FARCORO 2 2019

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FarCoro Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale- 70% CN/BO

n. 2 / 2019

Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori

Musica dell’anima

Storia

Commento

Il ruolo della simmetria nel canto gregoriano

Johann Michael Haydn

SIAE.. perchè pagarla?


FarCoro

n. 2 / 2019

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La lettera del Presidente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 DI ANDREA ANGELINI

Storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 FARCORO Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori maggio - agosto 2019 Edizione online www.farcoro.it Autorizzazione del Tribunale di Bologna N° 4530 del 24/02/1977 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - CN/BO. PRESIDENTE Andrea Angelini presidente@aerco.emr.it DIRETTORE RESPONSABILE Niccolò Paganini direttore@farcoro.it COMITATO DI REDAZIONE Francesco Barbuto francescobarbuto@alice.it Luca Buzzavi lucabuzzavi@gmail.com Mario Lanaro mariolanaro@libero.it Michele Napolitano napolitano.mic@gmail.com GRAFICA E IMPAGINAZIONE Elisa Pesci STAMPA Tipolitografia Tipocolor, Parma SEDE LEGALE c/o Aerco - Via Barberia 9 40123 Bologna Contatti redazione: direttore@farcoro.it +39 347 9706837 I contenuti della Rivista sono © Copyright 2009 AERCO-FARCORO, Via Barberia 9, Bologna - Italia. Salvo diversamente specificato (vedi in calce ad ogni articolo o altro contenuto della Rivista), tutto il materiale pubblicato su questa Rivista è protetto da copyright, dalle leggi sulla proprietà intellettuale e dalle disposizioni dei trattati internazionali; nessuna sua parte integrale o parziale può essere riprodotta sotto alcuna forma o con alcun mezzo senza autorizzazione scritta. Per informazioni su come ottenere l’autorizzazione alla riproduzione del materiale pubblicato, inviare una e-mail all’indirizzo: farcoro@aerco.it.

IN COPERTINA Coro ‘Le Allegre Note’ di Riccione

Johann Michael Haydn: chi è costui? DI LUCIO GOLINO

Genere - Popolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 Il canto d’ispirazione popolare oggi tra le ‘generazioni liquide’ DI DANIELE VENTURI

Stile - Musica dell’anima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 Il ruolo della simmetria nel canto gregoriano DI ANGELO CORNO

Tecnica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 Il corale bachiano: la corona DI MARIO LANARO

Analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 I ‘Mottetti per la Passione’ di Goffredo Petrassi - parte seconda DI IRENE PLACCI CALIFANO

Repertorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 Corinfesta: i brani secondi classificati

Commento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 Aspetti didattici delle composizioni per voci bianche DI ENRICA BALASSO

Commento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 Questa SIAE... perchè pagarla? DI RANCESCO BARBUTO

AERCO notizie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 VI Concorso corale Città di Riccione Mons. Mario Dellapina, prete e musicista

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La lettera del Presidente Associazione Emiliano Romagnola Cori

DR. ANDREA ANGELINI Presidente AERCO

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La Filiera Corale: da Esplosione ad Implosione del Fenomeno? Speriamo di no! Ecco, comincio subito a chiarire qual è la mia speranza e l’augurio in merito all’assunto di cui al titolo della mia lettera. Però vi voglio parlare di questo fenomeno, di cosa la musica corale rappresenta nella cultura collettiva, italiana e no, di come essa si è strutturata, di quali sono le aspettative e gli sviluppi dell’associazionismo corale. Sono forse troppi gli argomenti da trattare in una semplice e sintetica lettera per Farcoro? Ci provo lo stesso. Brevemente vorrei introdurre il fatto che, nella mia posizione privilegiata di presidente AERCO ma soprattutto in qualità di direttore di una rivista corale internazionale (International Choral Bulletin), ho la possibilità di conoscere da vicino praticamente tutti i meccanismi, gli equilibri, le tensioni, che disciplinano questo variegato mondo di appassionati, prettamente amatori di eterogeneo livello. L’ambiente è molto competitivo e, seppure non circolino al suo interno ingenti somme di denaro, la maggior parte di cori e direttori si scambia sorrisi cordiali negli incontri ufficiali per poi argomentare aspramente sui social come nella vita reale. È umano, sicuramente è segno di vitalità… Subentrano due importanti variabili a (s)regolare la pax deorum, tanto cara ai Romani; se nel nostro caso l’elemento religioso è rappresentato dalla musica corale e i cives da chi la pratica, ecco che l’italica creativa attitudine a ‘pensarla diversamente in tutto’ addizionata ad un po’ di gelosia e reciproca rivalità, scombina l’idillio da quadretto agreste. È un duro inciso, me ne rendo conto, ma è la sana verità. Siccome però non voglio suscitare un vespaio, né un coro di critiche, non ci ritornerò più su; ognuno ha esperienze diverse e mi auguro che per la maggior parte di noi fare musica corale sia solo un’attività piacevole e rilassante, come dovrebbe senz’altro essere. Come siamo organizzati in Italia e nel mondo? Quali sono le Organizzazioni che sovrintendono le attività, che ne coordinano gli scopi, che provvedono a creare occasioni concertistiche, di incontro e di istruzione? Partendo dalla base, prima di tutto ci sono i cori che sono un po’, mi piace ripeterlo, come le Stazioni dei Carabinieri: sono presenti dovunque, anche nei più piccoli e remoti paesi d’Italia. A livello nazionale i cori, per libera scelta, sono organizzati in Associazioni Corali Regionali (sono 21, AERCO è una di queste). Le varie Associazioni Corali Regionali hanno dato vita, nel 1984, a FENIARCO. In tutt’Italia i cori associati a FENIARCO sono oltre 2.800. Capirete che stiamo parlando di almeno 100.000 cantori, ovvero di un piccolo mondo (ma mica tanto) che ruota intorno ad un comune proposito: cantare insieme! Certo, siamo ancora lontanissimi dalle percentuali baltiche dove, in paesi quali la Lituania, ad esempio, un abitante su tre è coinvolto in un coro. Fenomeni irripetibili da noi e che hanno portato quegli Stati a conquistarsi la libertà dal regime sovietico unendosi in una chilometrica catena umana cantante. In Italia comunque si assiste ad una certa unità organizzativa, anche se negli ultimi tempi stanno nascendo altre strutture e movimenti paralleli con compiti associativi. Questo fattore è a mio parere positivo per garantire la libera

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espressione culturale e la pluralità dell’offerta. Il prossimo gradino della nostra filiera corale è rappresentato dall’istituzione corale europea, ovvero da European Choral Association-Europa Cantat (ECA-EC). Motivo per essere orgogliosi è che, allo stato attuale, la presidenza è affidata ad un italiano, il M° Carlo Pavese di Torino. Sono soci di ECA-EC 63 federazioni nazionali o regionali, 198 cori, 204 membri individuali rappresentanti di 40 paesi europei ed extraeuropei, questi ultimi la Russia, la Georgia, l’Armenia, Israele, ecc… Su questo livello troviamo analoghe associazioni ‘di area geografica’, come Chorus America e ACDA negli Stati Uniti, oppure ANCA in Australia, JCA in Giappone. Alla cima della piramide organizzativa troviamo poi la Federazione Internazionale della Musica Corale (IFCM) che è stata fondata nel 1982 da alcune ed importanti associazioni corali nazionali ed internazionali (precisamente A Coeur Joie, Nordisk Korforum NKF, ACDA, Japan Choral Association ed Europa Cantat) con il proposito di lavorare insieme per rafforzare la cooperazione tra le organizzazioni corali nazionali ed internazionali ed i singoli individui in tutti gli aspetti della musica corale. Attualmente IFCM ha la sua sede principale a Lisbona ed è presieduta da Emily Kuo Vong, eletta due anni fa in occasione del Simposio di Barcellona. I progetti principali della Federazione Internazionale sono il Simposio Mondiale di Musica Corale (ogni tre anni, il prossimo sarà nel 2020 ad Auckland), il Coro Giovanile Mondiale, Conductor without Borders (per aiutare i direttori dei paesi in via di sviluppo), il World Choral Day, il Concorso Internazionale di Composizione Corale, l’International Choral Bulletin. Di questi due ultimi progetti ho l’onore di esserne il coordinatore responsabile. Considerando che ognuna delle citate organizzazioni nazionali ed internazionali ha un suo board, una commissione artistica, tecnica e finanziaria, capirete come la musica corale sia saldamente strutturata e dove nulla è lasciato al caso. Ogni coro è in realtà un mattoncino di questa incredibile ragnatela che si muove esclusivamente nell’ambito del volontariato. Cosa vuol dire essere mossi dalla passione! Perché allora all’inizio ho parlato di ‘implosione’? Perché lentamente sta cambiando il concetto dell’associazionismo. La prima difficoltà dell’associazionismo di oggi è associarsi. La ragione di questa difficoltà è facilmente riscontrabile nella fragilità della meccanica del legame sociale. Esiste un processo che diversifica gli interessi, frammenta i gruppi e moltiplica le appartenenze. È come se fossimo animati da una cultura fondata su un individualismo difensivo, una riduzione all’individuale, misurata fino al livello di benessere del singolo o, al massimo, delle reti vicine come la famiglia. Oltre questo livello si avverte una difficoltà. Pertanto, si fatica a stendere le reti, a tenere ampi i legami di solidarietà tra individui, a reggere quelle conoscenze che uniscono anche persone sconosciute, che avvicinano i lontani. Una seconda difficoltà è la tendenza alla disintermediazione. Abbiamo assistito, a partire dal mondo politico sino a quello culturale, alla ricerca di relazioni sempre più dirette tra istituzioni pubbliche e private e cittadino-utente, come se tutto potesse essere compreso dentro un rapporto faccia a faccia: come se delle relazioni normalmente verticali per ragioni storiche e giuridiche, potessero facilmente trasformarsi in relazioni orizzontali per imprecisate ragioni di trasparenza, di giustizia o | 4


 Competenza, comunicazione e solidarietà

di controllo sociale. Lo sviluppo delle piattaforme social ha facilitato la diffusione di questo processo: l’istituzione trattata come ‘amico’ su Facebook, alla pari, senza alcuna mediazione, e con il sentimento di pensare di poter parlare all’istituzione stessa allo stesso modo con cui si parlerebbe col vicino di casa o del vicino di casa. Una terza difficoltà riguarda i tempi e la loro gestione. Viviamo il tempo in modo più disordinato, in continua emergenza, con scansioni temporali a volte dilatate a volte ristrette, con ritmi che a volte mortificano il quotidiano: la vita e i gesti di quella sana quotidianità che è fondamento dei legami tra persone. Ma senza una gestione più ordinaria dei tempi non può esserci volontariato e associazionismo: diventa difficile individuare momenti da donare agli altri, momenti di impegno per il bene comune. La gestione dell’agenda, cioè del mezzo, diventa più complicata delle ragioni dei fini. Infine, la mobilità nella vita delle persone: si nasce in un posto, ma non è detto che la vita sarà trascorsa tutta lì. È facile trovare biografie zingare, spostamenti di quartiere in quartiere, di città in città, perfino di Paesi. Anche questo mette in crisi le nostre identità associative che storicamente sono cresciute e si sono solidificate dentro comunità precise con tradizioni, linguaggi, culture e legami locali. La mobilità ci porta ad una maggiore interconnessione, che però rischia di essere più fragile del legame locale. L’associazionismo del Novecento è cresciuto su assi quasi esattamente contrari: in spazi vicini, in tempi ordinati, nel rispetto istituzionale e alimentando senza particolari difficoltà un io collettivo. Quindi siamo di fronte ad una nuova sfida, che richiede la revisione delle tradizionali pratiche, che rischiano di apparire autoreferenziali e di perdere la capacità di coinvolgimento delle persone e l’aggregazione degli interessi comuni. Per costruire modalità ed esperienze associative che rispondano ai tempi attuali dobbiamo immaginare un nuovo percorso. Il mondo dell’associazionismo deve essere reattivo se non vuole lentamente morire. Per questo deve riscoprire il coinvolgimento, se vuole continuare a costruire legami tra i cittadini; deve stimolare connessioni se vuole animare la partecipazione attiva, che non obbedisce più a logiche di struttura verticale o orizzontale: dall’alto verso il basso e dal centro verso la periferia e/o viceversa. E allora ecco tre parole che possono delineare un criterio con il quale tentare di rispondere ai tempi moderni e tracciare una strada nell’associazionismo: competenza, solidarietà e comunicazione. Parole che permeano, a mio parere, gli appartenenti ai quadri dell’associazionismo corale, di coloro che dedicano parte della propria vita a far sì che i cori mantengano la loro missione principale che è il cantare ma che allo stesso tempo sappiano muoversi all’interno del dedalo legislativo (competenza), siano consci della funzione aggregativa e sociale (solidarietà) e che padroneggino gli strumenti amplificativi del messaggio artistico e sociale (comunicazione). Chiudo qui questa lunga riflessione con la consapevolezza che la nostra strada comune associativa sia stata tracciata in maniera indelebile, che le persone addette al completamento della carreggiata e al suo mantenimento nel tempo sono tante e generosamente presenti. Un unicum, il movimento corale, di cui esserne orgogliosi e che non ha pari, nel mondo musicale | 5


Storia

Potrebbe forse sembrare eccessivo introdurre un articolo su Johann Michael Haydn con un simile quesito. Dopotutto già da molti anni esistono una biografia (in lingua tedesca)1 e tre pubblicazioni della serie Denkmäler der Tonkunst in Österreich (una riguardante la produzione strumentale e due quella sacra)2.

Johann Michael Haydn Chi è costui? PARTE PRIMA

DI LUCIO GOLINO

LUCIO GOLINO

E’ diplomato ai Conservatori di Trento e Bolzano in clarinetto, musica corale, strumentazione per banda e composizione. Trasferitosi a Vienna, frequenta la ‘Universität für Musik und darstellende Kunst’, diplomandosi in Direzione d’orchestra ed in Direzione di coro con il massimo dei voti. Fra il 1996 ed il 2003 dirige il celebre coro dei Wiener Sängerknaben, conducendolo con successo in numerose tournèe internazionali. Ha diretto concerti nella Carnegie-Hall di New York e nelle maggiori città degli USA, in Canada, alla Philharmonie di Berlino, al Gewandhaus di Lipsia, al Musikverein di Vienna e nei maggiori centri culturali europei, in Sudafrica (Cape-Town, Durban, Johannesburg, Pretoria) ed in Giappone. Ha diretto l’Orchestra della Radiotelevisione austriaca al Konzerthaus di Vienna. E’ attivo come assistente musicale al Teatro dell’Opera di Vienna e dirige il coro di voci bianche della Wiener Volksoper.

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STORIA

Inoltre la casa editrice viennese Doblinger si è in passato dedicata ad un’edizione completa delle sinfonie3, mentre - recente iniziativa editoriale - è in fase di sviluppo una magnifica serie volta alla pubblicazione delle messe e dei mottetti4. Qua e là infine si possono ancora trovare piccole edizioni di musica strumentale e sacra, nonché voci enciclopediche in ogni lingua. Non basta tutto ciò a soddisfare ogni interrogativo sul compositore in questione? In effetti dobbiamo riconoscere, che non sempre il sopracitato materiale è di facile raggiungimento, soprattutto al di fuori del mondo culturale mitteleuropeo: sia perché - in parte - non più reperibile, sia perché le biblioteche specializzate non sono sempre a portata di mano. Per questo e per altri motivi (che analizzare richiederebbe troppo spazio), le esecuzioni musicali - per quantità e qualità - così come le conoscenze generali su Johann Michael Haydn, restano fino ad oggi purtroppo ancora scarse. Ci fu però un tempo, in cui la situazione a riguardo era ben diversa. Nel fascicoletto compilato da Constant Wurzbach nel 18615 ed inserito l’anno successivo nel suo monumentale Biographisches Lexikon6 si legge alla voce Haydn, Johann Michael: ‘[...] Ricevette da suo padre la prima impostazione di quel talento, grazie al quale egli sarebbe stato destinato a compiere in futuro opere tanto grandi […]’. Delle ‘opere tanto grandi’ qui menzionate, noi oggi abbiamo perso la consapevolezza. Alla voce dell’ oggidì altrimenti conosciutissimo Joseph Haydn si legge: ‘[...] un fratello di Johann Michael, il celebre compositore di musica sacra’8. Questa affermazione lascerà del tutto perplesso il lettore


attuale, non poco disorientato di fronte all’ inversione di una gerarchia artistica ormai considerata tanto ovvia quanto indiscutibile. Da quanto sopra e da altre analoghe testimonianze sparse in pubblicazioni e manoscritti9, si deduce in effetti con evidenza, che nel 19° secolo, quando si parlava di ‘Haydn’ si intendeva comunemente non tanto Joseph, l’autore delle sinfonie londinesi, degli splendidi quartetti per archi, dei grandi oratori monumentali Die Schöpfung, Die Jahreszeiten e di tantissima altra musica di valore inestimabile, quanto suo fratello Johann Michael, ‘celebre compositore di musica sacra’! Johann Michael Haydn: Chi è costui e - soprattutto - a che cosa è dovuta tanta considerazione nel secolo del Romanticismo musicale? Cercheremo di rispondere a questa domanda ripercorrendo le tappe principali della vita del musicista e prendendo in esame alcune delle sue composizioni più significative, illustrandone non solo il valore ‘in sé’, ma anche - e soprattutto - la funzione esemplare che queste ebbero per i compositori del suo tempo e delle generazioni successive. Nato a Rohrau (Austria Inferiore) nel 1737, più giovane di Joseph di cinque anni, Johann Michael segue il fratello maggiore a Vienna, capitale dell’Impero Asburgico. Michael come Joseph qualche anno prima - accede all’età di otto anni alla compagine vocale degli Hofkapellknaben (fanciulli cantori della Cappella di Corte, antesignani degli odierni Wiener Sängerknaben). Qui entrambi i fratelli godono di una discreta istruzione scolastica, basata su insegnamenti in religione, scienze naturali e latino nonché sui rudimenti di contrappunto e basso continuo. Soprattutto però viene loro insegnato a suonare sia violino che organo, strumenti grazie all’ottima padronanza dei quali, entrambi i fratelli potranno più tardi intraprendere la professione di musicus. Decisivo infine è il contatto con quel particolare repertorio sacro, che definirà in modo netto le basi del loro linguaggio musicale e del loro primo stile compositivo. Alla Corte di Vienna vige in quel periodo un gusto musicale di impronta italiana: Maestri eminentissimi come Antonio Draghi (1634-1700), Marc Antonio Ziani (ca.16531715), Francesco Conti (1681-1732), Antonio Caldara (1670-1736) - e in un certo senso anche Antonio Vivaldi (1678-1741), che a Vienna andò giusto per morire - avevano contribuito a formare uno stile, in cui la maniera italiana ed un gusto saldamente conservativo riuscivano a combinarsi senza problemi l’una con l’altro. Maestro di canto e di teoria musicale degli Hofkapellknaben è all’epoca il rigido - ma argutissimo - Domkapellmeister Georg Reutter ‘il giovane’ (1708-1772), compositore prolifico, non eccezionalmente profondo, ottimo conoscitore del contrappunto e delle mode musicali della sua epoca (era stato allievo di Caldara). L’influsso di Reutter è fortemente avvertibile nelle primizie compositive di entrambi i fratelli Haydn, i quali, non avendo ancora pratica con la musica strumentale profana, si cimentano dapprima con il genere musicale sacro a loro più familiare: la Messa. Di quel tipico stile - basato più sull’ esteriorità che non sulla sostanza - sono riconoscibili tratti compositivi ben precisi, alcuni dei quali verranno ora descritti. Fra gli stilemi più evidenti, si annoverino certe particolari figurazioni ornamentali dei violini all’unisono, quali si possono riscontrare nella prima Messa composta nel 1750 dal diciassettenne Joseph Haydn10:

‘Nell’ottocento, quando si parlava di ‘Haydn’, si intendeva comunemente non Joseph ma suo fratello Johann Michael, celebre compositore di musica sacra’

Mentre Joseph si distaccherà presto da questi modelli, nella musica di Michael l’influenza di Reutter rimarrà avvertibile fino in età matura. La Missa S. Nicolai Tolentini (MH 109) del

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1768 (Michael aveva trentuno anni) presenta nella seguente figura ancora l’ indubbia impronta d’estrazione reutteriana:

Caratteristica altrettanto frequente - e spesso di gusto discutibile - delle composizioni giovanili tanto di Joseph quanto di Michael, è pure un certo andamento piuttosto inquieto nel basso strumentale: anche qui si tratta di un elemento stilistico ereditato da Reutter. Lo stesso dicasi (per Michael) del tipico organico: 2 clarini, 2 trombe, timpani. Se però, lasciato il convitto degli Hofkapellknaben dopo la muta della voce, il più anziano dei due - Joseph - aspetterà ben quindici anni, prima di riprendere la composizione di una Messa11, Michael invece coglie presto l’occasione per dedicarsi alla creazione musicale di magnifiche Messe e mottetti - ma anche di pregiata musica strumentale, cameristica e sinfonica - in qualità di musicus e Maestro di Cappella del Vescovo di Magnum Varadinum (Großwardein, l’odierna Oradea in Romania), funzione ricoperta con onore nel periodo compreso fra il 1757 ed il 1761. Nell’arco di questi quattro anni la produzione musicale di Michael supera per qualità di gran lunga quella coeva del fratello Joseph, costretto dapprima a guadagnarsi il pane suonando il violino nelle chiese della Capitale e componendo piccoli pezzi d’occasione. Joseph proseguirà ancora i suoi studi musicali da autodidatta, esaminando le sonate di Ph. Emanuel Bach su un vecchio cembalo tarlato e assistendo come Maestro accompagnatore alle lezioni di canto dell’eminentissimo Niccolò Porpora, che - oltre agli utili insegnamenti - non gli risparmia insulti ed umiliazioni13. Solo a partire dal 1759 (dall’età dunque di ventisette anni) Joseph potrà finalmente costruirsi la strada verso un successo internazionale come Maestro di Cappella al servizio del conte Morzin e successivamente - fino al termine della sua vita - presso i conti Esterházy. Chi dunque per primo compie il passo più lungo sulla strada della carriera è il più giovane dei due fratelli: Michael, che a soli vent’anni d’età già gode di un prestigioso incarico di alta responsabilità musicale e organizzativa. La grande Missa Ss. Cyrilli et Methodii (MH 13) composta nella nuova funzione di Kapellmeister presso il Vescovo di Oradea, costituisce un vero punto culminante per perizia compositiva e per elevatezza di linguaggio. Michael sceglie la forma opulenta della ‘Messa solenne’ di gusto italiano. Ricordiamo qui, che il fratello maggiore Joseph comporrà la sua prima Messa Solenne soltanto fra il 1769 ed il 1773

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STORIA

(Missa S.tae Caeciliae, Hob.XXII:5) a più di trent’anni d’età! Dal 1762 Michael Haydn passerà al servizio dell’Arcivescovo di Salisburgo. Anche colà dominava un gusto musicale di stampo italiano, seppur diverso da quello che si poteva riscontrare a Vienna: meno conservativo da un lato, più esposto agli influssi popolareggianti dall’altro, nel complesso - va detto - piuttosto provinciale (anche nell’accezione positiva del termine). Qui sembra che a Michael Haydn lo stimolo compositivo venga meno: la produzione del primo decennio salisburghese non si eleva qualitativamente al disopra di un linguaggio piuttosto convenzionale, basato sull’uso di un formulario alla moda, privo di vera e propria originalità (fatta eccezione per la sopracitata Missa S. Nicolai Tolentini MH 109 e per qualche altra gemma). La sorpresa è sicuramente inaspettata, allorché Michael Haydn nel 1771 con il suo Requiem in do-min. ‘pro defunto Archiepiscopo Sigismundo’ (MH 155) presenta un lavoro non più influenzato da Reutter, ma scritto in uno stile altamente drammatico e con tratti personali ben precisi. Il giovane Wolfgang Amadeus Mozart (che alla data della prima esecuzione ha quindici anni e suona il continuo all’organo) rimane talmente colpito da fattura e densità espressiva di questo lavoro, che - vent’anni dopo - alla stesura del suo stesso Requiem in re min. (KV 626), se ne ricorda e lo considera - con evidenza lampante - un punto di riferimento fondamentale. Si prendano in esame alcuni dettagli del Requiem di Michael Haydn (1771) e si noti la somiglianza sorprendente con l’analogo lavoro mozartiano (1791): a) L’entrata imitativa del coro nell’ Introitus e l’accompagnamento degli archi in sincope:


b) la scansione ritmica del verso ‘et lux perpetua’:

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c) La salmodia gregoriana al verso ‘Te decet hymnus’ (Michael Haydn usa il primo tono, la cosiddetta ‘Lamentatio’, mentre Mozart si servirà del ‘tonus peregrinus’, ma l’impiego ‘drammaturgico’ dei due toni psalmorum è - nell’uno e nell’altro caso - straordinariamente simile):

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STORIA


 Johann Michael Haydn nel ritratto di Winter

d) L’incipit dell’ Offertorio ‘Domine Jesu’:

e) Soggetto e controsoggetto della fuga ‘Quam olim Abrahae’:

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Questi sono solo alcuni degli esempi più evidenti. Se ne potrebbero aggiungere molti altri di entità minore. In più punti si ha dunque la netta sensazione di toccare con mano il Requiem KV 626! Come spiegare tutto ciò? Ricordandosi di quel Requiem eseguito nel 1771, Wolfgang Amadeus Mozart, musicista di genio altamente consapevole di sé, porge un aperto ed intenzionale omaggio ad un compositore - Michael Haydn - per il quale egli ebbe una vera e propria venerazione e che considerò per tutta la sua vita un altissimo esempio di profondità e gusto musicale.

 Franz Jospeh Haydn

NOTE 1 Jancik, Hans: Johann Michael Haydn, ein vergessener Meister, Wien 1952 2 Denkmäler der Tonkunst in Österreich, Wien 1894-, voll. nr. 29 (1907), 45 (1915), 62 (1925) 3 Diletto musicale, Reihe alter Musik, Doblinger, Wien 1958 4 Johann Michael Haydn - Ausgewählte Werke, Carus-Verlag, Stuttgart 5 Wurzbach, Constant Ritter von Tannenberg: Joseph Haydn und sein Bruder Michael. Zwei bio- bibliographische Künstlerskizzen, Wien 1861 6 Wurzbach, Constant, Ritter von Tannenberg: Biographisches Lexikon des Kaiserthums Oesterreich, enthaltend die Lebensskizzen der denkwürdigen Personen, welche seit 1750 in den österr. Kronländern geboren wurden oder darin gelebt und gewirkt haben, Wien 1856-1891 7 Wurzbach, 1861, pag. 40 (traduzione, Lucio Golino) 8 Wurzbach, 1861, pag. 8 (traduzione, Lucio Golino) 9 Golino, Lucio: Aspekte der Michael-Haydn-Rezeption im 19. Jahrhundert, Wien 2008, Dissertazione non pubblicata 10 Missa brevis in F-Dur, Hob. XXII:1 11 Solo intorno al 1765 Joseph Haydn compone la sua seconda messa, che è la grandiosa Missa Beatissimae Virginis Mariae, anche detta ‘Große Orgelsolomesse’ (Hob. XXII:4) 12 Griesinger, Georg August: Biographische Notizen über Joseph Haydn, Wien 1810, ristampa: Wien 1954, pag. 11. Griesinger riferisce qui la seguente testimonianza narratagli da Joseph Haydn personalmente: [...] ‘Quando io sedevo al mio vecchio cembalo divorato dai tarli, non provavo invidia per la fortuna di nessun monarca’. In quel periodo a Haydn vennero nelle mani le prime sei sonate di [Carl Philipp] Emanuel Bach; ‘Allora non mi alzavo più dal mio strumento, finché non le avevo suonate tutte da cima a fondo’ [...]” (traduzione: Lucio Golino) 13 Griesinger riporta il seguente passo: “[...]Porpora insegnava canto alla fidanzata dell’ambasciatore veneziano Correr ed essendo troppo pigro per accompagnarla al fortepiano, incaricava di questo compito il nostro Giuseppe. ‘Non mancavano insulti come asino, coglione, birbante e colpi fra le costole, ma io lo lasciavo fare, perché potevo imparare da Porpora l’arte del canto, della composizione e la lingua italiana’ [...]”. Griesinger, Biogr. Notizen, pag. 12 (traduzione: Lucio Golino. Le parole sottolineate sono in italiano anche nel testo originale)

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STORIA



Genere Popolare

Quando cominciai a cantare nel coro maschile del mio paese, il coro La Rocca di Gaggio Montano, nell’ormai lontano 1977, ero un bambino, o meglio ancora una delle mascotte del coro stesso. Si cantavano i cosiddetti canti d’ispirazione popolare, alcuni dei quali tratti dal repertorio del leggendario coro della SAT di Trento, altri invece, provenienti dal repertorio del coro Stelutis di Bologna, fondato e diretto nel 1947 dal compianto Giorgio Vacchi (1932-2008).

Il canto d’ispirazione popolare in Italia oggi tra le ‘generazioni liquide’ DI DANIELE VENTURI

DANIELE VENTURI Diplomato in Musica corale e direzione di coro al Conservatorio G.B. Martini di Bologna e in Composizione presso il Conservatorio G. Frescobaldi di Ferrara. È fondatore e direttore del coro d’ispirazione popolare Gaudium (1992) e dell’ensemble vocale Arsarmonica (2006). Ha in catalogo oltre centotrenta composizioni scritte per i più disparati organici e circa duecento elaborazioni corali. Diverse sono anche le sue pubblicazioni discografiche ed editoriali. Svolge attività didattica come docente esterno in diversi Conservatori ed Università italiane e straniere.

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GENERE

In quegli anni erano ancora forti nella memoria dei vecchi cantori i traumatici ricordi della Seconda Guerra Mondiale. Alcuni dei coristi erano fortemente legati ai cosiddetti canti degli Alpini, connessi a tali ricordi, altri, soprattutto quelli che la guerra l’avevano vissuta sulla propria pelle, preferivano brani più spensierati, quasi vi fosse in loro la volontà di dimenticare le sofferenze vissute. Ancor meglio credo che i canti più ‘leggeri’ potessero contribuire a lenire un poco i loro dolorosi ricordi. Queste erano le mie empiriche sensazioni di bambino cantore. Ancor oggi credo che il privilegio di aver conosciuto queste persone, con il bagaglio culturale ad esse collegato, abbia decisamente condizionato il mio modo di affrontare la vita. L’esperienza corale vissuta in giovanissima età, inoltre, si è fortemente impressa nella mia mente e nel mio animo, divenendo guida ispiratrice del mio percorso artistico. Detto ciò, credo che i canti d’ispirazione popolare possano ancor oggi far breccia nei cuori delle giovani generazioni. Ma in che maniera e soprattutto con quali modalità possiamo cercare di avvicinare i giovani, cantori e non, a questo fantastico mondo musicale, sonoro e culturale, apparentemente così distante dai loro gusti?


‘I canti popolari, tramandati oralmente per secoli, nella Civiltà Contadina hanno avuto tra le funzioni principali quella di educare alla vita i bambini e i ragazzi’

Prima di provare a darsi delle risposte, credo sia d’obbligo porsi un’ulteriore domanda: cosa ascoltano le cosiddette generazioni liquide? La mia eclettica attività di compositore, direttore di coro, direttore artistico di festival corali, commissario artistico e, soprattutto, di docente, mi offre diversi strumenti per trarre alcune risposte. I giovani amano in particolare la musica di facile ascolto, prediligendo le forme musicali che si ispirano alla primordialità musicale quali il Pop, il Rock e soprattutto il Rap. In quest’ultimo genere musicale il vuoto dei testi, spesso privi di contenuti, non è quasi mai colmato dall’altrettanto vuoto musicale; mentre l’aspetto ritmico prende il sopravvento rispetto agli altri parametri musicali. In tutti i generi associabili alla musica d’uso il fine principale dell’industria musicale è, infatti, quello di vendere il proprio prodotto e non quello artistico. Per far ciò gli autori del testo e della musica, dopo attenti studi ed indagini riguardanti i gusti e le tendenze giovanili, creano ad hoc prodotti o spesso sottoprodotti artistici. Riflettiamo ora, con attenzione, su cosa fanno le istituzioni politiche, educative o artistiche per frenare questa veloce ed inesorabile deriva culturale, umana e artistica. I vari governi, che nel corso degli anni si sono succeduti nel nostro amato Paese, salvo rare eccezioni, tramite scellerate manovre economiche, hanno continuato a tagliare, sempre di più, le già esigue risorse economiche destinate alla musica e alla cultura in Italia. Le Istituzioni scolastiche, dal canto loro, strette tra la ‘morsa’ di dover far quadrare i conti e allo stesso tempo di offrire un’accattivante offerta formativa, si sono dovute inventare complesse riforme scolastiche, spesso, ahimè, assai improvvisate ed inefficaci. Gli enti lirici e concertistici, ad onor del vero, assai più sostenuti economicamente dallo Stato, invece, pur di continuare a riempire le sale, hanno dovuto, o voluto, accondiscendere i gusti musicali del pubblico odierno, sempre più contaminati dai generi musicali artisticamente meno elevati.

 Coro Steluis di Bologna

Non è raro ai nostri giorni, scorrendo un qualsiasi cartellone di una grande istituzione concertistica o di un ente lirico, trovare la mescolanza di ‘oro ed ottone’. Ad un concerto tenuto da un grande solista o da una grande orchestra, infatti, è spesso giustapposto uno spettacolo di musica leggera, così come ad un opera lirica viene accostata un forma riconducibile al musical. Questo aspetto è assai preoccupante, se si considera il già striminzito spazio che viene assegnato alla musica d’arte, nei concerti, nelle radio, nelle tv e in ogni dove. In nome della pluralità dei linguaggi musicali, si concede sempre maggior spazio alla musica d’uso anche nei ‘luoghi sacri’ adibiti alla rappresentazione della grande musica. Queste manovre hanno, allo stesso tempo, scopi commerciali e politici.

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I risvolti di queste scellerate scelte politiche hanno esiti assai negativi sulla collettività, andando a sottrarre preziosi spazi a tutta la musica d’arte, ed in particolare alla sperimentazione e alla musica di ricerca, che abbisognerebbero, per loro natura, di particolari attenzioni. Un altro caso assai preoccupante è rappresentato dalla formula dei concerti di massa. Tali faraonici eventi vedono la partecipazione di decine di migliaia di giovani assiepati negli stadi o nei grandi palazzetti dello sport e bombardati da quantità impressionanti di decibel. In questi concerti ci troviamo di fronte a ‘musica’, che per essere sopportata, o come dicono alcuni estimatori ‘gustata’, abbisogna dell’aggiunta di alcool e droga. Sia l’alcoolismo che la dipendenza da droghe, siano esse naturali o sintetiche, rappresentano delle notevoli piaghe sociali, che vanno a colpire, in particolare, i giovani, che sono gli individui più fragili ed indifesi. Tutto ciò poco importa agli organizzatori di questi eventi di massa, i quali, con grande cura e abilità, attirano a loro i già ‘narcotizzati’ giovani. Quest’ultimi, a loro volta, estasiati dalla presenza, in carne ed ossa, del proprio idolo del momento, sversano fiumi di denaro nelle casse dell’industria musicale. Concentrandoci adesso nello specifico sui cori giovanili italiani, cosa eseguono tali cori? Nella maggior parte musica pop arrangiata per coro, spesso giustapposta a musica d’arte tratta dal grande repertorio corale. Un repertorio che sta prendendo sempre più piede negli ultimi anni è rappresentato dalla ‘nuova’ musica corale d’autore. Nella maggior parte dei casi si tratta di ‘informi melasse’ musicali in stile Neotonale, assai meno interessanti della musica d’uso odierna. I compositori stessi in nome della facilità di espressione ed esecuzione musicali, si ostinano a produrre composizioni atte a solleticare le orecchie degli ascoltatori, provando, disperatamente, a trarre ispirazioni da testi, spesso, altrettanto scarsamente ispirati. In tutto ciò un ruolo determinante lo gioca anche la chiusura mentale di molti direttori, che si riflette in assai opinabili scelte artistiche. Dietro a tutto ciò si nasconde, nella maggior parte dei casi, la mancanza di preparazione dei direttori stessi e di conseguenza dei propri cori nel poter affrontare la musica corale d’arte, in particolare quella moderna e contemporanea. Altro repertorio assai battuto dai cori giovanili sono le elaborazioni corali di canti Gospel e Negro spirituals. Premesso che si tratta di un repertorio di grande valore musicale e sociale, trovo assai fuori luogo che questi canti siano praticati da gruppi corali culturalmente così distanti rispetto alle fonti musicali originarie. Rare eccezioni di valore sono rappresentate dalle elaborazioni corali di grandi successi tratti dal repertorio dei cantautori

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italiani degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Gli arrangiatori, seppur abili, compiendo queste elaborazioni per coro non sono però esenti dal correre il rischio di travisare l’idea originaria dei canti stessi, depositari, nella maggior parte dei casi, di notevoli contenuti, soprattutto nella parte testuale. Assai più di rado si incontrano compagini corali che si confrontano con elaborazioni corali di brani di musica Jazz. La pratica di quest’ultimo genere musicale, invece, è assai interessante, perché spinge i giovani cantori in ‘mondi sonori’ moderni e che spesso prevedono l’ausilio dell’aspetto estemporaneo dell’improvvisazione, assai formativo in età giovanile. Detto ciò è doveroso domandarsi: all’interno di questa ‘Babilonia’ di composizioni corali che ruolo ha il nostro amato canto d’ispirazione popolare? Innanzitutto un ruolo formativo. Ciascun canto popolare ha al proprio interno una moltitudine di parametri musicali e funzionali, primo dei quali quello didattico. I canti popolari, tramandati oralmente per secoli, nella Civiltà Contadina hanno avuto tra le funzioni principali quella di educare alla vita i bambini e i ragazzi. Si pensi ad esempio al grande valore formativo che avevano le filastrocche o canti enumerativi nella crescita culturale di ciascun individuo. Tramite l’aspetto ludico del canto i giovani cantori, guidati da interpreti più esperti, allenavano, allo stesso tempo, le proprie abilità motorie e la propria memoria. La naturale conseguenza di questo percorso didattico era il notevole miglioramento dell’apprendimento; fortemente connesso alla memorizzazione stessa. Nell’era digitale di oggi, i bambini e i ragazzi sono, invece, continuamente bombardati da messaggi forvianti e fortemente distratti dalla tecnologia. Questo continuo martellamento di veloci e frammentarie informazioni, sta gradatamente facendo perdere ai giovani la capacità di memorizzare dati a lungo termine, oltre che il gusto legato all’aspetto ludico del gioco reale. Tutto diviene virtuale: anche le emozioni. Ritornando al mondo popolare, purtroppo, oggi i vari riti, annessi al rapporto con la terra sono andati irrimediabilmente perduti. I luoghi stessi rappresentanti i ‘teatri’ rurali nei quali i canti popolari venivano praticati sono stati gradatamente abbandonati o hanno cambiato funzione. Assieme alle aie e alle stalle, purtroppo, stanno inesorabilmente scomparendo anche gli ultimi depositari di quel mondo: i cantori popolari. Così come il cibo lo si compra nei grossi centri commerciali, così anche la musica la si acquista nei grossi negozi e ultimamente, sempre più spesso su internet.


 Coro mani bianche del Veneto e Orchestra giovanile ‘Diego Valeri’

Ma quale musica si compera e di che qualità? Generalmente musica compressa nel formato audio mp3 e molto spesso di qualità bassa, sia tecnicamente che artisticamente. Un aspetto importante, infatti, è rappresentato dallo ‘scarico’ di un’enorme quantità di materiali musicali che vengono consumati, soprattutto dai giovani, senza soluzione di continuità. In ogni dove stazioni, aeroporti, parcheggi, ecc., si è bombardati dalla presenza di ‘musica’. Credo che ciò sia dovuto al fatto che l’individuo contemporaneo, sempre più sconnesso dal proprio contesto sociale, sia afflitto da una sorta di schizofrenico horror vacui. Il silenzio, già relativo nelle nostre città, è stato soppiantato da una sorta di ‘tappezzeria sonora’, all’interno della quale l’aspetto rumoristico, gradatamente, ha preso il sopravvento. Credo però che il fare coro possa essere, specialmente oggi, un antidoto fortissimo a tale degradata deriva. Col canto d’assieme, infatti, si possono combattere sia la solitudine che l’isolamento sociale, condizioni di difficoltà assai comuni per l’uomo di oggi. Non a caso nei paesi nordici il canto corale è assai praticato, in particolare, per combattere le malattie psicologiche depressive, strettamente connesse al cosiddetto Buio del grande Nord, quali, ad esempio, il Seasonal affective disorder (Disordine affettivo stagionale). Le persone affette da questa patologia, infatti, tramite il canto e la Light therapy, terapia che prevede la simulazione della luce naturale tramite una lampada ad intensa luminosità (10.000 lux), ottengono notevoli risultati nella cura delle problematiche relazionali connesse a questa forma depressiva.

Ben lo sapevano anche i nostri vecchi cantori che, fortemente, si stringevano nelle lunghe veglie notturne, con l’utopico desiderio che esse potessero non finire mai. Uno dei motti dei cantori e dei suonatori popolari era proprio: che non venisse mai giorno! Credo che nei prossimi anni assisteremo ad una notevole rivalutazione del canto popolare da parte delle giovani generazioni, che nauseate dalla mediocrità artistica dei prodotti proposti o imposti dai media, andranno alla riscoperta delle proprie radici culturali e musicali. I maestri in questo processo avranno un ruolo cruciale. Essi, infatti, essendo depositari di un prezioso bagaglio culturale, dovranno avere la lungimiranza e la generosità d’animo di farsi da tramite tra i giovani e la bellezza; dalla quale essi sono, tutt’ora, fortemente attratti.

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Stile Musica dell’anima

Da un anno circa sto orientando le mie ricerche su un aspetto particolare della composizione musicale gregoriana, ovvero mi sto chiedendo se e quanto essa, nei due repertori in cui è stata fissata (canti dell’Ufficio e canti della Messa), sia dipendente dalla ‘legge della simmetria’, legge che presiede alla composizione del testo biblico al quale attinge a piene mani il repertorio gregoriano.

Il ruolo della simmetria nel canto gregoriano DI ANGELO CORNO

ANGELO CORNO Di formazione umanistica e filosofica, ha conseguito nel 1990 presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Milano il magistero in canto gregoriano sotto la guida di Luigi Agustoni e Fulvio Rampi. Fa parte dell’ensemble professionale Cantori Gregoriani dal 1985, anno di costituzione del gruppo. Ha svolto attività didattica presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Milano, presso il Conservatorio G. Verdi di Torino e ai corsi di canto gregoriano organizzati dai Cantori Gregoriani a Milano, Cremona, Rovigo. Collabora con riviste specialistiche di canto gregoriano e canto corale come Note gregoriane, Cartellina, Choraliter e FarCoro. È coautore del manuale di canto gregoriano Alla scuola del canto gregoriano pubblicato da Musidora nel 2015. Dal 2015 tiene regolarmente i corsi estivi di canto gregoriano al Conservatorio L. Campiani di Mantova e i corsi annuali alla Scuola di canto gregoriano a Cremona, entrambi promossi da Accademia Corale Teleion.

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Lo scopo della ricerca è di ridestare la riflessione sull’estetica musicale, inaugurata da Ferretti nella sua pregevole opera del 1934 per sondare se vi sia un livello più profondo dei vari aspetti formali legati alla rilevanza dell’accento tonico nella formazione della melodia e alla capacità combinatoria dei compositori gregoriani nel trattamento delle strutture formulari (1). Si tratta di indagare il repertorio gregoriano nei tre aspetti essenziali - testo, melodia, ritmo - per comprendere il senso complessivo della costruzione sonora, che di volta in volta si esprime in forme ben determinate in grado non solo di spiegare ma anche di rafforzare il significato del testo corrispondente, in un gioco di rimandi e connessioni di senso. Per questo, ci viene in soccorso l’analisi retorica, intesa come disciplina che studia l’organizzazione dei testi biblici - fonte privilegiata del canto gregoriano - e si propone di identificare le regole della retorica che hanno presieduto alla redazione di quei testi (2). Devo riconoscere che la scintilla di questa mia ricerca è stata innescata dalla lettura di un libro che ha suscitato in me un sincero interesse e mi ha stimolato ad approfondire l’argomento avviando una consultazione sistematica del repertorio (3). Quando si accosta la Sacra Scrittura, spesso si ha l’impressione di trovarsi di fronte a testi frammentari, ripetitivi, a volte discordi tra loro. Basti pensare ai due racconti della creazione in Genesi 1, l’uno più recente uscito da ambienti sacerdotali, solenne e scandito secondo l’organizzazione della settimana liturgica, l’altro più arcaico, quasi antropomorfico nella rappresentazione


di Dio, derivato dalla tradizione jahwista. In realtà, i testi biblici non sono semplicemente l’esito di un ‘montaggio’ redazionale più o meno riuscito di materiali che si sono sedimentati in epoche diverse, ma sono ‘composti’ e ‘composti bene’. Si tratta di scoprire il criterio che sta alla base della composizione biblica. Sappiamo che il testo biblico, proveniente da un ambito culturale semitico, è organizzato secondo procedimenti compositivi propri e, quindi, diversi dalle categorie della retorica classica, dove la frase è disposta secondo le regole della sintassi attraverso l’impiego di subordinate legate in modo consequenziale. Se noi leggiamo il testo biblico con gli ‘occhiali’ della retorica greco-latina, i nostri occhi non riescono a ‘vedere’ altri segni che solo l’indagine della poetica semitica è in grado di rendere evidenti. Sorge molto opportunamente una domanda: quali sono dunque le caratteristiche di questi testi? Per ciò che riguarda il nostro argomento possiamo limitarci a enunciarne almeno due. La prima caratteristica dei testi biblici è la concretezza: mentre la retorica classica, influenzata dalla filosofia greca, cerca di illustrare un’idea sviluppandola secondo nessi logici conseguenti, la retorica biblica non fa ragionamenti ma racconta e ‘descrive’ la realtà lasciando al lettore il compito di trarre la conclusione. Per rimanere ancora in Genesi 1, anziché dimostrare con logiche argomentazioni che Dio è creatore, il redattore racconta come Dio crea il mondo in sei giorni. La seconda caratteristica della retorica biblica è la paratassi, attraverso la quale il testo si dispone secondo una giustapposizione di frasi l’una accanto all’altra, e non secondo il legame logico e subordinato della sintassi. Ciò che lega le unità verbali è spesso la congiunzione et (che purtroppo in molti casi si perde nella traduzione italiana), raramente quia o qualche altro avverbio che regge una subordinata. Osserviamo il testo di un’antifona dell’Ufficio: Dabo in Sion salutem / et (dabo) in Ierusalem gloriam meam. È un passo di un testo profetico (Is 46,13), costruito secondo la forma di un versetto salmico, cioè in due stichi giustapposti. È una della numerosissime antifone del repertorio sillabico costituite da frasi brevi e apparentemente semplici, regolate però da precise prescrizioni, tanto da risultare incisive all’ascolto e, quindi, portatrici di fecondità di pensiero. Di più. L’esiguità e la densità del lessico ebraico esigono come ‘compensazione’ il ricorso a una ricca combinazione di ‘posizioni’ verbali. Ogni parola ottiene il suo significato non solo dalla sua funzione grammaticale o sintattica ma dalla collocazione scelta per metterla in rapporto con altre in un organico e armonico dispositivo d’assieme. La ‘visibilità’ è la principale caratteristica della poetica ebraica; le parole sono scritte sulla pagina nel rispetto di una disposizione ottica coerente secondo due

direzioni fondamentali: ricorrenze e contrasti. Le prime consistono nella ripetizione di parole simili come nel caso di Dabo in Sion salutem / et in Ierusalem gloriam meam dove in Sion salutem e in Ierusalem gloriam sono entità verbali che si corrispondono. I secondi sono realizzati mediante l’accostamento di termini contrastanti come nel communio Oportet, di cui è riportato il commento, dove l’antinomia risulta tra mortuus fuerat e revixit, perierat e inventus est. Come si può facilmente intuire, siamo di fronte a un intenzionale gioco di rimandi, allusioni e connessioni di senso, che spiegheremo in dettaglio nel seguito della trattazione. Occupandosi in particolare della dispositio, cioè del modo di disporre le parole del testo, l’analisi retorica porta alla luce le strutture compositive dei testi biblici, strutture che si possono ricondurre a due forme basilari, le strutture parallele e le strutture concentriche. Tra i settantatré libri della Bibbia, in particolare il salterio risente interamente della composizione simmetrica nella duplice forma, che mette in evidenza, più di altre categorie, l’originale bellezza ritmica della composizione biblica. Le strutture parallele consistono essenzialmente nell’enunciare una frase, che viene nuovamente espressa con parole diverse aventi il medesimo significato. In tal caso, gli elementi in rapporto sono ripresi in modo lineare nello stesso ordine (A B C / A’ B’ C’): Iustus Dominus in omnibus viis suis / et sanctus (Dominus) in omnibus operibus suis (Ps 144,17). Si parla, invece, di strutture concentriche quando gli elementi convergono verso il centro e, quindi, ricompaiono in ordine inverso (A B C / C’ B’ A’). La più comune di queste strutture è la forma chiastica (dal greco Xiasmos, la cui prima lettera è a due tratti incrociati): Effundo in conspectu eius orationem meam / et tribulationem meam ante ipsum pronuntio (Ps 141,3). Oppure: Qui habitat in adiutorio Altissimi / in protectione Dei caeli commorabitur (Ps 90,1). Anche l’incipit del Prologo di Giovanni è in forma chiastica: In principio erat verbum / et verbum erat apud Deum. Questa convergenza è talmente forte che, in taluni casi, si genera un elemento centrale che diventa il fulcro dell’intera frase (A B C /x/ C’ B’ A’): Redemptionem misit Dominus / populo suo / (Dominus) mandavit in aeternum testamentum suum (Ps 110,9). L’evidenza di tali simmetrie si manifesta agevolmente quanto più la traduzione rispetta e conserva la dispositio del testo in lingua originale. A questo punto la questione è la seguente: di fronte alla disposizione simmetrica del testo, il compositore gregoriano è indifferente oppure la riconosce e, quindi, plasma la composizione in modo da potenziare l’efficacia persuasiva del testo?

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Alcuni esempi del repertorio dell’Ufficio Nel repertorio gregoriano la composizione simmetrica si rintraccia in particolare nelle antifone sillabiche perché la sobrietà melodica rimanda più facilmente alla declamazione e, in molti casi, il testo stesso risponde alla semplice struttura di un versetto bimembre, cioè suddiviso in due stichi. Numerose sono le antifone dell’Ufficio organizzate in questo modo, dove la struttura simmetrica viene spesso segnalata dal notatore con un segno di interpunzione, equivalente alla lettera x (expectare) o all’episema aggiunto alla virga o al tractulus dell’ultima sillaba della parola che conclude il primo stico. Nell’antifona Dabo in Sion troviamo la x che suddivide chiaramente in due stichi il versetto: Dabo in Sion salutem x et in Ierusalem gloriam meam. Questa è una prova certa che gli amanuensi di quell’epoca erano ben consapevoli della organizzazione del testo per unità di estensione minima del testo. La scrittura neumatica a cui faremo riferimento è la notazione sangallese, segnatamente il codice di Hartker 390-391 per i canti dell’Ufficio e il codice di Einsiedeln 121 per i canti della Messa (4).

 esempio 1

Un esempio di evidente simmetria si trova nell’Antiphonale Monasticum, 803, con la versione melodica rivista da Giacomo Frigo nell’AM di Praglia III, 23: Lumen ad revelationem (Esempio 1). È l’antifona del 2 febbraio che apre la processione della candelora nella festa della Presentazione di Gesù al tempio. La fonte del brano è Luca 2,32 e il testo è già costruito secondo una disposizione simmetrica: suddivisione evidente in due stichi e forte legame di senso tra i rispettivi termini iniziali (Lumen e gloriam), secondo lo schema semplice A B / A’ B’. Anche se il notatore tralascia di scrivere il segno caratteristico (x) della distinzione delle due unità verbali, sono proprio i termini iniziali dei due stichi a far risaltare la loro identità per parentela semantica, somiglianza melodica e medesima attribuzione di valore. La prima parola dell’antifona sembra accentrare su di sé una particolare densità di accentuazione, che emerge con particolare evidenza se messa in relazione al successivo contesto totalmente corsivo. Tuttavia, dobbiamo ammettere che il poderoso gesto retorico su Lumen non compromette la chiara disposizione simmetrica del testo. Diversamente da altre antifone (per esempio Aqua quam ego dedero - AM di Praglia I,189), dove la prima parola del testo raccoglie su di sé in modo esclusivo l’accento fraseologico, diventando la prima e unica meta accentuativa e di significato, qui tra lumen e gloriam si stabilisce un evidente parallelismo melodico ed espressivo. Per raggiungere il suo scopo, il notatore opera tre scelte chiare e convincenti: entrambe le parole sono collocate sullo stesso grado melodico acuto; entrambe danno vita a un medesimo procedimento melodico; entrambe ricevono una pari attribuzione di dignità, pur con sostegni grafici differenti: episema su sillaba tonica di Lumen e cephalicus (segno liquescente) su sillaba finale di gloriam, artificio quest’ultimo certamente più raffinato attraverso il quale l’articolazione della parola è come ‘trattenuta’ per impedire che venga assorbita dal flusso verbale successivo. In questo modo la liquescenza coinvolge necessariamente l’intera parola, che sarà declamata con tutta l’intensità e la profondità che le si addice. La corrispondenza tra Lumen e gloriam è confermata dallo stesso evangelista in quanto i due termini sono la spiegazione o, meglio, l’esegesi del termine greco sotérion, citato da Luca a conclusione del versetto precedente: «perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza (sotérion): luce per illuminare le genti e

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‘La legge della simmetria presiede alla composizione del testo biblico al quale attinge a piene mani il repertorio gregoriano’


gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2,32). È l’anziano Simeone che parla, personaggio che commuove per la sua fede perseverante: per tutta la sua lunga vita ha inseguito la speranza di vedere il Messia. Ora, guidato dallo Spirito, lo riconosce in questo bambino portato al tempio dai genitori e può finalmente concludere la sua esistenza nella pace e nella gioia per aver conosciuto finalmente il salvatore, luce e gloria dei popoli. Riprendiamo l’antifona Dabo in Sion salutem et in Jerusalem gloriam meam (AM di Praglia I, 40), alla quale abbiamo fatto cenno sopra e che risulta essere la forma più comune di parallelismo simmetrico poiché costituita da tre membri per ogni stico: A B C / (A’) B’ C’. Il primo membro del secondo stico (dabo) è sottinteso e non pregiudica affatto la disposizione simmetrica (Esempio 2).

 esempio 2

L’antifona è collocata nel tempo di Avvento e il testo proviene da un libro profetico (Isaia 46,13), tuttavia ricalca la struttura compositiva dei versetti salmici, nei quali i due stichi ripetono con parole diverse il medesimo concetto: Darò in Sion la salvezza / e in Gerusalemme la mia gloria. Il monaco Hartker, il maestro cantore che ha compilato l’antifonale, opera subito una distinzione ponendo tra i due stichi una lettera aggiuntiva: la x (expectare), affinché emerga con chiarezza la struttura simmetrica. Ma la simmetria non si ferma solo all’aspetto testuale, investe anche la composizione musicale. Sion e Gerusalemme sono il luogo dove il Signore riverserà la sua salvezza: evidentemente si tratta dello stesso luogo poiché Sion è il monte su cui è costruita la città. Ebbene, se noi osserviamo con attenzione come il compilatore tratta Sion e Jerusalem, ci accorgiamo che entrambe le parole sono trattate in un modo molto simile che le accomuna. Sono precedute dalla preposizione in, corredata sia di lettere aggiuntive che segnalano per entrambe un grado acuto della scala (altius e levare = la città sul monte) che dello stesso segno liquescente, il cephalicus. Quest’ultimo conferisce una dilatazione ritmica che prepara con cura le due parole più significative del brano, dotate di una conveniente estensione melodica e delimitate da segni che circoscrivono con nettezza le due entità verbali (pressus maior preceduto da articolazione iniziale su

Sion e virga con episema su Jerusalem). La salvezza del Signore, rappresentata dalle parole salutem e gloriam, dove ci aspetteremmo una declamazione enfatica, di grande intensità, riceve inaspettatamente un trattamento ordinario per l’impiego di neumi corsivi su entrambe le parole. La simmetria si coglie, dunque, per l’accostamento di una duplice coppia di parole, dove la prima di ciascuna (Sion e Jerusalem) emerge sulla ordinarietà della seconda (salutem e gloriam). Ciò che conta in questa antifona è sapere dove si manifesta la salvezza del Signore: sul monte Sion, il monte di Gerusalemme, che, secondo il salmo 86, diventerà patria spirituale di tutti i popoli. Al capitolo 60, Isaia, lo stesso autore da cui attinge il compositore gregoriano, confermerà che la confessione del Signore come unico Dio è imprescindibile dal suo amore per Gerusalemme, chiamata ‘Città del Signore, Sion del Santo di Israele’. È necessaria, tuttavia, una precisazione: non possiamo pensare che salutem e gloriam siano termini secondari perché entrambi ricevono una elevazione melodica su sillaba tonica, preparata proprio dalla liquescenza sulla preposizione in. Infatti, la liquescenza in entrambi i casi produce un accumulo di tensione che non si scarica immediatamente su Sion o Jerusalem, ma le supera per additare oltre il punto focale dell’accentuazione, cioè su salutem dove si conclude il primo arco di frase configurato proprio dalla x, e su gloriam meam a conclusione del secondo stico. Graficamente possiamo rappresentarla nel modo seguente: Dabo in S i o n’ salutem / et in J e r u s a l e m’ gloriam meam

 esempio 3

Una conferma di ciò che è stato affermato ci viene da un’altra antifona (Esempio 3) che ripropone lo stesso testo con la sola variante del verbo iniziale: Ponam in Sion salutem et in Jerusalem gloriam meam (AM di Praglia I, 53). Anche in questo caso ho scelto l’antifonale di Praglia, ottimo lavoro di Giacomo Frigo in via di ultimazione, perché ci offre la versione melodica più aderente al codice di Hartker e, come è facile immaginare, determinante per la riflessione che stiamo facendo. Il rivestimento melodico del primo stico è più dimesso dell’antifona precedente: infatti il disegno melodico su Sion è accorciato, sono assenti la x dopo salutem e l’episema su Jerusalem. Tuttavia, la simmetria compositiva è ancora perfettamente MUSICA DELL’ANIMA | 21


riconoscibile, soprattutto per la presenza imprescindibile dei due cephalicus su in. È questa preposizione che rende ragione della simmetria parallela, diventando il simbolo grafico del collegamento ‘paratattico’ tra i due stichi dell’antifona. Infine, l’accorciamento di Sion rende ancora più evidente il rilievo di salutem che, rispetto all’antifona precedente, tocca l’apice melodico con un eloquente levare, collegandosi più agevolmente nella forma e nel significato al suo termine corrispondente gloriam. Come si può osservare da questi esempi, possiamo dare una prima risposta alla precedente domanda: appare con chiara evidenza che il compilatore gregoriano, una volta individuata la struttura simmetrica del testo, sia in grado di rivestirla con una forma melodica e ritmica tale da renderla ancora più esplicita e così rafforzare il messaggio che essa contiene. Alcuni esempi del repertorio della Messa Esistono buoni esempi di simmetria anche nel Graduale Triplex. Con l’antifona Lumen abbiamo constatato che la legge della simmetria non è caratteristica esclusiva del Primo Testamento, ma è rintracciabile anche nel Nuovo, poiché gli autori, anche se scrivono in greco, sono stati fin dalla giovinezza giudei osservanti e attenti lettori della Scrittura ebraica assumendone stilemi e schemi letterari. Sovente, il parallelismo permane nelle citazioni che il Nuovo Testamento attinge dal Vecchio. Nel prossimo esempio si tratta di un parallelismo originale che si ritrova nel Vangelo di Luca.

 esempio 4

Il communio Oportet te (GT 95) ce ne dà una valida testimonianza (Esempio 4). Pur appartenendo al repertorio della Messa, è assimilabile allo stile sillabico delle antifone dell’Ufficio. Il testo si riferisce alla conclusione della parabola del padre misericordioso, raccontata da Luca al capitolo 15 del suo vangelo: il padre spiega al figlio maggiore le ragioni del suo gesto di misericordia nei confronti del figlio minore. Anche qui possiamo rilevare come la composizione gregoriana attinga a piene mani all’arte retorica antica, attraverso il tono della voce, l’alternanza di tensione e distensione, l’utilizzo di simmetrie in grado di potenziare l’effetto della parola pronunciata. Insomma gli strumenti retorici, nella loro variegata molteplicità, svolgono sempre un ruolo decisivo per la comprensione e la corretta proclamazione del testo. Il tono di voce dell’incipit è modellato semplicemente nel rispetto della naturale accentuazione della parola Oportet (è necessario), dotata di intervallo di quarta su sillaba tonica. Per nulla imperiosa o impositiva, questa iniziale meta accentuativa ha il sapore di un’amorevole esortazione paterna. Ma, sempre nel primo inciso sulla sillaba pretonica gaudere ci imbattiamo in un neuma liquescente (cephalicus). Esso ha la funzione di preparare l’accento del primo verbo significativo del brano: Oportet te fili gaudere (è necessario, o figlio, che tu ti rallegri). Il figlio maggiore è invitato a rallegrarsi, a passare dallo sdegno alla gioia, e anche il cantore è invitato a rallentare il flusso della declamazione proprio in corrispondenza del verbo gaudere, perché è proprio questo verbo che introduce alla seconda parte, costruita secondo la legge della simmetria. E qui il padre spiega le sue ragioni: quia frater tuus mortuus fuerat et revixit, perierat et inventus est (era morto ed è ritornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato). Emerge chiara e potente la forma poetica del parallelismo, la quale, come si è detto prima, si può presentare in due modi: la ripetizione può avvenire con termini analoghi o di sviluppo (Esempi 1, 2 e 3), oppure con termini antitetici. È quest’ultima la forma che meglio si presta allo scopo e che viene sfruttata nel communio Oportet in tutta la sua efficacia, poiché il contrasto tra i termini, o antinomia, impiegati in un’alternanza stringente dà infatti rilievo all’idea che si vuole rafforzare. L’accostamento di una duplice coppia di verbi antitetici (mortuus e revixit, perierat e inventus est) ha lo scopo di scuotere l’ascoltatore e indurlo a riflettere sulla concreta possibilità che questo evento si sia davvero verificato. Da una parte, siamo di fronte a un prodigio che sfugge alla logica umana e, dall’altra, al ribaltamento della giustizia retributiva, sconvolgente per la mentalità ebraica di quel tempo: il figlio minore, per ciò che ha fatto, avrebbe meritato la morte o un castigo severo. Invece, il padre lo riabilita completamente nella figliolanza e quindi nell’eredità. È una vera e propria risurrezione (et revixit) che porta al ritrovamento del figlio (et inventus est), eventi

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prodigiosi prodotti dalla misericordia che procurano gioia in cielo e in terra. Da qui l’invito del padre al figlio di passare dal rancore alla condivisione gioiosa. Per rendere al meglio l’antinomia testuale il compositore impiega due schemi melodici identici per i termini paralleli, all’interno dei quali, tuttavia, applica una chiara differenziazione ritmica: declamazione corsiva alla prima coppia di verbi (mortuus fuerat e perierat) a fronte di una dilatazione prolungata della seconda coppia (revixit con le due virgae episemate consecutive e inventus est dove la dilatazione è prodotta dall’impiego massiccio del segno liquescente). Questa modalità compositiva ‘a tinte marcate’ viene sfruttata per far emergere la verità sull’errore, il bene sul male, la salvezza sulla perdizione, la vita sulla morte. L’ascoltatore è come investito dalla carica espressiva di questi procedimenti ed è costretto ad ammettere la veridicità dell’accaduto. Ecco la rappresentazione grafica dell’ultimo membro di frase, dove si riconoscono quattro piccoli archi melodici in una relazione alternata, il primo con il terzo e il secondo con il quarto, nella forma chiastica: mortuus fuerat’ et revixit / perierat’ et inventus est Un’ultima osservazione a latere: in questo communio il confronto tra le due notazioni in campo aperto (Laon e Einsiedeln) volge decisamente a favore del notatore sangallese. Per tutto il brano Laon, potendo scegliere tra il punctum corsivo e il più dilatato uncinus, sceglie una successione di uncini suggerendo una declamazione dotata di ritmo sillabico allargato, ma sostanzialmente uniforme. Così appare attenuata la forza del messaggio contenuta nell’ultima frase dall’alternanza delle antinomie, che solo la notazione sangallese, sostenuta dalle raffinate e convincenti tecniche dell’arte oratoria, è in grado di esprimere vividamente. Sembrerebbe che la legge della simmetria sfugga al notatore metense, ma è una questione aperta, ancora da studiare.

 esempio 5

Il prossimo caso (Esempio 5) è più lungo e articolato, ma anche qui la simmetria testuale lascia una impronta riconoscibile nella composizione musicale. Il communio Petite (GT 314) è formato da una coppia di tristici in parallelo, vale a dire una coppia di tre versi collegati e corrispondenti tra loro. La prima coppia si conclude con aperietur vobis, mentre la seconda con aperietur, alleluia. Il parallelismo è evidente per la disposizione ‘paratattica’ del testo, per le scelte melodiche e infine per le soluzioni ritmiche. Il primo, secondo e terzo verso del primo tristico sono rispettivamente paralleli al primo, secondo e terzo verso del secondo tristico. Anche in questo caso il parallelismo non è derivato dal Primo Testamento ma è originale e si ritrova nei due vangeli di Luca e Matteo. Gli esegeti hanno spiegato in vari modi i verbi ‘chiedere’, ‘cercare’ e ‘bussare’. Seguendo l’intuizione di San Giovanni

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Crisostomo nell’omelia XXIII sul presente passo del Vangelo di Matteo (5), si può dire che Gesù abbia ordinato di ‘chiedere’ promettendo in risposta il dono. Non solo di chiedere, ma di farlo con perseveranza e sollecitudine: questo significa ‘cercare’. Non solo con perseveranza e sollecitudine, ma anche con fervore e forza. Perciò gli evangelisti sono ricorsi alla forza del verbo ‘bussare’. Nella prima terna l’invito è diretto: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Nella seconda terna viene ribadito lo stesso concetto nella forma impersonale: chiunque chiede riceve, chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto. Per la sua frequenza e per la sua efficacia la modalità della ripetizione esposta con una disposizione simmetrica verrà assunta come la prima regola dell’arte oratoria poiché raggiunge in modo diretto lo scopo della persuasione. Come interviene il compositore gregoriano su un testo già regolato dal parallelismo? La prima osservazione riguarda la simmetria compositiva che viene riproposta per ben tre volte con lo stesso schema, nonostante il diverso trattamento riservato alle singole coppie della terna. La simmetria si coglie innanzitutto nei quattro verbi nelle prime due coppie della terna: le risposte accipietis e invenietis presentano una densità melodica e ritmica di grande rilievo rispetto ai rispettivi Petite e quaerite, trattati in uno stile pressoché sillabico e corsivo. Come a dire: chi cerca Dio con cuore sincero riceve sempre da lui una risposta. Anzi, è lui stesso che ci invita a bussare, a entrare, a invadere il suo spazio per poter dimorare in lui. Quindi, ecco la sorpresa del terzo verbo: la sillaba tonica di pulsate (bussate) possiede un’estensione melodica molto più ricca e una dotazione ritmica completamente appoggiata rispetto all’ordinarietà di Petite e quaerite, quasi a significare la forza e l’energia necessarie per compiere quel gesto. Segue il verbo aperietur, anch’esso dotato di neumi allargati a chiusura della prima terna, segno dell’accoglimento della richiesta. Possiamo dire, seguendo la pista di Giovanni Crisostomo, che in questo ultimo invito, l’apertura della porta è correlata al vigore insistente di colui che bussa. Il secondo tristico è perfettamente modellato sulla struttura compositiva del primo, quindi si apre con una semplice recitazione su corda secondaria di protus: petit e quaerit, dotati dello stesso disegno melodico, sono totalmente privi di enfasi, mentre accipit e invenit ricevono una particolare e medesima attenzione melodica e ritmica. Di nuovo, il verbo pulsanti (a chi bussa) possiede melodia ed energia pari a pulsate, confermando il valore semantico e di contenuto del verbo bussare e conservando la stretta relazione con aperietur alleluia. Non va ignorata la collocazione liturgica originaria del communio: non siamo nel tempo ordinario come sembrerebbe dal GT, ma nella litania maggiore della vigilia di Pentecoste e quindi il dono che Dio ha promesso per ogni credente è il suo santo Spirito. Inoltre, l’alleluia conclusivo fa corpo unico con l’antifona mediante la bivirga su sillaba finale di aperietur. In entrambe le terne l’ars dicendi complessiva è distribuita secondo un dosaggio perfettamente simmetrico, dove l’enfasi declamatoria viene raggiunta con evidenza sulle parole pulsate e pulsanti: è Dio stesso che ci invita a

 esempio 6

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STILE

‘Il compilatore gregoriano, una volta individuata la struttura simmetrica del testo, è in grado di rivestirla con una forma melodica e ritmica tale da renderla ancora più esplicita e così rafforzare il messaggio che essa contiene’


bussare, ad entrare, a invadere il suo spazio per poter dimorare con lui. Interessante può essere il confronto con il communio Domus mea di GT 402 (Esempio 6) che nella seconda frase presenta lo stesso testo nella forma di un’aggiunta liturgica, assente nel testo originale di Matteo. La melodia è diversa ma i verbi hanno lo stesso trattamento del communio Petite con una preminenza melodica e ritmica del secondo verbo di ogni coppia (accipit, invenit e aperietur). Al verbo pulsanti viene riservato lo stesso vigore già osservato in precedenza: si ribadisce che ciò che conta non è la soddisfazione automatica da parte di Dio delle nostre richieste, ma la relazione con Lui, Padre amoroso, il quale si fa sempre trovare e ‘si dona al cuore che lo ricerca’. In conclusione, può essere arricchente anche il confronto con l’antifona dell’Ufficio in stile sillabico Omnis qui petit (AM 2005, 389), Esempio 7. Il confronto presenta una singolare coincidenza di pensiero e realizzazione tra il notatore di Einsiedeln e Hartker, i due giganti della notazione sangallese.

 esempio 7

Se la accostiamo all’Esempio 5, le scelte retoriche dell’antifona corrispondono a quelle del communio, anche se il testo di Luca non viene riportato integralmente per l’omissione della terna iniziale Petite et accipietis. Come nel communio, dei tre verbi di richiesta (petit, quaerit, pulsanti) è l’ultimo ad essere messo in particolare rilievo. Inoltre, ad ogni verbo di risposta (accipit, invenit, aperietur) viene data maggiore importanza rispetto al suo relativo verbo di richiesta, a sottolineare che la risposta di Dio è sempre superiore alle aspettative e non commisurata alla preghiera. Anche questa piccola antifona ha una collocazione liturgica significativa: in Hartker si trova nella quarta domenica di Pasqua nel contesto di altre antifone che parlano dell’imminente ritorno di Cristo al Padre e della prossima consegna dello Spirito. Si conferma che la risposta di Dio è sempre infinitamente superiore alle aspettative, perché noi chiediamo ‘cose’ e Lui ci dona il suo Spirito, affinché la nostra gioia sia piena.

Note: 1 Paolo Ferretti O.S.B., Estetica gregoriana, Roma, Pontificio Istituto di Musica Sacra, 1934 2 Il termine ‘analisi retorica’ è recentissimo, appare per la prima volta in Roland Meynet, Quelle est donc certe Parole? Lecture rhétorique de l’Evangile de Luc (1-9 et 22-24), Parigi, 1979. Tra i precursori invece, l’iniziatore che presentò in una sua lezione a Oxford nel 1753 una descrizione del parallelismo biblico, suddiviso in tre categorie (sinonimico, antitetico e sintetico) così come si ritrova in tutti gli attuali dizionari, fu il reverendo Robert Lowth, riconosciuto come il padre dell’analisi ‘poetica’ della Bibbia 3 Per un primo approccio storico sull’influenza della retorica semitica sui testi greci della sacra Scrittura si veda: Roland Meynet, L’analisi retorica, Brescia, Queriniana, 1992. Dell’autore è la massima a cui si è sempre ispirato nelle sue ricerche: ‘la forma è la porta del significato’, concetto non nuovissimo - già Agostino affermava che forma e contenuto sono un nesso inseparabile - ma certamente efficace e utile per ciò che viene affermato nel presente lavoro 4 I due codici sono reperibili nell’opera monumentale Paléographie Musicale, Solesmes, Imprimerie Saint-Pierre, collezione fondata da André Mocquereau O.S.B. nel 1889 5 Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo, Città Nuova Editrice, Roma 2003

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Tecnica

Il corale bachiano: la corona DI MARIO LANARO

Corale: canto liturgico ufficiale della Chiesa luterana Kirchenlied, cantato dall’assemblea con il sostegno dell’organo -> Monodia accompagnata. Armonizzato a 4 voci miste, fa parte dei repertori di tutti i cori di chiesa, quasi sempre con testo tradotto, ed è basilare nell’esperienza musicale del direttore e del cantore. La scrittura è omoritmica, raramente fiorita; è suddiviso in frasi che corrispondono ai versi delle strofe. IL CORALE BACHIANO: la corona Prendiamo ad es. il Corale Lobt Gott, ihr Christen allzugleich (Lodate Dio, o voi tutti cristiani) 1) armonizzato da J. S.Corale: Bach: canto liturgico ufficiale della Chiesa luterana Kirchenlied, cantato dall’assemblea con il sostegno dell’organo → Monodia accompagnata. Armonizzato a 4 voci miste, fa parte dei repertori di tutti i cori di chiesa, quasi 1) sempre con testo tradotto (cfr. Scheda X), ed è basilare nell’esperienza musicale del direttore e del cantore. La scrittura è omoritmica, raramente fiorita; è suddiviso in frasi che corrispondono ai versi delle strofe. Prendiamo ad es. il Corale Lobt Gott, ihr Christen allzugleich (Lodate Dio, o voi tutti cristiani) 1) armonizzato da J. S. Bach:

1)

nelle cadenze di semifrase e di frase troviamo il punto coronato o corona: il segno ha qui valore grafico e non esecutivo, per rendere visivamente più chiara la struttura. Alcuni direttori allungano erroneamente gli accordi con la corona e il canto soffre inevitabilmente di pesantezza. Capita anche di sentire (come nel caso in esame) il prolungamento delfrase solotroviamo accordo ildi punto semifrase ‘gleich’U(da 1/4 a 3/4), mentre rimane col e non nelle cadenze di semifrase e di coronato o corona: il segno ha Thron qui valore grafico esecutivo, per rendere visivamente più chiara la struttura. Alcuni direttori allungano erroneamente gli accordi valore scritto: non si riconosce più la cadenza di semifrase da quella di fine frase. La corretta esecuzione non con la corona e il canto soffre inevitabilmente di pesantezza. Capita anche di sentire (come nel caso in esame) il vuole prolungamento e rispetta la durata scritta, segue il respiro non affannoso (il movimento può essere prolungamento del solo accordo di semifrase ”gleich” (da 1/4 a 3/4), mentre Thron rimane col valore scritto: non dilatato), per poi riprendere tempodi1. fine La conferma viene dal doppio confronto la pura sileggermente riconosce più la cadenza di semifrase daaquella frase. Lacicorretta esecuzione non vuolecon prolungamento e 2 melodiala2)durata tratta scritta, dal Gotteslob con la versione organistica 3) dall’Orgelbüchlein Libro dilatato), d’Organo)per poi rispetta segue il, erespiro non affannoso (il movimento può essere (Piccolo leggermente 1. Bach BWV 609, n. 11 di J. S. La conferma ci viene dal doppio confronto con la pura melodia 2) tratta dal Gotteslob 2, e riprendere a tempo con la versione organistica 3) dall’Orgelbüchlein (Piccolo Libro d’Organo) BWV 609, n. 11 di J. S. Bach

2) 2)

3)

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TECNICA


3)

OSSERVAZIONI ai punti 2) e 3) 2) solo melodia: il trattino inclinato indica il respiro a fine verso e la corona non è usata. Da notare anche a fine frase la minima su ‘Thron’ seguita da pausa di semiminima e non di minima puntata (cfr. 1). La tonalità di Mib M, più bassa, in tessitura media, è più adatta all’assemblea. 3) corale figurato per organo: se la corona avesse valore esecutivo, lo stesso Bach interromperebbe il fluire delle quartine di semicrome nelle parti interne, prolungando l’accordo sotto la corona. Ciò non accade né alla semifrase 3A), né a fine frase 3B). Nessuna improvvisa fermata quindi, semmai un poco ritenuto (limitato al 3° movimento in 3A e al 1° in 3B) che rievoca il respiro nel canto. Troviamo ulteriore conferma nel seguente corale In dulci jubilo. Le diverse indicazioni di tempo 4) 3/4, 5) 6/4, 6) 3/2 e le differenti tonalità 4/5) in Fa M, 6) in La M non sostanziali per la nostra disamina, non devono confondere.

4)

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5)

6)

4) armonizzazione (Bach) per coro in Fa M: corone sia alla semifrase che alla frase (solo segno grafico); 5) anche l’assemblea mantiene il Fa M; anche qui c’è solo il trattino ad indicare il respiro (Gotteslob); 6) elaborazione contrappuntistica per organo (Orgelbüchlein BWV 608, n. 10) con il tema in canone all’ottava. Il flusso delle terzine non conosce sosta o cedimenti, nemmeno a fine frase (4a battuta).

NOTE 1 con preciso riferimento al corale sei/settecentesco. La scelta di raddoppiare o triplicare il valore della nota coronata è retaggio di una lettura ottocentesca che tende a dilatare il movimento, le sonorità e gli organici. L’argomento è ampio dato il grande utilizzo del corale nella letteratura organistica, corale, per soli, coro e orchestra e merita una trattazione particolareggiata. 2 Gotteslob, pag. 209, n. 134: libro di canti liturgici introdotto dalle conferenze episcopali tedesca, austriaca ed altoatesina nel 1975 allo scopo di unificare il repertorio assembleare dei paesi di lingua tedesca. Articolo tratto dal metodo: Mario Lanaro Esperienze Corali © 2012 Edizioni Carrara Bergamo n. 5281 per gentile concessione

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TECNICA


Analisi

Petrassi, dialettica tra umanità e avanguardia nei ‘Mottetti per la Passione’ PARTE SECONDA

III. TENEBRAE FACTAE SUNT

DI IRENE PLACCI CALIFANO

Tenebrae factae sunt dum crucifixissent Jesum Judaei: et circa horam nonam exclamavit Jesus voce magna: Deus meus, Deus meus ut quid me dereliquisti? Et inclinato capite emisit spiritum. (V Responsorio per la Feria VI, di Parasceve)

IRENE PLACCI CALIFANO Chitarrista e direttrice di coro, ha conseguito il Diploma Accademico di II livello in chitarra con 110 e lode presso il Conservatorio ‘G. Rossini’; nel 2018, il Diploma Accademico di II livello in Direzione di coro e Composizione corale con 110 e lode, presso il medesimo Conservatorio. Svolge attività concertistica come solista e come direttrice di diversi ensemble corali, tra cui il Coro femminile Leukós e l’Eidos Vocal Ensemble, da lei fondati nel 2015 e nel 2018.

Il terzo mottetto, Tenebrae factae sunt, racconta il momento drammatico della morte di Cristo sulla croce. L’organizzazione formale di questa composizione è particolarmente interessante: è possibile infatti rintracciare una struttura che si basa su una suddivisione in sezione aurea. Il totale delle 49 battute è suddivisibile in due sezioni, secondo l’ordine seguente: A – B (1 – 2 – 3) con sezione A (b. 1 – 30) e sezione B (b. 31 – 49), seppur divisa in tre sottosezioni. Applicando il principio del calcolo della sezione aurea, secondo il quale il rapporto esistente tra un segmento AC (totale, somma dei due segmenti) ed un segmento AB (segmento maggiore) è il medesimo che sussiste tra AB (segmento maggiore) e BC (segmento minore), riscontriamo in effetti che il rapporto tra la sezione A, calcolata più precisamente in 30,3 battute, e la sezione B, calcolata in 18,7 battute, è di 1,6; valore che corrisponde esattamente al rapporto tra il totale delle battute, 49, e la sezione A. Anche in questo caso, le due sezioni seguono una scansione fortemente legata al testo: la prima termina prima delle parole pronunciate da Cristo, la seconda giunge fino alla fine. La sezione A è caratterizzata da

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un’evidente disgregazione sia a livello musicale che a livello testuale: le voci, che si sdoppiano al loro interno fino a raggiungere anche otto parti, svolgono entrate indipendenti, solo in alcuni di casi di carattere imitativo; le sillabe delle parole sono distribuite tra le diverse parti, che non ne eseguono mai più di due consecutive, senza che ci sia un passaggio ad un’altra voce o una pausa. Una volta pronunciata una determinata sillaba, il suono viene spesso mantenuto, anche per diverse battute, a creare una sorta di tappeto sonoro su cui si incastona il testo portato avanti dalle altre parti. La sezione A, che termina in ppp, si chiude sulla parola ‘magna’, divisa tra Basso e Tenore.

La prima parte della seconda sezione, B1 (b. 31 – 33), crea una rottura con ciò che è stato realizzato fino a questo momento: a livello dinamico, con un f improvviso che si risolve subito con un brusco diminuendo, a livello agogico, con l’indicazione dell’autore che richiede un tempo ‘Più lento’ e, soprattutto, con l’omoritmia di tutte le voci sulle parole ‘Deus meus, Deus meus’, enfatizzata dal ff, in netto contrasto con la condotta contrappuntistica impiegata precedentemente. Una plasticità tangibile, punto di convergenza della sezione precedente, ma anche nuovo spunto per la divergenza che si realizzerà successivamente: si può vedere dunque un arco formale, una sorta di momento generativo da cui qualcosa si espande, prende forma e poi, inevitabilmente, si estingue, come accade nell’eterna antitesi tra la vita e la morte.

La sezione B2 (b. 34 – 40) è in un certo senso un ritorno al carattere di A, con un impiego delle voci tutt’altro che omoritmico, il ritorno ‘a tempo’ ed una dinamica assai contenuta. La voce di Contralto, che sprofonda in un registro assai grave, testimonia scelta espressiva legata a stretto giro con la sconsolata ed umana domanda che Cristo rivolge a Dio; una domanda che si estingue e rimane sospesa con una significativa corona.

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ANALISI


L’ultima sezione B3 (b. 41 – 49) si configura come una sorta di coda, in accordo con il termine della narrazione anche a livello testuale. La prima battuta della sezione, b. 41, sarà ripresa letteralmente a b. 46, un caso rarissimo forse legato all’inevitabilità della scena descritta. Decresce la dinamica, così come l’agogica, in un progressivo estinguersi di suono e parole. Al Soprano solo è affidata la parola ‘emisit’, dopo la quale tutte le voci, in lentissima omoritmia, pronunciano ‘spiritum’, con l’indicazione di prendere fiato tra le tre sillabe della parola, quasi a voler enfatizzare in senso onomatopeico l’ultimo soffio vitale che abbandona Cristo sulla croce. Dal punto di vista armonico, nell’ambito di un impianto di carattere più modale, in cui non è riscontrabile un discorso di impronta seriale, emerge in questo mottetto un senso di quartitonalità. Ciò scaturisce probabilmente dalla frequentissima (quasi esclusiva) ricorrenza intervallare di terze e settime, maggiori e minori, con relativi rivolti e assai spesso celate dietro l’enarmonia, in un fluire di suoni contigui che scongiurano il raggiungimento dell’accordo tonale, ma che lasciano comunque emergere la triade come labile percezione; si evidenzia addirittura, nelle tre voci centrali, una terza maggiore (tra Baritono e Tenore) inglobata all’interno di una terza minore (tra Baritono e Contralto). Si riscontrano situazioni in cui le voci propongono otto suoni diversi: è facile intuire come, all’interno di agglomerati del genere, sia facile riscontrare qualunque rapporto intervallare, in una gamma estremamente ampia di possibilità. Alla fine del mottetto, troviamo l’interessante sovrapposizione delle triadi do# mi sol# e re# fa# la#; l’accordo precedente, privo del mi naturale, sembra di derivazione pentatonica, quasi fosse concepito secondo una logica a sé stante che, solo in un secondo momento, si sviluppa andando a formare le due triadi sovrapposte, i cui elementi ‘risolvono’ all’unisono (o all’ottava) sulla nota sol#.

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IV. CHRISTUS FACTUS EST Christus factus est pro nobis obediens usque ad mortem. Mortem autem crucis. Propter quod et Deus exaltavit illum et dedit illi nomen, quod est super omne nomen. (Antifona Post Canticum Zachariae per la Feria di Parasceve) Il mottetto che conclude il ciclo, Christus factus est, racconta la drammatica catabasi che conduce Cristo alla morte, in contrasto con l’anabasi rappresentata dalla resurrezione. A livello formale, possiamo anche in questo caso riscontrare quattro sezioni, strettamente legate alla divisione del testo: A – B – C – D La sezione A (b. 1 – 13) si apre con due agglomerati omoritmici, scanditi da altrettante corone, che rappresentano in un certo senso i due ‘pilastri’ da cui prende il via l’intero mottetto: le parole ‘Christus’ ed ‘est’, collegate dal percorso melodico svolto dal contralto.

Fin dall’inizio della composizione si evidenzia una caratteristica che contraddistingue questo ultimo brano dai precedenti: se nei tre mottetti incontrati fino ad ora le sillabe delle parole erano spesso suddivise tra le diverse voci, in quest’ultimo la tendenza è quella di realizzare strutture imitative in cui tutte le voci, salvo poche eccezioni, pronunciano tutte le parole degli interventi che sono loro affidati: si verifica quindi la situazione in cui sia la frase ad essere spezzettata tra le voci. La parola ‘mortem’, reiterata più volte, vede invece tutte le voci in omoritmia. Con una sorta di struttura a chiasmo, sulla stessa parola si apre la sezione B (b. 14 – 27), che si caratterizza più che altro come una sorta di breve inciso, a ricalcare la frase presente nel testo, presentato prima con una condotta omoritmica di tutte le voci (che si muovono per linee discendenti compensate, almeno nella prima parte, dal Basso che sale per moto contrario) e successivamente con una struttura di stampo contrappuntistico.

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ANALISI


Si tratta di un punto di snodo, che focalizza l’attenzione sulle parole chiave ‘mortem’ e ‘crucis’, così che risultino ben chiare all’ascoltatore. Un punto focale che trova la sua ragion d’essere specialmente se messo in relazione con la condotta tutta particolare della sezione C (b. 28 – 52), la più lunga, ma allo stesso tempo la più scorrevole del brano: sulle parole ‘propter quod’ prende il via una reiterazione ostinata tanto del testo quanto delle altezze, mantenute dalle voci a creare, come osservato in altre situazioni, un cluster di note contigue.

Con l’introduzione del nuovo testo alla voce di Contralto, può svilupparsi una struttura imitativa che smuove lo statico tappeto sonoro realizzato. In corrispondenza della parola ‘exaltavit’, le cui sillabe sono in questo caso distribuite tra le diverse voci, si realizza un secondo cluster di suoni contigui, prima che le voci pronuncino insieme la parola ‘illum’ (senza però variare le altezze delle battute precedenti). Grazie alla congiunzione svolta dalle due voci superiori, si giunge alla corona che chiude C. La sezione D (b. 53 – 62) presenta una struttura imitativa perfettamente simmetrica, in cui le voci si imitano due a due, mentre la voce di Tenore funge da collante tra i due gruppi: alla prima entrata delle voci maschili segue quella delle voci femminili, sia sulla parola ‘quod’ che sulla parola ‘est’; subito dopo, con un evidente chiasmo, all’entrata delle voci femminili segue quella delle voci maschili (sia su ‘super’ che su ‘omne’).

GOFFREDO PETRASSI | 33


Come già osservato nella conclusione degli altri tre mottetti, anche stavolta le voci concludono all’unisono (o all’ottava), in questo caso sulla nota do diesis, che, sebbene si debba qui fare riferimento ad un contesto armonico assai differente da quelli in cui solitamente si trova impiegata, lascia percepire la sensazione di una piccarda conclusiva, non solo del singolo mottetto, ma di tutto il ciclo. Al termine dell’analisi di questi quattro mottetti, si evidenziano certamente alcuni parametri ricorrenti, sotto vari aspetti. Innanzi tutto, emerge l’importanza del testo, cui Petrassi rimane sempre fortemente legato: l’uso delle figure retoriche, l’accento posto su determinati passaggi, la ridondanza di altri, la condotta delle singole voci, l’omoritmia e il contrappunto, sono tutti procedimenti volti alla massima compenetrazione con il testo, che, come si accennava all’inizio, non rimane semplice parola, ma assume nel lavoro del compositore i connotati di vero e proprio elemento musicale, con le sonorità intrinseche che lo caratterizzano e per questo da valorizzare dal punto di vista della comprensibilità. Sotto l’aspetto dell’armonia, ci troviamo di fronte ad un linguaggio frutto di un pensiero razionale complesso, lontano dalle regole della tonalità, ma pur sempre legato in alcune sue manifestazioni ai procedimenti compositivi dell’imitazione, quindi del contrappunto, ma anche, per contrasto, alla condotta omoritmica delle parti. Cambiano certamente i rapporti esistenti tra gli elementi del discorso musicale, non si parla di gradi della scala più importanti di altri, ma nemmeno si considerano tutte le altezze allo stesso modo: il campo armonico, che, come si diceva, acquisisce significato nel momento in cui esclude determinate altezze, è certamente un procedimento in parte messo in atto; a questo si accompagna l’utilizzo di cluster di note contigue e, in maniera evidente, l’utilizzo di cellule di intervalli (soprattutto di terza minore, intervallo onnipresente nel ciclo che si sta analizzando, ma anche di settima e nona minore) sviluppati in diverse forme e sovrapposizioni. Anche la triade, rinnegata da altri compositori d’avanguardia, trova il suo spazio, collocata in determinati punti e sempre parte di un intreccio più ampio di rapporti intervallari. Un tessuto complesso, certo, ma che risponde ad una forte logica compositiva. Dal punto di vista di un direttore di coro, affrontare i Mottetti per la Passione significa confrontarsi con una sfida assai impegnativa, sia dal punto di vista della realizzazione tecnica, sia sotto l’aspetto interpretativo. Per quanto riguarda il primo punto, appare evidente, a meno che non si voglia peccare di presunzione, che non tutti i cori possano permettersi di inserire nel proprio repertorio brani di questo genere. Si richiedono al coro infatti tre caratteristiche fondamentali: altissima competenza tecnica dal punto di vista vocale, intonazione impeccabile e perfezione ritmica. Eseguire note del registro acuto, magari in diminuendo, mantenendo la giusta vocalità (eliminando quindi quanto più possibile il vibrato, ad esempio) richiede esperienza e studio; per intonare i complessi intervalli scritti dal compositore è necessario non solo un ottimo orecchio (se non l’orecchio assoluto), ma anche una certa confidenza con l’uso dell’enarmonia, un espediente che senza dubbio un accorto direttore metterà in pratica per facilitare l’apprendimento delle parti. In poche parole, il coro che voglia affrontare questi mottetti dovrà dar prova di grande elasticità, competenza, raffinatezza e costanza. Al direttore spetta il compito di coordinare questi elementi, facendo sì che diventino atteggiamento naturale, quasi un presupposto che fornisca la base su cui costruire l’interpretazione: sarebbe inutile, infatti, centrare un obiettivo oggettivamente complesso mettendo in evidenza lo sforzo compiuto per raggiungerlo. Giungiamo quindi al secondo punto, quello dell’interpretazione. Non c’è dubbio che la musica del ‘900 sia caratterizzata, nella maggior parte dei casi, da una forte presenza del compositore nella puntualità delle indicazioni di dinamica, agogica, espressività, eccetera. La bravura del direttore (e del coro) starà nel fare sua la volontà del compositore, reinterpretandola ed integrandola, come è giusto che sia (altrimenti saremmo solo meri e vuoti esecutori, privi di sensibilità e volontà), affinché tutti gli elementi che concorrono all’esecuzione siano chiari ed in armonia: solo così l’ascoltatore potrà far suo il significato di un lavoro denso e complesso che, a dispetto di un’apparente incomprensibilità, racchiude in sé una profonda ricerca ed una straordinaria forza comunicativa.

34 |

ANALISI


Repertorio Pubblichiamo i brani secondi classificati al Concorso internazionale di composizione per voci bianche e giovanili ‘Corinfesta’

Second International Composition Competition ‘Corinfesta’

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Secondo Concorso Internazionale di Composizione ‘Corinfesta’

Lenta la neve fiocca

"Orfano" da Myricae di Giovanni Pascoli Moderato (come un'antica ninna nanna)

Voce

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3


Commento

Come nasce una composizione per coro di voci bianche? Per quello che mi riguarda nasce sempre dalla contingenza: mi capita di scrivere in occasione di concorsi, di pubblicazioni, in questo caso un po’ per mettermi alla prova, oppure per semplice necessità scolastica.

Aspetti didattici delle composizioni per coro di voci bianche DI ENRICA BALASSO

ENRICA BALASSO E’ diplomata al Conservatorio ‘L. Campiani’ di Mantova in flauto traverso, musica corale e direzione di coro, didattica della musica. Laureata in Lingue e letterature straniere, è insegnante di scuola secondaria di primo grado e direttrice di coro.

54 |

COMMENTO

Nella mia principale attività di docente di strumento alla Scuola Secondaria di primo grado a indirizzo musicale mi trovo più che altro a dover arrangiare per organici strumentali spesso improbabili (che so, un’orchestra composta da arpa, clarinetto, flauto e pianoforte), ma ogni tanto capita che ci sia qualche buona classe sotto il profilo vocale che ispira una prosecuzione dell’attività corale anche dopo i primi mesi di scuola quando già si suona qualche nota con lo strumento. E allora si pone il problema del repertorio. Ogni coro ha le sue particolari esigenze e necessità, per questo la ricerca di un repertorio adeguato va fatta ‘su misura’. Spesso anche brani rodati in altre situazioni non vanno bene per quel particolare gruppo. Ecco che nasce l’esigenza di scrivere qualcosa ad hoc che magari vada ad affrontare un particolare aspetto vocale o ritmico o tecnico. In ogni caso, che si scriva per un coro ben preciso, o si scriva per un coro ideale, è chiara l’importanza di avere bene in mente i destinatari del brano, perché sebbene gli obiettivi didattici che un brano si pone possano essere comuni a tutte le età, la modalità in cui si affrontano dovranno tener conto delle caratteristiche cognitive date dallo sviluppo ad ogni determinato momento. Ci sono degli elementi che a mio avviso non possono mancare in una composizione dedicata a un coro di voci bianche. Innanzi tutto l’aspetto ludico, non tanto per il divertimento fine a se stesso – sebbene sia determinante creare un clima di apprendimento a cui il bambino/ragazzo torna volentieri – quanto perché, com’è noto, il gioco è la modalità principale attraverso cui avviene l’apprendimento per i bambini. Quindi, trovo utile avvalermi di un testo


che sia già di per sé accattivante, o perché racconta una storia divertente o perché presenta giochi di parole, o allitterazioni, o onomatopee che suggeriscono un lavoro sul ritmo o sulla sonorità della parola. Cito ad esempio il testo di Moscerini scemi, dell’autore (e pittore) romano Toti Scialoja, dove il significato è reso ancor più surreale dalla prevalenza e insistenza di pochi suoni consonantici: Se i moscerini scemi vanno a sciami Da Pescia ad Altopascio e piove a scroscio, la gita va a finire a scatafascio Però, è anche vero il movimento opposto, ossia, porre l’attenzione compositiva su certi aspetti, come la corporeità, il ritmo o la pronuncia può già determinare la caratteristica giocosa di un brano. Una composizione che coinvolga nella sua esecuzione tutto il corpo è sicuramente più stimolante, almeno nelle prime esperienze di musica corale, di una che richiede un’attenzione e un controllo specifico ed esclusivo sulla voce – sempre di tipo corporeo, ma più a livello di motricità ‘fine’ dell’apparato fonatorio. Anche per queste ragioni, amo molto utilizzare il coro ‘parlato’, perché permette di esplorare con maggiore libertà aspetti che poi si ritrovano in altra veste nel repertorio corale da concerto. Partendo da queste premesse, vorrei ora soffermarmi su aspetti specifici presenti in alcuni miei brani per coro di voci bianche.

In questo esempio, tratto da Moscerini scemi, sovrappongo un ritmo in crome ad uno in semiminime, che scandisce la pulsazione, su cui si innesta poi un glissando in minime. È un modo per lavorare sulla suddivisione a livello intuitivo e però già ‘polifonico’, con in mente l’obiettivo dell’indipendenza delle parti. La precisione ritmica è molto collegata ad una articolazione precisa delle sillabe, in particolare delle consonanti. Sempre nello stesso brano, con anche lo scopo di evidenziare i suoni ricorrenti già presenti nel testo (‘S’, ‘SC’, ‘P’…) isolo quindi una sola consonante e ne costruisco una sorta di motivo percussivo:

che viene poi riproposto in imitazione sfasata di mezza battuta:

Ritmo Sappiamo come in una melodia l’aspetto di altezza delle note (il profilo melodico, appunto) sia strettamente collegato al parametro delle durate dei suoni, quindi all’aspetto ritmico. Per questo motivo, curare la precisione ritmica è determinante. Il coro parlato, alla Carl Orff, mi permette di trattare separatamente la competenza ritmica, che presumibilmente diventerà più efficace quando sarà interconnessa al profilo melodico. In genere uso spesso sovrapposizioni di ritmi semplici, che aiutino l’indipendenza ritmica delle singole voci. Trovo sia più facile, soprattutto con bambini più piccoli, lavorare sull’indipendenza delle voci usando brevi frammenti parlati, piuttosto che un intero canone tradizionale.

ASPETTI DIDATTICI DELLE COMPOSIZIONI PER VOCI BIANCHE | 55


creando così una sovrapposizione a imitazione, ritmicamente più interessante. Un tipo di sovrapposizione ritmica più complessa, volta sempre all’indipendenza delle parti è il canone ritmico, o il fugato ritmico. Anche in questo caso, il coro parlato aiuta a concentrarsi sulla precisione della propria parte e sull’indipendenza senza in più il pensiero dell’intonazione precisa. Infine, il ritmo ha sempre a che fare con la dimensione corporea, da cui trae origine: sappiamo l’elaborazione del ritmo avviene nel cervelletto, la parte più ‘primitiva’ del nostro cervello, che presiede anche al movimento. Per questo, un brano che abbia caratteristiche ritmiche spiccate, facendo appello alla dimensione motoria, sarà anche più coinvolgente per il giovane cantore. Corporeità Proprio per quanto si è appena visto, scelgo spesso di inserire veri e propri interventi motori, sottoforma di body percussion. Ad esempio in Plaudite, Psallite (Giro Giro Canto 7) su suggerimento del testo ogni voce accompagna il suo ostinato con il battito di mani, o inserendosi nelle pause (voce 1 e 2), o accompagnando il ritmo della parola (voce 3) per ritrovarsi con lo stesso ritmo alla fine dell’ostinato. Oltre che per una funzione esplicativa del testo (plaudite manibus), il battito di mani, essendo un un suono percussivo non vocale, fornisce una differenziazione timbrica, ma soprattutto mira al coinvolgimento del corpo nel canto, che richiede coordinazione.

Nel Fantasma del castello (Giro Giro Canto 2) uso la body percussion più per creare effetti che come elemento ritmico: la pioggia, il vento, i lampi e i tuoni, un temporale, insomma, forse la più abusata delle imitazioni della natura, ma sempre di grande efficacia con i piccoli. In questo caso, poi, la body percussion è ritmicamente libera, perché mira ad ottenere effetti agocici e dinamici, diventando così un’occasione per sperimentare in modo attivo un andamento (in accelerando e rallentando o in crescendo e diminuendo) di gruppo, da eseguire seguendo le indicazioni chironomiche del direttore oppure basandosi sull’ascolto per arrivare a gestire da soli il momento di passare da un andamento al suo opposto.

56 |

COMMENTO


Anche in questo brano, la parte ritmico-percussiva è demandata al parlato, attraverso l’uso di sillabe onomatopeiche nella voce 2 che rendono esplicito il significato del testo cantato dalla voce 1.

Vocalità – emissione – respirazione L’aspetto motorio riguarda anche quei meccanismi che governano la produzione della voce cantata, ovviamente a livello di motricità fine. Per me, diventa quindi importante suggerire nel brano delle modalità di lavoro in quella direzione: esplorazione del registro/estensione vocale, percezione e attivazione della muscolatura addominale, emissione, risonanze. È chiaro che non si può avere la pretesa di approfondire queste competenze in un solo brano, ma trovo interessante a livello didattico la possibilità di utilizzare un pezzo destinato ad un’eventuale esecuzione in concerto per affrontare, a livello intuitivo e sperimentale per il bambino, qualche questione tecnica, in modo che la finalità esecutiva ed espressiva non sia mai separata da uno studio prettamente tecnico. Scendendo più nel concreto, faccio riferimento all’esempio riportato in precedenza (es.3), in cui si costruiva un ritmo percussivo a partire dall’isolamento del suono ‘P’. Oltre all’intento ‘ritmico’, l’obiettivo era anche quello di porre attenzione alla cura dell’articolazione delle consonanti. Questa è anche strettamente legata ad aspetti fisici di produzione del suono: se torniamo agli esempi precedenti (fig. 3), pronunciare la ‘P’ (bilabiale sorda) in modo che sia udibile richiede un’attivazione notevole del diaframma e dei muscoli della cintura addominale, così come il successivo suono ‘PF’ richiede il giusto dosaggio del fiato sempre a livello diaframmatico per gestirne la durata e l’intensità in diminuendo. Anche l’uso del glissando nell’esempio successivo ha una chiara intenzione didattica, in quanto permette di esplorare l’estensione vocale e le risonanze nei limiti di quelle che sono le reali possibilità del cantore in quel momento. Com’è noto, non tutti i bambini passano naturalmente dalla voce di petto a quella di testa; il glissando è una modalità abbastanza istintiva per far capire empiricamente il passaggio di registro e sperimentare suoni molto acuti o, viceversa, molto gravi senza bisogno di cercare un’intonazione precisa, ma quella più consona al tipo di estensione del cantore.

Con lo stesso obiettivo vanno intesi anche la risata e i suoni ‘paurosi’ del Fantasma del castello, la prima ancora per stimolare il cosiddetto ‘appoggio diaframmatico’, mentre i secondi per esplorare il registro di testa assieme alla vocale ‘U’ che permette l’abbassamento e quindi il rilassamento della laringe.

ASPETTI DIDATTICI DELLE COMPOSIZIONI PER VOCI BIANCHE | 57


In Ognuno al suo posto (Giro Giro Canto 2), pensato per un coro di bambini molto piccoli, scelgo invece di demandare l’esplorazione del registro vocale acuto ai versi degli animali (per esempio lo squittìo del topolino), mentre l’estensione del canto resta nell’ambito di una sesta. I versi degli animali hanno anche la funzione di introdurre semplici ritmi e possono eventualmente essere affidati a un secondo gruppo di bambini che magari non ha ancora ‘trovato’ la propria voce intonata. Sempre a proposito di emissione e tenuta del suono, è da intendersi l’inizio sussurrato di Moscerini Scemi, in cui a ogni cantore è richiesta la ripetizione di parole o coppie di parole sul fiato e in crescendo fino al fortissimo, contrastando la naturale tendenza del diaframma a svuotarsi e dovendo trovare istintivamente ciascuno la propria soluzione.

Con lo stesso scopo, il suono ‘SH’ in crescendo o in diminuendo che vuole imitare il vento nel Fantasma del castello (vedi es. 5) richiederà la capacità di dosare bene il fiato per ottenere entrambi gli effetti, facendo ancora appello alla percezione della muscolatura addominale e alla gestione della respirazione diaframmatica. Sappiamo che un bravo direttore di coro sa usare intelligentemente qualsiasi brano per trarne suggerimenti didattici e operativi, ma se il compositore tiene in conto certi aspetti nel momento dell’ideazione e della composizione del brano può, a mio avviso, facilitarne non poco il lavoro.

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COMMENTO


Commento

Questa è una domanda che sicuramente moltissimi cori e direttori si saranno fatti nell’organizzare o eseguire concerti. Ma la vera domanda da porsi è un’altra: «Perché dobbiamo pagare i diritti d’autore?».

Questa SIAE... perchè pagarla? DI FRANCESCO BARBUTO

FRANCESCO BARBUTO Compositore, scrittore, direttore di coro e consulente musicale, svolge un’intensa attività professionale nell’ambito culturale, artistico musicale e corale. Svolge attività nel movimento corale sia nazionale sia internazionale. È stato Presidente della Commissione Artistica Regionale dell’Unione Società Cori Italiani Lombardia (USCI) e direttore della rivista musicale online ‘A più Voci’ dal 2011 al 2015. È studioso e ricercatore della musica del ’900 e del Contemporaneo, sia corale sia orchestrale. È Cittadino Onorario di Caronno Varesino, insignito del ‘Sigillo Civico’ per il suo impegno nell’Arte, nella Cultura e nella Musica e per la direzione d’eccellenza del Choro Lauda Sion, da lui stesso formato.

Non siamo qui a parlare della SIAE in quanto tale: La Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE) è un ente pubblico economico, preposto alla protezione e all’esercizio dell’intermediazione dei diritti d’autore. In particolare la SIAE, come prescritto dagli articoli 180183 della legge sul diritto d’autore (art.180 della Legge del 22/0/1941, n.633), agisce come ente intermediario tra il pubblico e i detentori dei diritti, occupandosi di: concedere licenze e autorizzazioni per lo sfruttamento economico di opere, per conto e nell’interesse degli aventi diritto; percepire i proventi derivanti dalle licenze/autorizzazioni; ripartire i proventi tra gli aventi diritto. Nè di come svolge il suo esercizio sul farci pagare i bollettini dei concerti (obbligatori, tra l’altro, per legge), ma dell’importanza e del dovere di riconoscere questo ‘diritto d’autore’. Quando i cori eseguono i loro brani in repertorio nei concerti ‘pubblici’, stanno utilizzando di fatto composizioni che sono state ideate e realizzate appunto dai compositori, che hanno il diritto di proprietà – chiamato più propriamente ‘diritto d’autore’ – su questi stessi brani. Il diritto d’autore è, come dice il termine stesso, un ‘diritto’, come vero e proprio istituto giuridico, che ha lo scopo di tutelare i frutti dell’attività creativa e intellettuale, attraverso il riconoscimento sia morale sia patrimoniale all’autore dell’opera. Questo riconoscimento dev’essere remunerato per legge, per un periodo limitato nel tempo: fino a 70 anni dopo la morte dell’autore (attraverso anche i propri eredi). Dopodiché l’opera diventa di Pubblico Dominio. È qui che entra in gioco la SIAE, che gestisce, tutela e remunera

SIAE... PERCHE’ PAGARLA? | 59


questi diritti. Gli scopi del diritto d’autore sono molteplici. Tra i più importanti: tutela dell’atto creativo, tutela economica dell’autore, diffusione di arte e scienza. Nel primo caso, dietro all’atto creativo dell’autore c’è un impegno, c’è un lavoro e un investimento di tempo e spesso anche di denaro che pongono quindi tutto questo da tutelare, riconoscendo i meriti del suo creatore. Nel secondo caso, il diritto d’autore favorisce la creazione e incentiva a ‘creare’ in quanto il lavoro viene retribuito e ricompensato.

Nel terzo caso, le opere dell’ingegno creativo, avendo una naturale tendenza a una diffusione estesa e potenzialmente senza limiti, richiedono una protezione che vada al di là di quella che può essere a livello nazionale. Questo si collega articolo 27 della Dichiarazione universale dei diritti umani, nel quale al paragrafo 2 riconosce il valore supremo dello sforzo dell’ingegno umano e sancisce che: «Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria ed artistica di cui egli sia autore». Giunti a questo punto, dobbiamo anche fare riferimento al diritto morale dell’autore, riconosciuto in tutte le legislazioni del mondo. Questo diritto ‘nasce’ dal momento in cui l’opera creativa si manifesta. Solo l’autore può decidere se e quando pubblicare la sua opera. Accanto a questo diritto, vi è anche il diritto patrimoniale, sancito e riconosciuto dall’articolo 17 della Dichiarazione universale dei diritti umani: «I diritti patrimoniali sono i diritti esclusivi dell’autore di utilizzare economicamente la sua opera e di trarne un compenso per ogni tipo di uso». Comprendendo questa ‘esclusività’ di proprietà dell’opera di un autore, si comprenderà anche la necessità e

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l’obbligatorietà di riconoscerla anche quando quest’opera viene eseguita in un concerto. Gli esecutori, nel momento in cui eseguono un brano, stanno utilizzando una proprietà altrui. Sul piano economico, non dobbiamo confondere quelli che sono gli eventuali proventi, che un autore, un compositore può chiedere come commissione a un coro, a un gruppo strumentale o orchestra, un ente, ecc., per aver realizzato la sua opera, la sua composizione – questo si tratta di un atto privato di carattere commerciale, che viene stipulato liberamente tra i due contraenti – rispetto al riconoscimento del diritto d’autore, che viene stipulato per legge e dove i proventi – per i compositori e anche per gli editori, laddove le composizioni fossero pubblicate edite – vengono stabiliti secondo dei parametri ben precisi e istituzionali. La gestione dei diritti d’autore, da parte della SIAE, si suddivide in diverse sezioni, quelle alle quali anche i cori dovranno attenersi nelle loro esecuzioni concertistiche e nelle rispettive richieste e pagamenti dei bollettini. Sezione MUSICA Dedicata ai diritti relativi alle opere musicali, con o senza testo letterario, sia di genere classico sia leggero, i diritti di pubblica esecuzione delle opere, inclusa quella cinematografica e la diffusione radiotelevisiva e i diritti di riproduzione meccanica delle opere. Sezione DOR – LIRICA Sezione Lirica e Balletto Tutela le opere del teatro musicale e della danza, come: le opere liriche, gli oratori, i balletti, le coreografie, le opere pantomimiche. Tutela i diritti d’autore che derivino da rappresentazioni in pubblico, diffusioni radiofoniche o televisive (via etere, cavo, satellite), Internet, riproduzioni cinematografiche, video, audio, CD-ROM, attuate con qualsiasi supporto tecnico o sistemi di diffusione. Sezione DOR (Opere Drammatiche e Opere Radiotelevisive) Tutela le opere drammatiche, le operette, le riviste e le opere analoghe, comprese quelle create appositamente per la radio, la televisione o altri mezzi di diffusione a distanza. Questa sezione tutela i diritti relativi alle rappresentazioni in pubblico, alla diffusione radiotelevisiva, via cavo o via satellite, e i diritti relativi alla riproduzione meccanica (audio, video, CD ecc.) ed alla comunicazione pubblica con apparecchi radiotelevisivi. Si occupa inoltre della tutela dei diritti relativa alla diffusione via Internet. Sezione OLAF (Opere Letterarie ed Arti Figurative) Vengono amministrati i diritti relativi ad opere letterarie (e loro traduzioni) e a tutte quelle opere relative ad arti visive (pittura, scultura, grafica, fotografia, computer art). Per le prime la SIAE amministra i diritti relativi alla lettura


o recitazione in pubblico, alla riproduzione meccanica (su dischi, videocassette, CD-ROM ecc.), alla diffusione radiofonica e televisiva, alla comunicazione pubblica per radio o tv, alla diffusione tramite le più moderne tecnologie (Internet), vengono inoltre tutelate la riproduzione a stampa delle opere letterarie, attraverso la vigilanza sui contratti di edizione che le sono affidati dagli autori. Per le seconde invece la SIAE esercita la tutela del diritto di riproduzione su libri, cataloghi, riviste, poster, cartoline, oggetti e materiali vari, videocassette, CD-ROM, e dei diritti di diffusione televisiva, o effettuata con l’uso delle più moderne tecnologie (Internet). Sezione CINEMA (Cinema e Opere Audiovisive) Tutela le opere cinematografiche o assimilate (film per la tv, telefilm seriali, serie e miniserie televisive, telenovelas e soap operas, situation comedies, film inchiesta in una o più puntate, documentari televisivi e cartoni animati di breve durata fino a 45’, ecc.). Per quanto riguarda più specificatamente le esecuzioni concertistiche, vi sono tre sotto sezioni, della Sezione MUSICA, a cui attenersi e per le quali si dovranno compilare i relativi bollettini e pagare i diritti d’autore: Modello 107/OR (colore rosso) – per le esecuzioni dal vivo, con ballo, di complessi orchestrali o singoli esecutori; concertini; pianobar; concerti di musica leggera, pop ed esecuzioni simili. Modello 107/C (colore blu) - per i concerti di musica classica (s’intende anche la musica sacra e colta), jazz, di danza e per le musiche di scena in spettacoli teatrali. Modello 107/SM (colore verde) - esecuzioni musicali con strumento meccanico (juke boxes - radio - riproduttori

fonografici o digitali con o senza amplificazione ecc.). Ognuno di questi modelli, avrà dei costi precisi da sostenere, anche in base al luogo (vi sono costi differenti per esempio tra un tipo di teatro e un altro, un auditorio o una chiesa) e alla quantità di posti a sedere che questo luogo può avere. Concludiamo nel dire che molti enti, associazioni, federazioni, ecc. nazionali hanno stipulato convenzioni con la SIAE, volti a disciplinare in modo particolare le esecuzioni concertistiche. Nel 2006 la FENIARCO (Federazione Nazionale Italiano Associazioni Regionali Cori) ha stipulato la convenzione con la SIAE volta a disciplinare le esecuzioni musicali gratuite di repertorio amministrato dalla Sezione Musica effettuate con esibizioni ‘dal vivo’, su tutto il territorio nazionale, da complessi corali (con accompagnamento di non più di due strumenti musicali) aderenti a Feniarco. Di seguito il link dove potete leggere e scaricare la convenzione SIAE/FENIARCO: http://www.feniarco.it/it/servizi/servizi-per-associati/siae

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VI Concorso Corale Città di Riccione DI FABIO PECCI

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È con estremo orgoglio che chiudiamo la 6a edizione del Concorso di Riccione, consci di aver vissuto giornate di grandissimo pathos e qualità. Il Concorso di Riccione, organizzato dalle ‘Allegre Note’ in partnership con AERCO, ha ottenuto nel 2019 anche il patrocinio FENIARCO e si è imposto definitivamente nel panorama nazionale come uno dei più interessanti eventi per le voci bianche italiane. Sono stati 13 i cori in concorso che hanno animato la competizione; a questi si sono aggiunti i tre cori che hanno dato vita al concerto inaugurale, portando così e quota 465 il numero dei coristi che si sono avvicendati nelle varie occasioni appuntamento. Andiamo per gradi ripercorrendo queste due giornate riccionesi traboccanti di musica e ragazzi. Novità di questa edizione è stato l’atelier per direttori e coristi che ha tenuto il M° Manolo Da Rold nella giornata di sabato 25 maggio: 93 coristi e 4 direttori hanno riempito l’auditorium di voci e sorrisi, affrontando tematiche legate alla tecnica vocale e studiando brani di repertorio. Sabato sera presso la chiesa Mater Admirabilis si è svolto il concerto inaugurale tenuto dal Coro ‘Le Allegre Note’ e dal coro ‘Audite Nova’ di Staranzano (GO), vincitore dell’edizione 2018. Ospiti anche i ragazzi del Giovanile ‘Audite Juvenes’, sempre diretti da Gianna Visintin. Domenica 26 maggio i 13 cori si sono avvicendati sul palco dell’Auditorium Levi-Montalcini suddivisi in categorie A e B per gli scolastici e C per gli associativi.
In 6 anni il concorso ha ospitato 85 cori ma mai si era registrata una concentrazione di tanti cori di estremo valore tutti insieme. Originalissimi i programmi presentati, con molte proposte anche di autori italiani contemporanei tra i quali spiccano: Bettinelli, Da Rold, Basevi, Alberti, Bernandinelli e tanti altri. Abbiamo ascoltato anche autori classici, romantici e qualche esecuzione di musica antica. I cori che più si sono distinti sono stati i due vincitori ex aequo : ‘Artemia’ di Torviscosa diretto da Denis Monte e ‘Fran Venturini’ di Domio diretto da Susanna Zeriali. Questi due cori


hanno anche guadagnato rispettivamente il premio per la migliore esecuzione di un brano a cappella ( Il caso di una parentesi di B. Bettinelli) e il premio per il miglior direttore al M° Zeriali. Ancora in bella evidenza il coro ‘i Minipolifonici’ di Trento diretti da Annalia Nardelli sempre in fascia primo premio e un coro della nostra Regione, il ‘Cavricanto’ di Cavriago, che, diretto da Ilaria Cavalca ha anche vinto i premi per il miglior coro dell’Emilia Romagna partecipante (erano 4) e il premio ‘Jenny Berardi’ per la miglior presenza scenica. Nelle categorie dei cori scolastici piazzamenti più alti (primi premi non assegnati) per i due cori di San Ginesio (MC) diretti da Fabrizio Marchetti: ‘Minincanto’ scuola primaria e ‘Minincanto’ scuola Secondaria dell’I.C. ‘V. Tortoreto’. La giuria era composta da 5 elementi di grande prestigio coordinati in direzione artistica da Fabio Pecci: Andrea Angelini – Presidente AERCO Gianluigi Giacomoni - Presidente C.A. AERCO Fabio De Angelis – Delegato FENIARCO Manolo Da Rold – Ass.ne “Le Allegre Note” Gianna Visintin – coro vincitore edizione 2018 A seguire l’elenco completo dei partecipanti in rappresentanza di 8 regioni e 11 province. Categorie A e B Cori Scolastici 1. ‘Minicoro Incanto’ San Ginesio ( MC) cat. A
Direttore Fabrizio Marchetti – Pianoforte Marco Rozzi 2. Coro ‘Gigalobaibamba’ Castel Focognano (AR) cat .B Direttore Luca Nocentini – Pianoforte Sole Feltrinelli 3. ‘Minicoro Incanto’ San Ginesio ( MC) cat. B

Direttore Fabrizio Marchetti – Pianoforte Marco Rozzi 4. Coro ‘Valsamoggia’ Valsamoggia ( BO) cat.B Direttore Angela Balboni – Pianoforte Enrico Bernardi 5. Coro ‘Voci Bianche Rimini’ Rimini cat.B Direttore Maria Elvira Massani – Pianoforte Simonetta Pesaresi Categoria C – cori Associativi 1. Coro ‘Artemia’ Torviscosa (UD) Direttore Denis Monte Pianoforte Giacomo Bonutti 2. Coro ‘Cavrincanto’ Cavriago (RE) Direttore Ilaria Cavalca – Pianoforte Nicole Costoli 3. Coro ‘Euforia’ Rimini Direttore Maria Elvira Massani – Pianforte Simonetta Pesaresi 4. Coro ‘Fran Venturini’ Domio (TS) Direttore Susanna Zeriali – Pianoforte Salateo Martina – Violino Florjan Suppani 5. Coro ‘Gli Harmonici’ Bergamo Direttore Fabio Alberti – Pianoforte Dario Natali 6. Coro ‘I Minipolifonici’ Trento 
 Direttore Annalia Nardelli - Pianoforte Luca Pernice 7. Piccolo Coro del Teatro ‘A. Rendano’ Cosenza Direttore Maria Carmela Ranieri - Pianoforte Roberto Boschelli 8. Coro ‘Child in time’ Roma Direttore Antonio Marcelli

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A quarant’anni dalla scomparsa di Mario Dellapina, prete e musicista DI UBALDO DELSANTE

 Mons. Mario Dellapina

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C’è una foto che lo ritrae in una strada piena di gente, in centro a Parma, fine anni Quaranta, in abito talare e cappello a larghe tese, il volto giovanile che accenna ad un sorriso, più che un prete sembra un figurino di una casa d’abiti ecclesiastici oppure un attore vestito da prete che stia per salire sul set a interpretare un film di quell’epoca, tra Sordi e Mastroianni, tanto per rendere l’idea. Ed è così che amo ricordarlo: mentre guarda sicuro alla vita col suo sorriso un po’ ironico e un po’ beffardo. Monsignor Mario Dellapina è nato a Castellonchio, una frazioncina del Comune di Berceto, il 24 settembre 1913, figlio di Domenico e Margherita Lapina, in una nidiata che sfiorerà i dieci fratelli: la soluzione del seminario, come per molti altri giovanetti dell’epoca, e non solo in montagna, è una questione di sopravvivenza. Ordinato sacerdote il 7 luglio 1937, ha studiato musica a Roma all’Accademia di Santa Cecilia e al Pontificio Istituto Superiore di Musica Sacra, ha proseguito poi a Parma e a Piacenza diplomandosi in canto gregoriano nel 1941, in musica corale nel 1949 e in composizione nel 1953; dal 1955 al 1967 ha insegnato esercitazioni corali al Conservatorio «Arrigo Boito» di Parma; è stato maestro di cappella, guarda-coro della Cattedrale di Parma e insegnante di canto e musica sacra nei seminari di Parma fino al 1967; quindi insegnante di teoria, estetica musicale e paleografia gregoriana presso l’Istituto Ambrosiano di Musica Sacra di Milano, il Conservatorio di Cagliari, infine quello di Torino, dove scomparve quarant’anni fa, il 4 marzo 1979. Pastore di anime e maestro di musica, ecco le sue


vocazioni che lo hanno fortemente impegnato nella vita. L’attività dominante fu quella di insegnante di musica e compositore di inni sacri ed è qui, attraverso la musica, che la sensibilità di uomo di fede lo faceva in modo rilevante prete. Oltre la musica, amava i suoi monti e la bellezza della natura che gli richiamava il divino e che cantò con grande finezza espressiva. Si racconta che un giorno d’estate Dellapina, in cammino con un gruppo di seminaristi sul monte Cavallo, trovasse l’ispirazione per il suo Magnificat nell’udire i lontani rintocchi e gli echi delle campane del Santuario della Madonna delle Grazie di Berceto. E poi basta accennare alla suggestiva armonizzazione della Rapsodia montanara - che è stata il biglietto di presentazione, la cover, si può dire oggi, della Corale Collecchiese, per sottolineare questa sua precisa inclinazione culturale prima ancora che musicale. Una corale a Collecchio, ora per voci bianche ora per voci virili o miste, è documentata in ambito parrocchiale fin dai primi decenni del Novecento, poi in ambiente laico negli anni Venti  con la Corale Collecchiese nel 1957 e infine ancora all’ombra dei due campanili alla vigilia della guerra quando sia il direttore del coro, il mitico don Guido Anelli, il ‘prete volante’ della Resistenza, e gli stessi coristi incapperanno nella drammatica diaspora bellica. La rifondazione della corale alla metà degli anni Cinquanta può essere definita sotto il profilo storico-semantico come un simbolo della rinascita nel dopoguerra, quando, regolati i conti con la sconfitta dirigenza politica, rimosse le macerie, uomini e donne erano caparbiamente riusciti a rimettere in piedi un paese che come avevano fatto non lo sapevano nemmeno loro, eppure c’erano riusciti. Era un periodo in cui la pacificazione sociale era ancora da compiere poiché restavano nondimeno aperti seri problemi sindacali, tuttavia le persone che esercitavano allora la leadership nei diversi schieramenti politici rappresentati in Consiglio comunale avevano sufficiente equilibrio per mantenere tranquillo, e in molti casi anche collaborativo, l’ambiente. Nell’immediato dopoguerra, a causa della difficile situazione economica, si era verificato un certo fenomeno migratorio in particolare verso il Sudamerica, ma già

qualcuno cominciava a rientrare. Tra questi ultimi il tenore Ennio Salvarani, che era stato alcuni anni in Cile. In gioventù aveva compiuto studi specifici di canto e avrebbe potuto seguire una brillante carriera se la guerra non ne avesse impedito il proseguimento della preparazione. Rientrato a Collecchio, aveva ripreso contatto con i vecchi compagni del coro ed era naturale che si pensasse ad una ripresa dell’attività coristica. Così ne parlarono col viceparroco don Iginio Ferri che in seminario aveva studiato musica e che in precedenza aveva già fatto qualche tentativo di ricostituire il gruppo se non altro per condecorare le cerimonie liturgiche più solenni con le Messe del Perosi. Da questo gruppo scaturì la decisione di prendere contatto con il maestro don Mario Dellapina. Il ricordo più vivo che mi rimane degli anni in cui Dellapina diresse la Corale collecchiese, è legato al concerto alla Sala Bossi di Bologna, il 10 gennaio 1959. È un concorso, anzi, un concorso montanaro che la corale finisce per vincere, ma a me piace considerarlo un concerto, perché quello è l’approccio voluto dal maestro. La Sala Bossi di Bologna è lo scrigno più prestigioso del Conservatorio ‘Giovanni Battista Martini’, già convento degli Agostiniani. Tappezzata in velluto cremisi, con una piccola pedana per gli strumentisti, ospita concerti e soprattutto concorsi pianistici internazionali. È un auditorium di modeste dimensioni, rettangolare, adatto per musica da camera, non molto idoneo per gruppi corali di alcun genere, meno che mai per cori montanari. Quando, per la Corale, viene il turno di eseguire il proprio repertorio, la Sala Bossi è gremita di appassionati di canti montanari, soci del Club Alpino Italiano e del Centro Turistico Giovanile di Bologna (un’agenzia che si affianca alle attività dell’Azione Cattolica e particolarmente attiva nella Curia del cardinale Lercaro) e soprattutto di amici e parenti dei coristi dei vari complessi in gara. Ogni corale presenta brani obbligati e altri a discrezione, ma per quella di Collecchio è la delicata e raffinata Rapsodia montanara a decidere le sorti del premio. È una giornata memorabile. La Corale Collecchiese capisce ora con che direttore ha a che fare ed ha la consapevolezza di avere assimilato almeno in parte la sua cultura musicale in AERCO NOTIZIE | 65


modo fermo e duraturo, tanto che rimane ancora oggi, quasi come un patrimonio genetico, in entrambi i gruppi corali, la Corale Collecchiese ‘Mario Dellapina’ (erede diretta della vecchia Corale) e il Colliculum Coro (nato nell’ottobre 1989 presso l’Associazione Alpini, che allinea tuttora alcuni ex coristi di Dellapina) e poi dei suoi allievi diventati maestri a loro volta, come Giovanni Veneri e Adolfo Tanzi in particolare. La data ufficiale di ricostituzione della Corale è indicata nel 29 febbraio 1956, ma al momento il maestro aveva impegni pregressi, per cui le prove iniziarono con un altro prete-musicista, don Giorgio Zilioli, parroco di Madregolo, docente di musica nelle scuole medie, che anche in seguito sarà direttore della Corale e altri complessi come la Verdi. I mezzi finanziari di cui disponeva la corale erano assolutamente inesistenti, all’inizio. Qualcuno suggerì di accedere ai contributi ministeriali che il Provveditorato poteva erogare qualora si istituisse un Corso di Orientamento Musicale. Detto  Dellapina dirige la Corale Collecchiese nel 1958 fatto, si varò la squadra che, a cominciare dall’autunno 1956, per un triennio condurrà la Corale: direttore il maestro Dellapina e insegnanti delle varie sezioni del coro la professoressa Lidia Boni e don Iginio Ferri. Le lezioni si tenevano un paio di volte la settimana in un’aula al piano seminterrato della Casa della Gioventù da poco eretta a fianco dell’antica chiesa romanica. La Boni istruiva i tenori primi e i tenori secondi, don Iginio i baritoni e i bassi. Poi era Dellapina a mettere insieme le quattro voci. Non ho la competenza per descrivere la sua didattica musicale. Posso dire che non pretendeva una impostazione particolare della bocca e della voce, ma era attento alla modulazione e all’emissione. Curava in modo particolare i piano e i pianissimo: ‘A cantare forte sono capaci tutti – diceva - ma è con i pianissimi che saltano fuori i difetti e si verifica il reale valore di una corale’. Aveva, il maestro, un senso del suo ruolo e di quello della Corale veramente molto alto, la dignità di fare musica bene dovunque, certo, anche in un piccolo paese come Collecchio. I coristi però non sempre erano allineati al maestro, in questo senso. Forse ci si poteva anche scherzare e riderci sopra e prendersi non troppo sul serio, con la giusta ironia che nella vita è un grande viatico, ma quando si fa musica insieme bisogna farlo con il tono e lo stile dovuti. Un esempio. Talvolta, per stemperare un’atmosfera fin troppo seriosa, saliva una canzonetta falsamente operistica e vagamente di stile verdiano, che cominciava pressappoco così: Oh io vorrei andare sulla Luna in bicicletta, proseguiva con versi alla buona e qui non ripetibili, e si concludeva con un finale trionfante e liberatorio. Di questa canzone popolare c’è anche una versione più ingentilita e meno sboccata, armonizzata da Arturo Benedetti Michelangeli per il Coro SAT di Trento. La versione nostrana era cantata tranquillamente con i coristi anche da don Iginio, con santa innocenza. Ma questo exploit avveniva soltanto se non c’era Dellapina, perché mancava il coraggio di scendere a quelle turcherie lui presente. Chissà, forse le avrebbe tollerate o forse no, e non tanto per la loro esplicita trasgressività, ma in quanto lesive della dignità della musica, una dissacrazione. Forse non è il caso di esagerare, e può essere successo che il maestro lo abbia qualche volta ascoltato, questa specie di jingle da stadio; ma c’era, in ogni caso, nei coristi una sorta di timore reverenziale che li tratteneva dal scendere a eccessive confidenze con un personaggio dotato di una caratura così fortemente carismatica come lui. Ecco, dunque, come amo ricordare il maestro monsignor Mario Dellapina: con quel certo sorriso sulle labbra, come nella foto sbarazzina di cui dicevo all’inizio, mentre guarda alla vita davanti a sé, tra l’ironico e il beffardo.

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‘Aveva, il maestro, un senso del suo ruolo e di quello della Corale veramente molto alto, la dignità di fare musica bene dovunque, anche in un piccolo paese come Collecchio’


© Fotolia

ISOLA DEL SOLE

FESTIVAL CORALE INTERNAZIONALE 26 – 30 SETTEMBRE 2020 | GRADO, ITALIA

interkultur.com/grado2020



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