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SUSTAINABILITY
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FIGURE IN EVOLUZIONE
Compiti, criticità e sfide
Parlano i protagonisti
Largo agli eco-manager, i registi della green transformation
Quella dell’head of sustainability è una figura sempre più centrale nella governance delle aziende moda, chiamate a rimodulare processi e prodotti a tutela dell’ambiente. Con un compito complesso e sfidante: saper ispirare, trasmettere consapevolezza e imprimere energia agli ingranaggi del cambiamento
DI ANGELA TOVAZZI Nelle aziende sono loro i paladini della sostenibilità, i guardiani della rivoluzione verde, gli esperti che analizzano, vigilano, elaborano piani strategici per far sì che la crescita del business sia sostenibile, nel senso letterale del termine. Sono gli eco-manager, o boss della sostenibilità, oppure circularity o sustainability & risk manager: un termine univoco per definirli ancora non c’è, a dimostrazione del fatto che si tratta di un profilo in definizione ed evoluzione, anche se sempre più centrale nella governance dei grandi gruppi. «In passato - racconta Marisa Parmigiani, alla guida del Csr Manager Network, l’associazione nazionale dei manager e dei professionisti della sostenibilità
Le skill richieste? Capacità di ascolto e analisi, leadership e abilità con i numeri
- era una figura interna alle imprese, scelta spesso più per il suo rapporto fiduciario con i vertici che per competenze ad hoc, o con un ruolo vicino alla sfera dei valori e dell’identità aziendale». Negli ultimi cinque-sei anni invece, come spiega la presidente, la maggiore consapevolezza sul climate change e l’emanazione di norme più stringenti e coattive in materia ambientale - pensiamo ad esempio all’obbligo di rendicontazione per le società quotate o di pubblica utilità - ha dato una forte accelerazione nell’intraprendere nuovi percorsi virtuosi, con la necessità di arruolare executive con una formazione multidisciplinare, perfezionata da una preparazione tecnica specifica attraverso master o master executive post-laurea, e soprattutto con skill in grado di fronteggiare compiti trasversali e sfide complesse. «Capacità di ascolto, leadership, predisposizione all’analisi e saper maneggiare i numeri» sono, secondo Parmigiani, le qualità chieste oggi a un manager che si occupa di sostenibilità, anche se spesso l’efficacia degli input messi in moto da un head of sustai-
GAVIN THOMPSON VP Corporate Citizenship Canada Goose
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1. Un’immagine di Zalando: entro il 2023 l’etailer prevede che il 20% del Gmv provenga da prodotti sostenibili e di prolungare la vita di almeno 50 milioni di articoli moda 2. Il nuovo Standard Expedition, il parka in assoluto più sostenibile di Canada Goose, un articolo il cui design genera il 30% in meno di carbonio e in grado di ridurre del 65% l’impiego di acqua durante la produzione rispetto all’Expediton Parka tradizionale per supportare il processo di implementazione della strategia di sostenibilità del gruppo Ovs, il cui prossimo obiettivo green è di arrivare al 90% dei prodotti realizzati con materiali da filiera certificata a impatto ridotto entro il 2025. «Oltre a instillare maggiore awareness su questi temi, il concetto fondamentale da far passare - spiega - è che l’attenzione alla sostenibilità non è filantropia, non è charity. È business. Nessuna azienda può pensare di sopravvivere nel lungo periodo se non adotta processi e immette sul mercato prodotti sostenibili. Si tratta alla fin fine di fare business creando un impatto positivo, anziché negativo». Valutato, sulla base degli obiettivi raggiunti nel 2021, fra i top performer di settore in termini di Esg (Environmental, Social and Governance) da alcune agenzie di rating di sostenibilità, come fa notare il gruppo veneto, Ovs sta la-
Uno dei modi più semplici ed efficaci per utilizzare meno risorse e ridurre lo spreco nell’industria dell’abbigliamento è semplicemente mantenere in uso i capi più a lungo
nability sono direttamente proporzionali alla sua collocazione gerarchica nell’organigramma aziendale, in quanto «riportare al ceo o al direttore generale, in realtà organizzative per la maggior parte ancora strutturate a silos, rende più concreta la possibilità di imprimere un cambiamento». Non c’è dubbio che se ai piani alti dell’azienda preesiste un humus fertile per accogliere e inglobare nuove pratiche ecologically correct, il compito dell’eco manager è meno arduo, ma la differenza la fa «la capacità dell’azienda di lavorare in team attorno a una rinnovata consapevolezza di cosa significhi un business sostenibile», come suggerisce Simone Colombo, arrivato nel 2016 La circolarità impone di concepire il prodotto in modo che possa essere recuperato a fine vita
vorando parallelamente sui quattro pilastri - prodotti e supply chain, clienti, persone e negozi - che sorreggono il suo impegno ecofriendly. «Indubbiamente la prima categoria - precisa Colombo - è quella che assorbe le maggiori energie tra le nostre diverse aree d’azione e anche la più impegnativa ai fini della tracciabilità del prodotto. La sfida è saper scegliere fornitori che abbraccino gli stessi valori e, se questo prerequisito non c’è ancora, riuscire a trasmettere loro la tua visione, considerandoli, più che fornitori, degli alleati produttivi, uniti dalla stessa mission». Anche per Canada Goose, tra i leader mondiali dell’outwear e impegnato a utilizzare, entro il 2025, il 90% di Pfm (Preferred Fibres and Materials) e a integrare soluzioni sostenibili nel 100% degli imballaggi, la tutela dell’ambiente passa necessariamente attraverso un commitment collettivo. «Abbiamo creato dei Sustainability Council in tutte le nostre operation in Nord America,
La sfida di Zalando: rendere le scelte sostenibili più attraenti
La consapevolezza non basta per incrementare la spesa eco-friendly, secondo l’e-tailer tedesco. Bisogna incentivarla con acquisti più attraenti, realistici e accessibili
Nonostante sia opinione diffusa che i consumatori, soprattutto della Gen Z, siano molto sensibili al “quoziente” sostenibile delle aziende e all’importanza di passare da un’economia lineare a una circolare, sembra siano ancora pochi quelli che integrano questi valori nelle loro abitudini d’acquisto. «Da un nostro report sappiamo che il 61% di loro - spiega Laura Coppen, head of circularity di Zalando (nella foto) - è convinto che l’acquisto di capi second hand sia un ottimo modo per fare shopping in modo sostenibile, ma meno della metà compra regolarmente capi used, adducendo preoccupazioni per l’igiene e la mancanza di opzioni convenienti». Ancora meno (solo il 23%) quelli che riparano i prodotti per allungare loro la vita. Rendere le scelte più attraenti, realistiche e accessibili è allora la strada maestra per spingere gli acquisti ecofriendly. «Questo è il motivo per cui abbiamo deciso di introdurre il servizio di second hand - prosegue Coppen - e cercato di rendere la vendita di abbigliamento di seconda mano facile come l’acquisto di pezzi nuovi». Come ribadisce la manager, gli obiettivi di Zalando sul fronte della circolarità (che fanno parte della strategia do.More dell’azienda) sono ambiziosi: oltre al traguardo del 20% di Gmv proveniente da prodotti sostenibili entro il 2023, entro due anni il colosso dell’e-commerce tedesco punta a prolungare la vita di almeno 50 milioni di articoli. Ma la prima battaglia da vincere è quella culturale. (a.t.)
Asia Pacifico ed Europa, che lavorano sia con i nostri uffici che con i negozi e hanno contribuito a introdurre sistemi di riciclo, eliminare la plastica monouso e avviare iniziative per ridurre, riutilizzare e riciclare all’interno dei nostri store», racconta il vp Corporate Citizenship Gavin Thompson, che sottolinea come per un’azienda verticalizzata come Canada Goose, produttore e distributore al tempo stesso, la maggior criticità sia proprio nel portare avanti la battaglia per la sostenibilità contemporaneamente su più fronti. Allungare la vita del prodotto in base a una logica circolare resta in ogni caso tra le priorità per l’industria della moda, secondo il manager: «Una delle cose migliori da fare per ridurre l’impatto di un prodotto è estendere il suo lifetime e ripararlo quando serve, mantenendo i capi in uso più a lungo. Un concetto, questo, che ci appartiene da sempre. Siamo pionieri della slow fashion prima che il termine venisse coniato. I nostri articoli sono fatti per durare una vita». Oggi è proprio la questione del “post consumo” uno dei gangli su cui riflettere per imprimere davvero una svolta in direzione ecosostenibile, come sottolinea il manager di Canada Goose, che nel 2020 ha lavorato con specialisti a livello internazionale «per sperimentare varie soluzioni di upcycling, donazione e riciclo». Un cambio di prospettiva che, per essere realmente incisiva, dovrebbe però installarsi già a monte, prima di produrre effetti a valle: «La circolarità impone di creare nuovi modelli di business - osserva Simone Colombo di Ovs -. Dovremmo operare sempre di più in termini di ecodesign, ossia concepire il prodotto
SIMONE COLOMBO Head of Corporate Sustainability Ovs
in modo che possa essere recuperato a fine vita». Come, visto che ancora oggi l’80% degli articoli tessili finisce in discarica? Lo sforzo dovrebbe tradursi in un ripensamento del processo creativo e produttivo, in modo che tenga conto del post consumo e sia dunque compatibile con soluzioni come noleggio, subscription o riciclo. Modelli ancora «immaturi» secondo l’head of sustainability di Ovs, perché «non ancora scalabili su una dimensione industriale sufficiente a supportare la produzione tessile di oggi». Ciò che serve in realtà è soprattutto una forte spinta dal basso: «Le aziende hanno fatto importanti progressi sul fronte della consapevolezza - evidenzia Colombo -. La vera rivoluzione si avrà con un’aderenza massiccia a questi nuovi schemi da parte dei consumatori».
A lato, un’immagine della campagna denim waterless di Ovs. Secondo l’ultimo bilancio di sostenibilità del gruppo veneto, il 30% del denim nel 2020 è stato prodotto utilizzando la tecnologia waterless e, entro il 2025, questa quota arriverà al 100%, risparmiando il consumo di oltre un miliardo di litri d’acqua
Yamamay ancora più green con Edit
Csr director di Yamamay dal 2019, Barbara Cimmino è impegnata in prima linea nella trasformazione green dei marchi in seno a Pianoforte Holding, dove è in atto, come spiega lei stessa, «un lavoro molto profondo sul cambio delle componenti e del modo di confezionare i nostri prodotti, portato avanti anche in gruppi allargati ad altre aziende con il sistema dell’open innovation». Ne è un esempio l’ultima “creatura” di Yamamay, battezzata Edit: la prima linea di costumi realizzata in tessuto riciclato e riciclabile, parte integrante della collezione Mare Yamamay, di cui il 30% dei costumi da bagno è concepito per ridurre gli impatti industriali sull’ambiente attraverso l’utilizzo di componenti sostenibili, del Cad 2D, della stampa 3D e degli avatar per lo sviluppo dei modelli. Edit traccia infatti la strada per progetti collettivi che uniscono industrie di diversi settori, oppure istituti di formazione come - in questo caso - l’Accademia di Belle Arti Aldo Galli di Como. (a.t.)