FarCoro Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale- 70% CN/BO
n. 3 / 2018
Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori
Le interviste impossibili Claudio Monteverdi
Storia
Musica dell’anima
Rossini, un crescendo lungo 150 anni
In che direzione andare?
FarCoro
n. 3 / 2018
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Editoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 DI NICCOLÒ PAGANINI
FARCORO Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori settembre - dicembre 2018 Edizione online www.farcoro.it Autorizzazione del Tribunale di Bologna N° 4530 del 24/02/1977 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - CN/BO. PRESIDENTE Andrea Angelini presidente@aerco.emr.it DIRETTORE RESPONSABILE Niccolò Paganini direttore@farcoro.it COMITATO DI REDAZIONE Francesco Barbuto francescobarbuto@alice.it Luca Buzzavi lucabuzzavi@gmail.com Michele Napolitano napolitano.mic@gmail.com
La lettera del Presidente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 DI ANDREA ANGELINI
Primo Piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 La voce e la sua espressività: una questione di timbro (e non solo)
terza parte
DI GIOVANNI LA PORTA
L’acustica dell’organo vocale: una questione di timbro (e non solo)
terza parte
DI FRANCESCO BARBUTO
Il personaggio
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Le interviste impossibili: Claudio Monteverdi DI ANDREA ANGELINI
Storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 Rossini, un crescendo lungo 150 anni DI IRENE PLACCI CALIFANO
Storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 La produzione corale di Francis Poulenc DI STEFANIA FRANCESCHINI
GRAFICA E IMPAGINAZIONE Elisa Pesci
Stile - Musica dell’anima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 In che direzione andare? Intervista al M° Walter Marzilli
STAMPA Tipolitografia Tipocolor, Parma SEDE LEGALE c/o Aerco - Via Barberia 9 40123 Bologna Contatti redazione: direttore@farcoro.it +39 347 9706837 I contenuti della Rivista sono © Copyright 2009 AERCO-FARCORO, Via Barberia 9, Bologna - Italia. Salvo diversamente specificato (vedi in calce ad ogni articolo o altro contenuto della Rivista), tutto il materiale pubblicato su questa Rivista è protetto da copyright, dalle leggi sulla proprietà intellettuale e dalle disposizioni dei trattati internazionali; nessuna sua parte integrale o parziale può essere riprodotta sotto alcuna forma o con alcun mezzo senza autorizzazione scritta. Per informazioni su come ottenere l’autorizzazione alla riproduzione del materiale pubblicato, inviare una e-mail all’indirizzo: farcoro@aerco.it.
IN COPERTINA Coro Associazione musicale Gospel Soul
DI LUCA BUZZAVI
Analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 La dimensione etica nella Messa di Requiem di Pizzetti DI NICCOLÒ PAGANINI
AERCO notizie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 Fiumi di voci EnERgie Diffuse Voci nei chiostri
FarC
Editoriale
PROF. NICCOLÒ PAGANINI Direttore Responsabile
ROSSINI E PAGANINI
Carissimi Lettori, concludiamo il 2018 ricordando un altro importante anniversario celebrato in tutto il mondo: il 150° della morte di Gioacchino Rossini. In questo numero troverete un’interessante articolo sul musicista pesarese di Irene Placci Califano. Pensando al compositore del Guglielmo Tell non posso tralasciare di parlare dell’amicizia che lo ha legato al mio illustre Avo, Niccolò Paganini. Di Rossini è famosa la frase: ‘Ho pianto solo due volte in vita mia: quando un tacchino farcito di tartufi mi cadde nell’acqua e quando sentii suonare Paganini’. Il compositore di Pesaro affermava anche che era una fortuna che Paganini non fosse un’operista altrimenti avrebbe avuto un difficile rivale. Una vera e sincera amicizia della quale sono rimasti molti aneddoti. Rossini e Paganini trascorsero insieme il Carnevale del 1821 ed è in questa occasione che Niccolò diresse un’opera del pesarese: la Matilde di Shabran, scritta per il Teatro Apollo. Alla vigilia della prima il direttore d’orchestra morì d’un colpo apoplettico e Rossini scelse proprio Paganini per sostituirlo. L’opera di Rossini venne contestata alla prima; nonostante ciò i due colleghi si apprestarono a festeggiare insieme il Carnevale. Massimo D’Azeglio nelle sue Memorie ci ha lasciato un bel resoconto di queste serate gaudenti: ‘Erano a Roma Paganini e Rossini, cantava la Lipparini al Tordinona. S’avvicinava il Carnevale, e si disse una sera: ‘Combiniamo una mascherata’. Che cosa si fa? che cosa non si fa? Si decide alla fine di mascherarsi da ciechi e cantare, come usano, per domandare l’elemosina. Si misero insieme quattro versacci che dicevano: ‘Siamo ciechi, siamo nati per campar di cortesia, in giornata dall’allegria non si nega carità’. Rossini li mette subito in musica, ce li fa provare e riprovare, e finalmente si fissa d’andare in scena il giovedì grasso. Fu deciso che il vestiario al di sotto fosse di tutta eleganza e di sopra coperto di poveri panni rappezzati. Insomma una miseria apparente e pulita. Rossini e Paganini poi dovevano figurare l’orchestra, strimpellando due chitarre e pensarono vestirsi da donna. Rossini ampliò con molto gusto le sue già abbondanti forme con viluppi di stoppa, ed era una cosa inumana. Paganini poi, secco come un uscio, e con quel viso che pareva il manico di un violino, vestito da donna compariva secco e sgroppato il doppio. Non fo per dire, ma si fece furore: prima in due o tre case dove s’andò a cantare, e poi al Corso, poi la notte al festino’.
Coro
Sperando possiate trovare interessanti gli articoli di questo numero, a nome della Redazione Vi ringrazio e auguro a Voi e alle Vostre famiglie un sereno Natale.
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La lettera del Presidente Associazione Emiliano Romagnola Cori
DR. ANDREA ANGELINI Presidente AERCO
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Coro ‘Note di Volta’
Cari amici, dallo scorso mese di Ottobre la nostra associazione ha il suo bravo payoff! Che cos’è un payoff? Nel linguaggio della comunicazione, il payoff è una breve frase o espressione (generalmente non più di 4-5 parole) che accompagna il logo e che racchiude la filosofia, la mission e lo spirito di un ente o di un’impresa. Chiamiamolo motto, se questo semplifica il lessico! Ovviamente AERCO non è un’azienda, non deve vendere un prodotto, non deve prevalere su altri competitori, ma il suo messaggio deve ugualmente arrivare in maniera diretta e chiara a tutti coloro che sono interessati alla sua attività. È una visione commerciale? No, dal mio punto di vista; è invece una concezione rafforzativa di quello che già facciamo, un semplice modo per essere immediatamente compresi e non confusi. Da questo pensiero è nata l’idea di un bando al quale hanno aderito molti più partecipanti di quanti ce ne fossimo immaginati. Ben venti sono state le proposte pervenute entro i termini di apertura del concorso che sono poi stati valutati da un nucleo composto, a ranghi uniti, da Consiglio Direttivo (escluso il sottoscritto) e Commissione Artistica. Alcuni motti giocavano sull’acronimo di AERCO e così facendo ne sono nati alcuni veramente originali, come ‘Amare, Emozionare, Ricordare, Commuovere, Onorare’ o ‘Amicizia E Rispetto Cantando Otteniamo’; altri invece focalizzavano più sull’aspetto emozionale quali ‘Vivi AERCO, vivi la coralità’ oppure ‘La Voce dei cUori’. Alla fine è prevalsa la semplicità e l’efficacia di ‘Accendi la Voce’, che è quindi diventato il motto ufficiale di AERCO. La motivazione del coro proponente, Note di Volta di Bologna e del suo direttore Sebastiano Cellentani, è stata la seguente: Accendere la luce porta a vedere, a vedere meglio, a fare chiarezza... Allo stesso modo accendere la voce ci porta a sentire e a farci sentire meglio; proprio quello che fa AERCO: dà la possibilità a piccole e grandi realtà di farsi sentire, di farsi conoscere, di trasmettere il proprio messaggio di passione per il canto e la condivisione... Accende e unisce i gruppi vocali di tutta la Regione, aumentando le occasioni di confronto e condivisione. AERCO ci permette e ci sprona ad accendere le nostre voci corali, in un messaggio e linguaggio portatore di armonia, di unione, in un momento in cui il contrasto sembra invece aver preso il sopravvento… Grazie Sebastiano per questa bella riflessione su AERCO; speriamo di continuare nel solco del tuo augurio!
M° Daniele Venturi, direttore uscente della ComArt di AERCO
Parlando brevemente d’altro vorrei rimarcare il fatto che a Settembre è stata nominata la nuova Commissione Artistica. Anche per questa decisione abbiamo pensato che fosse molto più trasparente e logico affidarci ad un bando di selezione; naturalmente avevamo bisogno di un gruppo di valutazione assolutamente super-partes che è stato individuato grazie al generoso e gratuito apporto di alcuni stimati maestri del mondo corale. Il loro compito non è stato semplice davvero, causa l’altissima professionalità di tutti i candidati, ma alla fine sei nomi sono prevalsi sui rimanenti. Ringrazio il Maestro Daniele Venturi, precedente direttore della commissione artistica, per il suo impegno e la dedizione profusa in quest’ultimo triennio; auguro altresì al Maestro Gianluigi Giacomoni e a tutti i membri della neonominata ComArt di vivere quest’esperienza con quello spirito di gratuità, servizio ed indipendenza che devono sempre illuminare chi viene chiamato alla guida di un servizio pubblico, reputando tale ciò che si fa in AERCO.
M° Gianluigi Giacomoni, nuovo direttore della ComArt
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Primo Piano
Si è accennato come ad un particolare assetto morfologico del tratto vocale corrisponda un preciso carattere timbrico del suono vocale cui, per ogni lingua parlata, si assegna ordinariamente un preciso significato semantico. La modellazione del tratto vocale, nel canto come nel parlato, determina quindi la generazione dei foni linguistici, le componenti sonore della lingua parlata1, cui si riconosce una diversa proiezione sonora ed incisività percettiva.
La voce e la sua espressività... una questione di timbro (e non solo) Timbro ed efficienza vocale DI GIOVANNI LA PORTA
GIOVANNI LA PORTA Diplomato in viola presso il Conservatorio ‘C. Pollini’ di Padova e in Violino presso il Conservatorio ‘J. Tomadini’ di Udine, si è laureato successivamente in Architettura presso lo IUAV di Venezia conseguendo il Dottorato di Ricerca in ‘Ingegneria civile ambientale architettura’ presso l’Università degli studi di Udine. All’attività libero-professionale, unisce quella di musicista come didatta ed esecutore. Dall’a.a. 2009-2010 ha ricoperto l’incarico di professore a contratto per l’insegnamento di Acustica musicale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia Università degli studi ‘Ca Foscari’ di Venezia, incarico che ricopre attualmente presso il Conservatorio ‘C. Pollini’ di Padova.
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PRIMO PIANO
Non è un caso quindi che, per fornire solo un esempio, si constati inevitabilmente che il suono della vocale ‘a’ sia percepito in modo ben più nitido rispetto alla vocale ‘u’. Ma al di là del diverso significato semantico delle vocali, le ragioni acustiche di tale riscontro percettivo sono da ricercare in una maggiore presenza di parziali armonici acuti per la vocale ‘a’ rispetto alla ‘u’; nel secondo caso, infatti, si assiste ad un sostanziale abbassamento della 1° e 2° formante vocale, ciò che anatomicamente corrisponde ad un restringimento dell’apertura orale e della base della faringe. Un quesito allora sorge spontaneo: esiste una qualche forma di controllo dell’assetto del tratto vocale affinché la proiezione del suono, nell’emissione cantata in particolare, possa essere accresciuta, migliorando la percezione sonora in chi ascolta? Si danno qui di seguito solo alcuni riferimenti. a) Un primo espediente tecnico, suggerito spesso dagli insegnanti di canto ai propri allievi, riguarda il pronunciare le vocali in modo più aperto rispetto all’emissione parlata ordinaria, procurando un allargamento, per quanto
‘La ‘voce piena’, che può essere suddivisa in ‘voce di petto’ o ‘voce di testa’, è quella modalità di fonazione che consente la produzione di una maggiore presenza (numerosità e intensità) dei parziali armonici’
possibile, dell’apertura orale. Ciò contribuisce ad aumentare la superficie radiante del suono vocale verso l’ambiente oltre ad elevare l’altezza di tutte le frequenze formanti. Come si è visto, nei pressi della bocca è infatti sempre presente un nodo di pressione per ogni risonanza del tratto vocale e, con il suo allargamento in quel punto, si procura un innalzamento di ogni sua frequenza di risonanza. D’altro canto, per contro, a parità di dimensione dell’apertura orale, l’allargamento della cavità faringea prossima al ventre di pressione può rendere più scuro il colore timbrico dell’emissione vocale generando un moderato abbassamento di ogni frequenza formante. L’emissione vocale acquista quindi un carattere timbrico definito plummy, ove con questo termine ci si riferisce a quella modalità di comunicazione verbale un tempo ritenuta tipica della classe aristocratica. Va anche detto però che, l’uso di uno dei due espedienti tecnici, è accompagnato non di rado da una minore intelligibilità dei vocaboli della lingua parlata. b) L’esperienza di ascolto musicale dimostra frequentemente che un cantante lirico possa essere ascoltato distintamente anche quando la sua voce è accompagnata da una orchestra sinfonica che suona al pieno della sua sonorità. Ciò può apparire paradossale, se solo si paragonano le potenze sonore in gioco (potenza acustica max. di un cantante ≈ 1 W, potenza acustica max. dell’orchestra ≈ 10 W). Anche questo paradosso può essere però interpretato come una diretta conseguenza di un’opportuna caratterizzazione timbrica della voce, ottenuta dal cantante modellando opportunamente l’assetto del proprio tratto vocale. Un’orchestra sinfonica produce il livello più elevato di energia sonora in una regione dello spettro prossima a 500 Hz, per poi decrescere rapidamente alle frequenze più acute. Questo lo si deve al fatto che, intorno a tale frequenza, risultano più intense le risonanze della maggior parte degli strumenti musicali dell’orchestra sinfonica (ottoni, legni in particolare)2. La distribuzione dell’energia sonora, nel parlato o nel canto non educato, ha un andamento in frequenza equiparabile a quello dell’orchestra, presentando, allo stesso modo, un picco di risonanza intorno a 500 Hz, seppure caratterizzato da un livello sonoro notevolmente inferiore. In questa condizione, affinché il suono dell’orchestra non prevarichi sulla voce, non rimane che una sorta di amplificazione naturale dell’emissione vocale. Ed infatti la tecnica vocale nei cantanti lirici può effettivamente rinforzare l’emissione cantata con la generazione di un’intensa risonanza del tratto vocale, detta non a caso formante del cantante. Il cantante è in grado quindi di produrre un sostanziale incremento di intensità dei parziali armonici appartenenti alla regione acuta dello spettro sonoro (2500-3000 Hz), rendendo così nettamente udibile la sua voce, pur in presenza di un accompagnamento orchestrale che suona al massimo della sua sonorità. A questo proposito, diverse sperimentazioni condotte tra i cantanti lirici (le voci maschili, in particolare)3, hanno chiarito che la generazione della formante del cantante la si deve attribuire alla risonanza della piccola massa d’aria contenuta nel tratto di laringe posto al di sopra della glottide. Il continuo esercizio vocale praticato da molti cantanti professionisti che miri a favorire l’abbassamento della laringe – una pratica fisiologicamente innaturale, se messa in pratica al crescere dell’altezza del suono – è in grado di creare una sorta di discontinuità geometrica tra le cavità della laringe e della faringe; ciò genera una parziale riflessione dell’onda sonora all’interno della cavità laringea e la risonanza dell’aria ivi contenuta.
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Fig. 1) Intensità dei parziali armonici nella voce di un cantante tra i quali si individua l’incremento nella regione compresa tra 2500-3000 Hz (formante del cantante)
L’importanza della formante del cantante riguarda in particolare le voci maschili (parzialmente per la voce di contralto) impegnate nell’esecuzione di brani tratti dal repertorio operistico. Le voci femminili sono invece caratterizzate da un’estensione vocale più acuta, il che comporta naturalmente la produzione di parziali armonici e frequenze formanti più acute rispetto alle voci maschili. L’enfatizzazione di parziali armonici con frequenze superiori a 3000 Hz – una regione dello spettro sonoro nella quale l’udito individuale raggiunge la sua massima sensibilità – esporrebbe quindi al rischio di eccessiva durezza ed incisività della voce, specialmente in relazione alla necessità di equilibrio timbrico auspicabile in certo repertorio lirico. Nel caso dei cantori inseriti in una compagine corale, si pone invece l’obiettivo di fondere al meglio la voce individuale nel coro; l’emissione vocale per questo non dovrebbe, almeno in linea di principio, presentare enfasi e/o colorazioni timbriche particolari, privilegiando invece il rafforzamento delle frequenze fondamentali. 3) Nella voce del soprano lirico si pone spesso il problema della riconoscibilità delle vocali, un elemento che, come si è visto, si ricollega alla configurazione assunta delle prime tre risonanze del tratto vocale associate ad ogni vocale. Quando un soprano canta nel registro medio-acuto (> Mi5, 660 Hz) la frequenza fondamentale del suono emesso si localizza sempre al di sopra della 1° frequenza formante di ogni vocale (in particolare le vocali i, e, o, u), non ricevendo alcun sostegno risonante del tratto vocale. Questo porta ad una evidente scarsa comprensione delle parole cantate, constatando in molti casi che, già quando l’altezza del suono fondamentale è superiore al Do5, la percentuale di intelligibilità del testo scende drasticamente al 50%. A tale inconveniente la cantante è solita ovviare, almeno in prima battuta, migliorando il collegamento tra le vocali e le consonanti, scandendo maggiormente le sillabe o, ancora, facendo affidamento sulla ripetizione delle parole contenute nel testo.
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PRIMO PIANO
Fig. 2) Percentuale di riconoscimento delle vocali con vocali isolate (linea continua) e vocali legate a consonanti (linea tratteggiata)
Un possibile miglioramento consiste nel traslare verso l’alto la frequenza della 1° formante vocale affinché, crescendo l’altezza del suono, la formante possa sovrapporsi alla frequenza fondamentale. L’obiettivo è solitamente raggiunto qualora la cantante sia in grado di produrre un moderato e progressivo accorciamento del tratto vocale, ciò che può essere ottenuto aprendo lateralmente la bocca (l’atto del sorridere) o abbassando la mandibola. Questa tecnica riguarda in particolare le voci femminili (non quelle maschili) per le quali il suono fondamentale si situa ordinariamente al di sotto di ogni frequenza formante. Va poi sottolineato che la maggiore rigidezza dei tessuti epiteliali del tratto vocale degli uomini, configura un condotto nel quale la propagazione dell’onda sonora sia affetta da un grado di smorzamento minore rispetto alle donne. L’eventuale coincidenza tra la frequenza del suono fondamentale e la 1° formante vocale nelle voci maschili procurerebbe quindi un inevitabile interferenza con il moto periodico delle corde vocali, con effetti disastrosi sull’emissione vocale. Il fenomeno è in qualche modo equiparabile alla generazione della famigerata nota del lupo degli strumenti ad arco, quel fastidioso effetto sonoro di alcuni strumenti dato dalla coincidenza tra la frequenza naturale di vibrazione della tavola armonica e la frequenza di risonanza dell’aria contenuta nella cassa armonica. Le cavità nasali e pettorale non sembrano avere grande influenza sull’efficienza dell’emissione vocale, nonostante si ritenga frequentemente che la risonanza della massa d’aria che le riempie possa avere notevole
importanza sul volume della voce. La ragione principale sta nel fatto che, nonostante tale massa d’aria possa realmente entrare in vibrazione, questa non sia in grado di innescare direttamente un’onda sonora che si propaghi all’esterno, rinforzando l’emissione vocale ordinaria. A questo proposito va notato che la cavità toracica rappresenta realmente un volume considerevole d’aria che può entrare in risonanza alla medesima frequenza fondamentale prodotta dalle corde vocali. Diversi esperimenti4 hanno però stabilito che l’oscillazione dell’aria interna può essere trasmessa all’esterno solo sollecitando la vibrazione dei tessuti che ricoprono la gabbia toracica (in particolare nei pressi dello sterno), un’azione che risulta apprezzabile solo per l’emissione nel forte e a frequenze medio-gravi (< 300400 Hz). Di fatto la gabbia toracica non è quindi in grado di produrre un’oscillazione significativa sotto il profilo acustico (soli pochi micron, 10-6 m); va invece evidenziato che la sua vibrazione sia in grado di conferire una sorta di sicurezza psicologica al cantante che sente la propria voce sostenuta dalla vibrazione di altri elementi anatomici oltre a quelli coinvolti direttamente nella fonazione. Sicuramente più efficace appare invece la risonanza dell’aria contenuta nelle cavità nasali, essendo queste in diretta comunicazione con l’esterno per messo delle narici. Quando, durante la fonazione, si mette in comunicazione la cavità orale con quelle nasali abbassando il palato molle, la colorazione della voce acquista un carattere particolare (suono nasale), un effetto sonoro cui si ricorre frequentemente a fini espressivi in ambito teatrale e
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‘Gli espedienti messi in pratica per aumentare l’efficienza sonora della voce durante il canto possono essere l’accorciamento del tratto vocale mediante l’azione del sorridere e/o dello sbadigliare, e l’abbassamento della laringe con l’allargamento della cavità sopra glottide’
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PRIMO PIANO
anche lirico. Va poi sottolineato che la pronuncia delle consonanti ‘n’ e ‘m’ può avvenire solamente chiudendo l’apertura orale, mettendo così necessariamente in risonanza l’aria contenuta nelle cavità nasali e facendo fuoriuscire l’onda sonora dalle narici (celebre è il Canto dei pescatori, a bocca chiusa, con cui si chiude il II atto della Madama Butterfly di G. Puccini). Riassumendo, nonostante debbano essere evidenziate differenze tra la voce maschile e quella femminile, gli espedienti messi in pratica per aumentare l’efficienza sonora della voce durante il canto possono essere schematizzati nei seguenti 2 principi: - accorciamento del tratto vocale mediante l’azione del sorridere e/o dello sbadigliare; ciò eleva globalmente l’altezza delle risonanze del tratto vocale, conferendo alla voce maggiore brillantezza e in alcuni casi (le voci femminili) incrementandone il volume sonoro; - abbassamento della laringe con l’allargamento della cavità sopra glottide; il movimento, eseguito anche in ambiti del registro medio-acuto (là dove risulta più innaturale), conferisce una risonanza supplementare del tratto vocale che può rendere maggiormente penetrante ed incisiva l’emissione sonora nel canto. Timbro e registro vocale A conclusione di queste brevi note appare significativo richiamare anche il concetto di registro vocale e la relazione che si instaura tra questo e la qualità timbrica della voce. Per primo va sottolineato che con il termine registro nel canto ci si possa riferire da un lato alla porzione di estensione musicale eseguibile dal cantante (più propriamente, tessitura vocale), dall’altro all’individuazione della modalità di emissione vocale: termini come voce di petto, voce di testa, registro pieno, falsetto, suono coperto, suono flautato, suono girato individuano correntemente precisi requisiti della fonazione, cui si associano tipiche condizioni posturali (tensione-rilassamento della muscolatura, forme di adattamento del tratto vocale,…) rivolte ad ottenere un’analoga caratterizzazione timbrica del suono. Per registro vocale si intende quindi, in questo caso, ‘una specifica qualità vocale, una caratteristica timbrica di un gruppo contiguo di suoni, individuabile percettivamente ed elettroacusticamente’5 o ancora ‘un ambito di frequenze, cioè un gruppo contiguo di note, che possiedono uno stesso timbro vocale e in cui tutti i toni vengono percepiti come prodotti in modo simile’6. In questo senso allora, il controllo del registro vocale può quindi avere il significato di controllare, durante la fonazione nel canto, una certa modalità di accollamento delle corde vocali (tempo di contatto-apertura, massa-area cordale, tensione-contrazione,...), una opportuna variazione della geometria del tratto vocale (allungamento-accorciamento della lunghezza, allargamento-contrazione della sezione,…) o ancora una particolare regolazione della spinta del fiato (continuità-regolarità del flusso, autonomia, …). Venendo quindi alle definizioni di registro vocale più frequenti, può essere ricordato che per ‘voce piena’ si intenda quella modalità di fonazione per la quale risulti coinvolta una parte consistente dello spessore cordale, una modalità che, come si è visto, consente la produzione di una maggiore presenza (numerosità e intensità) dei parziali armonici. Questo registro può essere suddiviso in ‘voce di petto’ o ‘voce di testa’, in relazione alla tessitura musicale o, ancora, alla condizione per la quale la fonazione si accompagni a quei fenomeni di risonanza a livello della cassa toracica o delle cavità nasali cui prima si accennava. Il termine ‘suono coperto’ (definito anche ‘voce girata’, ‘canto in maschera’) identifica invece quella modalità di emissione che si ponga l’obiettivo di generare la formante del cantante, l’accorgimento posturale che, come si è visto, sia in grado di generare parziali armonici compresi tra 2500-3000 Hz generando una sorta di amplificazione naturale della voce. A questo registro si associa l’indicazione didattica di alcuni movimenti facciali – tra i movimenti più noti c’è l’accentuato abbassamento della mandibola (a ricreare uno sbadiglio) o l’abbassamento delle cartilagini della laringe – rivolti a rendere più efficiente la risonanza del tratto vocale, pur a scapito della chiarezza semantica delle vocali. Analogamente termini come ‘voce spinta’ o ‘voce pressata’ si riferiscono a quella modalità
di emissione vocale in cui l’esecutore, nella tessitura acuta, riesce ad aumentare artificiosamente il tempo di contatto e lo spessore delle corde vocali coinvolto nella fonazione, una modalità che appare ordinariamente innaturale per l’allungamento delle corde vocali al crescere dell’altezza del suono. La voce si arricchisce così di parziali armonici di maggiore intensità e a frequenze più elevate (> 3000 Hz), risultando così stridula, vetrosa, graffiante; l’organo vocale, però, subisce inevitabili fenomeni di affaticamento dovuti alla maggiore tensione muscolare dell’organo vocale e la compressione verso il basso delle cartilagini laringee. Questo genere vocale (belting singing), associato all’esecuzione di molti generi musicali alternativi al classico (pop, rock, ...), deve la sua larga diffusione grazie alla possibilità vedere di molto personalizzate le caratteristiche di esecuzione dei cantanti, creando, ciascuno con la propria attitudine e sensibilità artistica, innegabili risvolti emozionali negli ascoltatori. Di particolare rilievo nelle voci maschili è anche il registro in falsetto, quella particolare tipologia di emissione utilizzata talvolta per emulare il registro vocale femminile7. Nel falsetto le corde vocali risultano costantemente tese, a prescindere dall’altezza del suono emesso. L’esecutore genera un innaturale allungamento delle corde vocali che limita il tempo di contatto reciproco durante la fonazione (≈ 40%), nonché l’accostamento del loro spessore che risulta limitato al solo bordo superiore. Si assiste poi ad una continua fuoriuscita d’aria durante l’oscillazione delle corde che genera un’onda sonora povera di parziali armonici e meno intensa. Il suono in falsetto è quindi caratterizzato da una tipica fissità dinamica, rotondità timbrica e notevole estensione verso la tessitura acuta, spesso utilizzata in ambito popolare con risultati molto espressivi (il canto Jodel ne è un esempio). In ultimo si richiama il registro della voce sussurrata, una modalità di fonazione nel parlato durante la quale le rime della glottide non sono richiuse con le modalità del meccanismo laringeo ordinario ma lasciano passare liberamente il fiato verso la cavità orale. La formazione delle parole del linguaggio parlato è comunque possibile modellando opportunamente il tratto vocale secondo i consueti pattern, pur in assenza di frequenza fondamentale, ciò che rende il messaggio verbale appena udibile. NOTE [1] Per una classificazione dei foni appartenenti alle varie lingue parlate, si veda https://it.wikipedia.org/wiki/File:The_International_Phonetic_Alphabet_(revised_to_2015).pdf [2] Cfr. M. Campbell e C. Greated (1987), cit., pag. 152 e seg. [3] J. Sundberg, Articulatory interpretation of the ‘singing formant’, Jasa n. 55/1974, pag. 838-844 [4] M. Campbell e C. Greated (1987), cit., pag. 495 [5] Cfr in F. Fussi, Fisiologia dei registri della voce cantata, in http://www.medartes.it/index.php?option=com_content&view=article&id=85:fisiologia-dei-registridella-voce-cantata-parte-prima&catid=15:anatomia&Itemid=14 [6] F. Fussi, I registri della voce e il passaggio di registro, http://www.voceartistica.it/it-IT/index-/?Item=Registri [7] L’emissione in falsetto delle voci maschili non va confusa con quella prodotta dagli uomini castrati, alla cui condizione sono legate molte composizioni musicali sacre fino ad un periodo relativamente recente. Alla castrazione consegue il mancato allungamento delle corde vocali conseguente all’avvento della maturità; tale condizione fa permanere la lunghezza delle corde vocali dell’età prepuberale conservando così una estensione vocale infantile. Cfr. in http://www.voceartistica.it/it-IT/index-/?Item=Castrati LA VOCE E LA SUA ESPRESSIVITA’ | 11
Primo Piano
In questo articolo vedremo un modello di come studiare una partitura di un brano corale dal punto di vista vocalico e timbrico, fondamentale per l’esecuzione e la sua riuscita artistica.
L’acustica dell’organo vocale... una questione di timbro (e non solo)
Come affrontare una partitura dal punto di vista vocalico e timbrico
DI FRANCESCO BARBUTO
FRANCESCO BARBUTO Compositore, scrittore, direttore di coro e consulente musicale, svolge un’intensa attività professionale nell’ambito culturale, artistico musicale e corale. Svolge attività nel movimento corale sia nazionale sia internazionale. È stato Presidente della Commissione Artistica Regionale dell’Unione Società Cori Italiani Lombardia (USCI) e direttore della rivista musicale online ‘A più Voci’ dal 2011 al 2015. È studioso e ricercatore della musica del ’900 e del Contemporaneo, sia corale sia orchestrale. È Cittadino Onorario di Caronno Varesino, insignito del ‘Sigillo Civico’ per il suo impegno nell’Arte, nella Cultura e nella Musica e per la direzione d’eccellenza del Choro Lauda Sion, da lui stesso formato.
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Il brano che prendiamo in esame è: ‘Sperent in Te’ (composto nel 1946) di Lajos Bárdos, emerito compositore e maestro ungherese del ’900, non molto conosciuto in Italia, ma certamente tra i più interessanti compositori del panorama corale europeo. Il testo del brano, in latino, è l’Offertorio della Messa della terza domenica dopo la Pentecoste ed è tratto dal Salmo 9, versetti 11,12,13.
TESTO Sperent in te omnes, qui noverunt nomen tuum Domine, quoniam non derelinquis quaerentes in te: psallite Domino, qui habitat in Sion, quoniam non est oblitus orationem pauperum.
TRADUZIONE Sperano in te, tutti coloro che conoscono il tuo nome o Signore, poiché tu non abbandoni coloro che ti invocano: cantate al Signore, voi che abitate in Sion, perché non ha dimenticato la preghiera dei poveri.
Il canto d’Offertorio, nato per accompagnare la processione offertoriale e la presentazione dei doni, fa da sfondo ad un’azione rituale. Per tradizione è un canto che appartiene più alla Schola (quindi del coro) che all’Assemblea – che richiede quindi anche una cura timbrica e vocalica più adeguata – e ha lo scopo, dopo i ritmi serrati della Liturgia della Parola, di trasmettere un’opportuna distensione a favore di un’adeguata preparazione alla Liturgia eucaristica. È possibile coprire le parole del celebrante, mentre enuncia le frasi dell’offerta sui doni. Il Salmo 9: Dio trionfatore sugli empi, attribuito a Davide, è un ‘acrostico’, cioè ogni verso comincia con una lettera dell’alfabeto ebraico. È un inno alla giustizia di Dio che salva gli uomini e umilia gli empi. I tre versetti scelti da Bárdos (11, 12, 13) sono dedicati in particolare alla fiducia nel Signore che non abbandona mai l’uomo, e all’invito a cantare inni e a narrare le sue opere (il riferimento canoro è certamente non secondario). Questo aspetto propone già un’attenzione sull’aspetto timbrico ed espressivo importante, che dovrà essere comparato con la notazione e i riferimenti dinamici ed espressivi della partitura, che vedremo di seguito. Il brano a quattro voci miste è composto in Fa minore e, oltre alla scala minore naturale e melodica, Bárdos fa uso (come spesso in molte sue composizioni) della scala modale dorica trasportata (in questo caso una terza sopra). Lo capiamo dal fatto che la nota Re è talvolta bemolle, talvolta bequadro, come nel Protus antico. Questa scelta consente di mettere in relazione e in dialogo: gusto modale e gusto tonale. L’ethos dell’aspetto modale e il gusto della scala minore naturale, sono aspetti altrettanto importanti per impostare il giusto approccio timbrico vocalico ed espressivo del brano. Gli antichi, per il modo dorico, dicevano che occorreva cantare con solennità, austerità, atteggiamento regale. Il modo minore naturale (col Reb), ammorbidisce, però, questo aspetto, rendendolo più dolce e appunto ‘naturale’. Fa evitare anche il ‘tritono’ (LabSib-Do-Re bequadro), quello che gli antichi chiamavano ‘diabolus’, che rende il profilo melodico aspro, duro e non consonante. Dalla partitura, notiamo infatti come si districa bene questo dialogo tra i due modi. Il corista dovrà tenerne conto impostando una modalità di canto dolce e morbida, ma certamente con un suono vocalico molto presente e sonoro, evitando però lirismi e vibrati eccessivi, che indurrebbero a ‘profanare’ il brano e soprattutto il testo di questa preghiera. All’inizio, comparabile col celebrante (essendo un salmo) da bat. 1 a bat. 3 prima dell’entrata dell’Assemblea (tutto il resto del coro da bat. 3), la solennità di questa melodia discendente (che richiama anche il ‘passo di lamento’) e la richiesta di una presenza vocalica è chiaramente visibile. I Bassi, dovranno comunque tener conto della successiva entrata del coro, soprattutto a bat. 5, quando le armonie si sviluppano su due accordi molto aperti, ma allo stesso tempo delicati ( I7 – terzo rivolto di II7, con la quinta alzata). Basta cantare in modo del tutto naturale e interpretivamente senza enfasi eccessiva. Questo consentirà un dialogo e un passaggio di testimone vocalico con tutto il coro ben concatenato e uniforme, esattamente come dovrebbe avvenire durante la Messa, tra il celebrante e l’assemblea al Salmo durante la Liturgia della parola.
‘Il corista dovrà impostare una modalità di canto dolce e morbida, ma certamente con un suono vocalico molto presente e sonoro, evitando però lirismi e vibrati eccessivi, che indurrebbero a ‘profanare’ il brano e soprattutto il testo di questa preghiera’
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tuum Domine (Sperano in te, tutti coloro che conoscono il tuo nome o Signore). Il propagarsi dei suoni armonici verso le tessiture medio alte dei Contralti e Soprani e più alte dei Tenori, dovrà essere ben equilibrato tra le sezioni del coro. I Contralti e i Soprani, soprattutto sulla parole ‘Domine’ dovranno cercare di cantare ancora con una voce morbida (viste anche le armonie ancora delicate volute dal compositore), anche per eseguire in modo sciolto e adeguato il breve melisma della battuta. I tenori, essendo su una tessitura più alta, dovranno evitare di eseguire un suono sforzato, o ancor peggio ‘strozzato’, come spesso può accadere. È sufficiente, man mano che si va verso l’acuto, che si apra sempre di più la bocca (sempre senza eccessive tensioni). Si sentirà, in questo modo, una maggiore facilità fisica e posturale, che consentirà di raggiungere in modo migliore la zona acuta.
Sperent in te (1946)
Lajos Bárdos
Tranquillo molto
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Un’attenzione particolare dovrà essere rivolta nel passaggio dal raddoppio all’unisono e all’ottava e agli accordi delle parole ‘qui abitat in Sion’. Un errore tipico è quello di cantare ‘rinforzando’ l’unisono e il raddoppio, arrivando poi al suono accordale in modo più fiacco e disomogeneo. Il suono all’unisono e in raddoppio ha sempre più massa sonora rispetto al suono accordale, per ovvie ragioni di quantità di persone che intonano lo stesso suono. Anche se la dinamica rimane sempre in forte, si dovrà dosare bene la quantità di volume e l’attenzione al timbro vocalico, in modo tale da eseguire e sentire equilibrata e omogenea la massa sonora del coro. Una situazione simile si creerà anche nel rapporto omoritmia-contrappunto imitativo. Il coro in omoritmia ha più peso testurale rispetto a quando canta con entrate diverse. La questione è certamente anche di tipo ritmico, ma il coro anche in questo caso dovrà prestare attenzione, perché si crei il giusto equilibrio e la giusta omogeneità tra le voci del coro. Il volume, che si realizza con le spinte muscolari, soprattutto addominali, più o meno forti sulla pressione dell’aria contenuta nei polmoni, è da considerarsi certamente un elemento importante per la riuscita artistica del suono vocalico. Non solo, il volume entra anche direttamente in contatto e in dialogo col diaframma. Un errore tipico che i cantori fanno è quello di spingere con i muscoli addominali, per ottenere appunto più volume, lasciando che i polmoni si svuotino in fretta. Questo farà inevitabilmente risalire in fretta anche il diaframma, facendo perdere l’appoggio e il sostegno necessario sui polmoni, e costringerà il cantore a ‘sforzare’ il suono, sfibrandolo tal punto di vista timbrico. III sezione: riproposizione della II sezione con variazioni rafforzative testurali nel primo episodio. Questa sezione, che nella sua struttura complessiva è la riproposizione della sezione precedente, assume lo scopo di ribadire il concetto spirituale già esposto.
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Bárdos, ovviamente, non si limita ad una scontata riproposizione per giustapposizione, ma inserisce due elementi varianti che possiamo definire: ‘rafforzativi’ e che hanno lo scopo di enfatizzarne la carica espressiva. Il primo elemento è evidenziato nell’episodio d’apertura: la polifonia a cascata questa volta coinvolge tutto il coro con l’aggiunta di un’ulteriore voce ai Bassi e, in alcuni punti, anche con sdoppiamenti ai Tenori e Soprani, raggiungendo così le sei voci complessive e quindi un aumento di densità sonora. La partenza non è più affidata solo ai Soprani, ma anche ai Contralti, seguiti dai Tenori e dallo sdoppiamento dei Bassi con quinte parallele strutturali. Questo atteggiamento, con l’indicazione dinamica fortissimo, sposta l’intenzione precedente dall’invito a cantare al Signore ad un incitamento vero e proprio. Dal punto di vista sonoro ne fuoriesce un crescendo testurale che porta al culmine del brano volutamente sulla parola: Psallite (cantate). È la parola chiave che può spiegare la scelta contenutistica dei versetti effettuata da Bárdos, il quale, per ovvie ragioni, è particolarmente sensibile al richiamo e al significato del canto. Il secondo elemento di varietà (più delicato) rispetto alla sezione precedente lo notiamo sulle ultime tre battute del brano, dedicate alla parola: pauperum. Il coro, riprendendo lo stesso stilema precedente, si sviluppa ora con lo sdoppiamento dei Tenori. La parte superiore di essi assume lo scopo di dare un colore in più al tratto melodico finale dei Soprani. Dal punto di vista timbrico vocalico, si ripropone la stessa situazione precedente, ma essendoci i ‘rafforzativi’ che abbiamo individuato ed esposto, il cantore dovrà tenerne conto. Da una parte si creeranno in modo naturale, con l’aggiunta di una voce ulteriore. Dall’altra i cantori, devono aumentare il volume, che dalla sezione precedente in f dovranno eseguire in ff, ma allo stesso tempo possono aumentare anche la presenza vocalica. Questo si ottiene predisponendo la bocca ancora più come una camera d’aria e aumentato ulteriormente l’articolazione delle sillabe, sempre senza sforzi muscolari e soprattutto facciali. Un altro elemento che aiuterà a stabilire molta presenza vocalica sono le ‘quinte parallele’. Bárdos le inserisce nei Bassi, creando proprio a livello strutturale questa condizione. Il suono delle quinte parallele (come si usava nelle prime forme antiche di polifonia vocale) crea per sua struttura un suono più duro e anche molto presente, soprattutto nella zona grave.
I cantori dovranno tener conto di tutti questi elementi per produrre un suono veramente artistico che rispetti le dinamiche e le condizioni timbriche ed espressive richieste. Si eviterà così di ottenere suoni sforzati, appesantiti che rovinerebbero certamente un’esecuzione più adeguata al testo della preghiera e alla composizione musicale. Il finale del brano, richiede infatti e non a caso un’attenzione più delicata sulla parola ‘pauperum’ (poveri), che non può essere eseguita, sia per il suo significato testuale sia compositivo musicale, in modo grossolano. I cantori, che avranno prestato tutte le attenzione adeguate timbriche, vocali ed espressive, sentiranno di arrivare anche in modo ‘naturale e presente’ al melisma delle ultime battute conclusive e all’accordo di Piccarda finale (Fa Magg.), volto a dare volutamente un senso di ‘speranza’ a tutto il brano eseguito e alla declamazione della preghiera cantata.
Lajos Bàrdos (1899-1986)
LA VOCE E LA SUA ESPRESSIVITA’ | 19
Il personaggio
A Claudio Monteverdi hanno riferito di uno studioso venuto da un Paese remoto per incontrarlo e lui, di natura curiosa, ha accettato. Così mi hanno fatto indossare un bel vestito rinascimentale e un paio di calzature adatte, per sembrare meno strano, e mi hanno spiegato il cerimoniale per avvicinare il compositore.
Le Interviste impossibili: Due chiacchiere con Claudio Monteverdi, addì 20 Agosto 1638 DI ANDREA ANGELINI
ANDREA ANGELINI Diplomato in pianoforte presso il Conservatorio ‘Frescobaldi’ di Ferrara e laureato presso il Conservatorio di Cesena, con il massimo dei voti, in Composizione Corale e Direzione di Coro, dirige il Coro Polifonico ‘Carla Amori’ e l’Ensemble professionale ‘Musica Ficta’. E’ direttore artistico del Rimini Choral Workshop, del Claudio Monteverdi Choral Competition, del Rimini International Choral Competition e del Liviu Borlan Choral Competition. E’ stato membro della giuria di innumerevoli concorsi corali in Italia, Europa ed Asia. Tiene continuamente corsi di musica corale in tutto il mondo, presso Istituzioni, Università e Cori. E’ Presidente di AERCO, e membro dell’ACDA, l’Associazione Americana dei Direttori di Coro. E attualmente direttore dell’ICB, l’International Choral Bulletin dell’IFCM.
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IL PERSONAGGIO
Mi hanno anche consigliato di non chiedere troppo in merito alle polemiche con Giovanni Maria Artusi e di andarci cauto a fare paragoni con Giovanni Pierluigi da Palestrina. Finalmente mi hanno introdotto al suo cospetto. Entro in San Marco a Venezia, salgo una stretta scala che conduce al pergolo di sinistra e d’improvviso me lo trovo davanti, mentre i cantori di San Marco, finita una prova, stanno abbandonando il luogo. Mentre salivo le scale ho riconosciuto il brano che stavano finendo di provare: Laudate Pueri Dominum di Adrian Willaert. Ecco, magari questo potrebbe essere un buon argomento per iniziare la nostra conversazione. CM: Mi mancano Mantova e Cremona… Qui a Venezia c’è troppa umidità e la salsedine del mare peggiora la mia artrosi. Ovvio, è prestigioso lavorare qui, ma a volte… vorrei essere a Cremona, anche se ciò mi rimanda a tristi vicissitudini…Comunque, mi scusi per questo inizio, non vorrei rattristarla con le mie vicende familiari. Mi hanno detto che lei scrive per un giornale anche se non ho ben capito di cosa si tratta. AA: Si, maestro, la ringrazio per questa opportunità. I miei lettori saranno increduli di questa intervista! Deve sapere che negli ultimi anni la musica corale si è molto sviluppata dovunque e si è creato un rinnovato interesse per la musica rinascimentale.
tutte queste categorie; si rende conto che lei è uno dei principali innovatori che portarono al cambio di stile?
Claudio Monteverdi (1567-1643)
CM: Ovvio, lei sta parlando di musica corale contemporanea, di quella che io ed alcuni miei seguaci stiamo riformando, con estrema fatica, sapesse, ma con tanta soddisfazione. Qui a Venezia siamo più liberi, credo lei lo sappia… AA: Beh, maestro, penso sarebbe difficile spiegarle il mio punto di vista sulla ‘contemporaneità’ della musica rinascimentale… Comunque volevo partire un po’ dall’inizio. Che ricordi ha dei suoi primi anni da compositore? CM: Non è semplice, col senno di poi…Ero considerato un ‘bambino prodigio’. Nel 1582, a soli 15 anni, avevo già pubblicato le Sacrae Cantiunculae, presso il famoso editore Gardano di Venezia; ‘E’ un allievo di Ingegneri’, dicevano allora, e in questa Antologia di Mottetti, pur nell’evidente ricalco di certi stilemi del grande polifonista sacro, Maestro della Cattedrale di Cremona con il quale studiavo, volevo dimostrare una sottigliezza di scrittura che rimarrà una mia felice costante: i Mottetti sono a tre voci, non a cinque come usanza del tempo, e questo le dice che da giovane non ero tanto attratto dalle grosse sonorità quanto piuttosto dal raffinato rapporto con la parola, nella miglior tradizione della scuola di canto che ha origine nelle corti italiane del Quattrocento. AA: Il suo lavoro, maestro, segna più di ogni altro il passaggio dalla ‘prima prattica’ (la polifonia tipicamente della scuola romana), alla ‘seconda prattica’ e poi alla musica ‘monodica barocca’. Nel corso della sua vita lei ha prodotto opere che possono essere classificate in
CM: Seguendo il movimento generale dell’epoca, basato sulla concentrazione espressiva della singola voce, ho fatto proprie le nuove teorie secondo le quali la musica doveva illustrare i contenuti espressivi della parola, potenziandoli e traducendoli in immagini sonore. Dico spesso: l’armonia sia serva dell’orazione! Comunque, l’evoluzione della mia opera si dipana nel periodo del mio soggiorno a Mantova, presso i Gonzaga. Tra il 1587 e il 1606, ho pubblicato cinque libri di madrigali, ancora polifonici e concepiti secondo la logica cinquecentesca, ma rivelanti elementi di forte originalità. Nel primo libro emergono alcuni inaspettati ritmi di danza, di fresca ispirazione popolaresca, o atmosfere arditamente sensuali, come quelle di ‘Baci soavi e cari’, su testo di Battista Guarini. Lo ha conosciuto il Guarini? Nel secondo e nel terzo, confrontandomi spesso con Torquato Tasso, cerco di far emergere con evidenza la singola voce, continuando la ricerca di individualità solistiche nel quarto libro. Ma è nel quinto libro, del 1605, che si apre pienamente il mio ideale di una musica che non si chiuda mai nel gioco astratto dei rapporti sonori, ponendosi invece come manifestazione e riproduzione delle passioni umane. È in questo libro che riassumo compiutamente la seconda prattica, col basso continuo (che favorisce l’impiego di dissonanze senza preparazione, grazie alla sua chiara indicazione armonica) e lo stile concertato, che contrappone il solista al coro o gruppi di voci di diverso peso, registro e timbro, creando una atmosfera drammatica, caravaggesca. AA: Ma questo modo così moderno di pensare, di scrivere, caro maestro, le ha procurato dei bei grattacapi. Mi scusi se gliene parlo, ma è impossibile far finta di non sapere della sua ‘querelle’ con…lo dico?... Giovanni Maria Artusi. Se rievocare questa storia non le procura troppo dolore, gradiremmo qualche parola in merito. CM: Ah, quel nome… Qual misera tenzone! Beh, comunque, questi sono i fatti. Nel suo ‘Delle imperfettioni della moderna musica’ Artusi si scagliava contro quelle innovazioni di cui ho fatto cenno, praticate non solo dal sottoscritto ma anche da altri madrigalisti dell’ambiente mantovano e ferrarese, come Luzzaschi, Gesualdo, il giovane Sigismondo D’India, solo perché contrarie alle regole del contrappunto classico e a tutta la tradizione della musica ‘pura’ e concettuale di stampo pitagorico che a quelle regole era sottesa. Risposi con CLAUDIO MONTEVERDI | 21
‘Ho fatto proprie le nuove teorie secondo le quali la musica doveva illustrare i contenuti espressivi della parola, potenziandoli e traducendoli in immagini sonore. Dico spesso: l’armonia sia serva dell’orazione!’
alcune lettere, firmandomi l’Ottuso Accademico, e come da regola in ogni querelle che si rispetti, seguì la contro-risposta dell’Artusi. Ma la risposta migliore a queste critiche furono il mio Quarto e soprattutto il Quinto Libro dei Madrigali, dove intensificai tutti gli espedienti formali già sperimentati nel Terzo Libro, aggiungendo in quest’ultimo un’altra fondamentale innovazione: la prescrizione di un basso che doveva sostenere le linee vocali, ma non raddoppiandole meramente, bensì ponendosi con esse in un rapporto di larga indipendenza: per distinguerlo dal basso che raddoppiava, in uso nella musica liturgica e chiamato basso seguente, questo lo chiamai invece basso continuo. La funzione di questo basso era quella di consentire alle voci superiori, tre, due o una voce acuta, nella tradizione del Concerto delle Dame ferraresi, di muoversi con grande libertà per esprimere gli affetti del testo, mentre il basso doveva fungere da collante sonoro che ripristinava per altra via la fluidità polifonica compromessa. Ma la polemica non si fermò qui: pensi che Artusi, in maniera vile, celato sotto lo pseudonimo di Antonio Braccini da Todi, ebbe ancora la voglia di rispondere: a questo punto intervenne, in mia difesa, mio fratello Giulio Cesare, anch’egli compositore, in una ‘Dichiaratione premessa agli Scherzi musicali (1607) di Claudio’, mentre io meditavo di esporre più diffusamente i miei principi in un trattato intitolato polemicamente ‘Seconda prattica, overo Perfetione della moderna musica’, che però non venne mai stampato. So che per lei tutto ciò potrebbe sembrare senza senso e non mi giudichi come una persona polemica per spirito di contraddizione; ero sicuro di quanto affermavo! Quando mi allontanavo dalle regole lo facevo con perfetta coscienza e a ragion veduta, allo scopo di evidenziare il contenuto affettivo delle poesie messe in musica. Ma ancora lui, Artusi, sempre sotto lo pseudonimo di Braccini, ribatteva a mio fratello con il suo ‘Discorso secondo musicale’, del 1608. Stremato, l’ultima parola spettò a me, e a quelli che, come me, rifiutavano un astratto ideale di bellezza musicale fondato su presunti fondamenti pitagorico-matematici in nome del valore espressivo della musica, della sua capacità di esprimere e suscitare gli affetti dell’animo umano. Perché il nuovo stile incontrò sempre maggior successo nei cenacoli culturali delle corti di tutta Europa, facendo cadere ben presto nell’oblio il vecchio stile contrappuntistico puro, che non venne più applicato a testi madrigalistici. Alla fine ero riuscito nell’intento, ma sa i bruciori di stomaco che tali sforzi mi son costati? AA: Mi scuso ancora, mi avevano avvertito che lei non amava parlare di quest’argomento. Nel paese dal quale vengo queste dispute si svolgono sui social-network, a migliaia, tutti i giorni e per futili motivi. Ma non pretendo che lei possa capire questo. Provo ammirazione per la sua tenacia! Maestro, ci racconti un po’ della sua vita a Venezia, città in cui lei si trova oramai da tanti anni… CM. Come saprà, sono a Venezia da circa venticinque anni, esattamente dal 5 Ottobre 1613, dove vanto un trattamento faraonico: ‘Il servizio poi è dolcissimo’, lo scrissi anche nel 1620 al mio grande amico mantovano, il conte Alessandro Striggio. A sette anni dallo sbarco a Venezia a lui raccontavo, davvero compiaciuto, del grande rispetto che riceveva la mia autorità artistica e professionale, della libertà in riferimento agli obblighi d’orario e, particolare degno di nota, della lauta retribuzione: lo stipendio che ricevo a San Marco, come Maestro di cappella, che già all’inizio del mio incarico ammontava a trecento ducati, ha ormai raggiunto le vette dei quattrocento ducati annui. Una somma che i miei colleghi del passato (tra cui Adrian Willaert, Cipriano de Rore e Gioseffo Zarlino) mi avrebbero invidiato, senza contare i duecento ducati guadagnati dai lavori ‘fuori busta’. Il trattamento lusinghiero e gratificante che ho ottenuto a Venezia viene per di più esaltato dal ricordo che avevo di quei pochi, incerti e ritardatari scudi offerti a Mantova; capitava infatti che i pagamenti non arrivassero in tempo e che
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IL PERSONAGGIO
addirittura fossero condizionati ‘alla morte del principe’. Sa cosa dicevo sempre a Striggio? ‘Chi vuole il servitore contento deve accontentarlo in modo onorevole’! E dire che il mio arrivo a Venezia non è stato per nulla agevole: quattro giorni di viaggio in cui venni derubato e umiliato da due malviventi, i quali mi risparmiarono solo un mantello di raso confezionato a Cremona (troppo lungo per la statura dei banditi) e la domestica, che impietosì i malviventi con diverse preghiere, scongiuri e pianti; come se non bastasse, dopo aver passato la notte in un’osteria, la barca su cui viaggiavo restò insabbiata per quasi due giorni finché la forte pioggia e il vento disincagliarono l’imbarcazione. Insieme alla mia famiglia arrivai a Venezia solo alla mezzanotte del giorno dopo, sicuramente con lo spirito sconsolato e l’abito inumidito! AA: Prima di congedarci, caro maestro, vorrei rivolgerle un’ultima domanda. Salendo le scale che mi hanno portato sin qui, ho avuto la fortuna di ascoltare un brano del suo predecessore maestro di cappella a San Marco, Adrian Willaert. Il Laudate Pueri Dominum è un salmo a cori spezzati e sono davvero onorato di averlo potuto ascoltare nella sua cornice ideale, ovvero in Basilica. Cosa rende così unica l’acustica del luogo dove ci troviamo? CM: Non sono certamente un architetto, ma considerato la complessità spaziale di una chiesa a cinque cupole, lei si sarà sorpreso nello scoprire come la chiarezza di suono per l’ascoltatore nel presbiterio raggiunga una qualità acustica riscontrabile in un sala o in un teatro della città. Fortunatamente, la leggera irregolarità della superficie del mosaico della cupola previene con successo ogni non desiderata messa a fuoco del suono. L’effetto causato dal marmo dell’iconostasi è di fornire un po’ di protezione dalla riflessione esagerata del suono proveniente da altre parti della chiesa. In altre parole il presbiterio si comporta come una chiesa all’interno di un’altra chiesa permettendo condizioni di un migliore ascolto che in ogni altro luogo della basilica. Il ‘suono’, ossia la buona resa esecutiva di queste musiche, all’interno di San Marco dipende, come le ho detto, da una complessa interazione di diversi fattori, musicali e non: non solo dalle note sulla carta, dalla strumentazione, dalle diminuzioni ‘improvvisate’, ma anche, e altrettanto fondamentalmente, dalla disposizione dei cori, in relazione alle esigenze della liturgia e del cerimoniale del giorno, e, non ultime, a quelle della stessa specificità della composizione. Questa è la magia dell’acustica in San Marco!
Bernardo Strozzi, Ritratto di Claudio Monteverdi
AA: Maestro, la ringrazio per avermi dedicato un po’ del suo tempo e per la cortesia dimostrata. Non so se ci rivedremo presto… CM: Perché no? Si ricordi di mandarmi una copia di questa nostra chiacchierata. Va bene anche un manoscritto, se vuole!
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Storia
I grandi compositori sono assai spesso accomunati da alcune fondamentali caratteristiche che chiunque, musicista o meno, addetto ai lavori o appassionato ascoltatore, può riscontrare. Prima di tutto, la coerenza che collega, come un filo invisibile, l’intera produzione artistica, un nesso logico evidentemente percepibile che rende unico lo stile di ogni grande autore.
Rossini, un crescendo lungo 150 anni DI IRENE PLACCI CALIFANO
IRENE PLACCI CALIFANO Chitarrista e direttrice di coro, ha conseguito il diploma in chitarra con il massimo dei voti e la lode e il Diploma Accademico di II livello con 110 e lode presso il Conservatorio ‘G. Rossini’ di Pesaro. E’ laureanda al Biennio di II livello di Direzione di coro e Composizione corale. Svolge attività concertistica come solista e come direttrice di diversi ensemble corali, tra cui il Coro Femminile Leukós, da lei fondato nel 2015.
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STORIA
In secondo luogo, la chiarezza del linguaggio musicale impiegato, che esprime i concetti ad esso intrinsechi senza che ci siano fraintendimenti e senza lasciare che il significato di alcuni passaggi possa sfuggire all’ascoltatore. Infine, la possibilità di confronto che tali opere offrono a chi decide di accostarsi al loro studio e alla loro interpretazione: senza limiti di spazio e di tempo, il necessario dialogo che si instaura tra compositori ed interpreti, se condotto nel modo giusto, arricchisce entrambe le parti, mantenendo intatta l’autenticità dell’opera. Di questi ‘grandi compositori’ fa certamente parte, a pieno titolo, Gioachino Rossini (1792-1868), il cui nome è ben lontano dall’essere messo da parte, poiché continua ancora oggi ad essere esempio di stile, inventiva, carattere: in breve, di dirompente personalità artistica. A 150 anni dalla morte del compositore (1868), è più che mai doveroso celebrare il genio creativo di Rossini, il ‘Cigno di Pesaro’, figura cardine nel delinearsi del panorama musicale italiano del primo Ottocento e, nel giro di pochi anni, compositore affermato anche oltralpe. Nato a Pesaro da famiglia modesta di musicisti (il padre suonatore di corno e tromba, la madre soprano dalle buone qualità), il giovane Gioachino iniziò i propri studi musicali a Lugo, in provincia di Ravenna, approfondendo il canto, il cembalo e gli strumenti ad arco, e, successivamente, a Bologna, dove si accostò allo studio della composizione con padre S. Mattei. Dopo alcune esperienze compositive, il vero e proprio esordio avvenne con la farsa La cambiale
di matrimonio (1810), cui seguirono altri lavori dello stesso genere tra cui L’occasione fa il ladro (1812) e il dramma giocoso La pietra del paragone (1812). L’anno seguente, ecco la vera affermazione del compositore con l’opera seria Tancredi e l’opera buffa L’italiana in Algeri. Chiamato a Napoli dall’impresario Barbaja per dirigere i teatri di S. Carlo e del Fondo, Rossini compone in questo periodo un grande numero di opere serie, tra cui citiamo Otello (1816), Armida (1817), Mosè in Egitto e Ricciardo e Zoraide (1818), La donna del lago (1819). Contemporaneamente, diede vita a tre celeberrime opere, di grande interesse anche per quanto riguarda l’impiego della compagine corale: Il barbiere di Siviglia (1816), che solo in un secondo momento divenne un grande successo, La Cenerentola e Gazza Ladra (1817). Rossini, con l’accrescersi della sua fama oltralpe e specialmente in Francia, assunse nel 1824 la direzione del Thèâtre Italien di Parigi, dove inizia l’ultima parte della sua carriera operistica. Scrisse per questo teatro nel 1825 Un viaggio a Reims, mentre per l’Académie Royal rimaneggiò due opere precedenti (Maometto II e Mosè in Egitto) in La siège de Corynthe (1826) e Moïse et Pharaon (1827). L’anno successivo presentò Le comte Ory e nel 1829 la sua ultima opera, il capolavoro Guillaume Tell. Improvvisamente, un repertino silenzio dell’autore, sulle cui motivazioni incisero probabilmente fattori di diversa origine: dal mutamento del panorama italiano sia dal punto di vista musicale, cui Rossini non volle adeguarsi, che politico, all’insorgere di motivazioni di carattere strettamente personale, quali una pesante depressione nervosa. Un solo capolavoro vide la luce in questo buio periodo, lo Stabat Mater, iniziato nel 1831 e completato nel 1842, brano di grandissimo rilievo nella produzione corale dell’autore. Rossini trascorse a Parigi gli ultimi anni della sua vita, circondato da prestigio e fama. Si dedicò in questi anni a composizioni vocali e strumentali da camera, raccolti poi sotto il titolo di ‘peccati di vecchiaia’ (Péchés de vieillesse). Il più importante di questi fu proprio un lavoro corale, la Petite Messe Solennelle (1863, orchestrata nel 1867 dallo stesso autore). Una produzione vasta ed articolata, in cui la personalità dell’autore è sempre caratteristicamente presente, portando con sé un bagaglio di esperienze di un vissuto sincero e profondamente sentito, tanto nell’esuberanza quanto nella gravità. Lo stile di Rossini è il frutto di una elaborazione personale che l’autore ha condotto fin dai primi anni di studio e dell’eredità musicale che ancora dominava i primi anni dell’800 italiano. L’opera italiana stava attraversando un momento spesso definito ‘stagnante’, in cui i compositori
presenti sulla scena non riuscivano a dar nuova vita alle esperienze tratte dal secolo precedente. Rossini, con grande spirito di innovazione, riuscì nell’impresa, ridando slancio alla produzione operistica italiana e determinandone la sua riaffermazione nel panorama musicale. Ciò che assicurò il successo al compositore fu l’equilibrio vincente tra le esperienze degli operisti precedenti (soprattutto Cimarosa e Paisiello, ovvero l’elemento di continuità rappresentato dall’individuare nel canto e nella melodia il punto cardine su cui costruire tutto il resto), lo studio dei modelli classici di contrappunto, l’incontro con le opere vocali e da camera di Haydn e Mozart e il fondamentale apporto dell’opéra comique francese. A livello armonico, è evidente l’apertura verso l’impiego di elementi di sorpresa, spesso tradotti nell’uso di modulazioni repentine, anche a toni lontani. Eredità ed innovazione, un binomio che trova declinazioni molto differenti nelle composizioni dell’autore, ad esempio, tra la gestione del materiale nelle opere, brillante, teatrale e coinvolgente (senza dimenticare i suoi stilemi tipici, come il celeberrimo crescendo rossiniano) e nella produzione corale sacra, caratterizzata certamente da un simbolismo più grave nell’uso della dissonanza e della modulazione (si veda, come esempio, l’Agnus Dei tratto dalla Petite Messe Solennelle). Il coro riveste senz’altro un ruolo di grande importanza nell’ambito della produzione rossiniana: l’autore lo impiega con grande frequenza, tanto in ambito operistico quanto con opere ad esso espressamente dedicate. In questa sede, citeremo alcuni esempi riconducibili a contesti di utilizzo e a periodi compositivi differenti, cercando di cogliere di ognuno i tratti più rilevanti. La prima compagine corale che si intende portare ad esempio è quella impiegata in un capolavoro dell’opera rossiniana: Il barbiere di Siviglia (1816). Si tratta in questo caso di un coro maschile, che si inserisce nella trama assumendo di volta in volta il ruolo di Suonatori o Soldati. L’opera è ricca di vitalità e sorpresa, brillante nella trama come nell’uso dell’armonia, che non manca certo di modulazioni improvvise a toni lontani (ad esempio da Do maggiore a Mi bemolle, nel finale del I atto). In questo contesto, il coro assume il ruolo di personaggi ingombranti ed in un certo senso chiassosi, a tratti goffi e a tratti di sagge parole. Una parte di non semplice esecuzione, poiché il numeroso coro partecipa a dialoghi serrati e concitati, in cui non si deve mai perdere di vista la forte componente scenica richiesta.
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Composto tra il 1831 ed il 1842, lo Stabat Mater prevede l’impiego di soli, coro e orchestra. Nonostante il successo ottenuto alla prima parigina, fu sempre rimproverato a Rossini di non aver permeato l’opera di un profondo senso di rispettosa e devota religiosità; un confronto sottinteso, forse, con il precedente capolavoro che Pergolesi aveva realizzato accostandosi alla sequenza e che Rossini ben conosceva. Stando alla biografia del compositore, non bisogna dimenticare che l’epoca di composizione dello Stabat Mater coincide con il lungo periodo di silenzio che caratterizzò la produzione rossiniana: un momento di profonda difficoltà esistenziale che, per varie ragioni, costrinse al silenzio il compositore, fatta eccezione per questa unica composizione sacra. Ora, al di là della committenza del prelato spagnolo Varela, se si considera quanto si è detto a proposito della personalità dei grandi compositori, è difficile pensare che Rossini sottovalutasse l’argomento a favore dello sfarzo teatrale; è forse più giusto pensare che egli abbia semplicemente rielaborato ciò che si apprestava a musicare attraverso uno slancio compositivo che, proprio perché sincero, non poteva rinnegare il vero spirito del compositore.
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STORIA
La Petite Messe Solennelle (1863) fa parte della raccolta dei Péchés de vieillesse, i ‘peccati’, musiche vocali e strumentali da camera, che Rossini stesso si premurò di raccogliere. L’organico originale prevede soli, piccolo coro, due pianoforti e armonium. L’indicazione del piccolo coro non è casuale, naturalmente: l’autore prevedeva infatti un totale di dodici coristi, quattro dei quali impegnati anche nelle parti solistiche previste. La composizione viene considerata una sorta di testamento spirituale del compositore, celebri le parole riportate al termine dell’Agnus Dei, ultimo movimento dell’opera: «Buon Dio, eccola terminata questa umile piccola Messa. È musica benedetta quella che ho appena fatto, o è solo della benedetta musica? Ero nato per l’opera buffa, lo sai bene! Poca scienza, un poco di cuore, tutto qua. Sii dunque benedetto e concedimi il Paradiso.» Una composizione sacra per avvicinarsi al cielo, senza rinnegare il proprio passato musicale, così come l’opera stessa viene concepita per un’esecuzione intima, raffinata e sentita, ma è pur sempre ricca di elementi stilistici, nella scrittura e nell’armonia, tipici del compositore.
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L’ultimo esempio di coro rossiniano che si propone è rappresentato dai Trois chœurs religieux (1844), per voci femminili e pianoforte. Una pagina dei Péchés de vieillesse non così spesso eseguita, dedicata alle virtù teologali: fede, speranza e carità. Pur caratterizzati dal lirismo tipico di Rossini, è emblematica la sobria condotta polifonica delle voci, una scelta simbolica, probabilmente, in accordo con la personificazione delle virtù che invitano i fedeli alla rettitudine. A dispetto della chiarezza e dell’apparente semplicità percepibile all’ascolto, questi tre brani richiedono certamente uno studio attento ed un considerevole impegno vocale, poiché le estensioni, gli intervalli e, talvolta, la condotta armonica si rivelano di non semplice realizzazione. Affrontare il repertorio rossiniano rappresenta un momento di grande arricchimento, non solo per lo spessore del compositore e per la qualità delle sue opere, ma anche, ed indissolubilmente, per la sincerità ed il genio dell’uomo. Nella chiarezza e nell’entusiasmo delle opere del compositore, nella semplicità che sembra, come si è detto, contraddistinguerle, nel grado di coinvolgimento emotivo che scaturisce all’ascolto, sia nell’euforia che nella gravità, sta la ricchezza di Rossini. Il direttore di coro che decida di dedicarsi allo studio della produzione rossiniana o che debba preparare il coro di un’opera, dovrà farlo con molta attenzione e riguardo: non si lasci ingannare dall’argomento giocoso e dall’ironia di alcuni passaggi né si abbandoni alla pura contemplazione mistica delle composizioni sacre, ma conservi sempre qualcosa di una nell’altra; ricerchi sempre l’ordine e la ‘pulizia’ dell’esecuzione, così che anche nei momenti più concitati non si scada nella confusione, ma in una ordinata sovrapposizione di personalità. Le opere di Rossini sono un suo fedele ritratto: un uomo sincero, mai banale, capace di pensiero pratico e di alti slanci intellettuali, compositore dalle molteplici sfaccettature ed inesauribile genio creativo.
Gioacchino Rossini fotografato da Etienne Carjat nel 1865
Frontespizio dello Stabat Mater
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STORIA
Cantate cori del mondo
Il vostro canto possa guidare il mondo
le vostre voci facciano scaturire sorgenti
così che la pace abbia il sopravvento
la dove vi sono roghi;
sulla guerra.
I vostri canti seminino rose
Così che tutti abbiano cura della Terra,
la dove ci sono campi di battaglie.
perchè non esistano più discriminazioni
Aprite dei solchi e seminate amore
razziali,
onde poter cogliere i frutti della speranza.
perchè tutti assieme possiamo sentirci
Cantate la libertà
fratelli e sorelle,
la dove governano i despoti!
perchè la terra gioisca il suono
Cantate l'uguaglianza
delle nostre voci.
la dove si annida la povertà. Cantate l'amore la dove prevale l'odio.
(Alberto Grau)
Storia
Francis Poulenc (Parigi 1899 - 1963) fu allievo di Ricardo Viñes per il pianoforte e di Charles Koechlin per la composizione. Nel 1920 fece parte del Groupe des Six, un sodalizio artistico con altri cinque compositori francesi - Georges Auric, Darius Milhaud, Louis Durey, Germaine Tailleferre e Arthur Honneger - nel nome di una certa predilezione per quella particolare atmosfera da music-hall che ne caratterizzò le opere.
La produzione corale di Francis Poulenc: espressione di fede, sconforto e speranza PARTE PRIMA
DI STEFANIA FRANCESCHINI
STEFANIA FRANCESCHINI
E’ docente di Lettere. Si è laureata nel 1994 in Storia della musica, con il massimo dei voti e la lode, all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha studiato chitarra, pianoforte, canto e violoncello; nel 2002 ha conseguito la licenza di teoria e solfeggio al Conservatorio B. Marcello di Venezia. Fa parte di formazioni corali amatoriali. Ha lavorato in archivi musicali e ha tenuto conferenze in Università e Conservatori italiani. É autrice di studi su vari autori; ha pubblicato ‘Tuo affezionatissimo Amilcare Ponchielli’ e ‘Francis Poulenc, una biografia’.
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STORIA
La sua prima composizione, Rapsodie Nègre (per baritono, pianoforte, quartetto d’archi, flauto e clarinetto) risale al 1917 e fu presentata come documento di accesso al Conservatorio di Parigi ma, considerata troppo vicina alla ‘gang di Stravinsky e Satie’, ossia troppo poco accademica, chiuse al compositore le porte della prestigiosa istituzione. Al 1918 risalgono le prime composizioni per pianoforte: Trois Mouvements perpétuels - una testimonianza della sua profonda ammirazione per Satie - e la Sonate à quatre mains, che presenta un evidente riferimento allo stile stravinskiano e, allo stesso tempo, alla tradizione francese. Dello stesso periodo sono anche alcune melodie con accompagnamento del pianoforte o di piccola orchestra: è il caso di Cocardes, su poesie di Jean Cocteau e de Le Bestiaire, su versi di Guillaume Apollinaire. Nel 1924 il suo Balletto Les Biches trionfa a Monte Carlo, con i Ballets Russes di Diaghilev. In seguito, scrive per Wanda Landowska un concerto per clavicembalo e orchestra, Concert Champêtre e per i Visconti De Noailles un concerto coreografico per diciotto strumenti, pianoforte e quattro ballerine, Aubade. Risalgono al 1932 alcuni dei suoi primi lavori riconosciuti a livello internazionale: il Concert in re mineur per due
pianoforti e orchestra, commissionato dalla Principessa Edmond De Polignac ed eseguito per la prima volta a Venezia e Le Bal Masqué, su testi di Max Jacob. Nel 1936, dopo aver saputo che il musicista PierreOctave Ferroud, conosciuto a Salisburgo, è morto in un incidente stradale in Austria, decapitato, Poulenc si reca presso il Santuario di Rocamadour, nei Pirenei, dove può contemplare la bellissima statua della Vergine nera: la sera stessa del suo pellegrinaggio, comincia a scrivere le Litanies à la Vierge noire, il suo primo lavoro di musica sacra per coro femminile a tre voci, sui testi normalmente recitati dalle persone che si recavano in quel luogo di preghiera. Con questa composizione egli darà inizio alla sua produzione corale sacra, punto di riferimento altamente significativo, per questo genere, nella storia della musica del novecento. Accanto alla musica corale sacra per coro a cappella (oltre alle Litanies ricordiamo: Messe in sol majeur, Quatre motets pour un temps de pénitence, Exsultate Deo e Salve Regina, Quatre petites prières de Saint François d’Assise, Laudes de Saint Antoine de Padoue), Poulenc compone anche delle cantate profane (Sécheresses, su poesie di Edward James, Figure humaine e Un soir de neige, su poesie di Paul Éluard) e due grandi mottetti per soprano solista, coro e orchestra, Stabat Mater (1950) e Gloria (1959) e Sept Répons des Ténébres, per soprano solo, coro misto (voci maschili e bianche) e orchestra. Anche la sua produzione di chansons per voce e pianoforte sarà ampliata fino alla fine della sua carriera artistica. Nel 1945, forse per reazione nei confronti degli orrori della guerra, scrive l’opera buffa Les Mamelles de Tirésias, tratta da un dramma omonimo di Guillaume Apollinaire; ma il vero capolavoro per il teatro vedrà la luce nel 1957, quando presenterà, al Teatro La Scala di Milano, Les Dialogues des Carmélites, dal romanzo omonimo di Georges Bernanos: un’opera commissionata da Guido Valcarenghi, direttore delle edizioni Ricordi di Milano. Nel 1962 Poulenc porta a termine i suoi due ultimi lavori sostanziali: una Sonata per clarinetto e pianoforte, dedicata ad Arthur Honegger e una Sonata per oboe e pianoforte, dedicata a Serge Prokofiev, due artisti scomparsi in quegli anni. Quest’ultima sonata, che si chiude con una Déploration, è considerata l’ultima opera del compositore. Poulenc morirà il 30 gennaio del 1963, per una crisi cardiaca, nel suo appartamento parigino al n. 5 di Rue de Médicis. Qui, ancora oggi, si può notare una targa che lo ricorda. I suoi funerali furono celebrati il 2 febbraio presso la Chiesa di Saint Sulpice, a Parigi. Parlando del suo rapporto con la sua musica corale sacra, Poulenc ebbe a dichiarare che questo genere gli aveva permesso di realizzarsi pienamente, in quanto gli aveva permesso di esprimere il meglio ed il più autentico di
Francis Poulenc con il soprano Virginia Zeani
se stesso. Ma non mancò mai di sottolineare che anche nelle sue opere corali profane, come Sécheresses, cantata per coro e orchestra, e soprattutto Figure humaine, egli aveva cercato di esprimere dei sentimenti nuovi rispetto a tutta la sua produzione precedente. Senza falsa modestia, il compositore era arrivato ad affermare che era stato veramente in questo ambito che egli aveva apportato qualche cosa di nuovo, tanto che dichiarava di essere sicuro che, negli anni a venire, se ci fosse stato ancora dell’interesse per la sua musica questo sarebbe stato sicuramente rivolto più al suo Stabat Mater che ai suoi Mouvements perpetuels (quindi alle sue composizioni corali piuttosto che a quelle per pianoforte). Poulenc dichiarò anche di essere sempre stato molto colpito dall’arte romanica, uno stile che poteva essere perfettamente associato al suo ideale religioso, quindi si definì molto più vicino allo stile di de Victoria che a quello di Des Préz. Non mancò mai, inoltre, di sottolineare la sua passione per il canto gregoriano, definito come l’espressione più sublime della musica religiosa per la sua profonda aderenza con il testo sacro; di de Victoria, infatti, egli affermò di ammirare l’enorme umanità, resa esplicita dalla spiccata capacità del compositore spagnolo di seguire il testo latino: del resto, nelle opere sacre di Poulenc ciò che colpisce è proprio l’attenzione riservata al testo, non solo dal punto di vista del significato, ma anche da quello della prosodia. A partire dalle Litanies à la Vierge Noire il compositore francese perfezionò il suo personale stile corale: una certa dissonanza angosciosa fra le voci che però, a tratti, si risolve in accordi tonali, quasi come un segnale di fiducia e speranza nella fede; melodie toccanti e profondamente appassionanti; frasi caratterizzate da un
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accentuato cromatismo; accordi discendenti paralleli; melismi; contrasti dinamici aspri; un metro continuamente irregolare, con battute da 3/4 o 5/4 frequentemente presenti lungo una melodia apparentemente in 4/4; una distintiva e personalissima nonché sempre ingegnosa progressione di accordi. Dobbiamo ricordare che Poulenc si formò sui corali di Bach, per quanto riguarda lo studio della composizione di musica per coro; dalle sue creazioni emerge, però, anche la profonda conoscenza della musica dei grandi compositori del genere: Monteverdi, Palestrina e Gabrieli.
La musica corale religiosa Litanies à la Vièrge noire (1936). A tre voci femminili con accompagnamento dell’organo. Il piccolo lavoro è basato sulle preghiere originali che i pellegrini recitavano nel Santuario di Rocamadour, presso i Pirenei. Il brano è in un movimento che dura circa sette minuti; è caratterizzato da brevi melismi e tonalità, o forse modi, molto fluttuanti, eseguiti dal coro che procede, per lo più, per quinte parallele. Anche in questo lavoro, come nella successiva Messe en sol majeur, i soprani arrivano a cantare un sol acuto, sostenuto da un fortissimo dell’organo, per sottolineare il momento in cui il testo loda il Santuario. Il coro è spesso a cappella, soprattutto in corrispondenza delle implorazioni a Dio; l’organo funge anche da raccordo tra le varie sezioni del testo.
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STORIA
Messe en sol majeur, per coro misto a cappella. Poulenc segue per questa Messa la strada della semplicità e dell’umiltà, scegliendo di non avvalersi di alcuno strumento accompagnatore. Fu creata nell’estate del 1937 e fu dedicata al padre; è caratterizzata da un ritmo che segue il suono della lingua francese e comprende le parti tradizionali dell’Ordinarium Missae, senza il Credo. Il Kyrie iniziale è rude e quasi primitivo perché, come ci ricorda Poulenc, così lo era anche nella chiesa delle origini. Segue il Gloria, trés animé, cioè ‘molto animato’ e quindi il Sanctus, leggero e luminoso: solo in corrispondenza delle parole ‘Gloria tua’ il coro raggiunge un fortissimo mentre, nell’ultima sezione, Hosanna, le voci si aprono in otto parti omoritmiche. Il Benedictus è un brano lento che, improvvisamente, lascia il posto al dirompente Hosanna. La messa termina nella più assoluta serenità con l’Agnus Dei, per cui Poulenc aveva una dichiarata predilezione. Quatre motets pour un temps de pénitence (1938 - 1939). Per coro misto a cappella: Timor et tremor, Vinea mea electa e Tenebrae factae sunt, a sette voci; Tristis est anima mea, a nove voci perché vi è anche un assolo di soprano. Il primo mottetto, Timor et tremor, è dedicato all’Abate Maillet che richiese a Poulenc una composizione per il coro di bambini dei Piccoli cantori della ‘croix de bois’ di cui era direttore. Fu composto sul testo dei Salmi 54, 56 e 30. Il secondo mottetto, Vinea mea electa, dai responsori delle mattine del Venerdì Santo, racconta il momento in cui Dio ricorda al suo popolo (la sua vigna) che lui stesso l’ha ‘piantato’ con amore. Il ritmo, lento e malinconico, si
anima con il ricordo della crocifissione e del supplizio di Cristo. Il terzo mottetto, Tenebræ factæ sunt, dedicato a Nadia Boulanger, è sicuramente il più tragico, poiché tratta della crocifissione di Cristo; i momenti di dolore descritti nel testo, tratto dal quinto Responsorio della mattina del Venerdì Santo, determinano, nella struttura musicale, dei subitanei cambiamenti di registro e di atmosfera. Il mottetto si conclude, in un pianissimo tragico, con un soffio di voci e con la frase pronunciata dal Cristo proprio un attimo prima di spirare ‘Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito’. Il quarto mottetto, Tristis est anima mea, conclude il ciclo nel dolore: è costruito sulle parole di Gesù nel Giardino dei Getsemani - ‘La mia anima è triste’ -, che preludono al triste suo destino. Exsultate Deo (1941), per coro misto a cappella, è stato composto per l’amico Georges Salles, in occasione del suo matrimonio con Hélène de Wendel. É indicato dallo stesso compositore come un ‘mottetto per le feste solenni’. Solenne è decisamente anche la tonalità (la maggiore), così come il ritmo, soprattutto nella seconda sezione, Jubilate Deo. Salve Regina (1941), per coro misto a cappella, è dedicato all’amica Hélène de Wendel, in occasione del suo matrimonio con Georges Salles; è un mottetto molto dolce, che il compositore raccomanda sia cantato nello stile di un compianto. Quatre petites prières de Saint François d’Assise (1948). Per quattro voci maschili a cappella: tenore, due baritoni, basso. Queste quattro preghiere di San Francesco d’Assisi sono dedicate ai frati minori di Champfleury: il nipote di Poulenc, frate Jerome Poulenc, aveva chiesto al compositore di metterle in musica. Nella prima preghiera, Salut, Dame Sainte, Poulenc si rifà ad uno dei suoi modelli prosodici preferiti: la litania. Tout puissant, trés Saint, la seconda preghiera, si apre con un canto omofonico e omoritmico delle voci; Seigner, je Vous en prie, la terza preghiera, è caratterizzata da un’armonia fine e penetrante che ben esprime il suo senso devozionale e di supplica. O mes trés chers frères, l’ultima preghiera, riprende lo spirito della prima, dando inizialmente voce al solo tenore che introduce il brano, secondo le modalità gregoriane. Stabat Mater (1950). Per soprano solista, coro a cinque voci miste e orchestra. Fu dedicato da Poulenc all’amico scenografo Christian Bérard, ‘per consegnare la sua anima a Notre-Dame di Rocamadour’, come egli stesso indica nello spartito.
Lo Stabat Mater fu scritto di getto, in due mesi; è un lavoro costruito nella forma del ‘grande mottetto’ per un coro a cinque voci e soprano solista. Divisa in dodici parti - un numero che ci ricorda gli apostoli di Gesù - la composizione presenta una grande varietà di forme poiché ognuna delle dodici sezioni ha il proprio carattere; l’orchestra è usata con parsimonia in quanto non sempre è presente nei passaggi corali: O quam tristis, come Fac ut ardeat e Quando corpus presentano, infatti, ampie sezioni con il coro a cappella, una scrittura molto familiare allo stile di Poulenc. Lo Stabat Mater, pur descrivendo in maniera mirabile il dolore della Vergine ai piedi della croce alla quale è appeso il Figlio, accompagna l’ascoltatore alla consolazione e all’accettazione di questa sofferenza. Nell’ultimo movimento il compositore affida dei grandi archi melodici al soprano solo, che viene supportato e accompagnato, a tratti, dal coro, verso la conclusione, in un’atmosfera positiva e luminosa di pace. Quatre motets pour le temps de Noël (1951-1952). Per coro misto a cappella. Si può con sicurezza affermare che, fra le composizioni per coro, queste pagine sono le più appaganti poiché furono scritte in un momento di maturità artistica, quando lo stile corale sacro del compositore era ormai ben consolidato. Dei quattro mottetti, O Magnum Mysterium è il più eseguito. Si apre in un’atmosfera calma e dolce, quasi cupa, che ben riassume il mistero della Natività: non è difficile riconoscere qui un tributo di Poulenc all’omonimo mottetto di Tomás Luis De Victoria. La voce dei soprani si inserisce dopo cinque battute a ‘raccontare’, in un delicato pianissimo, il miracolo della nascita del Bambino. Il coro a ‘bouche fermée’, in un pianissimo delicato e avvolgente, accompagna l’elogio alla Vergine che ha partorito la salvezza del mondo; il mottetto si chiude in un pianissimo, sulla parola ‘presepio’, luogo sacro che ha il pregio di accogliere il grande mistero adorato nel brano. Quem vidistis pastores è caratterizzato da una melodia malinconica e inquieta, accompagnata dal canto a bocca chiusa. Videntes stellam, calmo e dolce, racconta il momento in cui i pastori vedono la stella e offrono i loro doni al Bambino. Hodie Christus natus est, allegro e maestoso in do maggiore, finalmente introduce gioia e ritmo, con un andamento omoritmico delle voci. È un vero inno di gioia che annuncia la nascita di Cristo e crea un climax in fortissimo in corrispondenza del ‘Gloria in excelsis Deo, alleluja’. Ave Verum corpus (1952). Mottetto per tre voci femminili a cappella. Composto per la corale femminile di Pittsburg, è un meraviglioso mottetto a tre voci femminili a cappella,
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‘Poulenc dichiarò che la musica corale sacra gli aveva permesso di realizzarsi pienamente, e di esprimere il meglio ed il più autentico di se stesso’
delicato e tragico nello stesso tempo, semplice e di fondo tonale, per certi versi, ma all’occorrenza più aspro, con accordi dissonanti e modulazioni cromatiche ardue: l’armonia si complica, volutamente, in corrispondenza di tre momenti importanti raccontati dal testo: la nascita di Cristo, ‘ex Maria Virgine’, il suo sacrificio per la salvezza dell’umanità, ‘immolatum’, ed il suo supplizio, ‘in cruce’. Gloria (1959). Per soprano, coro e orchestra. Il Gloria fu commissionato dalla fondazione Koussevitzky di Boston, un organismo creato, nel 1942, dall’omonimo direttore d’orchestra russo. Questo secondo ‘Grande mottetto’, dopo lo Stabat Mater del 1950, è, come il precedente, concepito per Soprano, coro e orchestra, ma le due composizioni nascono da intenzioni differenti: lo Stabat è un pezzo austero, dal tono penitenziale e doloroso; il Gloria è invece più semplice, sia nella struttura che nel suo messaggio emozionale di gioia ed ha un carattere più vicino allo spirito profano. Poulenc stesso, infatti, riferì che il suo Gloria aveva scioccato alcuni critici, soprattutto quelli non cattolici, ma cercò anche di spiegare questa interpretazione con un aneddoto: egli raccontò di essere stato colpito dagli affreschi di Benozzo Gozzoli, nel Palazzo Riccardi a Firenze, che rappresentano degli angeli che stanno cantando; tra questi ce n’è qualcuno che tira fuori la lingua (perché, in realtà, sta cantando). Il Gloria è suddiviso in sei sezioni; l’Amen finale, un assolo del soprano, fu considerato dal compositore come un settimo movimento. La composizione si apre con un’introduzione che rappresenta un’autocitazione: la melodia dal ritmo marziale risale infatti al 1928 e corrisponde ad un pezzo che Poulenc scrisse per pianoforte solo, Hymne, citato, tra l’altro, anche in altre composizioni. Il Gloria iniziale (coro e orchestra) si apre solenne e spettacolare, in una tonalità altrettanto brillante, il sol maggiore. Il movimento termina con quella ‘piroetta’ musicale che contraddistingue molte composizioni di Poulenc e che sembra quasi essere un occhiolino che il compositore fa all’ascoltatore, con la fierezza di chi sa di aver offerto un buon lavoro. Il Laudamus te (coro e orchestra) è il movimento ispirato dagli ‘angeli che tirano la lingua’: ha, infatti, un ritmo ‘molto vivo e gioioso’. La calma arriva sul ‘Gratias agimus tibi’, quando i contralti sembrano introdurre una melodia quasi gregoriana; il coro termina il brano insieme e con decisione e con un fortissimo sulle parole ‘Laudamus te’, quasi troncando la fine della battuta, lasciata ad una pausa che prelude al ‘Trés lent et clame’ del Domine Deus, introdotto dal soprano solo. Domine fili unigeniti (coro e orchestra) è nuovamente un movimento vivace e gioioso, introdotto da una melodia esuberante e briosa; il Domine Deus – Agnus Dei (soprano solo, coro e orchestra) è, senza dubbio, la parte più emozionante del Gloria. Il primo tema, espresso dal soprano e suggerito dal clarinetto, si sentirà diverse volte nel corso del brano; nel Qui sedes ad dexteram Patris (Soprano solo, coro e orchestra) è riproposto, dal coro a cappella, il vigore con cui si era aperta l’opera. Improvvisamente l’andamento diventa ‘Straordinariamente calmo’, poiché si introduce il meraviglioso e paradisiaco assolo del soprano sulla parola ‘Amen’, una sorta di melisma accarezzato da un sottile accompagnamento del coro, ‘impercettibile’. Oggi il Gloria è il secondo pezzo di musica francese più eseguito nel mondo, secondo la Sacem, l’unione dei compositori francesi, sorpassato solo dal Bolero di Ravel. Laudes de Saint Antoine de Padoue (1958-1959). Quattro mottetti per coro maschile a tre voci. Si tratta dell’ultimo lavoro di Poulenc per coro a cappella. Il compositore era molto devoto a Sant’Antonio; in questi mottetti, a tre voci e profondamente influenzati dal canto gregoriano, possiamo percepire una sostanziale differenza rispetto alle dolci preghiere rivolte a San Francesco: esprimono sicuramente un profondo mutamento nell’espressione del sentimento religioso del compositore rispetto al 1948, in senso più ‘terreno’.
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STORIA
O Jesu può essere considerato un vero e proprio inno a Gesù Cristo; O Proles è invece un inno di ringraziamento alla prole ispanica che ha dato all’Italia Sant’Antonio, un Santo così grande; Laus regi presenta un’alternanza fra declamazioni volitive e momenti di raccoglimento delle voci; Si quaeris è l’ultima lode costruita con le caratteristiche delle precedenti e, come ultima preghiera, si chiude con un ‘Gloria Patri et Filio, et Spiritui Sancto’ fortissimo ma, come raccomanda lo stesso Poulenc, ‘sans presser’ (senza spingere), seguito da una supplica al Santo, ‘Ora pro nobis, Beate Antoni’. Il tutto è coronato da un ‘Amen’ in un PPP quasi celeste. Sept répons des ténèbres (1961). Sette mottetti per soprano solo, coro misto (voci maschili e bianche) e orchestra. É l’ultimo lavoro di musica sacra di Poulenc, commissionato da Leonard Bernstein. Fu lo stesso Poulenc che scelse il testo, desumendolo da sette letture per dagli Offici notturni della Settimana Santa e dalle liturgie del Giovedì Santo, Una hora non potuistis vigilare mecum; Judas, mercator pessimus; del Venerdì Santo: Jesum tradidit; Caligaverunt oculi mei; Tenebræ factae sunt; e del Sabato Santo: Sepulto Domino, Ecce quomodo moritur justus. Il compositore si augurava che la parte solistica fosse interpretata non più da un soprano, come era stato per lo Stabat Mater e per il Gloria, ma da una voce bianca che
potesse dare un timbro originale al pezzo. Inoltre mise un ‘Avviso molto importante’ in testa alla partitura, per fare presente che sarebbe stato possibile rimpiazzare il coro di ragazzi con un coro femminile, ma non con voci di ragazzine: un richiamo a ben determinate ‘tinte’ sonore. La partitura è caratterizzata da melodie complesse e incerte: forse un indice dell’intensità drammatica che emerge dalla storia raccontata dal testo. Il racconto della Passione e morte di Cristo è accompagnato da atmosfere angoscianti e da momenti di vera ‘violenza musicale’, enfatizzati dalla forza degli ottoni; il coro riesce, invece, ad esprimere in modo molto toccante il dolore gridato da Cristo dalla croce: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’. Con Tenebræ factæ sunt finisce la parte più tragica della composizione poiché Sepulto Domino interviene a raccontare la sepoltura di Cristo, con toni seri ma solenni. Ecce quomodo moritur justus conclude l’opera con toni dimessi, quasi a voler sottolineare la rassegnazione di fronte ad una morte ingiusta: ‘Ecco il modo in cui è morto il giusto’, canta il coro. La prima esecuzione fu effettuata dopo la morte del compositore, l’11 aprile 1963 a New York.
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Stile Musica dell’Anima
In che direzione andare? Intervista al M° Walter Marzilli DI LUCA BUZZAVI
WALTER MARZILLI E’ diplomato in Canto Gregoriano, Pedagogia musicale, Musica Corale e Direzione di Coro. Ha conseguito il Dottorato in Musicologia. In Germania ha ottenuto la specializzazione nella musica per coro e orchestra, e ha conseguito il perfezionamento in Pedagogia musicale. È chiamato a tenere Master Classes presso importanti istituzioni culturali e università estere ed è spesso invitato nella giuria di concorsi di canto corale in Italia e all’estero, come membro e presidente. Dirige il Coro Polifonico del Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, l’Ensemble I Cantori del Pontificio Istituto di Musica Sacra, I Madrigalisti di Magliano in Toscana e la Corale ‘Giacomo Puccini’ di Grosseto. Ha diretto l’Ottetto Vocale Romano, il Quartetto Amaryllis e il Coro Regionale della Calabria. È Professore incaricato presso la University of Notre Dame di South Bend, Indiana-USA. È docente di Direzione di Coro presso il Conservatorio G. Cantelli di Novara. Insegna Vocalità e Direzione di Coro all’ISMUS di Rieti, al Corso Biennale di Reggio Calabria, alla Scuola Superiore per Direttori di Coro della Fondazione Guido d’Arezzo e presso l’Associazione Italiana S. Cecilia. E’ titolare della cattedra di Direzione di Coro presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma.
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STILE
LB: Bentornato sulle pagine di FarCoro. La Sua duplice competenza sia nell’ambito della Tecnica direttoriale che nell’ambito della Direzione di cori liturgici aggiungerà sicuramente un contributo interessante alla nostra rubrica, Musica dell’anima. Da cosa nasce questo suo interesse in entrambi i campi? WM: Grazie a voi per ospitarmi di nuovo. Il duplice interesse è nato da quando ho cominciato a dirigere, da ragazzo. Poi è accresciuto e si perfezionato durante gli studi al Pontificio Istituto di Musica Sacra, con i diplomi, il dottorato, gli studi in Germania, i viaggi di studio e lavoro all’estero. E si rinforza continuamente con l’insegnamento. Innanzitutto al Pontificio Istituto di Musica Sacra, dove insegno Direzione di Coro, Acustica, Fisiologia della Voce e Didattica Corale dal 1991, poi al conservatorio di Reggio Calabria e, ormai da tanti anni al conservatorio di Novara. Inoltre con l’insegnamento all’Università Notre Dame a South Bend, Indiana-USA. Infine nei tanti corsi che sono chiamato a tenere, le conferenze, le Masterclass ecc. Sono tutte occasioni di crescita, se le fai con passione e attenzione verso chi ti sta davanti. LB: Nel 2009 lei scrisse un approfondito articolo per la nostra rivista sulla tecnica del Punto Focale. Potrebbe ricordarci, in sintesi, di cosa si tratta? WM: Ci vorrebbe un libro, o meglio un video, per spiegare la tecnica del Punto Focale. Ad ogni modo, in poche parole, si tratta di modificare (correggere…) la tecnica ‘classica’. Essa distribuiva i quattro tempi di un 4/4 distribuendoli in quattro punti diversi nello spazio. Il primo verso il basso, il secondo verso la sinistra del direttore, il terzo verso la sua destra e il quarto verso l’alto (spesso anche invertendo le direzioni del secondo e del terzo). Durante i frequenti cambiamenti della dinamica e dell’agogica all’interno
di uno stesso brano, questi quattro punti si allargano (crescendo) e si restringono (decrescendo). Il risultato è che gli esecutori sono obbligati a cercare i quattro tempi almeno in dodici punti diversi dello spazio. L’idea risolutiva è stata quella di concentrare tutti i movimenti in un unico punto, seguendo una configurazione di tipo centripeto e non centrifugo. La cosa bella di questa tecnica è che tale punto, definito appunto Punto Focale (d’ora in avanti indicato con PF), non risente dell’alternarsi dei diversi livelli di dinamica, e nemmeno di quelli dell’agogica. Qualunque essi siano. Per presentare la tecnica del PF ad un gruppo nuovo di studenti faccio cantare loro una semplice scala maggiore, ascendente e discendente. Adottando il PF sono in grado di far cantare loro le più svariate, improponibili e strane variazioni della velocità e della dinamica senza dire una parola, solo con il gesto. E questo anche con persone di lingua e culture molto diverse tra loro. La cosa sorprendente è il fatto che reagiscono tutti perfettamente insieme, senza indecisioni né imprecisioni. Pur senza capire il perché. Non si pensi però che l’unicità del punto di lavoro posto nel PF porti ad un gesto univoco, compresso e limitato! Naturalmente c’è piena libertà di movimento dopo aver colpito il PF. Ci mancherebbe altro… Ed è lì che si vede chi è nato per fare il direttore, e chi invece deve studiare molto per arrivare ad esserlo. LB: La domanda nasce spontanea: quanto si è diffuso, da allora, e che risultati ha dato questo diverso approccio? WM: I grandi direttori del passato utilizzavano la tecnica cosiddetta ‘classica’ che ho citato nella risposta precedente. In quel caso contava moltissimo la mimica facciale, ma soprattutto il carisma personale, l’autorevolezza, l’ascendente sull’orchestra, e poi la fama. Ma soprattutto la sintonia e la complicità con il primo violino, capo riconosciuto dell’orchestra, in grado di risolvere i passaggi più complicati di una partitura. Eppure, ascoltando le registrazioni del passato, soprattutto quelle dal vivo, non è raro imbattersi in attacchi non sincroni, sbavature e imprecisioni. Specialmente nei cambi di velocità. Esiste un video della Quinta Sinfonia di Beethoven dei Berliner Philharmoniker diretti da Karajan, in cui si sente che nel primo attacco gli archi non sono perfettamente insieme1... Carlo Maria Giulini era un grande concertatore. Il suo gesto era molto armonioso ma piuttosto basso e di forma circolare, poco affilato e, detto con grande rispetto per l’artista, poco definito per quanto riguarda le direzioni dei diversi gesti-tempi. Ebbene, nell’ultima parte della sua grande carriera scelse di adottare la tecnica del PF, aggiungendo ai suoi movimenti una direttività che gli permise di ottenere una efficacia del tutto particolare.
Tra i direttori di epoca più recente è molto comune riconoscere l’uso del PF, con grandi vantaggi per quel che riguarda il trasferimento del pensiero musicale agli esecutori. Pochi mesi fa è venuto in Italia per tenere un corso di Direzione il M° Navarro Lara, apprezzato insegnante e direttore d’orchestra, che adotta la tecnica del PF. Concludiamo così: una volta era normale vedere un direttore adottare la tecnica classica e non quella del PF. Adesso le proporzioni si sono completamente invertite. LB: Lei trova che sia un metodo funzionale anche alla direzione di gruppi sia corali che strumentali? C’è davvero differenza tra dirigere un gruppo vocale e un ensemble strumentale? WM: La direzione dei gesti nei diversi tempi è identica! Ciò che cambia semmai è l’approccio. Spesso il direttore poco esperto si dimentica che, come il coro, anche i fiati devono respirare prima dell’attacco (ma anche gli archi e i timpani!), e non fa precedere l’attacco da un adeguato gesto di preparazione. La bacchetta poi obbliga opportunamente il direttore d’orchestra a compattare la posizione della mano destra, il cui gesto risulterà amplificato dalla bacchetta stessa (semmai resta il problema di quale posizione far assumere alla mano sinistra…). Questo non avviene per la mano del direttore di coro, libera dalla bacchetta, e altrettanto libera di assumere le più svariate posizioni, purtroppo. Palmo della mano rivolto mutevolmente in diverse direzioni (alto, basso, laterale); singole dita protese in improbabili posizioni più o meno statuarie (la più comune: l’indice aperto in fuori a indicare qualcosa anche quando non c’è niente di importante da indicare; l’altra è con il quinto dito un po’ alzato e aperto, che dà leziosità e manierismo a tutto il gesto); polso che si articola in piegamenti che indeboliscono la fermezza della trasmissione del pensiero musicale ecc… Per non parlare della bocca sempre aperta per mimare le sillabe, del busto ondulante, delle ginocchia piegate ad ogni battere o ad ogni attacco, dei piedi che camminano avanti e indietro… ma così ci allontaniamo troppo dalle mani, che sono il ‘punto focale’ di questa intervista. Vorrei approfittare di questa occasione per sfatare un mito, e parlare della cosiddetta tecnica ‘dell’anticipo’, tanto imposta dagli insegnanti di direzione d’orchestra quanto equivoca. Seppure in certe occasioni estremamente raccomandabile. In parole semplici (forse anche troppo…) si tratta di battere il tempo un po’ in anticipo rispetto al suono dell’orchestra. Trasferire questa situazione alle bacchette di un timpanista significherebbe che questi colpisca il suo strumento QUI……………….. ma il suono si senta QUI! In pratica: ............BUM!
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È interessante assistere alle giustificazioni (anche ragionevoli) che l’insegnante fornisce all’allievo per fargli accettare questa soluzione. Alcune, come dicevo poc’anzi, sono anche estremamente opportune. Ma la vera ragione di questa scelta risiede in quello che sto per dire. In passato le orchestre avevano difficoltà a capire le reali intenzioni del direttore - per esempio il primo attacco – data la rotondità e la fumosità del gesto della tecnica classica2. Era il primo violino ad agire da intermediario-traduttore tra il direttore e l’orchestra. Questo fatto, oltretutto, contribuirà in modo definitivo a conferire al primo violino il ruolo importantissimo e spesso risolutivo (al di là della scelta delle arcate ecc.) che egli ricopre all’interno di ogni orchestra3. Naturalmente il colpo d’arco del primo violino, soprattutto se è dato al tallone e immerso com’è nella selva di tutti gli altri archetti, risulta molto meno definitivo e chiaro del colpo di bacchetta del direttore, che di per sé sarebbe molto più visibile ed efficacie. Risultato: l’orchestra risultava sempre in ritardo rispetto al gesto del direttore. Quindi si trovava a combaciare con il momento del rimbalzo della bacchetta, sulla seconda suddivisione del tempo. Questo fatto attribuiva al gesto del direttore una configurazione di tipo centrifugo, tale per cui ogni reale tempo della battuta coincideva con il movimento ‘in levare’ della bacchetta4. Non avendo alternative, i direttori del passato hanno deciso di ‘codificare’ questa situazione di per sé inesatta, asserendo che il direttore dovesse sempre andare in anticipo rispetto all’orchestra. Come si dice: fare di necessità virtù… Resta il fatto che adesso, con l’adozione della tecnica del PF, questa situazione di anticipo del gesto potrebbe essere abbandonata. Tornando alla sua domanda e comparando il coro con l’orchestra, occorre sottolineare come nel primo ci sia la presenza dell’accento della parola, in grado di facilitare, aiutare e indirizzare il fraseggio. Il problema nasce quando l’accento della parola non coincide con il primo tempo della battuta. Questo avviene soprattutto nella musica del Rinascimento, alla quale sono state aggiunte le battute - allora inesistenti - per facilitare l’esecuzione da parte di un cantore moderno. L’orchestra si appoggia invece normalmente sul primo tempo della battuta. È per questo che tutti i movimenti delle battute nella tecnica orchestrale – sia classica che con il PF - sono dati con una direzione verticale e percussiva! Ed è sempre per lo stesso motivo che l’andamento in due movimenti della polifonia rinascimentale assume invece una configurazione di forma parabolica, con il primo movimento piegato e morbido: l’antico tactus non aveva obbligatoriamente l’accento sulla sua prima metà; anzi, spesso proprio sulla seconda. LB: Quindi anche ai cori liturgici, in cui spesso ci si trova a dirigere oltre alle voci, anche qualche strumento? WM: Certo! Dal punto di vista della tecnica direttoriale anche il coro liturgico può essere efficacemente diretto per mezzo del PF, a cappella o concertato con strumenti. Questo contribuirebbe sicuramente a qualificare i cori liturgici, senza tenerli in una condizione in qualche modo minoritaria. Non si offendano i cori che operano in ambito liturgico, ma se il loro direttore continua a trattarli come se non fossero in grado di diventare un coro valido e musicalmente preparato al pari di quelli che fanno i concerti, allora non potremo sperare che raggiungano il dovuto spessore artistico quando cantano nella liturgia. Senza naturalmente fare spettacolo… Faccio un esempio banale riguardo alla tecnica del direttore e la qualificazione del coro. L’uso del PF è in grado di suscitare una appropriata e opportuna risposta dei cantori agli attacchi in levare, che sono una parte importante e qualificante del fraseggio, e quindi della resa sonora. Per non parlare delle battute iniziali del brano, quando la tecnica classica deve attendere che si giunga all’intesa tra le sezioni del coro e anche all’interno della sezione stessa, prima di procedere tutti insieme in perfetta sincronia e scorrevolezza.
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STILE
‘L’idea risolutiva della tecnica del Punto Focale è stata quella di concentrare tutti i movimenti in un unico punto che non risente dell’alternarsi dei diversi livelli di dinamica, e nemmeno di quelli dell’agogica’
LB: A proposito degli strumenti da utilizzare durante la liturgia, qual è il suo pensiero? E - se c’è - qual è quello della Chiesa? WM: Il primo pensiero non deve essere il mio, ma quello della Chiesa. A costo di sembrare noioso devo ripetere ciò che forse tutti sanno, e cioè il contenuto della Costituzione Sacrosanctum Concilium, articolo 120: ‘Nella chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne, come strumento musicale tradizionale, il cui
lo fa solo occasionalmente. Ma la mia risposta alla sua prima domanda è questa: Certo che sì! Altrettanto provocatoriamente le chiedo: quando si deve addobbare la chiesa con i fiori per un matrimonio, chiamiamo uno che fa il fiorista di professione, o ci si affida al primo personaggio disponibile a farlo, che però di mestiere magari fa il calzolaio? Con tutto il rispetto per gli ormai introvabili calzolai…
suono è in grado di aggiungere mirabile splendore alle cerimonie della chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle realtà supreme. Altri strumenti, poi, si possono ammettere nel culto divino, a giudizio e con il consenso della competente autorità ecclesiale territoriale (Vescovo, n.d.r.), a norma degli artt. 22 comma 2, 37 e 40, purché siano adatti all’uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l’edificazione dei fedeli’. Il discorso potrebbe diventare troppo lungo, considerando che anche l’organo a canne era uno strumento completamente profano prima di diventare ciò che è adesso. D’altra parte è anche vero che ha impiegato alcuni secoli per diventarlo. La fisarmonica, per esempio, ancora non ci è riuscita. Almeno non mi risulta. Le chitarre sì. Ma perché non arpeggiare gli accordi, invece di imitare sempre Keith Richards dei Rolling Stones…?
LB: Spesso il direttore di coro, soprattutto liturgico, ha a che fare con cantori amatoriali. Che ruolo gioca un buon training vocale? Il direttore deve avere, quindi, anche solide competenze nell’ambito della tecnica del canto? WM: Se il coro vuole cantare, allora, come in tutte le cose, deve saperlo fare bene. E anche il direttore, naturalmente, deve conoscere il suo mestiere. Note calanti, ritmi imprecisi, portamenti, pronuncia sciatta o dialettale, accenti fuori posto, vocalità ingolata o immatura: sono tutte cose che non dovrebbero essere ammesse. Per evitare tutte queste situazioni sbagliate l’unica soluzione possibile è che il direttore conosca la materia, curi la preparazione delle voci, si occupi della qualità del risultato sonoro e metta la bellezza del fraseggio tra le priorità. Bellezza: non c’è soluzione senza di lei…
LB: Una provocazione. Per dirigere un coro parrocchiale è bene aver studiato direzione? Indipendentemente dal fatto di essere remunerati per farlo? WM: Probabilmente la risposta scaturisce tutta dalla sua seconda domanda. Se non c’è un riconoscimento anche di tipo economico, un direttore professionista non presta la sua opera all’interno della liturgia, o almeno
LB: Anche il repertorio fa la sua parte... WM: Il tasto è di quelli dolenti, ed è anch’esso legato alla bellezza. Un bel repertorio è alla base di tutto. Non si dovrebbero scegliere i brani seguendo solo le mode del momento, o assecondando i desideri di un piccolo gruppo, qualunque esso sia: sia il coro polifonico che vuole cantare tutto lui, sia il gruppo giovanile, che pure vuole cantare tutto lui. In un certo senso le due situazioni sono inconciliabili, soprattutto se ognuna delle due rimane
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(Se non canta mai e rimane sempre muta come succede di solito, inutile prevedere delle parti per lei). Naturalmente escludiamo le canzonette e parliamo di cori, visto il contesto della vostra rivista. Il consiglio è sempre quello di cercare l’equilibrio, auspicato anche da tutti i documenti della Chiesa, tra il nuovo e l’antico, Nova et Vetera. Non certo perché la Gioconda è vecchia di 500 anni qualcuno si sogna di abbandonarla negli scantinati del Louvre! E nemmeno mi posso mettere in casa una scultura moderna se è troppo grande e invadente. O no? Ma ci vuole un bel coro. E si ritorna sempre lì: bellezza e qualità. O se volete: qualità e bellezza. Invertendo l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia…
ferma e arroccata nelle sue posizioni. Difficilmente nella liturgia si assiste alla coesistenza di questi due gruppi e dei loro diversi repertori. E questa è una situazione sulla quale si dovrebbero spendere un po’ più di energie e di impegno. In tutto questo si inserisce la presenza dell’assemblea, e l’apparente necessità che canti tutto anche lei5. Ma c’è un errore di fondo: la presenza del coro polifonico non esclude quella dell’assemblea, così come la presenza del gruppo giovanile non ne facilita la partecipazione attiva. Lo vediamo ogni domenica: l’assemblea non canta i brani proposti dal gruppo dei giovani. Per tanti motivi. Volendo essere ottimisti, e senza arrivare a dire che l’assemblea non si riconosce in quei canti, bisogna osservare come il gruppo giovanile sia in grado di cambiare con frequenza i canti, prima che l’assemblea li abbia imparati. Molti compositori moderni e contemporanei (e l’elenco sarebbe davvero interminabile) hanno invece scritto preoccupandosi dell’assemblea, affiancando alle frasi polifoniche del coro alcuni semplici interventi dell’assemblea. La situazione diventa più complicata se si pensa alla musica antica, nella quale il coro aveva la parte predominante e unica. Ma un breve mottetto all’Offertorio, uno alla Comunione, che male fanno? O magari fanno del bene alla spiritualità dei presenti…?
LB: Grazie per essere stato così disponibile nel collaborare con FarCoro! WM: Grazie a voi per avermi letto.
NOTE [1] Apriamo una parentesi sull’attacco della Quinta. Si tratta di un 2/4 con inizio acefalo e tre crome a completamento della prima battuta, che unisce alla pericolosità dell’esecuzione la necessità di un suono molto incisivo e affilato. Tanto è vero che a volte, per risolvere tutto, si ha la sensazione che le tre crome iniziali vengano trasformate in una terzina data su uno pseudo-battere che non esiste. Per completezza riguardo il video di Karajan occorre dire che la sua predilezione verso i suoni accesi e brillanti dell’orchestra lo portava ad accordare gli strumenti vicino ai 450 Hz. Il risultato è che il Sol iniziale diventa quasi un Sol diesis. [2] È noto l’aneddoto di quella famosa orchestra che si era messa d’accordo per attaccare tutti insieme quando la mano del direttore (anch’egli famoso) raggiungeva il quarto bottone del suo panciotto… [3] Tale ruolo, in verità, è anche frutto di un retaggio storico. All’inizio le prime orchestre erano guidate contemporaneamente da due figure: il Kapellmeister, maestro al cembalo e concertatore, e il Konzertmeister, che era proprio il primo violino, reale direttore dell’orchestra. Si assistette poi all’unificazione delle due persone in quella del direttore attuale, ma ancora oggi è possibile rilevare questa ambivalenza del
LB: Per concludere. Esiste un programma ideale per una Messa ben cantata? WM: Purtroppo non è possibile proporre un repertorio che vada bene per tutte le situazioni. E poi l’ideale è nemico del reale. La scelta dipende dal contesto (San Pietro a Roma o chiesa parrocchiale?), dal coro (È bravo? Sa leggere? A quante voci canta di solito?), dal direttore (Ci sa fare o no?), dall’organo (Da quanto tempo non viene l’organaro a sistemarlo? Oppure è elettronico? Allora funziona bene, o mezzi tasti come al solito non suonano?), dall’organista (C’è? È bravo?), dal livello di partecipazione dell’assemblea
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doppio ruolo nei manifesti dei concerti, dove si legge spesso la dicitura ‘Maestro concertatore e direttore’. [4] In verità anche la nota ribattuta che le orchestre danno di solito sull’ultimo accordo, soprattutto alcuni decenni fa - oltre ad essere causata dal fatto che le file dei violini non erano divise, e che per suonare un accordo dovevano eseguire un bicordo alla volta - potrebbe essere nato dalla ‘codificazione’ di una indicazione non chiara da parte del direttore. [5] Che strano: nei documenti della Chiesa e di alcuni Papi c’è scritto che la partecipazione dell’assemblea al canto deve essere prima di tutto interna…
Analisi
Il Requiem pizzettiano può essere letto come una rappresentazione dell’umanità sofferente e timorosa davanti alla morte, ma che spera in un Dio che è misericordia e amore. È il Pizzetti uomo, che nel tracciare il grande affresco della morte, insieme con il peso del peccato e della tragedia, da grande spazio alla speranza.
La dimensione etica nella Messa di Requiem di Pizzetti DI NICCOLÒ PAGANINI
NICCOLÒ PAGANINI
Pronipote dell’omonimo violinista, con un curriculum di studi musicali compiuti al Conservatorio di musica A. Boito di Parma, è laureato in Lettere presso l’Università di Parma e in Musicologia all’Università di Pavia. Dirigente di una scuola secondaria di I grado, è attivo nel campo della didattica e della divulgazione musicale, e svolge un intenso lavoro artistico come direttore di coro. Responsabile artistico dell’Associazione ‘Niccolò Paganini-Parma’ e dell’Associazione culturale ‘San Benedetto’, è membro della commissione artistica dell’Associazione Emiliano Romagnola Cori, di cui ricopre il ruolo di direttore editoriale della rivista ‘FarCoro’.
Per condurre un’indagine sull’interpretazione in chiave etica del Requiem è necessario definire in modo esplicito quali sono gli elementi a cui Pizzetti affida tali funzioni. In questo senso situazioni armoniche ambigue tra diatonico e cromatico sono utilizzate in senso espressivo e drammatico principalmente, anche se non esclusivamente, quando il testo si riferisce all’umanità sofferente, come possiamo vedere nel ‘Quid sum miser’ o nell’ ‘Ingemisco’ del Dies irae, per fare qualche esempio. Invece quando si parla di Dio utilizza la modalità e l’armonia diatonica come nel ‘Kyrie’ o nel ‘Rex tremendae’ o nel ‘Sanctus’. La contrapposizione tra diatonico e cromatismo, è uno degli elementi della costruzione drammaturgica del Requiem e veicolo della dimensione etica della sua rappresentazione. Nello schema seguente mostro in sintesi i piani drammatici in cui questo viene rappresentato. Nella tabella le tipologie di procedimenti diatonici non sono specificate, mentre laddove possibile sono stati evidenziati elementi cromatici e dissonanti in rapporto alla parte testuale corrispondente.
ILDEBRANDO PIZZETTI | 41
parte testuale corrispondente.
DIATONICO BRANO
TESTO
BATTUTA
BRANO
TESTO
BATTUTA
TIPOLOGIA DI AZIONE
REQUIEM
Requiem
1-6/ 26-32
KYRIE
Christe
59-62
Progressione cromatica
Et lux perpetua
6-13/ 32-39
DIATONICO
13-25
BRANO KYRIE
TESTO KyrieChriste
BATTUTA 40-56
BRANO
TESTO
BATTUTA
TIPOLOGIA DI AZIONE
DIES IRAE
Dies irae, dies illa
1-51
DIES IRAE
Oh
3- 26
Presenza di un melisma con cromatismo e intervallo eccedente
51-67
Contrappunto ricco di armonie moderne con dissonanze a risoluzione eccezionale, presenza di accordi diminuiti
107-123
Contrappunto ricco di armonie moderne con dissonanze a risoluzione eccezionale, presenza di accordi diminuiti, scala discendente cromatica nei bassi I
Rex tremendae
67- 73
Salva me
73- 79
Recordare
81- 97
Juste Judex
98- 103
ANALISI
Quid sum miser
Ante Diem
104- 108
IngemiscoSupplicanti
Qui Maria
124- 141
Oh
3- 26
Presenza di un melisma con cromatismo e intervallo eccedente
Inter ovesConfutatisVoca me
142- 160
Voca me
155- 156
Presenza di cromatismo
Oro supplexCor contritumGere curam
159-170
Oro supplex LacrimosaJudicandusHuic ergo
160- 182
Pie Jesu
182-196
Sanctus
1 37
Hosanna
26- 37
Progressione cromatica
Benedictus
39-66
Progressione cromatica
Hosanna
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CROMATICO
Te decet
SANCTUS
CROMATICO
SANCTUS
67- 101
2
DIATONICO
CROMATICO
BRANO
TESTO
BATTUTA
BRANO
TESTO
BATTUTA
TIPOLOGIA DI AZIONE
AGNUS DEI
Agnus Dei I
1 10
AGNUS DEI
Agnus Dei II
8 19
Progressione cromatica
Dona eis
20- 29
Libera me
1 14/ 4860
LIBERA ME
Tremens
19- 21
Ostinato con nota di volta superiore cromatica
Dies illa, Dies irae
24- 30
Dum veneris
30- 35
Requiem
36-48
LIBERA ME
Tabella 1. Elenco piani drammatici in cui vi è la contrapposizione tra diatonico e cromatico
Il cromatismo in questo contesto è un evidente esempio di rappresentazione del dolore e dello smarrimento. In Dies irae, l’esposizione del primo soggetto, da parte dei contralti e dei bassi è costituito Il cromatismo in questo contesto è un evidente esempio di rappresentazione del dolore e da tre semifrasi in modo dorico sul re. Rispondono, sempre in parallelo all’ottava, i soprani II e i tenori II dello smarrimento. In Dies deldaprimo soggetto, da parte dei contralti con una sorta di melisma: è unairae, frase l’esposizione che si caratterizza un movimento di discesa e successiva salita,e con la presenza di una seconda eccedente, del cromatismo sol#-sol♮. Il melisma viene ripetuto come dei bassi è costituito da tre semifrasi in modo dorico sul re. Rispondono, sempre in un ostinato dall’andamento tipo arabesco, fermandosi ogni volta su sol#, nota che in rapporto con il re parallelo all’ottava, i soprani II un e iintervallo tenori IIdi con unamolto sortaesposto, di melisma: è una frase dal chela,si dei contralti e dei bassi si trova in tritono bilanciato in seguito punto di attrazione del melisma. di L’unione delle voci maschilisalita, e quelle rendediquesto gruppo caratterizza da un movimento discesa e successiva confemminili la presenza una seconda una rappresentazione della massa che, come le pie donne sul calvario di Gesù, commenta esprimendo eccedente, del di cromatismo sol#-sol♮. Il Qui melisma ripetuto come unmalato ostinato sentimenti misti stupore, dolore e angoscia. abbiamoviene l’incontro tra il peccatore, dal male compiuto, etipo il Sommo Bene fermandosi che è Dio. L’intervallo di quarta eccedente, cheinneirapporto secoli hacon assunto dall’andamento arabesco, ogni volta su sol#, nota che il re diverse connotazioni di significato tra il cupo e il diabolico, in questo punto sottolinea un evidente dei contraltidoloroso e dei bassi si trova in che un sembra intervallo di tritono moltounesposto, sentimento e di disperazione, richiamare alla mente passaggiobilanciato tratto dalloin Stabat mater di Verdi. seguito dal la, punto di attrazione del melisma. L’unione delle voci maschili e quelle
femminili rende questo gruppo una rappresentazione della massa che come le pie donne sul calvario di Gesù, commenta esprimendo sentimenti misti di stupore, dolore e angoscia. Qui abbiamo l’incontro tra il peccatore, malato dal male compiuto, e il Sommo Bene che è Dio. L’intervallo di quarta eccedente, che nei secoli ha assunto diverse connotazioni di significato tra il cupo e il diabolico, in questo punto sottolinea un evidente sentimento doloroso e di disperazione, che sembra richiamare alla mente un passaggio tratto dallo Stabat mater di Verdi.
3 Esempio irae, bb.1. 1-5Pizzetti, Messa di Requiem: Dies irae, bb. 1-5 Messa di Requiem: Dies
Il dualismo è espresso attraverso la contrapposizione dei melismi e la melodia gregoriana: essi maggiormente s’interpongono tra un verso e l’altro del testo e costituiscono una sorta di commento sonoro, vago e lamentoso, a differenza delle frasi della sequenza ILDEBRANDO che invece PIZZETTI | 43
Il dualismo è espresso attraverso la contrapposizione dei melismi e la melodia gregoriana: essi maggiormente s’interpongono tra un verso e l’altro del testo e costituiscono una sorta di commento sonoro, vago e lamentoso, a differenza delle frasi della sequenza che invece sono sillabate e mensuratae in modo preciso e regolare. Sul ‘Quantus tremor’, battuta 10, il primo tema, sempre proposto dalle voci dei bassi e dei contralti, subisce una piccola variazione ritmica arricchendola di melismi e di note ribattute che rendono l’andamento balbettante ed esitante, quasi come una sorta di ‘madrigalismo’ per descrivere meglio la condizione di paura e terrore dell’anima del defunto. Invece si mantiene intatto il vocalizzo dell’inizio dei soprani e dei tenori II. Il tutto avviene in una sonorità di piano cupo per chi ha la melodia e pianissimo per le voci che hanno il vocalizzo.
Messa di Requiem: Dies irae, bb. 10-15 Esempio 2. Pizzetti, Messa di Requiem: Dies irae, bb. 10-15
Un altro esempio dove lo stato di paura e smarrimento dell’umanità viene messa in rilievo attraverso i mezzi musicali lo troviamo sempre nel Dies irae: la descrizione del luogo del giudizio che il testo Un altroèesempio dove loe inquietante stato di paura e dalla smarrimento dell’umanità viene messa inmirum’, rilievo presenta resa drammatica ancora presenza della quarta eccedente. Sul ‘Tuba battuta 19, per sottolineare l’effetto della tromba del giudizio un improvvisodel e brevissimo attraverso i mezzi musicali lo troviamo sempre nel Diesfinale, irae:vilaè descrizione luogo del mezzoforte con un nuovo tema, in modo dorico, proposto sempre dai bassi e dai contralti con le altre giudizio che il testo presenta è resa drammatica e inquietante ancora dalla presenza della sezioni che mantengono il melisma iniziale. Il sol# del contralto e del basso II di fine frase si sovrappone al ritorno del tema iniziale ma trasposto a fabattuta sul ‘Per 19, sepulcra battuta 22. Questo quarta eccedente. Sul “Tuba mirum”, per regionum’, sottolineare l’effetto della cromatismo tromba del e la seconda eccedente sono ancora una volta un richiamo alla presenza del male. Interessante notare in giudizio finale, vi è un improvviso e brevissimo mezzoforte con un nuovo tema, in modo questi due passi la presenza di un altro intervallo tipico, re-mib, seconda minore ascendente, che Pizzetti dorico, proposto sempre dai bassi contralti Quindi con leinsieme altre sezioni che mantengono utilizza nelle situazioni di maggior pietà ee dai compassione. alla situazione di terrore e diil paura, vi è comunque sempre uno sguardo di pietà per l’umanità peccatrice. In altri punti Pizzetti utilizza melisma iniziale. Il sol# del contralto e del basso II di fine frase si sovrappone al ritorno del l’intervallo di quarta eccedente o di quinta diminuita per caratterizzare momenti di intensa drammaticità. tema ma trasposto a fadel sulDies “Per sepulcra regionum”, battuta 22. di Questo cromatismo Comeiniziale sulle parole ‘fons pietatis’ irae, al termine dell’accorata richiesta salvezza del ‘Salva me’ la terza volta cambia l’armonia, ritorna il si bemolle e la frase si chiude nell’indeterminatezza e e la seconda eccedente sono ancora una volta un richiamo alla presenza del male. nell’incertezza data anche dall’accordo di sol minore settima con la quinta diminuita. Qui l’anima dopo Interessante notare in questi due passidi la presenza un altroinintervallo come un’accesa richiesta di salvezza carica di luce speranza data di dall’armonia maggiore sitipico, chiude nello sconforto del dubbio. abbiamo visto in un precedente paragrafo, re-mi♭, seconda minore ascendente, presente
nelle situazioni di maggior pietà e compassione. Quindi insieme alla situazione di terrore e di paura, vi è comunque sempre uno sguardo di pietà per l’umanità peccatrice. In altri punti Pizzetti utilizza l’intervallo di quarta eccedente o di quinta diminuita per caratterizzare momenti di intensa drammaticità. Come sulle parole “fons pietatis” del Dies irae, al termine dell’accorata richiesta di salvezza del “Salva me” la terza volta cambia
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ANALISI l’armonia,
ritorna il si bemolle e la frase si chiude nell’indeterminatezza e nell’incertezza
un’accesa richiesta di salvezza carica di luce di speranza data dall’armonia in maggiore maggiore sisi un’accesa richiesta di salvezza carica di luce di speranza data dall’armonia in chiude nello sconforto del dubbio. chiude nello sconforto del dubbio.
Esempio 3. Pizzetti, Messa di Requiem: Dies irae, bb. 77-78 Esempio 3. Pizzetti, diDies Requiem: Dies irae, bb. 77-78 Requiem: irae, bb. 77-78 Messa diMessa
Nell’”Ante Nell’’ nis”, battut a 103, l’ince rtezza del Anteoratio Diem orationis’, battuta 103, del giudizio ègiudizio data dall’accordo io èè data dall’a Nell’”Ante Diem Diem orationis”, battuta 103,l’incertezza l’incertezza del giudiz datasospeso dall’accordo ccordo finale: terzo rivolto della settima di dominante sul fa. sospeso finale: terzo rivolto della settima di dominante sul fa. sospeso finale: terzo rivolto della settima di dominante sul fa.
Esempio 4. Pizzetti, Messa di Requiem: Dies irae, bb. 107-108 Esempio 4. Pizzetti, diDies Requiem: Dies irae, bb. 107-108 Requiem: irae, bb. 107-108 Messa diMessa
Per esprimere sempre uno stato di smarrimento e di incertezza si ripresenta l’intervallo di quinta diminuita, parte di un accordo di settima, in altri due passi del Requiem sempre alle parole ‘parce Deus’.
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ILDEBRANDO PIZZETTI | 45
arte di un accordo di settima, in altri due passi del Requiem sempre alle
Esempio 5. Pizzetti, Messa di Requiem: Dies irae, contralto II, tenore I e II, bb. 119
”.
Esempio 6. Pizzetti, Messa di Requiem: Dies irae, bb. 180-181 tenore contralto di Requiem: Dies irae,irae, contralto II, tenore I eII, II, bb. 119-121 I e II, bb. 119-121 Dies di Requiem: Messa Messa di Requiem: Dies irae, bb. 180-181 Pizzetti, Messa
Altri momenti in cui Pizzetti vuole sottolineare la drammaticità della situ
Altri momenti in cui Pizzetti vuole sottolineare la drammaticità della situazione sono realizzati realizzati sia con le caratteristiche musicali appena descritte ma anche attrav sia con le caratteristiche musicali appena descritte ma anche attraverso armonie dissonanti di none e di settime. Come nella condizioneCome umana rivelata nell’episodio deldella condizione um dissonanti didescrizione none e della di settime. nella descrizione ‘Quid sum miser’, da battuta 51 del Dies irae, dove il tessuto polifonico si carica di tensione e di sofferenza, un piano dolente ricco cromatismi e dimiser”, accordi diminuiti e di maggior nell’episodio deldi“Quid sum da battuta 51 deldensità, Dies irae, dove il tessu le voci da sei diventano otto, con la distinzione tra contralti I e II e bassi I e II. Vi è inoltre la presenza di due temi: il primo ai bassi II con la ripresa del motivo del ‘Dies irae’, e l’altro che allude al precedente Kyrie in modo frigio, affidato prima ai contralti II, poi a canone anche alle altre voci.
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Esempio 6. Pizzetti, Messa di Requiem: Dies irae, bb. 180-181
cui Pizzetti vuole sottolineare la drammaticità della situazione sono
le caratteristiche musicali appena descritte ma anche attraverso armonie
e e di settime. Come nella descrizione della condizione umana rivelata
“Quid sum miser”, da battuta 51 del Dies irae, dove il tessuto polifonico Ildebrando Pizzetti e Arturo Toscanini
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ANALISI
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Frontespizio di ‘Assassinio nella cattedrale’ di Pizzetti
e II e bassi I e II. Vi è inoltre la presenza di due temi: il primo ai bassi II con la ripresa del motivo del “Dies irae”, e l’altro che allude al precedente Kyrie in modo frigio, affidato prima ai contralti II, poi a canone anche alle altre voci.
Esempio 7. Pizzetti, Dies irae, bb. 51-56 Messa di Requiem: Dies irae, bb. 51-56 Messa di Requiem:
Interessante notare che la presenza dell’intervallo di seconda eccendente mi-fa# è presente
Interessante notare che presenza di seconda eccendente mi♭-fa# anche nel passaggio tra lalacadenza deldell’intervallo ‘Christe’ e la ripresa del ‘Kyrie’ nel Requiem iniziale, èb.presente 64. Sicuramente non è un caso, Pizzetti attraverso questo forteecontrasto armonico vuole accostare il anche nel passaggio tra la cadenza del “Christe” la ripresa del “Kyrie” nel Requiem
senso di inquietudine dell’anima e la richiesta di pietà a Dio. Lo stesso uso armonico e dinamico lo abbiamo quando si vuole rappresentare il senso di colpa e lo smarrimento chiaramente espresso armonico vuole accostare sensodidi inquietudine e la richiesta di amplificare, pietà a Dio. con l’’Ingemisco’ successivo, illevare battuta 109, dovedell’anima vi è evidente uno sforzo per attraverso la musica, il testo. Qui le diverse dimensioni espressive si sommano: la staticità della nota Lo stesso uso armonico e dinamico lo abbiamo quando si vuole rappresentare il ribattuta in valori lunghi dei bassi I, movimento fermo e deciso dei tenori II e l’inflessione cromatica senso colpa e losuperiore smarrimento chiaramente espresso con l’“Ingemisco” successivo, levare della di nota di volta nei contralti I e soprani I, ogni volta con una diversa interpretazione dimetrica. battuta 109, dove vi è evidente uno sforzo per amplificare, attraverso la musica, il testo. Il coro torna a quattro voci miste, l’andamento diventa Sostenuto e dal piano di fine frase, l’episodio
iniziale, b. 64. Sicuramente non è un caso, Pizzetti attraverso questo forte contrasto
Qui le diverse dimensioni espressive si sommano: la staticità della nota ribattuta in valori lunghi dei bassi I, movimento fermo e deciso dei tenori II e l’inflessione cromatica della nota di volta superiore nei contralti I e soprani I, ogni volta con una diversa interpretazione metrica.
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Esempio 8. Dies Pizzetti, Messa irae, bb. 107-112di Requiem: Dies irae, bb. 107-112 Messa di Requiem:
Il coro torna a quattro voci miste, l’andamento diventa Sostenuto e dal piano di fine frase, parte in mezzoforte. Nella descrizione dell’uomo giudicato ‘Ingemisco tamquam reus, culpa rubet l’episodio parte in mezzofo rte.parce NellaDeus’ descrizio ne dell’uom vultus meus, Supplicanti sono presenti tre elementi melodici: il richiamo a ‘quid sum o giudicat o “Ingemi sco tamquam
miser’ e quindi al Kyrie, tema del Dies irae affidato ai tenori II, e il tema cromatico discendente. reus, culpa rubet vultus meus,il Supplica nti parce Deus” sono presenti tre elementi melodici:
Nei soprani I vi è una progressione con l’uso dell’appoggiatura (7-6, 4dim.-3, 4-3) con senso negativo.
il richiamo a “quideccedente sum miser” e quindi al Kyrie, il tema del melodico dies irae alterato, affidatolaaiquinta La seconda nel tenore richiama, con un intervallo diminuita tenori II, e
presente nel melisma iniziale del DiesI irae. nella seconda parte del verso il tema armonica cromatic o discende nte. Nei soprani vi Ilè basso una I progress ione con l’uso dell’appoggiatura (7-6, 4dim.-3, 4-3) con senso negativo. La seconda eccedente nel tenore
richiama, con un intervallo melodico alterato, la quinta diminuita armonica presente nel ILDEBRANDO PIZZETTI | 47 melisma iniziale del Dies irae. Il basso I nella seconda parte del verso ribatte la nota la che
perdono e di salvezza accorata ed intensa delle voci, ribatte la nota la che funge da pedale di riconduzione che qui sono sei, sulle parole ‘Supplicanti parce Deus’ alla dominante che prepara la ripresa del tempo I. Il per poi pian piano spegnersi con i soli soprani e tenori contesto armonico è possibile definirlo quasi tardoII sul piano: al cospetto di Dio l’umanità è fragile, e di romantico, riconoscibile non solamente nella serie di fronte al giudizio finale non può pretendere ma solo collegamenti funzionali, ma nella possibilità di realizzare aspettare il verdetto. Il cromatismo è presente, come delle risoluzioni eccezionali: l’accordo non conduce possiamo accorata notare dalla sempre verso la consonanza aspetta ma un’altra e di salvezza dell’”Ingemisco” vi èche la sirichiesta di ad perdono ed tabella, intensaanche dellequando voci, il testo si riferisce a Cristo che è Dio fatto uomo. Nella lettura di armonia dissonante a sua volta. Sicuramente è una scelta che qui motivata sono sei,dal sulle parole “Supplicanti parce Deus” peranche poi pian piano con i presenza e Pizzetti, Cristo non è spegnersi esente da questa compositiva testo stesso ci presenta ”Ingemisco” vi è la richiesta di perdono e diche salvezza accorata ed intensa delle voci, lo possiamo constatare nei prossimi esempi.al immagini della colpa che faIIarrossire, dell’invocazione soli soprani e tenori sul piano: al cospetto di Dio l’umanità è fragile, e di fronte ui sono sei, sulle parole Deus” per poi pian spegnersi conedi intensa delle voci, supplicante a Dio,“Supplicanti ovverovidièquei sentimenti erano dell’”Ingemisco” laparce richiesta diche perdono e dipiano salvezza accorata giudizio finale non può pretendere ma solo aspettare il verdetto. presenti nel ‘Quid sum miser’, ma in questo soprani e già tenori sul piano: cospetto Dio passaggio l’umanità è fragile, e di al cheIIqui sono sei,alsulle paroledi“Supplicanti parce Deus” per poifronte pian piano spegnersi con i Il cromatismo presente, possiamo notare dalla tabella, anche quando il testo il senso del timore e tremore èè più intenso come e drammatico. zio finale Ritornando non può ma solo aspettare il verdetto. soli pretendere soprani tenori sul piano: al cospetto di Dio l’umanità è fragile, e di fronte al al Diese irae, a II seguire il contrappunto si riferisce a Cristo che è Dio fatto uomo. Nella lettura di Pizzetti, anche Cristo non è esente armonicamente riccocome dell’’Ingemisco’ vinotare è la ma richiesta di Il cromatismo è presente, possiamo dalla anche quando il testo giudizio finale non può pretendere solotabella, aspettare il verdetto.
da questa presenza e lo possiamo constatare nei prossimi esempi. erisce a Cristo che è Dio fatto uomo. èNella letturacome di Pizzetti, anche Cristo non è esente Il cromatismo presente, possiamo notare dalla tabella, anche quando il testo
esta presenza esiloriferisce possiamo constatare esempi. a Cristo che ènei Dioprossimi fatto uomo. Nella lettura di Pizzetti, anche Cristo non è esente da questa presenza e lo possiamo constatare nei prossimi esempi.
Esempio 9. Messa di Requiem, Requiem-Kyrie, bb. 55-61. Messa di Requiem: Requiem -Kyrie, bb. 55-61 Esempio 9. Messa di Requiem, Requiem-Kyrie, bb. 55-61. Esempio 9. Messa di Requiem, Requiem-Kyrie, bb. 55-61.
Esempio 10. Messa di Requiem, Sanctus, soprano I e II, bb. 39-48
Esempio 10. Messa di Requiem, Sanctus, soprano I e II, bb. 39-48
Messa di Requiem: Sanctus, soprano I e II, bb. 39-48 Esempio 10. Messa di Requiem, Sanctus, soprano I e II, bb. 39-48
Esempio 11. Messa di Requiem, Agnus Dei, contralto, bb. 2-11 Esempio 11. Messa di Requiem, Agnus Dei, contralto, bb. 2-11
Sono tutti esempi di progressioni cromatiche che portano sempre a tonalità maggiori: la nel Esempio 11. Messa di Requiem, Agnus Dei, contralto, bb. 2-11
casoMessa deldi “Christe” e del “Benedictus” e re♭ per l’”Agnus Dei”. Non è un caso che le Requiem:cromatiche Agnus dei, contralto, 2-11 tutti esempi diprogressioni chebb.portano sempre a tonalità maggiori: la nel armonie al termine delle progressioni cromatiche siano tutte maggiori. Il cromatismo del “Christe” Sono e deltutti “Benedictus” e re♭ per l’”Agnus Dei”. è unsempre caso che le maggiori: la nel esempi di progressioni cromatiche cheNon portano a tonalità risolve sempre in situazioni diatoniche per dare un chiaro senso del bene che trionfa sul nie al terminecaso delle siano tutte Il cromatismo delprogressioni “Christe” e cromatiche del “Benedictus” e re♭ maggiori. per l’”Agnus Dei”. Non è un caso che le male. Infatti, dalla ricorrenza di alcune situazioni armoniche specifiche si può constatare ve sempre in situazioni diatoniche un chiaro senso del bene chetutte trionfa sul armonie al termine per delledare progressioni cromatiche siano maggiori. Il cromatismo Infatti, dalla risolve ricorrenza di alcune situazioni armoniche si puòsenso constatare sempre in situazioni diatoniche perspecifiche dare un chiaro del bene che trionfa sul
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ANALISI 10 male. Infatti, dalla ricorrenza di alcune situazioni armoniche specifiche si può constatare
come Pizzetti utilizzi determinate sonorità con una connotazione etica. Ad esempio, il la maggiore viene impiegato nei momenti di preghiera più intens i: come nell’”exaudi Sono tutti esempi di progressioni cromatiche che portano sempre a tonalità maggiori: la nel caso orationem” del Requiem. del ‘Christe’ e del ‘Benedictus’ e reb per l’’Agnus Dei’. Non è un caso che le armonie al termine delle progressioni cromatiche siano tutte maggiori. Il cromatismo risolve sempre in situazioni diatoniche dare unutilizzi chiaro senso del bene sonorità che trionfacon sul una male.connotazione Infatti, dalla ricorrenza di alcune situazioni comeper Pizzetti determinate etica. Ad esempio, il la armoniche specifiche si può constatare come Pizzetti utilizzi determinate sonorità con una maggiore viene impiegato nei momenti di preghiera più intensi: come nell’”exaudi connotazione etica. Ad esempio, il la maggiore viene impiegato nei momenti di preghiera più intensi: come nell’’exaudi orationem’ del Requiem. orationem” del Requiem. Esempio 12. Pizzetti, Messa di Requiem: Requiem, contralto, bb. 20-23.
A battuta 20, l’umanità di Pizzetti si esplica ancora meglio su un forte, mai raggiunto, primo e unico nel Requiem-Kyrie, come si è visto nel paragrafo sulla dinamica, con Esempio 12. Pizzetti, Messa di Requiem: Requiem, contralto, bb. 20-23. indicazione di agogi Requiem:espres Requiem, siva, contralto,sull’a bb. 20-23ccordo di la magg ca dimolto Messa iore, la sola sezione dei
contralti canta “exaudi orationem meam” alla quale rispondono quasi tmica mente, in A battuta l’umanità di si esplica ancoraancora meglio meglio su un forte, e unico A battuta 20,20, l’umanità di Pizzetti Pizzetti si esplica su mai un raggiunto, forte,omori maiprimo raggiunto, pianissimo, le altre voci nel Requiem-Kyrie, conadindicazione di agogica molto espressiva, sull’accordo di la maggiore, la sola eccezione di quella da dei bassi II.sulla Dopo il pienocon del coro primosezione e unico nel Requiem-Kyrie, come si è profon visto nel paragrafo dinamica, dei contralti canta ‘exaudi orationem meam’ alla quale rispondono quasi omoritmicamente, ecco che si leva la preghiera di una voce femminile, che invoca salvez za in pianissimo, le altre voci ad espressiva, eccezione di quella profondadideilabassi II. Dopo la il quella pieno coro ecco indicazione di agogica molto sull’accordo maggiore, sola del sezione dei tanto agognata chedal si leva la preghiera una voce femminile, che invoca quella salvezza tanto agognata dal defunto. defun to. Il orationem ladi magg iore vienealla utilizz per esprim ere omoritmicamente, lo stesso concettoinanche contralti canta “exaudi meam” qualeato rispondono quasi Il la maggiore viene utilizzato per esprimere lo stesso concetto anche in due altri esempi come nel in due altri esempi come nel “Voca me” del Dies irae. pianissimo, altre ‘Voca me’ledel Diesvoci irae.ad eccezione di quella profonda dei bassi II. Dopo il pieno del coro ecco che si leva la preghiera di una voce femminile, che invoca quella salvezza tanto agognata dal defunto. Il la maggiore viene utilizzato per esprimere lo stesso concetto anche in due altri esempi come nel “Voca me” del Dies irae.
Esempio 13. Messa di Requiem: Dies irae, bb. 155-159. Messa di Requiem: Dies irae, bb. 155-159
Particolare è l’uso del la maggiore che troviamo nella seconda ripetizione del “Dum Particolare è l’uso delEsempio la maggiore che troviamo nellaDies seconda ripetizione del ‘Dum veneris’ del Libera 13. Messa di Requiem: irae, bb. 155-159. veneris” del Libera me. Nelle tre volte che ripete il frammento, solo nelall’inizio secondel me. Nelle tre volte che ripete il frammento, solo nel secondo, Pizzetti altera il do do,verso. Pizzetti Particolare è l’uso del la maggiore che troviamo nella seconda ripetizione del “Dum veneris” del Libera me. Nelle tre volte che ripete il frammento, solo nel secondo, Pizzetti
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alterailildo doall’inizio all’iniziodel delverso. verso. altera
Esempio Pizzetti, Messa di Requiem: Libera me, bb. 30-31. Esempio 14.14. Pizzetti, Messa di Requiem: Libera me, bb. 30-31. Messa di Requiem: Libera me, bb. 30-31
Nell’interpretazione chiaveetica eticadelle dellearee areearmonic armoniche, il sol maggiore occupa un ruolo Nell’inte rpretazione ininchiave he, il sol maggiore occupa un ruolo altrettanto simbolico: vieneutilizzat utilizzato dove neltesto testo si parla di salvezza e quindi uno stato altrettan to simbolic o: viene o dove si parla Nell’interpretazione in chiave etica delle nel aree armoniche, il sol un ruolo dimaggiore salvezzaoccupa e quindi uno altrettanto stato beatitudine. simbolico: viene utilizzato dove nel testo si parla di salvezza e quindi uno stato di beatitudine. didi beatitudine.
Messa di Requiem: Requiem, bb. 6-10 Esempio Pizzetti, Messa di Requiem: Requiem, bb. 6-10. Esempio 15.15. Pizzetti, Messa di Requiem: Requiem, bb. 6-10.
La morte non è la fine, secondo il pensiero di Pizzetti, e lo rivela in questo esempio in cui tutte le voci morte larispondere fine, secondo il pensiero di Pizzetti, lo rivela in questo esempio in cui entrano alla ildisperazione delleebattute iniziali, cantando la speranza della LaLa morte nonnon è per laè fine, secondo pensiero didell’uomo Pizzetti, e lo rivela in questo esempio in cui luce eterna. Infatti, rispondono, a canone, in pianissimo, all’incipit dei bassi II, le altre voci. L’entrata dei tutte voci entrano per rispondere alla disperazione dell’uomo delle battute iniziali, tutte le le voci entrano risponde re alla disperaz ione dell’uom o delleil passaggio battute iniziali, soprani e poi deiper tenori, prima delle altre, e il si bequadro, che determina dall’atmosfera cantando la speranza della luce eterna. Infatti, rispondono, a canone, in pianissimo, dal re minore passa al solare sol maggiore, l’atmosfera luminosa, e le parole la colmano cantandocreata la speranza della luce eterna. Infatti, rendono rispondo no, a canone, in pianissimo, di speranza: ‘Et lux perpetua luceat eis’. Su luceat eis i bassi II, a battuta 8, addirittura fanno un altre, arpeggio all’incipit bassi II, le altre voci. L’entrata dei soprani e poi dei tenori, prima delle all’incip it deidei bassi II, le altre voci. L’entrat a dei soprani e poi dei tenori, prima altre, di settima maggiore sul sol, armonia ardita e intensa che colpisce ancora di più in undelle contesto modale. si Ilbequadro, che determina il passaggio dall’atmosfera creata dal re minore passa al e ile siil bequadr o, che fa# come un’appoggiatura ascendente il sol che invece scendedal al mi: sorta passa di notaal sfuggita determina il passaggiverso o dall’atm osfera creata re una minore superiore, molto caratteristica dello stile operistico non certo per un brano di musica sacra. Questo disegno melodico, come uno squarcio di luce improvviso ma destabilizzante in uno scenario di buio e cupo dolore, sottolinea la preghiera drammatica di augurio della luce eterna per il caro defunto. 12 12 Altri passi con la presenza significativa dell’armonia in sol maggiore sono il ‘Salva me’ del Dies irae dove alla forte richiesta di salvezza dell’anima l’utilizzo di questo accordo fa presagire che essa otterrà con certezza la pace eterna. Il sol maggiore lo abbiamo anche in un contesto diverso ma dal medesimo significato: un momento estatico, sottolineato anche da una pausa che porta al Sostenuto ma pianissimo e dolce del conclusivo ‘Pie Jesu’, levare di battuta 183, che si presenta con un arpeggio in sol maggiore con imitazione fra tenori e soprani, per giungere alle parole ‘dona eis requiem’ quasi in
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ANALISI
maggiore con imitazione fra tenori e soprani, per giungere alle parole “dona eis requiem” quasi in omoritmia e in un momento di forte impatto sonoro ed emotivo.
L’armonia di sol maggiore la ritroviamo infine nel “Dominus Deus Sabaoth” del Sanctus, Esempio 16. Pizzetti, Messa di Requiem: Dies irae, bb. 180-184 bb. 11-12 e nelMessa “Requie m”Dies delirae, Libera me; su questo esempio però mi soffermerò al termine di Requiem: bb. 180-184
del paragrafo.
Nella topografia delle aree armoniche del Requiem un ruolo particolare spetta a fa omoritmia in un momento di forte impatto ed ine emotivo. maggior e. eEssa viene associata con sonoro l’immag che Pizzetti vuole dare di Dio, L’armonia di sol maggiore la ritroviamo infine nel ‘Dominus Deus Sabaoth’ del Sanctus, bb. 11-12 e nel un’immagine che non è quella di un giudice severo di cui avere paura ma possiamo vedere ‘Requiem’ del Libera me. Nella topografia delle aree armoniche del Requiem un ruolo particolare spetta
che a fa maggiore. con l’immagine Pizzettirdioso: vuole dare un’immagine non è quellaEssa di viene un associata padre amorevo le 13 e che miserico neldi Dio, “Sanctus ”, bb.che1-6, e è quella di un giudice severo di cui avere paura ma quella di un padre amorevole e misericordioso: nel nell’”Hosanna”, 30-37 e 90-101, del Sanctus e nel “dona eis requiem sempiternam” ‘Sanctus’, bb. 1-6, e nell’’Hosanna’, 30-37 e 90-101, del Sanctus e nel ‘dona eis requiem sempiternam’ dell’Agn us Dei. Dei. dell’Agnus
Esempio 17. Pizzetti, Messa di Requiem: Agnus Dei, bb. 20-29. Messa di Requiem: Agnus dei, bb. 20-29
Al termine dell’Agnus Dei l’utilizzo del fa maggiore, con un evidente richiamo ai due esempi precedenti del Sanctus, ha il chiaro intento di accostare Dio, sommo bene, alla pace
del riposo eterno del defunto.
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Concludo presentando un’ultima chiave di lettura che trovo partico larmente significativa. Il tema iniziale della Messa viene ripreso al termine del Requiem, dai contra lti, nel secondDei o movim Al termine dell’Agnus l’utilizzoento del fadimaggiore, evidente ai due esempi precedenti battuta con 25.unUn quartorichiamo e mezzo dopo, impieg ando la
del Sanctus, ha ilretoric chiaro intento di accostare Dio, sommo bene, alla pace del riposo eterno del defunto. classic a figura a della catabasi per dare il senso dell’avvilimento, i bassi primi fanno Concludo presentando un’ultima chiave di lettura che trovo particolarmente significativa. Il tema una scala discen dente re minor e, imitati prima dai iniziale della Messa vienediripreso al termine del Requiem, dai sopran contralti, nel secondo movimento di II i e poi dai tenori; i bassi battutatengon 25. Unoquarto e mezzo dopo, impiegando la classica figura retorica della catabasi per dare il invece un lungo pedale sulla tonica re. Sul “dona eis, Domine” arriva la pace del fa senso dell’avvilimento, i bassi primi fanno una scala discendente di re minore, imitati prima dai soprani maggi ore, che come già scritto enza èsulla sempr e accost e poi dai tenori; i bassi ho II invece tengonoinunpreced lungo pedale tonica re. Sulato ‘dona eis, Domine’ a Dio sommoarriva bene. la pace del faabbina maggiore, comeento ho già precedenza è sempre accostato a Dio sommo Tutto questo to adche andam in scritto formainomori tmica di tutte le voci sulla sonorità del bene. Tutto questo abbinato ad andamento in forma omoritmica di tutte le voci sulla sonorità del e. mezzoforte rende più intensa ed accorata la richiesta di pace eterna al Signore.
mezzoforte rende più intensa ed accorata la richiesta di pace eterna al Signor
18. Pizzetti , Messa di Requiem: Requiem, bb. 26-30. Requiem:oRequiem, bb.. 26-30 Messa diEsempi
Questo passo ha notevoli analogie con un punto del Libera me dove si riprende lo stesso Questo passo ha notevoli analogie con un punto del Libera me dove si riprende lo stesso testo: testo: sul calmo dolce del “Requiem”, battuta 36, il soprano e il tenore sul calmo dolce del ‘Requiem’, battuta 36, il soprano e il tenore fanno una scala ascendente sol fanno unadiscala maggiore di terza, fanno un lungo ipedale sol-re. Qui Pizzetti ascend ente adidistanza sol maggi ore amentre distanizabassi di terza, mentre bassi sulla fannoquinta un lungo pedale sulla utilizza la figura retorica dell’anabasi, in contrapposizione alla catabasi del Requiem, per dare il senso quinta sol-re. Qui Pizzetti utilizza la figura retorica dell’anabasi, in contra alla dell’ascesa a Dio. Su ‘Et lux perpetua luceat eis’ il soprano, dalla metà di battuta 42,pposiz esegueione la scala cataba del Requie m, per dare di resimaggiore discendente che,ilarmonicamente parlando, dalla la giunge alla tonica re senso dell’ascesa a Dio. Sudominante “Et lux perpet ua luceat eis” il maggiore. Se nell’esempio precedente l’arrivo alla pace e al fa maggiore era dato da un’armonia di re soprano, dalla metà di battuta 42, esegue la scala di re maggiore discendente che, armonicamente parlando, dalla dominante la giunge alla tonica re maggiore. Se nell’esempio precedente l’arrivo alla pace e al fa maggiore era dato da un’armonia di re
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ANALISI
dal dolore, qui si ancora incerta speranza di una eis” carico “dona quindi quindi unminore, ancora avvolta dal dolore, qui si incertaavvolta speranza di una eis” carico un “dona del defunto. nell’anima splenderà che eterna luce eterna della certezza chea è“luceat “luceat eis” del defunto. nell’anima che splenderà della luce è certezza eis” che giunge
IV di re
IV di re
I46 di re
I46
di re
II 7/la
I
V
Messa di Requiem: Libera me, bb.. 36-47 Esempio 19. Pizzetti, Messa di Requiem: Libera me, bb. 36-47.
II 7/la
V
I
minore, quindi un ‘dona eis’ carico di una speranza incerta ancora avvolta dal dolore, qui si giunge a ‘luceat eis’ che è certezza della luce eterna che splenderà nell’anima bb. 36-47. del defunto. Esempio 19. Pizzetti, Messa di Requiem: Libera me,scritte affermato quanto Maestro, dalMaestro, battute ultime le sono queste che conto Tenendo Tenendo conto che queste sono le ultime battute scritte dal quanto affermato acquista ancora più senso. In questo modo anche il ritornello conclusivo del ‘Libera me’ ha tutto un ha altro acquista ancora più senso. In questo modo anche il ritornello conclusivo del “Libera me” significato rispetto a quello iniziale.
tutto un altro significato rispetto a quello iniziale.
o conto che queste sono le ultime battute scritte dal Maestro, quanto affermato
a ancora più senso. In questo modo anche il ritornello conclusivo del “Libera me” ha altro significato rispetto a quello iniziale.
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Rassegna corale Fiumi di voci Busseto,
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novembre
DI MIRCO TUGNOLO
E’ stato un vero fiume di voci e pubblico quello che ha riempito la splendida chiesa del convento di S.Maria degli Angeli a Busseto (PR). La rassegna corale, alla sua prima edizione in provincia di Parma e in regione, nasce da una costola della più articolata manifestazione (da quest’anno biennale) ‘Di Cori un altro Po’. Il suo filo conduttore, oltre l’ampio e variegato repertorio corale, è rappresentato da tanti luoghi suggestivi e dai fiumi che fanno da scenario a palazzi, santuari, teatri… Le sedi dei concerti vedono protagoniste le città dell’Emilia-Romagna, legate ciascuna alla storia del proprio fiume; esso le alimenta di vitalità, così come le voci dei cori sono sorgenti di arte e bellezza. A Busseto si sono dati appuntamento il coro Ildebrando Pizzetti dell’Università di Parma, diretto da Ilaria Poldi, il Chorus Laetus di Fidenza, diretto da Luca Pollastri e il Coro Giovanile dell’Emilia Romagna, diretto da Silvia Biasini. E’ stato compito proprio di quest’ultimo coro aprire la rassegna, con un programma che ha visto spaziare la compagine, formata da giovani cantori provenienti da tutta la regione, da brani polifonici sacri ‘a cappella’ del rinascimento fino ai giorni nostri: Purcell, Pousseur, Busto solo per citarne alcuni. A seguire il Chorus Laetus, accompagnato al pianoforte dal direttore stesso, ha proposto una raffinata serie di brani corali di autori contemporanei quali Mons. Frisina, Gjeilo e Beck. L’ultimo coro ad esibirsi è stato il coro organizzatore del concerto, ossia il coro Ildebrando Pizzetti dell’Università di Parma. Il repertorio proposto prevedeva una serie di brani ‘a cappella’ aventi come filo conduttore il canto
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AERCO NOTIZIE
gregoriano. E’ proprio da questo bacino musicale che molti autori hanno attinto per comporre le loro opere eseguite dalla compagine parmigiana. Furgeri, Di Marino, Nestor, sono compositori tutt’ora in attività i quali si sono ispirati alla tradizione del canto cristiano occidentale per rielaborare melodie e brani i chiave moderna. A dare il benvenuto a tutti i presenti, sono stati don Pedro, parroco della chiesa, e il dott. Mario Corbellini, presidente della ONLUS ‘Amici del Convento di Santa Maria degli Angeli’, i quali hanno presentato la loro opera di sensibilizzazione e raccolta fondi destinata al restauro del convento francescano, bisognoso di urgenti opere di restauro e valorizzazione delle strutture e opere contenute nel complesso monastico. A dare il ‘La’ alla manifestazione è stato però il prof. Franco Bacciottini, delegato provinciale AERCO per la provincia di Parma il quale ha presentato le finalità della manifestazione e i cori presenti. Un fiume di applausi ha infine concluso la serata quando tutti i cori hanno eseguito insieme O sacrum convivium di Luigi Molfino. Una bellissima esecuzione, diretta da Ilaria Poldi, che ha emozionato il numeroso pubblico e anche qualche corista!
I cori insieme al termine del concerto
© Doriano Donati
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AERCO notizie
EnERgie Diffuse Bologna, 7 ottobre A CURA DELLA REDAZIONE
Coro polifonico Sant’Agostino
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Emilia-Romagna - un patrimonio di culture e umanità è un’iniziativa della Regione Emilia-Romagna che celebra l’Anno Europeo del Patrimonio Culturale 2018. Si tratta di una vasta campagna di sensibilizzazione che è culminata nella Settimana di promozione della cultura in EmiliaRomagna (7-14 ottobre 2018): un ricco e multiforme calendario di appuntamenti, da Rimini a Piacenza, ideato in collaborazione con gli Enti locali, le Istituzioni culturali e tutti gli operatori del settore che manifestano la volontà di partecipare. Il sistema culturale regionale, policentrico, diffuso e ricco d’eccellenze, è caratterizzato da un immenso patrimonio di beni materiali e immateriali, culture e conoscenze che la campagna vuole far conoscere a visitatori e cittadini, anche a quanti vivono in zone svantaggiate dal punto di vista dell’offerta culturale. Fare della cultura e del patrimonio culturale e creativo, strumenti di coesione sociale, integrazione, sviluppo economico e rigenerazione urbana, è stato il motore ideale dell’iniziativa che vuole, al contempo, rafforzare il senso di comunità degli attori delle politiche culturali e degli operatori culturali e della creatività. EnERgie Diffuse vuole anche far conoscere e valorizzare i più recenti interventi legislativi regionali nel settore del Cinema, della Memoria e della Musica. Con una festa tutta musicale, che ha coinvolto le bande, i cori e le scuole di musica della regione, si è dunque aperta a Bologna, domenica 7 ottobre, la Settimana di promozione della Cultura ‘EnERgie Diffuse’.
L’’’Onda sonora’ ha animato il centro di Bologna domenica dalle 14.30, in un susseguirsi di concerti di vari generi musicali che hanno coinvolto 18 gruppi di orchestre delle scuole, bande e cori regionali, tra piazza del Nettuno, piazza Maggiore e il cortile di palazzo d’Accursio. Alle 17.30 gli interventi di Massimo Mezzetti, assessore regionale alla Cultura e alle Politiche giovanili della Regione, Patrizio Bianchi e Andrea Angelini, presidente AERCO, assieme all’assessore alla Cultura del Comune di Bologna Matteo Lepore, per l’inaugurazione ufficiale sul palco allestito in piazza Maggiore. E al termine gli 800 musicisti hanno concluso tutti assieme la kermesse musicale, sotto la direzione del maestro Mirco Besutti, suonando e cantando l’Inno di Mameli e l’Inno alla Gioia di Ludwig van Beethoven (inno europeo). L’iniziativa è stata organizzata in collaborazione con le associazioni AERCO, Anbima e Assonanza. Nel cortile di Palazzo d’Accursio (Piazza Maggiore) si sono susseguiti sei cori della nostra associazione, provenienti dalle province emiliano romagnole: Coro Farthan - Bologna Coro di Voci Bianche Girasole - Modena Accademia Musicaesena Forlì-Cesena Coro Polifonico S. Agostino - Ferrara Coro San Benedetto - Parma Voci Bianche Rimini - Rimini
Coro San Benedetto
Coro voci bianche Girasole
Voci bianche Rimini
Accademia MusiCaesena
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AERCO notizie
Voci nei chiostri 2018: un successo DI FRANCESCO LEONARDI
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AERCO NOTIZIE
Incoraggiata dalla crescente adesione di cori e di Comuni della Regione, anche per il 2018 AERCO, la Federazione Regionale della Musica Corale per l’Emilia Romagna, ha organizzato il Festival Corale ‘Voci nei Chiostri’. I contenuti e le motivazioni del Festival sono molto ben descritte dalle parole del Presidente di AERCO, Andrea Angelini, che sottolinea nella sua introduzione all’evento: ‘La musica vocale è sempre risuonata nei Chiostri e nei Cortili, spazi annessi a luoghi dedicati al culto dell’anima o al viver civile. Questa dodicesima Rassegna di Cori intende ricreare le armonie che per tanti secoli avvolgevano colonne e selciati della città. I Cori partecipanti hanno scelto repertori sacri e profani, antichi e moderni, proprio per caratterizzare al massimo l’evento. La voce, a cappella oppure accompagnata da strumenti, rappresenta il primo tentativo dell’uomo di ‘far musica’; essa ha mantenuto quel fascino vibrante che deriva da un’aurea di mistero attorno alla sua genesi: nessuno sa veramente come si formi nel corpo umano, al di là dei meri aspetti fisiologici. Strumento personale per eccellenza, portatrice di mille emozioni, la voce del coro saprà regalare, a chi verrà ad ascoltare i concerti, momenti di tensione e di piacevole ascolto nonché visioni di vita vissuta sotto magnifiche arcate’. Duplice è quindi da sempre la finalità del Festival: da una parte un intento più strettamente artistico legato alla qualità e alla varietà della musica corale proposta, dall’altra la rivisitazione di luoghi magari dimenticati ma che rivestono un profondo significato religioso e sociale nella vita e nella storia della Regione. Con un percorso temporale partito dal mese di giugno per arrivare a settembre, l’edizione 2018 del Festival ha visto la realizzazione di ben 47 concerti distribuiti su 8 Province e 32 Comuni, in alcuni dei quali il Festival ha acquisito la caratteristica di una vera e propria stagione concertistica, data la numerosità degli eventi organizzati. Fra tutti i
Comuni coinvolti nel Festival brilla Rimini, con ben 10 concerti organizzati, seguita da Carpi con 5 e Bologna con 4. Anche la percentuale di cittadini della Regione che hanno costituito il bacino di utenza potenziale del Festival ha raggiunto un valore estremamente significativo, attestandosi sul 36,59% degli abitanti dell’intera Emilia-Romagna. Un dato curioso: se consideriamo la molteplicità degli eventi organizzati la percentuale di cittadini Emiliano-Romagnoli interessati dal Festival 2018 sale addirittura al 107,06%. Anche la quantità di cori che hanno partecipato al Festival ha raggiunto un numero molto importante, raggiungendo quota 73 gruppi di tutte le sfaccettature offerte dalla musica corale: polifonici, operistici, gospel, folkloristici, con e senza accompagnamento strumentale, maschili, femminili, giovanili, di voci bianche. Insomma il Festival ‘Voci nei Chiostri’ 2018 è stata un’edizione che ha dato in modo completo una misura di quanto l’arte del canto corale sia diffusa e soprattutto radicata nella Regione. Dal punto di vista artistico, a dare una misura del valore di trasmissione di un patrimonio corale troppe volte sottovalutato è stata la quantità di Compositori eseguiti nel corso delle 83 esibizioni: sono stati infatti eseguiti 727 brani di 297 Autori diversi. Tra questi spiccano in modo evidente i 224 brani di autore anonimo, segno di una tradizione che ha un ruolo estremamente importante nella cultura corale della Regione. Per quanto riguarda invece i Compositori più eseguiti possiamo citare Bepi De Marzi, J.S. Bach, Ennio Morricone, De Andrè, G. P. da Palestrina, Donizetti, Rossino, Puccini e Cohen che, come si vede,
rappresentano una panoramica temporale e di genere musicale estremamente ampia e variegata. Per tutti questi motivi, sia organizzativi che artistici, possiamo quindi affermare che l’edizione 2018 di ‘Voci nei Chiostri’ è stata un successo che speriamo di ripetere e, perché no, migliorare nelle future edizioni, concludendo con un grande ringraziamento a tutti coloro che, come artisti, come organizzatori, come sostenitori e anche come pubblico, hanno contribuito a questa kermesse corale. Ad Maiora!
Coro Farthan
Coro CantER AERCO NOTIZIE | 59
EVENTS 2019 REGISTRATION DATE Early Bird Regular
Competitions and Festivals
02 02 05 05 05 06 07 07 08 10 10
INTERNATIONAL CHOIR COMPETITION MAASTRICHT February 7 - 11, 2019 | Maastricht, Netherlands
2018 JUN
2018 SEP
2ND SING‘N‘JOY PRINCETON February 14 - 18, 2019 | Princeton (NJ), USA
2018 JUL
2018 OCT
VOICES FOR PEACE May 1 - 5, 2019 | Perugia | Assisi, Italy
2018 SEP
2018 DEC
2018 SEP
2018 DEC
6TH VIETNAM INTERNATIONAL CHOIR COMPETITION May 15 - 19, 2019 | Hoi An, Vietnam
2018 OCT
2018 DEC
7TH INT. ANTON BRUCKNER CHOIR COMPETITION & FESTIVAL June 19 - 23, 2019 | Linz, Austria
2018 NOV
2019 JAN
11 30
24
RIGA SINGS - INTERNATIONAL CHOIR COMPETITION & IMANTS KOKARS CHORAL AWARD May 1 - 5, 2019 | Riga, Latvia
21 15
12
5TH INTERNATIONAL CONDUCTOR‘S SEMINAR WERNIGERODE June 29 - July 2, 2019 | Wernigerode, Germany
24 1
10 10 17 21
2019 FEB
28
11TH INT. JOHANNES BRAHMS CHOIR FESTIVAL & COMPETITION July 3 - 7, 2019 | Wernigerode, Germany
2018 NOV
2019 FEB
2018 OCT
2018 DEC
3RD KALAMATA INTERNATIONAL CHOIR COMPETITION & FESTIVAL October 9 - 13, 2019 | Kalamata, Greece
2019 MAR
2019 MAY
8TH CANTA AL MAR – FESTIVAL CORAL INTERNACIONAL October 23 - 27, 2019 | Calella/Barcelona, Spain
2019 MAR
2019 JUN
26
GRAND PRIX OF NATIONS GOTHENBURG & 4TH EUROPEAN CHOIR GAMES August 3 - 10, 2019 | Gothenburg, Sweden
15
15 18
ON STAGE Festivals
11 10 27 3
REGISTRATION DATE
22, 2018 NOV 5, 2018 DEC 10, 2018 JAN 14, 2019 APR 15, 2019 JUN 17, 2019
TEL AVIV, Israel | March 14 - 17, 2019 VERONA, Italy | March 28 - 31, 2019 STOCKHOLM, Sweden | May 9 - 12, 2019 FLORENCE, Italy | May 23 - 26, 2019 LISBON, Portugal | September 13 - 16, 2019 PRAGUE, Czech Republic | November 7 - 10, 2019
OCT
Sing Along Concerts
05 11
SING ALONG CONCERT “ON TOUR” BARCELONA May 29 - June 2, 2019 | Barcelona, Spain SINGERS IN RESIDENCE - SING ALONG CONCERT VIENNA November 15 - 18, 2019 | Vienna, Austria
interkultur.com Choirs: © Nolte Photography, Landscape: © Fotolia
RS20 E D AN , 20
FLLY 5 – 15 JU