FarCoro Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale- 70% CN/BO
n. 2 / 2018
Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori
gramma degli Eventi
10 febbraio 2018, ore 10
lla Musica - Sala dei Concerti
Primoriflessioni Piano sica delle parole: ebrando Pizzetti La voce e la sua
ranno espressività olo Minardi, Marco Capra, Susanna e Niccolò Paganini
10 febbraio 2018, ore 21
di San Vitale
Martedì 13 febbraio 2018, ore 18
Giovedì 19 aprile 2018, ore 21
Centro di Produzione Musicale “Arturo Toscanini”
Casa della Musica – Sala dei Concerti
Intitolazione della Sala Ipogea a Ildebrando Pizzetti - Momento musicale Stile
Ildebrando Pizzetti e il Novecento italiano
l’elaborazione corale di un canto popolare Conservatorio di Musica “A. Boito” di Parma -
e le musiche Domenica 22 aprileper 2018, ore 17
Info Fondazione Arturo Toscanini - tel. 0521/391339Affrontare compositivamente 391372
Martedì 13 febbraio 2018, ore 21*
Auditorium del Carmine
Trio di Parma
Storia
La Camerata Ducale di Parma Ruggero Marchesi violino Adriano Federico RoviniBanchieri pianoforte Casa della Musica – dei Sala dei Concerti l’Accademia Floridi
Pizzetti e i poeti parmigiani: le liriche giovanili
FarCoro
n. 2 / 2018
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale- 70% CN/BO
Editoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 DI NICCOLÒ PAGANINI
FARCORO Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori maggio - agosto 2018 Edizione online www.farcoro.it Autorizzazione del Tribunale di Bologna N° 4530 del 24/02/1977 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - CN/BO. PRESIDENTE Andrea Angelini presidente@aerco.emr.it
La lettera del Presidente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 DI ANDREA ANGELINI
Primo Piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 La voce e la sua espressività: una questione di timbro (e non solo)
seconda parte
DI GIOVANNI LA PORTA E FRANCESCO BARBUTO
Stile
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Affrontare compositivamente l’elaborazione corale di un canto popolare DI DANIELE VENTURI
DIRETTORE RESPONSABILE Niccolò Paganini direttore@farcoro.it
Storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 Adriano Banchieri e le musiche per l’Accademia dei Floridi
COMITATO DI REDAZIONE Francesco Barbuto francescobarbuto@alice.it Luca Buzzavi lucabuzzavi@gmail.com Michele Napolitano napolitano.mic@gmail.com Alessandro Zignani alexzig61@gmail.com GRAFICA E IMPAGINAZIONE Elisa Pesci STAMPA Tipolitografia Tipocolor, Parma
DI GIANMARIO MERIZZI
Repertorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 Ave Maria per coro di voci bianche DI GIANNI GUICCIARDI
Analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 Un’orchestra di voci: la Messa di Requiem di Pizzetti DI NICCOLÒ PAGANINI
Commento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 Rassegna di cori giovanili e scolastici Corinfesta
SEDE LEGALE c/o Aerco - Via Barberia 9 40123 Bologna Contatti redazione: direttore@farcoro.it +39 347 9706837 I contenuti della Rivista sono © Copyright 2009 AERCO-FARCORO, Via Barberia 9, Bologna - Italia. Salvo diversamente specificato (vedi in calce ad ogni articolo o altro contenuto della Rivista), tutto il materiale pubblicato su questa Rivista è protetto da copyright, dalle leggi sulla proprietà intellettuale e dalle disposizioni dei trattati internazionali; nessuna sua parte integrale o parziale può essere riprodotta sotto alcuna forma o con alcun mezzo senza autorizzazione scritta. Per informazioni su come ottenere l’autorizzazione alla riproduzione del materiale pubblicato, inviare una e-mail all’indirizzo: farcoro@aerco.it.
IN COPERTINA Logo delle manifestazioni organizzate in occasione del 50° di Pizzetti ©Comune di Parma
DI DANIELE VENTURI
AERCO notizie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 Coro ‘Gerberto’ di Bobbio Coro ‘Le allegre note’ di Riccione Coro ‘Farthan’ di Marzabotto V Concorso corale ‘Città di Riccione’
FarC
Editoriale
PROF. NICCOLÒ PAGANINI Direttore Responsabile
PIZZETTI, MUSICA CORALE DA RISCOPRIRE La mia città, Parma, è conosciuta soprattutto per il legame con Giuseppe Verdi, ma in realtà, nella sua lunga storia, ebbe la fortuna di ospitare tanti altri importanti musicisti. Ad alcuni, come Ildebrando Pizzetti o Arturo Toscanini, diede i natali, mentre ad altri offrì ospitalità e lavoro come, fra i tanti, Cipriano De Rore, Tommaso Traetta, Ferdinando Paër e Niccolò Paganini. L’‘ingombrante’ presenza di Verdi fa spesso dimenticare questa importante storia musicale della città emiliana. Pizzetti nella vita fu un personaggio di spicco nell’ambiente musicale e culturale, apprezzato sia come compositore che come uomo di cultura. Un’intensa attività di compositore, scrittore e organizzatore gli diede l’opportunità di circondarsi di amici con i quali discutere del presente e del futuro della cultura. L’ampiezza dei suoi interessi lo portò a collaborare anche con tanti giornali tra i quali «La Voce» di Firenze. Infatti, a fianco di un intenso lavoro compositivo l’autorevolezza di Pizzetti fu alimentata anche dal suo straordinario attivismo intellettuale. Pubblicati i primi articoli per la rivista emiliana «Per l’Arte», dove si firma con lo pseudonimo di ‘Latino’, e sulla «Gazzetta di Parma», avvia rapporti di collaborazione stabile con vari quotidiani come «Il secolo», «La Nazione», «La Tribuna» e il «Corriere della Sera». Collabora anche con periodici musicali come la «Rivista musicale italiana», «Ars Nova», e «La rassegna musicale», o con riviste letterarie come la già citata «La Voce», «Il Marzocco» e «Pegaso», finché nel 1925 viene incaricato di dirigere la sezione ‘Musica’ dell’Enciclopedia Italiana Treccani. L’intensa attività di critico è in un certo modo strettamente connessa con le esigenze legate alla sua opera creativa: esplicitare chiaramente la propria visione sui fatti musicali dell’epoca è un’occasione anche per evidenziare le differenze delle sue scelte compositive rispetto alle tendenze dominanti del tempo. Tuttavia dopo la sua morte, nel 1968, le sue composizioni pian piano scompaiono dalla programmazione concertistica nazionale. Dai cartelloni dei teatri sono sparite quasi completamente le sue opere, tranne solo per qualche sporadica eccezione come il caso di Assassinio nella Cattedrale (1957), sicuramente l’opera più conosciuta. Questo va a discapito di tutto quel repertorio da camera e per coro che rimane purtroppo un tesoro nascosto. In generale, tranne poche eccezioni, come i poemi sinfonici di Respighi, la musica di Pizzetti e quella di altri compositori della prima metà del XX secolo non è mai entrata stabilmente nel repertorio concertistico. Studiare Pizzetti oggi vuole dire affrontare anche queste problematiche che hanno inciso, se non danneggiato fortemente, una più giusta ed equa ricezione e analisi critica della sua opera. Nutriamo la speranza che il patrimonio musicale di questo musicista possa ritornare ad occupare il posto che gli spetta.
Coro
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La lettera del Presidente Associazione Emiliano Romagnola Cori
DR. ANDREA ANGELINI Presidente AERCO
Considero, da sempre, la rivista associativa come uno strumento di comunicazione irrinunciabile. La comunicazione è una delle facoltà umane più sviluppate sebbene, nel corso del tempo, le modalità della nostra comunicazione sono cambiate, seguendo l’andamento della tecnologia che ci ha portato dai racconti orali alle pergamene, dagli amanuensi alla stampa fino ai giornali, alla tv e ai social network. Se c’è qualcosa di valido che può essere usato come specchio per osservare la nostra storia questo sicuramente è la comunicazione. L’avvento delle nuove tecnologie ha modificato il modo in cui comunichiamo, e anche i contenuti che scegliamo di condividere con gli altri. All’apparenza viviamo in una società in cui tutti sembrano libri aperti. I post su Facebook, le foto caricate su Instagram, i video di YouTube, raccontano con diversi metodi la nostra vita e la nostra realtà e chiunque, in qualunque parte del mondo, può vedere tutto e sapere tutto; questo è il potere della comunicazione dei social network. Ma torniamo alla nostra Rivista, FARCORO… Spero siate a conoscenza del grande sforzo che AERCO sta facendo per digitalizzare tutte le vecchie edizioni, dal suo vero esordio, quando ancora non aveva l’attuale nome. Fra parentesi, tutto ciò è disponibile su www.farcoro.it; dategli un’occhiata perché lo merita. Orbene, poiché ritengo inammissibile che il sottoscritto non conosca completamente il retaggio storicoculturale di AERCO, me li sto leggendo avidamente, uno ad uno, questi fascicoletti. Recentemente la mia attenzione si è posata sull’editoriale di apertura al n. 01-1986 a cura del direttore responsabile di allora, il compianto M° Giorgio Vacchi. Leggiamo insieme cosa scriveva Giorgio, 32 anni or sono. Ogni prosopopea è superflua ma, giusto per amor di sintesi chiarificatrice, vorrei sottolineare il seguente, rimasto di un’attualità sconcertante, nella diversità della strategia di comunicazione: 1) La Rivista resta uno strumento associativo fondamentale; 2) L’informazione sia serva della formazione; 3) La Rivista non deve essere di pochi ma, al contrario, tutta la realtà associativa è chiamata alla sua realizzazione e sviluppo. Non aggiungo altro, ognuno interpreti come meglio crede questa, a mio modesto parere, bellissima pagina di Giorgio Vacchi. Se siete d’accordo, allora contattate la Redazione che brama di ricevere le vostre proposte editoriali. E’ l’impegno, il grosso impegno che anche io, 32 anni dopo, vi richiedo! Andrea Angelini - Presidente AERCO
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ANCORA CARTA! di Giorgio Vacchi Son certo che non mancherà chi, di fronte a questo nuovo giornale, dirà: ‘Ma come, ancora un giornale? Ancora carta stampata? Ma non ce n’è già abbastanza?’ E per certi aspetti può essere vero; negli ultimi dieci anni, infatti, l’associazionismo che si è andato diffondendo in Italia attorno alla coralità amatoriale ha prodotto numerose testate; molte facenti capo alle diverse regioni in cui la coralità si è particolarmente organizzata. Che differenza da quando, appena vent’anni fa, le uniche paginette che parlavano di cori erano inserite in un periodico di interesse ‘alpino’ e da lì l’amico Bregani lanciava strali contro la coralità più retriva! E che miracolo ci parve quando Mario Marelli riuscì a varare una rivista tutta nostra chiamata ‘Coro’ (che per alcuni anni, proprio da Bologna, ebbe notevole diffusione ancor prima della nascita della ‘Cartellina’): ci parve di toccare il cielo con un dito! Certo adesso il panorama appare davvero più ricco. Perché allora un’altra testata? Potrebbe essere sufficiente dire che ciascun giornale rispecchia le idee, le battaglie, le caratteristiche della propria area regionale, ma non è solo questo: è che nel panorama generale della carta stampata di interesse corale parecchie cose non ci soddisfano. Le lunghe e pedanti cronache dei viaggi, delle cerimonie, dei discorsi dei vari Presidenti così come le puntigliose elencazioni delle benemerenze del tale o tale altro gruppo corale non ci sembrano poi così importanti. E i resoconti stenografici di ‘illuminati’ assessori o ‘disponibili’ sottosegretari o gli struggenti ricordi di un vecchio corista ‘vent’anni dopo’ non ci sembrano essere i motivi dominanti dalla crescita culturale della coralità. Certo non è che vogliamo veder scomparire la cronaca e la parte informativa: anch’essa ha un suo peso (non è forse stato prezioso, in questi quindici anni, quell’AERCO-NOTIZIE che è stato l’unico legame tra i cori della regione?) Ma, a nostro parere, è ancora troppo poco lo spazio che viene dedicato alla parte ‘formativa’ nei nostri giornali. Che non è solo far sfoggio di dotti saggi e di richieste erudite ma, a nostro avviso, è scambio e confronto di idee. Confronto che, anche se raggiunge il contrasto, è per noi momento di maturazione. Meglio quindi un giornalismo che cerca, i confronti, piuttosto che evitarli; meglio le idee che, al limite, li provocano, i contrasti, che quelle che van bene a tutti. E ancora. Fra le idee, meglio quelle che hanno in sé la spinta per ‘fare’ (ecco il perché di quel ‘fare’ messo prima di ‘coro’): ci sembra più congeniale all’impostazione che, qui in EmiliaRomagna, abbiamo cercato di dare al nostro associazionismo. Ma, più che altro, usiamolo questo nostro giornale: non lasciamo che diventi un’operazione di pochi, il che vorrebbe dire vederlo svilito e non interprete di una Associazione che è nata dalla base e vuole continuare ad esserlo. Per questo chiedo a tutti un impegno, un grosso impegno. | 5
Primo Piano
I meccanismi anatomici evidenziati nel precedente articolo (FarCoro n. 1/2018) non esauriscono il tema della caratterizzazione timbrica della voce. Se l’organo vocale può essere equiparato ad uno strumento musicale vero e proprio, le corde vocali costituiscono l’elemento fisiologico vibrante, ciò che identifica ordinariamente l’oscillatore presente in ogni strumento musicale.
La voce e la sua espressività... una questione di timbro (e non solo) Risonanze del tratto vocale e frequenze formanti della voce DI GIOVANNI LA PORTA
GIOVANNI LA PORTA Diplomato in viola presso il Conservatorio ‘C. Pollini’ di Padova e in Violino presso il Conservatorio ‘J. Tomadini’ di Udine, si è laureato successivamente in Architettura presso lo IUAV di Venezia conseguendo il Dottorato di Ricerca in ‘Ingegneria civile ambientale architettura’ presso l’Università degli studi di Udine. All’attività libero-professionale, unisce quella di musicista come didatta ed esecutore. Dall’a.a. 20092010 ha ricoperto l’incarico di professore a contratto per l’insegnamento di Acustica musicale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia Università degli studi ‘Ca Foscari’ di Venezia, incarico che ricopre attualmente presso il Conservatorio ‘C. Pollini’ di Padova.
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PRIMO PIANO
Ricordando ancora la definizione di J. Sundberg1, la formazione del timbro vocale deve essere ricollegato anche necessariamente alla presenza di un risuonatore, l’elemento fisico che seleziona ed enfatizza l’intensità di alcuni parziali armonici, colorando timbricamente il suono. Nel caso dell’organo vocale, se l’oscillatore è costituito dalle corde vocali, il risuonatore è formato da tutte le cavità anatomiche che compongono il tratto vocale, dalla laringe alla bocca. Tutte le cavità, nel loro insieme, configurano idealmente un unico condotto nel quale l’onda sonora, originata nei pressi delle corde vocali, si propaga con un’ oscillazione longitudinale, subendo poi una vera e propria caratterizzazione timbrica, ciò che rende la voce di ogni persona realmente individuale. Analizziamo, più nel dettaglio, quali sono le ragioni per le quali tale sorta di caratterizzazione sonora si possa verificare. Il tratto vocale è un condotto asimmetrico, chiuso nei pressi delle corde vocali ed aperto nei pressi della bocca. Esso è perciò assimilabile al canneggio di uno strumento musicale a fiato, in cui l’innesco del suono è generato da un oscillatore, nella forma di un’ ancia meccanica (clarinetto, oboe, fagotto …) o da un’ ancia labiale (tromba, corno, tuba…). Come nel caso degli strumenti musicali, nel tratto vocale ad una estremità agisce l’oscillatore (le rime della glottide) che genera un’onda sonora progressiva; 1 ‘L’organo vocale è uno strumento che consiste in un generatore di potenza (i polmoni), un oscillatore (le corde vocali) e un risuonatore (laringe, faringe e bocca). I cantanti modificano l’assetto del risuonatore in modo speciale’ J. Sundberg The acoustics of singing voice, Scientific American, 1977
in prossimità della bocca, l’onda progressiva subisce una brusca riflessione verso l’interno, generando un’onda regressiva caratterizzata da medesima frequenza ed ampiezza. La mutua sovrapposizione tra onda sonora progressiva e regressiva all’interno del tratto vocale, ha come risultato la formazione di un’onda sonora stazionaria, quel particolare genere di onda acustica per la quale, le particelle elementari del mezzo di propagazione – in questo caso, le molecole d’aria contenute nel tratto vocale – risultano sollecitate con la stessa modalità. In altri termini, lungo il condotto vocale è possibile individuare sempre punti fissi in cui risultano minimi e massimi gli spostamenti subiti del fluido gassoso (rispettivamente nodi e ventri di pressione, da qui il termine stazionario).
Fig. 1) Onde stazionarie del tratto vocale del 1°, 2°, 3° e 4° ordine. Le onde stazionarie coincidono con le frequenze di risonanza del tratto vocale maschile, in questo caso, essendo la lunghezza del tratto vocale pari a circa 17,5 cm, approssimativamente 500, 1500, 2500 e 3000 Hz
Il tratto vocale, grazie alla sua conformazione anatomica (lunghezza, larghezza …), entra quindi in risonanza, ovvero amplifica naturalmente quelle frequenze che sono in grado di mettere in vibrazione, nei diversi modi, la massa d’aria che lo riempie2. A questo proposito, in relazione alla diversa dimensione L del tratto vocale nei due generi (negli uomini L ≈ 17,5 cm, nelle donne L ≈ 14,5 cm), le rispettive frequenze di risonanza risultano pari a circa 500, 1500, 2500, 3500, … Hz e 600, 1800, 3000, 4200, … Hz. Com’è naturale attendersi l’innalzamento delle frequenze di risonanza nelle donne è dovuto alla minore lunghezza L del tratto vocale, circa 1/5 più corto rispetto a quello degli uomini, ciò provoca un innalzamento della frequenza fondamentale pari a circa 3 semitoni della scala musicale a temperamento equabile (300 Cent). Per le voci infantili l’innalzamento è ancora maggiore (circa 400 Cent), essendo la lunghezza L del tratto vocale dei bambini ancora inferiore.
2 La risonanza di un condotto, cui viene assimilato il tratto vocale, identifica quel fenomeno fisico per cui la massa d’aria ivi contenuta può oscillare spontaneamente se sollecitata da una frequenza di lunghezza d’onda λ corrispondente ad una delle tre dimensioni del condotto (La, Lb, Lc). Riferendosi alla sola risonanza che coinvolge lo sviluppo longitudinale del condotto (La), le relazioni £n=2L/n (a) e λ£n=4L/m (b) individuano le lunghezze d’onda delle frequenze per le quali si genera la risonanza dell’aria, in relazione alla sua configurazione geometrica, rispettivamente (a) per cavità di tipo simmetrico e (b) per cavità asimmetriche, dove n è un numero naturale qualsiasi e m un numero naturale dispari. Essendo la velocità di propagazione dell’onda sonora pari alla velocità del suono nell’aria (c ≈ 340 m/s), è possibile ricavare le frequenze naturali di risonanza (f1,f2,… fn ) di un condotto di lunghezza L, mediante le relazioni fn=n · 340/2L o fm=m · 340/4L, rispettivamente strumenti musicali con camerature simmetriche e asimmetriche. Nel caso del tratto vocale quindi le risonanze naturali coincidono con la sua frequenza fondamentale (f1) che ha lunghezza d’onda λ1=4L e le frequenze parziali multiple dispari (f3, f5, …) che quindi hanno lunghezza d’onda pari a λ£3=4L/3, λ£5=4L/5 ... Le caratteristiche del tratto vocale sono infatti tali da generare sempre un ventre di pressione nei pressi della glottide e un nodo di pressione in prossimità della bocca. Le risonanze del tratto vocale non dipendono dall’altezza del suono – come già evidenziato, determinata solo dalla frequenza di oscillazione delle corde vocali – ma risultano una caratteristica intrinseca della conformazione anatomica individuale, variabile per genere, età, costituzione ... ecc.
LA VOCE E LA SUA ESPRESSIVITA’ | 7
Come si è visto, il solo movimento oscillatorio delle corde vocali produce un’onda sonora caratterizzata da una frequenza fondamentale accompagnata da una successione di parziali armonici di ampiezza rapidamente decrescente al crescere della frequenza. E’ evidente che parte dei parziali armonici – più propriamente, alcuni raggruppamenti tra i parziali – coincideranno con le frequenze di risonanza del tratto vocale, ovvero, come si è visto, con le frequenze per le quali la massa d’aria ivi contenuta entra naturalmente in vibrazione. Tale coincidenza dà luogo ad un sostanziale rinforzo selettivo della sonorità della voce, ciò sostanzialmente per una efficace sovrapposizione di effetti: da un lato i parziali armonici generati dalle corde vocali, la cui intensità, come si è visto, decresce al crescere della frequenza; dall’altro i parziali armonici naturalmente rinforzati per la risonanza naturale del tratto vocale. Il risultato di tale interazione è quindi, per ogni caratteristica anatomica individuale, un fisiologico rinforzo di particolari porzioni dello spettro sonoro, riferite ad alcune frequenze particolari, denominate per questo frequenze formanti della voce. Va sottolineato che mentre l’altezza della voce cresce all’aumentare della frequenza di oscillazione delle corde vocali, l’altezza delle frequenze formanti dipende dalle caratteristiche anatomiche del tratto vocale. Ciò determina che, variando la frequenza del suono fondamentale, si generi un diverso corredo di parziali armonici e con questo una diversa colorazione timbrica della voce. Si verifica un po’ quanto accade al suono di molti strumenti musicali (pensiamo agli strumenti ad arco, ad esempio) nei quali si riscontra che i suoni prodotti dallo strumento non abbiano le medesime caratteristiche di incisività e brillantezza al variare dell’altezza: anche in questo caso, le risonanze naturali del risuonatore (in questo caso la cassa armonica) influenzano più o meno positivamente la proiezione sonora dello strumento musicale.
Fig. 2) Frequenza fondamentale e parziali armonici prodotte dalle corde vocali; risonanze del tratto vocale; sovrapposizione degli effetti con generazione delle frequenze formanti.
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Formanti vocali Il colore timbrico del suono vocale si ricollega, come si è visto, al corredo di parziali armonici che accompagna la frequenza fondamentale emessa dalle corde vocali e alla risonanza del tratto vocale. In ogni persona tali requisiti hanno caratteristiche del tutto particolari e connotano le caratteristiche timbriche dell’emissione vocale individuale. Ma la ricostruzione delle risonanze del tratto vocale cui prima si è accennato è stata riferita, per semplicità, ad una schematizzazione geometrica ideale (condotto vocale = cilindro regolare), non già ad una condizione reale: le cavità del tratto vocale hanno infatti una geometria complessa, non perfettamente cilindrica, per di più costituite da tessuto organico, per sua natura contraddistinto da fisiologica motilità. E’ questo il motivo per il quale, a differenza degli altri strumenti musicali (archi, fiati), il tratto vocale costituisce un risuonatore atipico, ovvero in grado di variare la propria configurazione geometrica, ridefinendo in maniera sostanziale le modalità con le quali entra in risonanza. A ciò si devono le infinite modalità di espressione della voce umana – si pensi all’uso della voce in ambito teatrale – un risultato sonoro conseguito da ogni individuo con la sola modificazione dell’assetto morfologico del proprio tratto vocale3. E’ a questo genere di considerazioni che si deve ricondurre l’identità sonora dei diversi suoni delle lingue parlate, cui il linguaggio riconosce un preciso significato semantico. Il riconoscimento di tale identità è quindi proprio connesso alla possibilità che una stessa classe di persone – la popolazione che comunica con la stessa lingua parlata – modifichi allo stesso modo la geometria del tratto vocale: ad una particolare forma corrisponde una diversa e precisa sequenza di frequenze formanti (pattern di risonanze) cui si associa un significato linguistico condiviso. Si potrebbe affermare che la formazione della capacità di espressione linguistica individuale consiste, fin dai primi istanti di vita, in una progressiva acquisizione della capacità di assegnare ad una particolare conformazione geometrica del tratto vocale un preciso significato semantico. La variazione dell’assetto geometrico del tratto vocale può essere attuata in diversi modi, pur se è necessario sottolineare che gli elementi anatomici maggiormente coinvolti sono la mandibola e la lingua. Il loro movimento è in grado di creare allargamenti e restringimenti del tratto vocale, senza per questo modificare in alcun modo la frequenza di oscillazione delle corde vocali.4 3 Sull’espressività della voce si vedano i lavori di M. Belli (cfr. in http://www.voceartistica.it/it-IT/index-/?Item=BELLI_new; https://www.youtube.com/watch?v=Y-10C-XZnYc) L’attore identifica le varie tipologie di timbrica vocale: laringale, pettorale, glottica, faringale, uvulare, occipitale, velare, parietale, palatale, apicale, prepalatale, nasale, nasale-velare, falsetto, flautale, fischio-laringeo, aritenoideo, falso cordale, diplofonico, diplofonico con false corde. 4 Va osservato che l’aumento dell’area del condotto vocale ove si localizza un nodo di pressione, determina un innalzamento della relativa frequenza
A questo proposito ciascun cantore può constatare le seguenti condizioni fonatorie: (A) l’abbassamento della mandibola, determina un allargamento del tratto vocale nei pressi della bocca (ove è presente un nodo di pressione) e contemporaneamente un restringimento del tratto laringeo nei pressi della glottide (ove è presente un ventre di pressione); a tale movimento consegue quindi un innalzamento della 1° risonanza del tratto vocale e conseguentemente della 1° frequenza formante; (B) il movimento della lingua al di sotto del palato ha una notevole influenza nei confronti della 2° e 3° risonanza del tratto vocale, potendo variare il diametro del condotto là dove si formano un nodo e un ventre di pressione. Lo spostamento della parte basale o apicale della lingua determinerà quindi una consistente variazione della 2° e 3° formante vocale, pur non influenzando significativamente l’altezza della 1° formante; (C) l’estensione delle labbra in avanti è in grado di aumentare la lunghezza del tratto vocale, determinando un abbassamento di ogni sua risonanza e conseguentemente di ogni frequenza formante. Nella pratica corale è possibile sperimentare ordinariamente gli effetti delle condizioni fonatorie (A), (B) e (C). Per dare solo alcuni riferimenti, tra le innumerevoli possibilità di variazione del proprio assetto vocale, vengono proposti nel seguito alcuni esempi che possono essere considerati ‘tipici’ per un cantore. Per il caso (A) può essere osservato come il suono della vocale ‘a’ si possa distinguere in ‘a aperta’ e ‘a chiusa’ agendo sul solo abbassamento della mandibola, pur mantenendo nella medesima posizione la lingua e le labbra. Il passaggio dall’una all’altra modalità causa la diminuzione dell’apertura alla bocca ed un parziale allargamento del tratto vocale nei pressi della laringe (punti in cui sono localizzati, rispettivamente, un nodo e un ventre di pressione). L’effetto sarà quindi quello di un consistente abbassamento della 1° formante, generando un suono più scuro e meglio definito (la ‘a’ tende a diventare una ‘o’).
di risonanza; analogamente, ma con effetto inverso, qualora l’aumento dell’area si localizza nei pressi di un ventre di pressione. La traslazione delle frequenze di risonanza può essere anche molto consistente (200 - 500 Hz), in ogni caso tanto maggiore quanto più alta è la frequenza di risonanza del tratto vocale. Il fenomeno è riconducibile alla variazione della frequenza di risonanza di un sistema massa-molla (es. un risuonatore di Helmoltz) dove si possa variare la rigidezza della molla.
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Fig. 3 Successione dei parziali armonici (sonogramma) a corredo dell’emissione cantata di una ‘a aperta’ e ‘a chiusa’
Per il caso (B) può essere osservato che l’emissione della vocale ‘e’ cambi in ‘i’ con il solo progressivo innalzamento della parte centrale della lingua all’interno della cavità orale, pur mantenendo invariata la dimensione dell’apertura della bocca. In questo caso il tratto vocale passerà, nella parte anteriore, da una sezione cilindrica ad una sezione più ristretta (ventri di pressione, 2° e 3° modo di risonanza), subendo però anche un allargamento nella parte retrostante verso la faringe (ventre di pressione). Il risultato sarà quindi un moderato abbassamento della 1° formante e un lieve innalzamento della 2° e 3° formante, cui corrisponderà una diversificazione timbrica così evidente da causare il mutamento della qualità percettiva tra le due vocali.
Fig. 4 Successione dei parziali armonici (sonogramma) a corredo dell’emissione cantata di una ‘e’ e ‘i’; schematizzazione del movimento della lingua all’interno della cavità orale
Per il caso (C) si può verificare come l’emissione della vocale ‘o’ cambi in ‘u’ con l’innalzamento della mandibola e il prolungamento anteriore delle labbra, ciò mantenendo la lingua nella medesima posizione all’interno della cavità orale. Il tratto vocale ne risulterà globalmente allungato oltre a subire una leggera restrizione nei pressi della bocca. Conseguentemente ogni
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frequenza formante si abbasserà (più marcatamente la 1° formante) con un sostanziale mutamento timbrico del suono associato alle due vocali.
Fig. 5 Successione dei parziali armonici (sonogramma) a corredo dell’emissione cantata di una ‘u’ e ‘o’; schematizzazione del movimento della lingua all’interno della cavità orale
Lo schema seguente evidenzia la relazione tra le risonanze del tratto vocale, considerato alla stregua di un condotto di forma cilindrica di sezione costante (campiture continue in grigio) e le formanti vocali di ciascuna delle cinque vocali della lingua italiana, cui si associa la forma assunta dal tratto vocale nel canto (campiture colorate). L’esempio si riferisce all’emissione della nota C3 di una voce maschile, suono per il quale è anche riportata l’altezza dei suoni armonici naturali (C4, G4, C5, E5 …). Dallo schema può quindi anche essere individuata la particolare colorazione timbrica associata a ciascuna vocale, essendo le frequenze formati vocali coincidenti con uno o più suoni tra gli armonici naturali.
Fig. 6 Relazione tra le prime 3 risonanze del tratto vocale (tratteggio in grigio) e le formanti vocali delle 5 vocali della lingua italiana (tratti colorati); l’emissione, di un cantante lirico professionista, è riferita ad un Do (C3=130 Hz) del quale sono evidenziati anche i suoni armonici (note in nero)
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La risonanza è un fenomeno di amplificazione delle onde sonore prodotto dai ‘risuonatori’. È uno dei fattori più importanti del canto. Affidarsi alla risonanza piuttosto che alla forza, o peggio ancora a sforzi dovuti da spinte eccessive muscolari, è fondamentale per raggiungere una voce professionalmente artistica.
La voce e la sua espressività... una questione di timbro (e non solo) La risonanza, il colore timbrico e la voce artistica
DI FRANCESCO BARBUTO
FRANCESCO BARBUTO Compositore, scrittore, direttore di coro e consulente musicale, svolge un’intensa attività professionale nell’ambito culturale, artistico musicale e corale. Svolge attività nel movimento corale sia nazionale sia internazionale. È stato Presidente della Commissione Artistica Regionale dell’Unione Società Cori Italiani Lombardia (USCI) e direttore della rivista musicale online ‘A più Voci’ dal 2011 al 2015. È studioso e ricercatore della musica del ’900 e del Contemporaneo, sia corale sia orchestrale. È Cittadino Onorario di Caronno Varesino, insignito del ‘Sigillo Civico’ per il suo impegno nell’Arte, nella Cultura e nella Musica e per la direzione d’eccellenza del Choro Lauda Sion, da lui stesso formato.
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I risuonatori della voce sono le cavità della laringe, faringe e della bocca. Il suono prodotto dalle nostre corde vocali è di per sé semplice, debole e senza colore. Solo quando incontra le camere di risonanza – ma anche altre cavità del corpo, come le cavità del petto, le cavità nasali, ecc. – il suono aumenta di consistenza e di sonorità. In questo senso i risuonatori fanno da megafono della nostra voce e danno anche una coloratura particolare che sancisce un’identità alla voce di ogni persona. Ecco perché è sufficiente concentrare tutta la nostra attenzione a questo, piuttosto che allo spingere sul volume sonoro, come fanno molti cantanti e coristi inesperti. Dal punto di vista delle leggi acustiche, le vibrazioni delle corde vocali viaggiano in tutte le direzioni. Per questa ragione il suono potrà raggiungere tutte le camere e le cavità di risonanza e acquisire una maggiore consistenza di sonorità. Quando spingiamo fortemente sul volume tenderà ad uscire più velocemente dalla bocca, i muscoli si irrigidiranno e il suono sarà inevitabilmente più forzato e pesante. L’aria, trasformata in suono vocalico, dovrà propagarsi il più liberamente possibile all’interno delle nostre cavità di risonanza e il suono sarà sicuramente più morbido e più ‘timbrato’, come si suol dire negli ambiti dei cantanti e dei maestri di canto. In questo interessante video, possiamo sentire tanti effetti dei risuonatori della voce parlata, dell’attore e regista di teatro, tra i più importanti ed esperti sulla ricerca vocale: https://www.youtube.com/watch?v=p7WB4BlOiD0 Per capire meglio attraverso un esempio, proviamo a pensare a un pianoforte (anch’esso uno strumento non
scelto a caso ‘cordofono’) dentro a un locale. Sentiremo meglio i suoi suoni se lo lasciamo libero da qualunque oggetto e da impedimenti. Se proviamo a mettere sopra al coperchio libri pesanti, tovaglioli, centrini e soprammobili e magari anche un tappeto sotto ai piedi, noteremo subito che il suono sarà più ovattato e più debole, anche se suoniamo più forte! Dobbiamo lasciare così il pianoforte com’è stato realizzato dalla casa costruttrice esattamente come dobbiamo lasciare così la nostra voce e liberare le nostre risonanze come madre natura le ha fatte! Questo è un aspetto, anche se sembra scontato, veramente molto importante. Pensiamo anche a come sono costruiti i teatri e gli auditori… e quali e quanti architetti e ingegneri occorrono per realizzare un’acustica (che tiene conto di tutte le esigenze di risonanza) così corretta e adeguata. Il timbro e il colore timbrico (come viene definito da molti esperti di canto), rappresentano quella percezione uditiva che permette all’ascoltatore di identificare una fonte e la sua qualità sonora. Se noi facciamo intonare uno stesso suono – per esempio il Do centrale, il suono che sta alla quarta ottava di un pianoforte a 88 tasti – a un Soprano e a un Tenore, saremo in grado perfettamente di distinguere il timbro della voce di una donna da quella di un uomo. La stessa cosa vale anche per gli strumenti musicali. È soprattutto insieme all’altezza, all’intensità, alla lunghezza e all’espressività del suono, che il suono prende quella connotazione di ‘colore timbrico’, che consente all’esecutore di dare la propria impronta sonora e il proprio contributo artistico all’interno di un brano musicale. Nel canto, in particolare, si usano moltissimi aggettivi per porre un’attenzione particolare al ‘colore timbrico’, come per esempio: dolce, aspro, concitato, profondo, drammatico, leggero, chiaro, scuro, morbido, duro, ecc., per citarne alcuni tra i più usati. Da questo punto di vista, l’attenzione a un determinato colore timbrico, ci consente di ascoltare anche a livello ‘psicologico, emotivo e affettivo’ un determinato suono e non soltanto uditivo fine a se stesso. Perfino il modo di scrivere una composizione, può indicare atteggiamenti e attenzioni ai colori timbrici da usare. Pensiamo ai ‘madrigalismi’, usati soprattutto nella musica rinascimentale, ma non solo. In questi due esempi, uno di Carlo Gesualdo (del ’500), l’altro di Bruno Bettinelli (del ’900), proprio il modo di scrivere queste parti compositive, come la determinazione degli intervalli e delle ‘figure musicali’ composte, indicano chiaramente come impostare un colore timbrico che esprima compiutamente le parole musicate e le intenzioni dei compositori:
‘I risuonatori fanno da megafono della nostra voce e danno anche una coloratura particolare che sancisce un’identità alla voce di ogni persona’
C. Gesualdo: ‘Moro lasso al mio duolo’ – batt. 30-31
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In questo esempio del brano ‘Moro lasso al mio duolo’ vediamo proprio che alle battute 30 e 31 Gesualdo, volutamente sulla parola ‘vita’, fa muovere molto, con l’uso di crome e semicrome, tutto il coro, contro le semiminime e le minime del resto del brano. I coristi dovranno adattare la propria voce con un colore timbrico particolarmente chiaro, ascendente leggero (sia individualmente sia coralmente), per non appesantire l’agilità richiesta dalla velocità degli intervalli, fino al culmine dei Soprani che arriva alla nota Fa5, volutamente su un valore lungo, che dovrà essere ben sostenuto e trasmettere chiaramente il punto di arrivo finale di tutto questo passaggio polifonico.
B. Bettinelli: ‘Già mi trovai di maggio’ – batt. 24-26
In questo esempio del brano ‘Già mi trovai di maggio’, tratto dalle ‘Tre espressioni madrigalistiche’ di Bettinelli, vediamo alle battute 24-26, sulla parola ‘tremolava’, un interessante e molto efficace madrigalismo, che con la figura agile e altalenante, ben trasmette il suo significato espressivo. I coristi, in modo simile all’esempio precedente, dovranno tener conto di un colore timbrico (e non solo di un’attenzione tecnica), chiaro, agile e leggero che ben rispecchia la richiesta espressiva di questa figura musicale e della parola presa in esame. Un aspetto molto importante, richiede di stare molto attenti all’uso articolatorio della voce, soprattutto come in questi casi. La parola ‘tremolava’, non dovrà essere cantata come se fosse recitata (quindi più vicina al parlato), con un suono molto in avanti, come si suol fare appunto nel parlato e nel recitato, e un colore timbrico molto scoperto e chiaro come se fosse una sorta di parlato intonato. Purtroppo questo errore lo fanno davvero molti coristi. I cantanti, a differenza degli attori, hanno molte più richieste di attenzioni ai suoni musicali e all’aspetto della risonanza. Molti maestri di canto, infatti, insegnano di utilizzare un’articolazione certamente ben scandita, ma più piccola e più nella bocca, con un uso morbido ed elastico della mandibola, ecc., che consente di sfruttare meglio i nostri risuonatori, rispetto a un’articolazione più avanti e più ampia, tipica della voce parlata e recitata. Dal punto di vista del colore timbrico si ottiene una condizione di esecuzione (e di ascolto) certamente più musicale, dove anche i ‘suoni’ concorrono a caratterizzare la nostra voce e non soltanto il nostro modo di dire.
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Questo è il compito principale di un cantore e di un cantante: riuscire ad ottenere colori timbrici e ad esprimersi coi suoni musicali della voce! Prendiamo ora in esame alcuni brani di diversi generi musicali che possono essere eseguiti con colori timbrici diversi, in base al tipo di ‘sound’ che quel genere musicale e quello specifico brano può richiedere. Metteremo a confronto anche interpretazioni diverse di come un brano, abitualmente considerato e ascoltato in un certo modo, può essere interpretato con un tipo di colore timbrico completamente diverso… e funzionare bene lo stesso! Partiamo dalla musica che definiamo ‘classica’. Il brano ‘Ave Maria’ di Charles Gounod, per esempio, famosissimo canto sull’accompagnamento tratto dal I preludio del ‘Clavicembalo ben temperato’ di Johann Sebastian Bach, è stato eseguito in tutte le versioni e interpretazioni possibili e immaginabili. Non vogliamo qui aprire un dibattito e un confronto sul gusto, la giustezza o meno della scelta timbrica e interpretativa, oltre che filologica, e della corretta o meno prassi esecutiva. Vogliamo soltanto mettere a confronto ‘colori timbrici’ diversi tra loro.
C. Gounod:
‘L’attenzione a un determinato colore timbrico, ci consente di ascoltare anche a livello ‘psicologico, emotivo e affettivo’ un determinato suono e non soltanto uditivo fine a se stesso’
‘Ave Maria’ – batt. 1-8
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Il brano (qui esponiamo la prima frase in partitura), basato proprio sul I preludio in Do maggiore di Bach, trasportato una quinta sopra, ha una melodia con valori lunghi, che si muovono per grado congiunto. Poi, nel proseguimento del brano, si avranno anche salti intervallari che possiamo definire ‘effetti/affetti’. Ne vediamo già uno alla battutta 9 sulla parola ‘grazia’, che ha il compito proprio di suscitare un richiamo emotivo su questa parola così importante del testo, che dovrà essere presa in considerazione in un modo molto attento anche sul piano del colore timbrico. Essendoci così molti intervalli di gradi congiunti, in una tonalità e tessitura melodica particolarmente acuta (se vogliamo rispettare il tono d’impianto originale che è in Sol maggiore), l’esperienza ci dice che l’ideale sarebbe utilizzare un colore timbrico dolce, leggero, anche se il brano è prevalentemente eseguito da cantanti lirici – molti dei quali, soprattutto maschi, hanno la pessima abitudine di spingere o utilizzare tecniche vocaliche d’affondo, tese più a far sentire le capacità della propria voce e la loro potenza vocalica, che le richieste artistiche ed espressive del brano e del compositore – ma allo stesso tempo anche con un suono vocalico ‘ampio’. Questo è importante per fare in modo che le note acute e sempre così lunghe, non vengano sovrastate dall’accompagnamento sempre arpeggiato, che ha il compito di creare quel movimento interno e contrastante alla melodia, che rende così interessante e compiuto il brano. Ascoltando molte versioni di esecuzioni su Youtube, abbiamo riscontrato che questo brano è eseguito anche da moltissimi cantanti di musica leggera. Riteniamo che una delle ragioni per cui questo brano sia finito spesso e volentieri nelle voci di questi cantanti, sia dovuta proprio dalla richiesta specifica di colore timbrico dolce e leggero che questa composizione effettivamente richiede… oltre certamente alla fama che ha avuto nella storia della musica. Nei seguenti link abbiamo voluto mettere a confronto tre esecuzioni di due generi musicali e di tre cantanti completamente diversi per ascoltare le diversità, e allo stesso tempo le affinità, di colori timbrici usati. La prima versione è eseguita da un giovane Andrea Bocelli (in tono originale), accompagnato dall’orchestra diretta dal maestro Myung-whun Chung: https://www.youtube.com/watch?v=YR_bGloUJNo Notiamo che Bocelli usa una voce morbidamente lirica, dal colore timbrico dolce, ma anche ben sostenuto. Anche sugli acuti, ben appoggiati e diaframmatici, continua a mantenere un colore timbrico dolce, chiaro – soprattutto sulla vocale ‘I’, che per definizione è una vocale verticale e molti cantanti lirici hanno la tendenza sugli acuti a scurirla molto, se non farla diventare addirittura una sorta di ‘O’, per la necessaria
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esigenza di aprire di più la bocca per agevolare gli acuti. La seconda versione (trasportata addirittura una settima sotto in La maggiore, per esigenze di voce, cantata tradotta in inglese) è eseguita da Noa (una delle cantanti di musica leggera più conosciute al mondo, impegnata anche moltissimo nel sociale e ambasciatrice della FAO), accompagnata dal chitarrista Gil Dor, in una esecuzione del concerto di Natale alla basilica di San Francesco d’Assisi: https://www.youtube.com/watch?v=ldjGrEx-PhE Questa esecuzione, al di là della discutibile scelta della lingua, con un continuo dire ‘Maria’ con la ‘R’ all’inglese che per noi italiani/latini può risultare disturbante, fa sentire un colore timbrico certamente più leggero e in avanti, ma con la tendenza di Noa a timbrare anche il più possibile in bocca, soprattutto sul palato, come tendono a fare i cantanti lirici, anche se con altri risultati artistici. La terza versione (trasportata una terza sotto in Mib maggiore) è eseguita dalla cantante delle Celtic Woman (una formazione femminile molto conosciuta al mondo) Chloë Agnew, accompagnata all’arpa da Órla Fallon: https://www.youtube.com/watch?v=ZmlQSxK3J6o Certamente questa versione per molti sarà discutibile. Il colore timbrico usato è ‘soffiato’, come viene definito da molti cantanti e vocal coach di musica leggera. Non tutta l’aria si trasforma in suono, si utilizza spesso anche molto falsetto, lasciando all’ascoltatore (soprattutto amatore della musica leggera) una percezione di mescolanza tra aria e suono, che produce una sensazione di dolcezza, finezza e delicatezza. Il secondo brano che vogliamo prendere in considerazione è di George Gershwin: ‘Summertime’ tratto dall’opera ‘Porgy and Bess’ del 1935 e realizzata anche nel film omonimo del 1959. Ecco la prima pagina di una partitura edita nel 1962:
G. Gershwin: ‘Summertime’, tratta da ‘Porgy and Bess’ – batt. 1-14
Dall’analisi di questa prima pagina, osserviamo che la melodia, sempre in una tessitura pressoché acuta, è formata da un’alternanza di note di valore lungo (semibrevi e minime, soprattutto sulle parole cardini del testo) e note più brevi puntate (ottavi puntati con sedicesimi) e note di semiminima, accompagnata da uno stile tipicamente gershwiniano con forte mescolanza tra un ambiente di musica classica e armonie e passaggi coloristici tipicamente di richiamo jazzistico, con l’uso di suoni tratti dalle scale cromatiche e accordi alterati e con particolari dissonanze. L’agogica all’inizio della melodia indica Moderato (con espressione).
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Il cantante si trova di fronte a uno studio e a una scelta particolarmente non facile sia sul piano tecnico vocalico, sia sul piano timbrico coloristico ed espressivo. La prima versione che suggeriamo di vedere e ascoltare è eseguita in teatro dal soprano Harolyn Blackwell, accompagnata dalla London Philarmonic Orchestra diretta da Simon Rattle al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=IJs8HVBhGbk Già dall’attacco e dalle prime note (il brano è intonato in Si minore) è chiaro l’intento timbrico della cantante. Suono rigorosamente e rispettosamente in piano, come indicato dalla partitura, a ‘mezza voce’, dolcissimo, fine, delicato, ma straordinariamente sostenuto e ben diaframmatico, come lo si può chiaramente sentire dalla quantità e dalla qualità del vibrato continuo – e per nulla disturbante – che usa la cantante. Questa dedizione così attenta non solo all’impostazione vocalica, ma anche al colore timbrico scelto, le consentirà per tutto il brano di emergere sull’orchestra, sempre intrigante con le sue armonie alterate e dissonanti e incalzante, e di mantenere il suo ruolo di solista protagonista di questo canto, invocando e rispettando quella specificità sulla richiesta agogica (con espressione) così importante e determinante di questa melodia. La seconda versione che suggeriamo è eseguita da Ella Fitzgerald nel 1968 (nel tono di Sol minore), in una versione particolarmente ‘intima’, molto libera, leggermente timbrata e giocata quasi tutta sulla sua capacità di improvvisazione jazz che questa grande interprete è in grado di fare. Ecco il link dove potete vedere e ascoltare il video: https://www.youtube.com/watch?v=u2bigf337aU Sugli acuti, da lei stessa voluti e improvvisati, il suono è più spinto e il colore timbrico più duro e aspro: connota una percezione più aggressiva della voce che vuole usare, contro ogni indicazione della partitura originale stessa di Gershwin. Questo atteggiamento è tipico nelle esecuzioni, non solo di richiamo jazzistico, dove il cantante si prende molte libertà di improvvisazione e si concentra più su una interpretazione di tipo personale che autoriale, con molte libertà anche sul piano dei colori timbrici. L’ultimo esempio che vogliamo esporre è corale. Prendiamo in esame il bellissimo brano ‘The blue bird’ del compositore, a cavallo tra l’800 e il ’900, Charles Villier Stanford.
C. V. Stanford: ‘The blue bird’, Op- 119, N. 3 – batt. 1-5
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Il brano, che come indica l’agogica, è in Larghetto tranquillo, parte in pianissimo (compreso il Soprano solo quattro battute dopo) e richiede fin dall’inizio un delicatissimo approccio al canto e al colore timbrico. Molti cori eseguono questo brano praticamente in ‘falsetto’, con un inevitabile sollevamento della laringe, se non addirittura con un colore timbrico ‘soffiato e leggero’, a causa della dolcezza del brano e della richiesta dinamica. Questo, però, fa perdere presenza e anche carattere timbrico e vocalico al coro. Cantare molto piano, richiede un aumento dell’articolazione (senza tensioni e sforzi) e della morbidezza. La brillantezza, importante per compensare un suono che mancherebbe sicuramente di lucentezza, la si ottiene cercando un colore timbrico prevalentemente boccale e palatale, cantando più in mezza voce, che in falsetto. La mezza voce, che coinvolge anche le corde vocali nella sua piena attività, consente di attivare maggiormente e più elasticamente il diaframma e anche tutti i meccanismi del sostegno. La prima versione che suggeriamo è eseguita dal Simpson College Chamber Choir diretto da Timothy A. McMillin al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=ZRvY70VThqM Il coro esegue in modo molto artistico, compatto e professionale. Il colore timbrico è molto caldo, uniforme, liricamente naturale e anche molto corposo. La solista, che col primo suono canta con la mezza voce, va poi in voce e con un timbro più lirico, ma sempre senza eccessive spinte muscolari, che rendono la sua esecuzione particolarmente dolce, presente ed espressiva. La seconda versione che proponiamo è eseguita dal coro irlandese Anuna, che esegue con un colore timbrico molto diverso, al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=Q1w6QSNqYzk Il colore timbrico è più leggero, naturale più vicino alla voce parlata, in molti punti anche falsettato e soffiato, che però rimane sempre suggestivo, come lo stile di questo coro. Sono tante le componenti che concorrono a formare la peculiarità del timbro della voce, ma di fondamentale importanza risulta essere l’amplificazione di determinati armonici contro altri! Molti maestri di canto, indicano che una voce particolarmente timbrata è una voce più ricca e con più armonici amplificati. Una voce cantata più ‘ricca’ offre più suono e sembra offrire più elementi artistici – e di conseguenza più presenti e più espressivi – rispetto a una voce più ‘povera’. Ogni coro ha il compito di raggiungere, con le voci che ha a disposizione, un proprio ‘carattere’ vocalico e di colore timbrico… ma questo può essere possibile soltanto se si conosce e si sa usare molto bene la propria voce.
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Stile
Provenendo da una famiglia di cantori popolari, sono profondamente convinto, avendo praticato lungamente il cosiddetto canto ‘spontaneo’, che un brano popolare per essere eseguito, non necessiti di un intervento compositivo atto a crearne, ad esempio, un ‘rivestimento armonico’. Ciascun canto, infatti, è già nella forma monodica una composizione musicale compiuta: avendo superato l’inesorabile ‘vaglio del tempo’.
Affrontare compositivamente l’elaborazione corale di un canto popolare DI DANIELE VENTURI
DANIELE VENTURI Diplomato in Musica corale e direzione di coro al Conservatorio G.B. Martini di Bologna e in Composizione presso il Conservatorio G. Frescobaldi di Ferrara. È fondatore e direttore del coro d’ispirazione popolare Gaudium (1992) e dell’ensemble vocale Arsarmonica (2006). Ha in catalogo oltre centotrenta composizioni scritte per i più disparati organici e circa duecento elaborazioni corali. Diverse sono anche le sue pubblicazioni discografiche ed editoriali. Svolge attività didattica come docente esterno in diversi Conservatori ed Università italiane e straniere.
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STILE
Forse vi chiederete perché, nella mia produzione compositiva, abbia dedicato così tanto tempo ed energia alla costruzione di nuove elaborazioni corali di canti popolari. La prima motivazione è che oggi queste modalità di canto non sono più praticate in forma spontanea, se si escludono le rare eccezioni di carattere indotto, i rituali a cui questi canti erano legati, se ne sono andati, con il declino lento e inesorabile della cosiddetta ‘Civiltà Contadina’. Pochi, purtroppo, sono i depositari di questo fantastico ‘mondo perduto’ ancor’oggi in vita. La causa principale sta nel fatto che il naturale passaggio di questi canti, che venivano tramandati in forma orale di generazione in generazione, si è interrotto. Ciò è dovuto, in particolare, al repentino cambiamento di usi e costumi avvenuto nel periodo coincidente con la Terza Rivoluzione Industriale nella seconda metà del secolo scorso. In questo periodo si è assistito all’abbandono delle campagne in favore delle città, da parte delle classi subalterne; che di fatto erano quelle che praticavano tale tipologia di canto. Dalla pratica del cantare vista come tramite di socializzazione e appartenenza ad una comunità, si è gradatamente ‘scivolati’ nell’ascolto. L’individuo, nei pochi decenni successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, è divenuto, così, da testimone attivo di una civiltà propria, ad ascoltatore passivo e
consumatore di musica altrui. Detto ciò, credo che la riproposizione in pubblico di un canto popolare nella forma elaborata per coro, sia una dei pochi mezzi a nostra disposizione perché il canto stesso possa essere accettato e di conseguenza conosciuto anche dalle giovani generazioni e da quest’ultime rivitalizzato. Il secondo motivo per cui dedico molto tempo all’elaborazione di forme popolari è rappresentato dalla mia affezione a questi canti. Essa mi spinge a prendere spunto da essi, in quasi tutte le mie composizioni, essendo questi canti, per me, un’inesauribile fucina d’ispirazioni. Così essendo profondamente debitore ai canti popolari, cerco, tramite le mie elaborazioni corali, di esaltarne i valori, musicali ed umani, intrinsechi ad essi. Il primo obiettivo che mi pongo quando comincio il lavoro di elaborazione di un canto popolare è sicuramente quello di analizzarne i vari parametri in esso contenuti, quali, ad esempio: il testo, il ritmo, il metro, l’excursus melodico, ecc.. Dov’è presente, inoltre, ascolto, con attenzione, il materiale sonoro registrato del canto stesso e delle più o meno numerose varianti melodiche, per poterne carpire ogni singolo dettaglio. Ricercando i canti popolari sul campo la prima pratica importante per conoscerli è quella di unirsi ai cantori, provando ad accennarne, naturalmente ‘ad orecchio’, il motivo musicale. Quest’ultimo in gergo popolare è definito ‘aria’, forse perché il canto stesso muove l’aria o semplicemente perché le vibrazioni sonore si propagano nell’aria. Sicuramente, ciò rappresenta il primo importante passo da compiere, per potersi immergere nel fantastico ed unico ‘mondo sonoro’, che ciascun canto popolare rappresenta. Naturalmente si può adottare l’accorgimento di registrare i cantori tramite un registratore audio digitale; ma sempre con la massima discrezione e sensibilità, per evitare di ‘rompere la magia’ del momento, o, ancor peggio, tradire la fiducia di chi ci fa dono di questo canto, che a tutti gli effetti rappresenta una parte di sé. Oggi, fissare i dati sonori, è assai più facile ed economico rispetto ad un tempo, essendoci in commercio dei piccoli apparecchi di ottima qualità ad un prezzo molto ridotto. Nell’ormai lontano 1987, quando iniziai ad aiutare l’amico Paolo Bernardini a svolgere il lavoro di ricerca sui canti popolari nella zona dell’Alto Appennino Bolognese Occidentale, avevamo a disposizione i primi rudimentali registratori audio a cassette. Quest’ultimi per praticità e minor costo avevano, già allora, quasi totalmente soppiantando nel lavoro sul campo, i vecchi e più professionali registratori a bobine, i quali fissavano l’audio su supporti magnetici a nastro. Il secondo passo importante dopo aver registrato un canto è quello di trascriverne ogni dettaglio: altezze (porgendo molta attenzione a fissare anche i suoni non temperati),
dinamiche, varie nuance interpretative, portati, glissandi, uso del vibrato, ecc.. Quando sono immerso nel lavoro di elaborazione di un canto popolare, cerco di farlo con interventi compositivi che non ne stravolgano l’essenza, ma anzi, ne esaltino le singole caratteristiche musicali e testuali, in essi presenti. Quasi sempre traggo le tecniche compositive dal canto stesso, sfruttando nella creazione del contrappunto e dell’armonia, molti elementi già presenti nel canto. Non credo affatto nel concetto di ‘appiccicare’ un’ armonizzazione in stile classico ad un brano di epoca precedente oppure di epoca successiva. L’elaborazione, inoltre, deve essere assolutamente personale. Talvolta il canto popolare stesso mi suggerisce i rapporti armonico-contrappuntistici tra le varie voci in pochi minuti. Alle volte, invece, mi occorrono giorni oppure mesi per trovare il giusto approccio alla stesura delle varie parti vocali. Allo stesso tempo il lavoro di ricerca, trascrizione, catalogazione ed elaborazione di un canto popolare è un’operazione estremamente importante, perché le diversità, presenti in ciascuna comunità, non lascino il campo all’omologazione. I pericoli in cui incorre un musicista contemporaneo nell’affrontare il lavoro di elaborazione di un canto popolare sono principalmente due. Il primo è quello di creare un’elaborazione troppo semplice e scontata che non esalti le caratteristiche del canto. Il secondo è quello di operare un procedimento compositivo troppo invasivo che vada ad appesantire il canto. Gli interventi troppo drastici dal punto di vista dell’armonia e del contrappunto possono stravolgere il carattere di un canto a tal punto che, all’ascolto, le parti aggiunte dal compositore possano risultare totalmente estranee al canto stesso. Elaborare un canto popolare è un’operazione assai delicata, simile al lavoro svolto da un cuoco, il quale ha il compito di creare un buon piatto avendo a disposizione degli ingredienti già pronti, che sono quelli presenti nel canto stesso, ma potendone aggiungere anche altri, quelli che il compositore ha dentro di sé, sempre, però, cum grano salis. Il nostro compito è infine quello di riconsegnare il canto alla gente, dopo averlo lavorato con arte e passione, impreziosendolo e sperando che questa nuova composizione possa far breccia nelle ‘anime’ di ciò che resta del popolo. Se ho cominciato il lavoro di ricerca e di elaborazione dei canti popolari lo devo, in particolare, ad una persona che con la sua passione, competenza ed amore me ne ha fatto appassionare. Sto parlando del compianto Giorgio Vacchi (1932-2008). A dieci anni dalla sua scomparsa questo mio breve articolo vuole essere un piccolo omaggio per poterlo ricordare.
L’ELABORAZIONE CORALE DI UN CANTO POPOLARE | 21
Storia
Tra i personaggi considerati ‘minori’, Adriano Banchieri (monaco olivetano, Bologna 1568-1635) è forse il più citato nella letteratura sulla storia musicale tra Cinque e Seicento. E questo non tanto in merito alla sua produzione, quanto alla mole di informazioni con cui la sua opera musicale, letteraria e teorica, contribuisce ad illuminare aspetti della vita musicale del tempo dove pochi altri scrittori sogliono ficcare il naso e riferirne.1
Adriano Banchieri e le musiche per l’Accademia dei Floridi DI GIANMARIO MERIZZI
GIANMARIO MERIZZI Ha conseguito la laurea in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo presso l’Università degli Studi di Bologna. Ha curato vari progetti di carattere bibliografico-musicale per conto della Soprintendenza ai Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna, dell’Istituto di Studi verdiani di Parma, dell’Istituto di Studi rinascimentali di Ferrara, dell’Accademia Filarmonica di Bologna. È stato funzionario ispettore al Civico Museo Bibliografico Musicale di Bologna (ora Museo e Biblioteca internazionale della Musica) ideando il Catalogo Gaspari online. Per un quadriennio ha condotto il Laboratorio di catalogazione dei beni musicali alla Scuola di Biblioteconomia e Bibliografia Musicale del Conservatorio «Tartini» di Trieste. Attualmente è bibliotecario al Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna dove si occupa della collezione musicale e degli archivi speciali.
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STORIA
Radicato in una città che non fu capitale, ma da secoli sede di un illustre ateneo e di una massiccia presenza di istituzioni ecclesiastiche, posta al crocevia di cose, uomini, linguaggi e idee, Banchieri osserva curioso il viavai del suo tempo, assorbendo come una spugna stimoli provenienti dagli ambiti più disparati, dal sacro come dal profano, dalle élite sociali e culturali come dalla piazza, dalle teorie come dalle pratiche, dalla musica come dalla letteratura, dal teatro della scena come da quello del mondo, restituendo questi stimoli in personali elaborazioni e ‘riscritture’ (paradigmatiche quelle delle opere di Orazio Vecchi e Giulio Cesare Croce) forse non sempre geniali ma sicuramente sorprendenti, per certi versi straordinariamente moderne e comunque estremamente istruttive per lo storiografo. «Scrivo a mio modo e leggo a quel d’altrui» «Nulla si può dir che non sia detto / ma in vario stil diversamente detto» sono versi in cui si compendia molta della poetica banchieriana. Compositore di musica sacra e profana, vocale e strumentale, organista, teorico e didatta della musica, letterato, poeta e drammaturgo, scrittore di cose cittadine, animatore di accademie, progettista di strumenti 1 Si veda ad esempio la presenza preponderante di Banchieri nel volume di Inga Mai Groote, ‘Musik in italienischen Akedemien. Studie zur institutionellen Musikpflege 1543-1666’, Laaber, 2007, a cui ci riferiremo più avanti.
musicali, descrittore di eventi, concerti e opere pittoriche, ‘accademico vario’ come si firma in una delle edizioni del Cacasenno: non c’è limite agli interessi del monaco bolognese, al suo estro produttivo, al suo desiderio di contaminare opere, stili e generi, lingue e consuetudini sociali, in questo partecipe di un gusto secentesco per il nuovo, il vario, l’arguto, il bizzarro. Un legame organico intreccia la sua produzione, la rende inedita, viva e pulsante, potremmo dire ‘multimediale’. Colpisce in particolare il modo in cui la produzione musicale, letteraria e teatrale si interseca, animando narrazioni e scenari con inserti musicali, farcendo la produzione musicale profana di elementi paratestuali che descrivono concreti ambiti e occasioni di fruizione su cui gran parte della produzione musicale coeva è per noi assolutamente muta, gettando lampi di luce sulla nostra conoscenza della vita musicale del tempo. Talora l’opera parla della propria fruizione o messinscena in una specie di metanarrazione o di una più o meno definita teatralità. Non a caso nell’annosa questione sulla ‘rappresentatività’ della ‘commedia madrigalesca’, alla fine è Banchieri che riesce positivamente convincente.2 Ad accrescere la vivacità del quadro concorre infine la stretta relazione che negli scritti di argomento musicale unisce teoria e prassi, dove la prima è per Banchieri sostanzialmente debitrice della seconda, dove l’«abuso convertito in uso» è implicitamente considerato uno dei motori di un progresso musicale di cui Banchieri è attento osservatore e vivace recettore. L’esposizione teorica è quasi sistematicamente espressa in funzione didattica. «Non volendo in questo Organo suonarino attendere a speculazioni, ma sì bene alla pratica reale e da tutti intesa facilissimamente.» «Il novello principiante non diffidi, forse imaginandosi non essere musico perfetto senza le matematiche speculazioni.» Così nell’Organo suonarino e nella Cartella musicale Banchieri chiarisce lo stretto legame della sua opera teorica con la pratica musicale, i propri intenti divulgativi, l’autonomia della pratica rispetto alla teorizzazione astratta e il carattere non essenziale di quest’ultima nella formazione del musicista. E dove la prassi esige un’indicazione che il teorico snobba ma che l’insegnate non può omettere di comunicare, almeno oralmente, all’allievo, Banchieri si premura di accoglierla sulla propria pagina. Ci spiega ad esempio il «modo di pigliar la voce in compagnia», come simulare un «contrappunto alla mente» 2 Cfr. Marta Fahrat, ‘On the staging of madrigal comedies’, «Early music history», 10 (1991).
o come eseguire «la gorga» – con qualche scrupolo in quest’ultimo caso «essendo più tosto cosa naturale che altrimenti», vale a dire prassi diffusa nel canto popolare ‘spontaneo’, cui Banchieri non manca di prestare orecchio. Come omaggio a questo straordinario personaggio nel 450° dalla nascita, vorrei esemplificare alcune di queste caratteristiche peculiari della sua produzione illustrando una delle opere profane meno note ed eseguite, Vivezze di Flora e Primavera, cantate, recitate e concertate con cinque voci nello spinetto o chitarrone, del 1622. 3 Questa raccolta di 21 madrigali, si colloca nella tarda stagione creativa di Banchieri e non rientra nella produzione profana più nota, quella delle celeberrime ‘commedie armoniche’ a tre voci (Pazzia senile, Metamorfosi musicale, Prudenza giovanile) e dei primi libri di ‘madrigali drammatici’ a cinque voci a cappella (Zabaione musicale, Barca di Venezia per Padova, Festino del giovedì grasso). In effetti quasi quindici anni separano il Festino (1608) dalla pubblicazione delle Vivezze. In mezzo scorre molta musica sacra, trattati, commedie e un sesto libro di canzonette andato perduto (vedi oltre). Musicalmente appare evidente un aggiornamento stilistico, come i termini «recitato» e «concertato» del titolo, nonché la presenza del basso continuo lasciano bene intendere. In realtà non pochi sono i legami con la produzione precedente dal momento che almeno un terzo delle composizioni consiste in una rielaborazione di brani presi dalla Barca (3), dal Festino (1), dal Metamorfosi (1) e persino dai libri di canzonette a tre voci (2).4 Se, come abbiamo detto, la rielaborazione di materiale preesistente gioca un ruolo strategico nel complesso della produzione banchieriana, la riscrittura di opere proprie caratterizza in misura particolare la produzione di questi ultimi anni.5 Altra novità: con qualche possibile ma solo ipotetica eccezione, i testi poetici non sono di Banchieri, bensì ascrivibili al Guarini, al Marino e ad altri poeti in buona parte già noti ai madrigalisti. Da questa scelta sembra discendere un’altra differenza di rilievo rispetto alla produzione precedente, vale a dire la mancanza di una cornice narrativa o ‘drammatica’ che unifichi la raccolta. La materia poetica è comunque tematicamente piuttosto omogenea, lontana dal registro comico, popolare o 3 Di quest’opera è nota un’unica edizione (Venezia, Bartolomeo Magni, 1622) in un unico esemplare conservato alla British Library. Un’edizione moderna, non priva di errori e omissioni, venne curata da Elio Piattelli (Roma, 1971). Mi è nota un’unica, parziale incisione discografica, appesantita da un tipo di emissione vocale poco adatta a questo repertorio (Società cameristica di Lugano diretta da Edwin Loehrer, registrata nel lontano 1960). 4 Sulla traccia delle corrispondenze testuali individuo questi debiti: ‘Clori per far morire’, ‘Cuor mio perché ti parti’, ‘Voi non rubate? Ah, cruda’ dalla Barca; ‘Dolcissimo usignolo’ dal Festino; ‘Soavissimo ardore’ dallo Zabaione; il centone madrigalistico ‘Mentre il bel maggio adorno’ dal primo libro delle canzonette; ‘Piangete, occhi miei lassi’ dalla Prudenza giovenile. Impossibile valutare l’eventuale debito con l’ultimo libro di canzonette, disperso. 5 I Trattenimenti da villa (1630) sono in massima parte una riscrittura aggiornata dello Zabaione, non dissimile dalle riedizioni con aggiunta del basso continuo della Barca (1623) e della Prudenza (ora Saviezza) giovanile (1628).
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‘Non c’è limite agli interessi del monaco bolognese, al suo estro produttivo, al suo desiderio di contaminare opere, stili e generi, lingue e consuetudini sociali’
borghese, e invece di carattere pastorale o georgico, richiamando in questo il primo libro di canzonette, Ora prima di recreazione (1597) e, per quanto ci è dato di concludere dal superstite indice della raccolta, Tirsi, Fili e Clori che in verde prato di variati fiori cantano il sesto et ultimo libro delle canzonette a tre voci (1614). Queste tre raccolte condividono in effetti un concreto legame funzionale con i tempi e le ritualità stagionali (memore del tradizionale ‘cantar maggio’): tutte videro la luce in primavera, come attestano le rispettive dedicatorie datate 1 giugno, 28 maggio, 22 aprile. A unificare e caratterizzare unitariamente le Vivezze concorre però un diverso e concreto riferimento funzionale e istituzionale. Si tratta della destinazione accademica, che in questo senso accomuna l’opera piuttosto al Virtuoso ritrovo accademico del 1626. Il ruolo di Banchieri come fondatore e sodale delle prime accademie musicali bolognesi è ben noto.6 Ma mentre palese è il rapporto del Virtuoso ritrovo accademico con l’Accademia dei Filomusi, meno evidenziato è il nesso che lega organicamente Vivezze alla prima accademia, quella dei Floridi, di cui i Filomusi sono ritenuti, un po’ impropriamente, la continuazione. Nel frontespizio delle Vivezze di Flora e Primavera Banchieri si qualifica «Capo de concerti nella Florida Accademia di S. Michele in Bosco» e firma la lettera dedicatoria indirizzandola
A. Banchieri, Vivezze di Flora e Primavera, cantate, recitate e concertate con cinque voci nello spinetto o chitarrone, Venezia, Bartolomeo Magni, 1622 6 libri-parte, unico esemplare conosciuto: British Library, Music Collections K.8.d.13.
al cardinale Scipione Borghese, protettore dell’Accademia stessa. Con tutta evidenza il titolo dell’opera e il carattere di buona parte dei testi messi in musica suggellano il legame tra Vivezze di Flora e la ‘Florida Accademia’. La ricorrente metafora floreale e primaverile O bellissima Flora, produttrice feconda di nove erbette e fiori racchiude un sicuro riferimento alla formazione dei giovani discenti, in linea con le finalità espresse nel Discorso su «Academie scuole et ridotti ... di grandissima utilità e reputazione agli studiosi gioveni di buone lettere e musica» e nei Capitoli esigibili nell’Academia dei Fioriti, inseriti in apertura alla Cartella musicale (1614).7 6 Si vedano i classici contributi di Giuseppe Vecchi, ‘Una seduta dei Filomusi a Bologna e il Virtuoso ritrovo academico di A. Banchieri (1626)’, «Chigiana», 1968; ‘Le accademie musicali del primo Seicento e Monteverdi a Bologna’, Bologna 1969 e il citato volume di Inga Mai Groote. 7 Destinati ad un pubblico di giovani discenti sono altri testi a vario titolo riferibili all’Accademia dei Floridi, come il ‘Cantorino utile a novizzi [...] raccolto [...] nella Florida Accademia di S. Michele in Bosco’, pure del 1622, e la ‘Banchierina’, overo cartella picciola del canto figurato, destinata a fanciulli e principianti, con dedica siglata «dall’Accademia Florida di S. Michele in Bosco, il primo marzo 1623».
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Di notevole interesse è la presenza nella parte del basso continuo (nei brani classificati come «concertati») di didascalie che descrivono la distribuzione delle parti vocali (Tenore solo, Terzetto acuto, Ripieno, etc.), particolari condotte armoniche e contrappuntistiche (Scherzi a 2, 3, 4, Tutti in fuga, Fughe roverse, Durezze a 5, etc.), lo stile dell’intonazione del testo poetico (Recitativo), il carattere dell’accompagnamento (Arpeggiato) e così via. Queste didascalie sono sì una guida per una realizzazione del basso continuo pienamente consapevole del tessuto vocale cui l’accompagnamento si applica, ma hanno anche una funzione esemplificativa ed esplicativa della varietà delle soluzioni compositive e interpretative del testo poetico utilizzate da Banchieri. Esse ricordano con evidenza le «buone osservazioni» poste a commento delle sestine che illustrano la Moderna pratica musicale nella stessa Cartella musicale che riporta i testi istitutivi dell’Accademia. La presenza inusuale di queste didascalie può spiegarsi dunque in considerazione della natura didattica della Accademia dei Floridi e del legame tra Vivezze di Flora e le attività dell’Accademia stessa. Vero è che nei citati Capitoli esigibili nell’Accademia dei Fioriti, in comprensibile ossequio all’ambiente monastico, l’esemplificazione delle musiche eseguibili in accademia fa riferimento ad un repertorio sacro (mottetti) o comunque devozionale (madrigali spirituali «gravi») prodotto da campioni del repertorio polifonico classico come Lasso e Palestrina. Come si conciliano queste prescrizioni con una silloge di composizioni madrigalistiche su testo profano (in qualche caso amoroso, sebbene stemperato nella retorica del genere pastorale), che strizzano l’occhio alla «moderna pratica musicale»? Banchieri aveva lasciato aperto un varco, ammettendo nei Capitoli la possibilità di cantare madrigali di Monteverdi (qualificato come «soavissimo compositore moderno» ma anche «dignissimo maestro di cappella in S. Marco di Venezia») seppur nel travestimento sacro e latino di Aquilino Coppini, curatore di una silloge pubblicata nel 1607 che attinge al quinto libro monteverdiano e include, tra l’altro, una composizione dello stesso Banchieri. Monteverdi, che con evidenza costituisce in questi anni un modello per Banchieri, al momento dell’istituzione dell’Accademia viene dunque fatto ‘passare dalla finestra’. Pubblicata qualche anno dopo, Vivezze di Flora si ispira in effetti stilisticamente non al quinto, bensì al sesto libro dei madrigali del maestro cremonese. Pur nella scrittura complessiva a cinque voci, la voce solista è protagonista di diversi episodi, la ‘concertazione’ tra solista, duetti, terzetti (sostenuti da un basso continuo spesso indipendente) e ‘ripieno’ ha valore programmatico, sono frequenti ricercati abbellimenti vocali, accuratamente notati, e la ‘recitazione’ sillabica rispettosa del ritmo verbale mostra una precisa attenzione verso la ‘seconda pratica’ monteverdiana.
Nella lettera dedicatoria, Banchieri ammette il proprio «ardimento» nell’invocare la «protezione» del cardinale Borghese (mecenate e collezionista) e trova opportuno giustificare le proprie composizioni «giudicandole vaghezze et ornamento di parole oneste, morali e di civile trattenimento». Questo tono difensivo (al di là di un formulario retorico collaudato) alimenta il sospetto che qualche discrepanza potesse sussistere tra un’opera siffatta e le attività di un’accademia sorta in ambito monastico e, almeno inizialmente, impostata su parametri forse più consoni a quell’ambiente. Potremmo insomma trovarci di fronte, in nuce, ad uno dei motivi di conflitto che indussero quegli «autorevoli accidenti» che portarono in seguito alla sospensione forzata delle attività dell’Accademia nella sede monastica? Comunque sia, sappiamo che la raccolta include musiche effettivamente utilizzate per almeno due sedute accademiche. Si trattò di occasioni speciali, festive, il cui carattere di eccezionalità potrebbe aver giustificato il carattere forse poco ortodosso delle composizioni. Di fatto, accanto alla seduta ordinaria, infrasettimanale, l’accademia si riuniva talora in occasioni strardinarie, legate in particolare alla visita di personaggi di prestigio. Ecco ad esempio lo stesso Monteverdi (fatto entrare questa volta dalla porta) che il 17 gennaio del 1620 «onorò con la sua presenza in pubblico ritrovo la Florida Academia di S. Michele in Bosco, accompagnato dal signor don Girolamo Giacobbi e virtuosissima comitiva di signori musici bolognesi, dove si recitò orazione et armonizò concerti in lode» del prestigioso ospite (Lettere armoniche). Ed ecco parimenti testimoniata, Giacobbi in testa, la presenza all’interno dell’Accademia dei Floridi dei musicisti bolognesi che animeranno poi l’Accademia dei Filomusi. L’occasione legata alle Vivezze riguardò invece due importanti prelati dell’ordine olivetano in visita al monastero, rispettivamente nella primavera del 1621 e nell’autunno del 1622. In tali occasioni venne allestita, e replicata, una vera e propria rappresentazione con ‘recitanti e concertanti’ basata su una composizione poetica intitolata, guarda caso, La Flora, dovuta alle penna di Roberto Poggiolini, letterato e musicista allievo di Banchieri (ecco di nuovo il tema didattico). Sebbene l’unione di «buone lettere e musica» rientrasse nel programma costitutivo dell’Accademia, anche l’allestimento di un’azione teatrale e profana potrebbe apparire in conflitto coi precetti dell’Accademia e con l’ambiente monastico in cui essa operava. Ma così presumibilmente non fu, se la Flora potè essere replicata. In occasione delle due rappresentazioni Banchieri curò la pubblicazione di un opuscolo da offrire in omaggio ai festeggiati, sottoscrivendone la dedicatoria.
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Flora, idillio del cavaliero Roberto Poggiolini, da rappresentare con armonici concerti nella Florida Accademia di S. Michele in Bosco, in applauso d’allegrezza nel felice ritorno del molto rev. padre d. Domenico Lucchi ivi abbate meritissimo, et à s. p. molto rever. dedicato, Bologna, Bartolomeo Cochi, 1621 (dedica datata 2 maggio 1621). Flora, idillio recitato con armonici concerti nella Florida Accademia di S. Michele in Bosco nell’arrivo del p. d. Vittorio del Testa senese, abbate e procuratore olivetano, Bologna, eredi del Cochi, 1622 (dedica datata 5 ottobre 1622)
attori, due dei quali anche cantori solisti. A un preludio strumentale «inapparente» (eseguito fuori scena) fa seguito un «coro di voci in musica» che corrisponde all’Anunzio di Primavera che apre le Vivezze (su testo di Ercole Cavaletto), stabilendo così un’analogia formale tra le due opere. A seguire, PRIMAVERA, APRILE e MAGGIO entrano in scena in una sorta di prologo teatrale recitato e cantato, parte a solo, parte in un nuovo «coro» polifonico. Solo a quel punto ha inizio il testo di Poggiolini, all’interno del quale sono ora distinte tre «ariette» con schema fisso: «APRILE canta solo», «MAGGIO canta solo», «APRILE e MAGGIO cantano insieme». La seconda e la terza arietta corrispondono alle due parti di Flora nelle Vivezze.
R. Poggiolini, Flora, idillio recitato con armonici concerti nella Florida Accademia di S. Michele in Bosco nell’arrivo del p. d. Vittorio del Testa senese, abbate e procuratore olivetano, Bologna, eredi del Cochi, 1622
L’edizione del 1621 riporta il solo testo dell’idillio. Due sintetiche didascalie individuano altrettante porzioni del testo destinate all’esecuzione musicale. Con alcune varianti, esse corrispondono nelle Vivezze alla seconda parte della composizione bipartita Flora e al madrigale Fiorito Aprile, posto a chiusa della rappresentazione. Col suo indomito istinto di rielaboratore e fautore di paratesti, Banchieri arricchì la seconda edizione di un’articolazione, anche grafica, del testo, aggiungendo descrizioni sceniche, scenografiche e testi poetici di cornice.8 Si specifica la presenza di un «coro di voci musicali», un «coro di stromenti musicali» e di tre 8 Per gli aspetti teatrali cfr. M. Fahrat, On the staging …, citato.
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STORIA
La prima è probabilmente da attribuirsi a Girolamo Giacobbi che, come recita la didascalia introduttiva, affiancò Banchieri nel porre in musica la poesia dell’idillio. Al termine riecco il «coro di voci musicali» corrispondente al Fiorito Aprile delle Vivezze. La cornice è quindi ripresa e chiusa da un «Applauso musicale» in lode del festeggiato privo di elementi utili per un’attribuzione. Tuttavia, secondo le Lettere armoniche, una delle due rappresentazioni (e forse entrambe) si avvalse anche di musiche di Domenico Brunetti, che potrebbe in effetti aver posto mano alle composizioni vocali e strumentali di cornice, sulla cui paternità il ‘libretto’ tace.
A. Banchieri, Vivezze di Flora e Primavera, cantate, recitate e concertate con cinque voci nello spinetto o chitarrone, Venezia, Bartolomeo Magni, 1622; parte dell’Alto (=seconda arietta)
R. Poggiolini, Flora, idillio recitato con armonici concerti nella Florida Accademia di S. Michele in Bosco nell’arrivo del p. d. Vittorio del Testa senese, abbate e procuratore olivetano, Bologna, eredi del Cochi, 1622
L’edizione delle Vivezze si colloca dunque tra le due rappresentazioni, e certamente influì sulla rielaborazione della seconda edizione della Flora. Sarebbe tuttavia vano cercare una corrispondenza letterale tra le due opere. Secondo la più squisita poetica banchieriana, nulla si ripropone mai allo stesso modo, piegandosi alle diverse esigenze del contesto di creazione o fruizione, ovvero al semplice capriccio dell’autore. Nell’edizione musicale, ad esempio, la prima sezione di Flora presenta sì le parti soliste e il duetto corrispondenti al testo della «seconda arietta» e alle indicazioni nel ‘libretto’, ma in alternanza a un refrain a cinque voci e con l’aggiunta di un basso vocale sotto al duetto. Questo al fine di confezionare una composizione collocabile in una raccolta formalmente destinata ad un organico di cinque cantori quale le Vivezze ancora si propongono di essere. La rappresentazione della Flora fu «determinata», cioè promossa, e con tutta probabilità anche realizzata «da questi nostri giovani», come riferisce Banchieri nella dedicatoria alla prima edizione. Difficile stabilire se gli allievi eseguirono in autonomia tutte le parti musicali, sotto la guida di Banchieri quale ‘capo dei concerti’, o se ricevettero l’aiuto di musici professionisti, già chiamati in causa in veste di compositori e che abbiamo visto frequentatori dell’Accademia, almeno nelle occasioni celebrative. Una collaborazione di questo tipo potrebbe spiegare il senso di quella continuità tra l’accademia dei Floridi e l’accademia dei Filomusi a cui allude Banchieri nelle Lettere armoniche. Di fatto le due accademie furono differenti sotto molteplici aspetti. Sospese, con
rammarico di Banchieri, le attività dei Floridi intorno al 1623-1624 per gli «autorevoli accidenti» già menzionati, una nuova accademia fu organizzata in casa del Giacobbi, allora maestro di cappella di San Petronio. L’esperienza dei Floridi dovette costituire uno spunto, un precedente cittadino importante che Giacobbi valutò non dovesse andare perduto. Il ruolo e le capacità di Banchieri come creatore, promotore ed organizzatore di eventi venne riconosciuto e messo a frutto, tanto che egli venne eletto Principe della nuova congregazione. Tuttavia, trasferita in ambiente urbano, come consesso di musici affermati e in parte professionisti, l’accademia perse, in tutto o in gran parte, il carattere didattico e formativo che aveva caratterizzato la prima Accademia nel monastero di San Michele in Bosco. Ne Il principiante fanciullo, ulteriore opera didattica, apparsa nel 1625, Banchieri è qualificato «nell’Accademia de Virtuosi Musici Bolognesi il Disonante». La mancata esplicitazione del nome dell’accademia si spiega col fatto che i Floridi erano ormai sciolti, mentre l’Accademia Filomusa (in cui Banchieri assunse effettivamente il nome accademico di Dissonante) non è nominata esplicitamente essendo venuto meno il rapporto funzionale tra il contenuto di un’opera didattica e le attività della nuova accademia. E anche la musica cambiò. Nel Virtuoso ritrovo accademico, aderendo al processo monteverdiano di disgregazione del madrigale polifonico, Banchieri abbandona infine il modello a cinque voci in favore di organici vocali e strumentali che suonano come un chiaro tributo al settimo libro di madrigali di Monteverdi. Manco a dirlo quest’ultimo avrà rapporti anche con l’Accademia dei Filomusi, ma in questo caso si tratterà di una vera e propria aggregazione, honoris causa e inter pares.
ADRIANO BANCHIERI | 27
Repertorio Musica dell’anima
Ave Maria
per coro di voci bianche di Gianni Guicciardi
GIANNI GUICCIARDI
Già docente di Cultura Musicale Generale e di Percezione Musicale presso il Conservatorio L. Campiani di Mantova, ha fondato la Scuola Corale R. Goitre di Modena svolgendo un’intensa attività concertistica. Negli anni ottanta è stato direttore della Scuola Corale Puccini di Sassuolo. Continua a dedicarsi alla composizione di opere musicali per bambini e ragazzi. Collabora con la Fondazione C. G. Andreoli dell’Unione del Comuni Modenesi Area Nord con i seguenti incarichi: vocalista del coro di voci bianche Aurora, direttore del Piccolo Coro della Scuola Primaria di Mirandola (MO) e del Coro degli afasici Com’è Bello Cantar. Attualmente è anche codirettore artistico del festival per cori di voci bianche e giovanili Corinfesta e del concorso compositivo ad essa collegato (in partnership tra Fondazione Andreoli e Aerco) .
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REPERTORIO
Sentire un coro di voci bianche ben educato cantare nel contesto liturgico oggi è sempre più raro, così ho pensato di scrivere questa Ave Maria a due voci pari con estensione e caratteristiche formali particolarmente adatte a un coro di bambini/e e ragazzi/e tra i 6 e i 16 anni. L’introduzione organistica, indicata come opzionale, fornisce al coro l’intonazione su La bemolle, nota da cui prenderà le mosse il noto incipit gregoriano. Da qui il coro procederà a cappella in una prima sezione imitativa in cui riprendo, per i contralti e poi per i soprani, il tema iniziale contrappuntato dall’altra sezione con crome prettamente per grado congiunto. Segue poi il Sancta Maria Mater Dei in suddivisione ternaria in cui le due voci si muovono omoritmicamente alternando il forte al mezzopiano, riprendendo la prassi antica. Nella terza sezione si ritorna al ritmo binario fornendo uno spunto ripercussivo alla voce del soprano sulla parola nostræ giungendo al lungo melisma conclusivo su Amen. Il brano si propone come piccolo studio che possa introdurre le nuove generazioni allo studio della polifonia, con freschezza e concisione; ho insistito particolarmente, balzerà evidente, sul ruolo dello studio vocale attraverso intervalli verticali di quinta e scambi di unisoni tra le sezioni. Esso è stato inoltre già testato grazie alla disponibilità dei coristi del Coro Aurora di Mirandola (MO), di cui seguo la preparazione vocale insieme al direttore, m° Luca Buzzavi. Non mi resta altro da aggiungere se non un ringraziamento alla redazione di FarCoro per la sensibilità dimostrata e un accalorato invito a non cedere alle facili tentazioni cercando sempre nuovi stimoli per avvicinare i giovani alle meraviglie che la tradizione ci ha consegnato.
AVE MARIA Adagio q = 68
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Analisi
Ildebrando Pizzetti inizia a comporre la Messa di Requiem per sole voci a Milano, il 1 novembre del 1922, su incarico ricevuto dalla Reale Accademia Filarmonica Romana. La commissione era data in occasione dell’anniversario della nascita, 14 marzo del 1844, di re Umberto I, ucciso nel 1900 dall’anarchico Gaetano Bresci. La Messa, diretta da Alessandro Bustini, verrà eseguita il 14 marzo del 1923, a Roma al Pantheon, luogo di sepoltura del Re Umberto I, alla presenza anche del Maestro.
Un’orchestra di voci La Messa di Requiem di Pizzetti
DI NICCOLÒ PAGANINI
NICCOLÒ PAGANINI
Pronipote dell’omonimo violinista, con un curriculum di studi musicali compiuti al Conservatorio di musica A. Boito di Parma, è laureato in Lettere presso l’Università di Parma e in Musicologia all’Università di Pavia. Dirigente di una scuola secondaria di I grado, è attivo nel campo della didattica e della divulgazione musicale, e svolge un intenso lavoro artistico come direttore di coro. Responsabile artistico dell’Associazione ‘Niccolò Paganini-Parma’ e dell’Associazione culturale ‘San Benedetto’, è membro della commissione artistica dell’Associazione Emiliano Romagnola Cori, di cui ricopre il ruolo di direttore editoriale della rivista ‘FarCoro’.
Il compositore parmigiano sceglie di musicare sette testi del Requiem e li divide in cinque parti: l’antifona iniziale del Requiem unita all’invocazione penitenziale (Introito e Kyrie), la sequenza del Dies irae, l’acclamazione del Sanctus e Benedictus, Agnus Dei, e l’orazione conclusiva del Libera me. Pizzetti, quando compone, è molto attento alle parole, infatti, è dal testo che l’autore concepisce la struttura formale delle singole parti, e tutto concorre, dall’armonia alla dinamica, dalla densità sonora al ritmo, ad evidenziare il carattere espressivo e drammatico della composizione che Pizzetti vuole esaltare. Il testo del Requiem viene ripreso tale e quale dalla liturgia cattolica. La struttura del testo viene rispettata anche dalla musica: nei punti dove vi è una ripetizione testuale non è mai riproposta uguale alla prima volta ma subisce sempre una rielaborazione. Questa caratteristica di non ripetere il testo, se non per motivi drammatici, è un principio basilare del modo di comporre di Pizzetti ed è anche in sintonia anche con le indicazioni presenti nel documento Motu proprio ‘Tra le sollecitudini’. Un testo ben conosciuto senza dubbio sia da Pizzetti che dal suo maestro Giovanni Tebaldini. Gli accenti delle parole sono generalmente rispettati e questo determina una chiarezza e intellegibilità del testo; la regola viene infranta, anche in questo caso, solo per seguire il principio dell’espressività come nei versi iniziali del Requiem. L’uso dei gruppi irregolari, delle legature di valore a cavallo di battuta, i cambi di tempo e gli inizi di frase spesso in anacrusi hanno lo scopo espressivo di ILDEBRANDO PIZZETTI | 31
e “Rex tremedae”
f “Recordare”
g “Quaerens me” spezzare la rigidità del sistema metrico per renderlo più aderente al parlato e allo stile del ‘Il linguaggio e’ “Juste judex” canto gregoriano. musicale di d’ “Ingemisco” Per rispettare l’intellegibilità e la chiarezza del testo, il canto è soprattutto sillabico, con Pizzetti si grande attenzione alla ametrica della parola e il tactus è generalmente alla semiminima. A’ “Qui Mariam” I melismi in prevalenza sono caratterizzati da due crome e svolgono una funzione articola tra b’ “Inter oves” prettamente espressiva e per generare un movimento ascensionale motivato dal testo a’ “Oro supplex” modalità e che parla di luce e di cielo come metafore di Dio e di salvezza, come per esempio in ‘Et lux perpetua’ dell’Introito o nel ‘Pleni sunt coeli’ del Sanctus. L’unico brano melismatico è, a” “Lacrimosa” tonalità, tra rispettando la tradizione, il Kyrie. Qui il melisma assume un diverso significato rispetto agli Close “Pie Jesu” monodia e esempi precedenti perché ha un carattere meditativo, intimo e di contrizione. Il tactus si polifonia, tra allarga alla minima solo, come di consuetudine, in cadenza o in alcuni punti dove l’autore In addition to its unifying function within movements, the use of returning material also plays a structural dilatare il tempo per esprimere profondo o devozione e umiltà come nel role invuole the overall design of Messa di Requiem. The last dolore movement, though not exact, reprises materialeterofonia e ‘Quid sum miser’ del Dies irae o nel Benedictus. from the first movement: the alto voice in Libera me echoes the opening “Requiem” chant-like bass omofonia, tra Pizzetti concepisce questi brani cercando di dare una propria interpretativa melody; the alto does so by outlining the skeleton of the bass chantsottolineatura with less ornamentation: the first bass phrase F and returns as the alto una does;organicità the secondal bass rises toalle G and returnscontrappunto precisa,rises ma to allo stesso cercatodiD,dare anche tuttophrase utilizzando volte to D,gli as stessi the alto again does; and the bass phrase A before an octave elementi motivici, sialast all’interno dei circles singoliaround brani come nel descending Dies irae, dove la to omoritmia’ A, which the alto inverts by rising to close on A (rehearsals 69 and A). Pizzetti embeds the simplified testa del tema è ripresa più volte, sia tra brani diversi come nel caso del motivo iniziale alto part within a dove five-part texture, resulting inlaa sense of return that remainssono subtle rather than dell’Introito le note caratterizzanti melodia che nell’esempio indicate dalle overt (Example 5). frecce vengono utilizzate per il tema del Libera me. Example 5a: Messa di Requiem Introit, m. 1-5, bass voice
Messa di Requiem, Requiem bb. 1-6 Example 5b: Messa di Requiem Libera me, rehearsals 68-69, alto voice
Messa di Requiem, Libera me, bb. 1-8
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Pizzetti cerca di creare una struttura organica e chiusa attraverso l’uso della stessa melodia gregoriana, opportunamente adeguata al testo liturgico, sia per l’inizio come il Requiem sia per la fine come nel Libera me. La riproposizione del tema non è però posta in primo piano: se nel Requiem è la monodia iniziale cantata dai bassi II, nel Libera me essa è cantata dai contralti, accompagnata dalle voci inferiori in omoritmia con una sorta di declamato e la voce del soprano che invece propone un controcanto dagli accenti quasi lirici. Un elemento presente in più punti della Messa è il movimento di semitono ascendente (re-mib). Esso caratterizza i momenti in cui il testo vede come protagonista l’uomo, evidenziandone il forte senso di pietà e compassione, come nel tema del Kyrie e del Christe, bb. 40-73, e in Dies irae, nel ‘Quid sum miser’, bb. 51-60, nell’ ‘Ingemisco’, bb. 109124, e nel vocalizzo che accompagna le parole ‘Oro supplex et acclinis’.
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ANALISI
e
Messa di Requiem: Dies irae, bb. 160-164
Lo stesso intervallo è presente infine nel finale Libera me sul ‘Tremens factus sum’. Il linguaggio musicale di Pizzetti si articola tra modalità e tonalità, tra monodia e polifonia, tra eterofonia e omofonia, tra contrappunto e omoritmia. L’impiego dei modi antichi gregoriani, non segue un’assimilazione pedissequa, essi sono piuttosto rigenerati e innestati in un contesto di una personale e originale armonia. Tutta la prima parte si muove tra le diverse forme scalari con la finalis re: il re dorico, re frigio e re maggiore, re minore naturale e solo nelle ultime battute il re maggiore sembra prevalere, poi confermato dalla cadenza. Nell’esempio tratto dal Requiem-Kyrie viene utilizzata la scala di re maggiore sulle parole ‘luceat eis’, ma sul ‘te decet’, si passa al re minore naturale, che si caratterizza dalla presenza sistematica del do naturale e l’uso del si♭nei movimenti discendenti, come a batt. 4-5.
Messa di Requiem: Requiem-Kyrie, bb. 11-14.
La cadenza del Requiem si articola come una cadenza autentica in re maggiore, ma l’aggiunta di due bemolli in chiave subito dopo indica che il Kyrie seguente invece usa il modo frigio sul re.
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Messa di Requiem: Requiem-Kyrie, bb. 36-43.
Nella prossima tabella elenco le scale modali presenti nella Messa di Requiem.
MODO
BRANO
TESTO
BATTUTE
RE dorico
Requiem- Kyrie
Agnus Dei Libera me
Requiem Dies irae Per sepulcra Liber scriptus Qui Maria Agnus Dei I Libera me Dum veneris
1-5 1-19 22-27 35-51 124-171 1-5 1-13 31-36, 55-60
Requiem- Kyrie
Kyrie
Dies irae
RE frigio
delle possibilità offerte dalla tonalità armonica (scala maggiore, minore naturale e armonica). Oltre ai modi antichi, Pizzetti utilizza, per l’articolazione del profilo melodico, figurazioni melodiche che possono essere ricondotte a quelle di alcuni neumi. A parte il Dies irae dove impiega quasi interamente la melodia gregoriana, negli altri brani si possono individuare i movimenti melodici corrispondenti ai principali neumi dell’antica notazione. NEUMI PRESENTI NELLA MESSA DI REQUIEM
PES o PODATUS
CLIVIS
Libera me
40-56,59-60, 65-73 Christe 57-58 Tremens factus 14-19
RE misolidio
Requiem- Kyrie
Christe
61-64
SCANDICUS
FA lidio
Sanctus
Benedictus
45-50
LA frigio
Libera me
Dies illa
24-30
TORCULUS
CLIMACUS
TORCULUS RESUPINUS
CLIMACUS RESUPINUS
Come possiamo constatare l’uso della modalità è considerevole. Attraverso un impiego molto personale Pizzetti organizza lo spazio sonoro tessendo una tela in cui echi dell’antica modalità, tonalità, cromatismo e dissonanze convivono, dando vita ad un linguaggio che si apre alla modernità. La sonorità di RE è il punto focale che costruisce il perno intorno al quale le diverse possibilità di organizzazione sonora della Messa si coagulano, talvolta alludendo (con le opportune trasposizioni) alle scale della modalità gregoriana, talaltra esprimendo l’intero ventaglio
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ANALISI
PES SUBPUNCTIS
SCANDICUS FLEXUS
Per Pizzetti ritornare al passato è un voler riprendere stilemi a lui significativi per dargli nuova vita innestandoli nella musica del primo Novecento. Nella Messa Pizzetti mostra forti analogie con alcune scelte di autori come Bloch, Dukas, Magnard, Debussy e Ravel. Infatti, in più
occasioni si presentano situazioni ambigue tra modalità e tonalità, l’uso del declamato, accordi senza la terza, dissonanze di seconda che non risolvono, accordi di settima maggiore o terzi rivolti di settima di dominante, utilizzati solo ed esclusivamente in senso espressivo. Pizzetti oltre ad utilizzare modi e figure ritmiche del canto gregoriano impiega anche materiale motivico originale ripreso dal repertorio del Liber usualis. Come nel Kyrie dove la testa del tema ha notevoli analogie con il Kyrie XI da Missa Orbis. Il Dies irae addirittura viene composto come nella pratica antica del cantus firmus: la melodia gregoriana tratta dalla Missa pro defunctis contenuta nel Liber Usualis è quasi interamente cantata dal basso e dal contralto a distanza di ottava utilizzando gli stessi passi e ritmi corrispondenti. La melodia diventa lo spunto per l’elaborazione contrappuntistica per l’intero brano. L’originale gregoriano si articola in tre distinte intonazioni che Pizzetti rispetta fedelmente nelle prime tre strofe. Nel processo della trascrizione della melodia gregoriana in notazione moderna le sillabe su un neuma vengono trascritte come semiminime; quelle che ne hanno due diventano crome e quelle che ne hanno tre diventano terzine, anche se nel caso riportato Pizzetti fa una variazione in quanto riporta tre la, cosa che non risulta nella quadrata perché il porrectus ha solo le note si-sol-la.
Esempio tratto da Liber Usualis, pag. 1183
Messa di Requiem: Dies irae, bb. 1-5
Esempio tratto da Liber Usualis, p. 1183
Messa di Requiem: Dies irae, bb. 19-20
Il tenor del Dies irae gregoriano è trascritto identico fino a battuta 51, su ‘Quid sum miser’, momento in cui compare la melodia gregoriana ma in un altro ambito tonale. Da quel punto è solo la testa del tema che diventa tenor e caratterizza tutto il resto del brano. Altri casi in cui il compositore dimostra di ispirarsi piuttosto fedelmente alla melodia gregoriana includono, sempre nel Dies irae, il motivo iniziale del melisma nella voce dei soprani II e dei tenori II che è identico all’incipit del Kyrie della Missa pro defunctis contenuta nel Liber usualis.
Esempio tratto da Liber Usualis, p. 1166. ILDEBRANDO PIZZETTI | 35
Ildebrando Pizzetti
Oltre al canto gregoriano, alla musica rinascimentale romana e veneziana, a Verdi, alla musica tardo romantica e alla scuola francese contemporanea, i modelli compositivi di riferimento sono anche alcuni autori tedeschi dell’Ottocento e in particolare Robert Schumann, come si può constatare nel Sanctus. Il brano, infatti, presenta notevoli analogie con il Sanctus tratto dal Requiem per coro e orchestra, op. 148, del 1852, di Robert Schumann. Non è da escludere l’ipotesi che nel comporre il brano Pizzetti abbia voluto riprendere l’importante prova della tarda stagione schumanniana. Infatti, al contrario di Casella e Malipiero, egli fondava la sua concezione compositiva su un ideale estetico di continuità e coerenza, non era animato dal desiderio di segnare una discontinuità stilistica con l’Ottocento, con Schumann, Brahms e Grieg in particolare, soprattutto nel campo dell’armonia.
orationem meam’, inserito in un contesto sonoro molto differente: tra un crescendo di densità, da tre a 5 voci a canone, e di dinamica tra il mp di ‘Te decet’ e il mf di ‘et tibi reddetur’ e il pp con tre voci, soprano tenore e basso I, in ‘ad te omnis’ (bb. 23-25). Altri momenti importanti sono il mf di tutte e cinque le voci in ‘et lux perpetua’ (bb. 9-11 e bb. 35-37) e quello del primo ‘Kyrie’, frutto di un percorso in crescendo sia di densità che di dinamica (bb. 40-55). La scelta drammatica di fondo è quella di sottolineare il senso di dolore e smarrimento dell’umanità che invoca pietà al suo Dio. Alle volte Pizzetti indica, nelle stesse battute, due strati dinamici diversi per portare in primo piano la voce mentre le altre sono quasi di accompagnamento. Questo succede ad esempio nel ‘Christe’ (batt. 55-64) dove i tenori, tra l’altro spinti verso l’acuto, sembrano essere da soli, con i bassi in pp. Tra gli altri brani del Requiem, è il Dies irae quello, anche secondo la tradizione, in cui le escursioni dinamiche e l’impiego della ricchezza di densità sono le più accentuate. Questi elementi sono impiegati da Pizzetti in funzione drammatica per descrivere e rendere meglio i vari piani drammatici presenti nel testo. La varietà di dinamica è caratterizzata dall’iniziale p cupo, al mf del ‘Tuba mirum’, dal p dolente del ‘Quid sum miser’, al p dolce del ‘Recordare’ e al piano stanco del ‘Quaerens me’. Sostanzialmente il Dies irae è di colore piano, con
Agogica, dinamica e densità Sonora Pizzetti compone una tavolozza ‘orchestrale’ con il solo apporto dei diversi timbri vocali, rendendo pieni e vuoti con l’impiego di un maggiore o minore numero di parti. I ruoli delle voci all’occorrenza svolgono funzioni di sostegno, accompagnamento, armonizzazione, completamento di ritmi e controcanto. L’utilizzo dell’agogica e della dinamica è estremamente preciso e i termini si avvicinano di più al genere del dramma in musica. Pizzetti impiega la dinamica e la densità per creare precise architetture nello spazio sonoro e questo determina una varietà di rapporti di luce e ombra, di vicino e lontano, di calma e di tensione. Nel Requiem-Kyrie il colore predominante è il piano, il picco è espresso sul f molto espressivo del contralto solo sulle parole ‘Ex audi
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ANALISI
Messa di Requiem: Sanctus, bb. 1-6.
un’armonia a sole due voci, come se fosse un bicinium; dal ‘Quid sum miser’ le voci aumentano e si arriva infatti al forte nel ‘Rex tremendae’, quando si parla di Dio, come nel più mosso del ‘Juste Judex’, oppure nell’uso della figura
retorica dell’exclamatio, ‘Oh’ dei soprani I e dei bassi II a battuta 169 e nella ‘Oh’ dei soprani I e dei tenori I a battuta 177 e nel successivo ‘Huic ergo’, per evidenziare il timore dell’uomo in attesa del giudizio. Un ulteriore contrasto, fortemente drammatico, è il finale con il pp dolce del ‘Pie Jesu’ a otto parti. Questi cambi di scena drammaturgici, sono assecondati anche da un uso preciso del piano armonico. Il successivo Sanctus con il coro suddiviso in 12 voci apre con un mp chiaro e spazioso. L’umanità intera si rivolge a Dio, Salvatore del mondo. È un brano che si discosta parecchio dagli altri per la sua carica espressiva, qui si raggiunge l’unico ff della Messa. Il Sanctus è un’imponente composizione per tre cori a quattro voci ciascuno: uno femminile e due maschili. Questa strutturazione dell’impianto corale è certamente una voluta e diversa soluzione spaziale ma costituisce soprattutto un nuovo atteggiamento concettuale nell’uso delle masse corali. Le otto voci del Dies irae non erano distribuite in cori differenti, ma facevano parte di una sola formazione corale, orchestrata da una grande e diversa ricchezza d’impasti e volumi dei registri vocali. La supremazia delle voci maschili, nei due cori
‘Per Pizzetti ritornare al passato è un voler riprendere stilemi a lui significativi per dargli nuova vita innestandoli nella musica del primo Novecento’
Messa di Requiem: Sanctus, bb. 25-32
medio-gravi, rispetto alle voci femminili, nel coro acuto, nel caso di Sanctus, richiama una caratteristica presente in altri brani pizzettiani, ripresa dai mottetti a più cori della scuola romana e veneziana. Ildebrando Pizzetti esprime in questo modo una ripresa moderna ma ancorata alla tradizione della grande stagione policorale tardo-rinascimentale veneziana. All’inizio ogni coro, in mezzopiano, procede omoritmicamente, e tutti e tre si rispondono alternativamente. Nel ‘Pleni sunt coeli’, levare di battuta 14, con indicazione di Più mosso, non molto, in mp, vi è una grande leggerezza nell’andamento sia tematico che imitativo, finché si arriva alla massima potenza sonora, unico fortissimo della composizione: un grandioso e suggestivo ‘Hosanna’, dove l’omoritmia diventa comune a tutte le 12 voci. In questo punto ILDEBRANDO PIZZETTI | 37
Messa di Requiem: Sanctus, bb. 37-40.
l’atmosfera è caratterizzata da un gusto tardo-romantico del comporre di Liszt o Dvorák, dove coesistono armonie di un colore modaleggiante e l’uso di accordi dissonnanti e collegamenti a gradi alterati. Da qui un altro cambio di massa sonora: inizia il ‘Benedictus’, sul battere di battuta 37, sul p, con indicazione più mosso e leggero, in uno. Vi è un notevole alleggerimento sonoro, uso tipico anche di Palestrina, Da Victoria, Josquin, Festa e Lasso. Dalla battuta 57 si presenta il tema del ‘Benedictus’, intonato in perfetta omoritmia da un coro inedito, costruito da soprani I, contralti I e II del primo coro e bassi I e II del terzo coro, quasi con un gusto da canzona rinascimentale. L’acclamazione seguente viene rivestita da un blocco armonico ancora più ricco: vi è un lento e progressivo crescendo di massa sonora e di intensità che porta al finale ‘Hosanna’ sempre sul ff a 12 voci in omoritmia. Altri momenti caratterizzati da una forte carica espressiva sono il Calmo e dolce dell’Agnus Dei scritto a 4 voci miste che segue l’‘Hosanna’. Nel breve Agnus Dei, solo 29 battute, la semplicità delle linee melodiche e la loro estrema raffinatezza, espresse attraverso un andamento calmo e dolce, e una massa sonora alleggerita, soltanto una metà del coro a quattro sezioni miste, fanno di questo quarto brano un momento di pacata meditazione e pace spirituale. In questo brano dopo l’esplosione del colore e del suono del Sanctus abbiamo un episodio d’intenso
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ANALISI
intimismo espressivo. L’uomo si rivolge ancora una volta a Dio con la triplice invocazione di perdono. Dalle dodici voci del Sanctus, per esprimere la grandiosità e la potenza di Dio, alle quattro dell’Agnus, per ricordare quanto è piccolo l’uomo peccatore di fronte al suo Dio. È il Requiem della misericordia ed ancora una volta la sensibilità di Pizzetti lo sottolinea attraverso un uso consapevole del testo e del colore vocale. Sull’invocazione conclusiva ‘Dona eis requiem sempiternam’ (bb. 20-29), le tre voci inferiori, grazie ad una serie di accordi paralleli, creano un andamento omoritmico che ha lo scopo di sostenere l’ingresso della voce superiore: è una linea melodica caratteristica di Pizzetti, quindi non di gusto teatrale nel suo iterarsi sulle medesime note, ma carica di tenerezza e dolcezza. È interessante notare come, al termine della terza citazione del tema (b. 19), la legatura delle note conclusive con la pausa, che sta ad indicare la tenuta del suono sino alla sua completa rarefazione, costituisca una tipologia di scrittura concettualmente assai moderna. Al pacifico e intimo Agnus Dei segue il Con fervore profondo del Libera me a 5 voci. Il Libera me costituito da 55 battute, in tempo 4/4, nelle battute d’inizio sulle parole ‘Libera me, Domine, de morte aeterna’ sprofonda in un’atmosfera intima e serena. Il Maestro ha voluto dare all’episodio conclusivo del lavoro un carattere di serena aspettazione, di fiduciosa speranza. La sua pagina corale è tutta un’ascesa verso una luminosa meta, tutto fervore mistico nel quale non il terrore della morte ma l’aspirazione alla beatitudine della vita eterna domina ogni altro sentimento. Le linee melodiche sono rese ricche e morbide dal ricorrente disegno a terzine che alleggeriscono le frequenti omoritmie di alcune voci. La formazione corale è la stessa del Requiem iniziale: bassi I e II, tenori, contralti e soprani. Il rapporto tra le varie e diversificate sezioni che caratterizzano il Libera me ha molte analogie con l’equilibrio che Verdi aveva conseguito nel suo Requiem, tra l’austerità della dottrina e la tensione dei sentimenti umani ed individuali. Il brano è costruito su contrappunto molto libero, mentre i raccordi armonici sono particolarmente rigorosi. Inizia in pp sul testo responsoriale ‘Libera me, Domine, de morte aeterna’ (batt. 1-6) con una sillabazione molto scandita, quasi un declamato, in un andamento ritmico irregolare e con una serie di armonie prive della terza sugli accordi di tonica e di dominante cantate solo dalle quattro voci inferiori, sulla quale si erge il salmodiare del soprano che ricorda quello ascoltato nel precedente Agnus Dei e fa ricordare il punto della Trenodia di Fedra nella quale la voce di Etra emerge sullo sfondo monocromo delle altre voci. Il ‘Requiem aeternam’ (bb. 36-47) fa tornare alla mente, con il suo pacato e statico andamento armonico, la pacifica e luminosa conclusione del Dies irae. Al termine
dell’invocazione alla luce eterna, al conclusivo ‘Libera me’ (bb. 48-60) le armonie caratterizzate dalle quinte vuote dell’inizio acquistano un diverso significato rispetto a prima e richiamano una spiritualità piena della fiduciosa speranza della vita eterna. Nel finale si ripete identica la sezione iniziale del movimento, dove la ripresa ha una sonorità pp e va eseguita, come indica l’autore, ‘Più lento che in principio, assai più lento e più piano’, rendendo così il finale ancora più raccolto ed esprimendo in modo chiaro la conclusione di un percorso musicale e psicologico. Il brano riprende il tema iniziale alla fine in ppp, addirittura nel manoscritto vi è un’ultima battuta di pausa, però cancellata, a significare il valore dato al silenzio, concetto che esprime ancora una volta la modernità del linguaggio pizzettiano. Un altro esempio di questo tipo è la legatura che finisce in una pausa, che da il senso del suono che svanisce progressivamente nel silenzio. L’unico ff della Messa lo si ha solo nell’‘Hosanna’ che caricato dalla potenza dell’intero coro a 12 voci evidenzia il punto climax della composizione. Se prendiamo in considerazione anche l’ultimo forte che si presenta sulle parole ‘Dum veneris judicare’ del Libera me, è possibile affermare che il forte o il fortissimo vengono usati solo ed esclusivamente quando vi è un’invocazione al Dio della misericordia. A differenza di quando si descrive il ‘Rex tremendae majestatis’ in cui l’indicazione è forte ma decisamente alleggerito di densità in quanto il coro è a sei voci ma in antifonia. La carica espressiva è evidentemente meno intensa rispetto all’‘Hosanna’ del Sanctus. A conferma della tesi che Pizzetti vuole sottolineare soprattutto la misericordia e la pietà nei confronti dell’umanità è quando il testo descrive i condannati come ad esempio nel ‘Confutatis’: la scelta del piano dolce e delle voci a canone che convergono sul ‘Voca me’ è una chiara ed evidente scelta drammatica. Interessante notare che tutti i brani terminano con una pausa tranne il Libera me, anche se nel manoscritto vi è scritta una battuta di pausa finale ma in seguito cancellata. Terminare con il silenzio non vuole rappresentare certo una banale assenza di suono ma sicuramente funge da momento di raccoglimento e di contemplazione.
Ildebrando Pizzetti
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Commento Per il secondo anno consecutivo ho accolto il gradito invito di Luca Buzzavi a presenziare alla bella rassegna dedicata ai Cori Giovanili e Scolastici ‘Corinfesta’, promossa da AERCO e dalla Scuola ‘C.G.Andreoli’ di Mirandola e giunta quest’anno alla settima edizione.
Rassegna di cori giovanili e scolastici Corinfesta DI DANIELE VENTURI
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COMMENTO
Arrivato a Mirandola con largo anticipo, ho avuto la possibilità di visitare la nuova struttura scolastica antisismica, pensata e realizzata dopo il terremoto che nel 2012 ha colpito la nostra Emilia. L’edificio che contiene la Scuola ‘C.G.Andreoli’, è da considerarsi un vero e proprio gioiello nel suo genere, con sale insonorizzate, strumenti ben conservati, biblioteca musicale annessa e un ampio spazio comune. All’interno di quest’ultimo si è svolta la merenda pomeridiana, preparata, con cura ed amore, dai genitori dei giovani coristi e studenti. In questo momento conviviale si è ‘respirato’ un clima familiare di grande serenità, socialità, comunione e amore fraterno. Passeggiando attraverso il lungo corridoio della scuola ho osservato una persona che stava fissando al muro stupende foto in bianco e nero, dalle tinte vagamente felliniane. All’interno di ciascuna di queste foto si coglievano sprazzi di vita scolastica e s’immortalavano emozioni e sentimenti, che da esse parevano, realmente, prendere vita. Veniamo ora al concerto tenutosi nella multisala ‘Rita Levi Montalcini’ situata un poco fuori dal centro di Mirandola. La struttura dalla forma assai originale, non essendo nata per la musica, abbisognerebbe di un intervento atto a migliorarne la propagazione acustica del suono. L’inserimento alle spalle del palco di una camera acustica in legno, in particolare in abete, potrebbe contribuire a migliorare, notevolmente, l’acustica stessa ed il conseguente ascolto, al momento, assai penalizzato; in particolare nelle zone laterali.
Durante la serata, presentata, con brio e simpatia, da Silvia Biasini, si sono succedute quattro compagini corali giovanili impegnate in repertori assai variegati e coinvolgenti. Ha aperto la serata il ‘Piccolo Coro della Scuola Dante Alighieri’ di Mirandola, diretto, con gesto semplice, sintetico ed efficace, da Gianni Guicciardi, che ha affrontato quattro composizioni corali impegnative, scritte con gusto dal direttore stesso e tratte dal progetto scenico musicale ‘Avventura’ su testi di E. Razzaboni. All’interno di queste composizioni riecheggiava, vagamente, il carattere teatrale di ‘Wir Bauen Eine Stadt’ opera del 1930 di P. Hindemith (1895-1963). Buoni l’assieme generale e la vocalità del gruppo, mentre migliorabili, l’intonazione e l’espressività. Nel complesso il suono, che definirei ‘in bianco e nero’, è risultato assai curato anche nel registro acuto delle voci, vero e proprio ‘tallone d’Achille’ delle compagini giovanili. Assai convincente la vocalità anche nella fascia grave del registro vocale, nella quale il suono del ‘Piccolo Coro’ è risultato compatto e ricco di armoniche. I cantori hanno dimostrato così di aver assorbito la lezione di Guicciardi, il quale ha richiesto ai propri giovani coristi una notevole intensità e tenuta del suono, utili a rafforzare la scrittura musicale che definirei madrigalistica, pur con un linguaggio assai aderente alla musica leggera italiana.
Unica nota dolente l’utilizzo delle basi sonore preregistrate, che seppur comode, hanno penalizzato, un poco, la libertà interpretativa del direttore e dei coristi stessi. Si è quindi esibito il coro di voci bianche ‘Aurora’ diretto con piglio e personalità da Luca Buzzavi e accompagnato al pianoforte, con gusto e professionalità, da Velislava Stefanova. La compagine corale è stato impegnata in un repertorio assai complesso, in cui spiccavano ‘Cuckoo!’ di B. Britten (1913-1976) e ‘Gruss’ di F. Mendelssohn (1809-1847), oltre all’impegnativo ‘Festive Sanctus’ di A. Bernardelli (1964), brano vincitore del Primo premio alla prima edizione (2017) del Concorso internazionale di Composizione per voci bianche ‘Corinfesta’. Con la scelta di questo complesso ed interessante programma il direttore non ha avuto timore a ‘mettere a nudo’ i pregi e i difetti del proprio gruppo, il quale ha dimostrato una buona compattezza vocale, nonostante da parte di alcuni elementi si riscontrassero alcune difficoltà nella proiezione e nella tenuta del suono, causate dall’imminente muta della voce. Resta comunque assai apprezzabile la scelta di Buzzavi di spingersi su composizioni di musica d’arte, in un panorama corale, che sempre di più vede l’affermarsi di ‘musichette di facile ascolto’ e, nella maggior parte dei casi, non di grande valore artistico. Un CORINFESTA | 41
consiglio che mi sento di dare al direttore è quello di provare una disposizione più distanziata dei singoli coristi, la quale può contribuire a far diminuire gli inevitabili battimenti del suono, causati dalla diversità timbrica delle voci, assai frequente, quando si hanno cantori di varie età. La microfonazione delle voci, peraltro fatta con professionalità, mediante quattro microfoni ambientali posti alle spalle del coro, come nella maggior parte dei casi, ha acuito qualsiasi minima imperfezione del coro. Anche il suono del pianoforte ripreso con due microfoni ravvicinati e riprodotto su due diffusori posti ai lati del palco, è risultato un poco falsato timbricamente. Tale scelta è comunque giustificabile dall’esigenza, da parte del direttore, di avere un giusto sostegno strumentale, indispensabile nell’affrontare, con un coro giovanile, una letteratura corale di grande pregio. Di notevole impatto anche il supporto della nuova sezione del Coro Aurora dedicata alle ‘Mani bianche’, il gruppo ‘ManIncanto’ diretto da Tamara Proietti e Donata Campagnoli, che segnando con le mani la musica, ci ha ricordato che, si può dare ‘voce’, tramite la ‘poesia’ del movimento, anche a chi si esprime, maggiormente, con la ‘voce interiore’; rispetto a quella fisica prodotta mediante le corde vocali. Si è quindi esibito il coro dell’I.C. Correggio 2 diretto da Daniela Managoli, che ha affrontato con slancio ed energia alcuni brani tratti dalla fiaba teatral-musicale ‘I capelli del diavolo’ di A.Basevi (1957), scritti con gusto e spiccato umorismo dal compositore genovese. L’assieme delle voci nel complesso non è stato impeccabile, anche se in generale sono risultati molto apprezzabili sia l’intonazione del gruppo, che l’interpretazione dei singoli brani, dimostrando così l’efficacia del lavoro didattico svolto dalla direttrice stessa. La vocalità del coro seppur migliorabile, nel complesso è risultata buona, vista anche l’eterogeneità delle voci, guidate con mano ferma dalla Managoli. Anche in questo caso le basi musicali pre-registrate, seppur realizzate con buon gusto, hanno costretto la direttrice ad un eccessivo logorio, penalizzando l’esecuzione musicale, senza arricchire ulteriormente la timbrica del coro stesso. Assai simpatico e spigliato il ragazzo che ha svolto il ruolo di recitante, che, pur dovendo praticare un poco la dizione, ha dimostrato di avere buone doti, riprendendosi con destrezza anche nei momenti in cui ha avuto qualche defiance, quest’ultime spesso indotte da applausi del pubblico in momenti poco opportuni allo svolgersi della continuità teatrale. Infine ha chiuso la serata il coro scolastico ‘Don Dossetti’ di Cavriago (RE), guidato con decisione e musicalità da Ilaria Cavalca e accompagnato al pianoforte con misura e
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COMMENTO
gusto da Nicole Costoli. Il repertorio presentato dal coro è stato assai interessante. Si sono alternati brani di autori contemporanei italiani, A. Basevi e G. Coppotelli (1961), a brani popolari della tradizione ebraica, veneta e finlandese. Il percorso musicale ben strutturato ha raggiunto momenti di notevole poesia; ed anche la vocalità del coro, nel complesso, è risultata convincente. Ancora un po’ di lavoro c’è da svolgere per migliorare l’assieme generale e l’intonazione del coro, che risentiva di qualche battimento del suono, soprattutto tra le voci vicine. Anche in questo caso una disposizione più distanziata dei coristi avrebbe potuto attenuare questa problematica comune alla maggioranza dei cori, in particolare di quelli a voci pari. Il concerto si è quindi concluso con l’esecuzione a cori uniti del brano ‘Giro giro’ di G. Guicciardi, su testo di E.Razzaboni, diretto da Luca Buzzavi, in cui l’aspetto dell’impatto sonoro ed emotivo ha preso il sopravvento rispetto a quello prettamente musicale. Ritorno da questa VII edizione di ‘Corinfesta’ notevolmente arricchito nell’anima, grazie al prezioso ed instancabile lavoro di questi bravi educatori. Si può affermare che quest’ultimi stiano gettando le basi, tramite l’insegnamento della grande disciplina corale, non solamente per futuri buoni cantori, ma soprattutto, per ottimi individui di domani. Infine desidero fare, a nome mio e di AERCO, un particolare ringraziamento al Direttore della Scuola ‘C.G.Andreoli’ Mirco Besutti vera e propria ‘anima’ di una realtà, che, grazie al suo incessante impegno e lavoro, è divenuta un ‘fiore all’occhiello’, non solamente per l’Emilia Romagna.
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Coro ‘Gerberto’ di Bobbio primo premio al concorso ‘Suoni di Mosca’ DI NADIA PLUCANI
Il coro Gerberto di Bobbio è riuscito nell’impresa: primo posto al concorso ‘Suoni di Musica’ di Mosca nella categoria ‘Folklore e canti popolari’, sbaragliando le altre 50 formazioni partecipanti nella medesima categoria. Il Gran Prix, così è la denominazione del premio che il ‘Gerberto’ si è portato a casa, è stato consegnato martedì pomeriggio 1 maggio nella cattedrale di Cristo Salvatore di Mosca al direttore Edoardo Mazzoni dalle mani del presidente della giuria, composta di cinque esperti Maestri. E’ stato un momento riservato ai direttori dei cori partecipanti mentre nei componenti del coro, e degli accompagnatori, cresceva la curiosità di conoscere il
piazzamento. In tutti la certezza di aver dato il massimo e di essere stati apprezzati sia dal pubblico sia dalla giuria che al termine dell’esecuzione dei brani non ha risparmiato scroscianti applausi per il ‘Gerberto’, unico coro italiano a partecipare al concorso nella categoria ‘Folklore e canti popolari’. Una consapevolezza che è stata appagata con il primo posto. ‘A margine della premiazione – ci ha spiegato il maestro Mazzoni – il presidente di giuria mi ha riferito che gli è piaciuto il canto popolare italiano, un genere che non aveva ancora sentito, e che ha capito che il ‘Gerberto’ era da premiare martedì quando, al Conservatorio
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‘Tchaikovsky’ si è esibito davanti al pubblico, per l’ultima volta: oltre alla precisione del canto, abbiamo trasmesso anche emozioni al pubblico che ci ha ripagato con un forte e lungo applauso ed un boato di apprezzamento. Questo gli ha fatto capire definitivamente che il ‘Gerberto’ doveva essere premiato con il primo posto’. Grande soddisfazione quindi per il maestro Mazzoni: ‘Sono davvero contento, per me e per tutto il coro, che si è preparato a lungo per questa impegnativa trasferta’. Sorrisi e commozione in hotel all’annuncio del premio a tutto il gruppo che ha festeggiato con un brindisi e la foto con il trofeo guadagnato.
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Coro ‘Le Allegre Note’ primo premio al Concorso internazionale di Pesaro
DI BIAGIO BELMONTE Importante affermazione per la nuova formazione del coro a voci bianche LE ALLEGRE NOTE di Riccione. Dopo un lungo periodo di studio e integrazione dei nuovi piccoli coristi (molti di 8 e 9 anni) il coro ha intrapreso da ottobre un’intensa attività concertistica ed ha collaborato anche con le masterclass di AERCO dei Maestri Miskinis e Astulez. Il culmine di questo anno accademico però è stato raggiunto a fine aprile quando il coro ha partecipato al Concorso Internazionale Musicale di Pesaro (C.I.M.P. 2018) nella categoria ‘school prize’. Il programma presentato conteneva brani di autori contemporanei ( Naisso, Ugalde, Miskinis, Antognini, Da Rold, Brucknor) spaziando dalla musica sacra alle danze
tribali. Il coro è diretto da Fabio Pecci e per l’occasione si è avvalso della collaborazione pianistica di Ilaria Cavalca. La Commissione internazionale ha premiato il coro con un inaspettato quanto gradito primo premio assoluto con il massimo dei voti e l’assegnazione di una cospicua borsa di studio, assegnata sul palco del fantastico Teatro intitolato a Gioachino Rossini. Grande soddisfazione in tutta l’associazione LE ALLEGRE NOTE che crede fermamente nel valore formativo dei concorsi, essendo essa stessa promotrice del Concorso Corale per voci Bianche ‘Città di Riccione’, giunto quest’anno alla 5° edizione. .
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Coro ‘Farthan’ di Marzabotto un ‘coro fuori dal coro’ vincente a Vittorio Veneto DI ELIDE MELCHIONI
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Ma chi se lo sarebbe mai immaginato di vincere? Al di là di ogni più rosea previsione! Figuriamoci, non davamo per scontata nemmeno l’ammissione al prestigioso Concorso Nazionale Corale di Vittorio Veneto. Il nostro repertorio particolare ed il nostro Farthan Style, pur tanto apprezzati dal pubblico, sono decisamente poco accademici, e sfogliando l’albo dei cori nelle passate occasioni ci sentivamo davvero come dei vasi d’argilla in mezzo a vasi di ferro. Ma alla fine la decisione è stata presa: ci proveremo!! Quello che mi ha maggiormente stuzzicato nella decisione finale di partecipare è stato il fatto che per essere selezionati, oltre ad inviare materiale audio\video, curriculum coro e direttore ecc, i brani da presentare dovessero essere impostati in forma di ProgettoProgramma: tematico, monografico, frutto di ricerca (etno) musicologica e/o di collaborazioni con compositori, rielaboratori, ecc. Questo aspetto mi dava la possibilità di giocare quella che io credo essere la nostra carta vincente, ovvero la ricerca legata al repertorio. La fascinazione di partenza, l’imprinting del nostro corpus di canti è il canto di tradizione orale, italiano e non, con una spiccata predilezione per un repertorio ‘al femminile’, quasi sempre con mie rielaborazioni il più possibile fedeli alle istanze espressive del testo di partenza. Ed evidentemente questa nostra proposta è stata apprezzata, perché l’ammissione è arrivata, e per ben due categorie! Categoria B - Canto polifonico di ispirazione popolare con il Progetto-programma ‘MUSICA MIGRANTE: SULLE ORME DI ANTICHI POPOLI’. Categoria E - Palio corale delle regioni italiane con il Progetto-programma ‘A SUD DELLE DONNE: MALI D’AMORE ED ALTRE STREGONERIE’. Il Coro ha accettato la sfida con grande impegno e responsabilità, consapevole che la Modalità Concorso,
ovvero il mettersi alla prova con cori di maggiore esperienza, fosse un momento di confronto costruttivo importante, sia personale che di gruppo. Il livello dei cori che abbiamo ascoltato era difatti davvero alto, nell’estrema varietà di stili, repertori e modalità di proposta. MAI ci saremmo immaginati di poter addirittura vincere! La giuria, capeggiata dal M° Mauro Zuccante è stata attenta ed interessata alle proposte di tutti i candidati, ed abbiamo saputo a posteriori che Coro Farthan ha creato vivo dibattito all’interno dei giurati: un Coro talmente Fuori dal Coro, come siamo stati definiti, che proprio per questo ha creato un ‘caso’. Il Presidente Zuccante ed altri commissari, ci hanno fatto i complimenti sulla ricerca e sul programma, personale rilettura\traduzione di un repertorio originale della tradizione italiana, frutto degli studi etnomusicologici che la sottoscritta ha compiuto a partire dalla metà degli anni 90 sulla musica del Sud Italia e dei Balcani, in seguito all’incontro con anziani informatori e studiosi\musicisti di settore di chiara fama. Gli apprezzamenti sono stati fatti per l’originalità dei brani proposti la spontanea autenticità e l’aderenza della mia rielaborazione con il relitto folklorico originale e l’avere in questo modo aperto una ‘nuova via’ all’interno del mondo del canto cosiddetto popolare, percepito dalla commissione cristallizzato da troppi decenni su scritture di fatto colte di materiale, spesso, nemmeno di tradizione. Inutile dire che, per un coro non di selezione ma di formazione, che ha solo sette anni di vita e che si presenta con repertorio molto particolare che va a ricercare una nicchia di ‘non noto’, gli apprezzamenti da parte della
commissione (assolutamente non scontati!) e dei tanti maestri di coro presenti, le esortazioni a continuare questo tipo di percorso sono stati per quanto mi riguarda davvero preziosi e di grande soddisfazione. Mi sono arrivate conferme autorevoli anche in un ambiente espressamente legato alla musica colta sul percorso musicale che ho intrapreso con il Coro Farthan: poliedrico, non convenzionale, multietnico e pronto a percorrere nuove vie interpretative, rimanendo però legato all’urgenza narrativo-espressiva della fonte. E questo per un Direttore non Direttore di un Coro non Coro è davvero tantissimo!! GRAZIE VITTORIO VENETO! I PREMI: CATEGORIA E: il premio unico indivisibile viene assegnato al Coro FARTHAN di Marzabotto per la proposta musicale coinvolgente, supportata da una ricerca che valorizza con competenza un repertorio originale della tradizione italiana dal titolo: A SUD DELLE DONNE: MALI D’AMORE ED ALTRE STREGONERIE. I tantissimi brani di tradizione orale ‘al femminile’ del Sud Italia ci descrivono con dovizia di particolari le diverse mansioni, i ruoli sociali, gli stereotipi di genere che nelle società arcaiche tradizionali, ma anche nel mondo del melodramma, venivano attribuiti alle donne. Mogli e madri soprattutto, ma allo stesso tempo lavoratrici in condizioni durissime (fimmene fimmene), dove lo sfruttamento del lavoro femminile era una realtà scontata e da subire in silenzio. Allo stesso tempo, protagoniste di struggimenti amorosi da togliere il sonno (mi votu e mi AERCO NOTIZIE | 47
rivotu), in preda ad amori impossibili e laceranti (cu ti lo dissi). Sentimenti non corrisposti che potevano anche portare a stati alterati di coscienza curabili solo con veri e propri esorcismi musicali (la zamara). PREMIO SPECIALE CENTENARIO: viene assegnato al Coro FARTHAN di Marzabotto per il miglior progetto-programma ispirato ai temi della pace, della fratellanza, della collaborazione internazionale, dell’Europa dal titolo MUSICA MIGRANTE: SULLE ROTTE DI ANTICHI POPOLI. Tutta la musica è permeata nel profondo da evidenti contaminazioni che conquistatori, nomadi, migranti o esuli hanno lasciato nel tempo al loro passaggio. La musica dei popoli ed i canti in differenti lingue madri ci ricordano che ciò che oggi chiamiamo ‘repertorio di tradizione’ sarebbe drammaticamente più scarno e muto senza l’apporto che nei secoli ha portato il confronto\scontro con l’Altro da sé. Lingue, musiche e culture minoritarie come il Griko, l’Arbëreshë e le infinite accezioni locali dei Rom balcanici, danno voce ad un repertorio su temi sempre attuali: l’amore non corrisposto (Kalinifta), le ingiustizie sociali ed i pregiudizi etnici (Ederlezi), il fascino arcaico del rito Greco Ortodosso, (Lamento con organum) il girotondo infantile (Kolo). www.corofarthan.com
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V Concorso Corale Città di Riccione DI BIAGIO BELMONTE Si è svolta a Riccione il 26 e 27 maggio 2018 la 5a edizione del CONCORSO CORALE CITTA’ DI RICCIONE, riservato a cori a voci bianche e a cori scolastici. Il concorso è organizzato dall’Associazione LE ALLEGRE NOTE in partnership con AERCO. Nelle prime 5 edizioni hanno partecipato 64 cori provenienti da quasi tutte le regioni italiane; quest’anno sono state 10 le formazioni iscritte provenienti da Emilia Romagna, Veneto, Friuli, Lombardia, Liguria, Lazio e Toscana. Oltre 270 coristi a Riccione per questa manifestazione che si è aperta con il concerto inaugurale tenuto dal Coro Don Dossetti di Cavriago e dal Coro Na’ aara Vocal Ensembre di Firenzuola, vincitori della passata edizione. Nella stessa sera il Coro Giovanile NOTE IN CRESCENDO sotto la guida del direttore artistico del concorso, Fabio Pecci, ha cantato in prima esecuzione nazionale il ‘Cantate Domino’ di Manolo Da Rold e in prima esecuzione assoluta ‘Agnus Dei’ di Andrea Basevi. Entrambi i compositori, che hanno dedicato i loro brani proprio al coro riccionese, erano presenti in chesa in quanto membri della giuria, completata da Maria Elena Mazzella da Ferrara e dal Presidente AERCO Andrea Angelini. I cori si sono esibiti di fronte alla commissione ed a un folto pubblico all’Auditorium Levi Montalcini per spostarsi poi ad animare il centro città nello spazio Flash mob. Il concorso si è ormai ritagliato un suo spazio di credibilità ed affidabilità nel panorama nazionale dei concorsi per voci bianche, grazie anche ad un’impeccabile macchina organizzativa messa in piedi dai soci dell’associazione corale, tutti genitori dei coristi riccionesi.
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Di seguito l’elenco dei cori premiati ed i relativi punteggi, che hanno portato i primi premi in Friuli e in Veneto. Cori Scolastici Coro COMPRENSIVO Marostica (VI) Direttore: Lino Dalla Gassa Primo premio livello 1 con punti 90.25 Coro CIGALOBAIBAMBA Castel Focognano (AR) Direttore: Luca Nocentini Secondo premio livello 2 con punti 86.75 Coro VOCI BIANCHE RIMINI Rimini Direttore: Maria Elvira Massani Secondo premio livello 2 con punti 85.50 Coro NAZARIO SAURO Imperia Direttore: Margherita Davico Terzo premio livello 2 con punti 77.25 Coro ISTITUTO SALESIANI Firenze Direttore: Mannocci Claudia Terzo premio livello 1 con punti 72 Cori associativi Coro AUDITE NOVA Staranzano (GO) Direttore: Gianna Visintin Primo premio livello 2 con punti 96.25 Coro G. VERDI Ostiglia (MN) Direttore: Claudio Sani Primo premio livello 2 con punti 92.75 Coro EUFORIA Rimini Direttore: Maria Elvira Massani Secondo premio livello 1 con punto 82.50 Coro NAZARIO SAURO Imperia Direttore: Margherita Davico Terzo premio livello 2 con punti 77
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Sono inoltre stati assegnati i seguenti premi speciali: Premio miglior direttore a Gianna Visintin del coro AUDITE NOVA Premio ‘Jenny Berardi’ per la miglior presenza scenica al coro NAZARIO SAURO Imperia Premio ‘Nadia Calanca’ per il miglior coro scolastico al coro COMPRENSIVO di Marostica Premio per il repertorio più originale al coro VERDI di Ostiglia
INTERKULTUR EVENTS
2019 REGISTRATION DATES
Early Bird Regular
FEB
7
FEB
International Choir Competition Maastricht February 7 – 11, 2019
2nd Sing‘n‘Joy Princeton - The American International Choral Festival
14
February 14 – 18, 2019
MAY
Voices for Peace - International Choir Festival
1
MAY
1
MAY
May 1 – 5, 2019
RIGA SINGS 6th Vietnam International Choir Competition May 15 – 19, 2019
MAY
Sing Along Concert “ON TOUR” Barcelona
JUN
19 JUN
29 JUL
3
2018 JUN
2018 SEP
Princeton (NJ), USA
2018 JUL
2018 OCT
Perugia/Assisi, Italy
2018 SEP
2018 DEC
2018 OCT
2018 DEC
2018 NOV
2019 JAN
2018 NOV
2019 FEB
11
30
24
24 1
10
Riga, Latvia
May 1 – 5, 2019
15
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Maastricht, Netherlands
May 29 – June 2, 2019
7th International Anton Bruckner Choir Competition & Festival June 19 – 23, 2019
5th International Conductor‘s Seminar Wernigerode June 29 – July 2, 2019
11th International Johannes Brahms Choir Festival & Competition July 3 – 7, 2019
Hoi An, Vietnam
15
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Barcelona, Spain
Linz, Austria
12
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Wernigerode, Germany
Wernigerode, Germany
26
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Summer Highlight Grand Prix of Nations Gothenburg 2019 & 4th European Choir Games AUG
August 3 – 10, 2019
OCT
3rd Kalamata International Choir Competition and Festival
Gothenburg, Sweden
2018 OCT
2018 DEC
2019 MAR
2019 MAY
2019 MAR
2019 JUN
15
10
3
9
OCT
23 NOV
14
NOV
15
October 9 – 13, 2019
8th Canta al mar - Festival Coral Internacional
Kalamata, Greece
October 23 – 27, 2019
Calella/Barcelona, Spain
LISBON SINGS
Lisbon, Portugal
November 14 – 18, 2019
11
18
Singers in Residence - A Sing Along Project at the Wiener Konzerthaus Vienna, Austria November 15 – 18, 2019
Non-competitive events ON STAGE - Non-competitive events in 6 destinations. Please check onstage.interkultur.com for more information on dates and venues
Israel, Verona, Stockholm, Florence, Lisbon, Prague
INTERKULTUR · Ruhberg 1 · 35463 Fernwald (Frankfurt / Main) Germany phone: +49 (0)6404 69749-25 · fax: +49 (0)6404 69749-29 · email: mail@interkultur.com · www.interkultur.com Photo Credits: © Studi43, © Anders Wester / Göteborg & Co.
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