e-FARCORO 3-2017

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FarCoro

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale- 70% CN/BO

n. 3 / 2017

Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori

Musica dell’anima

Analisi

Repertorio

Intervista a Mons. Massimo Palombella

Renato Dionisi

I Concorso di Composizione Corale Corinfesta


FarCoro

n. 3 / 2017

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Editoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 di Niccolò Paganini

La lettera del Presidente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 FARCORO Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori settembre - dicembre 2017 Edizione online www.farcoro.it Autorizzazione del Tribunale di Bologna N° 4530 del 24/02/1977 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - CN/BO. presidente Andrea Angelini presidente@aerco.emr.it Direttore responsabile Niccolò Paganini direttore@farcoro.it Comitato di Redazione Francesco Barbuto francescobarbuto@alice.it Luca Buzzavi lucabuzzavi@gmail.com Michele Napolitano napolitano.mic@gmail.com Alessandro Zignani alexzig61@gmail.com Grafica e impaginazione Elisa Pesci Stampa Tipolitografia Tipocolor, Parma Sede Legale c/o Aerco - Via Barberia 9 40123 Bologna Contatti redazione: direttore@farcoro.it +39 347 9706837 I contenuti della Rivista sono © Copyright 2009 AERCO-FARCORO, Via Barberia 9, Bologna - Italia. Salvo diversamente specificato (vedi in calce ad ogni articolo o altro contenuto della Rivista), tutto il materiale pubblicato su questa Rivista è protetto da copyright, dalle leggi sulla proprietà intellettuale e dalle disposizioni dei trattati internazionali; nessuna sua parte integrale o parziale può essere riprodotta sotto alcuna forma o con alcun mezzo senza autorizzazione scritta. Per informazioni su come ottenere l’autorizzazione alla riproduzione del materiale pubblicato, inviare una e-mail all’indirizzo: farcoro@aerco.it.

in copertina Coro Giovanile dell’Emilia Romagna

di Andrea Angelini

Primo Piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Coro Giovanile dell’Emilia Romagna di andrea angelini

Il futuro nella coralità di mario lanaro e andrea d’alpaos

Stile - Musica dell’anima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 Intervista a Mons. Massimo Palombella, direttore della Cappella Musicale Pontificia ‘Sistina’ di andrea angelini

Storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 La morte della luce di alessandro zignani

Tecnica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 L’importanza del gesto di leonardo lollini

Com’è bello cantar! a cura di luca buzzavi

Repertorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 Ordinario per Schola, Assemblea e Organo - seconda parte di Fulvio rampi

Un cantiere aperto sulla formazione corale infantile e giovanile: Corinfesta di luca buzzavi

Analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 Renato Dionisi di FRANCESCO BARBUTO

AERCO notizie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 70 anni di Coro Stelutis di puccio pucci

50 anni del Coro La Baita di davide mammi

FarC

Nativitas: i concerti di Natale dei cori AERCO


Editoriale

PROF. NICCOLÒ PAGANINI Direttore responsabile

Carissimi Lettori, quest’anno abbiamo voluto mettere in primo piano un tema quanto mai importante come il futuro nella coralità. Grazie alla ‘provocazione’ di Pier Paolo Scattolin e alle numerose e autorevoli risposte pubblicate crediamo di aver cominciato a proporre possibili soluzioni alle problematiche presentate. La nostra rivista vuole essere in prima linea nell’ offrire stimoli positivi e buone prassi, articoli di formazione vocale e di tecnica direttoriale e, naturalmente, brani di repertorio. Siamo consapevoli e certi che non sia più possibile improvvisare o lasciare al caso, occorre formarsi e programmare. Il futuro non s’improvvisa. Qualcuno obietterà che non si può neanche controllare, certo, ma almeno si può fare in modo di avere gli strumenti necessari per affrontare determinati problemi. Non c’è da stupirsi se qualche corista dopo tanti anni decida di smettere per dedicarsi a qualche altra attività; mi preoccupa maggiormente, invece, che non ci siano ancora molti giovani desiderosi di impegnarsi in un coro. Infatti, credo che sia un po’ generalizzata la carenza di uomini nei nostri cori: sono sempre in meno a decidere di cantare in coro. Questo settembre, nel mio coro, mi è capitato di rimanere, per una serie diversa di motivi, con soli tre tenori. Se sei un coro misto e non fai polifonia classica è un vero problema. È facile perdersi d’animo e pensare di mollare tutto. La fortuna, ma non solo, ha voluto che facessero richiesta di entrare sei nuove voci femminili. Con la disponibilità di alcuni contralti, dalla voce più profonda, ho deciso di spostarle nei tenori. In questo modo ho risolto il problema, per ora, ma sono consapevole che non può essere una soluzione definitiva. E’ necessario continuare a puntare sui cori scolastici, costituire o collaborare con compagini di voci bianche e giovanili. Questo è il futuro della coralità e del mio coro. Credo che sia fondamentale anche farsi conoscere maggiormente attraverso gli strumenti di comunicazione che la società di oggi ci fornisce, come un bel sito accattivante e sempre aggiornato e l’uso dei social. Un altro aspetto da non sottovalutare è il non restare chiusi nel proprio ‘orticello’, ma lavorare in rete e collaborare insieme con gli altri cori e con le associazioni di riferimento. Siamo fortunati perché tante sono le opportunità, anche da parte della nostra AERCO, che ci sono proposte; è necessario però crederci e partecipare. Sperando che troviate sempre nuovi stimoli all’interno della nostra rivista, vi auguro una ottima e proficua lettura.

Coro

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La lettera del Presidente Associazione Emiliano Romagnola Cori

Dr. ANDREA ANGELINI Presidente AERCO

‘Sembra che il confine tra il testo musicale e l’esecuzione si trovi nell’area delle alterazioni implicite’

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ALTERAZIONI SCRITTE ED IMPLICITE Fin dall’inizio dell’XI secolo i musicisti europei hanno avuto a loro disposizione tutto ciò che era necessario per segnare l’altezza delle note senza alcuna ambiguità. Nonostante ciò, i compositori di polifonia vocale sino alla fine del Rinascimento, ed anche oltre, non pensavano che avrebbero dovuto annotare ogni alterazione richiesta. Sapevano che alcune alterazioni potevano essere lasciate fuori dalla notazione, dal momento che i cantanti le avrebbero rese appropriate in ogni caso. Sappiamo dell’esistenza di questa pratica dalle rare ma esplicite dichiarazioni dei teorici del tempo, come ad esempio quell’autore che verso la fine del XIV secolo affermò che ‘in generale, non è necessario annotare [le alterazioni]’. Apprendiamo inoltre che, sebbene non ci fosse stato un accordo che prevedesse esattamente cosa annotare, la maggior parte dei musicisti scrisse alcune alterazioni, ma, al contempo, ne lasciò altre fuori. C’era una tendenza, infatti, a non trascrivere in particolare quelle alterazioni necessarie per evitare i tritoni melodici e quelle tipiche delle progressioni cadenzali. Dal primi anni del XVI secolo in poi i compositori hanno comunque sostenuto, con sempre maggiore frequenza, che le alterazioni dovevano essere sempre scritte. I teorici ci spiegano comunque perché alcune alterazioni sono state annotate mentre altre no. Poiché molte alterazioni erano implicite, come questione di convenzione nel contesto musicale, i compositori potevano contare sull’abilità dei cantanti per eseguirle correttamente, indipendentemente dal fatto che fossero scritte o meno. Lasciarle fuori dalla notazione non era necessario ma nemmeno proibito. Poiché non in tutti i contesti serviva indicare le alterazioni con la stessa medesima chiarezza, si poteva decidere di indicarne alcune anche se, in senso stretto, sarebbero state ridondanti. (Nei Choirbook o nei Partbook si trovano più facilmente le alterazioni usate nel contesto melodico e nelle formule cadenzali mentre è più difficile trovare quelle indicanti una relazione verticale.) E’ evidente, quindi, che la realizzazione delle inflessioni accidentali implicite apparteneva al contesto della prassi esecutiva. Ma se vogliamo evitare equivoci su quello che fecero i musicisti medievali e rinascimentali, allora abbiamo bisogno di comprendere chiaramente se le alterazioni implicite appartenevano alla sfera del testo musicale (che per ogni dato brano e per tutte le esecuzioni doveva rimanere invariato se l’opera voleva conservare la sua identità), o al campo esecutivo (che poteva variare in ogni singola esecuzione senza mettere in pericolo l’identità del lavoro). L’idea che uno degli aspetti di un’ opera poteva essere una questione di prassi esecutiva non tanto appartenente a quello che prima ho definito dominio esecutivo, ma piuttosto al dominio del testo musicale può apparire bizzarro solo in merito al presupposto anacronistico che la funzione della


 Gli Esacordi della Musica Ficta (da Lux Bella, 1492, p. 8)

 immagine della copertina del trattato ‘Practica Musica’ di

Hermann Finck (1527-1558), sull’arte del canto e della produzione di ornamentazioni ed alterazioni.

 parte del tenore dalla ‘Passione di San Matteo’ di Richard

notazione musicale è di fissare un ‘testo musicale ideale’ indipendentemente dalla sua specifica realizzazione, un atteggiamento moderno che non è diventato comune sino alla fine del XVIII secolo. Per i musicisti precedenti la funzione della notazione era di fornire istruzioni adeguate per gli esecutori. Questo spiega il loro atteggiamento pragmatico su ciò che ‘l’implicito poteva, ma non obbligatoriamente doveva, essere scritto’. Così la pratica del sottintendere, piuttosto che dello specificare, alcune alterazioni non significa necessariamente che queste non potevano appartenere al testo musicale. In realtà, sembra che il confine tra il testo musicale e l’esecuzione si trovi nell’area delle alterazioni implicite. Una volta che abbiamo capito le convenzioni che disciplinavano il loro uso, diventerà chiaro che molte alterazioni appartenevano al testo musicale invariabile, poiché i contesti che le richiedevano potevano essere realizzati in un solo modo. Ma si potevano trovare anche convenzioni che permettevano ai cantanti, in determinate situazioni, di scegliere tra diverse soluzioni disponibili. In alcuni contesti i cantanti potevano legittimamente esitare se alterare o meno, in altri non vi era alcun dubbio che l’alterazione era necessaria, ma la scelta di questa era comunque lasciata aperta. Vi sono prove, inoltre, che i cantanti, occasionalmente, erano in disaccordo su come realizzare il testo. Di conseguenza, alcune alterazioni implicite devono essere intese come non appartenenti al testo invariabile, ma alla variabilità della sua realizzazione. Quindi, anche se in alcuni contesti, gli esecutori possono aver avuto l’opportunità di scegliere tra diverse soluzioni accettabili, per la maggior parte dei casi dobbiamo pensare al problema delle alterazioni implicite in termini di testo musicale destinato ad essere realizzato correttamente da cantanti che leggono notazioni più o meno abbreviate. Questo modo di vedere il problema ci permetterà di evitare la pista falsa presa, a mio parere, da quegli studiosi che hanno sostenuto che, poiché le alterazioni implicite erano una questione di prassi esecutiva ‘è inutile lottare per una versione autentica’ e che è anche improprio includere le alterazioni nelle moderne edizioni critiche. Una volta che ci si rende conto che molte alterazioni implicite appartenevano alla sfera del testo musicale, e che, a differenza dell’atteggiamento dei musicisti del Rinascimento, la visione moderna della notazione richiede che il testo integrale sia scritto, diventa chiaro che la ricerca per la realizzazione corretta (o, in alcuni casi, la gamma delle realizzazioni accettabili) delle alterazioni implicite è responsabilità del direttore e che i risultati di questa ricerca dovrebbero essere illustrati in una edizione critica.

Davy (c.1465–1538). Conservata incompleta nel Eton Choirbook

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Primo Piano

All’incirca un anno fa, quando FENIARCO mi parlò del Progetto ‘Officina Corale del Futuro’, che prevedeva l’istituzione di dieci Cori Giovanili in altrettante regioni, pensai che fosse arrivato oramai il momento giusto per togliere un sogno dal cassetto. Anche noi partimmo con un bando di selezione per i coristi che ne avrebbero dovuto far parte.

Coro giovanile dell’Emilia Romagna Quel sogno che non è più nel cassetto DI andrea angelini Direttore di coro, compositore, Presidente AERCO

Per aderire al CGER https://form.jotformeu.com/aercobologna/CGER

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Primo PIANO

Purtroppo dopo circa un paio di mesi le risposte non erano sufficienti per aderire al progetto FENIARCO e lo scoramento in me e nei miei colleghi del Consiglio Direttivo si fecero evidenti. Perché questa debole adesione? Le motivazioni, ovvio, potevano essere tante: dalla pubblicità poco incisiva sino al mancato recepimento dell’importanza del progetto…Su quest’ultimo punto lasciatemi esternare la mia vision. Io credo che un Coro Giovanile Regionale debba non essere valutato come un nucleo elitario, che non rappresenti la coralità amatoriale; sarebbe così se i suoi componenti non provenissero da esperienze di cori amatoriali oppure se gli stessi fossero alla ricerca di un trampolino di lancio per la propria carriera professionale. Il Coro Giovanile, al contrario, costituisce le basi per un ‘laboratorio aperto a 360°’: lo è per i cantori che possono maturare esperienze fantastiche, lo è per i giovani compositori che possono farsi eseguire opere inedite, lo è per i giovani direttori che possono misurarsi con un organico esperto. Questa opportunità non poteva naufragare, condizionata da una scadenza di adesione al progetto nazionale… E fu così che, anche se non inseriti ufficialmente all’interno di ‘Officina Corale del Futuro’, decidemmo di insistere con la ricerca delle voci sino alla costituzione di un gruppo sufficientemente nutrito per cominciare! Silvia Biasini accettò con interesse e coraggio la nomina a direttrice e tutti insieme finalmente partimmo, all’inizio del 2017, verso la meravigliosa avventura. Sono sicuro che questo coro sarà d’esempio anche per altri giovani che andranno a sostituire coloro che per motivi anagrafici stanno


lasciando le fila dei propri cori d’appartenenza. Ovvio, il turn-over corale non passa solamente attraverso questo progetto (AERCO è molto impegnata nel promuovere la coralità scolastica e infantile in generale), ma è comunque un messaggio che vogliamo dare al mondo esterno: i giovani amano cantare e si impegnano per farlo! Questa breve intervista con Silvia Biasini, direttrice del Coro Giovanile dell’Emilia Romagna (CGER), renderà ancora più evidente con quale spirito e determinazione questi ragazzi hanno aderito a quel sogno ‘che il cassetto non racchiude più’! AA: Tutti gli esseri umani nascono con la musica dentro, o con la capacità di percepirla, alcuni più di altri, soprattutto se hanno la fortuna di essere spinti in quella direzione. Il tuo amore per la musica, da cosa nasce? SB: In casa mia fin da bambina ho sempre respirato aria di musica. Mio nonno materno, cantante, organista, corista del coro lirico della città, mi ha fatto appassionare all’opera lirica che ascoltavamo insieme tutti i pomeriggi e da lì è iniziato il lungo viaggio che mi ha portato alla grande passione per la polifonia e la musica corale. AA: Attraverso quali fasi si è sviluppata l’attività del Coro Giovanile Regionale dell’Emilia Romagna? Quali i punti di svolta più significativi? SB: È stato fondamentale il ruolo di AERCO che ha creduto fortemente in questo progetto fin da subito. I punti di svolta sono stati due: la tua decisione, come Presidente, di partire col progetto fissando le prove anche se con soli 10 iscritti al coro e il coraggio di affrontare il concerto del 9 aprile, nostro debutto, dopo sole 2 prove. Questo ha dimostrato ai ragazzi totale fiducia che hanno ricambiato con un grande impegno.

AA: Essendo un coro di recente formazione penso che sia importante anche il lavoro sull’incontro del gruppo, sul contatto tra i vari componenti. Quali le strategie per favorire questa consapevolezza? SB: La sinergia tra le persone e il dialogo anche non verbale fatto di sguardi e sorrisi è importantissimo, per questo facciamo quando è possibile attività anche per favorire questo aspetto che tra le altre cose portano anche alla preparazione vocale prima della prova. Spesso invertiamo la posizione delle sezioni vocali all’interno del coro per permettere un semplice sguardo tra i cantori e quando vi è la possibilità, cantiamo in cerchio a sezioni miste uomini/donne. Il contatto è assicurato! Quando le prove si protraggono tutto il giorno è fondamentale trascorrere il pranzo insieme, è un divertimento assoluto! AA: Come si sviluppa il lavoro del coro, come imposti le prove? C’è una particolare attenzione anche al lavoro corporeo, oltre che a quello vocale? SB: La gestione della prova del coro giovanile regionale è molto diversa dalle prove dei cori a cui coro giovanile dell’emilia romagna | 7


tutti noi direttori siamo abituati, soprattutto per il fatto che è mensile e non settimanale, quindi da direttore devi concentrare il lavoro di quattro prove in una sola, spesso con un concerto la sera. Il lavoro corporeo è molto importante perché una prova di una giornata implica tensioni che, se non vengono risolte, possono creare agitazione e preoccupazione in concerto. Devo ammettere che la prova giornaliera seppur molto stancante per un direttore, è molto formativa, mette alla prova le capacità comunicative e tecniche del direttore e serve a forgiarne la tenuta e la concentrazione. AA: In base alla tua esperienza, quali sono le problematiche maggiori per chi, come te, è impegnata nella direzione di un coro giovanile? SB: Innanzitutto la difficoltà maggiore è convincere i giovani che cantare non è un’operazione ‘noiosa’ ma tutt’altro, poi una volta convinti e trovati, c’è il fatto di trovare un repertorio vario che possa accontentare tutti e quindi appassionarli al coro, dal cantante barocco che ha studiato in Conservatorio, al musicista rock, al ragazzo che sotto la doccia canta solo musica leggera, per arrivare al cantante lirico. Per questo il nostro repertorio comprende un po’ di tutto e sono pronta ad accettare da loro suggerimenti in merito. AA: Una cosa prodigiosa della musica è che è un’arte che si svolge nell’immediato, qui e ora. Quali sono gli obiettivi per i quali vi state impegnando? SB: Ho cercato un repertorio che potesse creare un suono del coro, che potesse dare a questi ragazzi un’identità corale e sebbene il cammino sia ancora lungo, ci stiamo riuscendo. Un altro obiettivo sarà quello di ampliare il repertorio spingendoci indietro nel tempo nella polifonia rinascimentale. AA: Quali sono i risultati dell’attività fin qui svolta, che ti rendono più orgogliosa? SB: Il CGER è formato da 20 coristi che una domenica al mese da tutta la regione si alzano presto, arrivano alle prove alle 10 con tantissima grinta e voglia di cantare, affrontano ore e ore di prova con il sorriso e durante il concerto danno il massimo, tutto questo mi rende estremamente orgogliosa, molto più forse della lettura di una difficile partitura come il Kyrie di H. Pousseur che abbiamo portato in concerto il 22 ottobre a Bologna e il 29 Ottobre a Ferrara. AA: E’ importante come coro avere un momento particolare per mostrare il proprio lavoro, raggiungendo un contatto significativo con il pubblico. Quali sono state le occasioni che vi hanno permesso di stabilire questo contatto? SB: Il 9 aprile, giorno del nostro debutto in occasione dell’assemblea di AERCO, momento molto proficuo che ha portato anche l’inserimento di nuovi cantori; 22 ottobre a Bologna nella Chiesa di San Benedetto per la Rassegna CantaBo, un momento molto importante e un grande onore poter dividere il concerto con il Coro da Camera di Bologna diretto dal m° Pier Paolo Scattolin, il 29 ottobre siamo stati a Ferrara, ospiti della Rassegna Roffi insieme al coro di voci bianche Le Allegre Note e il 23 dicembre andremo a Gaggio Montano per partecipare ad una rassegna natalizia.

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Il Coro giovanile in concerto a Parma

Primo PIANO

‘Il Coro Giovanile è un ‘laboratorio aperto a 360°’: lo è per i cantori che possono maturare esperienze fantastiche, lo è per i giovani compositori che possono farsi eseguire opere inedite, lo è per i giovani direttori che possono misurarsi con un organico esperto’


Primo Piano

In uno dei miei primi interventi, anni fa, aprivo con una domanda: ci ritroviamo per cantare o cantiamo per ritrovarci? Era uno spartiacque allora e lo è ancora. Sembrerà semplicistico, ma se un coro è più interessato a far musica e mette in secondo piano la divisa e i concerti-scambio ha maggiori probabilità di superare quelle difficoltà che fanno parte della vita di un’associazione.

Il futuro nella coralità Nel primo numero di FarCoro del 2016 abbiamo pubblicato un articolo del M° Pier Paolo Scattolin, dal titolo ‘Il futuro nella coralità’, da cui sono scaturite interessanti riflessioni dei nostri lettori. Ne pubblichiamo due.

di MARIO LANARO

MARIO LANARO È organista (allievo di R. Buja), direttore di coro e orchestra. Svolge attività didattica al Conservatorio di Verona (dal 1993 Cattedra di Esercitazioni Corali), dopo aver insegnato a Rovigo, Trento e Riva del Garda. Da giovanissimo ha iniziato la sua carriera come direttore di coro, ottenendo già prima dei vent’anni quattro vittorie ai concorsi corali nazionali di Vittorio Veneto, Adria e Ivrea col Gruppo Corale Valleogra di Schio. Interessato alla composizione corale ha ottenuto vari riconoscimenti. Collabora con varie case editrici, con associazioni musicali ed enti a livello nazionale ed internazionale. Ha diretto il Gruppo Corale Valleogra di Schio, il coro della Brigata Alpina Julia (1981-82), la Schola Cantorum di Malo (1975-97), il Concentus Vocalis (Vicenza), lo Studio Corale di Verona (1997-98), il coro-laboratorio Studio 97 (prov. di Vicenza) e l’Insieme Vocale “Umberto Zeni”.

Un direttore che continua a perfezionarsi, ascoltando e studiando per proprio conto nuove pagine (non solo su Youtube), che non ha paura di farsi ‘vedere’ da un collega più esperto, ha più possibilità di trovare nuove voci, porterà innovazioni, avrà il coraggio di rischiare e di aprirsi ai cambiamenti. Qual è il futuro della coralità? Cosi formulata è una domanda a cui è difficile rispondere dato che le identità e il livello medio dei cori cambiano di regione in regione. Più che vivisezionare l’ambiente corale dovremmo portare alcuni esempi di gruppi che godono di buona salute: non è difficile trovarli. Nelle mie lezioni al Conservatorio di Verona e nelle chiacchierate dopo prove mi soffermo spesso sugli aspetti emozionali, facendo notare che amare il proprio gruppo e sentirsene parte non deve impedire il dialogo con altri cori, l’apertura alla collaborazione tra direttori e cantori. C’è invece la paura del confronto, specialmente quando ci si accontenta di risultati modesti, tanto da invitare alla propria rassegna annuale complessi che mantengono lo stesso livello (se non inferiore). Ci si lamenta da qualche tempo per le poche occasioni concertistiche, e ciò vale per la polifonia quanto per la derivazione popolare. Conosciamo tutti il ritornello se c’è il concerto ci si impegna di più, ma in tempi di ristrettezze urge rivalutare la primaria funzione educativa della lezione; in altre parole il cantore dovrebbe trovare maggior appagamento nella gioia di apprendere, nella prioritaria consapevolezza di una crescita musicale, culturale e umana. La prova serale

IL FUTURO NELLA CORALITA’ | 9


dovrebbe diventare il momento più intenso della vita di un corista. Pretendere questo è ‘Dobbiamo forse utopistico? Per me, che da quarant’anni insegno ad amare il canto corale, a perfezionare incoraggiare il gesto, l’analisi, la pianificazione della prova, utopia non è. Non commettiamo l’errore di tutte le forme cercare giustificazioni all’esterno senza prima guardare dentro la nostra sala prove. Per un momento non lamentiamoci di una scuola che non sente l’esigenza di un corso di teatro o di coralità, di un coro in ogni classe; evitiamo le critiche a chi continua a proporre in chiesa musiche e dobbiamo testi di bassissimo livello. Questo è il nostro habitat, purtroppo: continueremo a professare le nostre convinzioni, certamente, ma ora analizziamo senza sconti la coralità amatoriale. sostenere La voglia di imparare, l’esigenza di migliorare la propria voce, quella della sezione e di tutto concretamente l’insieme resta a mio avviso l’obiettivo primario, poi verrà il resto. quelle realtà Nel momento in cui un coro entra in crisi, e i motivi possono essere dati da monotonia repertoriale, tempi di lettura biblici, mancanza di concerti, cantori che lasciano, l’anagrafe corali che sempre più avanzata, si deve avere il coraggio di intervenire in tempi brevi. Cercare soluzioni investono nella rapide, anche radicali, è da preferire ad una lenta agonia nella speranza che cambi qualcosa dall’esterno. Da anni sostengo che non son tanto i repertori da rivedere, ma il modo con musica e che, cui vengono portati al pubblico. Molti cori, sia pur preparati musicalmente, sul palco sono prima di tutto, impacciati e non brillano per agilità scenica; al presentatore manca la dimensione del si ritovano per tempo, non c’è una regìa, un filo conduttore. Abbiamo stancato il pubblico con le lunghe presentazioni, le targhe-ricordo, i saluti dell’assessore e del parroco, il brano a gruppi uniti cantare’ a fine serata. Sono tutti ingredienti che hanno fatto il loro tempo, altri devono essere i ritmi, altri i dosaggi: meno parole e più musica. Al concerto dell’anniversario (decennale, ventennale ecc.) non dedicheremo tutta la serata a celebrare il passato, con il concorso vinto quindici anni prima e l’elencazione dei cantori che son passati in sala prove (ottima cosa stampare tutto questo in un opuscolo apposito), ma inviteremo un coro (magari più bravo) ed eseguiremo la prima pagina con cui il coro ha iniziato e l’ultima imparata. I Cantori di Santomio, nei concerti per il loro cinquantesimo, stanno eseguendo otto mottetti commissionati ad altrettanti compositori. Sono vari i cori che chiedono ad un musicista uno o più lavori, all’interno di un ampio progetto compositivo da sviluppare nel tempo: ecco il futuro. La velocità di produzione resta il primo obiettivo per tutti, alle prime esperienze o dopo anni. Il direttore dovrebbe migliorare la fase di lettura evitando le lunghe attese ai cantori che aspettano annoiati il loro turno. Saper leggere individualmente la propria parte resta un traguardo, ma ci possono essere altre strategie: capi-sezione che provano in sale diverse, tracce studio molto curate (cantate dallo stesso direttore o da un corista con la supervisione del maestro) da ascoltare per proprio conto prima della prova serale; proposte di ascolto di vari brani (anche qui serve lo sforzo personale) da studiare in futuro o anche solo per un ampliamento delle conoscenze. Soprattutto è la preparazione del direttore che può velocizzare questa prima fase: migliorando la sua prima vista nel canto e al pianoforte, curando il suo timbro, cercando nuove parole eleverà il suo messaggio pedagogico. Ogni parte va ben assimilata ed eseguita poi davanti al cantore con sicurezza, dato che quella prima immagine sonora rimarrà sempre impressa nella sua mente. Alcune associazioni corali sono composte dalla formazione principale, madrigalistica (o gruppo scelto) la sezione giovanile e le voci bianche; il corista più portato, che ha già una formazione di  Mario Lanaro al Festival di Primavera base, viene sostenuto economicamente nel frequentare corsi di perfezionamento proposti

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Primo PIANO


 Lezione sul gesto di Mario Lanaro al Conservatorio ‘E. F. Dall’Abaco’ di Verona

dalle associazioni regionali (meglio ancora se affronterà un corso accademico al conservatorio); a lui verrà poi affidata la conduzione della formazione giovanile o voci bianche. Serve una felice intesa tra i direttori e nella gestione amministrativa. I rischi ci sono dato che appena la nuova sezione cammina da sola potrebbe sentire il bisogno di autonomia. Conosciamo casi dove un vicedirettore se ne va portandosi appresso una fetta di coro o un’intera sottosezione, dando vita ad una nuova realtà. La cosa, a prima vista, sa di tradimento... ma siamo sicuri che ciò sia veramente negativo? Tanti sono i gruppi giovanili che stanno raggiungendo ottimi risultati. I cori scolastici non sono più una novità: a loro diremo che non esiste solo Oh happy day o Sister Act, ma De Andrè, Il Quartetto Cetra, tanto pop italiano da rivisitare. I compositori creeranno pagine ad hoc a tre voci miste (senza rimpiangere la più completa scrittura per SCTB) con testi poetici del passato e nuovi. Accanto ai giovanili esiste l’attività corale delle Università degli Adulti, grande bacino di energie: investiamo anche nella terza e - oggi - quarta età: ecco il futuro. Al Conservatorio Dall’Abaco, nel biennio di Musicoterapia, propongo vocalizzi, esercizi, giochi parlati e cantati, canti adatti alle voci anziane. Se sia più importante avere buoni coristi o un buon direttore è una questione mai risolta: sono due componenti che si fondono continuamente, impossibile separarle. Io punto il dito verso il maestro, mi sento di farlo perché è un problema che vivo da oltre quarant’anni, come esecutore, compositore e docente. C’è una coralità

che sta invecchiando (penso ai cori ANA e ai maschili di derivazione popolare in genere, ad alcune scholae cantorum) ed è una realtà che va accettata con serenità, senza rabbia. I giovani non amano cantare! Niente di più sbagliato, ho incontrato in una mia masterclass a Milano i bravi allievi del Coro CET: il più ‘vecchio’ ha venticinque anni. Purtroppo non esiste la pillola della giovinezza vocale, ma c’è ancora spazio per elevare la qualità delle forze presenti, che formano attualmente i nostri cori. Dobbiamo incoraggiare tutte le forme di coralità, nelle scuole, quelle più umili ancorate all’associazionismo; dobbiamo sostenere concretamente, anche economicamente, quelle realtà corali che investono nella musica e che - prima di tutto - si ritrovano per cantare.

IL FUTURO NELLA CORALITA’ | 11


Pensieri sparsi sulla coralità italiana di ANDREA D’ALPAOS

Ho accettato con grande piacere l’invito a scrivere qualche considerazione sul tema della coralità. Ho letto con attenzione l’articolo del M° Scattolin nel quale vengono offerti tantissimi spunti di riflessione. Concordo sul fatto che la strada da percorrere sia lunga e complessa ma se mai si parte mai si arriverà.. Ciò che scrivo non ha forma organica...è piuttosto una serie di pensieri sparsi che riguardano il far coro , l’arte, le idee che creano la musica. Partiamo da una presa di coscienza: Il mondo cambia. Le cose cambiano. Le mode passano. Una parte del mondo corale è in crisi perché la società che ha prodotto e determinato alcuni valori è entrata in crisi. E’ cambiata, si è evoluta (purtroppo forse involuta...). La comunicazione cambia costantemente quindi i modi di comunicare si adeguano. Ci sono delle con-cause per il disinteresse verso la musica corale. Bisogna fare, se non autocritica, un’analisi obiettiva. La tecnologia ha modificato le abitudini nella fruizione dei prodotti e nell’organizzazione del tempo libero (quindi nella vita sociale). Ci sono dei vantaggi: YouTube ci consente di ascoltare, scoprire, conoscere migliaia di canzoni, artisti, gruppi. Possiamo cliccare download e scaricare testi, spartiti, canzoni in un secondo. Con un unico click possiamo far viaggiare un file nei computer di tutti i coristi contemporaneamente (non son passati millenni da fotocopie e audiocassette). Ma ci sono ovviamente andrea d’alpaos Laureato in Lettere, ha conseguito la Licenza di Teoria e solfeggio, il diploma di Storia della musica, il diploma di Armonia complementare. Dal 1998 è direttore del Coro Gospel Joy Singers, che si è distinto vincendo i Concorsi nazionali di Gallio (2003), Roncade (2002) e il T.I.M. (Torneo Internazionale di Musica) Edizione 2000 e partecipando alla registrazione del CD Sogno di Andrea Bocelli. E’ direttore inoltre dei Gospel Mini Singers e dei Revelation Singers. E’ autore di testi e musiche per colonne sonore di film e allestimenti teatrali. Ha ottenuto per due edizioni consecutive, nel 1999 e nel 2000, il Premio come miglior compositore gospel al Concorso Internazionale ‘Song Expo’ , in Olanda.

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Primo PIANO

gli svantaggi: la pigrizia! Il mondo è tutto dentro al nostro cellulare quindi la realtà diventa non necessaria. Non usciamo più per andare a comprare un disco...possiamo scaricarlo sul cellulare. Non andiamo a sentire un concerto e se fa freddo e piove saltiamo le prove del coro perché tanto arriverà a casa il file audio! Diciamo che dobbiamo trovare un nuovo equilibrio e accettare che ci siano diversi punti di vista. Venticinque anni fa quasi non esistevano cori gospel, vocal pop o simili. Essendo stato io uno dei ‘colpevoli’ a proporre un diverso modo di far coro ricordo perfettamente la ‘chiusura’ e lo scetticismo del mondo corale ‘accademico’ e a lungo le nuove proposte son state guardate con diffidenza. Adesso ci sono centinaia di cori gospel o pop e in tanti concorsi si è provveduto a creare categorie specifiche. E’ una nuova realtà che sta cercando spazi e una propria identità. E’ certo preoccupante che altre tipologie di coro stiano vivendo un momento di difficoltà ma dobbiamo anche accogliere positivamente lo sviluppo di nuove forme espressive e un nuovo modo di socializzare e stare insieme. Musica di qualità Penso che tutti siano d’accordo sulla ricerca di qualità. Dire musica classica non garantisce la qualità. Cosa vogliamo dalla coralità italiana? Io direi: energia, coinvolgimento, stupore e curiosità, capacità di comunicare. Polifonia rinascimentale o barocca, repertorio romantico o contemporaneo, gospel o vocal-pop... non importa quale di queste strade scegliamo; ciò che conta è il cercare la bellezza del suono, il piacere nel raggiungere nuovi traguardi, la cura del dettaglio. La cura della presentazione (come presentiamo e come ci presentiamo). Non basta mettersi una tunica per essere ‘gospel’ così come non basta dare al coro un nome altisonante per cantare ‘barocco’. Questo significa rispetto per noi stessi e per il pubblico. Quando c’è qualità allora possiamo e dobbiamo accettare diverse prospettive. Nel proporre un autore (ad esempio Bach) o un brano possiamo: ispirarci a…, rendere omaggio a..., dare un nuovo colore a..., giocare con... ma ciò che conta è la qualità. Si può anche giocare con la musica colta se fatto con rispetto e qualità (to play, spielen, jouer... giocare/ suonare… come sapete, in molte lingue le parole giocare e suonare coincidono). Cosa significa qualità? Secondo me è riuscire a proporre un’idea al 100% delle nostre possibilità. Mi piace ascoltare i ‘cori bravi’ (es. Coro Giovanile Italiano) ma provo la stessa emozione quando


 Andrea D’Alpaos e i Joy Singers

ascolto un brano di qualsiasi coro minore di provincia che ha dato in quel brano il massimo della propria potenzialità. La musica ha un grande potere evocativo. Se espressa con totale dedizione non può non creare momenti di magia e una vibrazione che unisce coristi, direttore e pubblico. Bisogna capire e sfruttare l’opportunità, il privilegio di salire su un palcoscenico. La musica nelle scuole Dirò cose banali e già sentite; non serve uno scienziato per affermare che arte e musica avrebbero un incredibile impatto positivo su bambini e ragazzi. I limiti della scuola italiana sono evidenti e imbarazzanti. Facciamo mea culpa nel senso che, data per cronica l’assenza delle istituzioni politiche, dobbiamo smettere di lamentarci e imparare ad ottimizzare il pochissimo tempo e le scarse risorse economiche. Un consiglio per le scuole ma utile anche ai cori: investire un po’ di tempo e risorse con collaborazioni di qualità. Troppo spesso le scelte del repertorio o degli insegnanti per preparare un concerto o un percorso didattico sono orientate verso chi offre il prezzo più basso. La competenza ha un costo e soprattutto un valore. A volte è più produttivo investire le risorse in un docente che verrà per un numero limitato di lezioni ma che con il suo carisma e competenza darà una spinta incredibile ai ragazzi. Tornando alla qualità, negli ultimi anni la Feniarco e le associazioni regionali hanno fatto un grandissimo lavoro sulla qualità creando occasioni di incontro e corsi di formazione e specializzazione per direttori di coro, i cui risultati già si vedono (ho ancora negli occhi e nel cuore l’energia e l’entusiasmo dei cori scolastici che hanno partecipato al Festival di Primavera a Montecatini ). Il prossimo passo da sostenere con grande attenzione è un nodo fondamentale: la comunicazione. La qualità non basterà se non si saprà trasmetterla. Questo concetto è legato al problema del pubblico e della carenza di coristi citato dal M° Scattolin. Dobbiamo ripensare la comunicazione. Come detto all’inizio le cose cambiano

e le mode cambiano... Un concerto ha motivo di esistere se c’è una relazione tra i suoi elementi necessari: Coro, repertorio, pubblico. Nel proporre repertori impegnativi bisogna sempre ricordare che lo scopo del concerto è il comunicare, trasmettere un’idea, un’emozione, dei valori. E fondamentale la scelta della scaletta: ad esempio, dopo aver eseguito un brano della durata di 10 minuti con armonie ‘impegnative’ che richiedono particolare attenzione nell’ascolto, sarebbe una buona idea che il brano successivo fosse meno ‘impegnato’ e un po’ più accattivante. Dobbiamo accettare e tener presente che una delle tante cose cambiate nei secoli è la soglia di attenzione, la capacità di concentrazione. Contaminazioni Ho grande ammirazione e rispetto per le ricerche e le esecuzioni filologiche ma, come già detto, bisogna pensare a come trasmettere in maniera leggibile le storie d’altri tempi. Soprattutto non sono utili alla coralità le chiusure élitarie nei confronti di chi invece vuole sperimentare o vuole giocare con le idee... Monteverdi o Gesualdo da Venosa sono stati dei magnifici ribelli del loro tempo andando oltre tutte le convenzioni. Bach a volte non ha voluto, ma spesso non ha potuto scrivere in uno stile diverso per i limiti imposti dalla sua società, dalle condizioni economiche e dai suoi datori di lavoro! Perché quindi non esser liberi di sperimentare senza sensi di colpa spaziando tra gli stili e i repertori? Contaminare non ha solamente una connotazione negativa... Quanto detto in maniera sommaria non ha nessuna velleità dottrinale. L’unico scopo era quello di offrire alcuni spunti per aprirsi a idee diverse. Vedere le cose da altri punti di vista con la speranza che ci possa essere più curiosità e determinazione da parte di tutti a far sì che tutte le strade intraprese dai vari cori, direttori, compositori trovino sempre più spesso delle convergenze o dei crocevia. Dei punti di ristoro dove ci si possa fermare ogni tanto per rigenerarsi e per un momento di condivisione del viaggio nella musica. IL FUTURO NELLA CORALITA’ | 13


Stile Musica dell’anima

La Cappella Musicale Pontificia ‘Sistina’: fra Tradizione e Modernità Intervista con il maestro-direttore, Mons. Massimo Palombella

di ANDREA ANGELINi Direttore di coro, compositore, Presidente AERCO

MASSIMO PALOMBELLA Fondatore e Maestro Direttore del Coro Interuniversitario di Roma, ha lavorato nella pastorale universitaria della Diocesi di Roma dal 1995 al 2010. È stato docente fino al 2011 alla Pontificia Università Salesiana e insegna al Conservatorio G. Cantelli di Novara, nel biennio di specializzazione in Musica Sacra, di Composizione per la Liturgia, Polifonia Romana e Legislazione della Musica Sacra. Inoltre è stato docente all’Università La Sapienza di Roma, al Conservatorio di Torino e al Pontificio Istituto di Musica Sacra in Urbe ha insegnato Liturgia. Dal 1998 al 2010 ha diretto la Rivista di Musica per la Liturgia Armonia di Voci, dell’Editrice ElleDiCi. Il 16 ottobre 2010 è stato nominato da Papa Benedetto XVI maestro direttore della Cappella Musicale Pontificia ‘Sistina’ e riconfermato nel 2015 da Papa Francesco. Il 14 gennaio 2017 Papa Francesco lo ha nominato consultore della Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti.

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Andrea Angelini: Considerando i nostri tempi, ci piacerebbe che parlasse della Musica sacra tra cultura e liturgia: quali riflessioni e proposte in merito alla situazione in Italia? Massimo Palombella: E’ molto interessante il connubio cultura e liturgia perché è esattamente quello su cui il Concilio Vaticano II, l’ultima grande riforma liturgica che ha fatto la Chiesa Cattolica, ci pone doverosamente; chiedendoci il dialogo con la modernità, la Chiesa desidera, in ambito musicale, anche la ricezione nella musica destinata alla liturgia di quanto oggi è il patrimonio e la cultura musicale; basti pensare all’avanzamento che ha fatto la musica con il Novecento, dopo Wagner, dopo Mahler… In qualche modo credo che il Concilio ci chieda due cose: dapprima, che l’azione compositiva per la liturgia debba tener conto di dove siamo oggi e non di guardare indietro; d’altra parte c’è la salvaguardia del patrimonio culturale della Chiesa - che è l’origine della musica occidentale ovvero il canto gregoriano e la polifonia. Il Concilio, chiedendoci il dialogo con la modernità, ci ricorda di non sottovalutare gli studi semiologici intrapresi su questa materia. Il canto gregoriano, dopo il lavoro scientifico fatto da Solesmes, che ci ha consegnato il Graduale Triplex1, non possiamo più pensare di eseguirlo con il Liber Usualis.2 1 Il Graduale Triplex è un libro liturgico che contiene i canti della messa del repertorio gregoriano. È stato pubblicato nel 1979 ed è stato continuamente ristampato dall’Abbazia di Solesmes su mandato ufficiale della Chiesa cattolica. 2 Il Liber Usualis Missae et Officii, ma più comunemente Liber Usualis, è un libro liturgico che contiene una raccolta dei canti gregoriani utilizzati non solo dalla Chiesa cattolica


 Mons. Massimo Palombella

Con gli studi semiologici intrapresi, con tutto quello che è il patrimonio culturale che ci è arrivato a livello di studi scientifici, chi esegue la polifonia rinascimentale nella Liturgia ha il dovere di tradurre il segno grafico in segno sonoro con pertinenza. Ecco le due grandi sfide che in qualche modo il Concilio Vaticano II pone, oggi. In Italia la Conferenza Episcopale, da questo punto di vista, ha avviato da tempo un massiccio ed importante lavoro culturale, anche con la codificazione di un repertorio nazionale di canti. In sostanza si sono avviati dei processi, che qualcuno magari non apprezzerà, lamentandosi ‘Perché una volta, una volta…’. Se guardiamo la storia, anche il Concilio di Trento avviò dei processi e noi conosciamo chi, subito, in questi processi entrò: Giovanni Pierluigi da Palestrina. In quel momento la Cappella Sistina fu la prima grande realizzatrice del Concilio tridentino, con l’intelligibilità del testo; però prima che la riforma liturgica entrasse in tutto il contesto ecclesiale sono passati tanti anni. Quindi, di romana. Dei canti vengono trascritti i testi e la melodia nella sola notazione quadrata. La prima edizione risale al 1896, effettuata dai monaci dell’Abbazia di Solesmes. Sono seguite diverse edizioni e dopo il Concilio Vaticano II non ha avuto più nuove edizioni. Il Liber Usualis è diffuso in tutto il mondo in latino, anche se attualmente viene sostituito dal più aggiornato Graduale Triplex dove nel repertorio, oltre alla notazione quadrata, viene trascritta anche la notazione sangallese e metense e dove la scelta dei brani è più meditata.

per sé, noi siamo molto vicini al Concilio Vaticano II. Devo dire che in Italia sono stati avviati ottimi processi per la realizzazione del Concilio, che è un lavoro lungo perché significa pensare con una lingua viva, e questo significa entrare automaticamente in un contesto culturale che bisogna conoscere e occorre inoltre ‘declinare’ oggi tutto il grande patrimonio culturale della Chiesa. Si tratta di un lungo, grosso lavoro che necessita di studio e di ricerca e sono convinto che la Chiesa italiana ha avviato un ottimo lavoro sotto questo punto di vista. AA: Il mondo corale è spesso un settore di nicchia, poco valorizzato o criticato. Partendo dalle parole pronunciate da Papa Francesco che ha sottolineato la necessità di valorizzare il patrimonio della musica sacra ed anche la sua attualizzazione con linguaggi moderni, quali potrebbero essere le proposte per educare i giovani alla musica corale sacra? MP: Io penso che ci sia un principio, alla base, quando parliamo di giovani e parliamo di educazione: bisogna amare ciò che amano i giovani perché loro amino ciò che amiamo noi. Nella mia esperienza - prima di diventare Maestro della Cappella Sistina, lavoravo nell’Università dove svolgevo, oltre all’insegnamento, anche attività pastorale avendo un coro - non ho mai trovato difficoltà nel lavorare con i giovani ad un livello alto e culturale. Perché il livello culturale ci deve essere, nel senso che bisogna

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‘Il primo ruolo del direttore è quello di essere una persona che studia e che ricerca e poi, in seconda battuta, ha il ruolo di diventare, a poco, a poco, invisibile’

avere la capacità di mediare il patrimonio culturale con un linguaggio comprensibile; fortunatamente l’equazione ‘Abbasso il livello, così ho più gente’ non funziona. Quindi, in fin dei conti più l’educatore o il maestro studia, rimane aggiornato, continua la sua ricerca e si preoccupa di comunicarla, più diventa affascinante il cammino. Quando pensiamo ‘Queste cose qui non sono più capite, quindi lasciamole stare’ è perché noi non studiamo più e non studiamo neanche di farci amare. Il farsi amare, il far stimare le cose, è uno studio; bisogna cercare, fare del discernimento, e il discernimento è fatica (perché si può sbagliare, come in ogni sperimentazione), per cui è un lavoro che implica un investimento di energie. Non credo che sia difficile educare i giovani alla musica sacra, come educarli all’arte, alla letteratura latina, come educarli a qualunque aspetto culturale fondante, se questo lo si contestualizza in un discorso, e soprattutto ai giovani passa qualunque messaggio se siamo in grado di creare una relazione; senza relazione non passa nulla. E’ importante che i grandi valori culturali siano sempre mediati da relazioni volte alla crescita e alla maturazione alla verità dei nostri giovani. AA: Parliamo dei Pueri Cantores, che tradizionalmente accompagnano con il canto la liturgia e il ruolo della Schola Cantorum; questi vanno sempre più scomparendo. Cosa fare per garantirne la presenza, e favorirne la diffusione non solo presso le chiese di una certa importanza? MP: Esiste un’associazione internazionale di Pueri Cantores, bisogna però essere qui molto precisi. Perché la Cappella Sistina ha i Pueri Cantores e investe con una scuola annessa, dalla terza elementare alla terza media? Perché i Pueri Cantores sono solo maschi e non ci sono bambine? Perché effettivamente la vera voce bianca, cosiddetta, è la voce del bambino, che non permane sempre uguale, ma, prima della muta della voce, acquisisce una serie di ‘ambrature’, un insieme di mutamenti dovuti alla fisiologia, che danno quella ricchezza di armonici che ha un coro di bambini e che invece non ha un coro di sole bambine. Qui c’è un problema di ordine culturale: se noi incidiamo con una etichetta discografica come Deutsche Grammophon abbiamo il dovere di creare un prodotto che sia esteticamente pertinente. Quindi, o incido con i falsettisti o con i bambini! Questo è un ambito molto importante e culturale. Io credo che d’altra parte l’educare in generale i bambini e le bambine al canto sia un ottimo elemento pastorale e formativo per il futuro di queste persone nel senso che l’avviare un bambino ad una disciplina che esige il canto corale, fatto ad un certo livello, gli farà acquisire un metodo di lavoro scientifico, rigoroso, che potranno usare in qualunque lavoro che faranno, come anche nelle relazioni della vita e anche nel ruolo di padre, di madre. Ecco il motivo per cui credo che sia importante che si investa culturalmente sui bambini e sulle bambine in relazione alla musica perché la musica ha il duplice aspetto di essere bella ma di chiedere un sacrificio, una costante fatica perché possa essere bella. Tutto questo processo ha quindi una sorta di un’attrazione congiunta ad una intrinseca fatica, e questo processo è estremamente educativo in una tenera età dove la ‘ricezione’ e l’essere in una precisa metodologia può giovare per tutta la vita. AA: Parliamo un po’ della Cappella Musicale Pontificia ‘Sistina’ ovvero la più antica formazione corale del mondo ancora in attività. Nel corso dei secoli, ha seguito, partecipandovi attivamente, tutte le riforme della liturgia papale fino ad oggi. Quale la responsabilità di un ruolo così importante e quali i momenti più significativi nelle diverse attività svolte? MP: La Cappella Musicale Pontificia ha la grande responsabilità di agire nella Chiesa come fece, per esempio, nel ‘500 in relazione alla Riforma Liturgica del Concilio di Trento. Questa Riforma si fece strada grazie all’immediata attuazione che ne fece la Cappella Sistina nelle Celebrazioni Papali. Ora, se siamo onesti e corretti dobbiamo dire che la stessa cosa non è avvenuta per il Concilio Vaticano II perché Domenico Bartolucci - e

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quest’anno si celebrano i cento anni della sua nascita - fu un uomo che alla guida della Cappella Sistina rifiutò categoricamente la Riforma Liturgica del Concilio Vaticano II, arroccandosi su alcune ingiustificate posizioni. Questa chiusura culturale purtroppo non gli ha permesso nemmeno di recepire tutto ciò che nello stesso periodo accadeva nella musica, e quindi gli studi semiologici sul canto gregoriano, la polifonia rinascimentale, come anche di quello che era successo dopo Verdi. In qualche modo, nella mente di Bartolucci, la storia della musica finiva con Verdi. Ecco questo è stato forse veramente un’hapax legomenon3 nella storia della Sistina nel senso che è stata forse la prima volta che questa istituzione non ha seguito il corso di una Riforma, ed infatti, per la Santa Sede, ad un certo punto fu necessario provvedere ad una sostituzione perché praticamente si ritrovava con un’istituzione bloccata ecclesialmente, esteticamente e culturalmente. Il mio predecessore, il maestro Liberto, portò davvero questa istituzione musicale all’interno della Riforma Liturgica del Concilio Vaticano II, pur con tante difficoltà poiché c’erano ancora molti che ritenevano che bisognasse fare come faceva Bartolucci. Io ho avuto la fortuna di aver avuto un predecessore che in qualche modo è stato un ‘cuscinetto’ tra Bartolucci e la riforma liturgica del Concilio Vaticano II che con me fu una cosa quasi ‘normale’. Io sono figlio della riforma liturgica per cui ci credo profondamente e credo anche che la musica antica possa avere molto giovamento dalla riforma liturgica del Concilio Vaticano II per quello che ho detto prima, ovvero per il dovere della recezione gli studi semiologici e per il dovere di un intelligente dialogo con la modernità. La Cappella Musicale Pontificia ha quindi questo primo e grande compito, di essere in primis l’attuatrice delle Riforme della Chiesa in ambito liturgico-musicale, ha poi, non meno importante, la responsabilità dell’esemplarità della prassi esecutiva; il modo di cantare il gregoriano e la polifonia rinascimentale dovrebbe essere in qualche modo esemplare non perché noi siamo più bravi degli altri, ma perché la Cappella Musicale Pontificia è un’istituzione che dedica tre ore al giorno ad uno studio quasi ‘monografico’ circa appunto il gregoriano e la polifonia rinascimentale, esattamente come l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ogni giorno prova un certo repertorio sinfonico corale e come il Teatro dell’Opera studia ogni giorno un certo repertorio operistico. Inoltre abbiamo a disposizione l’archivio della Cappella Musicale Pontificia, il cosiddetto Fondo Cappella Sistina nella Biblioteca Apostolica Vaticana che è il più grande archivio musicale esistente al mondo dei secoli XV, XVI e XVII in relazione alla musica scritta per la Liturgia. Tutto repertorio catalogato, per cui tutto ciò che, ad esempio, al concerto questa sera sentirete, è frutto di edizione critica fatta o su manoscritti o sulla stampa più antica. Il maestro della Cappella Sistina ha questo dovere di lavoro di studio e di ricerca perché se io non faccio questo, tanta musica rimane lettera morta. Il dovere della esemplarità della prassi esecutiva deriva dal fatto che il maestro della Cappella Sistina può avere a disposizione le parti rinascimentali e quindi fare uno studio semiologicamente e scientificamente corretto e pertinente sulle parti. Questo significa anche ‘sperimentare’ senza avere la preoccupazione di montare un mottetto per eseguirlo subito, ma provare la realizzazione di un color minor, sperimentare come meglio eseguire una certa figura retorica… Ecco, la Cappella Sistina è una sorta di ‘laboratorio’ da questo punto di vista! In ultima istanza la Cappella Sistina canta a tutte le celebrazioni a cui è presente il Papa ma ha anche una folta attività di concerti. Perché fa questa attività concertistica? Non gira certo il mondo per il piacere di eseguire un po’ di musica, ma viaggia così tanto per rispondere esclusivamente a un mandato ecclesiale, cioè quello dell’annuncio del Vangelo; ogni nostro concerto è un’esperienza estetica, ma tutto il materiale musicale va ricondotto al luogo dove questa musica ha preso corpo, ovvero la Liturgia. Ogni brano che eseguiamo è così sempre presentato, collocato, spiegato nel suo 3 In linguistica e in filologia, un hapax legomenon (spesso anche solo hapax o, meno di frequente, apax; al plurale hapax legomena o hapax legomenoi), è una forma linguistica (parola o espressione), che compare una sola volta nell’ambito di un testo, di un autore o dell’intero sistema letterario di una lingua.

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‘ Chi fa il mio lavoro deve essere un uomo attento al suo tempo, appassionato di musica moderna, di musica contemporanea e sperimentale, che stima i suoi colleghi e che è quindi curioso di andare ad ascoltare la musica composta ed eseguita da altri ’


collaborazione con questa istituzione ma che non era mai stato possibile farlo per suo modo di cantare, molto, molto lontano dalla prassi rinascimentale. E’ molto interessante l’esperienza della registrazione; noi incidiamo in Cappella Sistina perché siamo forse l’unica realtà corale al mondo che può avere la totalità della pertinenza estetica, cioè musiche per le celebrazioni del Papa che si svolgevano nella Cappella Sistina, quindi con quella precisa acustica.

 Mons. Palombella e Andrea Angelini

 Il Concilio Vaticano II

significato storico e liturgico. Un’esperienza di concerto della Cappella Musicale Pontificia è quindi un’esperienza di fede, è un’occasione per fare un’esperienza di Dio. Questo è l’unico motivo per cui la Cappella Sistina accetta di fare un concerto. AA: La ‘Sistina’ è impegnata periodicamente in tournée internazionali. Sotto la sua direzione ha iniziato ad incidere in esclusiva con Deutsche Grammophon e ha vinto il premio Echo Klassik per il CD Cantate Domino (2015). Ci può parlare di questa esperienza? MP: Non sono io andato a cercare Deutsche Grammophon, sono loro che mi hanno contattato perché hanno riscontrato che la Cappella Musicale Pontificia ha cambiato radicalmente il suo modo di cantare, cioè è passata da un linguaggio operistico decadente di fine Ottocento ad una vocalità rinascimentale, a un fraseggio coerente e alla ricerca di una forte pertinenza estetica di quello che eseguiva. E’ la più antica istituzione del mondo, ha a disposizione tanto, per cui Deutsche Grammophon ha, in qualche modo, fatto una scommessa dicendo che avrebbero in passato sempre voluto avviare una

AA: Quindi per lei è molto importante il discorso filologico, sia a livello estetico dell’ambiente che della prassi esecutiva... MP: Sì, assolutamente. E’ questo che ci permette di incidere con etichette come Deutsche Grammophon. Io non mi sentirei mai di incidere William Byrd perché è molto lontano dalle nostre corde. Per esempio, dovendo incidere per Deutsche Grammophon il Miserere di Allegri, ho cercato e trovato nell’archivio della Cappella Sistina il codice sistino 205-206, l’originale manoscritto di Allegri. Di conseguenza ho anche cercato di disporre spazialmente i solisti, più o meno evincendo come erano disposti dalle cronache delle celebrazioni papali di quel tempo; fare un prodotto per un’etichetta discografica come questa, esige un grande lavoro scientifico, filologico ed estetico. AA: Posso chiederle un paragone con la vocalità ferma e senza armonici che usano gli Inglesi, per esempio i Tallis Scholars, che hanno eseguito un concerto in Cappella Sistina per il suo grande restauro, cantando, fra l’altro, proprio il Misere di Allegri. MP: Citando i Tallis Scholars, per il solo e semplice fatto che vi cantino anche le donne, ci si allontana un po’ dal punto di vista di pertinenza estetica. Io credo che la vocalità di ciò che veniva scritto per essere cantato in Cappella Sistina deve essere una vocalità rinascimentale. In questa tecnica vocale non esiste il terzo registro, quindi dev’essere una vocalità molto coperta, molto appuntita, ma con tutto quel calore mediterraneo che noi Italiani abbiamo nella nostra vocalità. Ad esempio io credo, e questa è una mia convinzione studiando i manoscritti, che quegli spartiti siano pieni di figure retoriche che poi noi troviamo ben codificate nel barocco, perché noi del barocco sappiamo molto mentre del Rinascimento poco a livello di prassi esecutiva. Io credo che la musica rinascimentale sia un insieme di figure retoriche, di tensione e di distensione che chiedono continue messe di voce. E’ una musica molto colorata di per sé, per cui io credo che cantarla ferma è trattarla come fosse musica quattrocentesca; posso capire che si canti Dufay o Despresz in quel modo poiché il testo era spesso un ‘pretesto’ per fare contrappunto. Quando abbiamo inciso un brano di Dufay e uno di Desprez abbiamo cantato

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come fossimo degli strumenti musicali perché l’intenzione compositiva era quella, cioè non esisteva l’attenzione al testo. C’è uno grande sbarramento che è l’entrata nel Rinascimento maturo, dove ad un certo punto il testo diventa quella realtà su cui viene costruita la musica. In relazione al testo ci sono figure retoriche di tensione e di distensione; c’è una grande tensione data dalla parola e dalla frase. Credo che tutto questo sia nel DNA della musica scritta per la Cappella Sistina, per le celebrazioni papali.

 Lorenzo Perosi

D’altronde basta ammirare i dipinti michelangioleschi per rendersi conto di come il Rinascimento non fosse certo un momento storico sbiadito. Tutto deve essere assolutamente filtrato da una ratio, da una poderosa intelligenza: messe di voce, tensione, distensione, colores minores, hochetus4 … Concludendo, tutto deve essere filtrato da una profonda ratio, da un profondo controllo, quasi ‘maniacale’ di ciò che è tipico e caratterizzante il rinascimento. AA: Può accettare la proposta di un’esecuzione con voce ferma al solo fine di sperimentare un’estetica diversa, conscia comunque di non essere nella sfera della riproduzione filologica ma all’interno di un piacere estetico differente? MP: Questo sì, assolutamente. Si può fare, nessuno lo vieta. Ritengo però che sia come togliere il sale e il pepe a questa musica, nel senso che armonicamente è musica povera. Se poi il coro non evidenzia la parola… Il Rinascimento è un momento storico caratteristico, che ha avuto la stessa attenzione al contrappunto e alla parola. Allora se il coro non usa queste attenzioni, l’esecuzione si inaridisce enormemente.

4 Espediente polifonico, diffuso specialmente in Francia tra XI e XII secolo, caratterizzato dalla spezzatura delle voci, mediante pause tra sillaba e sillaba (e con ricerca di contrattempo tra voce e voce), così da richiamare un effetto di singhiozzo.

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AA: Si potrebbe obbiettare che anche la musica di Arvo Pärt, costruita con la tecnica dei tintinnabuli, abbia una armonia molto semplice che non richieda questo tipo di attenzioni e di vocalità di cui abbiamo parlato prima. Qui forse c’è la ricerca del piacere contemplativo della voce ferma e che magari il tentativo dei gruppi inglesi sia quello di portare tale diversa sperimentazione anche nella musica rinascimentale. MP: Sì, la mia convinzione è che tanto successo per questi gruppi inglesi negli anni ‘80 e ‘90 sia fondamentalmente dovuto al motivo che chi doveva fare questo lavoro filologico non lo fece! La Cappella Sistina non lo faceva davvero. Noi abbiamo inciso ora con Deutsche Grammophon la Missa Papae Marcelli di Palestrina che è stato un lavoro inaudito: ce ne sono così tante incise che mi sono detto ‘O ne incidiamo una che veramente dia una svolta o non la incidiamo’. E’ stato un lavoro filologico enorme perché ho dovuto recuperare l’edizione del 1567 dovendo di conseguenza decidere di non inserire l’Agnus Dei II perché non è di Palestrina. Benché ci sia nel codice 18 di Santa Maria Maggiore, nel codice 22 della Sistina, Palestrina quando ha pubblicato nel 1567 il secondo libro delle Messe non l’ha inserito, e nel 1599, quando è stata pubblicata un’edizione postuma, l’editore non l’ha messo e hanno scritto Agnus Dei secundus dicitur ut supra primus. I colores minores, il problema di superare le battute, il problema delle figure retoriche, del tactus coerente alla scrittura del compositore… è stato un lavoro molto impegnativo per ottenere un prodotto filologicamente corretto, all’altezza dell’istituzione che detiene i manoscritti e che veramente dicesse qualcosa di nuovo, spiegandone le ragioni nel libretto che accompagna il CD; Condivido il fatto che un gruppo corale possa avere il piacere estetico di attuare quello che lei dice, ma il nostro compito è eseguire questo tipo di musica dandone, a oggi, una interpretazione plausibile, verificata, scientifica, opinabile ovviamente, però ragionata e scavata in profondità. AA: La musica è il linguaggio dello spirito. La sua segreta corrente vibra tra il cuore di colui che canta e l’anima di colui che ascolta; sono parole di Kahlil Gibran. Qual è il ruolo del direttore di coro, in tutto questo? MP: Il direttore del coro ha un ruolo secondo me molto importante. Il primo ruolo è quello di essere una persona che studia e che ricerca e poi, in seconda battuta, ha il ruolo di diventare, a poco, a poco, invisibile. La musica è fatta per essere concertata e non per essere diretta. In generale, e questa è una grande tradizione, la musica rinascimentale non era diretta; tutti leggevano da un libro centrale senza che qualcuno si assumesse il compito della direzione come oggi noi la comprendiamo.


‘ Chiedendoci il dialogo con la modernità, la Chiesa desidera anche la ricezione, nella musica destinata alla liturgia, di quanto oggi è il patrimonio e la cultura musicale’

AA: Nella Basilica di San Marco c’era probabilmente una figura che stava al centro dell’abside, dietro all’altare, per risolvere le problematiche relative all’esecuzione con il doppio coro… MP: Il ruolo del direttore è quello di fare una buona concertazione. Ma il vero ruolo del direttore di coro, e mi creda che poi i coristi si accorgono di questo, è di essere una persona che studia, che ricerca e che richiede ai coristi un po’ meno di quello fa lui; non si può chiedere ai coristi cose che il direttore non fa, lui deve essere il primo a dare l’esempio. Per i miei coristi è necessario lo studio personale, di tre ore, e lo studio corale, altre tre ore. Quindi io devo studiare almeno sei ore al giorno, ma io studio ben di più, perché poi c’è la ricerca e tanto altro… Questo problema in relazione alla musica da eseguire; secondo problema, nel mio caso, maestro-direttore, è che devo anche comporre. Il maestro-direttore di questa istituzione, prima di tutto non va identificato, secondo me, come è stato fatto con Bartolucci, ovvero che il maestro della Cappella Sistina sia, fondamentalmente, ‘solo’ un compositore. Il maestro della Cappella Sistina è ‘anche’ un compositore, ma egli ha, come abbiamo detto precedentemente, la responsabilità del patrimonio culturale della Chiesa; quindi deve essere un esperto e uno studioso di musica antica e deve tradurre con pertinenza il segno grafico in segno sonoro. In relazione al comporre, il maestro della Cappella Sistina deve avere lo sguardo in avanti. Deve fare come faceva Palestrina, come ha fatto Lorenzo Perosi. Quest’ultimo ha tolto, all’inizio del secolo XX, la Cappella Sistina dalla posizione in cui l’aveva relegata Domenico Mustafà, scrivendo soltanto alla Palestrina con lo stile contrappuntistico. Perosi ha osato scrivere non alla Palestrina vivendo profondamente nel suo momento storico. Ecco, io credo che il maestro della Cappella Sistina debba essere un uomo che, nel suo gesto compositivo, viva il presente e che, dopo Wagner, dopo Mahler, si lasci sfidare da tutto ciò che è accaduto nella musica. Il gesto compositivo del maestro della Cappella Sistina deve essere un gesto che tiene conto di dove lui vive oggi: deve scrivere per l’uomo di oggi e non per l’uomo del Rinascimento. Chi fa il mio lavoro deve essere un uomo attento al suo tempo, appassionato di musica moderna, di musica contemporanea e sperimentale, che stima i suoi colleghi e che è quindi curioso di andare ad ascoltare la musica composta ed eseguita da altri e non limitarsi a leggere Palestrina e la propria musica. Questo è importante perché il maestrodirettore deve essere capace di coniugare l’udibilità e la comprensibilità della musica con la modernità. Credo che questa sia, al momento, la grande sfida che ci aspetta. Si ringrazia l’ICB (International Choral Bulletin) edito dalla Federazione Internazionale di Musica Corale per la gentile concessione alla pubblicazione dell’articolo in lingua italiana.

 La Cappella Musicale Pontificia Sistina INTERVISTA A MONS. MASSIMO PALOMBELLA | 21


Storia

Quella terribile rivoluzione filosofica che condannò il Rinascimento a disperdersi nelle false simmetrie del Barocco ebbe molteplici motivi, tutti riassumibili sotto un’unica formula: nelle parole di Hermann Broch, la ‘morte del centro e, quindi della luce’.

La morte della luce di alessandro zignani

ALESSANDRO ZIGNANI Compiuti gli studi di clarinetto e composizione, si è dedicato alla direzione d’orchestra. Dopo una pratica svolta per lo più nell’Est europeo (Romania, Repubblica Ceca, Croazia) è stato direttore artistico dell’Orchestra da Camera di Rimini, guidandola in un progetto multidisciplinare tra musica, teatro e letteratura di nuova concezione. Docente nei Conservatori di Monopoli e Cesena, si è quindi dedicato allo studio metodico delle varie tecniche direttoriali. Ha inoltre pubblicato oltre duecento contributi sulla direzione d’orchestra sulle riviste ‘CD classica’, ‘Musica’, ‘Opera International’. La sua metodologia, improntata alla Psicodinamica, accorpa lo zen, la psicologia junghiana e la mnemotecnica in una rivoluzionaria concezione della pratica direttoriale sperimentata su decine di studenti con risultati sempre lusinghieri.

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STORIA

La consapevolezza copernicana di abitare una meteora di materia marginale all’universo, la predicazione di Lutero, col suo scalzare la ragione simbolica della Teologia dalle sue basi, per sostituirvi un drammatico rapporto di incertezza col Divino, dove la colpa a priori dell’umana condizione rende l’arte pietistico ritorno alle radici infantili – e dunque völkisch, ‘popolari’ – infine, la lotta tra potere politico ed ecclesiastico, che induce l’architettura civile a rivaleggiare in falsi fondali e prospettive in fuga con quella religiosa, fino ad allora giustapposta ai Palazzi Comunali in quella perfetta armonia nella divisione simbolica degli spazi che dava alle piazze delle città ideali – si pensi a Pienza – rinascimentali il fascino di un accordo tra uomo e divinità: da tutte queste intime tragedie dello stile si origina l’involuzione convulsa del Manierismo, fiorita di volute e trompe-l’oeil in cui la coscienza intraprende la ricerca della luce, del senso, destinata poi a solidificarsi, nel Barocco, in una razionalizzazione del disordine strutturata secondo un’unica regola: distinguere, catalogare e quindi stilizzare ogni umano ‘affetto’: esasperare la soggettività del sentimento, fino a rendere espressione ciò che prima non era che armonia di struttura, ponte tra tempo e spazio, tra simbolo e fuggevole sensazione. Ciò che lega le facciate curvilinee, quasi evaporanti in un’aria malsana di afa, del Borromini – un’aria come doveva essere quella della notte romana in cui l’architetto si gettò sulla propria spada, incaricando poi il servo del colpo di grazia – la ‘seconda pratica’ di Monteverdi, per la prima volta sollevata ai vertici del gusto nel Combattimento di Tancredi e Clorinda, ed infine lo spazio vuoto, la cupola nera del Caravaggio: tutto questo, è proprio il senso di angosciosa attesa dell’Ignoto, il manifestarsi profetico del mana divino, di cui l’artista si fa aruspice primitivo. Se, dunque, nel Rinascimento gli artisti dovevano essere anche teologi, nel Barocco il trionfo dell’introspezione, della grammatica delle passioni unisce tutte le arti in uno stile di transizione il cui fascino maggiore è quella ossessione del


vuoto, quella paura dello spazio materiale che negli spiriti più elevati si fa metafora della colpa originaria, e quindi della morte. Nel Barocco la morte non è solo il passaggio buio che attende l’uomo alla foce del tempo, ma è anche quel salto nella luce con cui inizia la sua momentanea avventura terrena: essa sta ai due estremi della corda tesa sull’abisso esistenziale. Ecco dunque il motivo delle false prospettive barocche: inventare chiese dentro chiese, vite dentro vite; ecco il motivo della prevalenza, in poesia, della metafora – che è corpo e soffio – sul simbolo, che è trascendente fissità. Così Ciro di Pers, allievo del Marino, pubblica un sonetto dedicato ad un grande orologio meccanico – ossessione, questa, dell’epoca – in cui già si intravede quella riduzione dell’uomo a congegno di molle, fantoccio creato dal Tempo per suo divertimento, così caro al romantico musico-poeta Hoffmann, ed insieme alla tradizione chassidica degli Ebrei, col loro mito del Golem, destinato a sfociare poi, in un dramma di Capek, nel moderno robot. A questo sconvolgente passaggio dell’uomo da centro dell’universo, qual era in Pico della Mirandola, a scheggia impazzita del tempo, la musica reagisce detronizzando il contrappunto – il luogo della coincidenza degli opposti – per esaltare l’armonia: questo microcosmo della forma in cui la perpetua improvvisazione degli abbellimenti (anch’essi segno di una coazione a riempire lo spazio) e la pulsazione del basso continuo – con il suo orbitare dentro a formule per cui la ragione individuale cerca di arginare la follia del nonsenso cosmico – si fa, anche qui per metafora, psicologia dell’animo umano. La nostra abitudine a riconoscere nella musica l’arte espressiva per eccellenza ci impedisce di sentire sulla nostra pelle quel senso di disagio e insieme di affascinata rivoluzione dei sensi che avvolse come una pioggia di lapilli infuocati il pubblico riunito, quella sera di Carnevale del 1624, in Palazzo Mocenigo, quando Monteverdi distillò nel glorioso genere del Mottetto tutti i veleni propri all’ancor giovane Diciassettesimo secolo: il secolo del complesso paterno, in cui le ancora vive libertà nazionali vengono sacrificate sull’altare dell’assolutismo, come a quel potere che, unico, può salvare dal senso di colpa – la Riforma è una lotta fratricida tra Cristiani; un insulto a Dio, di cui oscura il Dogma – e dal conseguente collasso dell’Io. Il Combattimento di Tancredi e Clorinda è l’alba della passione. Monteverdi, che ne era ben consapevole, ritenne quindi opportuno ricorrere all’artificio di una lettera al Mocenigo, per preparare gli ascoltatori a quella destrutturazione traumatica di ogni convenzionale sintassi. ‘Sapendo che gli contrarij affetti sono quelli che grandemente muovono l’animo nostro, fine del movere che deve avere la bona musica (...) diedi di piglio al divino Tasso, come poeta che esprime con ogni proprietà e naturalezza con la sua oratione quelle passioni che tende a voler descrivere’: così Monteverdi, in un passaggio di una sapienza retorica davvero barocca, dove si afferma, quasi distrattamente, che la musica è un’ ‘arte del movere’ – e quindi dramma – ornata di ogni ‘oratione’, di ogni tecnica della persuasione, secondo un’idea dell’accordo di suoni come gerarchia dei luoghi ‘topici’ occulti nell’animo umano che porterà Marpurg a catalogare gli stili musicali in base alle articolazioni dell’orazione classica definiti da Quintiliano: inventio, dispositio, elocutio, narratio... Ma la grande intuizione di Monteverdi sta in quella litote dell’ ‘oratione espressa con naturalezza’: uno scontro di significati, come si vede, alla cui base c’è la stessa dinamica che porta il Bernini, nella Fontana del Tritone, a fare della coda di un delfino una serto rampicante su cui l’acqua costruisce ponti d’arcobaleno. È il trionfo di quello che il compositore stesso chiama ‘il concitato genere’: il tactus ritmico racconta l’aritmia del cuore, in contrapposizione dinamica col melos patetico; a questa opposizione costruttiva, nell’architettura sacra barocca, corrisponde l’invenzione dello spazio vuoto, a perdita

‘La ‘seconda pratica’ di Monteverdi, è ben più che una rivoluzione stilistica: è il trionfo del mare della soggettività contro i pilastri del rinascimentale mondo dei simboli’

 ‘Tancredi ferito’ del Guercino

la morte della luce | 23


d’occhio, in cui l’irruzione del transetto nella continuità delle cappelle laterali forza lo spazio all’impossibile armonia di buio e luce radente. Le finestre piovono luce fissa su punti asimmetrici, secondo l’imperscrutabile logica dell’irradiazione divina, ed a questi luoghi del miracolo si oppongono le tenebre dell’inconscio, che fanno sì ogni svolta celi un incubo: ogni simbolo sacro, impregnato d’ansia, sveli, nell’illusione dei sensi, la presenza del suo correlato demoniaco. È l’ambiguità del segno: la Santa Teresa del Bernini, sospesa tra estasi mistica e sensuale perdizione, raggruppa in sé ogni prospettiva luminosa; isola nel tempo un singolo istante di gloria così come, nel Combattimento, Monteverdi sospende il ‘pirrichio scalpitante’ del ritmo nella radiante conversione finale

 ‘Estasi di Santa Teresa’ del Bernini

della guerriera saracena, un momento in cui il ‘picciol rivo’ del testo diventa fiume di grazia, e la simbiosi tra arte e natura si fa – qui per la prima volta – opera d’arte totale. In una prospettiva opposta – e quindi, baroccamente, analoga – Caravaggio lavora sulle scansioni del buio in cui l’architettura della Controriforma precipita le cappelle laterali, isolando nella luce la rivelazione del vero. In San Matteo e l’angelo, il pittore mette in scena un vecchio saggio mentre, nell’atto di scrivere, viene sorpreso da un fruscio alle sue spalle: è l’angelo di luce, colpito sulla fronte dal quale il filosofo decifrator di segni si confessa impotente di fronte alla momentanea verità del miracolo. ‘Ahi vista, ahi conoscenza!’: dice Tancredi allo svelarsi dell’amata Clorinda, che lui stesso ha ucciso, in un luogo in cui Monteverdi, architetto dell’anima, rapprende nell’icona dell’ornamento il fluire, fino ad allora sfrenato, dell’azione. Siamo nel cuore di un teatro che non è – come poi sarà nel trionfo dell’Opera – semplice messa in scena, ma itinerario nell’’uomo interiore’ di Sant’Agostino, per cui la mente è specchio in cui si riflette, per oscuri enigmi, la Creazione, e spazio e tempo si fondono in un unico, irripetibile spazio espressivo. La ‘seconda pratica’ di Monteverdi, quindi, è ben più che una rivoluzione stilistica: è il trionfo del mare della

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STORIA

soggettività contro i pilastri del rinascimentale mondo dei simboli. Ma quella visionaria lettera in cui Monteverdi, con quell’arte di alludere con noncuranza che ne fa un importante scrittore, racconta il suo Combattimento, cela un altro luogo di potente suggestione, allorché afferma di aver resuscitato quel ‘concitato genere’ tanto caro a Platone, e non più praticato dai moderni per mancanza di opportune capacità declamatorie. Il parallelo qui istituito tra il pulpito delle chiese barocche – vera tribuna per esercizi nello stile patetico – e la scena del teatro greco, in cui l’eroe tragico si staglia nella nudità della sua maschera, ha del prodigioso. Dopo il dialogo del contrappunto, insomma, la musica armonica non può che praticare le aspre secche del monologo. Ogni uomo è un’isola, nonostante il poeta John Donne cerchi, in questi stessi anni, di affermare pateticamente il contrario. Strana antinomia, quella del Combattimento, per un giorno di Carnevale; non fosse che i macchinari scenici, i meravigliosi artifici delle Feste Rinascimentali cui, in un Rinascimento che faceva dell’architettura l’epicentro di tutte le arti, misero mano Leonardo e Michelangelo, svelano, in quella sera del 1624, per la prima volta la loro vera natura: sono epifanie del mondo alla rovescia, il mondo carnevalesco sotto la cui giocosità s’annida il dramma della perdita, la manca di senso onde la musica, da allora, comincia a regredire alla grammatica delle pulsioni, al ‘pirrichio di concitate movenze’ monteverdiano dal quale, nei secoli a venire, non si è più redenta. L’unico possibile risolversi da questo infernale sposalizio di estasi e sensi è l’invenzione di un nuovo genere; ma non sarà certo Venezia, che della perdita del Sacro ha fatto il presupposto della propria potenza economica, a realizzare questa sintesi. Mentre dunque la Repubblica del Leone assiste, nei suoi cinquanta teatri, al trionfo dell’Opera, a Roma i devoti di un santo irregolare, Filippo Neri, si ingegnano ad inventare una nuova forma di teatro dell’anima; però, piuttosto che elaborare una poetica, inventano uno spazio architettonico strategico: l’Oratorio, facendo dei suoi limiti – il maggiore dei quali è l’aver rinunciato all’alleanza tra arte e natura – altrettanti punti di forza. È dunque all’interno di piccole chiese: S. Girolamo della Carità, Santa Maria dell’Orazione e Morte, Santa Maria della Rotonda – i cui nomi, oltretutto, definiscono una grammatica ideale della Pietà barocca – e nei limiti di una cerimonia dimessa e contrita come l’Ufficio di Quaresima, che si prepara il superamento dell’angoscioso dualismo tra sensi e spirito cui dobbiamo l’eccentrica, correlata genialità di un Monteverdi e di un Borromini: antinomia del Barocco, questa, che l’estrema povertà dei mezzi dovesse diventare nuovo rigoglio della languente intimità devota. Sono, anche questi, i giochi della luce crepuscolare: della luce morente...


Tecnica

Chi si pone alla guida di un qualsiasi tipo di compagine corale o strumentale dovrebbe possedere, oltre a un buon orecchio e altrettanto senso ritmico, una solida formazione musicale, con studi di composizione, analisi, lettura della partitura, nonché particolari capacità comunicative e spiccate doti umane; oltre a ciò dovrebbe aver raggiunto anche un sicuro controllo del proprio gesto direttoriale.

L’importanza del gesto DI leonardo lollini

LEONARDO LOLLINI Perugino, si è diplomato in Pianoforte, Musica Corale e Direzione di Coro ed in Composizione presso il Conservatorio Statale di Musica di Perugia. Dopo aver partecipato a corsi di perfezionamento e di didattica musicale, ha tenuto numerosi concerti alla guida di varie formazioni corali – comprese quelle di voci bianche – complessi vocali da camera e gruppi strumentali. Dirige stabilmente il Coro e l’Ensemble Vocale dell’Associazione Culturale Musicale ‘Accademia degli Unisoni’ di Perugia – della quale è anche direttore artistico – e il Coro del Liceo ‘Calvino’ di Città della Pieve (PG). Ha insegnato in varie istituzioni musicali in diverse parti d’Italia e attualmente è titolare della cattedra di Direzione di Coro e Composizione Corale presso il Conservatorio Statale di Musica ‘G. B. Martini’ di Bologna.

La cura del gesto dovrebbe essere uno dei suoi interessi basilari, se non proprio il principale. Tale considerazione potrebbe e dovrebbe risultare ovvia eppure ancora troppo spesso si assiste ad esibizioni corali dove l’approssimazione del gesto del direttore1 è talvolta a dir poco sconcertante (non a caso letteralmente l’opposto di ‘concertante’): gestualità vaga, che spesso non ha nulla a che fare con la scansione del tempo o con il metro dei brani, costantemente circolare o a senso unico, sempre uguale in ampiezza, esagerata rispetto a quello che dovrebbe effettivamente indicare o superflua, movimenti d’attacco inappropriati o incerti, ingressi delle voci ignorati, respiri non indicati, e così via, non sono che alcuni dei difetti che più comunemente si riscontrano in alcuni direttori, e che naturalmente non possono che riflettersi in modo negativo sulla resa di coloro che quei gesti dovranno interpretare. Purtroppo ancora in troppi sembrano sottovalutare la preziosa portata di un buon gesto direttoriale: con i giusti e appropriati movimenti di braccia e mani si possono e si dovrebbero indicare molteplici aspetti musicali: dall’imprescindibile scansione ritmica (tranne ovviamente il caso di ambiti musicali come quello del canto gregoriano) alle variazioni agogiche, dalla cura delle dinamiche al modo di articolare i suoni, dall’indicazione delle altezze alla cura del fraseggio, dall’intonazione dei suoni alla loro tenuta, gli attacchi, le chiusure, gli ingressi delle voci, ecc. Tanto più il gesto sarà tecnicamente chiaro e preciso e allo stesso tempo vario, tanto più il risultato musicale sarà corrispondentemente accurato, ricca di particolari, interpretativamente convincente e coinvolgente. Approfondendo la questione soprattutto relativamente alle realtà corali non professionistiche, purtroppo si nota 1 Da intendersi in modo neutro, che si tratti di direttore uomo o donna

L’importanza del gesto | 25


ancora troppo spesso che la qualifica di amatoriale o dilettantistico sembra orientare alcuni dei direttori (forse perché poco motivati anche in virtù della gratuità per la quale spesso prestano la loro opera) ad un approccio piuttosto superficiale proprio riguardo quella gestualità con cui le dovrebbero guidare; se poi si tratta di cori di voci bianche o scolastici pare quasi che taluni si sentano autorizzati ad improvvisare o a inventare qualsiasi tipo di gesto diverso da quello ormai universalmente utilizzato (e codificato in vari trattati sulla direzione), quasi per andare incontro a non proprio precisate esigenze di semplicità dei piccoli cantori, finendo poi per essere astrusi e complicati. In realtà il gesto comunemente in uso può essere anche

estremamente essenziale ed efficacemente comprensibile da chiunque. Fin da piccoli, nel fare musica d’insieme, si può e si dovrebbe essere abituati a porre attenzione e a riconoscere il corretto modo di dirigere, a individuare i tipici movimenti della scansione ritmica, a distinguere almeno un battere da un levare. È proprio e soprattutto alla guida di complessi amatoriali che il direttore dovrebbe dimostrare di possedere la competenza e l’accuratezza tecnica necessaria per far esprimere più sfumature possibili, perché di fronte a compagini di questo tipo, in particolare se composte da giovanissimi, il suo ruolo non può essere solo quello di puro concertatore ed esecutore ma anche, se non soprattutto, di colui che ha la responsabilità della formazione musicale, che istruisce ed educa alla musica attraverso il canto d’insieme. Egli è una guida sotto

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TECNICA

molteplici punti di vista e fin dall’uso del gesto dovrebbe sentirsi profondamente responsabile di ciò che imprime, instilla, trasmette nei propri coristi. Non dovrebbe essere solo l’ambizione a guidare coloro che scelgono di svolgere questo ruolo, e la fretta di ottenere risultati non deve far perdere di vista il fatto che quella del direttore dovrebbe essere una sorta di missione, portata avanti con adeguata capacità e una preparazione tecnica il più possibile raffinata, per riuscire a far esprimere ad altri le più sottili finezze espressive che si hanno in mente. Invece tra coloro che fanno musica il direttore di coro – almeno per quello che riguarda la realtà italiana – sembra essere il meno obbligato ad una seria formazione specifica: talvolta, ad essere un poco malevoli, si ha quasi l’impressione che chiunque abbia anche una semplice infarinatura musicale possa sentirsi legittimato a formare e dirigere gruppi più o meno numerosi di cantori. Questa mancanza di adeguata preparazione, tranne rarissime eccezioni (ma queste ci possono essere in tutti i campi musicali), non può che influire negativamente sulla qualità della proposta tecnico-musicale che questi direttori possono offrire, a partire proprio dalle proprie capacità gestuali. Ancora troppo spesso, nei contesti amatoriali, ci si trova di fronte a direttori, ammirevoli per la passione e l’impegno con cui si dedicano ai loro gruppi, magari con una buona preparazione musicale (anche se non specifica), che hanno le idee talvolta confuse su come usare il proprio gesto. E purtroppo è soprattutto lì, in ambito dilettantistico che la gestualità del direttore può aiutare a sopperire a quelle carenze formative in campo musicale piuttosto frequenti tra i componenti di quelle formazioni. A titolo di esempio ci soffermeremo ora su uno dei momenti più significativi della direzione, ovvero il gesto d’attacco, perché è lì che si possono in genere riscontrare i maggiori problemi direttoriali: come vedremo si tratta di una delle situazioni più importanti e più delicate di tutta la fase esecutiva. Viene spesso sottovalutato, e invece in quel breve istante devono poter essere comunicate le informazioni fondamentali che riguardano non solo l’inizio ma l’intera composizione. Il direttore deve aver ben chiaro in mente velocità, dinamica, articolazione e carattere o affetto da esprimere e trasmetterlo subito in maniera inequivocabile, senza fraintendimenti, se non vuole essere lui a dover poi ‘inseguire’ il proprio coro: non si può lasciare, come talvolta accade, che sia la compagine guidata a decidere, suo malgrado, tempo e carattere del brano. Un primo errore, forse il più grave, è quello di non dare troppo peso, o peggio di non considerare per niente, il respiro che precede l’attacco del suono. Il gesto d’incipit deve servire in primo luogo a far prendere il respiro e questo dovrebbe essere nella stessa velocità della pulsazione pensata per il brano, ovvero deve indurre


‘ Il direttore è una guida sotto molteplici punti di vista e fin dall’uso del gesto dovrebbe sentirsi profondamente responsabile di ciò che imprime, instilla, trasmette nei propri coristi’

 Coro Accademia degli Unisoni diretto da Leonardo Lollini

ad un’inspirazione ritmicamente misurata, che risulta di particolare importanza sia per la sincronia dell’attacco stesso sia perché si cominci immediatamente nel tempo prefigurato: un respiro più rapido o più lento della velocità che ci si è prefissati potrebbe far partire il coro nella maniera non voluta, costringendoci a frenare o accelerare (spesso con gestualità scomposta) per recuperare la giusta scansione, a meno che non ci si voglia adeguare al nuovo tempo scaturito per errore. In quel respiro poi, se adeguatamente indicato, ci potranno essere anche le altre informazioni contenute dal brano cantato, come il tipo di emissione vocale o in generale l’affetto voluto: come ci ha insegnato Fosco Corti, ‘il respiro è già canto’. Se poi non si fa prendere fiato adeguatamente si costringerà chi canta a riprenderlo quasi subito, magari interrompendo il giusto fraseggio. Vista l’importanza che risiede in questo respiro iniziale, sarebbe auspicabile inoltre che il direttore non rimanga ‘in apnea’ proprio in quel frangente, ma respiri sincronicamente con il suo gesto: non solo stimolerà i coristi a prendere fiato insieme, in maniera spontanea e allo stesso tempo misurata, ma quel gesto risulterà più autentico e naturale, senza rigidità. Altro difetto frequente è quello di frenare il gesto poco prima che tocchi quel punto immaginario che rappresenta il momento vero e proprio dell’attacco del suono, quasi per timore che le voci non entrino, stando lì ad aspettare che lo facciano. Il problema è che il coro (giustamente) aspetta che sia invece il direttore a dare un’indicazione precisa per iniziare, che così però non arriva in maniera chiara, con la conseguenza che l’attacco risulterà nella maggior parte dei casi approssimativo o a cascata (una voce dopo l’altra), perché mancando un segnale inequivocabile da parte del direttore ci saranno sempre dei coristi, in genere i più insicuri, che aspetteranno che siano altri a prendere l’iniziativa per cominciare. Un altro degli errori che ogni tanto si riscontrano nel gesto iniziale è quello del movimento autonomo della mano rispetto al braccio, risorsa questa che può essere utilizzata in altri momenti della conduzione, magari per indicare la sinuosità di una linea melodica, ma che nel momento dell’attacco è da sconsigliare. Il motivo risiede nel fatto che, in questa che ribadiamo essere un fase assai delicata, più l’avambraccio e la mano sono solidali tra loro e si comportano come un unico blocco, un’unica linea non spezzata, più il punto d’attacco risulterà netto. Altra abitudine poco corretta che si riscontra piuttosto frequentemente è quella del controllo dell’ampiezza del movimento d’inizio: sia che la partenza preveda il pianissimo sia che contempli il fortissimo non si notano spesso grandi differenze nel relativo gesto d’attacco, il quale quindi potrà essere non adeguato alla dinamica che si vorrebbe richiedere. Più frequente è l’errore nell’uso del gesto grande anche se in realtà si vorrebbe una sonorità tenue, cosa che molte volte accade perché il direttore è condizionato dalla grandezza della compagine che ha di fronte, dal timore che col gesto piccolo il coro non parta; in realtà se si richiede la massima concentrazione, la perfetta attenzione ad ogni minimo movimento del gesto, e soprattutto se questo è chiaro, non ci dovrebbero essere inconvenienti in tal senso. Si potrebbero forse citare anche altre situazioni legate al gesto iniziale, ma quelle elencate dovrebbero essere già sufficienti a far capire anche in maniera più generale quanti dettagli si possono esprimere con la propria gestualità, particolari che se omessi o sbagliati possono danneggiare la performance di una compagine e il relativo modo di eseguire o interpretare un brano musicale. L’auspicio è quindi che tutti i direttori di formazioni corali o anche strumentali, di piccole o grandi dimensioni, amatoriali o professionali, mantengano sempre alta la cura del proprio gesto, nella consapevolezza della sua grande utilità e delle notevoli risorse che in esso risiedono. L’importanza del gesto | 27


Tecnica Sulla scia dei contributi sulla vocalità proposti dai maestri Spremulli e Mazzucato nei due numeri precedenti, siamo andati a scoprire un’esperienza corale davvero stimolante, sorta a Mirandola, in provincia di Modena e prosperata negli ultimi tre anni. Ecco qui il dialogo aperto tra la logopedista Sara Roncadi e il maestro Gianni Guicciardi.

Com’è bello cantar! a cura DI luca buzzavi

 Masterclass con la musicoterapeuta Loradana Boito

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TECNICA

Sara Roncadi Il servizio sanitario non offre il percorso completo di tutte le fasi riabilitative, soprattutto quelle di mantenimento, da qui come operatore sanitario, per cercare di dare una risposta a questa incompletezza, ho pensato a strategie per riempire questo vuoto. Il progetto nasce dall’idea di unire un percorso terapeutico al di fuori delle mura ospedaliere con un’occasione di socializzazione e condivisione. Ho pensato che il canto e la musica fossero strumenti idonei per cui ho contattato il direttore della Fondazione Scuola di Musica di Mirandola, m° Mirco Besutti, che mi ha sostenuto proponendomi la collaborazione con il m° Gianni Guicciardi. Il progetto è indirizzato a tutti i pazienti con disabilità fonatorie, articolatorie e deficit comunicativi; in particolare rientrano nel progetto tutte le patologie che determinano un danno cerebrale nelle aree del linguaggio, oltre all’afasia anche tutte le disabilità comunicative per trauma cranico, sclerosi laterale amiotrofica o sclerosi multipla, morbo di Parkinson. Da gennaio 2014 siamo partiti con una prova sperimentale con un piccolo gruppo di pazienti in trattamento logopedico presso l’unità operativa di Medicina Riabilitativa dell’Ospedale di Mirandola. Visti i benefici che l’attività ha prodotto sulle capacità comunicative e l’entusiasmo dei partecipanti, da ottobre 2014 abbiamo concretizzato il progetto come un’attività strutturata all’interno della scuola e come completamento del percorso terapeutico ospedaliero. Gli incontri, della durata di un’ora e mezza, si svolgono con cadenza settimanale presso la Scuola di Musica, in particolare la prima parte viene dedicata ad esercizi terapeutici di gruppo (respiratori, articolatori e di fonazione) curata da me come logopedista, mentre la seconda parte viene gestita dal maestro con attività corale specifica.


Gianni Guicciardi Terminato il mio periodo lavorativo come docente di Percezione musicale presso il Conservatorio di Musica di Mantova, continuai a collaborare con la Scuola di Musica della Fondazione Andreoli di Mirandola. All’inizio del 2014, il m° Mirco Besutti, direttore, mi propose un incontro con la logopedista dott.ssa Sara Roncadi dell’unità di riabilitazione dell’ospedale di Mirandola. Durante il colloquio la logopedista mi presentò il suo progetto: formare un coro con persone che avevano subito un trauma cerebrale, ictus o altre lesioni, che già seguiva per la riabilitazione vocale. La forza che mi comunicò nel presentare il suo progetto mi stimolò al punto tale di decidere di mettermi in gioco, seppur consapevole dei problemi che avrei incontrato perché si trattava di un’esperienza completamente nuova per me. Nel mese di ottobre seguente, presso i locali della Scuola di Musica di Mirandola, il progetto partì. Non avevo preparato nessun canto da proporre perché volevo conoscere direttamente queste persone. Era importante formare un gruppo coeso con un clima che li mettesse a proprio agio, inoltre volevo capire il funzionamento del loro strumento voce. La disponibilità di tutti e della logopedista, mi aiutò tantissimo nel comprendere in che direzione avrei dovuto muovermi. Ai presenti chiesi cosa avrebbero voluto cantare. Chi aveva la fortuna di esprimersi in modo comprensibile rispose elencando canzoni che appartenevano alla storia personale e, immagino, concomitanti con momenti importanti della vita. Dall’elenco dei brani proposti mi resi conto immediatamente che avrei dovuto studiare bene il repertorio musicale da proporre. La riproduzione vocale non era omogenea, alcuni erano in difficoltà nell’articolazione, altri meno e infine alcuni riproducevano normalmente. Dovevo scegliere se utilizzare le canzoni solo per risvegliare i loro ricordi personali, oppure per un obiettivo di riabilitazione dell’apparato vocale. Assieme alla logopedista e ai coristi si decise che tutti dovevano intervenire nel dare il loro contributo per formare un coro che, oltre al valore della socializzazione e del ricordo personale, contribuisse nel potenziare tutte le risorse personali. Iniziai a proporre dei canti con caratteristiche corrispondenti al nostro obiettivo. Canzoni con delle forme musicali semplici e con dei testi formati da un numero contenuto di parole. Molte canzoni del periodo anni 60/70 e anche canti popolari avevano queste caratteristiche, le forme motivo erano ripetitive e costituite da delle cellule ritmiche semplici che favorivano la memorizzazione e di conseguenza la riproduzione vocale. Il progetto di formare un coro incominciò a delinearsi anche con un buon entusiasmo. Alcuni coristi avevano delle difficoltà nell’articolazione verbale, ma quando si trattava di cantare,

improvvisamente il problema sembrava sconfitto. I brani musicali erano da me accompagnati con un pianoforte digitale, dove riducevo al minimo l’accompagnamento privilegiando la melodia. La scelta della tonalità delle canzoni era fondamentale, doveva corrispondere al loro registro vocale, il coro era formato da donne e uomini e spesso le voci femminili cantavano nel registro maschile, che corrisponde un’ottava inferiore. Proponendo diversi esercizi vocali, gradualmente i coristi hanno riconosciuto il timbro della propria voce, questo ha permesso al coro di formare un colore vocale misto di voci chiare e scure. La scelta dei canti doveva rimanere nel medium della voce, la velocità della riproduzione si è adeguata per favorire l’articolazione vocale di tutti i coristi. Grazie alle opportunità di ‘esibirsi’ e cantare pubblicamente, il coro migliorò sia sulle parti musicali che quelle socializzanti, valori insostituibili per un’attività di gruppo. Per valorizzare il più possibile le capacità di ogni corista, proposi a tutti di scrivere dei testi per una canzone che poi avrei musicato. Il nome del nostro coro, Com’è bello cantar, è il titolo di una canzone scritta da due sorelle che per un buon periodo hanno partecipato a questa bellissima esperienza. Ora abbiamo in repertorio altre due canzoni scritte da una corista: La notte di Natale e Non è importante. Nel settembre del 2016 la Scuola di Musica organizzò una giornata di studio sul tema Cantoterapia condotto dalla prof.ssa Mirella De Fonzo. Avevo la necessità di conoscere sul piano scientifico l’effetto terapeutico dell’attività corale. Dal convegno ricevetti tantissime indicazioni su come procedere in questa nuova e importantissima esperienza. Per finire, posso affermare di aver rilevato, da parte di tutti i coristi, una straordinaria partecipazione a ogni prova. Il loro impegno ha reso più attiva l’attenzione verso la gestualità corale perché la memorizzazione delle parole e delle linee melodico – ritmiche è sempre più presente, così come la percezione costante della pulsazione ritmica. La consapevolezza dell’emissione vocale e della durata fonatoria dimostra la validità di un’attività corale permanente rivolta a persone che hanno subito dei traumi cerebrali. Il potenziamento della capacità comunicativa e relazionale è un’altra importantissima conferma della validità di questo progetto. A ulteriore riprova della validità dell’esperienza, il 18 e 19 settembre 2017, la Fondazione Andreoli ha organizzato una riuscitissima Masterclass con la musicoterapeuta Loredana Boito, aperta a tutti i docenti della Scuola di Musica, che ha avuto il piacere di avere come coro laboratorio proprio il Com’è bello cantar. Che serva da stimolo per altre realtà?

com’è bello cantar | 29


Repertorio Musica dell’anima

Presentiamo, a corredo della rubrica Musica dell’anima, la seconda parte delle partiture gentilmente inviateci dal maestro Fulvio Rampi, di questa Messa composta per Schola, Assemblea e Organo: Santo e Agnello di Dio.

Ordinario per Schola, Assemblea e Organo di Fulvio Rampi

 Fulvio Rampi e i Cantori Gregoriani

Fulvio Rampi, diplomato in organo e composizione organistica con Luigi Molfino, ha conseguito il Magistero ed il Dottorato in Canto Gregoriano presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra sotto la guida di Luigi Agustoni. Successore dello stesso Agustoni alla cattedra di Canto Gregoriano presso il medesimo Pontificio Istituto, ha al suo attivo numerose pubblicazioni. Nel 1985 ha fondato i Cantori Gregoriani, un ensemble professionistico a voci virili, del quale è direttore stabile. Con tale gruppo svolge

30 |

REPERTORIO

una intensa attività discografica, didattica e concertistica in Italia e all’estero. Dal 1998 al 2010 è stato direttore della Cappella Musicale della Cattedrale di Cremona. Nel 2010 ha costituito il Coro Sicardo di Cremona, un ensemble polifonico col quale svolge regolare servizio liturgico nella chiesa di S. Abbondio in Cremona, dove è anche organista titolare. Attualmente è titolare della cattedra di Prepolifonia al Conservatorio di Musica G. Verdi di Torino.


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Repertorio

Che la coralità scolastica, delle voci bianche e giovanile italiana necessiti di nuovo e valido repertorio è un dato di fatto, basti dare un’occhiata ai programmi di sala di rassegne e concerti per accorgersene. Da quest’anno AERCO ha cercato di dare una risposta convincente, concentrandosi dapprima sui cori di voci bianche, lanciando il 1° Concorso Internazionale di Composizione per cori di voci bianche Corinfesta.

Un cantiere aperto sulla formazione corale infantile e giovanile: Corinfesta DI luca buzzavi

Luca buzzavi Diplomato al Triennio di Direzione di coro e Composizione corale presso il Conservatorio ‘L. Campiani’ di Mantova, laureato in Fisica presso l’Università degli studi di Bologna, ha studiato Chitarra Classica. Insegna Chitarra classica, Teoria e solfeggio, Propedeutica della Musica e Canto corale presso la Fondazione ‘C. G. Andreoli’ dei comuni dell’Area Nord di Modena all’interno della quale prepara la classe di canto corale costituita dal Coro di voci bianche ‘Aurora’. E’ direttore artistico dell’Accademia Corale ‘Teleion’ (Poggio Rusco – MN) dove segue il coro da camera ‘Gamma Chorus’ e la Schola gregoriana ‘Matilde di Canossa’, organizza seminari e corsi estivi con illustri docenti sul Canto Gregoriano e la Polifonia.

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REPERTORIO

Tale competizione, prende il via dal contesto preesistente dell’omonima rassegna corale nata nel 2015 a Mirandola (MO) all’interno della Fondazione Scuola di Musica C. G. Andreoli, sotto la direzione artistica dei maestri Luca Buzzavi e Gianni Guicciardi e con il sostegno del maestro Mirco Besutti, direttore della scuola. Dal 2017 l’evento è patrocinato da AERCO che vede inserito nella commissione artistica anche un suo designato, il m° Fabio Pecci. Il regolamento. In questo contesto – dicevamo – prende il via il concorso compositivo, con l’obiettivo principale di catalizzare la creazione di nuovi brani che rispondano sia all’esigenza didattica che a parametri estetici. Per la prima edizione si è pensato di restringere il campo solamente a composizioni a 1 e 2 voci con utilizzo di pianoforte e/o piccole percussioni o body percussion, su testi in italiano o in latino, anche se sono già cantierizzate diverse novità e allargamenti per la seconda edizione, il cui bando uscirà nel 2018. I premi. Sono previsti un primo premio e alcune segnalazioni e sia il brano vincitore che quelli menzionati dalla giuria vengono pubblicati su FarCoro, mentre solo il miglior piazzamento riceve un premio in denaro (per


 Coro Aurora, Mirandola (MO); Coro di voci bianche Ludus Vocalis, Ravenna; Coro giovanile Città di Schio, Schio (VI) ; Coro di voci bianche Gli Harmonici, Bergamo Ph. Carlo Benatti

questa prima edizione, fissato in 500 euro) e l’esecuzione pubblica durante la rassegna Corinfesta mirandolese. I risultati. Innanzitutto occorre osservare con grande soddisfazione che, nonostante il bando sia rimasto aperto solamente da giugno a metà luglio, sono pervenute 28 composizioni da Italia, Polonia, Gran Bretagna, Svizzera, Stati Uniti e Indonesia. La giuria, formata dai maestri Daniele Venturi (presidente), Manolo Da Rold, Fabio Pecci, Luca Buzzavi e Gianni Guicciardi, ha ritenuto di assegnare i seguenti riconoscimenti:

ampia che ha aperto importanti riflessioni sulla centralità della formazione dei bambini e ragazzi di oggi, anche e soprattutto attraverso il canto corale. Il tutto è avvenuto secondo la formula vincente del confronto tra diverse esperienze, scelte repertoriali, formazioni, creando una rete di contatti, amicizie e scambi che sono andati ben oltre le singole giornate di incontro. I cori che finora hanno calcato il palco di Corinfesta sono stati 16 e molti altri sono nei progetti dei direttori artistici che, insieme a tutti i genitori e collaboratori co-organizzatori del progetto, non vogliono smettere di sognare.

Primo Premio Festive Sanctus di Angelo Bernardelli (Italia) Menzione speciale per la valenza pedagogico – didattica Aria di Maurizio Santoiemma (Italia), testo di Elisa Gastaldon Menzione speciale per la ricerca timbrico – compositiva Sanctus di Anna Rocławska-Musiałczyk (Polonia) Il compositore vincitore era in prima fila sabato 21 ottobre 2017 a Corinfesta per ascoltare, insieme al numeroso pubblico intervenuto, il proprio brano eseguito dal Coro Aurora di Mirandola esprimendo gratitudine e soddisfazione non solo per l’apprezzabile esecuzione, ma anche per la solidità del progetto. La rassegna, giunta nell’ottobre 2017 alla sesta edizione, si svolge a Mirandola due volte l’anno, la prima in primavera dedicata ai cori scolastici e la seconda in autunno pensata per i cori artistici. Ciò ha permesso di offrire nel tempo un’offerta formativa ai cori e al pubblico molto

 Il m° Daniele Venturi consegna il primo premio al m° Angelo Bernardelli. Ph. Carlo Benatti

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Brano vincitore del 1° Concorso Internazionale di Composizione per Voci Bianche ‘Corinfesta’

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Brano segnalato al 1° Concorso Internazionale di Composizione per Voci Bianche ‘Corinfesta’ per la valenza didattico - pedagogica

ARIA per voci bianche e pianoforte omaggio a Georg Friedrich Händel (e non solo) Aria, sei l'aria Che fa danzare Il cuore e il mare. Aria, sei l'aria Che i sogni in volo Fa brillare.

Aria, sei madre Di suoni Di profumi d'oro. Aria, sei madre Di voci abbracciate in coro.

Sempre, nell'aria Respira il tempo Della vita. Piano, nell'aria Sussurra un'eco mai svanita.

Testo di Elisa Gastaldon

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Brano segnalato al 1° Concorso Internazionale di Composizione per Voci Bianche ‘Corinfesta’ per la ricerca timbrico - compositiva

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Dell’opera di Renato Dionisi non si conosce molto. Dionisi, nonostante avesse molti contatti con editori soprattutto sul piano didattico (pensiamo al testo ‘La tecnica del contrappunto vocale nel Cinquecento’, scritto con Bruno Zanolini per la Suvini Zerboni, testo di riferimento ancora oggi per chi voglia intraprendere gli studi di composizione), non ha portato a generale conoscenza molte sue composizioni così che potessero essere distribuite nel panorama musicale.

Renato Dionisi

‘La musica come mestiere di artigianato, esercizio e continua applicazione’ DI francesco barbuto

francesco barbuto Svolge un’intensa attività professionale nell’ambito culturale, artistico musicale e corale. È stato Presidente della Commissione Artistica Regionale dell’Unione Società Cori Italiani Lombardia (USCI) e direttore della rivista musicale online ‘A più Voci’ dal 2011 al 2015. È Cittadino Onorario di Caronno Varesino, insignito del ‘Sigillo Civico’ per il suo impegno nell’Arte, nella Cultura e nella Musica e per la direzione d’eccellenza del Choro Lauda Sion, da lui stesso formato. Dal 2012 è curatore dell’Opera Omnia inedita del Maestro Renato Dionisi (uno dei più importanti compositori e didatti del ’900 italiano) e responsabile e coordinatore del progetto editoriale per le pubblicazioni delle sue opere con la Sonitus Edizioni.

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Egli amava dare le sue musiche direttamente ai committenti (cori, solisti, ensemble strumentali, ecc.) e quasi mai lavorava per un intento personale, editoriale e di carattere commerciale o per distribuire le sue musiche al grande pubblico, perché aveva un rapporto con la ‘composizione’ sobrio e umile, talvolta quasi disinteressato. Le sue musiche dimostrano, in realtà, un’altissima e raffinata conoscenza della materia compositiva, riconosciuta, tra l’altro, da tutti i suoi colleghi ed allievi. Ai brani, soprattutto a quelli commissionati – e spesso donati ‘originali’ con una sua dedica personale – dedicava infatti ogni cura del dettaglio compositivo perché, come egli stesso continuamente amava dire ai suoi allievi: ‘Bisogna cercare di far le cose per bene!’. Dionisi si è dedicato alla composizione per più di sessant’anni, entrando in contatto con molteplici esperienze musicali, dalla neomodalità alla dodecafonia e alla serialità, perché, secondo la sua affermazione: ‘La musica quando è bella, è bella… e ciò non dipende dal suo genere musicale’. Da una parte infatti era estremamente fermo nei suoi principi e nei suoi giudizi, a proposito di valori umani ed etici, artistici e professionali, dall’altra era aperto e disponibile ad entrare in contatto con ogni tendenza artistica musicale, compreso il mondo del jazz e il repertorio della musica leggera.


 Dedica di Dionisi al M° Chuang Rong

Le musiche di Dionisi si rivolgono prevalentemente a gruppi cameristici e cori. Egli si tenne sempre a distanza dal teatro musicale e dalla grande orchestra. Scrisse molto anche per l’infanzia. L’attenzione sempre raffinata per la condotta contrappuntistica e gli intrecci musicali si realizza in un dialogo musicale fluido, molto più adatto a formazioni cameristiche che a formazioni di grande respiro. Pur utilizzando un linguaggio che non teme certo rapporti ‘dissonanti’, il discorso musicale di Dionisi assume sempre una dolcezza intrinseca tale da inserirlo nell’ambito di una musica del ’900 più ‘poetica e sognante’ che spigolosa, tipica questa invece di molti compositori d’avanguardia seguaci dell’esperienza della seconda Scuola di Vienna o dell’espressionismo degli anni ’20 e ’30.

 Offertorio – dalla Messa di Requiem per coro a 4 voci miste

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Anche l’aspetto timbrico è sempre scrupolosamente sotto la lente d’ingrandimento del modo di scrivere di Dionisi. Le voci del coro, come gli strumenti musicali delle formazioni d’ensemble, sono trattate – pur nella loro semplicità (che non equivale a semplicismo) – nelle più ampie possibilità di combinazioni tessiturali, dando sempre precedenza a cantabilità ed espressività.

 Justorum animae – per coro 5 voci miste

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Come un pittore che – pur conoscendo bene la sua tavolozza – continua a mescolare e centellinare piccolissime percentuali di combinazioni di colori… per ottenere il colore più ricco e raffinato possibile, così Dionisi continua a ricercare con assoluta attenzione le sue combinazioni di suono, perché, come amava dire: ‘La ‘musica’ deve essere prima di tutto un mestiere di artigianato, di esercizio e di continua applicazione, prima di diventare eventualmente pensiero alto’. Un’altra caratteristica importante che si riscontra subito a prima vista, nell’eseguire le partiture di Dionisi, è la scorrevolezza del fraseggio, alternata quasi sempre da recitativi e melisimi, sicuramente derivante dagli studi intrapresi con il suo maestro Celestino Eccher, gregorianista di formazione romana, un fraseggio che richiede un’esecuzione soprattutto attenta al ritmico fluire del testo.

 Magnificat – Canticum breve per coro a 4 voci miste

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Dionisi è anche il musicista dell’essenziale. Le sue musiche, in particolare quelle corali, sono brevi, concentrate, ma allo stesso tempo pienamente intrise di contenuti e di espressività, tali da toccare direttamente le corde emotive e sentimentali del nostro animo. La sua musica non è mai urlata e quindi mai forzatamente trasgressiva. Spesso è antiretorica, così da non esprimere nel modo più consueto il concetto delle parole. Dionisi non è mai scontato, lavora sempre sul sottotesto, sui sottintesi, sull’intimo profondo. Molte sue composizioni non hanno le stanghette di battuta, proprio in nome del fluire testuale e musicale, e molte, ancora, non hanno (volutamente) nemmeno le doppie stanghette di fine brano: Dionisi lascia sempre aperto e sospeso il suo discorso musicale.

 Salmo 150, finale - per coro maschile

Da anni mi occupo come studioso delle opere di Renato Dionisi. Nel 2012 Bruno Zanolini mi chiamò, dopo un lavoro editoriale che gli piacque molto e che avevamo realizzato in occasione di un concorso nazionale di composizione, nel quale ero anch’io in giuria, per l’USCI Lombardia con la Sonitus Edizioni. Fui contattato da lui, con grande piacere per me, per essere coinvolto in un’idea di progetto che avesse riguardato il grande Maestro. Zanolini fu grande amico di Dionisi e a seguito di tante attenzioni che ha sempre rivolto al suo ricordo e al suo mondo artistico e musicale, parlammo insieme e valutammo l’idea di andare a incontrare, insieme alla Sonitus Edizioni, i responsabili della Biblioteca Civica di Rovereto, che tiene tutt’ora – attraverso il ‘Fondo Renato Dionisi’ – la quasi totalità dei materiali musicali manoscritti, varie documentazioni e oggetti personali e gran parte della sua corrispondenza e visitare il reparto dedicato al grande Maestro, situato negli Archivi Storici dell’ente. Onorato di questa proposta, partimmo poco tempo dopo alla volta di Rovereto, e ricordo ancora il giorno in cui, visitando tutta la parte dedicata a Dionisi, rimasi immediatamente attratto e sedotto da tutto ciò che ebbi la fortuna di vedere e visionare! Una quantità enorme di materiale, molto del quale seppi subito era ‘inedito’ e mai pubblicato e reso disponibile al pubblico. Conoscevo già la statura artistica di Dionisi, avendo avuto come primo maestro di composizione Giovanni Walter Zaramella, che mi parlava continuamente alle sue lezioni di lui, insieme a Bettinelli (che conosceva bene di persona), Dalla Piccola, Donatoni, ecc., e non nascondo che rimasi scioccato dall’aver scoperto che moltissima musica del Maestro, nonostante egli aveva avuto molti contatti con editori soprattutto sul piano didattico, non fosse stata portata a conoscenza e distribuita nel panorama musicale. Quella giornata fu decisiva! Decisi subito di rendermi disponibile (onestamente senza ancora capire fino in fondo in che situazione mi sarei andato a infilare…) come curatore di un progetto di ricerca, visione, studio e valutazione editoriale di tutta la musica inedita di Dionisi.

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Pubblicazioni editoriali in raccolte . È stata realizzata una prima raccolta di musiche corali sacre e religiose e la Missa Brevis dal titolo ‘Canti Corali Sacri’ di Renato Dionisi, che abbiamo presentato quest’anno in prima assoluta al Simposio Mondiale della Musica Corale a Barcellona.

 Sale della Biblioteca Civica di Rovereto

D’accordo con l’erede Marcello Barberi e attraverso la sempre disponibilità della Biblioteca di Rovereto, ebbi carta bianca nell’ottenere la possibilità di recarmi liberamente quando ritenevo opportuno negli Archivi Storici, visionare e avere copia di tutte le musiche archiviate. Riuscii così a realizzare un mio archivio personale completo, che nell’arco di questi lunghi cinque anni, mi ha consentito di mettermi tantissimo al lavoro e analizzare attentamente tutte le musiche del grande Maestro.

Dal punto di vista delle partiture, abbiamo constatato come Dionisi scrivesse tralasciando spesso segni dinamici (deducibili comunque dalla logica lettura delle parti), oppure anche dando per scontato molti passaggi espressivi, senza alcuna indicazione. Pensiamo che questo non sia dovuto a distrazioni o dimenticanze, ma al fatto che egli scrivesse senza l’intenzione di pubblicare le sue musiche e quindi senza quella scrupolosissima attenzione ai segni musicali necessaria per una realizzazione editoriale. Questo ci ha spinti a prendere decisioni dal punto di vista filologico, soprattutto nella realizzazione delle trascrizioni. Non è stato necessario un lavoro di revisione, ma siamo intervenuti laddove risultava evidente la necessità di inserire segni musicali, dinamici ed espressivi. Per quanto riguarda le alterazioni, Dionisi tende a non mettere alcuna armatura in chiave, inserendole una a una, anche quando gli stessi suoni alterati si ripetono all’interno della battuta.

Il mondo che scoprii fu totalizzante. Presi sempre più piena coscienza che la maggior parte della musica di Dionisi rimase nei ‘cassetti’ per anni. Il progetto di studio ed editoriale si è sviluppato attraverso le seguenti fasi: Visione e recupero di tutti i materiali musicali inediti di Dionisi. Suddivisione in cinque gruppi di raccolte: 1. musiche corali sacre e religiose a cappella e/o accompagnate; 2. messe; 3. musiche corali profane (colte) a cappella e/o accompagnate; 4. musiche popolari a cappella e/o accompagnate; 5. musiche strumentali (solistiche, cameristiche). Studio e cura musicologica e filologica delle partiture manoscritte. Trascrizioni (al momento sono state realizzate composizioni corali sacre e religiose e le messe).

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Essendo chiaramente questi brani non di carattere tonale, abbiamo lasciato tutte le alterazioni ripetute così come ha scritto l’autore. Risultano sicuramente più chiari e non lasciano dubbi di lettura all’esecutore. Quando un suono torna ad essere naturale, abbiamo scelto di trascrivere il bequadro soltanto nella prima nota della battuta successiva. Per i brani con armature in chiave, invece, abbiamo trascritto l’alterazione estranea soltanto nella prima nota della battuta, senza riscriverla qualora vi siano ulteriori identici suoni all’interno della misura, come si usa fare convenzionalmente nella scrittura compositiva e nelle pubblicazioni editoriali. Come dicevamo, abbiamo scelto di inserire alcuni segni dinamici, espressivi e di articolazione, laddove deducibili o necessari per l’esecuzione. Tutti questi sono stati inseriti tra parentesi. Dionisi, soprattutto nelle partiture senza stanghette di battuta, ha la tendenza a non inserire le pause, quando le voci non cantano, rispettando comunque graficamente la collocazione delle note delle voci corrispondenti. Abbiamo scelto d’inserire ugualmente le pause mancanti, per ragioni di precisione grafica e corretta pubblicazione editoriale. Infine, siamo venuti in possesso di due versioni manoscritte dallo stesso Dionisi della Missa Brevis, una archiviata nella Biblioteca Civica di Rovereto e una in possesso del m° Angelo Mazza – che ringraziamo molto per avercela resa nota e disponibile – con tre battute diverse: una ai contralti nel Sanctus e una ai tenori e ai soprani nell’Agnus Dei. Abbiamo opportunamente segnalato queste tre variazioni all’interno della partitura.

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Un ringraziamento sentito va a Bruno Zanolini, con cui abbiamo condiviso l’idea di questo progetto; Marcello Barberi, erede del Maestro, e la Biblioteca Civica di Rovereto per essersi resi sempre disponibili consentendo di accedere agli archivi del Maestro, di visionare e avere copia di tutte le sue opere; l’amico e collega Tommaso Ziliani, per la sua grande competenza e disponibilità a realizzare e completare le trascrizioni dei brani scelti per questa pubblicazione editoriale; Carlo Torretta, collaboratore di Sonitus, per aver dato un importante apporto alla prima bozza di trascrizione generale delle partiture; Sandro Filippi, per la sua gentile collaborazione all’avvio di questo lavoro editoriale. Un ringraziamento particolare va anche gli amici e colleghi Mirko Carchen e Alessando Grosso, dirigenti della Sonitus Edizioni, per aver creduto in questo progetto. Renato Dionisi è e rimarrà sempre un importante Maestro del ’900 e in particolare del panorama musicale italiano.

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Si ringrazia la Sonitus Edizioni per aver reso disponibili gli esempi in partitura e per la partitura in omaggio ‘Christus factus est’, Graduale per coro a 4 voci miste

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AERCO notizie

‘Solo da pochi decenni - scriveva Giorgio Vacchi fondatore del Coro Stelutis nel suo volume ‘Canti Emiliani e non’- si è cominciato a parlare di cultura popolare e chiedersi che tipo di cultura fosse’. Certamente era facile attenersi al fatto che, sino ad allora, ciò che era definito ‘cultura’ derivasse solo da quanto era giunto sino a noi dalle diversificate scritture, incise o riportate in altri modi su supporti di varia natura, per trasmettere storie, eventi, pensieri, emersi dalle varie civiltà che si sono succedute.

70 anni di Coro Stelutis Cogliere dal passato una lezione per il futuro Cantate la tradizione. Perchè?

DI puccio pucci

coro stelutis Il complesso corale nasce a Bologna nel 1947 ad opera del Maestro Giorgio Vacchi che ne è stato il direttore sino al momento della sua scomparsa, avvenuta nel gennaio 2008. Dal 1999 è diretto dal M° Silvia Vacchi, figiia del fondatore e laureata in Direzione di Coro presso il Conservatorio ‘G.B. Martini’ di Bologna. Il repertorio dello Stelutis, è costituito da canti della tradizione orale, soprattutto emiliano-romagnola, ritrovati e trascritti durante accurate ricerche sul campo. Coro Stelutis – Associazione di Promozione Sociale Presidente: Puccio Pucci Direttore Artistico: Dott.ssa Silvia Vacchi

Non si era perciò mai preso coscienza che accanto ad una cultura scritta, poteva esisterne un’altra derivante dalla sola tradizione orale: cose tramandate e raccontate da nonni a nipoti, come racconti di vita, mestieri, metafore di moralità che, pur non avendo la trascrizione del colto, esprimevano enormi valori culturali, che meritavano dignità e dovevano essere salvati da sicuro oblio. Dimenticare definitivamente tutto ciò sarebbe stato come sotterrare biblioteche e perdere la conoscenza di quelle testimonianze che erano alla base della crescita di ogni grande o piccola comunità umana. Il Maestro Vacchi iniziò da qui il percorso che, attraverso quanto pervenuto a noi dalla tradizione orale, permise di recuperare le identità di una cultura dimenticata, contenuta nei canti della gente. Si, iniziò questo lavoro ‘ricominciando proprio dal cuore’ intervistando centinaia di anziani e meno anziani che però ancora avevano vivo il ricordo di quel patrimonio che era giusto non dovesse essere obliterato, ricco come era di profonde verità e di grandi insegnamenti morali. Crediamo fermamente che questo lavoro abbia avuto una valenza assai simile a quanti si dedicano al recupero di antichi manoscritti musicali, dimenticati a volte in vetuste biblioteche o a coloro che, dopo immani catastrofi, quali i terremoti, traggono dalle macerie anche il più piccolo frammento di opere d’arte distrutte, perdute le quali si depauperizzano i luoghi di una parte rilevante delle loro storia artistica e culturale.

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Ma l’etno-musicologo Giorgio Vacchi era anche un ispirato musicista e volle evitare che quelle risorse storicomusicali, frutto delle ricerca, rimanessero così come sono, marginali, poco visibili e socialmente improduttive; dunque destinate a essere freddamente archiviate in nastri o CD. Egli, unitamente a molti altri ricercatori e musicisti, tese a traghettare nel presente quelle musiche che esprimevano l’essenza di un passato povero, ma efficiente e che, anche oggi, dopo la sua scomparsa nel 2008, il Coro da lui fondato ed ora diretto da sua figlia Silvia, ripropone nella modernità di una sala di incisione o di un teatro. E’ un cantare le narrazioni di vita passata, non per nostalgia, ma per trarne insegnamenti, riflessioni che inducano a migliorare lo stato di assuefazione a cui ci vuole avviare il moderno pensiero. E’ come ricostruirsi con i sentimenti ricevuti dalle nostre antiche famiglie, commuoverci per le loro timide manifestazioni di affetto, dolerci delle loro grandi fatiche del lavoro nei campi, piangere le loro perdite da guerre non condivise. Poi stemperare, attraverso la musica, questi moti dell’anima e le immagini sfuocate di queste storie, che forse anche a noi hanno talvolta raccontato; e infine ci consentono di meglio porci nel presente per predisporci a proseguire. Questo è l’approccio che il Coro Stelutis si è posto, nel momento in cui celebra i suoi settanta anni di attività, proseguendo con Silvia Vacchi l’esperienza dei concerti e

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delle prove serali nella sede, un fienile con annessa stalla, che i Coristi, con l’aiuto di tanti amici, hanno salvato da sicura demolizione e successivamente ristrutturato con attenzione. Anche in questo atto il Coro è ‘ripartito dal cuore’, come è stato fatto per i canti che ripropone, cogliendo davvero dal ‘Passato una lezione per il Futuro’.


L’archivio CCS del coro Stelutis di Bologna: un’esperienza di archiviazione dei canti popolari Dal 2013 è consultabile sul web all’indirizzo www.corostelutis.org l’archivio CCS, contenente migliaia di canti popolari emiliani. Uno strumento che permette di conoscere, analizzare e confrontare le testimonianze della cultura orale ivi raccolte. L’interesse di Giorgio Vacchi (fondatore del coro Stelutis di Bologna) per questi temi nasce negli anni 60 dopo un quindicennio dedicato alla riproposizione con il coro Stelutis dei canti resi celebri dalla S.A.T. di Trento. Quel repertorio, semplice ed affascinante al tempo stesso, aveva avuto una enorme influenza sulla coralità amatoriale italiana ma rischiava, in vari casi, di ridursi a stereotipo nonostante l’indubbia forza dei testi tradizionali. Fu proprio l’esigenza di rinnovare il proprio repertorio che spinse Vacchi a chiedersi se non esistessero canti autenticamente popolari anche nella nostra regione, in Emilia Romagna. Le ricerche fatte sino a quel momento in Italia erano frammentarie e il materiale raccolto in regione era poco e spesso mal documentato. Da qui la decisione di intraprendere in prima persona una ricerca sul campo a partire dal proprio territorio. Le prime interviste effettuate tra amici e conoscenti con un registratore a bobina Philips risalgono alla fine degli anni ‘60. Non ci vorrà molto tempo per capire che le zone migliori per trovare informatori erano quelle appenniniche. Con la collaborazione del cantautore Francesco Guccini, allora amico personale di Vacchi e studioso di dialetti, vengono fatte le prime interviste in paesi dell’Appennino tosco emiliano. Le registrazioni vengono scrupolosamente catalogate con i dati relativi agli informatori e trascritte in notazione convenzionale. Nasce la consapevolezza dell’importanza della ricerca sul campo su vasta scala. Nell’ambiente corale amatoriale Vacchi incontra alcuni appassionati: tra questi un posto di rilievo lo occupa Paolo Bernardini allora direttore del coro di Gaggio Montano, il cui lavoro di ricerca e trascrizione sul proprio territorio fu fondamentale. Vacchi si fa promotore di un vasto movimento teso al rinnovamento dei repertori e al miglioramento tecnico dei cori. Da queste premesse nasce, nel 1971 l’A.E.R.C.I.P. (acronimo di associazione emiliano romagnola cori di ispirazione popolare) nel cui primo statuto è fatto obbligo a tutti i cori associati di contribuire alla ricerca sul campo. In questo modo la mole di materiale raccolto aumentò sensibilmente: direttori di coro e appassionati registrarono decine di interviste. La maggior parte di loro si attenne alle indicazioni date da Vacchi affinchè tali documenti fossero completi e attendibili: ogni intervista doveva contenere i dati anagrafici dell’informatore e alcune notizie sul contesto sociale in cui era vissuto e a cui i canti erano legati. Inoltre era necessario che il ricercatore non influenzasse in alcun modo l’informatore (per esempio era sconsigliato accompagnarne il canto con uno strumento). Le tante musicassette raccolte (nel frattempo i supporti magnetici erano cambiati) costituirono un patrimonio che andava, innanzitutto, trascritto. Per la parte musicale era necessario comunque il lavoro di un musicista: Vacchi vi si dedicò per decenni trascrivendo scrupolosamente anche le piccole varianti melodiche dei vari canti. Per la parte testuale determinante fu l’apporto dell’ing.Amos Lelli, amico, corista dello Stelutis ma, soprattutto, studioso di dialetti. Naque allora l’idea di costruire un database utilizzando uno dei primi PC messi in commercio all’epoca, dapprima contenente i testi, che vennero classificati con il metodo delle parole chiave, e successivamente anche le melodie. Da queste premesse nasce nel 2000 l’applicazione CCS2000 (da Centro Culturale Stelutis) che offre la possibilità di visualizzare in notazione musicale qualsiasi melodia contenuta nell’archivio corredata dall’incipit del testo e dal luogo di ritrovamento. Al momento della presentazione al pubblico l’archivio conteneva circa 4200 canti compresi quelli presenti solo come parte testuale. I ricercatori coinvolti sono molti: Amos Lelli, Mario Cassarini, Arrigo Montanari, Daniele Venturi, Francesco Guccini e, soprattutto Mario Bernardini, che a Gaggio Montano ha reperito circa 1400 titoli. Nel 2013 l’applicazione CCS2000 è stata messa in rete. Questo è stato possibile dopo un lavoro di variazione di progetto e codifica effettuato dalla società Idem di Granarolo dell’Emilia (Bologna). In occasione di questa revisione sono state fatte alcune implementazioni importanti. La più interessante è quella che permette di ascoltare i canti dalla voce degli informatori. Si tratta dei file audio tratti dalle registrazioni originali di ricerca i cui originali sono custoditi nell’archivio personale di Giorgio Vacchi e del Coro Stelutis. Un’altra miglioria riguarda i testi dei canti che ora sono disponibili in una trascrizione comprensiva degli accenti tonici corretti secondo l’Ortografia Lessicografica Moderna. L’archivio, così come è disponibile adesso in rete, comprende circa 4600 canti ed è raggiungibile all’indirizzo www.corostelutis.org

70 anni di coro stelutis | 69


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‘Era il lontano 1967 quando un gruppo di amatori del canto spontaneo (‘cantarein’) ebbe una felice intuizione: si poteva e si doveva dar vita ad un coro nello scandianese per salvare un patrimonio culturale nostro che si stava perdendo..

50 anni del Coro La Baita DI davide mammi

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Nel 1973 assunse, a soli 17 anni, la direzione del coro l’attuale direttore, il Prof. Fedele Fantuzzi, che cominciò un intenso e proficuo lavoro di ricerca, rovistando nelle campagne, sull’appennino, ascoltando le voci di anziani e soprattutto anziane, alla ricerca di qualcosa che aspettava solo di essere ascoltato. Si poté, quindi, raccogliere, catalogare e studiare più di 400 melodie o incipit di canti popolari, che sono parte dell’enorme patrimonio culturale presente nelle melodie popolari, che venivano tramandate oralmente, e che ormai si possono ascoltare sempre più raramente. Il Coro, così, si prefissò l’obiettivo di ricercare, conservare e diffondere, mediante i concerti e le incisioni, i canti regionali, e in particolar modo quelli tipici della provincia reggiana, attraverso le armonizzazioni del suo Direttore, che con un linguaggio nuovo e moderno si rifanno allo stile ‘padano’ tipico del canto popolare reggiano: vocalità aperta, sonorità possente e uso frequente di accompagnamenti al solista, elementi tipici della forma esecutiva spontanea. Così le storie semplici e le atmosfere impalpabili delle melodie del mondo contadino sono uscite dalle stalle e dalle osterie per salire col coro sul palcoscenico dei più importanti teatri italiani, giungendo, nel 2005, anche nell’Aula di Montecitorio, alla presenza delle più alte autorità dello Stato. Il lavoro di ricerca è stato fissato in quattro incisioni (2 LP e 2 CD) in forma di collana dal titolo: ‘Ascoltando la gente…’. Ma il coro non è solo passione musicale, è anche amicizia, quella profonda, è anche incontro con altre realtà corali italiane ed europee (Germania, Belgio, Rep. Ceca e Spagna). Sono tantissimi gli amici incontrati nelle rassegne e sono innumerevoli i cori che hanno apprezzato le armonizzazioni del Prof. Fantuzzi inserendole nel loro repertorio. Due coristi, inoltre, in occasione di concerti ad Almansa in Spagna e Treppo Grande (UD), hanno intrecciato ‘amicizie’ con i reparti femminili dei cori locali, portando poi le rispettive corali a festeggiare insieme i loro matrimoni. Sicuramente emozionante è stato cantare in Piazza S. Pietro a Roma nel 2000 in occasione della S. Messa celebrata da S.S. Giovanni Paolo II per il Giubileo del mondo agricolo. Dal 1971 il Coro La Baita organizza, col patrocinio del Comune di Scandiano e della Provincia di Reggio Emilia, la ‘Rassegna Corale Nazionale Città di Scandiano’ nel cortile d’onore della Rocca dei Boiardo, importante rassegna a carattere nazionale divenuta un appuntamento fisso per gli appassionati. Al direttore del Coro, per l’intenso lavoro di ricerca, studio e catalogazione del patrimonio etnofonico in Emilia, sono stati conferiti i premi: ‘Caravaggio’ dal coro ALPA di Caravaggio (BG); ‘Venendo giù dai monti’, dal coro Montenero di Ponte dell’Olio (PC); e ‘M. Fontanesi’ dal coro Matildico di Toano (RE).


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Nativitas Concerti di Natale dei cori AERCO 2 dicembre Caldarola - ore 21

10 dicembre Modena - Chiesa di Piumazzo - ore 17.30

Concerto di natale - Corale Nostra Signora di Fatima

Armonie di suoni e voci aspettando Natale Coro S. Giacomo di Piumazzo

2 dicembre Castelfranco Emilia (Mo)

Schola Cantorum di Bazzano

Chiesa di Santa Maria Assunta - ore 21 Rex Natus Est - Coro Tomas Luis De Victoria

10 dicembre Marignano - Chiesa di S. Pietro S. Giovanni – ore 17 Banda comunale di San giovanni in Marignano

8 dicembre Gavassa (RE) - Chiesa parrocchiale - ore 17

in collaborazione con Chorus Marignanensis

Manifestazione culturale Soli Deo Gloria - Corale Il Bosco 10 dicembre Chiesa di Castell’Arquato - ore 16 8 dicembre Casale S. Vito - Santuario Madonna di Casale - ore 18.30

Concerto Natalizio

5° Rassegna corale ‘Cantando insieme il Natale’

Corale Città di Fiorenzuola e Coro Voci Bianche

Coro della Carità di Lugo Coro polifonico di Acqualagna (PU)

10 dicembre Crevalcore - Chiesa della Madonna dei poveri - ore 17

Gruppo corale strumentale Laura Benizzi di Rimini

Coro Climacus di Terre d'acqua Corale San Silvestro

9 dicembre Luzzara - RSA anziani – ore 16

‘I Musici dell'Accademia’

Concerto di Natale - Coro La Ghirlandeina 15 dicembre Riccione - Teatro scuola primaria Brandi - ore 20.30 9 dicembre Modena - Chiesa di Sant’ Agostino - ore 16

Concerto Natale col cuore

Note di Natale in Centro Storico

Coro Voci Bianche le allegre note

Coro Folk San Lazzaro di Modena Corale Polifonica di Forte dei Marmi

16 dicembre Valsamoggia - Chiesa S. Stefano di Bazzano - ore 21 Concerto di Natale - Schola Cantorum di Bazzano

9 dicembre Castiglione dei Pepoli – ore 21 Canti Della Notte Lunga

16 dicembre Rimini - Teatro Tiberio - ore 16.30

Coro Castiglionese di Castiglione dei Pepoli (BO)

Concerto Di Natale - Corale Nostra Signora di Fatima

Coro La Rocca di Gaggio Montano (BO) Coro Genzianella di Pistoia

16 dicembre Sasso Marconi (Bo) - Chiesa SS.Donnino e Sebastiano ore 21 - NataleInsieme

10 dicembre Rimini - Teatro degli Atti - ore 17

Coro AcCanto al Sasso

Natale nel Mondo

Corale Dei Verbum Chorus

Gruppo corale e strumentale Laura Benizzi di Rimini

Orchestra Giovanile Onda marconi

nativitas | 71


16 dicembre Castello di Verucchio – ore 16

17 dicembre Alba Adriatica Rimini - Parco Pertini - ore 16.30

Concerto a favore della reumatologia Riminese ‘In...canto di Natale’

Concerto di Natale a favore dell'Unione Italiana Ciechi

Coro SATiBi Singers di Riccione

Gruppo corale e strumentale Laura Benizzi di Rimini

Gruppo Corale Strumentale Laura Benizzi 17 dicembre Modena - Chiesa Gesù Redentore -ore 16 16 dicembre Ravenna - Chiesa di san Giovanni Battista - ore 21

‘Magnificat di Rutter’

‘Misa Tango’ (Misa a Buenos Aires) di Martin Palmeri

Scuola Corale ed ensemble strumentale ‘G.Puccini’ di Sassuolo

Coro Ludus Vocalis 17 dicembre Polesine Parmense - Chiesa S. Vito e Modesto - ore 16 16 dicembre Rio Saliceto (RE) - Chiesa di San Giorgio - ore 21

Concerto di Natale

Officina Musicale (Rio Saliceto)

Cori Uniti Cortemaggiore, Soarza, Vidalenzo

Schola Cantorum Regina Nivis Coro Canossa

17 dicembre Collegiata di Fiorenzuola (PC) - ore 21 Coro Vallongina, soli ed orchestra in Cantiamo il Natale

16 dicembre Piacenza - Chiesa di S. Rita - ore 21 Una montagna di auguri

17 dicembre Chiesa di Anzola (BO) - ore 21

Coro CAI Piacenza

Concerto di Natale

Coro La Miniera di Sesto San Giovanni

Coro S. Giacomo di Piumazzo

Coro La Campagnola di Biella

Corale di Anzola Ss. Pietro e Paolo

16 dicembre Mucinasso (PC) - Chiesa S. Tommaso – ore 21

17 dicembre Castelfranco (MO) - Chiesa di S. Bartolomeo - ore 18

Concerto di Natale

Coro CAI Bologna

Schola Cantorum di S. Giorgio P.no 17 dicembre Gragnano Trebbiense (PC) -Chiesa di Casaliggio - ore 18 16 dicembre Cortemaggiore -Basilica S. Maria delle Grazie - ore 21

‘Angeli con ali invisibili’ concerto di Natale

Concerto di Natale - Corale Cortemaggiore

I Cantori di Casaliggio: Coro polifonico San Giovanni Battista, coro Free Spirits dei ragazzi, coro Clap and Jump dei bambini

16 dicembre Cerro Maggiore (MI) - ore 21

Coro Le Ferriere

Coro Vallongina, soli ed Orchestra nel Gloria di Vivaldi 17 dicembre Chiesa di San Giorgio P.No (PC) – ore 16 16 dicembre Riccione - Chiesa Mater Admirabilis - ore 21

Concerto di Natale

Concerto Di Natale - Coro Filarmonico Le Voci Liriche

Schola Cantorum di San Giorgio P.no (PC)

16 dicembre Duomo di Sassuolo - ore 21

17 dicembre Bologna - Sala Marco Biagi - ore 15

‘Magnificat di Rutter’

Concerto di Natale - Coro Leone

Scuola Corale ed ensemble strumentale ‘G. Puccini’ di Sassuolo 17 dicembre Calerno (RE) - Chiesa parrocchiale - ore 16 16 dicembre Toano (RE) - Chiesa S. Michele di Cavola - ore 21

manifestazione culturale Soli Deo Gloria - Corale Il Bosco

Concerto Armonie di Natale Coro Vocilassù

17 dicembre Granarolo dell’Emilia (BO) - Chiesa di S. Vitale - ore 18

Coro Ciclamino di Marano Vicentino

Concerto natale- rassegna ‘Organi Antichi, un patrimonio da ascoltare’

Corale Il Gigante

Coro I Ragazzi Cantori di S. Giovanni- Leonida Paterlini

16 dicembre Rocca di Verucchio (Rn)

17 dicembre Rimini - Chiesa Gesù nostra Riconciliazione - ore 21

In ....canto di Natale

Noe, noe, Noel!

Coro SATiBì Singers di Riccione

Coro polifonico Jubilate Deo di Rimini

Gruppo corale e strumentale Laura Benizzi di Rimini 17 dicembre Parma - Teatro Regio - ore 16 17 dicembre Riccione - Chiesa Mater Admirabilis - ore 17

Corinfesta, a favore di Save the children e Ospedale dei bambini

Concerto Natale con Nanyuki

Cori delle scuole di Parma

Coro Voci Bianche le allegre note

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17 dicembre Brugnolo di Rivarolo del Re - Chiesa S. Maria - ore 17.30

23 dicembre S. Giovanni in Persiceto - Basilica Collegiata - ore 20.45

Canta di Natale: viaggio tra suggestioni popolari, classiche e moderne

Tradizionale Concerto di Natale

Coro Giaches de Wert di Novellara (RE)

Coro I Ragazzi Cantori di S. Giovanni- Leonida Paterlini

Coro Polifonico Sant'Anselmo di Lucca (RE)

I piccoli cantori della Schola Cantorum Coro Cat Gardeccia

18 dicembre Casina (RE) - Chiesa Parrocchiale - ore 20.30

Coro ‘delle 11,30’

Concerto di Natale ‘Il coro incontra la scuola’ Coro della scuola primaria ‘Mons. F. Gregori’ e Coro Vocilassù

23 dicembre Rivabella Di Rimini - Chiesa N.S. Di Fatima - ore 21 Concerto Di Natale - Corale Nostra Signora di Fatima

19 dicembre Riccione - Cinema Palace - ore 21 coro SATiBì Singers di Riccione

24 dicembre Cattedrale di San Leo – ore 23.15

coro Città di Riccione

Concertino prenatalizio Schola Cantorum della Cattedrale di San Leo

20 dicembre Bologna - Casa Della Conoscenza - ore 20.45 Natale In...Cantato

25 dicembre Casinalbo (MO) - ore 21

Coro Antonella Alberani

Concerto di Natale - Corale Beata Vergine Assunta

Coro Arcanto 26 dicembre Novellara - Collegiata di Santo Stefano - ore 16 20 dicembre Bologna - Chiesa di S.Giuseppe Sposo di Maria - ore 21

Cantare il Natale: tradizioni e novità in musica

Sarah Sheppard Ensemble and Choir

Coro Giaches de Wert di Novellara (RE) Coro delle Mondine di Novi di Modena

21 dicembre Riccione - Chiesa Gesù Redentore - ore 21 Laudate et Cantate... to the Lord

26 dicembre S. Giovanni in Marignano - Chiesa di San Pietro - ore 17

coro SATiBì Singers, di Riccione

Concerto di Natale - Chorus Marignanensis

coro Note in crescendo di Riccione 26 dicembre Parma - Chiesa San Benedetto - ore 16.30 21 dicembre Sasso Marconi - Chiesa S. Donnino e Sebastiano - ore 21

Tradizionale Concerto di Santo Stefano - Coro San Benedetto

NataleInsieme Coro AcCanto al Sasso

5 gennaio Fiorenzuola D’Arda (PC) - Collegiata San Fiorenzo - ore 21

Corale Dei Verbum Chorus

Concerto dei Magi con ‘Misa Criolla’ e ‘Navidad Nuestra’

Orchestra Giovanile Onda Marconi

Corale Città di Fiorenzuola e coro G. Verdi di Ostiglia

22 dicembre Chiesa di Ostiglia (MN) - ore 21

6 gennaio Rimini - Chiesa dell'Istituto Maccolini - ore 16

‘Misa Criolla’ e ‘Navidad Nuestra’ di A. Ramirez

Concerto dell'Epifania

Coro G. Verdi di Ostiglia e Corale Città di Fiorenzuola

Gruppo corale e strumentale Laura Benizzi di Rimini

22 dicembreQuingentole (MN) - Chiesa Parrocchiale - ore 20.30

6 gennaio Modena - Chiesa di San Lazzaro - ore 16

‘Misa Criolla’ e ‘Navidad Nuestra’ di A. Ramirez

Note di Natale in Centro Storico

Coro G. Verdi di Ostiglia e Corale Città di Fiorenzuola

Coro Folk San Lazzaro di Modena Vocale Musica Nova di Levanto

23 dicembre Modena - centro culturale Alberione - ore 18 ‘Nadel in dialatt’ - Coro la Ghirlandeina

6 gennaio Parma - Chiesa Santo Sepolcro - ore 17 Concerto dell’Epifania

23 dicembre Rimini - Chiesa del Crocifisso - ore 21

Cori dell’Associazione San Benedetto

Concerto di Natale Coro Polifonico Carla Amori

7 gennaio S. Cassiano (Baiso Re) - Chiesa parrocchiale - ore 17 Concerto dell'Epifania - Corale Il Bosco

23 dicembre Chiesa di Cadelbosco di Sopra (RE) - ore 21 concerto per l'Ass.ne Commercianti del Comune di Cadelbosco

7 gennaio Bologna - Chiesa di Nostra Signora della Fiducia - ore 18

Corale Il Bosco

Sarah Sheppard Ensemble and Choir

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September 20 – 24, 2018 Porec – Istria (Croatia)

ISTRAMUSICA 2018 International Choir Festival

Early Bird Deadline: February 26, 2018 Registration Deadline: May 22, 2018 e-mail: mail@interkultur.com Internet: istramusica.interkultur.com Scan QR code and get more information

facebook.com/istramusica

INTERKULTUR, Ruhberg 1, 35463 Fernwald (Frankfurt / Main), Germany phone: +49 (0) 6404 69749-25, fax: +49 (0) 6404 69749-29 Photo Credits: © City of Porec, © Studi43



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