FarCoro Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale- 70% CN/BO
n. 1 / 2018
Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori
Primo Piano
Musica dell’anima
Tecnica
La voce e la sua espressività
Il canto dell’assemblea liturgica fra risorsa ed equivoco
Considerazioni e suggerimenti in merito alla tecnica vocale
FarCoro
n. 1 / 2018
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Editoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 di Niccolò Paganini
FARCORO Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori gennaio - aprile 2018 Edizione online www.farcoro.it Autorizzazione del Tribunale di Bologna N° 4530 del 24/02/1977 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - CN/BO. presidente Andrea Angelini presidente@aerco.emr.it Direttore responsabile Niccolò Paganini direttore@farcoro.it Comitato di Redazione Francesco Barbuto francescobarbuto@alice.it Luca Buzzavi lucabuzzavi@gmail.com Michele Napolitano napolitano.mic@gmail.com Alessandro Zignani alexzig61@gmail.com Grafica e impaginazione Elisa Pesci
La lettera del Presidente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 di Andrea Angelini
Primo Piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 La voce e la sua espressività: una questione di timbro (e non solo) di giovanni la porta e francesco barbuto
Stile - Musica dell’anima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 Il canto dell’assemblea liturgica fra risorsa ed equivoco di fulvio rampi
Tecnica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 Essere direttore di coro di luca buzzavi
Considerazioni e suggerimenti in merito alla tecnica vocale di luigi marzola e dan shen
Analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 Claude Debussy: Dieu! Qu’il la fait bon regarder! di FRANCESCO BARBUTO
AERCO notizie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 L’archivio CCS del Coro Stelutis
Stampa Tipolitografia Tipocolor, Parma
di SILVIA VACCHI
Sede Legale c/o Aerco - Via Barberia 9 40123 Bologna Contatti redazione: direttore@farcoro.it +39 347 9706837
Selezione dei membri componenti la commissione artistica AERCO
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in copertina Claude Debussy
Assemblea elettiva AERCO
FarC
Editoriale
PROF. NICCOLÒ PAGANINI Direttore responsabile
DEBUSSY, PIZZETTI E LA MUSICA DELLE PAROLE Il 2018 è un anno ricco di ricorrenze, da quelle storiche come il 100° dalla fine della prima guerra mondiale e il 50° del Sessantotto, a quelle di nascita o di morte di grandi musicisti come Adriano Banchieri, Gioachino Rossini, Claude Debussy e Ildebrando Pizzetti, per citarne alcuni. Quest’anno intendiamo anche noi ricordare questi importanti compositori; nei primi due numeri analizzeremo alcuni brani corali di Debussy e Pizzetti. Questi furono autentici protagonisti della vita musicale e culturale del primo Novecento. Tra le tante affinità che li accomuna, vi è la particolare attenzione rivolta al rapporto tra il testo e la musica. La ricerca di nuove modalità di espressione nel complesso panorama del Novecento ha determinato un rapporto nuovo tra parola e musica. Tra le proposte più significative nel rinnovamento di tale rapporto Debussy, con la sua concezione drammaturgica più vicina ai movimenti letterari o pittorici dell’epoca che a quelli musicali propriamente detti, è stato senz’altro uno dei modelli forti. Il suo modo di comporre è determinato dalla lingua e non da predefinite concezioni melodiche o formali. Egli segue le inflessioni della parola, da cui prende non solo la varietà e la ricchezza ritmica, ma anche le sue forme melodiche e armoniche, la libertà di una linea che, come un arabesco, crea il proprio spazio e le proprie tensioni. ‘La sua drammaturgia si basa sui movimenti passionali che mirano ad un’espressione autentica: quando Debussy parla di andare «alla nuda carne dell’emozione», riassume questa forma di sensibilità in cui le convenzioni, gli effetti, le esagerazioni ed il pathos drammatico vengono lasciati da parte a vantaggio della segreta palpitazione degli esseri’1. Pizzetti s’ispira proprio al musicista francese quando afferma che attraverso l’ascolto del personaggio che vive la sua vicenda, si percepisce che egli si rivela più con l’andamento degli intervalli e degli accenti e dei ritmi espressi dalla musica, che non con la sola parola; questa sembra che si determini e si riveli nel suo vero e profondo significato solo attraverso il suono, che solo l’artista è in grado di svelare. Questa particolare attenzione al testo e alla sua carica espressiva la potremo vedere proprio sia nel brano di Debussy, Dieu! Qu’il la fait bon regarder!, che nella Messa di Requiem di Pizzetti, che analizzeremo invece nel prossimo numero. Tutto questo e molto di più troverete nelle pagine della nostra rivista, nella speranza che possiate scoprire sempre nuovi e interessanti spunti di riflessione. Buona lettura!
Coro
1 Philippe Albèra, Il teatro musicale, in Enciclopedia della Musica, a c. di JeanJacques Nattiez, Einaudi, Torino 2001, vol. 3, p. 227.
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La lettera del Presidente Associazione Emiliano Romagnola Cori
Dr. ANDREA ANGELINI Presidente AERCO
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AERCO, FRA TRADIZIONE E MODERNITA’ Sono oramai trascorsi 47 anni da quando in quel di Ferrara, in un lontano 16 Maggio 1971, alcuni direttori capitanati dal compianto maestro Giorgio Vacchi, diedero vita alla prima associazione italiana che raggruppava i cori. Immagino il loro entusiasmo nel raccogliere le tante idee per poi tramutarle in una carta che avrebbe disciplinato, da quel momento, la vita associativa di AERCIP. Sì, perché questo è il nome originale di quella che poi diventò AERCO. I cori costituenti venivano dal mondo popolare e l’acronimo per la nuova associazione avrebbe dovuto rispettare questo interesse verso la musica della tradizione. AERCIP, infatti, stava per Associazione Emiliano Romagnola Cori di Ispirazione Popolare. Alcuni anni dopo, con l’ingresso dei cori polifonici, si pensò di mutare il nome associativo in quello che è l’attuale. I fondatori si posero allora come obiettivo quello di trovare un momento di collaborazione per diffondere l’associazionismo musicale amatoriale, per migliorare con iniziative corsuali la preparazione tecnica dei direttori, per supportare l’attività dei cori creando opportunità di concerti e di incontri musicali al fine di facilitare la pratica musicale fra gli associati ed infine per contribuire e potenziare sul territorio regionale la ricerca musicale, sia nel campo polifonico che in quello etnofonico. Certo, da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, i tempi hanno cambiato i modi di raggiungere gli obiettivi ma le finalità iniziali sono tutt’ora alla base della mission associativa. E’ impossibile, in un concentrato di spazio così breve, offrire una visione completa di cosa è AERCO oggi, di cosa essa rappresenti per i suoi associati e di come si possa collocare tra il mondo della musica (la richiesta) e i cori (l’offerta). Detta così parrebbe più un’azienda di servizi da gestire che un serbatoio di valori da condividere e difendere. Per quello che può contare il mio parere dico che AERCO ha concesso a me ed ai miei collaboratori l’opportunità di mettere in pratica una nostra vision della musica corale. Personalmente sono cresciuto con AERCO e spero di aver fatto crescere anche l’Associazione; generalmente questi fattori vanno in simbiosi, ma non sta certo a me dare un giudizio finale. Ho cercato di applicare un modello che ho appreso in anni di esperienza come musicista, organizzatore di eventi, direttore di una rivista corale internazionale. Soprattutto i miei tanti viaggi all’estero, dove mi sono confrontato con le innumerevoli problematiche musicali, mi hanno permesso di mutuare ed applicare alla nostra coralità regionale idee che, diversamente, non avrei mai toccato con mano. Il modello di AERCO che ho subito avuto in mente è stato quello di un’ Associazione dove era necessario stabilire chi avrebbe fatto cosa. Sono stati creati ruoli ad hoc, comitati di assunzione di responsabilità, come una Commissione Artistica completamente slegata dal Consiglio Direttivo, un Comitato Editoriale per la rivista
FARCORO, un Webmaster, una persona che curasse l’immagine e la promozione di AERCO nonché la ricerca di fondi, un Project Manager per seguire le varie iniziative. Tutto ciò ha portato grande fervore da parte di chi ci ‘lavora’. Si tratta di qualcosa che esula, per buona parte, dal volontariato, che nella sua comune accezione significa donare il proprio tempo quando si ha tempo. Seguire oltre 200 cori, con tutta la loro mole di richieste quotidiane, alcune rassegne su base regionale, i corsi, la rivista e tutte le attività implementate richiede un costante utilizzo del tempo che non può essere più esclusivamente affidato al volontariato. Per questo AERCO ha deciso che alcuni ruoli quadro sarebbero stati supportati economicamente. Non nascondo che è stato un notevole sforzo finanziario ma adesso ciascuno che è rivestito di un compito continuativo riesce a garantire la puntualità della prestazione. Ovvio che la maggior parte del lavoro viene svolto gratuitamente, senza questo non si andrebbe da nessuna parte e sarebbe contrario a quei principi associativi che vedono nella gratuità del servizio la ragione del suo essere. Brevemente, vorrei concludere con le attività che AERCO ha offerto ai suoi associati negli ultimi tempi e che proseguiranno nel futuro: i festival corali CantaBO, Di Cori un Altro Po, Voci nei Chiostri, i concerti del World Choral Day, la Rassegna dei Cori Piacentini, Le Voci della Terra (Parma), Soli Deo Gloria (Reggio Emilia), Cori@MO (Modena), Corinfesta (Mirandola), i Concerti del Tè (Rimini), i corsi per direttori di cori scolastici, i corsi per compositori, per direttori e coristi organizzati dalle delegazioni di Ferrara e Rimini, i corsi in convenzione con i cori associati, la rivista FARCORO (anche sotto forma di blog su www.farcoro.it), il Coro Giovanile Regionale. Inoltre AERCO supporta moralmente ed economicamente le migliori iniziative dei cori associati. Il tutto coordinato da una segreteria aperta 5 giorni alla settimana, grazie al lavoro di un collaboratore e di studenti Erasmus, nella sede sociale di Via Barberia in pieno centro storico a Bologna.
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L’organo vocale può essere considerato per ciascuna persona uno strumento musicale primordiale. Alla voce si ricollega l’originaria capacità individuale di emettere un suono, fin dai primi istanti di vita. Pur non essendo educati alla musica o alla recitazione, dell’organo vocale si sperimentano quotidianamente le grandi potenzialità comunicative ed espressive: dalla lingua parlata al canto, dall’imitazione del rumore ambientale alla manifestazione di gioia/ disappunto individuale. La compromissione della capacità vocale costituisce nell’uomo una grave forma di menomazione, cui si ricollega la stessa percezione uditiva .
La voce e la sua espressività... una questione di timbro (e non solo)
L’apparato vocale: uno straordinario medium espressivo oltre che comunicativo DI giovanni la porta
GIOVANNI LA PORTA Diplomato in viola presso il Conservatorio ‘C. Pollini’ di Padova e in Violino presso il Conservatorio ‘J. Tomadini’ di Udine, si è laureato successivamente in Architettura presso lo IUAV di Venezia conseguendo il Dottorato di Ricerca in ‘Ingegneria civile ambientale architettura’ presso l’Università degli studi di Udine. All’attività libero-professionale, unisce quella di musicista come didatta ed esecutore. Dall’a.a. 2009-2010 ha ricoperto l’incarico di professore a contratto per l’insegnamento di Acustica musicale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia Università degli studi ‘Ca Foscari’ di Venezia, incarico che ricopre attualmente presso il Conservatorio ‘C. Pollini’ di Padova.
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L’apparato vocale è quindi uno straordinario medium espressivo oltre che comunicativo, capace di conferire al significato semantico del linguaggio una particolare carica emotiva: la voce come specchio delle più profonde emozioni della persona, indicatore di uno stato d’animo o di una ottimale/precaria condizione psicofisica. Non sarà un caso che nella lingua tedesca il termine ‘stimme’ identifichi il significato di voce, intesa anche come ‘parte musicale’, linea melodica; il termine derivato, ‘stimmung’, identifica però il significato di umore, stato d’animo, disposizione interiore, sottolineando il potenziale espressivo insito nell’emissione vocale. Queste caratteristiche fanno della voce una fonte sonora ancora oggi difficilmente riproducibile artificialmente, forse proprio perché caratterizzata da potenzialità espressive maggiori e più complesse rispetto agli altri strumenti musicali. Scopo principale di queste note vuole essere proprio la comprensione della relazione tra espressività e timbro vocale, una caratteristica notoriamente legata alla nozione di ‘colore’ e ‘carattere’ del suono ma cui spesso si ricollega anche ogni reazione emotiva individuale. Il meccanismo della fonazione ‘L’organo vocale è uno strumento che consiste in un generatore di potenza (i polmoni), un oscillatore (le corde
vocali) e un risuonatore (laringe, faringe e bocca). I cantanti modificano l’assetto del risuonatore in modo speciale’ J. Sundberg. Il funzionamento dell’organo vocale nell’uomo – l’insieme degli organi fonatori del tratto vocale: polmoni, trachea, laringe, corde vocali, cavità orale, cavità nasale – si lega fondamentalmente all’emissione di componenti sonore elementari, i foni, da cui deriva la generazione dei fonemi e da questi la formazione delle sillabe e delle parole che fanno parte di ogni lingua parlata. I foni possono essere distinti in sonori e sordi: nel primo caso sono prodotti mettendo in vibrazione le corde vocali con un meccanismo anatomico noto come meccanismo laringeo; nel secondo caso sono generati dal solo flusso d’aria proveniente dai polmoni e sospinto verso l’esterno. Nel caso dei foni sonori si parlerà di suono vero e proprio; per i fonemi sordi si tratterà invece sostanzialmente di una forma più o meno articolata di rumore, un fenomeno acustico cui manca un’altezza precisa, generata da una qualche forma di deviazione del flusso d’aria all’interno del tratto vocale. Nella lingua italiana, ciascuno di noi può sperimentare come all’emissione delle vocali, per quanto breve essa sia, coinvolga sempre la vibrazione delle corde vocali. Al contrario, l’emissione delle consonanti si associa solo ad una forma di occlusione del flusso d’aria (in particolare la parte terminale del tratto vocale, con il coinvolgimento della lingua, delle labbra e dei denti) che può dar vita a diverse modalità di articolazione sonora. Possono essere generati suoni occlusivi (p, b), fricativi (f, v, s), affricati (z, c), nasali (n), laterali (l) . E, analogamente, l’assenza di vibrazione delle corde vocali nell’emissione parlata, può essere sperimentata facilmente ‘sussurrando’ le parole, quella modalità di fonazione che ci consente di articolare le sillabe con la sola fuoriuscita dell’aria, rinunciando al consueto sostegno della vibrazione delle corde vocali. Ma volendo ora identificare il meccanismo laringeo – fisiologicamente, l’azione dalla quale si origina l’emissione vocale, nel canto come nel parlato – va sottolineato che il movimento delle corde vocali non sia propriamente equiparabile alla vibrazione di una corda musicale. Pur essendo vincolate e tese tra due estremità (anteriormente la cartilagine tiroide e posteriormente le cartilagini aritenoidi), le corde vocali non possono essere messe in vibrazione secondo quelle modalità che sarebbero consuete per gli altri strumenti musicali (sfregamento, percussione, pizzico), né il solo flusso d’aria prodotto dai polmoni sarebbe in grado di causare una loro oscillazione apprezzabile. Il suono vocale ha invece origine nell’attitudine origina l’emissione vocale, nelacusticamente canto come nel parlato – va sottolineato che il movimento delle corde vocali non sia propriamente equiparabile alla vibrazione di una corda musicale. Pur essendo delle corde vocali di avvicinarsi e distanziarsi reciprocamente in modo ciclico – ciò che vincolate e tese tra due estremità (anteriormente la cartilagine tiroide e posteriormente le cartilagini aritenoidi), le corde vocali non possono essere messe in vibrazione secondo quelle modalità che frequentemente si definisce accollamento delle rime della glottide – chiudendo e aprendo la sarebbero consuete per gli altri strumenti musicali (sfregamento, percussione, pizzico), né il solo flusso d’aria prodotto dai polmoni della sarebbetrachea in grado diecausare una loro così, oscillazione acusticamente sommità del condotto generando sotto la spinta del fiato, una successione apprezzabile. Il suono vocale ha invece origine nell’attitudine delle corde vocali di avvicinarsi e periodica di sbuffi ind’aria. Analizzando più in dettaglio questo meccanismo, si può notare che, distanziarsi reciprocamente modo ciclico – ciò che frequentemente si definisce accollamento delle rime della glottide – chiudendo e aprendo la sommità del condotto della trachea e generando fisiologicamente, la natura dello sbuffo d’aria debba essere ricollegato così, sotto la spinta del fiato, una successione periodica di sbuffi d’aria. Analizzando più in alla tensione delle corde dettaglio questo meccanismo, si può notare che, fisiologicamente, la natura dello sbuffo d’aria vocali, alla velocità del flusso d’aria e alla contestuale diminuzione di pressione dell’aria presente debba essere ricollegato alla tensione delle corde vocali, alla velocità del flusso d’aria e alla contestuale diminuzione di pressione dell’aria presente al di sotto della glottide [6]. Ma al di là della al di sotto della glottide. Ma al di là della descrizione movimento delle corde vocali sotto il descrizione movimento delle corde vocali sotto il profilo fisico-meccanico, è interessante notare come il lorofisico-meccanico, avvicinamento possa coinvolgere una porzione più come o meno ilconsistente di tessuto profilo è interessante notare loro avvicinamento possa coinvolgere una (mucosa cordale), generando, durante la fonazione, in ogni caso un movimento ciclico detto onda porzione più o meno consistente di tessuto cordale), generando, durante la fonazione, mucosa [7]. L’andamento periodico del meccanismo laringeo (mucosa genera quindi, al di sopra della glottide, una successione di compressioni e rarefazioni gassose che si propaga lungo tutto il tratto in ogni caso unciòmovimento ciclico onda mucosa. L’andamento vocale, in altri termini che identifica da un puntodetto di vista acustico un’onda sonora longitudinale, periodico del meccanismo caratterizzata da altezza e intensità musicale ben definite. laringeo genera quindi, al di sopra della glottide, una successione di compressioni e rarefazioni gassose che si propaga lungo tutto il tratto vocale, in altri termini ciò che identifica da un punto di vista acustico un’onda sonora longitudinale, caratterizzata da altezza e intensità musicale ben definite. Fig. 1) Sequenza dell’onda mucosa nel ciclo di apertura-chiusura della glottide; visualizzazione simultanea del moto laterale e verticale dell’onda mucosa Fig. 1) Sequenza dell’onda mucosa nel ciclo di apertura-chiusura della glottide; visualizzazione simultanea del moto laterale e verticale dell’onda mucosa
la voce e la sua espressivita’ | 7
In questo senso l’emissione vocale può essere equiparata alla produzione sonora negli strumenti musicali a fiato, ad imboccatura labiale in particolare. Esiste, infatti, una sostanziale analogia tra le
In questo senso l’emissione vocale può essere equiparata alla produzione sonora negli strumenti musicali a fiato, ad imboccatura labiale in particolare. Esiste, infatti, una sostanziale analogia tra le corde vocali del cantore e le labbra dell’esecutore. Entrambi gli elementi vibranti costituiscono un oscillatore elementare il cui movimento, prolungato per il tempo di esecuzione, consente il permanere di un’onda sonora progressiva di tipo longitudinale. E ancora, all’interno delle rispettive cavità (tratto vocale o canneggio), la sovrapposizione tra l’onda sonora progressiva e la sua riflessione all’estremità libera (campana dello strumento a fiato e labbra della bocca) genera un’onda sonora stazionaria, quel particolare moto ondoso per il quale, lungo il percorso dell’onda sonora, possono essere individuati punti fissi di massima e minima sollecitazione nel mezzo di propagazione (nel caso del tratto vocale, ventri e nodi di pressione e/o di velocità della massa d’aria che lo riempie).
Pur in tale analogia, va però evidenziata una sostanziale differenza. Negli strumenti musicali a fiato la frequenza di oscillazione delle labbra dell’esecutore, e conseguentemente l’altezza del suono emesso, è fortemente condizionata dall’onda sonora riflessa che si genera all’interno del canneggio; nel caso della voce invece, la frequenza di vibrazione delle corde vocali avviene indipendentemente, determinata solo dalla loro tensione. Nell’emissione vocale, quindi, il modo in cui si generano nodi e ventri di pressione (o velocità) dell’aria all’interno del tratto vocale non ha alcuna influenza sull’altezza del suono emesso, ma, come si vedrà, è in grado solo di influenzarne le sue particolarità timbriche. Caratteristiche della voce: altezza, intensità e timbro E’ noto che da un punto di vista musicale altezza, dinamica e timbro costituiscono le caratteristiche principali del suono di ogni strumento musicale, caratteristiche che da un punto di vista fisico possono essere identificate dalla frequenza, intensità e composizione spettrale del fenomeno sonoro. E’ qui il caso quindi di esaminare in che
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modo l’organo vocale determina tali componenti musicali, essendo ad esse legata ogni potenzialità espressiva. L’attenzione sarà qui rivolta in particolare all’emissione vocale nel canto, equiparando quindi la voce ad un autentico strumento musicale. In primo luogo è il caso di evidenziare che l’altezza e l’intensità della voce non risultano caratteristiche del tutto indipendenti: come accade in molti strumenti musicali, il crescere dell’altezza si associa ad un naturale incremento di intensità del suono, legato alla maggiore contrazione dei tessuti epiteliali coinvolti durante la fonazione. A questo proposito, l’altezza del suono vocale si lega fondamentalmente all’allungamento/contrazione delle corde vocali. L’aumento della loro tensione, delle rime della glottide in particolare, comporta un incremento della frequenza degli sbuffi d’aria prodotti all’interno del tratto vocale e conseguentemente la generazione di onde sonore di altezza maggiore. Sotto il profilo anatomico, la tensione delle corde vocali può essere modulata sfruttando l’azione di distinti apparati muscolari: a) il muscolo vocale, con una variazione di altezza pari ad un intervallo di V (registro grave); b) i muscoli antagonisti del collo, aritenoidei e cricotiroidei, con l’estensione di un secondo intervallo di V (registro medio-acuto); c) i muscoli sternotiroidei e i muscoli dell’osso ioide, con l’estensione di un ulteriore intervallo di V (registro acuto). L’azione combinata dei tre apparati consente quindi un’estensione globale dell’organo vocale nel canto pari a circa due VIII (poco più di una VIII nel linguaggio parlato), pur se va sottolineato che questo dato risulti variabile per ogni persona e sicuramente assoggettato allo sviluppo di una idonea tecnica di emissione vocale. Nel canto, percorrendo dal grave all’acuto l’intera estensione vocale individuale, gli apparati muscolari sono sollecitati in successione: esaurita una prima modalità di allungamento della corde vocali, entra in gioco il meccanismo successivo, modulando la voce nei vari registri. Il passaggio tra i vari registri, coinvolgendo diversi meccanismi di contrazioneestensione delle corde, non è immune da problematicità, ciò che si evidenzia spesso nella mancanza di omogeinetà sonora durante l’esecuzione dell’intera estensione vocale individuale. Ciascun cantore, ad esempio, può sperimentare che l’emissione del suono nel registro acuto comporti un progressivo abbassamento della cartilagine tiroidea (il pomo di Adamo) indotto dall’azione del terzo apparato muscolare e che spesso il passaggio a quel registro vocale coincida con una moderata discontinuità timbrica della voce. Se l’altezza del suono vocale si riconduce alla tensione impressa alle corde vocali, l’intensità è invece determinata dalla pressione che il flusso gassoso polmonare esercita nei
loro confronti. Come si è visto, quando l’atto respiratorio ordinario è accompagnato dalla chiusura del condotto tracheale, al di sotto della glottide si genera una spinta che viene contrastata dall’accostamento delle rime della glottide: maggiore sarà la forza, più esteso sarà l’accollamento delle corde vocali, coinvolgendo, in particolare, una quota maggiore del loro spessore. In generale quindi, l’intensità del suono vocale costituisce una sorta di stato di equilibrio tra la forza esercitata dal fiato e, in contrasto con tale forza, la resistenza prodotta dalla massa delle corde vocali. E va evidenziato anche che al crescere dell’altezza della voce sarà minore lo spessore del tessuto cordale coinvolto nella resistenza al flusso del fiato, essendo le corde necessariamente più tese e meno accollate. Tale particolarità sarà responsabile, come si vedrà, della differenziazione timbrica della voce nei suoi diversi registri. Diversa e più complessa appare per certi versi la considerazione del timbro vocale, essendo tale aspetto legato ad un potenziale coinvolgendo di ogni elemento anatomico dell’apparato fonatorio. Molte potrebbero essere le definizioni del timbro di un suono, ma probabilmente nessuna sarebbe in grado di tradurre in modo esaustivo l’immagine sensoriale di un particolare carattere timbrico. Sotto il profilo percettivo è possibile rilevare come il suono vocale possa apparire pieno, ‘a fuoco’, o, viceversa, ovattato, poco del suono costituiscesolitamente una sorta di le stato di equilibrio la forza dalofiato e, inprivo incisivo, cuivocale si associano definizioni di tra suono benesercitata timbrato suono contrasto con tale forza, la resistenza prodotta dalla massa delle corde vocali. E va evidenziato di anche sufficiente carattere timbrico. Volendo sortadelditessuto parallelismo tra il suono che al crescere dell’altezza della voce saràstabilire minore louna spessore cordale coinvolto nella resistenza flusso strumenti del fiato, essendo le corde necessariamente più tese e menoparte accollate. Tale del vocale e il suonoal degli musicali, della prima categoria farebbe il suono particolarità sarà responsabile, come si vedrà, della differenziazione timbrica della voce nei suoi violino, per la sua brillantezza ed incisività, mentre della seconda categoria farebbe diversi registri. Diversa e più complessa appare per certi versi la considerazione del timbro vocale,parte essendo tale il aspetto legato ad flauto un potenziale ognilaelemento anatomico sicuramente suono di un (dolcecoinvolgendo o traverso)diper sua rotondità e dell’apparato dolcezza. fonatorio. Molte potrebbero essere le definizioni del timbro di un suono, ma probabilmente nessuna Masarebbe l’immagine acustico-sensoriale del suono musicale risponde, sotto il profilo fisico, in grado di tradurre in modo esaustivo l’immagine sensoriale di un particolare carattere Sotto il connotazione profilo percettivo acustica è possibiledel rilevare come il suono vocale pieno, adtimbrico. una evidente fenomeno sonoro, ciòpossa che apparire si traduce in una “a fuoco”, o, viceversa, ovattato, poco incisivo, cui si associano solitamente le definizioni di suono maggiore o minore numerosità e intensità di suoni armonici che corredano il suono ben timbrato o suono privo di sufficiente carattere timbrico. Volendo stabilire una sorta di parallelismo traI ilsuoni suono che vocale e il suono degli strumenti musicali, prima categoria fondamentale. ascoltiamo ordinariamente sonodella composti da unafarebbe frequenza parte il suono del violino, per la sua brillantezza ed incisività, mentre della seconda categoria base, detta fondamentale, unita ad una serie più o meno nutrita di suoni accessori, farebbe parte sicuramente il suono di un flauto (dolce o traverso) per la sua rotondità e dolcezza. Ma più l’immagine acustico-sensoriale del suono musicale proprio risponde, per sotto avere il profilo fisico, ad multiple una detti propriamente suoni parziali armonici, frequenze evidente connotazione acustica del fenomeno sonoro, ciò che si traduce in una maggiore o minore della fondamentale. Nella figura seguente può essere notata come, data una frequenza numerosità e intensità di suoni armonici che corredano il suono fondamentale. I suoni che fondamentale f1, la sovrapposizione con lebase, frequenza f2 ed f3, multiple naturali ascoltiamo ordinariamente sono compostididaquesta una frequenza detta fondamentale, unita ad una più o meno nutrita di suoni accessori, detti più propriamente suoni parziali armonici, proprio di serie f1, dia luogo ad un’ o nda sonora più articolata (suono complesso) che presenta però la per avere frequenze multiple della fondamentale. Nella figura seguente può essere notata come, data stessa periodicità di f1. Le rappresentazioni che una frequenza fondamentale f1, la sovrapposizione di seguono questa con evidenziano le frequenza f2laedsovrapposizione f3, multiple naturali di f1, dia luogo ad un’onda sonora più articolata (suono complesso) che presenta però la della onde sonore elementari f1, f2, f3 come andamento della pressione in funzione stessa periodicità di f1. Le rappresentazioni che seguono evidenziano la sovrapposizione della onde delsonore tempo t e f1, in f2, funzione della frequenza; le rappresentazioni considerate elementari f3 come andamento della pressione in funzione del temposono t e in funzione della frequenza; le rappresentazioni sono considerate complementari, evidenziando nel secondo complementari, evidenziando nel secondo caso la scomposizione del suono complesso caso la scomposizione del suono complesso nelle su e componenti elementari. Si noti come
‘ La voce è una fonte sonora ancora oggi difficilmente riproducibile artificialmente, forse proprio perché caratterizzata da potenzialità espressive maggiori e più complesse rispetto agli altri strumenti musicali’
l’intensità di f1 sia doppia rispetto a quella di f2 e f3.
Fig. 2) Grafici delle onde sonore riferite alla frequenza fondamentale (f1, in rosso), alla seconda armonica (f2, in verde), alla somma di f1 e 2) f2 Fig. (in azzurro), alla terza armonica (f3, in magenta)), alla somma delle tre componenti di (f1+f2+f3, in blu).
Grafici delle onde sonore riferite alla frequenza fondamentale (f1, in rosso), alla seconda armonica (f2, in verde), alla somma di f1 e f2 (in azzurro), alla terza armonica (f3, in magenta)), alla somma delle tre componenti di (f1+f2+f3, in blu).
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timbrico per mezzo dei contributi parziali [nota a piè di pagina, 1]. [nota a piè di pagina, 1] Le caratteristiche timbriche di un suono che ha frequenza fondamentale (f1) sono determinate da un preciso corredo di parziali armonici, ovvero sia nota l’intensità delle frequenze multiple naturali della frequenza fondamentale (nf1). nelle sue componenti elementari. Si noti come l’intensità di f1 sia doppia rispetto a quella di L’onda sonora risultante dalla sovrapposizione di tutti i contributi, ha carattere periodico, frequenza pari a quella del contributo f2 e f3. sonoro più grave (fondamentale) e andamento complesso, ovvero non ha più la forma di semplice sinusoide. La periodicità dell’onda sonora complessa prefigura quindi la possibilità che il suono possa essere scomposto in più Ilonde sistema uditivo in gradomultipla di integrare contributi sonori contenuti in un cfr. suono elementari aventiè frequenza naturale tutti della ifrequenza fondamentale (teoria di Fourier in dato, http://fisicaondemusica.unimore.it/Teorema_di_Fourier.html). E’ noto però che in molti casi (piastre, membrane, corde riconoscendo l’altezza del suono per mezzo della sua frequenza fondamentale ed il suo ...) si generino frequenze multiple non perfettamente armoniche (fn ≠ nf1), dando luogo a onde sonore complesse non perfettamentetimbrico periodiche. per Cfr. in A. Frovadei (1999), cit., pag. 49 e seg. 1 carattere mezzo contributi parziali.
Ogni interrogativoinerente inerente la qualità timbrica del suono valutare, nel linguaggio Ogni interrogativo la qualità timbrica del suono dovràdovrà quindiquindi valutare, sia nel sia linguaggio parlato come nelnel canto, in cheinmodo vocale di vocale ciascun individuo possa essere inpossa grado essere di parlato come canto, che l’apparato modo l’apparato di ciascun individuo in variare di la numerosità e l’intensità dei contributi parziali. grado variare la numerosità e l’intensità dei contributi parziali. Una prima osservazione deve essere riferita al fatto che la definizione del timbro della voce non Una osservazione deve essere riferita al fattoe che la definizione delCiò timbro dellaalla voce non possaprima ritenersi del tutto indipendente rispetto all’altezza all’intensità del suono. lo si deve fisiologica incapacità di mantenere, in ognirispetto porzioneall’altezza dell’estensione vocale individuale, stesso possa ritenersi del tutto indipendente e all’intensità del suono.loCiò lo si deve grado di accollamento tra le corde vocali. Ma venendo ad identificare, più nel dettaglio, il corredo alla fisiologica incapacità di mantenere, in ogni porzione dell’estensione vocale individuale, lo dei parziali armonici che accompagnano nell’emissione vocale una frequenza fondamentale, è stesso grado di accollamento tra ledella corde vocali. sonora, Ma venendo adnel identificare, più nel dettaglio, necessario evidenziare che l’andamento pressione misurata mezzo di propagazione richiama con buona unanell’emissione forma d’onda di tipo “triangolare”, ilin funzione corredodel deitempo, parziali armonici cheapprossimazione accompagnano vocale una frequenza in cui può essere riconosciuta una serie molto numerosa di parziali armonici (nf1) che hanno fondamentale, è necessario evidenziare chedella l’andamento della –pressione sonora, nel un’ampiezza rapidamente decrescente al crescere frequenza (circa 12 dB/ottava) [notamisurata a piè di pagina, mezzo di 2] propagazione in funzione del tempo, richiama con buona approssimazione una forma d’ onda di tipo “triangolare”, in cui può essere riconosciuta una serie molto numerosa di parziali [nota a piè di pagina, 2] Tra le forme (nf1) più note di forma dell’onda di pressionerapidamente ci sono, oltre a quella triangolare, quella “quadra” edella “a dentefrequenza di armonici che hanno un’ampiezza decrescente al crescere sega”. Ad ogni tipologia di forma corrispondono suoni che hanno una diversa e particolare caratterizzazione timbrica 2 (circa – 12 dB/ottava). cui si associano diversi corredi di parziali armonici. Cfr. in http://fisicaondemusica.unimore.it/Sviluppi_in_serie_di_Fourier.html
Fig. 3) Andamento della pressione sonora in funzione del tempo (emissione vocale nel canto, 261 Hz) e scomposizione del suono nelle sue componenti Fig. 3) parziali; le curve in rosso evidenziano la diversa intensità dei parziali armonici nel parlato (linea mediana) e, per l’emissione cantata, nel forte (linea superiore) e nel piano (linea inferiore)
Andamento della pressione sonora in funzione del tempo (emissione vocale nel canto, 261 Hz) e scomposizione del suono nelle sue componenti parziali; le curve in rosso evidenziano la diversa intensità dei parziali armonici nel parlato Ciò che si può quindi osservare è che, in condizioni di emissione vocale ordinaria, la frequenza fondamentale (linea mediana) e, per l’emissione cantata, nel forte (linea superiore) e nel piano (linea inferiore) f1 con la quale vibrano le corde vocali sia accompagnata da molte altre frequenze accessorie, multiple naturali di f1 (parziali armonici) la cui intensità sia sempre meno evidente man mano che ci si distanzia dal suono che le origina. L’intensità di tali contributi accessori decade con maggiore rapidità nell’emissione parlata (- 18 dB/ottava) rispetto a quella cantata così come, musicalmente parlando, nel piano rispetto al forte [9]. In altre parole, come può essere verificato ordinariamente da ciascun cantore, la brillantezza, l’incisività
Ciò che si può quindi osservare è che, in condizioni di emissione vocale ordinaria, la frequenza fondamentale f1 con la quale vibrano le corde vocali sia accompagnata da molte altre frequenze accessorie, multiple naturali di f1 (parziali armonici) la cui intensità sia sempre meno evidente man mano che ci si distanzia dal suono che le origina. L’intensità di tali contributi accessori decade con maggiore rapidità nell’emissione parlata (- 18 dB/ottava) rispetto a quella cantata così come, musicalmente parlando, nel piano rispetto al forte.
1 Le caratteristiche timbriche di un suono che ha frequenza fondamentale (f1) sono determinate da un preciso corredo di parziali armonici, ovvero sia nota l’intensità delle frequenze multiple naturali della frequenza fondamentale (nf1). L’onda sonora risultante dalla sovrapposizione di tutti i contributi, ha carattere periodico, frequenza pari a quella del contributo sonoro più grave (fondamentale) e andamento complesso, ovvero non ha più la forma di semplice sinusoide. La periodicità dell’onda sonora complessa prefigura quindi la possibilità che il suono possa essere scomposto in più onde elementari aventi frequenza multipla naturale della frequenza fondamentale (teoria di Fourier cfr. in http://fisicaondemusica.unimore.it/ Teorema_di_Fourier.html). E’ noto però che in molti casi (piastre, membrane, corde ...) si generino frequenze multiple non perfettamente armoniche (fn ≠ nf1), dando luogo a onde sonore complesse non perfettamente periodiche. Cfr. in A. Frova (1999), cit., pag. 49 e seg. 2 Tra le forme più note di forma dell’onda di pressione ci sono, oltre a quella triangolare, quella “quadra” e “a dente di sega”. Ad ogni tipologia di forma corrispondono suoni che hanno una diversa e particolare caratterizzazione timbrica cui si associano diversi corredi di parziali armonici. Cfr. in http://fisicaondemusica.unimore.it/Sviluppi_in_serie_di_Fourier.html
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In altre parole, come può essere verificato ordinariamente da ciascun cantore, la brillantezza, l’incisività della propria voce può essere rafforzata cantando piuttosto che parlando, ovvero cantando con sonorità forte piuttosto che con un volume sonoro modesto. Ma con quale modalità altezza e intensità del suono vocale possono colorare timbricamente la voce, determinando un diverso corredo di parziali armonici associato alla frequenza fondamentale? In generale va rilevato che la minore intensità dei parziali armonici, cui consegue una minore caratterizzazione timbrica della voce, dipenda fondamentalmente da una diminuzione della porzione di massa cordale accollata durante la fonazione, ciò in assenza di patologie dell’apparato vocale che comportino un andamento innaturale e forzato dell’onda mucosa. A tal può proposito, per maggiore chiarezza, potremmo identificare due seguenti condizioni: della propria voce essere rafforzata cantando piuttosto che parlando, ovverolecantando con sonorità forte 1) fissata l’intensità – a parità di spinta fiato –altezza l’emissione vocale registro mediopiuttosto che con un volume sonorosonora modesto. Ma con quale del modalità e intensità delnel suono vocale possono coloraregrave timbricamente la voce, determinando un diverso corredo di parziali armonici associato alla comporta una contrazione delle corde vocali, con l’accostamento di una porzione frequenza fondamentale ? bordo cordale ma il coinvolgimento di uno spessore più consistente di massa minore di In generale va rilevato che la minore intensità dei parziali armonici, cui consegue una minore cordale. Viceversa, nel registro acuto, si assiste ad un allungamento delle corde vocali, con caratterizzazione timbrica della voce, dipenda fondamentalmente da una diminuzione della porzione di di unlatratto più lungo cordale e il coinvolgimento di uno spessore massa cordale accostamento accollata durante fonazione, ciòdiinbordo assenza di patologie dell’apparato vocale che più contenuto innaturale di massa cordale. comportino un andamento e forzato dell’onda mucosa. A tal proposito, per maggiore chiarezza, potremmo identificare le due seguenti 2) fissata l’altezza delcondizioni: suono – a parità di tensione e lunghezza del tratto del bordo cordale 1) fissata l’intensità sonora – a paritàd’intensità di spinta sonora del fiato – l’emissione vocale nel registro medio-grave accostato - l’aumento comporta l’accollamento di uno spessore maggiore di comporta una contrazione delle corde vocali, con l’accostamento di una porzione minore di bordo cordale massa cordale e un più consistente, reciproco allontanamento delle rime della glottide. ma il coinvolgimento di uno spessore più consistente di massa cordale. Viceversa, nel registro acuto, si L’esperienza delle (e il possibile riscontro fonometrico) che, rispetto alle cordale due condizioni assiste ad un allungamento corde vocali, con accostamento di ci uninsegna tratto più lungo di bordo e il sopra, migliore caratterizzazione coinvolgimento prefigurate di uno spessore piùlacontenuto di massa cordale. timbrica della voce si ha quando il suono è grave 2) fissata l’altezza del ottenendo suono – a parità di tensione e lunghezza deldefinito tratto del bordo cordale accostato anche e forte, un colore chiaro, nitido, brillante, (… gli aggettivi potrebbero l’aumento d’intensità sonora comporta l’accollamento di uno spessore maggiore di massa cordale e un più essere altri). Viceversa, il suono acuto e piano è caratterizzato da un minor numero e da una consistente, reciproco allontanamento delle rime della glottide. minore intensità dei parziali, ciò che conferisce al suono vocale fissità, opacità, ‘sfuocatura’, L’esperienza (e il possibile riscontro fonometrico) ci insegna che, rispetto alle due condizioni prefigurate verosimilmente minore espressività. Non è un caso che il timbro della voce ottenendo individualeunpossa sopra, la migliore caratterizzazione timbrica della voce si ha quando il suono è grave e forte, mutarebrillante, sensibilmente etàgli avanzata, nella quale si assiste un fisiologico colore chiaro, nitido, definitoin(… aggettivifase potrebbero anche essere ad altri). Viceversa, rilassamento il suono acuto e piano è caratterizzato da un minor numero e da una minore intensità dei parziali, ciò che conferisce al dei tessuti epiteliali, accompagnato dall’impossibilità di generare un tenore di reciproco suono vocale fissità, opacità, “sfuocatura”, verosimilmente minore espressività. Non è un caso che il timbro accollamento tra le corde vocali paragonabile a quello della giovane età. Ripensando alla della voce individuale possa mutare sensibilmente in età avanzata, fase nella quale si assiste ad un fisiologico descrizione del meccanismo fonatorio fatta sopra, il rilassamento dei tessuti contribuisce rilassamento dei tessuti epiteliali, accompagnato dall’impossibilità di generare un tenore di reciproco a rendere esplosivo lo sbuffo associato all’allontanamento delle rime accollamento trainfatti le corde vocali meno paragonabile a quello dellad’aria giovane età. Ripensando alla descrizione deldella glottide, limitando particolarmente nelcontribuisce registro acuto, l’ampiezza parziali armonici. meccanismo fonatorio fatta sopra, ilcosì, rilassamento dei tessuti infatti a renderedei meno esplosivo lo sbuffo d’aria associato all’allontanamento delle rime della glottide, limitando così, particolarmente nel (continua) registro acuto, l’ampiezza dei parziali armonici.
Fig. 4) Fig. Emissione vocale cantata (F34) ≈ 174 Hz) nel piano e nel forte ottenuti con la sola variazione della pressione del fiato: a parità di Emissione vocale cantata ≈ 174diHz) piano e nel di forte ottenuti con lanella sola variazione della pressione del fiato: a parità di frequenza appare evidente la generazione nel(F3 forte unanelserie nutrita parziali armonici regione prossima a 3000 Hz frequenza appare evidente la generazione nel forte di una serie nutrita di parziali armonici nella regione prossima a 3000 Hz
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Il maestro Serge Wilfart, per una formazione approfondita sul canto, dichiarava sul suo libro ‘Le chant de l’être’1 : «Lavorare sulla propria voce vuol dire imparare di nuovo ad amare il proprio corpo». Se vogliamo fare un vero e proprio percorso di studio e di formazione della nostra ‘voce’ – sia parlata sia cantata – dobbiamo metterci in gioco con tutta la nostra personalità. Questo lavoro sulla voce, richiede un percorso profondo sia personale, psico-affettivo, emotivo, espressivo e spirituale sia tecnico e professionale. Il maestro Antonio Juvarra, nel suo libro ‘La tecnica vocale italiana’2 , dichiara: «Imparare a cantare è ritrovare se stessi».
La voce e la sua espressività... una questione di timbro (e non solo) La voce, per mettersi in gioco con tutta la nostra personalità DI francesco barbuto
francesco barbuto Compositore, scrittore, direttore di coro e consulente musicale, svolge un’intensa attività professionale nell’ambito culturale, artistico musicale e corale. Svolge attività nel movimento corale sia nazionale sia internazionale. È stato Presidente della Commissione Artistica Regionale dell’Unione Società Cori Italiani Lombardia (USCI) e direttore della rivista musicale online ‘A più Voci’ dal 2011 al 2015. È studioso e ricercatore della musica del ’900 e del Contemporaneo, sia corale sia orchestrale. È Cittadino Onorario di Caronno Varesino, insignito del ‘Sigillo Civico’ per il suo impegno nell’Arte, nella Cultura e nella Musica e per la direzione d’eccellenza del Choro Lauda Sion, da lui stesso formato.
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Sembrano queste suggestioni metaforiche, che alcuni addetti ai lavori, particolarmente tecnici e pragmatici, potrebbero non condividere, ma non è così. Una volta apprese le fondamentali e più importanti nozioni tecnico-esecutive inerenti il funzionamento dell’organo vocale, è necessario poi misurarci con la nostra stessa personalità, oltre che con il nostro corpo. La voce, infatti, è l’unico strumento musicale che sta all’interno del nostro corpo non all’esterno come tutti gli altri strumenti … l’emissione vocale è quindi continuamente condizionata da noi stessi e dal nostro modo di porci! Molti pensano che esistano due voci: una parlata ed una cantata; in realtà, sulla base della mia personale esperienza in veste di preparatore vocalico ed esecutore, è possibile affermare che la maggior parte delle persone ‘canti come parla’. La questione sarà però analizzare come si parla! La voce è parola! Il canto è dare suoni alle parole, ed è per questo che prestare la massima attenzione al nostro parlato, ci consentirà di avere la massima attenzione anche al nostro cantato. Prima ancora di entrare in contatto con il suono prodotto dal nostro organo vocale, così come ci è restituito dalle caratteristiche acustiche dell’ambiente che ci circonda, dobbiamo fare un profondo lavoro di studio e di
consapevolezza sul respiro. Molti importanti maestri di canto ci hanno trasmesso e insegnato nel corso dei secoli che la respirazione a sbadiglio – o di ‘sospiro di sollievo’, come afferma sempre Juvarra – sia una delle migliori per il canto. Dobbiamo anche fare in modo che la respirazione non avvenga in modo attivo e controllato (e spesso tensivo), ma in modo naturale e passivo. Ancora una volta Wilfart afferma: «Non respiro, ma sono respirato!» L’approfondimento tecnico sulla respirazione non deve escludere naturalmente la pratica del canto, che può e, anzi, deve avvenire contestualmente. Sarà possibile in questo modo valutare l’evoluzione del nostro canto, constatandone i miglioramenti. Un lavoro attento e meticoloso sul respiro consente di eliminare le nostre tensioni di origine fisico-posturale, ma anche di natura psicologico-affettiva, in questo caso veri e propri meccanismi di difesa che possono condizionare negativamente la nostra voce. È nota un’affermazione di Platone: «Il canto è il fuoco della Psychè», cioè dell’anima! Da qui tutta l’attenzione rivolta, oltre che alla fisicità della voce, anche, se non soprattutto, alla componente psicologica insita nell’atto del cantare. Giacomo Lauri Volpi, uno dei cantanti lirici più celebri della prima metà del ’900, affermava: «In sostanza, lo studio del canto si riduce alla ricerca assidua, perseverante e ostinata dell’eco fisica e metafisica della voce». Un altro aspetto molto importante per la produzione vocale, nel parlato come nel canto, è costituito dalla relazione tra l’energia che mettiamo a disposizione per l’atto fonatorio e la risposta data dalla risonanza delle cavità dell’organo vocale, dalla direzionalità assunta dall’emissione vocale e dalle caratteristiche acustiche dell’ambiente circostante. Questi tre elementi sono sempre variabili, mai fissati univocamente e per questo motivo occorre avere un atteggiamento al canto molto attivo, percettivo e sensibile sia alla qualità della propria emissione vocale che alla percezione della voce all’esterno. Ancora il Volpi afferma: «Proprio la ricchezza degli armonici nella voce è la caratteristica più importante della voce […] Ma sono le cavità di risonanza ad amplificare e moltiplicare gli armonici. E lo studio del canto è proprio la ricerca della risonanza e delle sue cavità». Ancora un altro aspetto fondamentale è il prendere coscienza, in ogni istante della giornata, della nostra verticalità intesa come condizione posturale imprescindibile per una idonea emissione vocale. E’ forse anche per questo che l’uomo si chiama Homo erectus (uomo che sta dritto, cioè verticale!). La natura dell’uomo comporta prevalentemente il suo stare in piedi e anche l’uso della voce si ricollega necessariamente a tale condizione.
Funzioni e attitudini dell’organo vocale I polmoni, la laringe e la faringe (gola) e la bocca Già nel Settecento i cantanti avevano una chiara concezione della voce cantata e soprattutto una piena consapevolezza dello stretto rapporto che hanno la respirazione e le cavità della bocca, possiamo definire comedalla dimensione risonanza delleche cavità dell’organo vocale, direzionalità assun orizzontale, eacustiche della gola, come dimensione verticale. caratteristiche dell’ambiente circostante. Questi tre elementi sono sempre variabili, mai fissati Attraverso una giusta attenzione alla produzione di ununivocamen avere un atteggiamento al canto molto attivo, percettivo suono vocalico, derivante dal nostro modo di parlare, e sensib emissione che allaspazio percezione della voce all’internovocale di un grande delle nostre cavitàall’esterno. e della Ancor il Volpi afferma: «Proprio la ricchezza degli armonici ne sensazione che tutto risuoni (che sarà predisposto dalla importante della voce […] Ma sono le cavità di risonanza ad nostra inspirazione), la èpossibilità realizzare unrisonanza e armonici. E lo studio avremo del canto proprio ladiricerca della canto artisticamente più compiuto: brillante e morbido allo stesso tempo. Ancora un altro aspetto fondamentale è il prendere coscienza, in o nostra intesa come posturale imprescindi I tre verticalità elementi coinvolti nella condizione fonazione, respirazione, vocale. forsenon anche per questo che l’uomo si chiama bocca E’ e gola, devono mai entrare in conflitto tra Homo er verticale!). La natura dell’uomo comporta prevalentemente il suo s loro. La ricerca di un giusto e corretto equilibrio, richiede voce si ricollega necessariamente a tale condizione. certamente un percorso lungo e attento di studio, di
consapevolezza e di esercizio sulla nostra voce. Quando questi tre elementi sono correttamente accordati Funzioni e attitudini dell’organo vocale tra loro, otterremo di una voce ecantata ‘sul fiato’, I polmoni, la laringel’effetto e la faringe (gola) la bocca come molti maestri del bel canto italiano hanno sempre Già nel Settecento cantanti avevano una chiara concezione della cercato, insegnato eitrasmesso. Con la respirazione corretta piena consapevolezza dello stretto rapporto che hanno – prediligendo sicuramente quella diaframmatico-costale- la respirazi possiamo definire come dimensione orizzontale, e della gola, come addominale – creeremo tutte le condizioni per ottenere Attraverso una giusta attenzione alla produzione di un suono vocali un giusto appoggiodidell’emissione vocale sul diaframma. parlare, all’interno un grande spazio delle nostre cavità e della s Con predisposto la corretta risonanza della inspirazione), bocca, otterremo un la possi sarà dalla nostra avremo risultato tutto teso alla ‘brillantezza’ del suono vocalico. artisticamente più compiuto: brillante e morbido allo stesso tempo. Infine con la corretta risonanza della gola, otterremo la I giusta tre elementi coinvolti fonazione, respirazione, morbidezza, che cinella consentirà di usufruire di una bocca e go conflitto tra loro. La ricerca di un giusto e corretto equilibrio, richie voce sempre piena e allo stesso tempo leggera ed elastica. e La attento di studio, di consapevolezza e di esercizio sulla nostra voc gamma degli esercizi e vocalizzi che possiamo trovare Quando questi tre elementi sono correttamente accordati tra loro, nell’ambito dell’insegnamento al canto è davvero cantata “sul fiato”, come molti maestri del bel canto italiano han vastissima. trasmesso. In questo articolo corretta inserirò alcuni esercizi semplici (così quella diaf Con la respirazione – prediligendo sicuramente che possano tutti) per a titolo esemplificativo, con creeremo tutteusufruirne le condizioni ottenere un giusto appoggio dell’e Con la corretta risonanza della bocca, otterremo un risultato tutto t l’auspicio che possano essere utili per i nostri lettori e i vocalico. Infinee coristi con lache corretta risonanza gola, otterremo nostri direttori leggeranno questodella articolo. consentirà di usufruire di una voce sempre piena e allo stesso tempo
Un primo esercizio La gamma degli esercizi e vo semplice e molto utile per nell’ambito dell’insegnamento al can confidenza con alcuni ese Inprendere questo articolo inserirò una respirazione artistica usufruirne tutti) a titolo esemplifica è quello provare ad lettori e essere utilidi per i nostri leggeranno questo articolo. inspirare con l’intenzione dello sbadiglio, ma Un primo esercizio semplice e molt rilasciandolo pensando con una respirazione artistica è que di emanare un suono. l’intenzione dello sbadiglio, ma rila Diciamo per un suono. sbadiglio, Diciamo sbadiglio, per intendere anche una naturale e passiva che si deve crear modalità e poi nel canto.naturale Lasciare anche che il modo naturale. Evitare passiva che si deve creareassolutamen la voce e la sua espressivita’ | 13
Un altro esercizio utile per la respirazione e la sensazione dell’appoggio, consiste nello svuotarsi completamente d’aria, facendo anche rientrare l’addome. Unaanche volta Un effettuato questo, nella respirazione che usiamo poi nel canto. Lasciare altro esercizio utile rimaniamo in apnea dieci secondi che il torace si innalzi e si espanda in modo naturale. per la respirazione e la (chi riesce può fare anche qualche secondo in più) e nel momento Evitare assolutamente di respirare solo con la parte bassa sensazione dell’appoggio, in cui sentiamo la necessità di dover prendere fiato, lasciare che dell’addome. consiste nello svuotarsi questo avvenga da solo e in modo naturale – ricordate cosa diceva I belcantisti del Cinquecento usavano spesso l’immagine completamente d’aria, Wilfart? Non respiro, ma sono respirato! – ascoltando attentamente di immettere aria nei polmoni, come nell’atto di sospirare facendo anche rientrare le sensazioni che proviamo, così da riprodurle anche durante il l’aria dalla natura; l’immagine è certamente poetica canto. Ripetere più volte questo esercizio. l’addome.
e simbolica, ma ha il pregio di suggerirci la modalità Una volta effettuato più corretta la quale utile dobbiamo in Uncon esercizio per porci fare nell’atto in mododi chequesto, si crei rimaniamo un rapporto respirare. Come verosimilmente i belcantisti alludevano, apnea dieci secondi (chi automatico tra la respirazione, l’attacco e l’appoggio è quello di la respirazione più idonea profondasullo e a pieni polmoni, riesce anche può una fare vocale anche eseguire vocaliè diverse stesso suono, oppure basse dell’addome. morbida e su distensiva, un attoper che grado di per sé faccia sentire qualche secondo in più) suoni diversi congiunto intervallati sempre da respiri. parte il cantore del macro cosmo in cui si trova ed opera. e nel momento cui Per simulare attacchi su altezze diverse, che troveremo nei in brani IUna belcantisti del Cinquecento usavano spesso l’immagine di immettere aria delle cantati, condizioni mette insui tensione il sentiamo grave, la medio necessità fareche glispesso stessi esercizi tre registri diversi: e nei polmoni, come nell’atto sospirare l’aria necessaria dalla natura; l’immagine poetica corista, ildi cantante e questa respirazione è diè certamente dover prendere fiato,e simbolica, ma ha il acuto. pregio di suggerirci la modalità più corretta con la quale dobbiamo porci nell’atto la performance, o meglio l’ansia da perfomance. Chi si lasciare che questo avvenga da solo di e inrespirare. modo naturale Come verosimilmente i belcantisti alludevano, la respirazione più idonea è profonda e a pieni esibisce in pubblico conosce bene come questo elemento, – ricordate cosa diceva Wilfart? Non respiro, ma sono polmoni, morbida e distensiva, un atto che di per sé faccia sentire parte il cantore del macro cosmo che possa condizionare negativamente la nostra voce cantata respirato! – ascoltando attentamente le sensazioni inevidenziandone cui si trova ed opera. proprio le maggiori criticità. proviamo, così da riprodurle anche durante il canto. Una delle condizioni mette in tensione Ripetere il corista, il cantante e questa necessaria Il momento dell’attaccoche puòspesso produrre il fenomeno più volte questo esercizio. respirazione è la performance, o meglio l’ansia da perfomance. Chi si esibisce in pubblico conosce dell’apprensione e si manifesta appena prima di emanare il Un esercizio utile per fare in modo che si crei un rapporto bene come questo elemento, possa condizionare negativamente la nostra voce cantata suono. In molti casi può creare perfino un vero e proprio automatico tra la respirazione, l’attacco e l’appoggio è evidenziandone proprio le maggiori criticità. blocco, sotto forma di apnea, che non ci consente di quello di eseguire vocali diverse sullo stesso suono, oppure Il momento dell’attacco può produrre il fenomeno dell’apprensione e si manifesta appena prima di cantare o ci mette in condizioni di cantare in modo molto anche una vocale su suoni diversi per grado congiunto emanare il suono. In molti casi può creare perfino un vero e proprio blocco, sotto forma di apnea, rigido. intervallati sempre da respiri. Per simulare attacchi su che non ci consente di cantare o ci mette in condizioni di cantare in modo molto rigido. Un semplice esercizio altezze diverse, che troveremo nei brani cantati, fare gli molto utile,esercizio per stessi esercizi registri diversi: grave,rischio, medio e èacuto. Un semplice molto utile, sui pertreovviare a questo ovviare a questo quello di pensare precisamente al suono di attacco e alla frase che rischio, è quello di dobbiamo emanare, già durante l’inspirazione. Verso la fine pensare precisamente procedere con l’intenzione espiratoria, senza avere la percezione di al suono di attacco dover finire di prendere il fiato, ma con l’inizio dell’espirazione e alla frase cantato) che (cioè il suono perfettamente conseguente ad essa. È come dobbiamo emanare, se dovessimo avere un’attenzione “doppia” a questa situazione. già dobbiamo durante Non pensare a due blocchi respiratori a se stanti, ma a l’inspirazione. Verso che comprende i due elementi. un’unica respirazione la fine ci procedere Questo consente anche di eseguire il suono d’attacco, al con l’intenzione momento dell’inizio dell’espirazione, senza pensare e quindi anche espiratoria, senza senza immetterci in una condizione emotiva negativa, ma naturale. avere la percezione Un aspetto molto importante, è che durante l’emissione vocale nel canto l’espirazione sia il più di dover di utile Un aspetto importante, durante l’emissione Un altro finire esercizio per lamolto respirazione eè che la sensazione possibile continua e uniforme, evitando sussulti di fiato che causerebbero inevitabilmente suoni a colpi . prendere il fiato, nel canto l’espirazione sia il più possibile continua dell’appoggio, consistevocale nello svuotarsi completamente d’aria, facendo anchel’inizio rientraree l’addome. ma con uniforme, evitando sussulti di raggiungere fiato che questa causerebbero Un esercizio utile per uniformità è quello di respirazioni profonde, emanando una “S” e anche Una volta (cioè effettuato questo, effettuare dell’espirazione inevitabilmente suoni adelle colpi . una “F” in espirazione. rimaniamo in apnea dieci secondiutile il suono cantato) Un esercizio perlo raggiungere questa è tutto con Durante studio di un canto, provareuniformità anche a eseguirlo la “M”. L’utilizzo delle emme, che ci costringe di tenere la bocca (chi riesce può fare anche secondo in più) e nel momento perfettamente conseguente ad qualche essa. È come se dovessimo quello di effettuare delle respirazioni profonde, emanando chiusa, ci consente e di creare una condizione più stabile dell’aria inavere cui un’attenzione sentiamo la ‘doppia’ necessità di dover prendereNon fiato, una lasciare che una a questa situazione. ‘S’ e anche in espirazione. e della‘F’nostra voce. questo avvenga da solo e in modo naturale – ricordate cosa diceva I belcantisti un tempoprovare usavano anche molto pratico dobbiamo pensare a due blocchi respiratori a se stanti, ma Durante lo studio di un canto, ancheunaespediente eseguirlo ed efficace per imparare a stabilizzare l’espirazione durante il Wilfart? Non respiro, ma sono respirato! – ascoltando attentamente a un’unica respirazione che comprende i due elementi. tutto con la ‘M’. L’utilizzo delle che cia costringe canto. Intonavano un emme, brano davanti una candela accesa, leQuesto sensazioni che proviamo, così da riprodurle anche durante il cercando di farcimuovere nel emodo più stabile ci consente anche di eseguire il suono d’attacco, di tenere la bocca chiusa, consente di creare unapossibile la fiammella. canto. Ripetere più volte questo esercizio. al momento dell’inizio dell’espirazione, senza pensare e condizione più stabile dell’aria e della nostra voce. quindi anche senza immetterci in una condizione emotiva I belcantisti tempo usavano un espediente Andiamo ora a concentrarciun sulla posizione del suonoanche in funzione delle cavità di molto risonanza. Un esercizio utile per fare in modo che si crei un rapporto L’attenzione sia tecnica sia percettiva a questo aspetto è importante nel rapporto anche con la negativa, ma naturale. pratico ed efficace per imparare a stabilizzarepoil’espirazione
automatico tra la respirazione, l’attacco e l’appoggio è degli quello di dove si andrà a cantare e a eseguire i concerti. risposta acustica ambienti Abbiamo dettouna che molto importante è il rapporto che si deve costituire tra la cavità della bocca e eseguire vocali diverse sullo stesso suono, oppure anche vocale della gola, cioè tra la dimensione orizzontale e quella verticale e quindi anche tra la brillantezza e la su suoni sempredella danostra respiri. morbidezza voce cantata. Primodiversi PIANO per grado congiunto intervallati 14 | Molti hanno la tendenza a identificare una posizione specifica e precisa dove portare il suono. Si Per simulare attacchi su altezze diverse, che troveremo nei brani
Un aspetto molto importante, è che durante l’emissione vocale nel canto l’espirazion possibile continua e uniforme, evitando sussulti di fiato che causerebbero inevitabilme colpi .
‘Se vogliamo fare un vero e proprio percorso di studio e di formazione della nostra ‘voce’ – sia parlata sia cantata – dobbiamo metterci in gioco con tutta la nostra personalità’
durante il canto. Intonavano un brano davanti a una
Un esercizio utile per raggiungere questa uniformità candela accesa, cercando di far muovere nel modo effettuare delle respirazioni profonde, emanando una “ più stabile possibile la fiammella. una “F” in espirazione. Andiamo ora a concentrarci sulla posizione del suono Durante lo studio di un canto, provare anche a eseguir in funzione delle cavità di risonanza. L’attenzione sia la “M”. L’utilizzo delle emme, che ci costringe di tene tecnica sia percettiva a questo aspetto è importante chiusa, ci consente e di creare una condizione più stabi poi nel rapporto anche con la risposta acustica e della nostra voce. degli ambienti dove si andrà a cantare e a eseguire I belcantisti un tempo usavano anche un espediente mo i concerti. Abbiamo detto che molto importante è ed efficace per imparare a stabilizzare l’espirazione il rapporto che si deve costituire tra la cavità della canto. Intonavano un brano davanti a una cande bocca e delladigola, tra la dimensione orizzontale cercando farcioè muovere nel modo più stabile p e quella verticale e quindi anche tra la brillantezza e fiammella.
la morbidezza della nostra voce cantata. Molti hanno la tendenza a identificare una posizione specifica Andiamo ora a concentrarci sulla posizione del suono in funzione delle cavità di risonanz e precisa dove portare il suono. Si usano termini come ‘avanti e/o indietro’, oppure sul L’attenzione sia tecnica sia percettiva a questo aspetto è importante poi nel rapporto a ‘palato, nel petto’, ecc. Molti coristi, per effetto della loro abitudine, ma anche per la loro risposta acustica degli ambienti dove si andrà a cantare e a eseguire i concerti. conformazione laringea e vocalica, esasperano alcune caratterizzazioni timbriche di un Abbiamo detto che molto importante è il rapporto che si deve costituire tra la cavità de certo gola, tipo piuttosto altre. Molte volte, infatti, sentiamo ingolate, nasali, stridule, della cioè tra che la dimensione orizzontale e quellavoci verticale e quindi anche tra la brill metalliche, esclusivamente falsettate e altro ancora. Il principio che suggerisco per la morbidezza della nostra voce cantata. posizione del nostro suono nella voce, è quello che il suono stesso fa in natura e cioè si portare Molti hanno la tendenza a identificare una posizione specifica e precisa dove propagatermini ordinariamente in forma sferica. usano come “avanti e/o indietro”, oppure sul “palato, nel petto”, ecc. Molti Il maestro di loro cantoabitudine, Cristina Rubin, cuiper ho la studiato, diceva sempre a laringea noi allievi:e vocalica, effetto della ma con anche loro conformazione «Cantate con tutto il corpo!» Intendeva davvero di cantare con tutto ciò che alcune caratterizzazioni timbriche di un certo tipo piuttosto che altre.all’interno Molte volte, infat del nostro corponasali, produce ‘suono!’ metalliche, Vi è una zona,esclusivamente comunemente condivisa da molti maestri voci ingolate, stridule, falsettate e altro ancora. di canto, dove direzionare il suono per poi farlo propagare, che è quella palatale. Questo, Il principio che suggerisco per la posizione del nostro suono nella voce, è quello che il s però, non dev’essere comeordinariamente il localizzare il suono in modo rigido in questa zona. fa in natura e cioè siinteso propaga in forma sferica. Concentrarsi in un determinato e specifico luogo di risonanza indurrà inevitabilmente Ila spingere maestro sulla di canto cui hopostura. studiato, diceva a noi allievi: «C nostraCristina voce e aRubin, irrigidirecon la nostra Ecco perchésempre è importante tutto il corpo!» Intendeva di lacantare tutto ciòdovrà che necessariamente all’interno del nostro cor prendere in considerazione siadavvero la bocca sia gola. Il con nostro suono “suono!” raggiungere una zona di equilibrio di queste due cavità. Si creerà così un suono morbido e Vi è unaallo zona, comunemente condivisa da moltiin maestri canto, doveesterno, direzionare il su brillante stesso tempo, che entrerà più facilmente relazionedi con l’ambiente farlo propagare, che è quella palatale. Questo, però, non dev’essere inteso che troveremo nelle varie sale dei nostri concerti, anch’esse caratterizzate da particolaricome il lo elementi di risonanza simili a quelle che avvengono nel nostro corpo. Un esercizio molto semplice e utile per prendere molta consapevolezza tra le risonanze della bocca e della gola e il loro punto di equilibrio è quello di provare a cantare un brano (o una parte di esso) tutto nella zona dentale e poi tutto nella zona della gola. Provare a cantare poi il brano cercando il punto ideale mediano tra queste due cavità. Naturalmente vi sono luoghi che hanno caratteristiche acustiche più favorevoli al canto e alla musica, altri meno. Per i cantanti il vincolo acustico e lo stretto rapporto che hanno con l’ambiente è molto stretto e qualora qualcosa non andasse ne risentirebbero immediatamente. Raoul Autor Husson (Ricercatore del CNRS e specialista in fonazione), nei suoi studi degli anni ’50 e ’60, scrisse nel suo libro ‘Le chant’, pubblicato con la Presses Universitaires de France nel 1962, i requisiti acustici che si addicono ad un ambiente per ottenere una buona fonazione acustica. Egli aveva constatato una stretta relazione fra il tempo di riverberazione di un locale e la maggiore o minore facilità della fonazione nel canto. Stabilì che le condizioni migliori perché il cantante si senta completamente a proprio agio, dovevano avere un tempo di riverberazione tra i 2 e i 4 secondi (fonazione facile ed euforica, da lui stesso definita) e tra i 4 e gli 8 secondi (massima facilità ideale tra la cavità boccale e l’ambiente). Questa è la ragione per cui, chi fa esperienze di canto e corali, percepisce di trovarsi molto bene a cantare in luoghi caratterizzati da tempi di riverberazione così lunghi, come molte chiese o auditori dove prevalgono materiali edilizi
la voce e la sua espressivita’ | 15
acusticamente molto riflettenti. Un altro aspetto molto importante, e spesso anche critico, della nostra voce cantata è l’articolazione. Sappiamo bene, quando andiamo a cantare nei nostri concerti, come dobbiamo sempre stare molto attenti al fatto che si sentano bene le parole e i testi che dobbiamo cantare. Un’attenzione che possiamo subito rivolgere è quella di riportare il più possibile l’articolazione del nostro parlato (sempre che questo venga fatto correttamente) anche nel cantato. Le vocali e le consonanti sono sempre le stesse! E. Caruso diceva che: «Parlare e cantare sono funzioni simili, prodotte dallo stesso meccanismo fisiologico, perciò sono lo stesso fenomeno vocale». Il problema sta nel fatto che nel cantato generalmente allunghiamo il tempo con cui si pronunciano le sillabe, o meglio le vocali di esse, essendo le uniche componenti sonore dell’emissione vocale. Un’altra questione riguarda il fatto che per il canto occorre uno spazio di risonanza più grande che nel parlato. Un modo per riuscire a realizzare correttamente e artisticamente questa competenza, è quello che i cantanti del Settecento avevano già scoperto e compreso molto bene: ‘suono piccolo dentro a uno spazio grande’. Articolando e scandendo bene il testo, senza ampliare grossolanamente e forzatamente la nostra bocca, attraverso movimenti sciolti e morbidi della lingua, delle labbra e della mandibola e facendo girare il suono ampiamente su tutte le pareti della nostra bocca e della nostra gola, consentirà sicuramente di mettere a fuoco la nostra articolazione anche in relazione con l’ambiente esterno. Un esercizio utile che possiamo fare è quello di enunciare sillabe con l’utilizzo della lingua (tenendola attiva nella parte anteriore e ben abbassata nella parte posteriore), come la-la-lala…, na, na, na, na…, da, da, da, da…, ta, ta, ta, ta…, ecc. su cinque suoni ascendenti e discendenti per gradi congiunti, salendo poi sempre di un semitono. Man mano che si sale verso la zona acuta, fare in modo che la mandibola si abbassi in modo naturale, così da consentire un ampliamento della bocca. Questo consente di eseguire più comodamente i suoni acuti e l’articolazione in occa. Questo consente di eseguire più comodamente i suoni acuti e l’articolazione in questo questo settore. Evitare di pronunciare le sillabe in modo sboccato. È soprattutto nell’acuto che ettore. Evitare di pronunciare le sillabe in modo sboccato. È soprattutto nell’acuto che si dovrà si dovrà avere un’articolazione piccola in uno spazio di risonanza più ampio.
vere un’articolazione piccola in uno spazio di risonanza più ampio.
bocca. Questo consente di eseguire più comodamente i suoni acuti e l’articolazione in questo settore. Evitare di pronunciare le sillabe in modo sboccato. È soprattutto nell’acuto che si dovrà avere un’articolazione piccola in uno spazio di risonanza più ampio.
Per vedere uno straordinario esempio di tutto ciò che stiamo dicendo, consiglio di guardare e ascoltare l’esecuzione dell’aria ‘Recondita armonia’ Toscauno di Puccini) eseguita da un Per(dalla vedere straordinario esempio di giovane Placido Domingo nel 1998, sotto la direzionetutto di Zubin Metha al seguente link: ciò che stiamo dicendo, consiglio di https://www.youtube.com/watch?v=Iyh7r1uOhM0guardare e ascoltare l’esecuzione dell’aria
“Recondita armonia” (dalla Tosca di Per vedere straordinario Puccini) eseguita da fermo ununogiovane Placidoesempio di Da questo immagine tutto ciò che stiamo dicendo, Domingo nel 1998, sotto la direzione diconsiglio di possiamo già vedere il guardare e ascoltare l’esecuzione dell’aria Zubin Metha viso di al Placidoseguente Domingo link: “Recondita armonia” (dalla Tosca di https://www.youtube.com/watch?v=Iyh7r1 mentre canta, senza alcuna Puccini) eseguita da un giovane Placido uOhM0 tensione muscolare e con Domingo nel 1998, sotto la direzione di quel ‘sorriso’ tipico (definito Zubin Metha al seguente link: da molti maschera) del bel https://www.youtube.com/watch?v=Iyh7r1 canto italiano. uOhM0
Da questo fermo immagine possiamo già vedere il viso di Placido Domingo mentre canta, senza alcuna tensione muscolare e con uel “sorriso” tipico (definito da molti maschera) del bel canto italiano
l timbro, l’altezza i registri vocalici Da questo efermo immagine possiamo già vedere il viso di Placido Domingo mentre canta, senza tensione muscolare e conrichiede attenzioni e capacità molto Cantare nei vari registri della voce alcuna (grave, medio e acuto) Primo PIANO | quel “sorriso” tipico (definito da molti maschera) del bel canto italiano e in modo fisso e rigido dal 16 eculiari. Non possiamo cantare con la stessa impostazione timbrica rave all’acuto e viceversa.
Il timbro, l’altezza e i registri vocalici Cantare nei vari registri della voce (grave, medio e acuto) richiede attenzioni e capacità molto peculiari. Non possiamo cantare con la stessa impostazione timbrica e in modo fisso e rigido dal grave all’acuto e viceversa. Basta provare a cantare una scala ascendente con un suono tranquillo in mezzo forte e ci accorgiamo subito che a un certo punto la voce cambierà le sue caratteristiche timbriche da sola. Questo è ciò che viene definito ‘passaggio di registro’. Nella zona grave avremo una pressione minima dell’aria interna, a differenza della zona acuta, dove invece la pressione aumenterà sempre di più. Un atteggiamento corretto, per fare in modo che la voce risulti corretta nel registro acuto, è quello di non far salire proprio la voce, né di spostarla più in alto. Con una figura metaforica potremmo affermare che man mano che la voce cresce in altezza sia necessario farla risuonare in una cavità progressivamente maggiore, quasi a voler garantire al cantore maggiore consapevolezza. Quello che occorre fare è aumentare progressivamente il suo spazio di risonanza. Questo deve anche avvenire in modo naturale, senza spinte o sforzi eccessivi e inutili. Man mano che saliamo nelle note acute, dobbiamo allargare progressivamente la gola e la bocca, in altre parole la pienezza della risonanza del tratto vocale. Questo ci consentirà anche di mantenere un contatto attivo col nostro diaframma e quindi anche con l’appoggio necessario. Sentiremo anche in modo naturale un aumentare della pressione dell’aria. Un errore tipico che molti fanno, è quello di pensare che le note, soprattutto quelle più acute e quelle più gravi, siano luoghi da raggiungere. Invece questi suoni devono venire da se! Un perfetto modo di Un perfetto modo di cantare e ripreso cantare artisticamente e in tuttiartisticamente i registri è quello indalla tuttiscuola i registri è quello ripreso dalla scuola del bel canto italiano, con l’uso di un sorriso del bel canto italiano, con l’usoladichiamano un sorriso interno (naturale) – molti maestri ‘maschera’, interno (naturale) – molti maestri la che però non dev’essere realizzata in modo innaturale, chiamano “maschera”, che però non‘postura mimico o peggio ancora pagliaccesco – e di una dev’essere realizzata in modo innaturale, nobile’. Possiamo vedere un bellissimo esempio di questo mimico o peggio ancora pagliaccesco – e di modo di cantare dal grande Beniamino Gigli in perfetto una “postura nobile”. Beniamino Gigli in età matura in una perfetta “ atteggiamento da ‘Homo erectus’, con il risultato di Possiamo vedere un bellissimo esempio di una straordinaria facilità nel cantare la sua voce al link: questo modo di cantare dal grande https://www.youtube.com/watch?v=7M https://www.youtube.com/watch?v=7MyAGVmLY1Q Beniamino Gigli in perfetto atteggiamento dice che Gigli si fosse fatto fare da un sarto una serie daSi “Homo erectus”, con il risultato di una Si dice che Gigli si fosse fatto fare da di pancere elastiche appositamente per agevolare la straordinaria facilità nel cantare la la posizione sua voce eretta della sch agevolare eretta“postura della schiena, in rapporto continuo con la Beniamino Gigli in età maturaposizione in una perfetta nobile” la sua al lordosi link: naturale e mettersi con la resistenza elastica della panc resistenza elastica della pancera per raggiungere un automatismo anche con la sua respirazione respirazione e il mantice diaframmatico e il mantice diaframmatico. Con questo non vogliamo consigliare di acquistare una pancera https://www.youtube.com/watch?v=7MyAGVmLY1Q Con questo non vogliamo consigliare per tutti coloro che vogliono cantare, ma soltanto trasmettere quantoma fosse così importante cantare, soltanto trasmettere quanto questo aspetto per un grande cantante come il Nostro. Si dice che Gigli si fosse fatto fare da un sarto una serie di pancere elastiche appositamente come il Nostro. per
agevolare la posizione eretta della schiena, la sua lordosi naturale e mettersi in rapporto continuo Un modo mantenere assetto eretto ilun nostro corpo con la resistenza elastica della per pancera perin raggiungere automatismo anche con la sua e la nostra schiena (sempre senza mai forzare e sforzarsi) respirazione e il mantice diaframmatico. è quello di appoggiare in testa unauna cartelletta o unper librotutti coloro che vogliono Con questo non vogliamo consigliare di acquistare pancera cantare, ma soltanto trasmettere quanto afosse così importante aspetto per un grande cantante leggero. Provare cantare in questo modo questo è sicuramente come il Nostro. utile per cimentarsi con la nostra verticalità e l’equilibrio della posizione eretta… oltre ad essere anche divertente. Un modo mantenere in assetto eretto ail nostro corpo e la nostra Nel cantare in tuttiper i registri della nostra voce, avremo schiena (sempre senza mai forzare e sforzarsi) è quello di che fare anche con il ‘passaggio di registro’. Andando da appoggiare testa una o ununlibro leggero. Provare a un registro grave a uninregistro acuto,cartelletta avremo anche cantare in questo modo è sicuramente cambiamento timbrico della nostra voce. Il passaggio utile di per cimentarsi con la nostra verticalità e l’equilibrio della posizione eretta… oltre ad registro è un meccanismo fisiologico naturale. A parità di divertente. intensitàessere sonora,anche man mano che la voce emette suoni più acuti, la voce apparirà meno brillante e moderatamente
Un mod schiena appogg cantare nostra essere a
Nel can anche c Andand cambiam un mec man ma Nel cantare in tutti i registri della nostra voce, avremo a che fare brillante anche con il “passaggio di registro”. suoni armonici più contenuta. Molti ca Andando da un registro grave a un registro acuto, avremo anche un | la voce e lasonora, sua espressivita’ l’intensità spingendo forzatame 17 cambiamento timbrico della nostra voce. Il passaggio di registro è risultato sarà per contro la produzione
più morbida, essendo l’intensità di molti suoni armonici più contenuta. Molti cantori, a fronte di questa situazione, tenderanno ad aumentare l’intensità sonora, spingendo forzatamente il fiato con l’illusione di recuperare un suono brillante; il risultato sarà per contro la produzione di un suono rigido e spesso anche stridulo, ciò che viene definito ipercinetico. Molti altri passeranno invece dal suono ‘in voce’ direttamente ad un suono di ‘falsetto’, perdendo repentinamente e completamente ogni brillantezza del suono. È proprio quell’effetto di ammorbidimento naturale, che se gestito bene ci consente di ‘passare il registro’. Nelle voci maschili il passaggio di registro è molto evidente nella zona acuta, più che nelle voci femminili. Si verifica un assottigliamento del suono, quello che Caruso definiva ‘quasi falsetto’. Il miglior modo per realizzare il passaggio di registro è l’assecondare il meccanismo che avviene fisiologicamente: Claudio un Monteverdi scriveva che: «Ilcorde buonvocali cantante, essere tale, deve unire la ilvocale naturale allungamento delle con laper conseguente inclinazione verso basso di petto a quella della testa e viceversa». Spiegava che per ottenere una ricchezza di timbro della cartilagine tiroidea (il pomo di adamo). Occorre quindi evitare che si stringa la gola, ciòcontinua e costante su tutti i registri vocali, era aprire per la egola e mantenere l’integrità della pronuncia Claudio che Monteverdi che: «Ilnecessario buon cantante, essere tale, deve unire la vocale di petto a causerebbescriveva l’inevitabile innalzamento della laringe l’irrigidimento del suono. delle usando eviceversa». unendo tutte le qualità timbriche, in modo naturale eddielastico, che la vocee quellavocali, della testa e Spiegava che per ottenere una ricchezza timbro continua Claudio Monteverdi scriveva che: «Il buon cantante, per essere tale, deve unire la vocale di può offrire. Questa modalità consentirà quella libera che fa acquisire anche ricchezza di costante su tutti i registri vocali, era necessario aprire emissione la gola e mantenere l’integrità della pronuncia petto a quella della testa e viceversa». Spiegava che per ottenere una ricchezza di timbro armonici, e quindi di etimbro, colore di espressività. delle vocali, usando unendodi tutte le equalità timbriche, in modo naturale ed elastico, che la voce continua e costante su tutti i registri vocali, era necessario aprire la gola e mantenere l’integrità può offrire. Questa modalità consentirà quella libera emissione che fa acquisire anche ricchezza di della pronuncia delle vocali, usando e unendo tutte le qualità timbriche, in modo naturale ed Un esercizio moltodiutile per sviluppare armonici, e quindi timbro, di colore e correttamente di espressività.la capacità di fusione tra il registro medio e elastico, che la voce può offrire. Questa modalità consentirà quella libera emissione che fa acuto è quello di intonare un suono poco sotto al passaggio di registro, ancora comodo da acquisire ricchezza dinaturale, armonici, eeffettuare quindi di timbro, di colore e di espressività. raggiungerlo in anche modo delper tutto un la salto di quarta (con effetto di cadenza), chee Un esercizio molto utile sviluppare correttamente capacità di fusione tra il registro medio Un esercizio molto utile per sviluppare correttamente la capacità di fusione tra il registro medio passa nel registro e stabilizzare suonosotto di arrivo con altri due suoni ad ancora intervallicomodo adiacenti. acuto è quello di acuto intonare un suonoilpoco al passaggio di registro, da e acuto quello del di per intonare un suono poco sotto al passaggio registro, ancora comodo da Salire poi gradualmente semitoni fino effettuare alle nostre vocaliche. raggiungerlo inè modo tutto naturale, unpossibilità salto di di quarta (con effetto di cadenza), che in modo del tutto naturale, effettuare un salto quarta effetto cadenza), adiacenti. passa nelraggiungerlo registro acuto e stabilizzare il suono di arrivo condialtri due(con suoni ad diintervalli che passa nel registro acuto e stabilizzare il suono di arrivo con altri due suoni ad intervalli Salire poi gradualmente per semitoni fino alle nostre possibilità vocaliche. adiacenti. Salire poi gradualmente per semitoni fino alle nostre possibilità vocaliche.
L’uso della sillaba “UI” (accentando più I che U) è volutamente richiesto perché ci consente di enunciare insieme una vocale morbidapiù (e I neutra) una vocale brillante. L’uso della sillaba ‘UI’ (accentando che U) ècon volutamente richiesto perché L’impasto ci consente di questo dittongo si presta per(accentando l’impasto correttamente passaggio L’uso della sillaba “UI” più I che U) è volutamente richiesto perché ci ildi consente di diben enunciare insieme una vocale timbrico morbida (enecessario neutra) conper unaeffettuare vocale brillante. L’impasto tra i duequesto registri. enunciare insieme unaben vocale morbida (e neutra) una vocale brillante. L’impastoil di questo dittongo si presta per l’impasto timbricocon necessario per effettuare correttamente L’inserimento el’impasto della “N”timbrico (consonanti nasali per sonore) ci consente una buona relazione dittongopassaggio ben sidella presta per necessario effettuare correttamente il passaggio tra i“M” due registri. tra il’inspirazione, l’espirazione e la fonazione. Queste due consonanti – che usava e insegnava dueL’inserimento registri. della ‘M’ e della ‘N’ (consonanti nasali sonore) ci consente una buona relazione sistematicamente in “M” teatro e ai “N” suoi allievi anche il grande registra Stanislavskij L’inserimento della e della (consonanti nasali sonore)attore ci–consente una buona relazione– tra l’inspirazione, l’espirazione e la fonazione. Queste due consonanti cheeusava e insegnava consentono anche una migliore stabilizzazione delle risonanze interne della bocca e della gola, tra l’inspirazione, l’espirazione fonazione. Queste due attore consonanti – che usava e–insegnava sistematicamente in teatro ee ailasuoi allievi anche il grande e registra Stanislavskij cioè della brillantezza e una della sistematicamente in teatro emorbidezza. ai suoi allievi anche il grande attore registra – consentono anche migliore stabilizzazione delle risonanze interne dellaebocca e dellaStanislavskij gola, consentono anchebrillantezza una migliore delle risonanze interne della bocca e della gola, cioè della e dellastabilizzazione morbidezza. Riprendere le stesse sillabe, ma intonate con un e valori rotazionali cioè della brillantezza e della morbidezza. Riprendere le stesse sillabe, ma intonate con tempo un tempo e valori rotazionalidiversi, diversi, come come proposto dall’esercizio seguente. proposto dall’esercizio seguente. Riprendere le stesse sillabe, ma intonate con un tempo e valori rotazionali diversi, come proposto Anche in questo caso, salire gradualmente per semitoni fino alle nostre possibilità vocaliche. dall’esercizio seguente.
Anche in questo caso, salire gradualmente per semitoni fino alle nostre possibilità(continua) vocaliche. —
(continua) Anche in1 Serge questo caso, salire gradualmente Wilfart, Le chant de l’être, Albin Michel, Parigiper 1994 semitoni fino alle nostre possibilità vocaliche. 2 Antonio Juvarra, La tecnica vocale italiana, Armelin Musica, Padova 2014
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Primo PIANO
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Stile Musica dell’anima
In un mio intervento intitolato ‘Il canto gregoriano: un estraneo in casa sua’ (relazione tenuta il 19 maggio 2012 a Lecce, in occasione del 1° incontro nazionale Colloqui sulla musica sacra: cinquant’anni dal Concilio Vaticano II), avevo inteso sostanzialmente rispondere alla domanda: ‘Cos’è il canto gregoriano?’. Le riflessioni sulla natura dell’antica monodia liturgica hanno suggerito vari ‘livelli’ di risposta, ma hanno soprattutto motivato e dato corpo alla definizione del canto gregoriano come ‘canto proprio della liturgia romana’ (SC116).
Il canto dell’Assemblea liturgica fra risorsa ed equivoco di fulvio rampi
fulvio rampi
Diplomato in organo e composizione organistica ha conseguito il Magistero ed il Dottorato in Canto Gregoriano presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra. Docente di Canto Gregoriano presso il medesimo Pontificio Istituto, ha al suo attivo numerose pubblicazioni. Nel 1985 ha fondato i ‘Cantori Gregoriani’, un ensemble professionistico a voci virili, del quale è direttore stabile. Dal 1998 al 2010 è stato direttore della Cappella Musicale della Cattedrale di Cremona. Nel 2010 ha costituito il Coro ‘Sicardo’ di Cremona, un ensemble polifonico col quale svolge regolare servizio liturgico nella chiesa di S. Abbondio in Cremona, dove è anche organista titolare. Attualmente è titolare della cattedra di Prepolifonia al Conservatorio di Musica ‘G. Verdi’ di Torino.
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Musica dell’anima
Il presente contributo non è che la continuazione del medesimo percorso, ne presuppone le fondamentali acquisizioni e orienta la riflessione alle conseguenze che ne derivano. Conseguenze che interessano i nodi centrali del canto liturgico, primo fra tutti il rapporto fra assemblea e canto della liturgia secondo valutazioni possibilmente al di sopra di consolidati luoghi comuni e fuorvianti semplificazioni. Il dibattito post-conciliare sul canto assembleare si è sempre contraddistinto per i toni accesi: a mezzo secolo dai pronunciamenti ufficiali – seguiti da documenti magisteriali non meno significativi sul canto liturgico – la questione non può certo dirsi risolta. La debole riflessione ecclesiale ha contribuito a determinare un progressivo degrado della prassi liturgico-musicale, con esiti non di rado avvilenti. Ne è esempio paradigmatico la vexata quaestio della participatio actuosa, pietra miliare della riforma liturgica post-conciliare, trasformatasi presto nel frutto velenoso di un assemblearismo estremo e a tutti i costi; alla partecipazione si è sostituita l’omologazione e si è finito per depauperare ciò che l’ultimo Concilio aveva chiesto di arricchire. Il canto assembleare è divenuto la ‘traduzione simultanea’ della partecipazione attiva: secondo l’opinione divenuta largamente maggioritaria, tutto ciò che lo esclude si configurerebbe automaticamente come elemento in sé negativo perché in
I Cantori Gregoriani
contraddizione ‘a priori’ con tale principio. In realtà, quanto appena affermato non ha proprio nulla a che fare con la dignità e la specificità che vanno certamente riconosciute – ma in altro modo – al canto assembleare, chiamato ad essere valore aggiunto e non elemento distruttivo della componente musicale dell’atto celebrativo. Non solo, ma più in profondità va stigmatizzato – come si dirà più avanti – un grave errore concettuale: quello di assegnare una primazia al canto assembleare nel culto divino, contraddicendone clamorosamente la natura e la storia. La messa in discussione di un presunto primato del canto assembleare, in verità non mortifica affatto il ruolo dell’assemblea, la cui partecipazione attiva va intesa e vissuta su un piano assai più alto di un banale attivismo liturgico. Tale consapevolezza si sostanzia in spazi e competenze specifiche, in verità normale regola liturgica, secondo la quale ad un patologico assemblearismo va sostituito il valore della ministerialità. La riflessione sulla ministerialità, a tutt’oggi bisognosa di nuovi contributi, non può sottrarsi anche a un’ulteriore, nuova e più profonda riflessione sulle forme proprie ad essa connesse. Tocchiamo qui un punto assai delicato della questione perché vengono messi in gioco due aspetti decisivi: la potenzialità dell’assemblea e la sua idoneità a realizzare in canto i momenti propri del rito. Ragionando sulle conseguenze derivanti da una riflessione sulla natura ecclesiale del canto gregoriano, ci accorgiamo che il
canto proprio della liturgia interessa innanzitutto i canti propri della liturgia, che in tal modo divengono a tutti gli effetti atti liturgici. Sul versante musicale, cosa rende proprio, ad esempio, un introito o un communio di una messa? Si dirà: il testo. Vero, ma è sufficiente? Sufficiente assicurarsi che in ogni contesto risuonino testi specifici? In altre parole: è sufficiente intendere il proprio come pura materialità del testo letterario, in latino o in lingua volgare che sia? Certamente no. Il testo è ovviamente il presupposto essenziale o, se si vuole, il ‘materiale buono’: esso, tuttavia, attende di prendere forma sulla base di un vero e proprio progetto di elaborazione. Un progetto che, nel pensiero della Chiesa, è orientato all’esegesi da presentare come atto liturgico: la grande tradizione del canto gregoriano ne è paradigma indelebile, non in ragione delle sue qualità artistiche – legate all’epoca medievale in cui si è sviluppato – ma principalmente in virtù del suo carattere simbolico. Ed è precisamente quest’ultimo il dato ineludibile che il canto gregoriano ci ha consegnato per sempre e che la Chiesa ha dichiarato ‘suo’: non tanto un repertorio musicale, ma un progetto esegetico; non un elenco di canti, ma un’elaborazione precisa di testi. Al testo, che dovrà prendere suono per divenire momento liturgico-musicale proprio, è necessariamente associato un percorso stilistico-formale rigoroso, che diviene vera e propria architettura sonora rispettosa di un progetto articolato, complesso, ordinato. Insomma, il testo
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‘La messa in discussione di un presunto primato del canto assembleare non mortifica affatto il ruolo dell’assemblea, la cui partecipazione attiva va intesa e vissuta su un piano assai più alto di un banale attivismo liturgico’
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previsto per ciascun momento liturgico diviene liturgia cantata solo dopo aver percorso un itinerario proprio. Pertanto, solo il progetto può dirsi proprio, non il testo in quanto tale. Se è vero che ogni epoca è chiamata a far risuonare i testi propri della liturgia in ragione di sempre nuove sensibilità ed espressioni musicali, è altrettanto vero che tale libertà non può fondarsi unicamente sul puro rispetto dei testi. Ritenere sufficiente – o perfino auspicabile – questo principio, significherebbe cambiare sostanzialmente le regole del gioco, legittimando un’operazione di frantumazione al ribasso come risposta a una consegna di tutt’altro spessore. Siamo giunti al cuore del problema; meglio, siamo ad un bivio che impone una scelta netta alla quale non possiamo sottrarci: da una parte c’è la strada indicata e già percorsa dal canto gregoriano e dall’altra parte c’è il percorso segnato dal puro utilizzo dei testi propri. Restringiamo volutamente il campo a queste due possibilità e non consideriamo altre strade che, a partire dai primi anni del post-Concilio, hanno rappresentato non solo la rottura con la Tradizione della Chiesa, ma un vera vergogna che, all’insegna della più banale improvvisazione e con la complicità di una buona parte di liturgisti, ha finito per contraddire anche i presupposti minimi del culto divino, dell’arte musicale e del buon gusto. Il vicolo cieco di tale follia, inutile dirlo, ha condizionato la riflessione e la prassi fino ad oggi: i frutti di questa pianta malata si presentano a noi continuamente con abbondanza e altrettanta inconsistenza, icone fasulle di una liturgia ridotta a happening di comunità che celebrano se stesse, tanto compiaciute quanto ignare di una mediocrità ormai eretta a sistema. Certo, parlare di testi propri in una situazione così devastata è già un grande passo avanti, ma è solo il modo per uscire da un vicolo cieco per giungere comunque – seppure su un piano diverso – al suddetto bivio che, a sua volta, reclama una precisa scelta di percorso, con tutte le conseguenze e le insidie che ne derivano. Già si è detto cosa significhi imboccare decisamente la strada segnata dal canto gregoriano; valutiamone ora sinteticamente le conseguenze pratiche. Ciò che abbiamo definito itinerario proprio del testo sacro, si sostanzia in una elaborazione molto complessa che, a sua volta, richiede la presenza di specialisti per l’esecuzione. La media complessità, ad esempio, di un introito, come la notevole difficoltà di un graduale o di un offertorio, chiamano in causa una schola ben preparata e un solista assai dotato. Ciò significa che il testo mostra le sue qualità espressive e diviene proprio solo attraverso ‘forme elevate’ che, segnatamente nel contesto liturgico della messa, si distinguono nettamente da costruzioni in stile sillabico riservate al repertorio delle antifone dell’Ufficio Divino. Testo e complessità di elaborazione restano inscindibili: il testo proprio, inseparabile dal momento liturgico, risulta altrettanto inseparabile dal progetto stilistico-formale che ne definisce la destinazione liturgica. Il canto gregoriano, ben inteso, si spinge molto oltre e aggiunge, alla suddetta logica, la componente formulare e allusiva; in ogni modo, quanto detto è sufficiente per trarre una prima significativa conclusione: in questo percorso non c’è traccia di canto assembleare. In altre parole, l’itinerario del testo liturgico che diviene canto non è affidato all’assemblea, alla cui limitata potenzialità si aggiunge una ancor più strutturale e radicale inadeguatezza e distanza dal progetto sonoro a cui sono sottoposti i testi propri della liturgia. Altra cosa sono i testi dell’Ordinario, a partire dalle acclamazioni e dalle risposte al celebrante: qui la tradizione del canto liturgico apre ampi spazi per il coinvolgimento diretto dell’assemblea. Ma i testi propri sono ben altra cosa. Tornando al nostro ‘bivio’, l’altra strada praticabile è appunto quella del puro rispetto dei testi propri. Il progetto, in questo modo, prende decisamente un’altra direzione perché perde innanzitutto la sua natura simbolica, ovvero la capacità di rappresentare la sintesi di elementi costitutivi fra loro inscindibili. Il solo rispetto del testo opera di fatto una frattura fra testo, stile, forma, modalità esecutive, depotenziando ciascuno di questi elementi, fra loro non più in relazione vitale. La primazia del testo – in sé punto di partenza ineludibile – assume contorni ambigui, rendendo di fatto secondaria la qualità del suo percorso di elaborazione stilistico-formale. Tentando di schematizzare, potremmo dire
che la prima strada del bivio era indirizzata alla sintesi fra cosa e come si canta, mentre questa seconda strada, pur mantenendo prioritario il cosa (il testo proprio, appunto), ridiscute il come intendendolo entità a sé stante, non più intimamente connessa al cosa, ma da ridefinire con criteri diversi. Una volta realizzata la frattura, i criteri del come appaiono ormai svincolati da un ordinato e complesso percorso stilistico-formale. L’immediata e logica conseguenza è inevitabile: nell’attuale situazione – che ha via via consolidato un grave malinteso circa il significato di partecipazione attiva dell’assemblea al rito – è scontato che al come venga anteposto il chi canta. Ma la differenza è davvero sostanziale: come si è detto, la sintesi fra cosa e come delineava un itinerario proprio del testo e produceva un chi conseguente (la schola). Se, viceversa, il chi prende il posto del come, tutto cambia radicalmente, nel senso che l’assemblea, divenuta ora inopportunamente elemento discriminante, invertirà essa stessa la logica definendo e subordinando il come. Stili e forme non potranno che essere misurate sulle possibilità concrete (ed esigue) dell’assemblea: tutto diviene senza dubbio più semplice e, secondo un’opinione diffusa, pastoralmente più conveniente. Ma il testo assomiglia qui ad un ‘cavallo di Troia’ che, simulando una continuità con la Tradizione (il rispetto dei testi propri), una volta entrato nella liturgia conferisce legittimità a un’operazione tanto illusoria quanto distruttiva e produce dall’interno la grave rottura del progetto globale, vero ‘talento’ consegnatoci dalla Chiesa. La lezione insegnataci dal canto proprio della liturgia romana è chiara: all’assemblea non spetta la proclamazione in canto dei testi propri della liturgia; per questo ministero si rende necessaria la schola. La scelta dell’altra strada può nutrire l’illusione che il rispetto dei testi propri sia perfettamente compatibile con il canto assembleare: si tratta effettivamente di un’illusione, perché l’idea di far cantare a tutti il testo previsto per quella precisa celebrazione non può prescindere dalla consapevolezza di ciò che tale operazione contraddice nella sostanza. Che fare, dunque, dei testi propri destinati al canto? Necessario attenersi al canto gregoriano e cantare solo quello? Certamente no. Anche se esso rimane il canto proprio della Chiesa, al quale ‘riservare il posto principale’ (SC116), il suo messaggio indelebile e normativo sta nell’indicazione di un progetto di elaborazione testuale che il testo è chiamato a realizzare. Più che auspicare un coinvolgimento diretto dell’assemblea, sarebbe meglio auspicare un nuovo percorso compositivo sui testi propri (non necessariamente solo in latino): non una semplificazione per un’esecuzione alla portata di tutti, ma, al contrario, una nuova rielaborazione tesa a far sintesi di ciò che il canto gregoriano è riuscito a realizzare in
Corso estivo di canto gregoriano a Mantova
modo unico: l’esegesi dei testi attraverso la costruzione di un solido, coerente e complesso impianto stilisticoformale, elevato nel linguaggio musicale e diversificato in rapporto al contesto liturgico. Si tratta, in sostanza, di rimettere ordine alla citata successione cosa – come – chi, fatta propria dalla Tradizione del canto liturgico e incarnatasi pienamente nel canto gregoriano; da lì va tratto il modello per orientare con arte gli sforzi futuri. Una sfida certamente dai tempi lunghi che vede coinvolti non solo i musicisti, ma anche e soprattutto le compagini corali, chiamate non principalmente a sostenere il canto assembleare, ma innanzitutto a realizzare al meglio e con rinnovata professionalità il loro ministero innanzitutto mediante l’esecuzione delle forme elevate (antiche e nuove) del Proprium Missae. Come molti amano precisare, la presenza dell’assemblea nel territorio del Proprium Missae non diminuirebbe l’importanza della schola, chiamata ugualmente a coprire i medesimi spazi, magari alternandosi all’assemblea o cercando una sorta di equilibrato compromesso. Ma un equilibrato compromesso, in sé auspicabile in ogni azione liturgica, non può fondarsi su invasioni di campo; solo attraverso il rispetto delle competenze si potrà anche parlare di compromesso. Ciò che spetta alla schola – in rapporto al canto dei testi propri, ben inteso – non lo può fare nessun altro: la sua presenza, in verità troppo spesso tollerata, è invece da intendersi come necessaria e, soprattutto, unica per la realizzazione in canto dei testi propri. Scegliendo un’altra strada, ovviamente, questo presupposto viene disatteso e tutti sono potenzialmente legittimati a fare tutto. Il coinvolgimento assembleare, in questo caso, è la misura della nostra indisciplina nel rispettare le precedenze. Tale regola d’oro, dettata dalla Tradizione della Chiesa, suggerisce di orientare i nostri sforzi verso ciò che possiamo davvero definire ‘buona pronuncia del testo’, operazione del tutto estranea al coinvolgimento dell’assemblea. Il canto gregoriano ci ha dato la misura di
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Scuola di canto gregoriano - Cremona
questa buona pronuncia e lo ha fatto mettendo a dura prova schola e solisti, gli unici soggetti in grado di far risuonare le forme elevate prodotte dall’elaborazione del testo. Ciò che ha fatto il gregoriano con il testo latino, che ha trovato continuità di intenti nella tradizione polifonica classica, è ciò che oggi si richiede con pari e assoluta precedenza alle nuove proposte musicali anche con traduzione italiana dei testi propri. Il canto gregoriano ce lo ricorda continuamente: la sua esecuzione – anche e soprattutto oggi – al posto principale nella liturgia, non va intesa come scelta immutabile di un repertorio musicale, bensì come memoria e monito di un’esigenza ineludibile di sintesi fra testi, forma, stile compositivo. In questo senso le nuove composizioni – come raccomandava profeticamente il Motu proprio di Pio X nel 1903 – dovranno ‘assomigliare’ al canto gregoriano. Oggi possiamo ben dire, parafrasando Agostino, che tale somiglianza non si pone sul piano del ‘disegno’ musicale, ma del ‘progetto’ esegetico complessivo che lo determina. Ma proprio questo, in fondo, è il limite strutturale dell’odierna riflessione: le nuove risposte a tale progetto normativo sono accomunate dal marchio della semplificazione, parola d’ordine di tutto ciò che diviene oggetto di preoccupazione pastorale. Lo stesso canto gregoriano, a ben vedere, è stato intimamente coinvolto in questa latente deriva post-conciliare. Che il gregoriano sia stato ostinatamente rifiutato dopo l’ultima riforma liturgica è un triste dato di fatto, ma che lo stesso repertorio della Chiesa sia stato oggetto – da parte della Chiesa stessa – di operazioni discutibili è forse meno evidente, ma altrettanto vero. Ne è esempio paradigmatico il Graduale Simplex: non potendo in questa sede analizzare a fondo il suo contenuto, va detto che già il titolo si presenta come vero e proprio ossimoro, se consideriamo il fatto che il Graduale – il libro liturgico
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che contiene i canti del Proprium Missae – non prevede alcuna ‘semplicità’ nella costruzione musicale di tutti i suoi brani. Il ‘prestito’ di antifone sillabiche dal repertorio, seppure autentico, dell’Ufficio Divino, risponde ancora una volta alla logica della semplificazione, operata attraverso una decontestualizzazione della quale, forse, non si sono valutate a sufficienza le conseguenze. Il fine di una esecuzione più condivisa ha giustificato i mezzi, sacrificandone l’essenza più preziosa. La vera sfida per il futuro – al contrario – lanciata dal canto gregoriano e dalle sue vertiginose prospettive fatte proprie da sempre dalla Chiesa, si muove in direzione esattamente opposta e proprio per questo rischia di non trovare sfidanti veri. L’elaborazione musicale dei testi liturgici propri è chiamata a presentarsi come operazione di spessore epocale, da prepararsi a lungo, con cura e con alto profilo artistico. Ma soprattutto è chiamata ad essere un’operazione squisitamente ecclesiale, nel senso che spetta alla Chiesa stessa, attingendo alla fonte del ‘suo’ canto gregoriano, definire testi, tempi, impianto formale di composizioni chiamate a farsi vera liturgia e che, con linguaggi nuovi, sappiano alludere alla medesima operazione di esegesi e di lectio divina portate a perfezione dal canto gregoriano. Tutto ciò non è affatto semplice, né tantomeno semplificabile. Canto dell’Assemblea: che fare? Ma se davvero vogliamo seguire la strada maestra della continuità, come va inteso il ruolo dell’assemblea? Se non le competono i testi propri, qual è il suo spazio musicale? Già si è detto del coinvolgimento assembleare nelle risposte e nei canti dell’Ordinario. Ma per i momenti del Proprio, in sostituzione della schola, come può subentrare l’assemblea? Scegliere la strada della continuità significa
accogliere anche per l’assemblea la logica stilisticoformale, sulla quale è necessario porre particolare attenzione. Ferma restando la destinazione specialistica dei testi propri, all’assemblea spettano nuovi testi che con sapienza e sicura dottrina sappiano commentare, meditare anche con parole nuove i misteri celebrati durante l’intero anno liturgico e nei diversi momenti del rito. Se lo stile del canto assembleare, per sua natura, non può che mantenersi semplice, è precisamente sulla forma che l’assemblea deve trovare un suo spazio specifico. I vasti repertori del canto popolare tradizionale e postconciliare hanno cristallizzato le più disparate forme musicali, con una spiccata propensione, soprattutto in questi ultimi decenni, per la forma responsoriale. Ma il canto assembleare è chiamato ad andare oltre la riesumazione e la riproposizione – in sé molto apprezzabile – di tali repertori, dai quali va certamente attinta la rara capacità di trasmettere, con vera arte musicale e profonda ispirazione, l’intensa e commovente devozione popolare. Ebbene, anche qui, se vogliamo, è la stessa Tradizione plurisecolare del canto liturgico ad insegnarci qualcosa. La riflessione sulle forme da destinare all’assemblea, vede nell’inno una delle risposte più concrete e coerenti. Com’è ampiamente testimoniato dall’antica tradizione ambrosiana e gregoriana, la forma dell’innodia definisce una sorta di modello paradigmatico del canto assembleare: il testo originale, la struttura strofica misurata e ripetitiva facilmente memorizzabile, fanno dell’inno un potente strumento espressivo alla portata di tutti. Com’è noto, la liturgia lo ha collocato, salvo eccezioni, nel repertorio dell’Ufficio: dunque, l’elemento di novità potrebbe essere precisamente l’estensione del suo impiego assembleare anche e soprattutto alla liturgia eucaristica. Ferma restando una possibile pluralità di forme anche per il canto assembleare, perché non identificare innanzitutto in una nobile forma consegnataci dalla Tradizione – l’inno, appunto – il segno distintivo del canto del popolo in una liturgia cattolica? La consolidata tradizione del corale in ambito protestante – che pure attinge per una buona parte delle sue melodie all’antica innodia – offre chiara testimonianza della necessità e dell’efficacia di un solido e preciso riferimento formale per il canto di tutti i fedeli. Alla luce di tali esperienze, sarà forse utile ripartire proprio dall’innodia per un nuovo progetto testuale, formale e musicale di canto assembleare aperto al futuro e confortato dalla genuina e antica esperienza ecclesiale.
differenziazione, per scoprire sempre più chiaramente l’autentico rapporto vitale che unisce e al tempo stesso distingue la schola dall’assemblea, per assegnare ad entrambe la corretta collocazione nella prassi liturgicomusicale. Fare ordine equivale a definire irrinunciabili priorità e gerarchie, che proviamo riassumere in estrema sintesi: 1) I testi propri, come tali, hanno la precedenza assoluta: il loro utilizzo ‘musicale’ è subordinato storicamente a una complessa, nonché specialistica e strutturata elaborazione stilistico-formale: per questo motivo non sono affidati all’assemblea, ma alla schola: a quest’ultima va pertanto riconosciuta una precedenza strutturale nei confronti dell’assemblea in ordine al canto liturgico. Parafrasando il dettato conciliare, potremmo dire che va riservato il posto principale al canto proprio della schola, ovvero al canto gregoriano o a forme elevate polifoniche di antica o nuova composizione sui medesimi testi propri. 2) Una volta rispettata, in termini di principio, la prima condizione, si apre per i momenti della liturgia la possibilità di far cantare l’assemblea con stile semplice, con testi ‘non propri’ e con selettività di forme. Risulta dunque evidente, per tali contesti rituali, la subalternità del canto assembleare, viceversa prioritario nelle risposte al celebrante e raccomandabile nei canti (non però trasformati in forme responsoriali) dell’Ordinario. 3) L’esemplarità musicale del rito parte da qui e si fonda sulle suddette gerarchie, con tutto ciò che ne consegue anche in termini molto pratici. Se non è concretamente possibile – salvo rare eccezioni – pretendere il più alto livello di esemplarità dalle comunità parrocchiali, è viceversa doveroso richiedere tale sforzo non solo alle celebrazioni papali, ma anche alle Cattedrali, alle Basiliche, ai principali Santuari, laddove cioè si dovrebbero investire le migliori energie e le più alte professionalità per dar voce in modo conveniente ai testi propri della liturgia. Una cattedrale è chiamata a farsi modello di questa esemplarità di fronte alle parrocchie della diocesi, non punto di riferimento principalmente per il canto assembleare. A quest’ultimo, infine, va innanzitutto restituita la dignità che gli compete: operazione possibile solo nel quadro di un’ampia riflessione tesa a ridefinire e riordinare competenze e spazi, per giungere a far intravedere nella forma dell’inno un punto fermo in vista della formazione di un nuovo repertorio specifico per il canto del popolo.
Conclusioni Un’esigenza si impone su tutto il resto: fare ordine. I decenni post-conciliari sono stati contrassegnati, come si è detto, da sistematici tentativi di omologazione: si tratta dunque di percorrere la strada opposta della
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Tecnica
Un direttore di coro non può più occuparsi di musica soltanto. Durante una ricerca commissionata dalla FE.N.I.A.R.CO, due sociologi (tramite un’apposita piattaforma Internet) hanno raccolto proposte e rilevato problemi dai responsabili di eterogenei gruppi corali e, dai loro dati, emerge chiara la ‘poliedricità’ necessaria per vivere appieno questo ruolo. L’obiettivo dei più è riuscire a far sì che ‘gli aspetti musicali e quelli nonmusicali riescano infine a muoversi in sinergia’1
Essere direttore di coro DI luca buzzavi
Luca buzzavi Diplomato al Triennio di Direzione di coro e Composizione corale presso il Conservatorio ‘L. Campiani’ di Mantova, laureato in Fisica presso l’Università degli studi di Bologna, ha studiato Chitarra Classica. Insegna Chitarra classica, Teoria e solfeggio, Propedeutica della Musica e Canto corale presso la Fondazione ‘C. G. Andreoli’ dei comuni dell’Area Nord di Modena all’interno della quale prepara la classe di canto corale costituita dal Coro di voci bianche ‘Aurora’. E’ direttore artistico dell’Accademia Corale ‘Teleion’ (Poggio Rusco – MN) dove segue il coro da camera ‘Gamma Chorus’ e la Schola gregoriana ‘Matilde di Canossa’, organizza seminari e corsi estivi con illustri docenti sul Canto Gregoriano e la Polifonia.
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Si tratta in fondo della conquista di una leadership particolarmente delicata e complessa della quale una sintesi efficace è, già dal titolo, contenuta nell’articolo di Ida Bona, Senza leader l’orchestra è stonata2, dove la figura del direttore (cui necessitano senso di responsabilità, capacità intuitiva e abilità in qualche modo imprenditoriali) viene accostata infatti a quella del manager aziendale: Gestire un team, valorizzare le singole competenze senza che nessuno prevarichi, disciplina e tensione continua: ecco in poche parole le declinazioni della leadership che contraddistinguono tanto un direttore d’orchestra quanto un manager3. Ida Bona4 cita poi il saggio Leadership trasparente, scritto a due mani dal musicista Francesco Attardi e dal consulente aziendale Giuseppe Pasero che, sulle affinità tra le due figure, specifica entrambe avere l’aspirazione ad ottenere che persone diverse, con differenti specializzazioni professionali, collaborino per realizzare un risultato del quale tutti sono ugualmente e contemporaneamente responsabili. Un ruolo da concertatore proprio di entrambe le figure quando riescono a far sì che ‘l’egocentrismo narcisistico di ciascuno’ arrivi ad ‘essere sacrificato al risultato di tutti’. La buona interpretazione della leadership porterà a un ‘risultato di eccellenza’ solo se ciascuno lavora al massimo delle sue possibilità nella propria area specifica come se fosse un solista, ma nello stesso tempo ascolta gli altri in modo da interagire. […] La disciplina sta alla base della competenza e dell’autorevolezza; la tensione all’eccellenza costituisce il perno su cui si fonda la legittimità del dirigere e cioè all’esercizio dell’autorità.5 Passione e capacità di coinvolgimento sono senza dubbio le parole chiave per indagare il rapporto direttore-coristi, cui secondo Ennio
‘ Pur essendo dei singoli cantori il privilegio di dare origine al suono, sarà compito del direttore organizzarlo, compiendo tutte quelle fasi proprie del filologointerprete, per il quale egli procede dall’ignoto al noto, dal dubbio alla certezza, dal segno alla comprensione e al suono’
Nicotra è importante poi ‘riuscire a trasmettere la propria volontà’6 senza dimenticare di essere solo ‘al servizio della musica e non il contrario’. Anche Gary Graden sottolinea che ‘se sei onesto nei tuoi desideri e tratti le persone rispettosamente, sarai rispettato a tua volta. Questa è la mia impressione. A volte non funziona, ma nella maggior parte dei casi è una garanzia’7. Punto di vista su cui si sofferma anche Daniel Barenboim quando parla (avvertendo il pericolo militaresco) dell’importanza di riuscire a trasmettere agli esecutori ‘la sensazione di non eseguire solamente ordini’ evitando di sottometterli ‘al servizio del senso di potere o della determinazione di qualcun altro’8. Ma, pur essendo dei singoli cantori il privilegio di dare origine al suono, sarà compito del direttore organizzarlo compiendo tutte quelle fasi proprie del filologo-interprete, magistralmente riassunte da Andrea Della Corte per il quale egli procede dall’ignoto al noto, dal dubbio alla certezza, dal segno alla comprensione e al suono, e mentre analizza il passo, i periodi, le proposizioni principali e le secondarie, le melodie, le armonie, i contrappunti, i movimenti, i ritmi, i timbri, mentre fraseggia e scandisce gli accenti patetici, mentre distingue le graduazioni dinamiche e sonore, e riassume l’analisi in sintesi, e ripercorre tutta l’opera stringendone le membra, e s’abbandona all’incanto dell’arte, ecco le parti cominciano a cantare, a fondersi in un tutto determinato nella singolarità; allora l’interprete è contento, ed è un interprete.9 Gary Graden sottolinea anche che sarà la dedizione allo studio e l’attenzione a tutti i particolari ad aumentare la sua credibilità e dunque a rafforzare la fiducia dei coristi nei suoi confronti. Inoltre un direttore di coro deve raggiungere consapevolezza del valore, culturale certo, ma anche politico, che il suo lavorar bene può arrivare ad assumere. Ed è necessario perciò che divenga amico del genius loci che abita l’angolo di mondo che a lui compete, interessandosi alle sue caratteristiche, anche storiche ed ambientali, in modo da cercare d’intuire, almeno, quale ne potrebbe essere l’autentica dimensione comunitaria.
Coro Aurora - Mirandola (MO) Ph. C. Benatti
Ed è il sociologo polacco Zygmunt Bauman a ricordarci quanto la parola ‘comunità’ suoni bene poiché racchiude valori che un mondo sempre più globalizzato sembra star dimenticando col triste risultato che ‘ciascuno di noi consuma la propria ansia da solo, vivendola come un problema individuale’10. Eppure ‘comunità’ è parola che infonde sicurezza e contiene gli ‘elementi fondamentali per una vita felice’. Essa ‘emana una sensazione piacevole’ e ‘vivere in comunità’, ‘far parte di una comunità’ è qualcosa di buono. [...] Innanzitutto, è un luogo ‘caldo’, un posto intimo e confortevole. [...] Fuori, in strada, si annida ogni sorta di pericolo e ogni volta che usciamo dobbiamo stare sempre sul chi vive, badare bene a chi rivolgiamo la parola e a chi ce la rivolge, tenere costantemente essere direttore di coro | 27
alta la guardia. All’interno della comunità, viceversa possiamo rilassarci: lì siamo al sicuro, non ci sono pericoli in agguato dietro angoli bui (e anzi non esistono proprio “angoli bui”). All’interno di una comunità la comprensione reciproca è garantita, possiamo fidarci di ciò che sentiamo,
Gamma Chorus - Poggio Rusco (MN)
Ph. G. Barca
siamo quasi sempre al sicuro e non capita quasi mai di restare spiazzati o essere colti alla sprovvista. Nessuno dei suoi membri è un estraneo. A volte si può litigare, ma si tratta di alterchi tra amici e tutti cerchiamo di rendere la nostra integrazione ogni giorno più lieta e gradevole. Può capitare che, sebbene guidati dal comune desiderio di migliorare la nostra vita comune, discordiamo sui modi per raggiungere tale obiettivo e, tuttavia, non desideriamo mai il male altrui.11 Venendo a noi, per un direttore di coro si tratta dunque di acquisire, oltre ad una buona competenza tecnica, atteggiamenti che si potrebbero definire, insomma, ‘da intellettuale’. Ma, per come siamo ridotti, ad introdurre questo tipo di riflessione vien quasi da scusarsi… E perché mai? Viviamo infatti in un mondo in cui la figura dell’intellettuale non sembra più godere di buona letteratura (ma, forse non è del tutto così). Ed è forse più semplice elencare cosa questa figura non sia più, piuttosto che riportare alla mente (ed è nei ricordi di ognuno) la funzione straordinaria che certi maestri, certi bibliotecari, certi curati appassionati di musica hanno potuto, e possono, assumere nel far vivere con dignità, e spesso con fierezza, la vita di paese; nell’alimentare, cioè, quella benefica dimensione comunitaria di cui parla Bauman. Dissoltasi la sua funzione politica, l’intellettuale non pare poter più far da guida.12 Questa perdita di prestigio è ormai evidente in un mondo in cui fa da padrone quel che decide il mercato, anche della comunicazione, dove ‘prezzo e
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domanda effettiva detengono il potere di distinguere tra il vero e il falso, il bene e il male, il bello e il brutto’13. Conclusa da tempo la sua funzione di legislatore dalle ambizioni universalistiche che deteneva dall’illuminismo e che forse ebbe la sua ultima teorizzazione, quale ‘faroguida’ della vita collettiva, nel 1949 quando Antonio Gramsci delineò il ruolo dell’intellettuale organico14, i media ci hanno abituati ad una visione culturale ridotta a entertainment dove valgono i pareri, su tutti e su tutto (quasi sempre conformistici e scontati), coloro che Corinne Maier15 ha chiamato ‘intellettualoidi’, versione postmoderna, trash, del ‘faroguida’ di un tempo. Di continuo chiamati a sedersi sulle poltrone dei vari studi televisivi a comodamente interpretare la complessità di un mondo (impenetrabile, come sempre), a questi ogni giorno alla ribalta non servono più i titoli accademici, quanto piuttosto un po’ di savoir faire e un buon eloquio. E, su quanto la dittatura televisiva incomba anche sui gusti e le richieste di musica, ogni direttore di coro potrebbe portare testimonianze molteplici… Di contro, come abbiamo anticipato, ci sono voci che si alzano ad auspicare il ritorno di figure d’intermediari culturali in grado di riaffermare discorsi di autentico interesse collettivo, senza più, certo, l’antica pretesa di portare verità universali, ma tese ad affermare al massimo l’identità di un gruppo o di una realtà particolare. Al proposito abbiamo già conosciuto la voce di Zygmunt Bauman, ma molto forte per il suo alto tasso di auspicabile idealismo c’è, tra le tante, quella di Edward Said il quale ritiene una vera minaccia il chiudersi nell’accademismo e nello specialismo, limitandosi a praticare un unico campo del sapere. E si augura, per non uccidere l’entusiasmo e il piacere della ricerca, che si formino figure intellettuali in grado di assumere punti di vista che tengano conto ‘delle necessarie connessioni e integrazioni fra le diverse sfere della conoscenza’. Come antidoto al pericolo di ridursi ad essere semplici ‘impiegati della conoscenza’, che ritiene una malattia, Said propone la ‘terapia del dilettantismo’. Vale a dire la tensione a muoversi per amore di un disegno di più vasto respiro, che stimoli un interesse inesauribile, non ultimo quello di superare confini e barriere, rifiutandosi di rimanere reclusi entro una sola competenza e battendosi per idee e valori che trascendano i limiti di una
professione.16 Un dilettantismo che ‘trovi il suo alimento nella responsabilità e nella passione’17 mantenendosi lontano da ‘formule facili e da modelli prefabbricati’ nella ricerca di ‘conferme acquiescenti e compiacenti’, soltanto. Oltre il leggio stanno i cantori: un esteso, unico ma complesso, strumento in carne e ossa composto da molteplici sensibilità, preoccupazioni, punti di vista... Persone, prima di tutto. Vite parallele che s’intersecano ogni settimana, spesso la sera, per condividere un’esperienza. Tra di essi, qualche raro musicista, deciso a mettere a disposizione le proprie competenze in un contesto amatoriale gratificante, e qualche operatore culturale, desideroso d’indagare le possibili connessioni tra la musica e i più diversi campi d’indagine. Ma, soprattutto, dilettanti. Ed è questa la grande disparità tra i maestri di coro e i loro ‘fratelli maggiori’, i direttori d’orchestra che hanno a che fare con professionisti (da ritenere più armati, meno bisognosi di attenzioni particolari). Forse è qui il caso di richiamare le opinioni di Goethe e Schiller, secondo i quali il dilettantismo è un ‘filo rosso’ che ha percorso tutto l’arco della cultura tedesca per varie ragioni: storiche (‘dal momento che la pratica artistica si viene allargando enormemente con il diffondersi dell’istruzione’); sociali (‘poiché le arti sono per definizione comunicative, e dunque richiedono partecipazione e inducono in strati sempre più vasti il desiderio di creatività’); istintuali (‘giacché è attraverso l’arte che si manifesta un tratto generale dell’umanità, e cioè l’impulso a esprimersi, a imitare, a plasmare’). Il dilettantismo, sempre secondo la visione di questi due autori, porta comunque con sé dei rischi e in particolare quello del soggettivismo: il dilettante infatti ‘non vuole saperne di leggi’, visto che, quando ‘non si impara sotto la guida rigorosa di un maestro’, ‘sorge un’aspirazione timorosa, sempre imprecisa e insoddisfatta’. La conseguenza di pratiche sregolate è, allora, che ‘il dilettantismo musicale, più ancora di altri dilettantismi […] limita il soggetto rinchiudendolo nella forma unilaterale che gli è caratteristica’18. Alcune realtà corali italiane rivelano ancor oggi simili forme di miopia, tipiche di chi non vuole – o non riesce – a guardar lontano. Esse proteggono le insicurezze del dilettante, ma impediscono - nel confronto - la sua crescita. Basta chiedere ‘dimmi perché canti, fratello mio?’ (parafrasando una nota canzonetta pasquale) per ricevere dai cantori le più diverse risposte: c’è chi, dopo aver lavorato tutto il giorno in solitudine, cerca solo momenti di condivisione; chi desidera riscattarsi sul piano culturale ritenendo aride le sue competenze tecniche spese nella quotidianità; chi cerca un hobby poco impegnativo o chi, al contrario, dedica durante tutta la settimana molto studio personale agli approfondimenti. C’è poi chi entra nel coro solo perché invitato da un amico (e presto se ne fuggirà a
Coro Montecastello diretto dal M° Giacomo Monica
gambe levate), ma c’è anche chi, arrivato altrettanto casualmente, s’innamora all’improvviso, e perdutamente, della coralità. E c’è chi pur mostrando scarsa fiducia nelle proprie capacità vocali viene benevolmente accolto o chi, al contrario, arriva deciso a mettersi alla prova determinato ad obbedire ad insegnanti che pretende molto esigenti. S’incontrano veterani che cantano da una vita (senza aver mai, peraltro, maturato competenze davvero specifiche), insieme ad altri con ‘vocazione tardiva’. Si tratta, insomma, di un microcosmo variegato dove è possibile ascoltare le storie più diverse. È dunque importante tenere in massima considerazione il fatto che molti, tra coloro che decidono d’investire gran parte del loro tempo libero nella militanza corale (spesso davvero impegnativa), stiano in realtà cercando rimedi a insoddisfazioni personali di varia natura secondo quel meccanismo che i sociologi hanno chiamato ‘di compensazione’19. Del resto, la Royal Society Open Science ha già studiato il cosiddetto effetto ice-breaker: cantare in coro aiuta a rompere il ghiaccio tra estranei poiché il canto sa trasmettere ‘senso di unità’20. Carlo Serra riassume con efficacia la complessità del mondo relazionale coinvolto: Nell’intonare, nel volgersi a ciò che la circonda, la voce non è più pura esteriorità, né vuol solamente dire, ma esprime anzitutto una posizione e l’apertura di un orizzonte: quello della vicinanza, della lontananza, dell’articolazione dello spazio in luoghi, della rivendicazione di corpo, identità e linguaggio.21 Un interesse per l’interazione luogo-voce dove compaiono concetti quali spazio, materia, tempo e, ripetiamo, relazione (termini particolarmente familiari alla formazione scientifica di essere direttore di coro | 29
chi scrive) che trovano un’unica esternazione nella parola cantata sino a congiungere l’io che canta (il qui) con l’io che ascolta (il là). E in questo viaggio dal qui al là la voce prende corpo, vive e trasmette energia. Osservazioni del Serra che ci sembrano trovare riscontro poetico nei famosi versi del Falstaff di Arrigo Boito: Dal labbro il canto estasiato vola pe’ silenzi notturni e va lontano e alfin ritrova un altro labbro umano che gli risponde co’ la sua parola. Questo riferimento permette inoltre di aprire una riflessione sulla particolare sensibilità che un direttore di coro deve possedere al riguardo delle motivazioni individuali (spesso gelosamente nascoste) riuscendo a incuriosire con la scelta del programma e a coinvolgere con l’eloquenza del gesto. Senza dimenticare che le emozioni arrivano, sia ai cantori che al pubblico, da quanto di imperscrutabile la voce umana trascina.22 Un’attrazione o una repulsione verso questa o quella emissione sonora che ha affinità con i misteriosi meccanismi delle scelte sentimentali che il corpo irrazionalmente ci induce a compiere. Del resto già lo scriveva Roland Barthes: La voce ha un carattere amoroso, ogni gesto vocale spinge la dimensione estetica a uscire dal piano del disinteresse, ponendoci di fronte a una dimensione di desiderio o di rifiuto.23 Non è un caso dunque che, sulla brochure della sua rassegna, Matteo Valbusa si sia spinto a riassumere questo concetto con lo slogan: ‘La musica è amore. Cantare in coro è fare l’amore’24. L’antico tema della seduzione del canto (si pensi ai miti di Orfeo o delle omeriche sirene) ha indotto Miriam Jesi a richiamare alcune connessioni tra l’apparato vocale e quello sessuale, osservando ad esempio che la medicina definisce la laringe ‘organo sessuale secondario’: essa, come è noto, subisce cambiamenti in funzione delle modificazioni ormonali.25 E di certo la foniatria e la logopedia hanno fatto grandi passi avanti nel fornire metodi utili a migliorare la vocalità e chiarendo con efficacia quanto la buona qualità del suono nel suo insieme non possa essere ottenuta senza curare l’emissione vocale del singolo. Appare quindi necessario che il direttore sia ben informato sulla tecnica vocale e che si presenti lui stesso come un buon corista. Infine, una nota salutista: secondo uno studio dell’Università di Göteborg, cantare in coro darebbe gli stessi benefici dello yoga perché ‘riduce stress e ansia, rafforza il sistema immunitario e alza il livello di endorfine’26. Ma c’è di più, cantare in coro farebbe bene al cuore: il battito cardiaco dei singoli sin dalle prime battute comincia a rallentare e così una sorta di ‘respirazione guidata’, ben controllata, riuscirebbe a modificare persino la funzione cardiovascolare. Per dirla con Paul Zumthor, la voce è ‘luogo di un’assenza che in essa si trasforma in presenza’ ed ‘è risonanza che fa cantare ogni forma di materia’; essa ‘abita nel silenzio del
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corpo’ tanto che la sua immagine ‘affonda le radici in una zona del vissuto che sfugge a formule concettuali’. Può essere soltanto intuita, avendo ‘esistenza segreta, sessuata, dalle implicazioni di una tale complessità che va oltre tutte le sue manifestazioni particolari’27. E ce lo ricorda anche Luciano Berio, nella nota a Sequenza III: La voce porta sempre con sé un eccesso di connotazioni. Dal rumore più insolente al canto più squisito, la voce significa sempre qualcosa, rimanda sempre ad altro da sé e crea una gamma molto vasta di associazioni. Il suono vocale - che dal nulla è stato generato - si concluderà nel silenzio. Ma solo dopo aver trasmesso, come si è visto, una sorprendente quantità di valori. — 1 F. Gatti e S. Scerri, inDIRECTION. Cantare insieme, insieme per cantare: la gestione delle dinamiche interpersonali di un coro, FENIARCO, 2010, p.8. 2 I. Bona, Senza leader l’orchestra è stonata, Dirigente, 6, 2007, p. 14. 3 I. Bona, ibidem. 4 I. Bona, ibidem. 5 I. Bona, ibidem. 6 Intervista a Ennio Nicotra, Ennio Nicotra conducting workshop, 2012. 7 R. Paliaga, La gioia di fare musica corale. A colloquio con il direttore Gary Graden, in “Choraliter”, n. 47, maggio-agosto 2015, p. 36. 8 D. Barenboim E.W. Said, Paralleli e paradossi, il Saggiatore, 2015, p. 74. 9 A. Della Corte, L’interpretazione musicale e gli interpreti, UTET, 1951, p. 7. 10 Z. Bauman, Voglia di comunità, Economica Laterza, 2003, p.VI. 11 Z. Bauman, op.cit, pp. 3-4. 12 Sui temi che tocchiamo da qui in poi ci è stato di particolare aiuto Pier P. Poggio, Il difficile rapporto tra intellettuali e popolo nel lungo Novecento, http://www.agalmaweb.org/articoli1.php?rivistaID=15 13 Z. Bauman, op.cit, p. 180. 14 A. Gramsci, Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Einaudi, 1949. 15 C. Maier, Intellettualoidi di tutto il mondo, Bompiani, 2007. 16 E. Said, Dire la verità. Gli intellettuali e il potere, Feltrinelli, 1995, p. 85. 17 E. Said, op.cit, p.90. 18 J. W. Goethe e F. Schiller, Il dilettante, Donzelli, Roma, 1993, p. 16. 19 In particolare abbiamo tratto il termine dal saggio di P. Sassu, Canti della comunità di Premana in ‘Como e il suo territorio’, p. 278. 20 Cantare in coro aiuta a rompere il ghiaccio, Internazionale, 9/11/2015. 21 C. Serra, La voce e lo spazio, il Saggiatore, Milano, 2011, p. 279. 22 Concetto ormai assodato come traspare dai titoli di varie recenti rassegne corali e percorsi di formazione. Ad esempio: Festa della Voce (ad Arezzo), festival Voce! (a Bosco Chiesanuova di Verona), festival Voci d’Europa. 23 R. Barthes, La musica, la voce, la lingua, in ‘L’ovvio e l’ottuso’, Einaudi, Torino, 1985, p. 268. 24 M. Valbusa, brochure di Voce! Festival Corale Internazionale, XII edizione, Bosco Chiesanuova (VR), estate 2015. 25 M. Jesi, La laringe umana, Tiziano edizioni, 2010, p. 79. 26 L. Laurenzi, Cantare (ma nel coro) ti fa bella e felice, in ‘Che bellezza’, il Venerdì di Repubblica, n. 1454, 29/11/2016, p. 69. 27 P. Zumthor, La presenza della voce, Il Mulino, Bologna, 1984, pp. 7-9.
Tecnica
Non è questa la sede per entrare nei dettagli della tecnica vocale individuale e in tutto ciò che, approfonditamente, riguardi la preparazione vocale; esistono infatti fior di trattati che possono fornire informazioni su come funziona la respirazione utile al canto, sul funzionamento del diaframma, sull’emissione, ecc… E’ comunque da tener presente che ogni attività deve essere studiata su misura sulle persone che compongono il coro: se è vero che viene ricercato un risultato uguale per tutti, altrettanto vero è che non esiste un metodo uguale per tutti; ogni individuo ha sue specificità che lo rendono diverso dagli altri. La conoscenza di diverse metodologie, tecniche e approcci sarà un’importante risorsa per chi si appresta ad educare una compagine corale. Ci limiteremo quindi ad indicare alcune buone pratiche, generalmente poco osservate, utili a chi canta in coro e a chi dirige un organico corale.
Considerazioni e suggerimenti in merito alla tecnica vocale DI LUIGI MARZOLA E DAN SHEN LUIGI MARZOLA Diplomato in Organo, Pianoforte e Direzione di Coro, è docente di tecnica della direzione presso la Scuola Superiore per Direttori di coro della Fondazione ‘Guido d’Arezzo’, e docente di ruolo di Accompagnamento pianistico presso il Conservatorio di Milano. Per dodici anni ha collaborato con la Musikhochschule di Lugano in qualità di direttore di coro, docente di direzione di coro e di liederistica per cantanti e pianisti. DAN SHEN Soprano diplomata in Canto lirico presso il Conservatorio di Shanghai, si è successivamente diplomata in Canto e in Musica Vocale da Camera presso il Conservatorio di Milano. Dal 1988 costituisce il Duo Calycanthus con Luigi Marzola e dal 2010 è docente di vocalità applicata presso la Scuola Superiore di Direzione di coro della Fondazione ‘Guido d’Arezzo’.
Postura Lo ‘strumento voce’, come qualsiasi altro strumento utile a far musica, richiede cure e attenzioni; in altre parole richiede di essere ‘accordato’ prima di essere ‘suonato’. E prima ancora richiede attenzione la sua ‘cassa’, così come, nella sua costruzione, la richiede quella di un qualsiasi strumento musicale. Sarebbe quindi buona cosa se i singoli cantori, oltre che i direttori, controllassero il modo di stare seduti e in piedi durante una prova; spesso questo è un aspetto poco curato e si assiste ad intere sedute di prova in cui i coristi assumono, per pigrizia, per stanchezza o semplicemente per scarsa attenzione, le posture meno funzionali ad un buon utilizzo della voce. Se la postura non è corretta e cioè la schiena non è bene eretta, il petto ben sostenuto, ecc…, è difficile oltre che pericoloso richiedere una corretta intonazione da parte di chi canta: il corista e/o il cantante che si abituerà a intonare lo strumento su una postura scorretta, difficilmente riuscirà ad ottenere gli stessi risultati quando, per esempio nella fase performativa del concerto, gli si chiederà di ‘tenersi bene’! Avere cura del proprio strumento da questo punto di vista, prima di aprire la bocca per produrre suoni, favorirà una corretta funzione diaframmatica utile al canto con
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può creare giramenti di testa e mancamenti.
Luigi Marzola Ph. C. Pepe
ricadute positive su altezza, durata, intensità e timbro; ricordiamoci che l’attività del diaframma allo stato naturale è sufficiente solo per la sopravvivenza respiratoria e ‘far lavorare il diaframma’ significa sollecitarlo in modo che possa sostenere lunghe frasi con un’ emissione regolare e controllata. Riassumendo: è di rilevante importanza il controllo di una postura corretta durante ogni fase di lavoro propedeutica al concerto; del resto questo tipo di attività viene generalmente denominata ‘prova’; ci si chiede quindi che cosa si ‘prova’ se durante questa fase di attività la simulazione, per l’appunto la ‘prova’, non tende il più possibile a configurarsi come realistica. Respirazione Spendiamo ora qualche parola sulla funzione respiratoria utile al canto. La respirazione cosiddetta ‘naturale’ è quanto di più lontano da quella utile al canto; o meglio: naturalmente l’inspirazione è fase attiva e l’espirazione passiva; questa è la ‘respirazione naturale’. Nel canto, così come nel parlato artistico, nello sport, nella danza, anche la fase espiratoria è una fase attiva e quindi va esercitata in funzione di questa sua propria peculiarità. Deve essere ovviamente esercitata su un corpo che si ‘tiene bene’ per evitare storture e cattive abitudini che, a lungo andare, possano comportare inutili tensioni. Esercitare quindi ‘attivamente’ la funzione respiratoria prima della prova, sempre controllando che avvenga su una corretta postura, è certamente una buona pratica, soprattutto per attivare il corpo e prepararlo alla ‘faticosa’ attività della prova stessa. Una buona pratica è senza dubbio quella di esercitare lunghe, energiche e regolari emissioni, pensando a una frase musicale che si deve cantare, ed anche emissioni corte e ripetute, sempre collegate al repertorio oggetto di studio. E’ inutile esercitare la respirazione, soprattutto veloce e forte, senza alcuna idea della frase, perché non lascerà alcuna idea utile alla memoria dei coristi ed inoltre
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TECNICA
‘Riscaldamento’ e vocalizzi Ci corre l’obbligo di spendere alcune righe sul cosiddetto ‘riscaldamento’. Sul fatto che la voce non abbia alcuna necessità di essere ‘riscaldata’ ormai non c’è alcun dubbio: la voce è di per sé calda e pronta all’uso dalla mattina alla sera, visto che, fatti salvi i casi di momentanea indisposizione, la si usa regolarmente per comunicare. Ciò che non è ‘caldo’ semmai è il cervello; quando il cervello è messo in funzione, attiva regolarmente il corpo, e la muscolatura utile al canto artistico. È regolarmente accettata la pratica di fare alcuni ‘vocalizzi’ prima della prova ‘andando su è giù’ nella tessitura vocale senza verificare che ciò abbia attinenza colle necessità del repertorio da studiare. Quindi: è buona cosa osservare con cura le necessità che il repertorio richiede e, su quelle, fare i cosiddetti ‘vocalizzi’. Il direttore e/o il responsabile del cosiddetto ‘riscaldamento’ avrà cura di scegliere il tipo di esercizio utile a ciò che sarà oggetto di studio durante la prova: staccato, legato, caratteristiche di incisi, frasi corte o lunghe, intervalli problematici, ambiti vocali particolarmente faticosi e/o stancanti. Naturalmente sempre tenendo conto dello stato dei coristi e delle loro necessità. Ricordiamo che la parola ‘vocalizzo’ ha la sua radice nel termine voce e vocale. Un’ attenzione particolare dovrà quindi essere posta sulla assoluta qualità delle vocali che i cantanti/coristi utilizzano per fare questi esercizi. La posizione naturale della laringe e della gola corrisponde al suono ‘ ‘ (vocale neutra) che non fa parte, per esempio, della lingua latina e italiana. Ciò significa che tutto ciò che riguarda il campo vocalico della lingua latina ed italiana è il risultato di un preciso atto creativo che nulla ha a che vedere con una ‘gola rilassata’. È particolarmente produttivo esercitare la pronuncia delle vocali parlate senza intonazione in modo da acquisire una stessa modalità di dizione ed averne poi cura durante la vocalità intonata: spesso un’intonazione collettiva approssimativa dipende da posizioni differenti delle vocali. Si abbia cura del modo di trattare la propria gola perché la muscolatura deve sempre essere tonica ed elastica e non deve provocare alcuna rigidità. Si tratta di un lavoro lungo e faticoso che richiede molta attenzione e pazienza soprattutto perché, generalmente, ogni corista di madre lingua italiana pensa di non aver nessun problema di dizione e di pronuncia e di essere ‘pronto all’uso’. Come già detto, l’omogeneità della pronuncia vocalica richiede molta cura e, soprattutto, la disponibilità a modificare ciò che possa ostare al risultato collettivo. Inutile dire che questo lavoro va fatto con altrettanta cura anche quando il testo da cantare sia in
Lo ‘strumento voce’, come qualsiasi altro strumento utile a far musica, richiede cure e attenzioni; in altre parole richiede di essere ‘accordato’ prima di essere ‘suonato’
lingue straniere. Siccome la forma delle vocali abita nel cervello, grande importanza avrà l’ascolto di esempi corretti da imitare senza concentrarsi su strani movimenti della bocca e delle labbra che spesso inficiano la qualità del risultato. Concetto di ‘naturale’ È comunemente raccomandata la più grande naturalezza in tutte le fasi della performance artistica, ma non dimentichiamoci che la naturalezza risultante da un’attività artistica, non è mai coincidente solo con ciò che la ‘natura’ ci ha offerto alla nascita. Quello che noi osserviamo e definiamo genericamente come ‘molto naturale’ è il risultato di un lungo tempo di studio e di attività per niente ‘naturale’. Questo è verificabile in qualsiasi campo di attività e, in ambito musicale, in qualsiasi genere, sia esso ‘classico’, pop, jazz, ecc… Ecco perché esiste una grande confusione sull’uso del termine ‘naturale’. Il fatto che ‘naturale’, in questo contesto, non significhi ‘così come sei’ e/o ‘così come ti viene’ è dimostrato dal fatto che tutti i migliori esecutori vocali, siano essi professionisti o dilettanti/amatori, spendono tempo ed energie nello studio del canto. Risulta quindi in questa sede importante chiarire che, soprattutto in un coro, non è affatto naturale la ricerca di un suono comune semplicemente attraverso una passiva risultanza dei limiti di ciascuno: il suono omogeneo è l’obiettivo finale di una ricerca tecnico-musicale atta, se necessario, a modificare la ‘naturalezza’ di ciascuno in funzione dell’obiettivo stesso. In altre parole: nel coro, l’omogeneità e la qualità dell’insieme, sarà raggiunta attraverso una vocalità studiata e artificialmente costruita attraverso una stessa modalità di formazione delle vocali e della emissione delle stesse. ‘Naturale’ è una ricerca di studio costante e a volte stancante e faticosa che serve per comunicare a chi ascolta il messaggio vocale nella maniera più apparentemente semplice che ci possa essere.
Dan Shen
Tecnica vocale per il coro: chi la fa? Non importa chi sia ad occuparsi della tecnica vocale del coro: l’importante è che abbia le competenze per farlo. I cori amatoriali sono organici da costruire tecnicamente sia da un punto di vista individuale che collettivo; questo richiede un’ottima preparazione tecnico-vocale da parte di chi si occupa di questo aspetto. Se il direttore ha studiato canto sarà in grado di curare in prima persona la preparazione dei propri coristi. Se deciderà di affidarsi ad altra persona dovrà aver cura di riprendere durante la prova gli stessi elementi che il preparatore vocale sta insegnando al coro. Naturalmente non è sufficiente che il preparatore vocale, chiunque egli sia, abbia studiato canto ‘individuale’ e/o canto lirico: deve avere competenze anche sul canto collettivo, acquisite o attraverso una personale pratica di canto in gruppi vocali e/o cori o attraverso una costante collaborazione col direttore del coro per cui presta la propria opera.
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Coro giovanile italiano, guidato da Luigi Marzola e Carlo Pavese
Prova La gestione della prova è uno degli aspetti più importanti dell’attività del direttore per le ricadute che evidentemente ha sulla preparazione del coro. Si abbia cura di decidere non solo la qualità dei vocalizzi e del cosiddetto riscaldamento, ma anche la quantità: se la prova, in funzione per esempio di un concerto imminente, dovrà essere particolarmente impegnativa dal punto di vista della concentrazione e del ‘consumo di energie’, si presti attenzione a non eccedere con la fase preparatoria. In altri momenti, in cui non ci sia carattere di urgenza, si potrà programmare una fase più lunga di tecnica preesecuzione. Non si conceda ‘relax’ in termini sia mentali che fisici ai coristi se non nelle fasi di pausa tra un’attività e l’altra: meglio mezz’ora di lavoro collettivo realizzato al meglio seguito da un breve intervallo, che due ore di prova realizzate male con poca concentrazione e poca energia. Naturalmente questo prevede che il direttore sappia esattamente cosa vuole realizzare e in quanto tempo; in altre parole: il direttore deve prepararsi al meglio per la prova tenendo presente sempre che l’obiettivo principale è sviluppare l’autonomia offrendo strumenti di autocorrezione ai coristi e stimolando una crescita di competenze.
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TECNICA
Alla fine di ogni prova i coristi devono essere consapevoli dell’utilità del lavoro svolto: più il livello di competenza sarà alto e più risulterà produttiva la prova. A questo proposito riteniamo molto utile insegnare a leggere la musica al coro. Scelta del repertorio Ciò che prima è stato detto sul ‘riscaldamento’ e i vocalizzi vale naturalmente anche per la scelta del repertorio che deve essere fatta tenendo presente al massimo grado i limiti e le potenzialità dell’organico che deve cantare, senza cedere a facili lusinghe determinate solamente dai gusti e dalle ambizioni del direttore. O si seleziona un organico in funzione del repertorio da eseguire (ciò avviene normalmente in ambito professionale) o si seleziona il repertorio adatto a quel tipo di organico corale; in entrambi i casi questa attività richiede un alto livello di competenza e di conoscenza del repertorio da parte del direttore.
Analisi
È convinzione di molti che la scelta di Debussy di musicare le tre liriche tratte dalla grande raccolta di poesie di Charles d’Orleans, sia rivolta ad affermare il suo amore patriottico per la Francia, il suo nazionalismo e il suo legame con le prime radici dell’arte francese. Lui stesso, in una lettera del 1914 al direttore d’orchestra Émile Inghelbrecht (1880-1965) scriveva: «Possiamo tutti ripararci sotto il patronato di Charles d’Orleans, dolce principe, amato dalle muse e così eccellentemente francese!»
Claude Debussy
Dieu! Qu’il la fait bon regarder! Da le Trois chansons de Charles d’Orleans DI francesco barbuto
Claude Debussy
Charles d’Orleans, duca d’Orleans, fu un poeta francese del XV sec. (1394-1465), figlio di Lugi I, fratello del re di Francia Carlo VI e Valentina Visconti, figlia del duca di Milano. Gran parte delle sue poesie le scrisse durante la sua prigionia in Inghilterra, a seguito della battaglia d’Anzicourt il 25 ottobre del 1415, tra l’esercito francese di Carlo VI e l’esercito inglese di Enrico V. Charles d’Orleans fu imprigionato per ben 25 anni, dove compose moltissime delle sue centinaia di poesie, tra cui anche le tre liriche scelte da Debussy. Il poeta sublima la sua distanza e la sua nostalgia, a causa della guerra e della prigionia, con la ‘poesia’. Inneggia alla sua Francia, alla sua donna amata e all’arte, i tre elementi che ritroveremo in tutta la sua produzione letteraria. Per la nostra analisi ci concentreremo sulla poesia ‘Dieu! Qu’il la fait bon regarder!’ (Dio! Quant’è bello guardarla!) che Debussy compone in musica per coro a cappella insieme alle altre due chansons. La lirica è formata da versi di otto sillabe su rime e refrain. Da qui la forma circolare a rondeau. È una poesia di lode dedita a superare l’amore della donna amata e lontana. Infatti, il testo inneggia all’amore della donna (anche come dimensione sensuale), ma soprattutto alla donna come ‘Vergine Maria’ simbolo di purezza, bontà e perfezione, e ancora come madre patria della Francia. .
claude debussy | 35
Dieu! qu’il la fait bon regarder
Dio! Quanto è bello guardarla
Dieu! qu’il la fait bon regarder, la gracieuse, bonne et belle. Pour les grans biens que sont en elle chascun est prest de la loüer.
Dio! Quanto è bello guardarla, quanto graziosa, buona e bella. per le grandi virtù che sono in lei ognuno è pronto a lodarla.
Chi si potrebbe stancare di lei? Qui se pourroit d’elle lasser? Ogni giorno la sua bellezza si rinnova. Tousjours sa beauté renouvelle. Dio! Quanto è bello guardarla, Dieu! qu’il la fait bon regarder, quanto graziosa, buona e bella. la gracieuse bonne et belle! Né su questa, né sull’altra sponda del mare Par de ça ne de là, la mer, conosco dama o damigella ne scay dame ne damoiselle che sia in ogni cosa così perfetta. qui soit en tous bien parfais telle. È un sogno soltanto pensarla: C’est ung songe que d’i penser: Dio! Quanto è bello guardarla! Dieu! qu’il la fait bon regarder! Dal punto di vista metrico, le rime sono nella forma di: ABBA ABAB ABBAA. Il poeta manifesta in questo componimento poetico grande attenzione a livello semantico che acquisisce un valore fortemente simbolico e allegorico. Charles esprime una delicata e allo stesso tempo intensa contemplazione amorosa. La bellezza della donna amata non ha pari ‘né al di qua né al di là del mare’, immagine dalla quale sicuramente si farà attrarre Debussy, insieme a tanti altri aspetti che il compositore non si farà sfuggire nel musicare il testo. Le Trois Chansons furono pubblicate dalla Durand Edition Musicales nel 1908 e la prima esecuzione della prima chanson fu eseguita in un concerto del Venerdì Santo nel 1909 ai Concerts Colonne di Parigi sotto la direzione dello stesso Debussy. Dal 1894, infatti, gli fu proposto per alcuni anni dalla famiglia Fontaine di preparare e dirigere un coro amatoriale, presso la loro proprietà dove si tenevano le prove. Alla fine del primo concerto il pubblico fu entusiasta, tanto che furono eseguiti come bis gli altri due brani della suite. La critica invece non fu soddisfatta. Alcuni dichiararono ‘esagerata’ la reazione del pubblico, altri definirono le composizioni di Debussy come un ‘pastiche!’. Charles d’Orleans Veniamo all’aspetto più analitico musicale della prima chanson. All’osservazione di tutta la partitura, la scelta del testo sembra essere proprio in funzione dei requisiti tecnico-compositivi dello strumento coro e degli orientamenti estetici e compositivi di Debussy. Nonostante la poesia sia in strofe con rime e numero di sillabe uguali, il compositore non applica il principio di scrivere la stessa musica e le stesse note per tutte le strofe, ma varia continuamente, in perfetta sintonia con la duttilità e la creatività della concezione strutturale del suo stile compositivo. Il linguaggio è neo modale con una scrittura corale particolare e originale, ancorata fedelmente in un ambito diatonico. Debussy predilige l’omoritmia alle imitazioni, con soltanto due brevi accenni polifonici, che vedremo nello specifico. Egli mal sopportava l’imitazione (come lui stesso dichiarava), che gli dava un senso di ripetitività. Dal punto di vista melodico, le parti rievocano un vago richiamo gregorianeggiante, libere e distaccate da obblighi di natura tonale convenzionale. Sotto l’aspetto armonico, prevalgono accordi in stato fondamentale (con terze sovrapposte) e rivolti in un gioco di relazioni e risoluzioni tra delicate dissonanze e consonanze. Il descrittivismo è contenuto, come anche i madrigalismi (tipici della scrittura polifonica del Rinascimento) sono Interno di copertina del particolare libro ‘Poemes de Charles d’Orleans’ disegnato da Matisse – Teriade Editeur evitati a favore di una scrittura più libera, onirica ed
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Analisi
Dal punto di vista melodico, le parti rievocano un vago richiamo gregorianeggiante, libere e allusiva, tipica dello stile di Debussy. distaccate da obblighi di natura tonale convenzionale. Molti ritengono cheinanche punto di vista(con artistico e filologico, il compositore Sotto l’aspetto armonico, prevalgono accordi statodal fondamentale terze sovrapposte) e rivolti in un gioco di relazioni e risoluzioni tra ladelicate dissonanze abbia fatto scelta di questi testie consonanze. poetici del Quattrocento, con l’intento di Il descrittivismo è contenuto, comeloanche madrigalismi (tipicima della scrittura più polifonica del rievocare stile di iscrittura rinascimentale, se osserviamo attentamente Rinascimento) sono evitati aqueste favoreTrois di una scrittura più libera, onirica edDebussy allusiva,eratipica dello stileal Chansons, scopriamo che non è così. più interessato di Debussy. fascino del mondo più ‘antico’, all’elaborazione onirica di un ricordo del passato, Molti ritengono che anche dal puntoche didalle vistasueartistico e filologico, compositore fattotutti la piuttosto convenzioni e gli stili diilscrittura utilizzati.abbia Sappiamo scelta di questi testi poetici con l’intento anti-scolastico di rievocare eloanti-sistema. stile di scrittura chedel è ilQuattrocento, compositore per antonomasia Avrebbe rinascimentale, ma se osserviamo più attentamente queste Trois Chansons, scopriamo che è sicuramente considerato troppo artificioso utilizzare gli stilemi, da luinon stessi così. Debussy era più interessato al fascino del mondo più “antico”, all’elaborazione onirica di un considerati prettamente descrittivi, per raggiungere il suo mondo musicale e ricordo del passato, piuttostoartistico che dalle sue convenzioni e gli stili di scrittura utilizzati. allusivo. Sappiamo tutti che è il compositore per antonomasia anti-scolastico e anti-sistema. Avrebbe sicuramente considerato troppo artificioso utilizzare gli stilemi, da lui stessi considerati prettamente I sez. batt. 1-13 descrittivi, per raggiungere il suo mondo musicale e artistico allusivo.
Nel primo episodio (batt. 1-5) l’esordio è in modo Tetrardus (Sol) trasportato un semitono sotto a Fa diesis, basato su triadi consonanti, prevalentemente in stato I sez. batt. 1-13 fondamentale. del Rondeau Manoscritto Nel primo episodio (batt. 1-5) l’esordio è in modo Tetrardus (Sol) trasportato un semitono sotto a Dieu, qu’il la fait ben regarder Nonostante la prima parola è esclamativa con accento tronco, Debussy opta a Fa diesis, basato su triadi consonanti, prevalentemente in stato fondamentale. di Matisse un inizio in levare. Nonostante la prima parola èscrivere esclamativa con accento tronco, Debussy opta a scrivere un inizio in Quella pausa iniziale di un quarto, sembra avere il significato di un ‘sospiro’. La levare. scelta di sembra questo dettaglio veramente delicata! L’espedienteLa(effetto/affetto) ben Quella pausa iniziale di un quarto, avere ilèsignificato di un “sospiro”. scelta di questo trasmette la condizione di un sentimento ben rivolto a ciò che prova Charles nel pensare dettaglio è veramente delicata! L’espediente (effetto/affetto) trasmette la condizione di un immaginare la bellezza della donna amata e lontana (Esempiodella 1 – bat. 1). Situazione sentimento rivolto a ciò che eprova Charles nel pensare e immaginare la bellezza donna amata venutache menosarebbe nel partire sul tempo forte battuta. e lontana (Esempio 1 – bat.che 1).sarebbe Situazione venuta meno neld’inizio partire sul tempo forte
Trois Chansons
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Il profilo melodico più cantabile viene dato ai Contralti (batt. 1-3); cosa che Debussy cambierà di gra - ci - eu - se bonne et bel - le; Pour les gran biens que sont en sezione #continuamente in un gioco e passaggio di testimone trap i Contralti e(batt. i Soprani – in ai Contralti 1-3); cosa chesintonia Debussy 3 Il profilo melodico più cantabile viene dato 3 # # abbiamo j j j con&ciò# che detto in merito all’esigenza di una continua varietà – nell’episodio 4 (batt. j j Œ r # œ œ œ œ œ œ cambierà r j r di sezione continuamente in un gioco e passaggio di testimone œ œ œ 6 (batt. n œ n œ e œbatt. œ œ œ 2a, 2btrae i œ œ œ œ anacrusico di 14-15), ultimoContralti ed episodio anacrusico di 26-27 27-29, Esempi eeti Soprani con ciò Pour che abbiamo all’esigenza di gra - ci - eu - se bonne bel– in - sintonia le; les grandetto biens in merito que sont en 2c). una continua varietà – nell’episodio 4 (batt. anacrusico di 14-15), ultimo ed episodio p 3 # ## j nœ j œ œ œ 3œ 6œ (batt. œ . anacrusico œ œdi 26-27 Œ œ n œ e batt.Œ 27-29, Esempi 2a, 2b e‰2c). œ V # # œJ œ œ J œ J œ J R
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Trois Chansons
Text by Charles D'Orleans
Très modéré soutenu et expressif
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10
se pour-roit
Claude Debussy (1862-1918)
1. Dieu! qu'il la fait bon regarder
-
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sa - biens té Pour lesbeaugran
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p 3 # ## j 3 j j Œ j r r & # # ## œj œ œj œ pœ œ œ œœj 3 œ œ œ œ œ œ n œ œ n œ œœ œr œ œ- œ œj œœ œ # œ œ œ œ # ‰ #gra - ci -œ eu - se bonne œ J & J J et J bel J- le; J Pour les gran biens que sont en p 3 vel - 3le.œ œ Dieu Laj # ## œ 3œ œ qu'il œ . la faitœ p rœ bonœ œ re -Œ gar Œ- der, n œ graœj - ci ‰ n œ V # # ## œJ œ œ J r œr r r r r J j J # Œ ≈etR œ.bel œ. - œle; œ. œ œ œ œ Pour œ . œ œ œ & ## # #gra -œci -œj eu‰ j- seŒ j bonne F œ gran . . les œ œj œ .œ . œ j œ j œj œ ## j œ œ œ œ œ # œ œ J œ œ & œ œ p œ La J n œ Jgraœ - ci œ ? # # # # œ œ- le.œ œ œ DieuœJ qu'il laœpfait œJ œbonœj œre - garŒ - der, œ œ œ J- faisJ # J scay da me ne da-moi sel le Qui soit en tous bien ## # J œJ œ œ œ œ œ par R . R œ œ œ R R œ Œ Œ ‰ Œ J Fle; V # # #gra - ci -J eu J J se bonne et bel Pour les gran 13
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-
3 Qui soit en tous bien par - fais , j 2 b – batt. j jœ 14-15, j anacrusico j & ? # # # œ# œ # œœj œp˙ œ œ (Esempio œ jFœ Soprani) œ n œ œ œ # œœ # œjœ œœ œ œ œœjpœ cresc. œ œ - j pr œn œ n œ œ œ œœ œ œπ jœ n œ- œ jœ π # # # # # # elœ j- leJj J J J œJ œ ChasJœ cun˙ est prest œde. la r œ loü r r- œ er.. œ ˙ Qui # œ nœ œ œ & œ œ bien œ daj- me jne 3da-moi - sel - le Qui soit en j tousœ par - faisj , j j j #### jscay j j ‰ Parn œ n Jœde ça,œ nen œ de là,# œJ #laœJ Jœ mer œ #Ne # n œ eu - seœ bonne œ œ et œ œ œ bel œ V œ - le! p π π p Plus lentp cresc. 3 # # # # biens que p -jen el-j - - le - Chas-- cun- est prest- de la loüp - er. Qui & # # # ### n œœj œj œ œ . sont # œœ œ nœœ œ œ œ œn œœ ˙ œj œj# œj . œj œœr œœj œ œr œr˙ œj .n œ œr. œ˙œ , # œ œ & œ . . œ neœ de œ ? # # # # œ eu J et R bel - le! ‰ Parœ Jde pen mer ça, R œJ Ne R laJ Dieu! ## J tel - se- R bonne J J le. C'est ung son - ge que J d'i - J ser:là, p p cresc. π π p -r j r -r j 3 # # ## r j œ p œ p b œ œque sont n œ-jen œelj -œ - leœ n ˙ # ˙ - er. Qui - Chas œ . -jcunœ -estœj œprestœ œ . de laœ loü V& # ##biens # Jœ J n œ j j œ œ œ œ œ
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Copyright © 1999 by the Choral Public Domain Library (http://www.cpdl.org)
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(Esempio 2 c – batt. anacrusico 26-27, Contralti e batt. 27-29, Soprani)
38 |
Analisi
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(Esempio 2 c – batt. anacrusico 26-27, Contralti e batt. 27-29, Soprani)
‘Il compositore Una curiosità, ma potrebbe essere anche solo una congettura: alle batt. anacrusico 4-5 Una curiosità, ma potrebbe essere ancheunsolo una melodico congettura: batt. anacrusico 4-5 riscontriamo riscontriamo ai Soprani profilo chealle riprende gli stessi intervalli dell’inizio non applica ai Soprani un profilo melodico che riprende gli stessi intervalli dell’inizio della “Marseillaise” –o della ‘Marseillaise’ – o più correttamente ‘Chant de Guerre’ – se pur con il tempo e i valori il principio di più correttamentediversi “Chant de Guerre” – se pur con il tempo e i valori diversi e senza il levare e senza il levare dell’inno. dell’inno. scrivere la stessa Proviamo a metterli accanto per valutarli insieme, la melodia della chanson è trasportata Proviamo a metterli accanto per valutarli insieme, la melodia della chanson è trasportata un un semitono sotto: musica esemitono le stesse sotto: note per tutte le # strofe, ma varia œ . œ œj ‰ Œ œ œ & 44 œr œ œ œ J œ. continuamente, Al - lons, en - fants de la Pa trie in perfetta ## sintonia con & # # # 43 Ó œ œ œ œ œ œ œ œ Œ œ la duttilità e la la gra - ci - eu - se, bon - ne et bel - le. creatività della concezione L’intento non è quello di dimostrare a tutti costi la congruenza di questo dettaglio. Il profilo melodico preso in esame formato da una seconda maggiore, salto di quarta ascendente e strutturale del suo non è quellosull’accordo di dimostraredia tonica tutti costi la congruenza questo dettaglio. successivi salti diL’intento terza discendenti potrebbe essere di considerato anche come stile compositivo’ Il profilo melodico preso in esame formato da una seconda maggiore, salto di quarta discendenti sull’accordo di tonica potrebbe essere # ascendente e successivi salti di terza ∑ &
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considerato anche come un procedimento convenzionale, ma provando a cantare le due parti sulla stessa tonalità, salta subito fortemente all’orecchio il richiamo dell’inno nazionale francese. È risaputo che Debussy amasse prendere ed estrapolare spunti (non # solo dalla musica, ma anche da tutte le altre arti), che poi amava elaborare e citare, anche ∑ in piccoli frammenti. Lasciamo al lettore il parere di questa attenzione.
diretta da # # # # transizione # Tra il primo episodio e il secondo (batt. 5-6), Debussy effettua una 3 ∑ un tono a un altro, sfruttando la nota in comune Fa diesis, senza l’uso di una modulazione # 4 & tradizionale. L’effetto, all’ascolto, risulta inatteso e sorpendente. Sul piano armonico si delinea un procedimento attraverso ambiti diatonici diversi. Si introducono Re, Do e La bequadri. Debussy crea una fluttuazione di due campi armonici e di due scale che possiamo interpretare una in modo misolidio con finalis Re e il quarto grado alzato (Re, Mi, Fa diesis, Sol diesis, primo tempo sulla terzina di bat. 8 ai Soprani, La, Si, Do) e l’altra in modo misolidio con finalis Si (Si, Do diesis, Re diesis, Mi, Fa diesis, Sol diesis, La). All’ascolto si sente particolarmente un sapore neomodale, antico e moderno allo stesso tempo. Non solo. Per effetto dell’inserimento della nota Sol diesis e come è stato strutturato questo episodio, si sente anche in gioco un sapore esatonale, tipico dello stile di Debussy. Egli si prende anche delle libertà (bat. 7 e seguenti), dal punto di vista accentuativo delle parole, dando precedenza alla varietà polifonico-musicale piuttosto che alla struttura rigida del testo. Gli accenti vengono, infatti, messi talvolta in battere talvolta in levare (esempio 3 batt. 6-9).
claude debussy | 39
4
V
J Egli si prende anche delle libertà (bat. 7J e seguenti), dal punto di Jvista accentuativo delle parole, qu'il la fait bon che alla re -struttura gar - rigida der del La dando precedenza alla varietàDieu! polifonico-musicale piuttosto testo. Gli F p -̇ j j j # accenti vengono, infatti, messi talvolta in battere talvolta in levare (esempio 3 batt. 6-9). ?# # 3 Œ œ œ ˙ œ œ œ # # 4
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II sez. batt. anacrusico di 14-25 Nel quarto episodio (batt. anacrusico di 14-17) Debussy riprende il refrain in modo diverso dall’esordio, attraverso un assetto polifonico molto breve e in parte cromatico, abbandonando per un momento la configurazione diatonico-modale. Anche in questo caso possiamo affermare che il richiamo allo stile rinascimentale è soltanto accennato e molto libero. La struttura polifonica di questo episodio è scritta in uno spazio così breve, che le entrate dei Tenori e i Bassi, che entrano soltanto nella seconda parte del verso, non fanno in tempo a enunciare tutto il testo, come si sarebbe fatto in tutte le voci nella polifonia antica. Alcuni critici musicali, hanno definito questo modo di procedere: ‘pseudo-polifonia’. A batt. 18-19, stavolta Debussy si lascia andare a un breve e chiaro ‘descrittivismo’ – soltanto in questo caso, nonostante lui rifiutasse questo modo più madrigalistico di scrivere – sull’immagine del mare, a lui sempre cara e particolarmente affettiva. L’ondeggiamento che notiamo in queste battute, fa sentire una fluttuazione della Dominante sul primo accordo di bat. 18 (settima di prima specie in secondo rivolto), alternato per tutta la battuta con l’accordo successivo e l’ondeggiamento di terze maggiori (tra i Contralti e i Tenori), atteggiamento tipico del compositore (Esempio 4).
40 |
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Copyright © 1999 by the Choral Public Domain Library (http://www.cpdl.org) Edition may be freely distributed, performed, or recorded. (Esempio 3 –duplicated, batt. 6-9)
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primo accordo di bat. 18 (settima di prima specie in psecondo œ œ œ rivolto), œ œ alternato per tutta la battuta J ‰ Œ con l’accoro successivo ∑ e l’ondeggiamentoŒ di terze maggiori J J (tra i Contralti e i Tenori), atteggiamento tipico del compositore (Esempio 4).
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(Esempio 4 – batt. 18-19)
A batt. 21-22 Debussy inserisce una figura in “arabesque” (ai Bassi e i Contralti per seste, poi seguiti anche dai Tenori per terze), anche questo è tipico del suo stile compositivo, che troviamo in A batt.strumentali, 21-22 Debussy una figura ‘arabesque’ (aiInteressante Bassi e i Contralti per seste, molte sue composizioni in inserisce particolare quelleinpianistiche. è notare questapoi seguiti anche dai Tenori per terze), anche questo è tipico del suo stile compositivo, che scelta in confronto al testo del verso: “Qui soit en tous bien parfais telle” (Che sia in ogni cosa così troviamo in molte sue composizioni strumentali, indeterminata, particolare quelle pianistiche. Interessante perfetta). Il testo tenderebbe ad indurci a un’interpretazione a un’immagine quasi notare questa scelta inDebussy confrontoinvece al testoladellibera, verso: attraverso ‘Qui soit en un tousdisegno bien parfais telle’ (Che immobile, scultorea,è appunto “perfetta”. figurativo, sia si in ogni cosa così perfetta). Il testo tenderebbe ad indurci a un’interpretazione determinata, a evocativo, per cui non stacca per nessun motivo dal suo atteggiamento allusivo e sognante. un’immagine quasi immobile, scultorea, appunto ‘perfetta’. Debussy invece la libera, attraverso (Esempio 5). un disegno figurativo, evocativo, per cui non si stacca per nessun motivo dal suo atteggiamento allusivo e sognante. (Esempio 5). 3 20
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(Esempio 5 – batt. 21-22)
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p -j -j -j -j -j p #### œ œ # Il 28-29), Il finale come già accennato, riprende l’esordio con un innalzamento di registro di & (batt. œ œ come œ già accennato, œ œ riprende œ l’esordio œ œ con un innalzamento ˙ finale (batt. 28-29), di œregistro 23
tutta la tessitura vocale: i Soprani partono una quinta sopra, id'iContralti e- i Tenori una sesta diteltutta vocale: sopra, unasopra. sesta - lale.tessitura C'est ung i Soprani son partono - ge una que quinta pen i Contralti ser: e i Tenori Dieu! Il cerchio #è chiuso ed è rispettato fedelmente anche il refrain, ma Debussy ci lascia con un sapore p -j p # # # sopra. -sublime,- dopo- tutto-jil percorso j j etereo&all’ascolto e se vogliamo anche più che abbiamo fatto durante # Il œcerchio è chiuso ed è œrispettato fedelmente j œ il refrain, j anche ci lascia con un œ(Esempiœ 6 a batt. 1-3œ e 6 b batt. œ ma Debussy œ œ œ œ 27-29). #œ l’esecuzione del brano sapore etereo all’ascolto e se vogliamo anche più sublime, dopo tutto il percorso che abbiamo tel
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Text by #Charles D'Orleans p fatto durante l’esecuzione del brano (Esempi 6 a batt. 1-3 e 6 b batt. 27-29).
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(Molto moderato, sostenuto ed espressivo). La musica è di una tranquilla ed amabile dolcezza, l’ordito è chiaro e richiede una sensibilità di esecuzione molto fine e raffinata. Consigliamo di evitare comunque l’uso del falsetto (anche nelle parti acute e nei piani e pianissimi), che farebbe perdere quella presenza emotiva ed affettiva necessaria per far sentire il sentimento Analisi sensuale e amoroso che ritroviamo in tutto il testo e in tutta la sua elaborazione musicale.
La musica è di una tranquilla ed amabile dolcezza, l’ordito è chiaro e richiede una sensibilità di esecuzione molto fine e raffinata. Consigliamo di evitare comunque l’uso del falsetto (anche nelle parti acute e nei piani e pianissimi), che farebbe perdere quella presenza emotiva ed affettiva necessaria per far sentire il sentimento sensuale e amoroso che ritroviamo in tutto il testo e in tutta la sua elaborazione musicale. Dal punto di vista tecnico suggeriamo di fare in modo che i suoni d’attacco, ad ogni inizio frase, si inseriscano naturalmente nella seconda parte discendente espiratoria (del movimento respiratorio) senza fermarlo. Quando la respirazione è nella sua parabola discendente espiratoria, lasciare uscire l’aria dolcemente senza spingerla. Lasciare che sia la pressione dell’aria che si crea alla fine della nostra inspirazione a far sì che formi quel giusto ‘cuscinetto’ come appoggio del suono. Qualora si facesse fatica nei suoni acuti ad attuare questa modalità, è sufficiente aprire di più la bocca (senza sforzarla) per lasciare che tutti gli elementi interni alla cavità orale abbiano più elasticità e spazio di movimento articolatorio e più risonanze. L’equilibrio tra le due forze respiratorie: forza espansiva e forza espulsiva si auto realizzano naturalmente. Si può pensare come di rimbalzare su un ‘pallone’ sternotoracico-addominale. Un’ulteriore attenzione è necessaria nell’equilibrio e nella buona fusione tra il polo anteriore e orizzontale della voce, che produce brillantezza, il polo posteriore verticale della voce, che produce rotondità e morbidezza. Inspirando in modo naturale e rilassato, passivo e concentrato, e immaginando un punto mentale mediano, corrispondente alla parte più alta del palato duro, si ha la condizione migliore per la posizione del suono. Soprattutto nelle parti acute è importante mantenere questo giusto equilibrio per evitare suoni troppo spinti e pesanti, che non consentirebbero oltre tutto a una agilità d’esecuzione e di fraseggio, o troppo rigidi e metallici, che non consentirebbero un’esecuzione e un’interpretazione come quella richiesta da queste ‘chansons’.
Claude Debussy
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Dal 2013 è consultabile sul web all’indirizzo www.corostelutis.org l’archivio CCS, contenente migliaia di canti popolari emiliani. Uno strumento che permette di conoscere, analizzare e confrontare le testimonianze della cultura orale ivi raccolte.
L’archivio CCS del coro Stelutis di Bologna: un’esperienza di archiviazione dei canti popolari DI SILVIA VACCHI
SILVIA VACCHI Laureata in Giurisprudenza, ha conseguito il diploma in Direzione e Composizione Corale presso il Conservatorio ‘G.B. Martini’ di Bologna. Nel 1997 fonda il coro ‘Accanto al Sasso’ di Sasso Marconi (BO) con il quale tuttora lavora. Dal 1999 collabora alla direzione e preparazione tecnica del Coro ‘Stelutis’ di Bologna, diretto dal padre, e dal 2003 lo affianca stabilmente nella conduzione artistica del complesso. Alla morte di Giorgio Vacchi, nel 2008, assume stabilmente la guida del Coro ‘Stelutis’.
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L’interesse per i canti di tradizione orale prende la forma di una vera e propria disciplina soltanto nel secolo scorso suggellato dall’istituzione, a metà degli anni settanta, delle prime cattedre universitarie di etnomusicologia. A Roma la cattedra fu affidata a Diego Carpitella, studioso considerato tra i fondatori dell’etnomusicologia scientifica. Presso il D.A.M.S (Dipartimento di arti musica e spettacolo) di Bologna, invece, ebbe come guida Roberto Leydi. Nei decenni precedenti gli studiosi si erano a lungo confrontati sulle modalità di raccolta e trascrizione dei canti tradizionali arrivando alla comune conclusione dell’imprescindibilità dell’ascolto diretto delle fonti originali. La trascrizione in notazione convenzionale, infatti, non venne più ritenuta sufficiente a restituire tutte le infinite sfumature del canto dei cosiddetti ‘informatori’. Con la parola informatore intendiamo colui che ricorda i canti tradizionali e permette al ricercatore di trarne una traccia audio affinchè queste melodie non si disperdano. L’importanza della musica di tradizione orale è stata pienamente compresa in Italia quando la prassi del canto spontaneo tipica della civiltà contadina è cominciata a scomparire. I grandi mutamenti sociali avvenuti in Italia dal dopoguerra in poi hanno significato, fra le altre cose, la perdita di un patrimonio culturale quasi esclusivamente legato alla trasmissione orale. Negli ambienti urbani riti, danze e canti si sono defunzionalizzati nel breve giro di una o due generazioni. Nelle zone montane e rurali, più isolate e più resistenti al cambiamento, la perdita di memoria rispetto alla cultura contadina è stata un po’ più lenta ma, comunque, inesorabile. L’arrivo dei mass media (radio e tv in primo luogo) in tutte le case e la grande diffusione della musica di consumo ha trasformato l’italiano medio radicalmente: da ‘cantante naturale’ a fruitore di musica quasi esclusivamente passivo nel giro di 25/30 anni. Qualunque approccio serio alla materia ha
dovuto, perciò, tenere conto della relativa urgenza di porre in salvo dall’oblio le testimonianze della cultura orale. L’interesse di Giorgio Vacchi (fondatore del coro Stelutis di Bologna) per questi temi nasce negli anni ‘60 dopo un quindicennio dedicato alla riproposizione con il coro Stelutis dei canti resi celebri dalla S.A.T. di Trento. Quel repertorio, semplice ed affascinante al tempo stesso, aveva avuto una enorme influenza sulla coralità amatoriale italiana ma rischiava, in vari casi, di ridursi a stereotipo nonostante l’indubbia forza dei testi tradizionali. Fu proprio l’esigenza di rinnovare il proprio repertorio che spinse Vacchi a chiedersi se non esistessero canti autenticamente popolari anche nella nostra regione, in Emilia Romagna. Le ricerche fatte sino a quel momento in Italia erano frammentarie e il materiale raccolto in regione era poco e spesso mal documentato. A questo si aggiunsero i ricordi personali relativi ad un breve periodo della propria infanzia trascorso presso i cugini nelle campagne di Carpi. Ricordi lontani ma la cui vivezza portava con se le sonorità tipiche del canto popolare emiliano. Da qui la decisione di intraprendere in prima persona una ricerca sul campo a partire dal proprio territorio. Le prime interviste effettuate tra amici e conoscenti con un registratore a bobina Philips risalgono alla fine degli anni ‘60. Non ci vorrà molto tempo per capire che le zone migliori per trovare informatori erano quelle appenniniche. Con la collaborazione del cantautore Francesco Guccini, allora amico personale di Vacchi e studioso di dialetti vengono fatte le prime interviste in paesi dell’Appennino tosco emiliano. Le registrazioni vengono scrupolosamente catalogate con i dati relativi agli informatori e trascritte in notazione convenzionale. Nasce la consapevolezza dell’importanza della ricerca sul campo su vasta scala. Nell’ambiente corale amatoriale Vacchi incontra alcuni appassionati: tra questi un posto di rilievo lo occupa Paolo Bernardini allora direttore del coro di Gaggio Montano (piccolo comune dell’appennino bolognese) e segretario comunale con vasti interessi culturali. Il suo lavoro di ricerca e trascrizione sul proprio territorio fu fondamentale. In quegli anni Vacchi sensibilizza i tanti cori con i quali viene a contatto sull’esigenza di fare ricerca nel proprio ambiente dove maggiori sono le possibilità di reperire materiale interessante. La sua parallela attività di composizione su melodie di origine popolare comincia ad arricchire il repertorio del coro Stelutis con nuovi brani. Vacchi si fa promotore di un vasto movimento teso al rinnovamento dei repertori e al miglioramento tecnico dei cori. Da queste premesse nasce, nel 1971 l’A.E.R.C.I.P. (acronimo di associazione emiliano romagnola cori di ispirazione popolare) nel cui primo statuto è fatto obbligo a tutti i cori associati di contribuire alla ricerca sul campo. In questo modo la mole di materiale raccolto aumentò sensibilmente: direttori di coro e appassionati registrarono
Giorgio Vacchi
decine di interviste. La maggior parte di loro si attenne alle indicazioni date da Vacchi affinchè tali documenti fossero completi e attendibili: ogni intervista doveva contenere i dati anagrafici dell’informatore e alcune notizie sul contesto sociale in cui era vissuto e a cui i canti erano legati. Inoltre era necessario che il ricercatore non influenzasse in alcun modo l’informatore (per esempio era sconsigliato accompagnarne il canto con uno strumento). Le tante musicassette raccolte (nel frattempo i supporti magnetici erano cambiati) costituirono un patrimonio che andava, innanzitutto, trascritto. Per la parte musicale era necessario comunque il lavoro di un musicista: Vacchi vi si dedicò per decenni trascrivendo scrupolosamente anche le piccole varianti melodiche dei vari canti. Per la parte testuale determinante fu l’apporto dell’ing. Amos Lelli, amico, corista dello Stelutis ma, soprattutto, studioso di dialetti. Finchè il numero dei canti non superò il centinaio le analisi e le comparazioni potevano essere fatte a memoria. All’inizio degli anni ‘80, però, la mole di tracce registrate era già molto più cospicua. Dalla collaborazione con il citato ing. Lelli nasce allora l’idea di costruire un database utilizzando uno dei primi PC messi in commercio all’epoca. Va premesso che l’archiviazione e la classificazione dei testi in ambito etnomusicologico si era, fino ad allora, mossa su due direzioni principali: -per zone di provenienza -per funzioni (canti di questua, ninne nanne ecc...) o per forme (filastrocche, ballate ecc...). Vacchi decise, invece, di utilizzare il metodo delle cosiddette ‘parole chiave’. Si trattava di individuare ogni ‘idea’ o concetto presente nel testo a prescindere dalla forma linguistica con la quale veniva espresso nei canti. Tale singola idea venne rappresentata da una o più parole, in italiano, al singolare, al maschile, (per il femminile la parola è preceduta da ª) e all’infinito (per quanto riguarda l’archivio ccs del coro stelutis | 45
Coro Stelutis
i verbi). Dunque le ‘parole chiave’ sono i sostantivi, gli aggettivi, i verbi e gli avverbi. Questo sistema permette, nonostante le infinite varianti linguistiche, di confrontare i testi e tutte le loro diverse ‘lezioni’ attraverso i concetti espressi. Si ritenne opportuno, per ampliare la casistica, di inserire nel database anche il contenuto di alcune importanti raccolte a stampa: anche questi testi vennero classificati con il metodo delle parole chiave. Verso la fine degli anni ‘80 Giorgio Vacchi e Amos Lelli cominciarono a studiare la possibilità di inserire nel database anche le melodie. Operazione, questa, molto più complessa che venne affrontata con la creazione del ‘Codice musica’. Tale codice, ideato da Vacchi e da Lelli appositamente, permette di rappresentare ogni nota con un numero di quattro cifre di cui le prime due definiscono l’altezza del suono e la terza la durata. La quarta cifra rappresenta la presenza di terzine, legature di valore, corone o altri segni di articolazione. Alla destra delle suddette quattro cifre viene posta la sillaba corrispondente al suono così identificato. In questo modo la sillaba è inscindibile dall’intonazione corrispondente. Ma non esistevano al momento sistemi per passare da un codice numerico alla grafia musicale. Si preferì creare ex novo la notazione musicale convenzionale tramite il linguaggio Visual Basic agganciando i simboli al codice musica. Per facilitare il lavoro di comparazione tra melodie si ritenne altresì utile riportarle tutte alla tonalità di do. Da queste premesse nasce nel 2000 l’applicazione CCS2000 (da Centro Culturale Stelutis) frutto del lavoro di programmazione di Amos Lelli, Gabriele Lelli e (in un secondo tempo) di Marco Lelli. Essa offre la possibilità di visualizzare in notazione musicale qualsiasi melodia contenuta nell’archivio corredata dall’incipit del testo e dal luogo di ritrovamento. Viene riportata anche l’indicazione metronomica originale e la tonalità in cui il canto è stato eseguito dall’informatore. L’applicazione permette di confrontare le estensioni delle melodie e di cercare nell’archivio determinati moduli ritmici e melodici. Analogamente è possibile fare ricerche sui testi: data una ‘parola chiave’ trovare tutte le canzoni in cui è presente oppure cercare tutte le parole chiave presenti in una data canzone. Lo stesso si può dire per serie di parole fino ad un numero di 36 (con la possibilità di fissare delle priorità).
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Al momento della presentazione al pubblico, in occasione di un convegno Aerco organizzato per l’occasione presso la sede del coro Stelutis nel 2000, l’archivio conteneva circa 4200 canti compresi quelli presenti solo come parte testuale. Vi sono contenuti brani frutto della ricerca effettuata in numerose località della nostra regione o limitrofe. Eccole divise per provincia: Piacenza: Bèttola - Groppallo - Ponte dell’Olio Parma: Monchio delle Corti - Neviano Arduini Reggio Emilia: Scandiano – Toano Modena: Castelfranco E. - Fanano - Montese – Pavullo Ferrara: Argenta - Casumaro - Cento - Comacchio Portomaggiore. Bologna: Castelguelfo - Castiglione dei Pepoli - Gàggio Montano - Crevalcore - Monghidoro - Medicina - Pieve di Cento - Porretta T. Romagna: Bagnacavallo - Ravenna – Forlì. Pistoia: Pavana - Ponte della Venturina – Taviano I ricercatori coinvolti sono molti, ne cito alcuni tra i più importanti oltre a Giorgio Vacchi: Amos Lelli, Mario Cassarini, Arrigo Montanari, Daniele Venturi, Francesco Guccini e, soprattutto Mario Bernardini che a Gaggio Montano ha reperito circa 1400 titoli. Nel 2013 l’applicazione CCS2000 è stata messa in rete. Questo è stato possibile dopo un lavoro di variazione di progetto e codifica effettuato dalla società Idem di Granarolo dell’Emilia (Bologna). In occasione di questa revisione sono state fatte alcune implementazioni importanti. La più interessante è quella che permette di ascoltare i canti dalla voce degli informatori. Si tratta dei file audio tratti dalle registrazioni originali di ricerca i cui originali sono custoditi nell’archivio personale di Giorgio Vacchi e del Coro Stelutis. Ora sono ascoltabili in formato mp3 da chiunque acceda al sito tramite una semplice registrazione. Un’altra miglioria riguarda i testi dei canti che ora sono disponibili in una trascrizione comprensiva degli accenti tonici corretti secondo l’Ortografia Lessicografica Moderna. L’archivio, così come è disponibile adesso in rete, comprende circa 4600 canti ed è raggiungibile all’indirizzo www.corostelutis.org , oppure dal sito del coro Stelutis http://www.corostelutis.it/ passando per il menù ‘La ricerca’. Quest’ultimo passaggio ha un grande significato e sta permettendo di far conoscere l’archivio in misura impensabile anche solo 10 anni fa quando era possibile consultarlo soltanto previa installazione sul proprio pc. Credo che in questo modo sia scongiurato il rischio paventato da Giorgio Vacchi negli anni ‘90: egli temeva che tutto questo materiale rimanesse lettera morta. Ci auguriamo, perciò, di riuscire a farlo ulteriormente conoscere sia tra gli studiosi di tradizioni popolari (auspicando che possano contribuirvi inserendo nuovo materiale) che tra i compositori che vogliano cimentarsi con l’elaborazione di temi tradizionali.
AERCO notizie Domenica 11 Marzo 2018 si è svolta a Modena, presso la sede della Corale Rossini, l’Assemblea Generale AERCO.
L’assemblea AERCO ha rinnovato le cariche per il triennio 2018-2021 DALLA REDAZIONE di farcoro
La riunione si è aperta con il saluto di benvenuto a tutti i cori partecipanti da parte del Presidente Andrea Angelini che ha illustrato il lavoro realizzato in quest’anno, riguardo ai diversi aspetti della coralità regionale: corsi e masterclass per direttori, coristi ed insegnanti dei diversi ordini di scuola; concorsi per compositori; festival quali Di Cori un Altro Po di carattere interregionale e CantaBO, per i cori della provincia di Bologna. Le occasioni di incontro e di scambio per i cori sono state molteplici, anche nelle singole province, grazie al lavoro dei delegati provinciali che hanno proposto nuove iniziative sul territorio e dato continuità a progetti già avviati. Il lavoro di tutte queste sinergie è stato fondamentale. Per quanto riguarda l’editoria, la rivista FARCORO, con il direttore responsabile Niccolò Paganini, ha proseguito la sua attività con proposte riferite ai diversi aspetti della coralità; ha inoltre ampliato il comitato di redazione avvalendosi della collaborazione di rinomati musicisti. Il Coro Giovanile Regionale continua con entusiasmo la propria attività con incontri mensili per lo studio e l’ampliamento del repertorio. Terminata la relazione morale del Presidente Angelini, si passa alla sua votazione, che raccoglie il consenso unanime dell’Assemblea. La parola è poi passata al Segretario Stella Bilancioni che ha illustrato il bilancio consuntivo 2017 e preventivo 2018, soffermandosi voce per voce sui diversi capitoli di spesa. L’Assemblea ha espresso all’unanimità parere favorevole anche in questa votazione. Si sono infine svolte le elezioni per la carica di Presidente con candidato il Presidente uscente Andrea Angelini, e per la carica di Vice Presidente con candidata Gabriella Corsaro. Entrambi sono risultati eletti per le rispettive cariche. AERCO NOTIZIE | 47
Il nuovo Consiglio Direttivo per il triennio 2018-2021, pertanto, risulta così composto: Presidente: Andrea Angelini (presidente@aerco.emr.it) Vice-Presidente: Gabriella Corsaro (gabriella.corsaro@yahoo.it) Delegato Provincia di Piacenza: Edoardo Mazzoni (corogerberto@virgilio.it) Delegato Provincia di Parma: Franco Bacciottini (franco.bacciottini@unipr.it) Delegato Provincia di Reggio Emilia: Giovanni Gelmini (giogelmo@virgilio.it) Delegato Provincia di Modena: Alessandro Casari (alex.betta@gmail.com) Delegato Provincia di Bologna: Daniele Sconosciuto (daniele.sconosciuto@icgranarolo.gov.it) Delegato Provincia di Ferrara: Sonia Mireya Pico (aercoferrara@gmail.com) Delegato Provincia di Forlì-Cesena: Marco Fiumana (marco.fiumana@libero.it) Delegato Provincia di Rimini e Ravenna: Michela Lapelosa (rimini@aerco.emr.it) A questi si aggiunge, senza diritto di voto, il Segretario Stella Bilancioni, la quale è stata confermata nel suo ruolo dal primo Consiglio direttivo effettuato a latere dell’Assemblea.
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Selezione dei membri componenti la commissione artistica AERCO Avviso pubblico per la selezione dei membri componenti la commissione artistica AERCO per il triennio 2018-2021
A seguito delle elezioni degli organi regionali AERCO, avvenute in data 11 Marzo 2018, ed a seguito dell’elezione di tutti gli organi provinciali con la quale è stato completato il Consiglio Direttivo dell’AERCO, si rende necessario provvedere, ai sensi degli artt. 16 e 22 dello Statuto associativo alla nomina della nuova Commissione Artistica per il triennio 2018-2021, in carica sino alla scadenza ed alla rielezione dei prossimi organi direttivi regionali e provinciali. La scadenza della Commissione attualmente in carica è prorogata sino al 31 Ottobre 2018, ovvero sino al completamento naturale del suo triennio di validità. 1 - Composizione della Commissione artistica La Commissione Artistica è composta da otto membri, di cui sei direttori di complessi corali, Ne fanno parte di diritto, in aggiunta ai sei direttori, il Presidente dell’AERCO e il Direttore della Rivista FARCORO. I componenti la Commissione Artistica eleggono al loro interno un Direttore ed un Segretario. Il mandato della Commissione Artistica ha durata triennale ed è possibile la rielezione dei Commissari. 2 - Funzioni della Commissione Artistica Alla Commissione Artistica è affidato l’esclusivo compito di consulenza artistica e tecnica e la delega al sostegno musicale ai complessi corali associati che ne facciano richiesta. Il Direttore ha la facoltà di riunire
la Commissione per analizzare i progetti musicali da sottoporre al giudizio del Consiglio Direttivo stesso. I Commissari possono partecipare ai lavori del Consiglio Direttivo con funzioni consultive su esplicita richiesta del Consiglio Direttivo stesso. 3 - Gratuità delle prestazioni Le funzioni di Commissario Artistico, al pari di quelle di qualunque altra carica direttiva in seno all’AERCO viene ricoperta, ai sensi dell’art. 10 dello Statuto, a titolo gratuito. Sono comunque ammissibili a rimborso le spese sostenute dal Commissario (previa autorizzazione) per lo svolgimento della propria attività consultiva a favore dell’Associazione. 4 - Requisiti per la presentazione di candidature Possono presentare la propria candidatura per la nomina a componente della Commissione Artistica i cittadini dell’Unione Europea che abbiano il godimento dei diritti civili e politici e che: - siano Direttori di almeno un complesso corale; - non si trovino in situazioni di incompatibilità di cui all’art.11 dello Statuto o in conflitto di interessi che ostino, ai sensi della normativa, all’espletamento dell’incarico anzidetto. L’assenza di situazioni di incompatibilità e conflitti di interesse costituisce condizione fondamentale che deve permanere per tutto l’arco di durata dell’incarico.
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5 - Modalità e termini di presentazione delle candidature La proposta di candidatura, corredata dal curriculum vitae del candidato, dovrà essere obbligatoriamente inviata esclusivamente per via telematica tramite l’apposito modulo online disponibile sul sito di AERCO a partire dalla data di pubblicazione del presente invito ed entro e non oltre le ore 23.59 del 31 Maggio 2018, pena la non ammissibilità. 6 - Procedura di selezione La selezione dei candidati avverrà, a cura di un apposito nucleo di valutazione, attraverso l’esame delle richieste con conseguente applicazione dei criteri valutativi allegati. La successiva ratifica e nomina sarà di competenza del Consiglio Direttivo AERCO. 7 - Per informazioni AERCO - Via Barberia 9, 40123 Bologna www.aerco.it Stella Bilancioni, Segretario AERCO, tel. 339.4520929, email: stellabilancioni@gmail.com Gian Marco Grimandi, Collaboratore di Segretaria, tel. 051.0067024, email: ufficio@aerco.emr.it
CRITERI PER LA VALUTAZIONE DEI CV DEI CANDIDATI 1 Laurea musicale inerente l’attività della COMART sino a punti 10 2 Altra Laurea musicale di II livello sino a punti 7 3 Altra Laurea musicale di I livello sino a punti 5 4 Altri diplomi di specializzazione musicali sino ad un totale di punti 2 5 Esperienza come direttore di coro sino a punti 20 6 Curriculum artistico sino a punti 30 7 Pubblicazioni sino a punti 6 8 Esperienza precedente nella COMART sino a punti 20
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un progetto di
con il sostegno di
Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 art. 1 - comma 2 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) NE/PN Supplemento n. 2 al n. 53 di Choraliter - iscritto al registro periodici con autorizzazione del Tribunale di Pordenone in data 26.01.2000
USIC ART E R U LT
international choral festival
4 - 8 luglio 2018