaramente presente in tutta la sua musica, anche nella più drammatica. F.B. Sappiamo che insegnò composizione per molti anni al Conservatorio ‘G. Verdi’ di Milano, formando, tra l’altro, grandi musicisti italiani del secondo Novecento, come Claudio Abbado, Bruno Canino, Aldo Ceccato, Riccardo Chally, Riccardo Muti, Maurizio Pollini, Uto Ughi, per citarne alcuni. Anche tu stessa sei stata sua allieva. Com’era il suo rapporto con gli allievi? Qual è il tuo ricordo di come si poneva e di che cosa solitamente amava dire a loro? Ci racconti anche un aneddoto che ami sempre ricordare di lui nel suo insegnamento con i suoi allievi di Conservatorio? S.B.B. Ciò che stupiva tutti noi studenti era la capacità di lettura immediata che aveva Bruno delle nostre partiture, anche quelle per grande orchestra, che erano ovviamente manoscritte. Non solo, ma quando correggeva, sapeva sempre rispettare la ‘personalità’ dell’allievo, praticamente riusciva a calarsi nella volontà compositiva di ciascuno di noi e a suggerirci come procedere nel lavoro, che era magari solamente abbozzato. Le frasi che diceva più spesso: «Studiate, ascoltate tutta la musica, non perdete tempo, studiate le lingue straniere, andate a teatro, andate ai concerti, fate qualsiasi cosa sia legata all’arte, alla cultura, alla musica: i volta pagine, i rumoristi in teatro, i suggeritori, e soprattutto ricordate che non basta ‘comporre’, bisogna saper anche ‘eseguire’: dovete sapere cosa si prova in palcoscenico davanti al pubblico che giudica! Non dico che dobbiate diventare come Britten e Bernstein che sono grandi pianisti, grandi direttori, grandi Compositori, ma insomma... provateci!». Come certo sai, caro Francesco, Bruno è stato anche pianista e direttore, ci sono video RAI che provano quanto fosse speciale anche in quello! Un giorno ci fece ridere con questa frase: ‘Per comporre servono carta da musica, gomma per cancellare e forse... forse, anche la matita!’ F.B. Un’affermazione che spesso si fa nei confronti di Bettinelli è considerare la sua musica di carattere profondo ed esistenziale, in particolare quella corale. Questo lascia intendere un rapporto con la musica non soltanto tecnicamente e artisticamente fine a se stesso, ma un rapporto con l’Uomo e con tutti i suoi aspetti più profondi. Tu hai avuto modo di vivere direttamente a contatto con lui. Com’era solito prepararsi e cosa faceva per approfondire, prima di scrivere le sue composizioni? S.B.B. Credo che qualsiasi Artista degno di questo nome si comporti come dici tu. Tutto ciò che lo circonda e lo avvolge: la società, la vita politica, la sua anima di essere pensante, la profondità della sua coscienza, contribuiscono alla realizzazione di ogni forma creativa e per il Compositore, ovviamente, è la stessa cosa. Per quel che riguardava il suo modus operandi, mi accorgevo quando aveva in cantiere qualcosa di nuovo perché Bruno diventava improvvisamente silenzioso, parlava pochissimo, lo stretto indispensabile. Io ovviamente non gli chiedevo nulla per non distrarlo. Vedevo che prendeva qualche appunto e poi, finalmente il nuovo lavoro si avviava. Ma in realtà il brano era già programmato nella sua interezza! F.B. Guardando e analizzando le sue partiture, nella musica di Bettinelli c’è sempre un’alternanza di momenti di stasi, misteriosi, sognanti con momenti più tensivi e aggressivi, se pur sempre attentamente raffinati. Si riscontrano tantissimo gli elementi del silenzio e dell’attesa tra un evento sonoro e l’altro. Cosa lo spingeva a fare tutto questo?

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Analisi

‘L’utilizzo della politonalità, del totale cromatico, dello sviluppo delle microcellule melodiche, la concitazione ritmica, il contrappunto sempre sotteso, sono le cifre del suo comporre, così assolutamente unico’


S.B.B. Bruno temeva soprattutto ‘la noia’ in musica. Le varietà dei timbri, dell’agogica, degli impasti strumentali, delle stasi e delle tensioni erano una sua autentica necessità di espressione. «Ascoltate Beethoven, Brahms», diceva, «Loro vi inchiodano alla sedia fino all’ultimo accordo, senza mai stancarvi. Ascoltate il teatro di Puccini, anche lui sa bene come prendervi per la collottola, non si conosce noia con lui! Ascoltate come prepara le scene, sempre nuove, sempre diverse, ma sempre consequenziali a cellule musicali presentate all’inizio dell’opera, senza che ve ne siate accorti!» F.B. Che cosa lo affascinava nello scrivere musica per coro? Le sue composizioni corali, sia sacre sia profane, non sono sempre di facile studio ed esecuzione da parte dei nostri cori italiani. La sua musica è sempre di alto profilo artistico. Richiede moltissima attenzione e competenza artistica, timbrica e vocale e allo stesso tempo anche tanta partecipazione espressiva, affettiva ed emotiva. Che rapporto aveva Bettinelli coi cori e col nostro movimento corale italiano? S.B.B. La musica per Coro e il Coro stesso erano una sua passione costante. Ho trovato tra i suoi lavori di scuola molte esercitazioni: nello stile del Madrigale, nello stile della Canzona, nello stile del Mottetto, ecc, ecc. E poi non va dimenticato che Bruno era un alpino! E si sa il

Canto Corale e l’Arma degli Alpini vanno a braccetto! Era sempre felice di scrivere per Coro, sentiva profondamente l’aggregazione delle voci e il formarsi quasi miracoloso di un’anima musicalmente nuova, unica, speciale, quasi magica. Bruno era sempre in contatto con molti amici Direttori di Coro, ai quali dava sempre copia dei suoi lavori ancor prima che venissero stampati. Recentemente sono stati editi i madrigali che Bruno scrisse pochi mesi prima di venire a mancare. Si divertiva ad armonizzare le melodie popolari, o della tradizione alpina su richiesta del Coro della S.A.T. di Trento (era grande amico di Silvio Pedrotti) e A.N.A. di Milano. F.B. Posso chiederti se sai a quale composizione corale lui era più affezionato e per quali ragioni? S.B.B. Era molto affezionato alle sue due Cantate per Coro e Orchestra: ‘Sono una creatura’ su poesie di Ungaretti e ‘La terza cantata’ su un sonetto di Tommaso Campanella. Diceva che di fronte alla grandezza di questi due sommi poeti solo il Coro con i suoi infiniti mezzi espressivi, e non le voci solistiche, avrebbe potuto esaltare con completezza, la profondità dei significati ora lirici ora drammatici, di quei nobilissimi versi poetici. Ma anche il ‘Dittico ambrosiano’, La ‘Missa Brevis’ e legiovanili ‘Tre espressioni madrigalistiche’ erano tra i lavori che ricordava con tenerezza e che sentiva ‘ben riuscite’. BRUNO BETTINELLI | 25


F.B. Nel ringraziarti molto Silvia, per averci dedicato la tua disponibilità e le tue risposte sull’amatissimo maestro Bettinelli, ti chiedo se puoi lasciarci un ricordo di lui a conclusione di questo nostro colloquio. S.B.B. Ti racconto un episodio che testimonia l’incredibile conoscenza che Bruno aveva della musica di tutti i tempi. Si era nel 1968, stavo preparando l’esame dell’ottavo anno di Pianoforte e il settimo di Composizione. Dopo una quindicina di giorni avrei iniziato la prima prova scritta di Composizione. Quel giorno portai a Bruno una Romanza senza Parole per pianoforte, che come sai, corrispondeva alla terza prova scritta, dopo la Fuga e il Doppio Coro. Bruno mi aveva dato un bel tema, vagamente ‘pizzettiano’, che mi piaceva moltissimo. Sapevo di aver fatto un buono sviluppo dell’idea principale e ne ero soddisfatta. Ma, prima della chiusa avevo inserito, perché ci stavano a meraviglia, tre accordi che avevo copiato dal finale della Fanciulla del west di Puccini e precisamente gli accordi che accompagnano Minnie mentre canta: ‘Le prime incerte lettere’. Bruno legge tutto il mio lavoro, fa solo qualche piccola variazione qua e là, e, finalmente arrivato ai tre fatidici accordi li suona e si ferma, li risuona e si ferma... Attimi di panico da parte mia! Poi china la testa verso la tastiera e dice: «Caro Maestro Puccini che piacere averla nella mia classe!» Io sarei voluta scomparire all’istante, ma poi gli dico sorridendo: «Vero Maestro che funzionano questi tre accordi della Fanciulla del West?» Lui mi disse: «Si, funzionano, lasciali pure. Però, senti Bianchera, per la prossima lezione non portarmi La Traviata!» Il tutto seguito da una simpatica risata. Che dire? Impressionante conoscenza del repertorio musicale e grande senso dello humor! Ringraziamo Silvia Bianchera Bettinelli per averci trasmesso e concesso tutte le foto, delle quali molte inedite.

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Analisi


Analisi

Le opere corali rappresentarono e testimoniarono, fin dagli esordi, un’importante occasione artistica per Bruno Bettinelli nei confronti della pratica compositiva e della sua attenzione all’incontro tra la musica e la poesia. Le composizioni per coro, assumono per Bettinelli due aspetti fondamentali, che possiamo con grande attenzione riconoscergli: per primo il ruolo che il canto corale ha come più pura espressione musicale concessa all’Uomo. Per lui, la musica corale, costituisce una profonda manifestazione della volontà di comunicare e di esprimersi. In secondo luogo la sua produzione per coro, lo accompagna in un cammino evolutivo sempre ‘intimo e pudico’. Un percorso del profondo, dedicato alla continua ricerca di un’introspezione stilistica ed emotiva, resa possibile solo attraverso la sintesi dei mezzi espressivi che il coro ha.

Bruno Bettinelli e il canto corale come più pura espressione musicale concessa all’Uomo Già mi trovai di maggio, dalle “Tre espressioni Madrigalistiche” per coro misto a cappella DI FRANCESCO BARBUTO

Bettinelli sceglie, per questa composizione che abbiamo preso in esame, il testo di Matteo Maria Boiardo ‘Già mi trovai di maggio’, tratto dall’Orlando innamorato del 1495. Compose questo brano insieme alle altre due liriche: ‘O Jesu dolce’ di Leonardo Giustinian del XIV secolo e ‘Il bianco e dolce cigno’ di Laura Giudiccioni del XVI secolo nelle sue ‘Tre Espressioni Madrigalistiche’, scritte per coro misto a cappella nel 1939, quando era giovanissimo poco più che vent’enne, e pubblicate dall’Edizione Zanibon di Padova. La scelta del testo è perfettamente in sintonia con l’esigenza di trarre ispirazione musicale da una fonte testuale antica, come è solito (insieme a poesie di autori a lui contemporanei) dello stile del compositore.

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I tre brani riprendono le antiche forme della Canzonetta, della Lauda e del Madrigale, che fanno sì che il nostro compositore si dedichi, attraverso un idioma musicale pieno di arcaismi e di espressività aulica e sognante, oltre che a un linguaggio rielaborato in forma moderna, pur rimanendo in ambito tonale, a un contrappunto pieno di freschezza e di personalità. L’Orlando innamorato narra delle vicende francesi all’interno della corte di Ferrara tra il XIV e il XV secolo. Sul piano stilistico e contenutistico, Boiardo mescola e rielabora fonti ed elementi narrativi del ciclo bretone e carolingio, oltre a inserire molteplici possibilità narrative, principalmente dedicate alle avventure e ai rapporti d’amore, che consentono al lettore di essere attratto e catapultato direttamente nello stato emotivo ed affettivo dei racconti poetici. Dal punto di vista narrativo, sempre all’interno di ambienti cortigiani, i generi utilizzati dall’autore sono: novelle, dedicate a personaggi, favole e fiabe, dedicate a episodi con maghi e situazioni misteriose, liriche, dedicate alle relazioni d’amore. È su questa parte – particolarmente adatta ad essere musicata – che Bettinelli si concentra ed estrapola  Ritratto di Bettinelli disegnato dal papà Mario il canto XIX (Stanza 1) del II libro, il ‘Già mi trovai di maggio’. Il testo poetico di questo canto, in endecasillabi, è suddiviso in otto versi in rima alternata per i primi i primi sei e baciata per gli ultimi due: Già mi trovai di maggio una mattina entro un bel prato, adorno d’ogni fiore. Sopra ad un colle a lato alla marina, che tutto tremolava di splendore. E tra le rose d’una verde spina una donzella cantava d’amore. Movendo sì soave la sua bocca, che tal dolcezza nel cor mi tocca. Bettinelli, attraverso una rete e una relazione polifonica e omoritmica delle sezioni vocali del coro, suddivide il suo intervento compositivo in otto frasi musicali: 1. Già mi trovai di maggio una mattina (a doppio semicoro) 2. entro un bel prato, adorno d’ogni fiore. (in omoritmia) 3. Sopra ad un colle a lato alla marina, (a doppio semicoro e in omoritmia) 4. che tutto tremolava di splendore. (in omoritmia, attraverso madrigalismi) 5. E tra le rose d’una verde spina  una donzella (in polifonia e omoritmia con gioco di parole diverse tra le sezioni, che creano una particolare situazione espressiva) 6. cantava d’amore. (in omoritmia col raggiungimento del culmine del brano) 7. Movendo sì soave la sua bocca, (in omoritmia, attraverso madrigalismi) 8. che tal dolcezza nel cor mi tocca. (in melodia accompagnata e polifonia con finale su pedale dei Bassi e Soprani)

Già da questa prima analisi sulle attenzioni testuali e scelte delle tecniche compositive, riscontriamo la ricchezza e la varietà dell’idea musicale che Bettinelli mette a disposizione su un brano così relativamente ‘breve’, che non raggiunge nemmeno i due minuti di esecuzione complessiva. Entrando nel vivo del brano scelto, all’inizio (battute 1-8) come dicevamo, riscontriamo la scelta di esporre la prima frase musicale in doppio semicoro: Tenori e Bassi in dialogo coi Soprani e Contralti. Questa scelta riteniamo essere di carattere dialogico. Sono presentati i due personaggi, i due amanti: lui (che osserva

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Analisi


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Analisi


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II 7 II 7 (Battute anacrusico di 24-30) (Battute anacrusico di 24-30)

V V di Mi minore di Mi minore

Interessante notiamo anche come sulla successiva parola “splendore”, culmine di questa frase Interessante notiamo anche comee sulla successiva parola “splendore”, culmine di del questa frase musicale, Bettinelli scelga di aprire ampliare il coro in omoritmia sull’armonia dolce II grado musicale, Bettinelli scelga di aprire e ampliare il coro in omoritmia sull’armonia dolce del II grado (accordo di La minore settima), in un certo senso “antiretorico”, rispetto a quello che si poteva Interessante notiamo come sulla successiva parola ‘splendore’, culmine di per questa (accordo di qualunque Laanche minore settima), in un certo senso “antiretorico”, rispetto a quello che si poteva ottenere con altro accordo della scala di Sol Maggiore, poi concludere questa frase frase musicale, Bettinelli scelga di aprire e ampliare il coro in omoritmia sull’armonia dolce ottenere con qualunque altro accordo della scala di Sol Maggiore, per poi concludere questa col V grado di Mi minore, volto a “tonicizzare” il VI grado. All’ascolto, sposta per un momentofrase la del nostra IIcol grado (accordo La minore settima), in un certo senso ‘antiretorico’, rispetto a Vattenzione grado di di Mi minore, volto a “tonicizzare” il VI grado. All’ascolto, sposta per un momento sul tono relativo di Sol Maggiore, creando una variazione dell’ambito armonico sula nostra attenzione tono dialtro Sol Maggiore, creando variazione dell’ambito armonico su quello che si poteva ottenere con relativo qualunque accordo della scala diuna Sol Maggiore, cui sta procedendo sul il brano. cuiconcludere sta procedendo il brano. per poi questa frase col V grado di Mi minore, volto a ‘tonicizzare’ il VI grado. All’ascolto, sposta per un momento la nostra attenzione sul tono relativo di Sol Maggiore, creando una variazione dell’ambito armonico su cui sta procedendo il brano. L’inizio della quinta successiva, con gli attacchi su tutte e quattro le L’inizio della frase quinta frase successiva, conpolifonici gli attacchi polifonici suvoci, tutte e quattro le voci, ben L’inizio della quinta frase successiva, con gli attacchi polifonici su tutte e quattro le voci, ben bentrasmettono trasmettono l’immagine di molteplici fiori sulle parole ‘e tra le rose’. l’immagine di molteplici fiori sulle parole “e tra le rose”. trasmettono l’immagine di molteplici fiori sulle parole “e tra le rose”. Sulle battute 36-38,36-38, Bettinelli ricorre a ricorre un artificio davvero interessante. tra le Mescola tra le voci le Sulle battute Bettinelli a un artificio davveroMescola interessante. Sulle battute 36-38, Bettinelli a un artificio davvero interessante. tra Inserisce le voci le “donzella” Soprani ericorre Contralti), “spina” (ai (aiTenori) e “rose” Mescola (ai Bassi). vociparole le parole ‘donzella’ (ai(ai Soprani e Contralti), ‘spina’ (ai Tenori) e ‘rose’ Bassi). Inserisce parole un’armonia “donzella” (ai Soprani Contralti), “spina” Tenori) e “rose” (aiprimo Bassi).rivolto Inserisce volutamente un’armonia a37 battuta 37 molto che definiamo come di volutamente a battuta moltoeparticolare, cheparticolare, definiamo(ai come primo rivolto volutamente un’armonia a battuta 37 molto particolare, che definiamo come primo rivolto di Settima diminuita del II innalzato, che con le alterazioni Do# e Mib ben identifica il contenuto di Settima diminuita del II innalzato, che con le alterazioni Do# e Mib ben identifica il Settima delche IIche innalzato, che conparticolare le alterazioni Do# eaccordo. Mib ben identifica contenuto creativo e diminuita l’immagine trasmette dissonante accordo. Provando,ilinfatti, ad contenuto creativo e l’immagine trasmettequesto questo particolare eedissonante creativo e l’immagine che trasmette questo particolare e dissonante accordo. Provando, infatti,laad ascoltare e a immaginare l’insieme di queste tre parole chiave, comprenderemo sicuramente Provando, infatti, ad ascoltare e a immaginare l’insieme di queste tre parole chiave, ascoltare e a immaginare l’insieme di queste tre parole chiave, comprenderemo sicuramente la scelta del compositore. comprenderemo sicuramente la scelta del compositore.

scelta del compositore.

II# 3/6 II# 3/6 (Battute 36-38) (Battute 36-38)

BRUNO BETTINELLI | 31


Nella sesta frase successiva, raggiungiamo il ‘culmine’ del brano sulla parola ‘cantava’. L’intento è chiaro. Tutta l’attenzione rivolta al testo e alla scelta musicale è su di lei: Nella sesta frase successiva, raggiungiamo il “culmine” del brano sulla parola “cantava”. L’intento la ‘donzella!’ ... E se vogliamo, è anche perfettamente in sintonia col compito del coro: è Nella chiaro.sesta Tutta l’attenzione rivolta al testo e ilalla scelta musicale è su di lei: la “donzella!” … E se frase successiva, raggiungiamo “culmine” del brano sulla parola “cantava”. L’intento ‘cantare!’. vogliamo, è anche perfettamente in sintonia col compito del coro: “cantare!”. è chiaro. Tutta l’attenzione rivolta al basato testo esuialla scelta musicale è su 39-42): di lei: la “donzella!” … E se Bettinelli, dopo un procedimento armonico rivolti (battute anacrusico Bettinelli, dopo un, risolve procedimento basato suipuro rivolti (battute 39-42): VI2/4, 2/4 3/6/7 vogliamo, è, IV anche perfettamente inarmonico sintonia sul col delecoro: “cantare!”. VI , VII2/4, I4/6 (in f e più largamente) IVcompito grado, semplice! Dàanacrusico una 2/4, I4/6veramente 2/4, VII ,dopo IV3/6/7 ,procedimento risolve (in f armonico e più largamente) IV grado, e semplice! DàVI una Bettinelli, un chiara basato suisul rivolti (battutepuro anacrusico 39-42): connotazione e distensiva.

connotazione distensiva. VII2/4, I4/6veramente , IV3/6/7, chiara risolvee (in f e più largamente) sul IV grado, puro e semplice! Dà una Culmine del brano connotazione veramente chiara e distensiva. Culmine del brano

VI 2/4 VII 2/4VI 2/4 VI 2/4 VII 2/4VI 2/4

I 4/6 I 4/6

IV 3/6/7I 4/6 I IV 3/6/7I 4/6 I

IV IV

(Battute anacrusico 39-49) (Battute anacrusico 39-49)

I IV successiva (battute anacrusico 50-55), Bettinelli ricorre ancora all’utilizzo degli Nella settima frase Nella settima frase successiva anacrusico 50-55), Bettinelli ricorre ancora intervalli di quarta, ma questa(battute volta armonicamente. I IV Nella settima frase successiva (battute anacrusico 50-55), Bettinelli ricorre ancora all’utilizzo degli all’utilizzo degli intervalli di quarta, ma questa volta Ponendo il coro in successione di quarte tra iarmonicamente. Bassi e Tenori e i Contralti e i Soprani, con l’artificio intervalli di quarta, ma questa volta armonicamente. Ponendo il coro ancora in successione di “madrigalismo”, quarte tra i Bassi einTenori i caso Contralti e i Soprani, che possiamo definire questo in parole Ponendo il coro in successione di quarte tra i Bassi e eTenori eondulatorio i Contralti e i sintonia Soprani,con conlel’artificio con l’artificio che possiamo ancora definire ‘madrigalismo’, in questo caso ondulatorio in “movendo sì soave”, l’effetto suggestivo. che possiamo ancora definireè davvero “madrigalismo”, in questo caso ondulatorio in sintonia con le parole

sintonia con lesì parole ‘movendo sì soave’, l’effetto è davvero suggestivo. “movendo soave”, l’effetto è davvero suggestivo.

(Battute anacrusico 50-55) (Battute anacrusico 50-55)

Nell’ultima frase (da battuta 60 a battuta 63), Bettinelli riprende lo stesso e identico accordo usato a battuta 37. Nella compositore scrive airiprende Tenori La#, ma inserisce anche in piccolo Nell’ultima frasefrase (da precedente battuta 60 ailbattuta 63), Bettinelli lo stesso e identico accordo usato a trabattuta parentesi (Sib) e nella seconda frase SIb. L’effetto armonico è identico. Lo sentiamo anche 37. Nella frase precedente il compositore scrive ai Tenori La#, ma inserisce anchegià in piccolo

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Analisi

tra parentesi (Sib) e nella seconda frase SIb. L’effetto armonico è identico. Lo sentiamo già anche


Nell’ultima (da frase battutaa 60 a battuta Bettinelli riprende lo stesso e identico usato a battuta 37. Nella all’iniziofrase della battuta 55,63),modificato solo sul La diesis conaccordo La bequadro. L’ispirazione armonica sembra essere tratta dalle due La#, parole simili onomatopeicamente nelle due “donzella frase precedente il compositore scrive ai Tenori ma inserisce anche in piccolo tra parentesi (Sib)frasi: e nella seconda e dolcezza”. all’inizio della fraseè aidentico. battutaLo55, modificato solo La diesis con aLa bequadro. L’ispirazione frase SIb. L’effetto armonico sentiamo già anche I IVsul all’inizio della frase battuta 55, modificato solo sembra essere tratta dalle due parole onomatopeicamente nelle due frasi: “donzella sul Laarmonica diesis con La bequadro. L’ispirazione armonica sembra simili essere tratta dalle due parole simili onomatopeicamente dolcezza”. nelle edue frasi: ‘donzella e dolcezza’.

(Battuta 37)

(Battute 60-63)

L’assetto polifonico che segue, scelto in queste battute evocare un gioco (Battuta 37) dal compositore, sembra(Battute 60-63) delle parti tra i due personaggi… prima dell’abbandono all’effetto/affetto finale. All’inizio (battute 56-60), sottopolifonico forma di che una sorta melodia accompagnata, notiamo la partenza delle voci dei L’assetto segue, scelto dal compositore, sembra in evocare queste battute untra gioco L’assetto polifonico che segue, scelto dal di compositore, sembra in queste battute un giocoevocare delle parti i delle parti tra ie due personaggi… prima dell’abbandono all’effetto/affetto All’inizio (battute Contralti, Tenori Bassi a quali rispondono i Soprani. battute successive, i Soprani due personaggi... prima dell’abbandono all’effetto/affetto finale.Nelle All’inizio (battute 56-60), finale. sotto forma dirilanciano una sorta 56-60), sotto forma di rispondono unala partenza sorta dii delle melodia accompagnata, larispondono partenza delle voci edei parole “nel cor”, a quali Bassi, e poi ancora Soprani, ai quali i Tenori, dilemelodia accompagnata, notiamo voci dei Contralti, Tenorinotiamo e Bassi a quali rispondono i Soprani. infine, come ultima insieme ai Tenori sulle parole “mi tocca”. Contralti, Tenori entrata, ei Bassi quali rispondono i Soprani. Nelle battute successive, Soprani rilanciano Nelle battute successive, SopraniiaContralti rilanciano le parole ‘nel cor’, a quali rispondono i Bassi, e poiiancora Soprani, ai le parole “nel cor”, a quali rispondono i Bassi, e poi ancora Soprani, ai quali rispondono i quali rispondono i Tenori, e infine, come ultima entrata, i Contralti insieme ai Tenori sulle parole ‘mi tocca’. La Tenori, scelta e comeultime ultima entrata, i Contralti insieme ai Tenori sulle parole “mi al tocca”. La infine, scelta delle notazionale delle ultime cinqueall’ascolto battute,un evoca un vero e contenuto proprio abbandono al notazionale cinque battute, evoca vero eall’ascolto proprio abbandono espressivo di contenuto espressivo di queste ultime parole poetiche. queste ultime parole poetiche. Il pedale lungo dei Bassi sulla tonica di Sol, il pedale superiore dei Soprani, col salto Il pedale lungo dei Bassidelle sulla ultime tonica cinque di Sol, battute, il pedaleevoca superiore dei Soprani, cole salto d’ottava sulla al La scelta notazionale all’ascolto un vero proprio abbandono d’ottava sulla suono di Re (effetto/affetto di richiamo lirico teatrale), le due voci parallele dei Contralti e Tenori che suono di Re (effetto/affetto di richiamo contenuto espressivo di queste ultime lirico paroleteatrale), poetiche.le due voci parallele dei Contralti e Tenori si muovono per seste, ben trasmettono questo intento espressivo voluto dal compositore. lungo Bassi sulla tonica di questo Sol, il intento pedale superiore Soprani, col salto d’ottava sulla cheIlsipedale muovono perdei seste, ben trasmettono espressivodei voluto dal compositore. Come anche la scelta armonica, sulla cadenza plagale delle ultime tre battute sulla parola ‘tocca’ (il Re dei Soprani suono di Re (effetto/affetto richiamo lirico teatrale), due voci parallele deiparola Contralti e Tenori Come anche la scelta armonica,disulla cadenza plagale delle le ultime tre battute sulla “tocca” (il possiamo considerarlo come nota anticipata dell’accordo di Sol Maggiore), trasmette un effetto simile all’Amen Re che deisi Soprani come notaintento anticipata dell’accordo Sol Maggiore), muovonopossiamo per seste, considerarlo ben trasmettono questo espressivo voluto daldicompositore. distensivo e conclusivo che possiamo trovare in moltissimi brani di musica sacra. trasmette un effetto simile all’Amen distensivo e conclusivo che possiamo trovare in moltissimi Come anche la scelta armonica, sulla cadenza plagale delle ultime tre battute sulla parola “tocca” (il Redidei Soprani brani musica sacra.possiamo considerarlo come nota anticipata dell’accordo di Sol Maggiore), trasmette un effetto simile all’Amen distensivo e conclusivo che possiamo trovare in moltissimi Salto d’ottava: Effetto/Affetto brani di musica sacra. Salto d’ottava: Effetto/Affetto

IV

I

IV

(Battute anacrusico 64-68) IV I (Battute anacrusico 64-68)

I IV

I BRUNO BETTINELLI | 33


Suggerimenti per l’esecuzione All’inizio della partitura ci si pone di fronte alla scelta di come ‘staccare’ il tempo dell’esecuzione. Bettinelli scrive Allegretto (160 al quarto) e aggiunge quasi in uno, nonostante la composizione sia scritta in 3/4. Vista la velocità richiesta e la scorrevolezza, che si comprende anche dalla lettura della scrittura contrappuntistica del brano, staccare il brano in tre movimenti, risulterebbe sicuramente più meccanico e macchinoso. Il tempo ternario, tra l’altro, nella musica antica si staccava, infatti, in unico movimento. Dal punto di vista vocalico, la scelta di un timbro naturale, a piena voce, ma certamente non troppo lirico, risulterebbe più ottimale e consentirebbe di eseguire un fraseggio più adeguato e congeniale alla scrittura di questo brano, di carattere così scorrevole e ‘madrigalistico’. Alla lettura, dal punto di vista contrappuntistico, e all’ascolto si connota una sorta di ‘freschezza’ e anche ‘scorrevolezza e leggerezza’, per il suo fraseggio, per la brevità del pezzo, per l’assetto armonico – in sintonia evidentemente anche con la giovane età del compositore in cui ha scritto questo brano – del modo di comporre di Bettinelli. Il brano è una sorta di ‘acquerello’ (non in senso semplicistico) che richiede un atteggiamento al canto molto aperto e animativo, perché si realizzi artisticamente compiutamente l’esecuzione corale. L’aspetto così gioioso, spensierato, ma anche in alcuni punti sensuale – soprattutto nelle battute anacrusico di 50-55 sulle parole: ‘movendo sì soave la sua bocca’ e battute anacrusico di 64-fine brano sulle parole: ‘nel cor mi tocca’ – immerso nella natura e nei colori del mese primaverile di maggio, ben rappresentato sia dal testo di Boiardo sia dalla musica di Bettinelli, dovranno essere il filo conduttore su cui vertere tutte le attenzioni espressive ed esecutive del coro. Un ultimo suggerimento è sulla dislocazione del coro. Essendoci parti a doppio semicoro, si potrebbe pensare anche ad un assetto diviso in sezioni maschili da una parte e sezioni femminili dall’altra, visto che sono, soprattutto nelle prime frasi e alla fine, in continuo dialogo. Questo, all’ascolto, creerebbe un effetto stereofonico e anche teatrale particolarmente suggestivo. Concludiamo lasciando alcune importanti dichiarazioni, come testimonianze. La prima di Gian Nicola Vessia, che ha curato e ha lavorato all’edizione di tutta l’ultima produzione mottettistica di Bettinelli, tratta dalla presentazione del fascicolo Polyphonia n. 15 dell’Edizioni Carrara pubblicato nel 1994:

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Analisi

«[...] Uomo dalla forte tempra morale, la figura di Bettinelli si potrebbe ascrivere a quella di rappresentante di un neoumanesimo, di musicista impegnato nella continua ricerca di un linguaggio realizzato (per quanto attiene la musica per strumenti) sulle basi di un libera atonalità che si estrinseca al di fuori di schemi precostituiti troppo spesso vincolanti. Di questo tipo di linguaggio, s’intende, non v’è traccia nella musica corale di questo autore, poiché la voce umana, com’è noto, ha necessità di un altro trattamento per poter conseguire una valida e intensa espressività, strettamente aderente al contenuto dei testi. [...] Si tratta spesso di una musica sofferta perché, stratificandosi e sovrapponendosi la ricerca armonica con

l’impalcatura contrappuntistica e la tecnica della variazione continua, ne risulta un senso di tensione che Bettinelli sa poi magistralmente sciogliere fino alla conclusione di un disegno preordinato ed emotivamente coinvolgente.» La seconda è tratta dalla presentazione di Giovanni Acciai dal titolo ‘Tra continuità e innovazione: i Madrigali di Bruno Bettinelli’, scritta per i ‘Sette Madrigali a cinque voci’ (composti tra il 1993 e il 1995) editi da Suvini Zerboni per la collana ‘I Quaderni della Cartellina’ nel 1996: «Figlio di un’epoca divisa tra pericolose fughe in avanti


di un’avanguardia talvolta vuota di idee e di contenuti e tra gli altrettanto perigliosi balzi all’indietro di una retroguardia conservatrice e nostalgica, Bruno Bettinelli ha costantemente opposto a questo sterile bipolarismo un atteggiamento positivo, riuscendo sempre a far convivere nella sua arte elevatissima, vivacità di pensiero e grande coerenza stilistica. L’esito etico [...] si riassume dunque in una modernità che non si alimenta della pura enunciazione di se stessa, ma si nutre della rielaborazione personale di canoni compositivi indagati fin nelle pieghe più profonde della loro natura, della loro essenza. Ciò vale sia per quanto riguarda la sperimentazione e l’applicazione delle formule compositiva sia per l’esplorazione delle possibilità tecnicoespressive dello strumento ‘voce’. [...] Comporre oggi madrigali potrebbe sembrare anacronistico. Non per Bruno Bettinelli, il cui sodalizio con questo genere musicale e con ciò che esso rappresenta sul piano estetico e formale ha radici profonde. Perché il madrigale è innanzi tutto poesia. Ed è forse questa sua fondamentale prerogativa d’identificazione della parola come significazione sonora, capace di particolari sfumature di immagini, ad attrarre il compositore milanese e a stimolare di continuo l’ispirazione creativa. [...] Una musica, questa dei madrigali di Bettinelli, che si fissa e si libra in uno spazio che spinge in avanti, ma che costringe anche a voltarsi indietro, verso le grandi sorgenti della polifonia antica. [...] Prospera infatti rigoglioso il frutto dove la radice è profonda...»

 Targa marmorea sulla casa di via Compagnoni a Milano - 2016

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Tecnica Così definisce la scienza la nostra funzione vocale. Senza voler inoltrarci in considerazioni socio-culturali, economiche e politiche che ci porterebbero ad occupare molto più spazio di quello a disposizione, colgo l’occasione per provocare una riflessione su quanta e quale importanza abbia la voce.

Una funzione biologica di scarto La nostra voce

DI GIORGIO MAZZUCATO

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TECNICA

Tutti usiamo la voce per conversare, ognuno di noi lo fa quotidianamente per comunicare; è il mezzo di comunicazione più utilizzato dall’uomo, fatto salvo i sempre nuovi strumenti tecnologici. La nostra voce è uno strumento straordinario di identificazione della persona; è come mostrassimo la nostra foto, un documento di identità. Quando qualcuno ci telefona identifichiamo subito la persona amica ancor prima che si presenti, senza supporto video. E ancora: lo spettro armonico della nostra voce, ossia il timbro dato dalle formanti armoniche, è uno dei parametri di riconoscimento pari al DNA biologico e alle impronte digitali. Moltissime sono le professioni in cui è indispensabile usare la voce (giornalisti e conduttori Radio Televisivi, commercianti, insegnanti, intrattenitori, religiosi, cantanti, artisti di teatro e quant’altri vogliamo aggiungere). Come vediamo quasi tutto il mondo gira attorno alla voce dell’uomo. Funzione ‘fisiologica’ necessaria per esprimere inoltre i nostri sentimenti, le gioie, le paure, le decisioni più o meno importanti, anche per decidere di guerra o di pace. Anche il linguaggio scritto assume un significato più completo quando un testo, una prosa, una poesia prende voce, viene letta e detta, interpretata e diffusa. Insomma se non potessimo servirci della voce dovremmo sviluppare altri sistemi modificando radicalmente il nostro modo di vivere. Eppure la scienza definisce la voce ‘una Funzione Biologica di Scarto’! Forse anche a causa di questa etichettature non è mai esistita una cultura della voce, intendo una educazione dello strumento vocale a partire


dalla prima età, mai prevista negli ordinamenti e programmi scolastici. Anche la famiglia, i genitori, da coloro i quali i bambini imparano a modulare la voce, a parlare correttamente, e anche ad assumerne tutti gli eventuali difetti, latitano su questo versante. Spesso la famiglia è disinformata, non sensibile e poco accorta alle lente ma progressive degenerazioni, qualora avvengano, del suono vocale del proprio figlio. Si può dire che non sanno ascoltare, non hanno orecchio! Ho avuto modo di riscontrare casi di disfonie più o meno gravi in bambini di cui il genitore non se ne era mai preoccupato, e soltanto all’invito ad ascoltare attentamente notava l’anomalia con la quale il bambino e i genitori da tempo convivevano. ‘Ha sempre parlato così!’ questa era la loro risposta. Fermiamoci allora un attimo a riflettere. L’educazione fisica, disciplina obbligatoria nella scuola, prepara il corpo ad uno sviluppo armonioso, non è così? Non ne avrebbe lo stesso diritto anche tutto l’apparato muscolare, cartilagineo, osseo e respiratorio di cui nella vita se ne farà un uso illimitato spesso inconsapevole? Non è forse legittimo sperare che imparare a usare bene la propria voce, un bel parlare rende bella mla persona, la fa desiderare e può contribuire ad un maggior successo anche in molti campi professionali? Perché non prevedere anche questo tipo di investimento? Diversamente la Scuola, attraverso proprio gli insegnanti, frequentemente ci offre esempi di brutte voci, inespressive, affaticate e spesso ammalate di patologie tipiche di coloro che hanno usato male o abusato della propria voce, o che non hanno mai potuto conoscere il proprio strumento per imparare ad usarlo bene. Quante volte capita di incontrare insegnanti con gravi disfonie, dopo anni di insegnamento, e che troppo tardi si accorgono di non riuscire più a parlare bene e che vorrebbero miracoli da qualche incontro di tecnica vocale e qualche seduta di logopedia. I modelli vocali oggi diffusi dai media purtroppo non fanno sperare berne: voci roche, rauche, urlate, sdolcinate ma microfonate che però fanno immagine, fanno mercato, e sono imitate, copiate, attirano l’attenzione, voci da piazza, da stadio, da discoteca, da ipnosi collettiva… Non condanno tali abusi, ognuno del suo corpo e della sua psiche ne fa quallo che vuole, ma c’è una ragione in questo comportamento collettivo: l’altra voce, la voce armonica,

la voce vera, non quella trasognata, la voce della nostra voce non trova più lo spazio dentro molti giovani d’oggi perché più difficile da ascoltare, perché è da ascoltare in silenzio; troppo faticoso impegnarsi per conoscerla perché resti pulita e bella. Ieri, quando il mondo era meno inquinato si cantava di più, si parlava anche meglio senza amplificazione: pensiamo ai grandi oratori dei fori e i grandi predicatori nelle chiese, i cantastorie nelle piazze e i mercanti ambulanti. La loro voce era già bell’amplificata naturalmente. Magari fa tendenza frequentare palestre per poter sfoggiare con orgoglio i muscoli scolpiti sul proprio corpo …coniugando magari la propria immagine scultorea ad una voce parlata che nulla ha da invidiare allo sfregamento di due fogli di carta vetrata! Tutto ciò grazie anche a una Scuola in cui l’interesse verso la voce si identifica con una sorta di Educazione Musicale da molti improvvisata: qualche canzoncina imparata da un CD e ricantata poi sopra il disco a tutto volume senza tener conto di quali potrebbero essere gli inconvenienti e i danni derivati da tale pratica. Non è pessimismo! Nel contatto con genitori ed educatori raccolgo purtroppo molte testimonianze che confermano nel tempo anche le mie dirette esperienze. Ma per fortuna non è sempre così! Non dappertutto è così! Non è così soprattutto dove esiste e resiste una certa coralità, e dove qualche zelante educatore si sostituisce alla scuola, o nella migliore delle ipotesi opera nella scuola. Esistono anche molte isole felici, quindi. Da sempre filosofi, letterati, didatti, pedagoghi, educatori, financo i politici sono d’accordo nell’affidare al canto, al coro, quindi alla voce cantata, un insieme di valori che nessun’altra pratica riesce ad esprimere : socializzazione, LA NOSTRA VOCE | 37


disciplina, rispetto dell’altro, coscienza di sé e del proprio corpo, cultura, capacità di esprimere le emozioni le più diverse, l’autocontrollo, il benessere psico-fisico, il sentimento che intenerisce l’anima, scioglie il cuore e regala serenità. Più sopra dicevo della voce armonica; quel nostro che ne produce altri: gli armonici. Gran cosa poterli riconoscere. Sperimentare proprio nel coro: ne guadagnerebbe anche l’intonazione della voce, l’educazione dell’orecchio e la corretta esecuzione delle relazioni nella scrittura polifonica. Nei nostri cori forse manca questo tipo di formazione ed educazione che sta sempre più diventando necessaria e coerente per godere del proprio strumento e per meglio interpretare qualsiasi pagina musicale. La forza terapeutica degli armonici e delle risonanze interne hanno dato vita a molteplici ricerche sulla voce e sulle sue proprietà: la creatrice della Psicofonia, la francese MarieLuise Acher, qualche decennio fa ha visto nell’uso della voce il modo per sperimentare sensazioni ed emozioni e dare vita ad un percorso di crescita personale. Le vibrazioni della voce creano un massaggio interno che allenta le tensioni e regala un benessere che arriva alla mente. Nello sviluppo della propria vocalità più ampia è la gamma dei suoni (armonici) maggiore è la possibilità di star bene. Insomma imparare ad usare la voce per stare bene, ma anche per far star bene gli altri: ecco la voce artistica, la voce dell’artista del coro (sia esso amatoriale o professionale), del solista , dell’attore. Nella nostra coralità amatoriale, dove esistono delle realtà che per valore e impegno spesso superano quelle professionali, è sempre più difficile attirare l’interesse dei giovani che si potrebbero salvare dalla crescente profanazione della propria voce – la tifoseria da stadio, la frequenza di locali dove per farsi ascoltare bisogna urlare, l’abuso di fumo e alcool, vestire svestendosi anche quando il meteorologo suggerirebbe il contrario, passare da ambienti molto accaldati, magari sudati, ad ambienti freddi e magari esposti a correnti d’aria senza adeguate precauzioni. Quanto sopra, se può interessare, riguarda la così detta igiene vocale, che rientra solo nei programmi delle Scuole di Canto dei Conservatori e Istituti musicali. Il compito resta sì alla scuola, alla famiglia, ma pure agli insegnanti di canto, ai maestri di canto, ai direttori di coro, agli educatori e a tutte quelle realtà culturali e musicali che ancora si dedicano alla promozione della coralità. Anche nella scuola, sia primaria che secondaria, il coro rappresenta una fase importante e necessaria, per quanto sin qui detto, della formazione globale della persona. Ma non chiamiamola esperienza corale se non è guidata da insegnanti preparati e consapevoli di mettere le mani sul corpo e la psiche dei ragazzi i quali grazie al loro intervento possono amare il canto come odiarlo definitivamente. A quanto pare occorrono insegnanti appassionati, preparati non solo musicalmente e soprattutto nella didattica di base (alfabetizzazione musicale), ma, di più, capaci di usare la propria voce, averne una sufficiente coscienza per poi saper guidare i propri coristi in un cammino di ricerca. Oggi abbiamo a disposizione diverse modalità di approccio, anche per i nostri cori, ad una voce cantata corretta, cosciente e consapevole. Basta guardarsi attorno e accorgersi che qualche altra realtà corale ha cambiato in meglio la propria immagine vocale. Bussare alla loro porta e chiedere dove possono aver attinto tanto benessere: dal proprio direttore e da aiuti esterni? Avviare qualcuno alla ricerca della propria voce significa aiutarlo a trovare dentro di sé delle latenti potenzialità, a provare delle particolari e nuove sensazioni, a rimuovere della barriere interiori, a percepire con orecchio diverso quanto il nostro quotidiano ci impedisce di sentire a causa dello stress, dei condizionamenti ambientali e la rumorosità. Migliorare la vocalità del cantore gli consente di usare la voce senza forzarla, senza piegarla all’esigenza di sentirla ‘forte’. Non a tutti è dato diventare dei Pavarotti, dei Del Monaco o dei Bruson. Ognuno di noi è un unicum nella sua personalità vocale (non entro nel merito della musicalità); sta di fatto invece che una certa scuola vorrebbe sfornare voci ad imitazione di quello o quell’altro modello perché il repertorio lo richiede, perché il Teatro cerca quelle voci (Rossiniane, Verdiane, Pucciniane,ecc). Mi pare che ancor prima di Rossini,

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TECNICA

‘La nostra voce è uno strumento straordinario di identificazione della persona; è come mostrassimo la nostra foto, un documento di identità’


Donizzetti, Verdi anche altri abbiano lasciato qualcosa da cantare, per citarne alcuni: Josquin DesPres, Palestrina, Orlando di Lasso, Monteverdi, Gesualdo, Scarlatti, Bach, Mozart, Haydn, Mendelsshon, Brahms, ecc. Senza tralasciare la grande letteratura romantica e l’immenso patrimonio di Canto Popolare italiano e internazionale. Sarebbe intelligente allora che a molti studenti di canto senza caratteristiche verdiane e quant’altro fosse offerta loro queste altre ‘nobili’ alternative. Mi permetto di esprimere un’opinione che sono certo va a toccare la sensibilità di qualcuno, ma che risponde a verità: quei coristi che si formano con il grande repertorio vocale precedente al melodramma ottocentesco acquisiscono una preziosa dimestichezza tecnico-vocale e musicale che diventa indispensabile anche nel teatro d’opera dove è richiesta frequentemente tanta e sola voce. La parola non esiste quasi più, non ci si emoziona più e non si capisce nemmeno più la trama… per fortuna esiste il ‘gobbo digitale’ per il pubblico italiano con i testi anche per le opere in lingua italiana. E se i trattati di canto si sono sempre profusi in raccomandazioni per una netta articolazione delle consonanti, nella pratica i cantanti hanno spesso inteso sacrificarla a favore di certi effetti canori. Riporto quanto scriveva nel 1842 un mio omonimo, Alberto Mazzucato, maestro di Canto nel Conservatorio di Milano: «Vi sono molti cantanti, specialmente donne, che credono un ostacolo alla bellezza del canto, o almeno alla libertà del loro vocalizzo, la franca e netta pronuncia, e sotto l’influsso di questa falsa credenza sopprimono in tal modo le parole poste sotto le note che giungono all’orecchio dell’uomo, anche al più attento, altro che il senso come di un vocalizzo sull’I,E,A,O,U; ed anche cangiano il suono di queste, secondo la loro particolare disposizione a produrre le une invece che le altre; di modo che non è difficile sentire dei cantanti cangiare le A in O, e tutte le E in U» (F.-J.Fétis, Metodo dei Metodi di Canto, 1969). Ogni tanto si intravvedono segnali di cambiamento: pensate che in una edizione del Concorso per cantanti lirici intitolato a ‘Iris Adami-Coradetti’ di Padova, la giuria ha assegnato la palma di vincitore ad un contralto maschio, un contraltista quindi, e per di più italiano! Anche queste voci desuete, ma spesso ricercate anche nella nostra coralità, hanno ancora futuro! La scuola di canto italiana per costoro non prevede corsi specifici, non foss’altro che in corsi di canto barocco. Non vorrei tralasciare un aspetto importante della vocalità che si dimentica di trattare, pensandolo scontato: conoscere l’orecchio, meglio i nostri orecchi. Sì, al plurale non perché sono visibili due padiglioni ai lati della nostra testa, ma della possibilità di percepire oltre che per via timpanica (sistema uditivo esterno, medio) che per via

ossea (sistema uditivo interno). La prova è data dallo sperimentare che, all’ascolto, la nostra voce registrata ci sembra molto diversa e non riconoscibile come nostra da quella ascoltata dal vivo. Da qui la nostra convinzione di avere sempre una voce bella e sana anche quando presenta della patologie. Educare l’orecchio interno è frutto di un confronto tra le due modalità di percezione attraverso anche l’ausilio di una buona guida. Oggi sono a disposizioni molti studi che avvalorano queste pratiche. Per citarne alcuni: il Metodo Funzionale della Voce di Gisela Gomert dell’Università di Darmstat

e le ricerche sull’Orecchio e la Voce del Dr. Tomatis, oltre che a diversi altri interventi di illustri foniatri (dr. Fussi in primis) e ricercatori. Il canto è una delle azioni più nobili dell’uomo. Con il canto l’uomo ha sottolineato e caratterizzato ogni momento della sua storia. Salviamo la nostra voce in ogni istante minata: senza voce non potremo più pretendere verità e libertà. Mettiamo assieme le nostre voci per cantare il passato, il presente e dare l’esempio ai nostri figlio per il futuro. Tutto ciò per dire che se vogliamo dare un futuro alla nostra coralità, sia essa amatoriale o professionale (quella professionale intendo prevalentemente quella retribuita!!!), dovremo decidere di inserire nel carnet delle nostre competenze accessorie come educare, preservare e difendere la nostra voce e quella di tutti coloro che abbiamo in affidamento culturale e artistico.

LA NOSTRA VOCE | 39


Tecnica Ho cantato in coro fin da ragazzino. Avevo una duttile vocina di tenore e, in più, riuscivo a cantare piuttosto bene anche in falsetto, nella tessitura del contralto. Con l’esperienza e l’esercizio riuscii poco a poco ad ampliare la tessitura e, ben presto, potevo cantare da basso e da soprano. Che divertimento cantare tutte le parti!

Il modello Coro: per un futuro in armonia Capriccio stravagante di un musicista sognatore

DI ANDREA LANDRISCINA

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TECNICA

Mi divertivo così tanto che, oltre a cantare nel coro del Conservatorio, accumulavo impegni ed ero arrivato ad un punto, ai limiti del patologico, in cui avevo una prova tutte le sere della settimana, lusso che, se vivi in una grande città, ti puoi permettere, ma questo eccesso di impegni durò poco, perché la stanchezza mi fece più saggio. Ho cantato di tutto, musica medievale e pezzi terminati di scrivere il giorno stesso della prova; per fare i vari concerti ho fatto tantissimi viaggi e ho conosciuto innumerevoli luoghi, esibendomi in teatri, chiese, chiostri e sale di ogni genere, cosa che, per un liceale, era un’ebbrezza immensa. Ho assistito a innamoramenti, fidanzamenti, matrimoni e, purtroppo, funerali. Ho cantato assieme a ricchissimi e poverissimi, disoccupati e stressati dal troppo lavoro; ho osservato l’accadere di tanti eventi della vita, ho conosciuto famiglie dove cantavano nonni, genitori e figli, ho visto integrarsi con naturalezza, proprio grazie alle relazioni che il coro favorisce, persone che venivano da lontano e che erano soli e sperduti. Alcuni tra questi, un po’ di anni più tardi, vennero definiti extracomunitari. Ho visto anche delle cose non molto onorevoli, cattiverie, giudizi, critiche, dicerie e tutte le debolezze più comuni della specie umana. Fin da subito compresi che il coro più che una grande famiglia è una piccola società, dove si rispecchiano in formato bonsai tutte quelle cose che avvengono nel mondo esterno. Ma con importantissime differenze: il coro, grazie ai suoi limitati confini, facilmente si presta


ad essere osservato come laboratorio; inoltre il coro è molto più avanzato rispetto alla società normale, perché ha costituzionalmente obiettivi, struttura e autodisciplina altrove sconosciuti. Anche quando da cantore divenni direttore, ho sempre continuato a riflettere sulle mie esperienza giungendo a ipotizzare che il coro potrebbe essere un possibile modello sanante, e da qui, in qualità di irriducibile visionario, ho immaginato un modello sociale per il futuro. Come può avvenire per alcuni virus finiti fuori controllo, il modello CORO potrebbe uscire misteriosamente dal suo piccolo laboratorio e contagiare lentamente ma irrimediabilmente i modelli sociali del pianeta. Vi sembro folle?

Il modello CORO Burlone come sono, ho immaginato che CORO sia l’acronimo di Cooperazione Organizzata per Ridefinire gli Orizzonti. Come la maggior parte degli acronimi forse non è un capolavoro poetico, ma il potere del significato è profondo. • Cooperazione. È un passaggio fondamentale per la pienezza dell’essere umano. Finora abbiamo conosciuto quasi solo la competizione, anzi, siamo convinti che dove non c’è competizione ci sia il nulla; al contrario, sprechiamo tutte le energie, le potenzialità, le ricchezze, la creatività per alimentare polemiche, risse, conflitti, sopraffazioni, perfino guerre. Tutto questo per l’idolatria dell’ego che è solo un minimo frammento di noi stessi, alla cui felicità sacrifichiamo la nostra. Eppure sappiamo benissimo che l’egoismo è l’incubo di chi lo prova perché è impossibile (e pure pericoloso) essere felici in mezzo a un mondo infelice, e l’invidia altrui non è un vanto ma un rischio terribile. Eppure millenari modelli, che col CORO non hanno niente a che fare, ci hanno convinto ed assuefatto all’idea che se non vinci o freghi gli altri, gli altri inevitabilmente vinceranno o fregheranno te, col risultato evidentissimo di essere tutti fregati e vinti vicendevolmente. • Organizzata. Mai come in questi tempi è evidente che la civiltà umana è confusa, cialtrona, improvvisata, vive a casaccio e procede guidata dalle sole emozioni in assenza della ragione. Il CORO, invece, è un organismo altamente organizzato che deve strutturare finemente ogni dettaglio. Un solo ritardo di un sedicesimo può provocare una catastrofe musicale, una sola nota errata non solo oltraggia l’armonia, ma può trascinarsi dietro una valanga di nuovi errori.

come è indispensabile farlo, è altrettanto indispensabile sapere rimettere tutto nuovamente in discussione estrinsecando quella magnifica virtù che è detta resilienza. • Orizzonti. Orizzonte significa visioni e obiettivi senza i quali non andiamo da nessuna parte se non brancolando al buio biascicando rosari di lamentele. La visione è l’apertura di nuove strade finora intentate, l’obiettivo è la stella luminosa che ci indica la strada da percorrere.

Alcuni hanno già provato È risaputo che l’idea del CORO, dell’orchestra e delle innumerevoli metafore musicali come modello per orientare la società del futuro non è mia: moltissimi grandi pensatori e musicisti hanno costruito tale concetto. Io ho elaborato un semplice confezionamento di idee già esistenti già applicate. Non voglio scendere nella notte dei tempi e nella raffica di citazioni possibili, ma voglio menzionare due casi estremamente significativi. Il primo è El Sistema, fondato in Venezuela da José Antonio Abreu, il più grande progetto di didattica musicale della storia. Questo «mira ad organizzare sistematicamente l’educazione musicale ed a promuovere la pratica collettiva della musica attraverso orchestre sinfoniche e cori, come mezzo di organizzazione e sviluppo della comunità» (dalla descrizione che ne dà la stessa Fondazione che lo amministra) ed è fondato sull’educazione pubblica, gratuita e aperta a tutti i ceti sociali, strutturato in una piramide dove ciascuno è libero di proseguire verso il gradino superiore o di abbandonare la salita permanendo sullo stesso gradino. Chi giunge alla cima rappresenta il livello supremo della professionalità musicale, ma tutti i gradini della piramide consentono eccellenti esperienze e soddisfazioni mediante la musica d’assieme. Un progetto veramente grandioso e raffinatamente strutturato che non soltanto sta donando da anni sollievo al povero e martoriato Venezuela, ma viene esportato in tutto il mondo, vantando, comunque, il massimo successo nei paesi poveri. Anche io, nel mio piccolo, mi sono adoperato negli ultimi tre anni per impiantare in Himalaya, nel West Bengala, distretto di Darjeeling, un progetto multistrato di educazione musicale ispirato ad Abreu. Il secondo caso importante è la West-Eastern Divan Orchestra, fondata da Daniel Baremboim ed Edward Said, orchestra che riunisce nella stessa esperienza di fare musica d’assieme dei musicisti israeliani e palestinesi, caso unico di progetto musicale che si svolge addirittura tra paesi belligeranti.

• Ridefinire. Porre nuovi fini e nuovi con-fini. Occorre stabilire dei limiti e dei fini se vogliamo fare qualcosa, ma, il modello coro | 41


Il modello, ovvero i sette semi che il CORO può piantare 1 - Unità nella diversità Una delle virtù più invidiate ai cori è quella di cantare in armonia tutti assieme. Eppure l’unità del coro non ha niente a che fare con l’uniformità che in altri ambiti viene ritenuta un valore, dove tutti si debbono attenere nella stessa maniera allo stesso protocollo. Il CORO ha tante divisioni al suo interno sia nei ruoli (direttore, coristi, eventuali solisti e strumentisti) sia nelle tessiture vocali, inoltre, all’interno della stessa fila, tutti i coristi sono differenti, ma impastano il loro suono e calibrano la loro intonazione fino ad ottenere un risultato omogeneo. Le differenze, come tutti sappiamo, possono rappresentare conflitti o ricchezza. Perché siano ricchezza occorre un obiettivo comune che faccia la sintesi tra gli opposti. Riuscireste ad immaginare cosa succederebbe se la società umana fosse unita da obiettivi comuni? 2 - Impegno e disciplina Chiunque abbia cantato in coro ad un certo livello artistico sa che per ottenere buoni risultati occorre provare frequentemente, assieme o a sezioni, talvolta ripassarsi le parti a casa e mantenere molto alto il livello di attenzione sia durante le prove che durante il concerto. Lo spontaneismo pressappochistico non ha niente a vedere col coro che si pone obiettivi artistici e che cura scrupolosamente intonazione, emissione, fraseggio, coloriti e dizione, perché la cura dei particolari è una forma di amore. Cosa sarebbe il mondo se più uomini mettessero impegno, disciplina e amore nelle loro attività? 3 – Ricerca della qualità Le tante prove richieste per fare un concerto nascono dalla ricerca della qualità, che deve essere la più alta possibile, e per la quale i musicisti fanno immensi sacrifici. In un mondo dove si valuta solo la quantità, dove i lavori si pagano a ore, dove l’unica valutazione che viene fatta per qualsiasi cosa è il costo, la ricerca sistematica della qualità è una rivoluzione. Cercare la qualità, costruirvi attorno i propri valori, viverla e riconoscerla sono azioni che ci spostano su di un livello di coscienza più alto, quello che è veramente e propriamente umano e che si eleva nettamente rispetto ai comportamenti istintuali. Riuscireste a immaginare come vivremmo se la qualità diventasse il desiderio primario? 4 – Diffusione della Cultura La parola Cultura ha una radice bellissima, culto di Ur, che nelle lingue semitiche significa luce. La Cultura è l’opposto dell’erudizione ed è oltre il sapere e la conoscenza. È la ricerca dei semi di luce che ci sono nella storia umana, nelle arti, nello spirito degli uomini che hanno manifestato grandezza. Il CORO è depositario di infiniti capolavori: possiamo quasi certamente affermare che la stragrande maggioranza delle composizioni musicali della storia impiegano il coro o, come minimo, dei gruppi di voci. In questi innumerevoli capolavori è custodita la luce della civiltà umana, quella luce che sfida i secoli e che merita di attraversare la storia. Pensate ad una società che invece di diffondere panzane complottistiche e risse ideologiche irraggi Cultura! 5 – Testimonianza di un’esperienza vissuta La nostra civiltà ascolta sempre moltissima musica, in automobile, nelle sale d’aspetto, nei supermercati, per la strada con l’auricolare nelle orecchie, perfino nei parcheggi e negli ascensori, per non parlare di cinema, televisione, computer e cellulari. La musica, per troppe persone, è un ottundimento passivo ed anestetizzante, invece chi canta

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TECNICA

‘Il coro è una piccola società, dove si rispecchiano in formato bonsai tutte quelle cose che avvengono nel mondo esterno, ma in modo più avanzato, perchè ha costituzionalmente obiettivi, struttura e autodisciplina altrove sconosciuti’


in coro è protagonista attivo della musica, la fa, la vive, la testimonia, la ama e la fa amare. Come potrebbe essere il mondo se gli umani vivessero in maniera attiva invece che subire quello che gli viene propinato in passività!

6 – Soddisfazione Cantare in coro è un modo eccellente per stimolare le emozioni costruttive. La cosa bella è che quando si canta si è soddisfatti per quello che si fa e non per qualcosa che viene dall’esterno. Cantare accende l’entusiasmo, genera passione crea contagio. Vogliamo immaginarci esseri umani soddisfatti, entusiasti e appassionati? 7 – Ridefinizione del potere Nessun gruppo umano può funzionare senza meccanismi organizzativi che creano delle situazioni di potere. Il potere nel CORO è distribuito (alcune persone si spartiscono alcune responsabilità) e, quello affidato al direttore è un atto di servizio e di competenza (in moltissimi cori il

direttore è scelto, talvolta pagato, dai coristi). Inoltre il CORO sperimenta due cose veramente splendide che sono il potere interiore della musica e il potere del gruppo quando questo è armonico. Che splendore sarebbe una società dove il potere è armonia, servizio e competenza! Fin dal sottotitolo ho annunciato di essere un sognatore, parola che viene pronunciata troppo spesso con alterigia e sufficienza, come se il sognare fosse un’attività spregevole. Eppure tutti i veri cambiamenti, le grandi invenzioni, i grandi capolavori, prima di essere realizzati sono stati sognati e immaginati. Non pretendo di essere un grande creatore, ma non rinuncio al diritto di sognare. Sogno un mondo dove cori e orchestre sostituiscano gli eserciti e restringano gli ospedali. I sogni talvolta si avverano. Ma i sognatori debbono essere determinati e numerosi.

il modello coro | 43


Repertorio

Scritto nel 2013 dal compositore veneto Manolo Da Rold, Angel Fly (Angelus Domini) è uno dei brani che sempre più spesso capita di ascoltare nei programmi da concerto di cori a voci bianche e di cori giovanili femminili.

Angel Fly - Angelus Domini per coro a voci bianche/giovanile e pianoforte

di FABIO PECCI

Manolo Da Rold Compositore, direttore di coro e organista, diplomato in Organo e Composizione organistica al Conservatorio ‘A. Steffani’ di Castelfranco Veneto, e in Musica Sacra presso il Conservatorio ‘Santa Cecilia’ di Roma. E' direttore della Corale Zumellese di Mel, del piccolo coro voci bianche e del Coro giovanile ‘Roberto Goitre’ e del coro maschile ‘Melos’ Valbelluna. Come compositore si dedica particolarmente alla musica corale polifonica sacra, alla musica per cori di voci bianche con numerose partiture di carattere didattico e alle elaborazioni di canti popolari provenienti dalla tradizione orale arcaica, in particolar modo dell´area veneta, trentina e friulana.

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REPERTORIO

Atmosfere che in qualche modo ricordano la scrittura di dei compositori baltici, con linee piuttosto essenziali ma di grande effetto timbrico e un particolare slancio ritmico ricco di accenti contrastanti e spostati, sono i principali elementi che subito colpiscono l’ascoltatore. Ma prima di tutto questo, l’ascoltatore viene rapito da un efficace e coinvolgente effetto che ogni coro potrà utilizzare a proprio piacimento. Dopo la declamazione del titolo (angel fly) che si ferma su una seconda fa/sol, a ricordarci che l’angelo che porta l’annuncio di maternità vola fino a raggiungere Maria, ogni corista pronuncia la parola ‘fly’ senza intonazione, con ritmi diversi per ogni singolo cantore. Utilizzando la consonante F e mettendo molta aria nel suono vocalico si viene a creare un suono che come per incanto fa sentire a chi ascolta il rumore del battito delle ali.


Personalmente, faccio eseguire questo effetto a partire dalla mia destra e aggiungendo poi voci verso sinistra. Questo crea ( soprattutto se si esegue il brano con il coro in disposizione molto aperta) un vero e proprio effetto di ‘avvicinamento e atterraggio’ dell’Angelo. Segue una seconda sezione costruita sul testo ‘et concepit de spiritu sancto’ che termina anch’essa con un arrivo su una seconda re/mi e la ripetizione dell’effetto del volo dell’angelo. La seconda re/mi prepara la terza sezione che proprio su questi due suoni ribattuti crea un tappeto sonoro sul testo ‘ecce ancilla Domini’ sul quale spicca poi il volo ( per rimanere in tema) il testo ‘fiat mihi secundum verbum tuum’ affidato ad una piccola sezione che deve mettere in evidenza il contrasto ritmico tra il tappeto sonoro realizzato con la seconda re/mi e la nuova frase che emerge con gioia.

MANOLO DA ROLD - ANGEL FLY | 45


Si va così verso il finale dove il coro torna a due voci; il sostegno ritmico realizzato attraverso l’accentuazione delle crome 3+3+2 in tempo di 4/4 che troviamo nella chiave di basso nella parte del pianoforte, riprende il ritmo precedentemente sostenuto dalle voci che ripetono quasi come un ostinato l’ ‘ecce ancilla’.

Le due voci omoritmicamente cantano ‘et verbum caro factum est, et habitabit in nobis’ fino a giungere ad una corona finale che resta sospesa su un solo DO ‘asciugando’ d’improvviso la polifonia.

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REPERTORIO


Torna la prima declamazione ‘Angel Fly’ con la riproposizone del primo intervallo di seconda ascoltato e l’effetto del battito d’ali. Si può dare direzione opposta all’effetto ‘fly fly fly’ rendendo così l’impressione, unitamente ad un diminuendo, della dipartita del’Angelo proprio dalla stessa direzione da cui è arrivato. L’effetto globale è molto gradevole, sorprendente al primo ascolto l’effetto del battito d’ali che colpisce l’ascoltatore e crea tensione verso l’ascolto. Particolare cura va riservata alle dinamiche, in particolar modo agli effetti < > ( crescendo – diminuendo). Uno stile piuttosto declamatorio nella sezione dell’ ‘ecce ancilla’ rende al brano una particolare timbrica. E’ necessario preparare il coro ad una certa leggerezza nel registro acuto (sale fino al fa in quinto rigo) per non

contrastare l’idea di soavità che deve sottendere tutta l’esecuzione. Se i cantori hanno una discreta sicurezza è di particolare effetto l’esecuzione a coro molto aperto ( ad esempio lungo le navate di una chiesa). In questo caso si può scegliere se mescolare le voci realizzando dei trii ( un soprano, un contralto, una prima voce per la parte a tre) oppure limitarsi ad ‘aprire le sezioni’ senza mescolarle. Personalmente prediligo questa seconda modalità, con il posizionamento della prima voce al centro ( i ‘pochi in evidenza’ richiesti in partitura). Un’esecuzione particolarmente cara al compositore è ascoltabile al seguente link: http://www.manolodarold.com/angel-fly-ssa-and-pianoby-manolo-da-rold/

 Manolo Da Rold MANOLO DA ROLD - ANGEL FLY | 47


Repertorio

Oltre sessanta componimenti hanno caratterizzato il Concorso di Composizione Corale ‘Una canzone per l’Adunata’, ideato dalla Sezione ANA di Treviso per valorizzare brani che incarnino gli autentici valori alpini e ricordino la Grande Guerra di cui ricorre il Centenario. Vista la qualità del lavoro ha ottenuto una segnalazione di merito ‘Improvviso, l’inverno’ di Gian Pietro Capacchi.

Improvviso, l’inverno di GIAN PIETRO CAPACCHI

GIAN PIETRO CAPACCHI Ha studiato presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Facoltà Teologica di Milano, dove ha discusso la Tesi in Canto Gregoriano. Ha studiato Canto Gregoriano e Direzione di coro presso la Scuola ‘C. Monteverdi’ di Cremona. Dal 1991 dirige il Coro Canossa A.N.A. sezionale di Reggio Emilia (formazione maschile) e dal 1995 la Schola Cantorum Canossa (formazione femminile).

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REPERTORIO

Il Teatro è l’Ortigara, denominato il Calvario degli Alpini. Ho percorso in lungo e in largo questa montagna, già dall’ Adunata del 2006 di Asiago. Sono i momenti che ti toccano il cuore. Puoi vedere nella realtà ciò che è accaduto e immaginare...ogni passo tra le rocce. ‘Improvviso l’inverno’... nel cammino del tempo... noi oggi il compito della Memoria. Detto questo... come eseguirlo?!?! Ogni maestro vive e trasmette il testo e la musica, ed esprime ai coristi i propri sentimenti, i propri pensieri, le proprie emozioni. Partendo per caso, nel silenzio dei boschi, il 10 di giugno 1917 (la data storica) era caldo anche nell’Altipiano. Improvviso, con il primo colpo di cannone, giunse l’inverno (angoscia, tristezza, morte, distruzione). Nelle battute che accompagnano il testo ho tentato di trasmettere questa tensione improvvisa, tensione che accompagna tutte le strofe nelle terze righe. Possiamo dire che le prime 2 righe, nei primi 2 sistemi raccontano la storia; nei successivi passaggi della terza riga delle strofe, la storia si interiorizza e nasce questa variante armonica, quasi entrasse nell’animo umano; nelle ultime 2 righe ripetute ecco l’altra parte della tragedia storica, ‘un massacro’, ‘Suolo Sacro’, un pensiero alla casa per coloro che sono sopravvissuti, concludendo...Per non dimenticare. E’ il testo dell’incisione che si trova sulla Colonna Mozza dell’Ortigara, a poca distanza dal quale c’è il Cippo Austriaco. Venti giorni sull’Ortigara.... ricordi il canto della SAT? Venti giorni terribili (10-29 giugno), perdite stimate circa 28.000 uomini, giovani soprattutto. Per noi è un impegno, quasi un dovere continuare a ‘Raccontare’ la nostra storia... e lo facciamo attraverso i canti...Per non dimenticare... Questo è solo il mio pensiero, ad ognuno la libertà di trasmettere ciò che vive dentro.


Brano segnalato dalla Commissione Artistica al Concorso di Composizione Corale: "Una canzone per l'Adunata" Treviso 2017

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Parole e Musica di G. P. Capacchi

Nel cammino del tempo...

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Per continuar la Memoria Su quella vetta è nato un segno che vive nel tempo… Per non dimenticare Per non dimenticare. (Finale) Per non dimenticare.

capacchi - improvviso, l’inverno | 49


Commento

L’associazionismo corale ha tra le sue ragioni d’esistere la divulgazione e la sviluppo della formazione musicale. Nel corso di decenni d’attività si sono costituiti gruppi corali di ogni genere e tipo che dall’associazionismo regionale hanno potuto trarre risorse per la propria crescita. Tra gli strumenti che le associazioni hanno potuto espri mere, importante rilievo spetta all’editoria. Per mezzo delle riviste periodiche e di pubblicazioni l’intera coralità nazionale possiede un numero considerevole di documenti e sussidi tecnici.

Pier Paolo Scattolin

Esercizi d’intonazione e di lettura per Coro Recensione dell’ultimo numero de I Quaderni di Farcoro

DI Michele peguri

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COMMENTO

L’AERCO (Associazione Emiliano-Romagnoli Cori) si colloca in tale orientamento con la rivista Farcoro che fin dall’origine è il periodico di riferimento per i cori associati della regione. Negli articoli della pubblicazione la coralità è trattata sotto ogni angolatura: compositiva, direttoriale, musicologica, estetica. Questo grazie a contributi di personalità della regione e di musicisti nazionali ed internazionali. Alla regolare uscita di Farcoro negli ultimi anni l’AERCO ha affiancato una serie di ‘quaderni’. Queste pubblicazioni, senza vincolo d’uscita sistematica, sono redatte con criteri ancor più precisi e specialistici: atti di convegni, trascrizioni di corpus di manoscritti inediti, monografie e manuali tecnici sono oggetto di trattazione estesa e approfondita. Il decimo numero de I Quaderni di Farcoro uscito recentemente s’intitola Esercizi d’intonazione e lettura a due, tre, quattro voci di P.P. Scattolin. Il volume, piuttosto corposo (quasi 300 pagine), è suddiviso in tre blocchi (esercizi a due, a tre, a quattro voci) e si occupa del problema intonazione in maniera globale ed esaustiva ponendo come obiettivo l’intonazione del coro come prodotto di un preciso modo del fare musica insieme. Questo significa, come prima cosa, tradurre il significato di


intonazione come una combinazione di questioni la cui soluzione è data dal ruolo ‘attivo’ di tutte le componenti del coro; coro qui inteso come organismo unitario pur nelle sue infinite variabili. L’intonazione è, nel percorso di Scattolin, un esito si potrebbe dire ‘omeostatico’, un costante equilibrio tra i diversi elementi costituenti il linguaggio musicale: armonia, melodia, ritmo, che lo strumento coro impara a esplorare e a padroneggiare attingendo a risorse già insite fisiologicamente nel gruppo vocale e sapientemente fatte emergere. L’autore induce a far sì che l’intonazione esatta sia ottenuta e sostenuta da due presupposti. Il primo come una necessità del coro, la seconda che tale necessità debba divenire un’abilità gestita in modo ludico se non divertente. Esaminiamo il primo aspetto: la necessità. Fin dal primo esercizio Scattolin fa propria e sviluppa la lezione di Z.Kodaly1: il cantare a due voci dal primo approccio del cantare in gruppo per ‘vivere’ l’intonazione. Il meccanismo circolare canto-ascolto-canto si attiva spontaneamente e si configura come requisito sostanziale del fare coro. Il corista/coro non intona bensì ‘ascolta e di conseguenza intona’; il cantare è un seguire un punto percettivo creatosi interiormente tramite il cosiddetto orecchio interno. Il circuito percettivo tra suono ascoltato e suono emesso è una vera e propria sintonizzazione tra apparato auditivo e fonatorio; così avviato, questo meccanismo genera quella sintesi funzionale cha fa del feedback individuale il principale punto di Chi forzaabbia e di autonomia formazionedivocale sia corale che solistica. Cosa s’intende? che su l’orecchio un minimodella di esperienza tecniche d’intonazione sa che intonare due S’intende voci umane un del cantante tende ad ‘autoformarsi’ indirizzando la frequenza emessa concordanza di armonici condil’ambiente sonoro suono fermo a distanza di ottava (rapporto frequenza 2:1) in non è un fatto di volontà né conoscenza Chi abbia un minimo di esperienza di tecniche d’intonazione cheeintonare due voci umane su un musicale, ma didagli induzione acustica. esterno. Come? Partendo intervalli fisicamente neutri: unisono, ottava sa giusta quinta giusta. suono fermo a distanza di ottava (rapporto frequenza 2:1) non è un fatto di volontà né conoscenza Condi un’abbondanza di esercizi e variabili, si giunge a umane incardinare il di gruppo Chi abbia un minimo esperienza di tecniche d’intonazione sa che intonare due voci su un suono fermo anelle distanza musicale, ma di induzione acustica. consonanze perfette con il semplice e unico ausilio dell’autoascolto. Senza ancora entrare di ottava (rapporto frequenza 2:1) non è un fatto di volontà né di conoscenza musicale, ma di induzione acustica. in Con un’abbondanza esercizi e “costretta” variabili, asiseguire giungeun’urgenza a incardinare il gruppodiventa nelle questioni di tecnica lasidi voce siatrova percettiva Con un’abbondanza di esercizi evocale variabili, giunge incardinare il gruppo nelle consonanze perfette con il che semplice ein unico consonanze perfette con il semplice e unico ausilio dell’autoascolto. Senza ancora entrare sempre più una necessità interiore. Impostando dal principio tale stile di lavoro, l’intonazione più ausilio dell’autoascolto. Senza ancora in questioni di tecnica vocale la voce si trova ‘costretta’ a seguire un’urgenza questioni di tecnica vocaleentrare laIn voce trovai capisaldi “costretta” a seguire un’urgenza percettiva chechiariti diventa che ottenuta, è “provocata”. tal si modo delle aggregazioni armoniche sono e percettivadisponibili che diventa sempre più una necessitàImpostando interiore. dalnaturale principio tale di lavoro, l’intonazione sempre piùper una necessità interiore. dal principio tale stile di stile lavoro, l’intonazione più più possibilità d’accordatura diverseImpostando (temperata, etc.). che ottenuta, è “provocata”. talcostantemente modo capisaldi delle aggregazioni armoniche sono chiariti che ottenuta, è ‘provocata’. In tal concorrono modo i In capisaldi dellei aggregazioni armoniche sono chiariti e disponibili per possibilità Due elementi all’ottenimento timbrico-intonativo ottimale. Sie disponibili per possibilità d’accordatura diverse (temperata, naturale etc.). d’accordatura diverse (temperata, naturale possono identificare come dueetc.). polarità con natura complementare, una tendenzialmente verticale Due elementi concorrono all’ottenimento timbrico-intonativo ottimale. Si Due elementi concorrono costantemente all’ ocostantemente ttenimento timbrico-intonativo Si possono identificare come l’altra orizzontale: l’unisono e il pedale. L’unisono, come origineottimale. e come convergenza d’intervalli possono identificare come due polarità con natura complementare, una tendenzialmente verticale melodici e armonici, viene una utilizzato in infinite variabili; “il” epiù puro L’unisono, degli due polarità con natura complementare, tendenzialmente verticale l’altrarappresentando orizzontale: l’unisono il pedale. l’altra orizzontale: l’unisono e il intonazione, pedale. L’unisono, come origine e come convergenza d’intervalli intervalli inquadra e incolonna timbro, ma anche dinamica delle diverse voci del ‘il’ come origine e come convergenza d’intervalli melodici e armonici, viene utilizzato in infinite variabili; rappresentando melodicicoro. e armonici, viene utilizzato inuninfinite variabili; rappresentando “il” più puro degli gruppo Unito al pedale, spesso in medesimo esercizio, consente di porre sotto controllo più puro intervalli degli intervalli inquadra eincolonna incolonna intonazione, intonazione, timbro, anche dinamica delle diverse voci delvoci gruppo inquadra eorizzontale timbro,ma ma anche dinamica delle diverse delcoro. anche l’intonazione e le relative risultanti armoniche. Unito al pedale, spesso in un medesimo di porre sotto controllo anchedi l’intonazione gruppo coro. Unito al pedale,esercizio, spesso consente in un medesimo esercizio, consente porre sottoorizzontale controllo e le Eccone un esempio relative risultanti armoniche. anche l’intonazione orizzontale e le relative risultanti armoniche. Eccone un esempio Eccone un esempio

Tramite un movimento obliquo le voci sonosull’unisono incolonnate sull’unisono sette (vedi le note: do, Tramite un movimento obliquo le voci sono incolonnate sette volte (vedi le note:volte do, mi bemolle, mi naturale) mi bemolle, mi naturale) fatto questo che non consente “distrazioni” percettive. fatto questo che non ‘distrazioni’ Tramite un consente movimento obliquo percettive. le voci sono incolonnate sull’unisono sette volte (vedi le note: do, Qui un esempio di pedale doppio e unisoni più distanziati. mi bemolle, mi naturale) fatto questo che non consente “distrazioni” percettive. Qui un esempio di pedale doppio e unisoni più distanziati. Qui un esempio di pedale doppio e unisoni più distanziati.

dell’esatta intonazione come anticipato, di tutto il gruppo, fatto per il intonativa quale 1 Z.Kodaly La con corresponsabilità le sue numerosissime opere a carattere didattico ci è, lascia un’eredità concettuale fondamentale per la formazione sia corale che individuale. i principali titoli: BICINIA HUNGARICA , ÈNEKELJÜNK (a due voci) (a tre voci). Tale diventa utileTra l’alternare in modo circolare i diversi ruoli TISZTAN da assegnare allee TRICINIA linee polifoniche.

La corresponsabilità dell’esatta intonazione2.7.4. è, come anticipato, di tutto possibilità il gruppo, fatto per il quale reversibilità è esemplificata nell’esempio Si considerino alcune combinatorie tra diventa utile l’alternare in modo circolare i diversi ruoli da assegnare alle linee polifoniche. Tale voci: reversibilità è esemplificata nell’esempio 2.7.4. Si considerino alcuneRECENSIONE possibilitàQUADERNI combinatorie tra | 51 FARCORO voci: - femminili (soprani-voce 1, alti-voce 2 e poi rovesciate)


La corresponsabilità dell’esatta è, come anticipato, di tuttodegli il gruppo, fatto per il qualealle diventa utilesia l’alternare Contestualmente alle intonazione consonanze perfette si precisano intervalli interni stesse, modo circolare i diversi ruoli sia da assegnare alle linee polifoniche. è esemplificata nell’esempioe 2.7.4. Si leinconsonanze (terze e seste) le dissonanze. Questa formaTale di reversibilità neutralità nel trattare consonanze considerino alcune possibilitàsostanzialmente combinatorie tra voci: dissonanze con criteri analoghi consente di non porre al coro aspetti “apparentemente” più facili o “apparentemente” difficili. Nell’esempio seguente, mantenendo - femminili (soprani-voce 1, alti-voce 2 e poi rovesciate) più - maschili (tenori-voce 1 bassi-voce 2 e poi rovesciate) l’uso associato di pedale e unisono si elabora l’esercizio sull’intervallo di quarta eccedente. - femminili (voce 1) maschili (voce 2) Contestualmente alle consonanze perfette si precisano degli intervalli interni alle stesse, sia maschili (voce(terze 1) femminili (voce le consonanze e seste) sia2).le dissonanze. Questa forma di neutralità nel trattare consonanze e Contestualmente consonanze perfette si precisano degli consente intervalli interni sia lealconsonanze (terze e seste) dissonanze con alle criteri sostanzialmente analoghi di alle nonstesse, porre coro aspetti sia le dissonanze. Questa forma di neutralità nel trattare consonanze e dissonanze con criteri sostanzialmente “apparentemente” più facili o “apparentemente” più difficili. Nell’esempio seguente, mantenendoanaloghi consente di nondiporre al coro aspetti si ‘apparentemente’ più facili o ‘apparentemente’ più difficili. Nell’esempio seguente, l’uso associato pedale e unisono elabora l’esercizio sull’intervallo di quarta eccedente. mantenendo l’uso associato di pedale e unisono si elabora l’esercizio sull’intervallo di quarta eccedente.

Con formule elementari come scale e arpeggi, in forme variate ritmicamente, con modalità imitative, con giochi di scambio tra voci etc. e soprattutto con un pertinente criterio di gradualità il processo di formazione audio-vocale procede utilizzando stilemi musicali per cosiddetta immersione. Ed ecco la parte ludica: combinando esercizi diversi ci si accorge che la letteratura ha elementari come diventare scale e arpeggi, in forme variate ritmicamente, conlamodalità imitative, con giochi di inCon nuceformule formule che elementari possono esercizi. Si rovescia la prospettiva, si capovolge. Tasselli Con formule come scale e arpeggi, in forme variate ritmicamente, con modalità tra voci etc. ericomposti soprattutto concombinati un pertinente criterio di gradualità ilnuovi processo di formazione audio-vocale procede discambio brani estrapolati, diventano esercizi preparatori. Si crea imitative, con giochi di scambioetra voci etc. ae piacere soprattutto con un pertinente criterio di gradualità il utilizzando stilemi musicali per cosiddetta immersione. Ed ecco la parte ludica: combinando esercizi diversi ci si un circuito tra audio-vocale grammatica eprocede letteratura. Ecco diventare esercizi per le formule diaccorge processo di virtuoso formazione utilizzando stilemi musicali cosiddetta che la letteratura ha in nuce formule che possono diventare esercizi. Si rovescia la prospettiva, la si capovolge. Tasselli di punteggiatura: immersione. Ed ecco la parte ludica: combinando esercizi diversi ci si accorge che la letteratura ha brani estrapolati, ricomposti e combinati a piacere diventano nuovi esercizi preparatori. Si crea un circuito virtuoso tra in nuce formule che possono diventare esercizi. Si rovescia la prospettiva, la si capovolge. Tasselli e letteratura. Ecco diventare esercizi le formule di punteggiatura: cadenze di grammatica branileestrapolati, ricomposti e combinati a piacere diventano nuovi esercizi preparatori. Si crea unle cadenze circuito virtuoso tra grammatica e letteratura. Ecco diventare esercizi le formule di punteggiatura: le cadenze

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le progressioni

le progressioni

le modulazioni le modulazioni le modulazioni

Il testo indugia e insiste su fattori chiave, in special modo quelli che spesso tendono a sfuggire. Solo come esempio si Il testo indugia e insiste su fattori chiave, in special modo quelli che spesso tendono a osservi l’attenzione posta all’intervallo melodico di seconda maggiore: cosa c’è di più agevole di cantare do-re? La risposta sfuggire. Solo come esempio si osservi l’attenzione posta all’intervallo melodico di seconda è che, frequentemente, talec’è intervallo paga per due di volte la sua precarietà d’intonazione: pigro (facile) tale e maggiore: cosa di più agevole cantare do-re? La risposta èè mentalmente che, frequentemente, per opposto la sua distanza richiede allargamento intonativo,d’intonazione: la sopratonica deve essere crescentepigro rispetto la tonica. intervallo paga indugia per due eun volte la sua precarietà è mentalmente (facile) e pera Il testo insiste su fattori chiave, in special modo quelli che spesso tendono Nell’esempio vedi la linea del soprano nelle prime misure. opposto la sua distanza richiede un allargamento intonativo, la sopratonica deve essere crescente

sfuggire. Solo come esempio si osservi l’attenzione posta all’intervallo melodico di seconda rispetto la tonica. maggiore: cosa c’è di più agevole di cantare do-re? La risposta è che, frequentemente, tale Nell’esempio lineavolte del soprano nelle prime misure. intervallo pagavedi perladue la sua precarietà d’intonazione: è mentalmente pigro (facile) e per opposto la sua distanza richiede un allargamento intonativo, la sopratonica deve essere crescente rispetto la tonica. Nell’esempio vedi la linea del soprano nelle prime misure.

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Un argomento come quello appena descritto si può sperimentare nell’esercitazione a due, a tre o a quattro voci e su tale conformazione modulare (come per un ipertesto) si può ampliare ogni sussidio spendibile in ogni ambito corale. Un argomento come quello si puòTale un tema distribuito nei treappena blocchidescritto del volume. duttilità d’utilizzo consente di predisporre un La scorrevolezza discorsiva agevola un iter formativo sperimentare a due, a tre o a quattro voci percorsonell’esercitazione funzionale a ogni esigenza. articolato ed esauriente. L’attenzione verso l’oggetto di e su tale conformazione modulare (come per un ipertesto) Nella parte degli esercizi a quattro voci, ossia con l’organico stabilizzatosi come standard studio (l’intonazione) è continuamente contestualizzata si puòclassico, ampliare le ogni tema distribuito nei tre blocchi tematiche già affrontate per glidelesercizi a due e a tre voci vengono ulteriormente comestili parte di fenomeni musicalmente compiuti; essa volume. Tale duttilità d’utilizzo con consente di predisporrein un diversi mostrate ed integrate esercizi-esempi e linguaggi: modalità rinascimentale, s’identifica quindi come particolare chiave d’accesso per percorso funzionale a ogni esigenza. magma, frazionamenti del semitono. Per quest’ultimo tema l’affinamento dell’ascolto-feedback l’indagine dei e lobattimenti. sviluppo diCome diversicoronamento fondamenti tecnici Nella consente parte deglil’utilizzo esercizi a quattro voci, ossia con e la padronanza dell’organico fenomeno acustico di e morfo-sintattici. Il primo di questi è evidentemente, lo stabilizzatosi come standard classico, le tematiche già ogni parte si trova un’utile sezione di esercizi ritmici e/o di agilità. strumento voce che qui è eletto a strumento ascoltoaffrontate perAmpio gli esercizi a due e a tre voci vengono rilievo assume il fattore timbro come sommatoria risultante da suoni combinati voce. Il secondo aspetto è la graduale consapevolezza ulteriormente mostrate ed integrate con esercizi-esempi (consonanze e/o dissonanze), registro e tensione vocale, numero di voci, parole associate. Oltre al principali procedimenti di natura armonica: in diversi stili e linguaggi: modalità rinascimentale, magma, repertorio classico Scattolin identifica specificiacustica branideicontemporanei utili a sviluppare tra consonanze, dissonanze, cluster e frazionamenti del semitono. Per quest’ultimo tema quell’attenzione attorno al “suono” come fenomenocollegamenti timbrico tipico del repertorio del XX e XXI addirittura suoni-rumore. Il terzo riguarda lo strumento l’affinamento dell’ascolto-feedback consente l’utilizzo e la secolo. Così facendo egli conferma quel concetto nel quale si dimostra che la sovrapposizione di insieme: un percorso come questo pone le premesse per padronanza del fenomeno acustico dei battimenti. Come suoni, sia secondo grammatica armonica, sia concepiti in dissonanza più o meno cromatica, è uno sviluppo-formazione omogeneo da parte di tutto il coronamento di ogni parte si trova un’utile sezione di prioritariamente un fatto timbrico. Si chiarisce in modo concreto che armonia e timbro sono gruppo. Quest’ultimo aspetto tende quindi a uniformare esercizi ritmici e/o di agilità. parametri musicali generati della medesima essenza fonico-acustica; l’esatta intonazione non si verso l’alto il rendimento del coro facendo emergere le Ampio rilievo assume il fattore timbro come sommatoria limita quindi solo a soddisfare una centratura di frequenze, ma è fattore costitutivo della qualità reali potenzialità sia individuali sia dell’ensemble. risultante da suoni combinati (consonanze e/o dissonanze), sonora. registro e tensione vocale, numero di voci, parole associate. Oltre al repertorio classico Scattolin identifica specifici brani contemporanei utili a sviluppare quell’attenzione attorno al ‘suono’ come fenomeno timbrico tipico del repertorio del XX e XXI secolo. Così facendo egli conferma quel concetto nel quale si dimostra che la sovrapposizione di suoni, sia secondo grammatica armonica, sia concepiti in dissonanza più o meno cromatica, è prioritariamente un fatto timbrico. Si chiarisce in modo concreto che armonia e timbro sono parametri musicali generati della medesima essenza fonico-acustica; l’esatta intonazione non si limita quindi solo a soddisfare una centratura di frequenze, ma è fattore costitutivo della qualità sonora. In conclusione il lavoro, frutto di profonda conoscenza e di esperienza della materia coro, s’inquadra come

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Sabato 27 e domenica 28 maggio presso l’auditorium ‘Levi Montalcini’ e la chiesa Mater Admirabilis di Riccione si sono svolte tutte le attività inerenti il concorso riservato a voci bianche e cori scolastici, che l’Associazione ‘Le allegre note’ organizza in collaborazione e sinergia con AERCO dal 2014.

IV Concorso corale Città di Riccione Un successo oltre ogni previsione DI Fabio pecci Quella del 2017 sarà un’edizione che resterà negli annali dell’attività corale Riccionese, in quanto l’affluenza di coristi e il numero delle formazioni iscritte è stato sensazionale. Ben 22 cori si sono incontrati in riva all’Adriatico in una due giorni intensa e gratificante; il concerto inaugurale ha visto protagonisti il coro di casa ‘Le Allegre Note’ diretto da Fabio Pecci e il coro ‘Aurora’ di Bastia Umbra (PG) vincitore dell’edizione 2016, diretto da Stefania Piccardi. I cori hanno portato a Riccione 493 coristi provenienti dalle province di Imperia, Mantova, Reggio Emilia, Bologna, Modena, Pesaro-Urbino, Ancona, Firenze, Ascoli Piceno, Macerata, Pescara, Campobasso, Perugia, Salerno, Taranto. A loro si sono uniti i 52 coristi riccionesi, per un mix fantastico di colori, voci e emozioni. A presiedere a tutte le esecuzioni una giuria qualificata ed attenta composta da musicisti e compositori di grande rilevanza nazionale. Il bellunese Manolo Da Rold ha avuto il compito di presiedere tutte le giurie composte da Andrea Basevi, compositore genovese autore di centinaia di composizioni per cori di ragazzi, il riminese Ilario Muro, il presidente della Commissione Artistica di AERCO Daniele Venturi, il materano Carmine Catenazzo. Le ‘quote rosa’ della giuria sono state rappresentate da Stefania Piccardi, direttrice dello splendido coro ‘Aurora’. Numerosi i premi ordinari, quelli speciali e le menzioni. Qui sotto riportiamo elenco dei cori premiati per ogni categoria e in generale. Categoria A – Scuola primaria Secondo Premio II livello con punti 87,00

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Coro ‘Orlandini – Scocchera’ di Ancona Secondo premio I livello con punti 83,00 ‘Minincanto’ di San Ginesio (MC) Terzo Premio I livello con punti 74,75 Coro ‘Extra’ di I.C. Castenaso (BO) Categoria B - Scuola secondaria 1° grado Primo premio II livello con punti 96,75 Coro ‘Don Dossetti’ di Cavriago (RE) Secondo premio II livello con punti 88,50 Coro ‘La Nuova Scuola’ di Pesaro Secondo premio II livello con punti 86,00 ‘I.C. Petrone’ di Campobasso Secondo premio I livello con punti 82,75 Scuola ‘Marri -S. Umiltà’ di Faenza (RA) Terzo Premio I livello con punti 73,75 Coro ‘Nazario Sauro’ di Imperia Terzo premio I livello con punti 73,50 Coro ‘Extra I.C. Castenaso’ (BO)

Coro ‘Aurora’ di Mirandola (MO) Assolutamente soddisfatti gli organizzatori che con grande impegno e spirito organizzativo hanno coordinato così tante persone e tutte le varie fasi delle esecuzioni. Tra l’altro i cori, dopo essersi esibiti in concorso hanno avuto la possibilità di esibirsi nel cuore della città in un apposito flash mob che ha contagiato centinaia di persone che si sono alternate ad ascoltare la carrellata dei cori. Una sfilata per le vie della città ha concluso la manifestazione, invadendo le strade di canti e allegria. Con questo Concorso, l’associazione ‘Le Allegre Note’ di Riccione ed AERCO intendono dare uno stimolo alla coralità scolastica e dei cori a voci bianche. Numeri veramente impressionanti quelli del 2017 che sono uno stimolo per le edizioni a venire. Appuntamento al 26 e 27 maggio 2018 e per chi volesse approfondire sul sito www. coroallegrenote.it

Categoria C – cori associativi Primo premio I livello ex – aequo con punti 90,40 Coro ‘La Corolla’ di Ascoli Piceno ‘Na’ Ara vocal ensemble’ di Firenzuola (FI) Primo premio I livello con punti 90,20 Coro ‘Aurora’ di Mirandola (MO) Primo premio I livello con punti 90,00 ‘Il Calicanto’ di Salerno Secondo premio I Livello con punti 80,80 Coro ‘Orlandini’ di Ancona Terzo premio I livello con punti 72,40 ‘Alboni youth choir’ di Città di Castello (PG) Terzo premio I livello con punti 70,60 ‘Piccoli Cantori’ di Pescara Terzo premio I livello con punti 70,20 Coro ‘Verdi ‘ di Ostiglia (MN) Sono inoltre stati assegnati i seguenti premi speciali Premio miglior presenza scenica ‘Jenny Berardi’ Coro ‘Na’ ara vocal ensemble’ di Firenzuola (FI) Premio Miglior coro Scuola Primaria ‘Nadia Calanca’ Coro ‘Orlandini’ di Scocchera di Ancona Premio Miglior coro Scuola Secondaria Coro ‘Don Dossetti’ di Cavriago (RE) Premio miglior coro scolastico in assoluto Coro ‘Don Dossetti’ di Cavriago (RE) Premio AERCO miglior coro Emilia Romagna Coro ‘Don Dossetti’ di Cavriago (RE) Premio miglior direttore Luca Buzzavi del Coro ‘Aurora’ di Mirandola (MO) Menzione per la miglior esecuzione di un brano a cappella Coro ‘Il Calicanto’ di Salerno Menzione per il repertorio più originale presentato Iv concorso città di riccione | 57


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REPERTORIO




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