EIKON n. 10

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FREE PRESS SETTEMBRE/OTTOBRE

PIETRO NEGRI EDITORE

N.10



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FREE PRESS - Settembre/Ottobre

N.10

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In copertina: Opera di Alessandro Kokocinski “Imprimersi nel segno del’eternità”

di Marta Breuning IL SENSO DELLE IMMAGINI PIETRO NEGRI EDITORE

N. 10 Settembre - Ottobre 2010 Bimestrale di informazione e cultura dell’immagine Direttore responsabile Maria Elena Bonacini Sommario Redazione 02. Maria Rita Montagnani 06. Marica Rossi 08. Annette Ronchin 10. Marta Breuning 12. Gabriella Niero 14. Mara Campaner 16. Barbara Vincenzi 18. Marta Longo 24. Associazione Soqquadro 26. Francesca Scomparin 28. Teresa Francesca Giffone Pietro Negri Editore Corso Palladio, 179 36100 Vicenza pietronegrieditore@alice.it Stampa Grafiche Corrà Arcole (VR) Chi desidera collaborare invii richiesta a info@federcritici.org L’Editore si dichiara pienamente disponibile a regolare eventuali pendenze relative a testi, illustrazioni e fotografie con gli aventi diritto che non sia stato possibile contattare. Eikon Magazine E’ vietata la riproduzione anche parziale di testi e immagini presenti su tutta la rivista Supplemento della testata Museohermetico Reg. Trib. VI. 1115 del 12.09.2005 roc n. 13974 Eikon Magazine è un prodotto

EIKON

EDITORIALE

Artisti, critici e galleristi da una parte, e designer, architetti e artigiani dall’altra, rappresentano due distinte categorie che hanno la “missione” di tenere collegata la creatività artistica (invenzioni, forme, fantasie e immagini) con la vita reale, le necessità del tempo e il territorio, ovvero con ciò che i poeti romantici definivano prosaicamente, e con una punta di vanità, lo Spirito del Tempo. Nel secolo scorso gli esponenti di spicco delle avanguardie artistiche, sostenute da un nascente mercato costituito da collezionisti facoltosi, istituzioni generose e dal favore incondizionato dei media, hanno realizzato opere che testimoniano la crisi del sapere moderno, percepito sin dagli inizi come evento ineluttabile nella storia della coscienza occidentale. Non siamo più in in grado di comprendere il senso delle immagini, ma abbiamo fatto delle immagini e delle forme estetiche il principio regolatore dello sviluppo della tecnologia e dei mezzi di produzione, del mercato delle merci e della mercificazione della bellezza. Nello stesso tempo ci sembrano quanto mai incomprensibili le parole di Frank Lloyd Wright, uno dei massimi architetti modernisti, che affermava come l’artista non deve semplicemente comprendere lo spirito del tempo, ma deve anche dare inizio al processo di cambiamento di tale spirito. L’arte modernista è sempre stata ciò che, seguendo Benjamin, si potrebbe chiamare “arte auratica”, nel senso che l’artista doveva assumere un’aura di creatività, di dedizione all’arte per l’arte, al fine di produrre un oggetto culturale originale, unico e quindi commerciabile a prezzi di monopolio. Il risultato di tutto ciò è spesso stato rappresentato da un atteggiamento estremamente individualistico, aristocratico, sprezzante, soprattutto nei confronti della cultura e dell’arte popolare, da parte dei produttori della cultura, a loro volta condizionati pesantamente dalle lobbies formate dai commercianti di arte e dai musei che avevano tutto il vantaggio di innalzare solo pochi eccelsi artisti alla volta al fine di far lievitare le quotazioni del genio di turno. Oggi più che mai il fenomeno dell’arte modernista di “massa” ha inflazionato il mercato di personalità geniali sotto ogni aspetto, per cui il successo di un artista (uno su mille?) dipende dal fronte formato da critici e curatori che gravitano interno ai media e possono favorire una certo “percorso creativo” rispetto ad un altro. La critica d’arte si muove come il braccio di una bilancia che funziona con pesi e sistemi di misura sempre diversi, a seconda delle mode, dell’estetica e del mercato del momento. Su un piano più “popolare”, come quello testimoniato da questa rivista, critici e artisti navigano insieme verso l’ignoto sulla stessa “barca”, a significare il ritorno della ricerca del “senso delle immagini” e della “forma del senso”, considerata dagli storici il preludio del Rinascimento.

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2010


2 . C R I T I C O M A R I A R I TA M O N TAG N A N I

ALESSANDRO KOKOCINSKI:

IMPRIMERSI NEL SEGNO DELL’ETERNITA’ di Maria Rita Montagnani

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o avuto recentemente come critica d’arte l’opportunità e la fortuna di incontrare e di conoscere da vicino Alessandro Kokocinski, grande personalità ed “artifex maximum” del panorama internazionale dell’arte contemporanea, figura controversa ed estremamente espressiva,che ha fatto dell’arte la propria vita e il proprio destino. L’ho incontrato nel suo studio strabiliante,un autentico “ouroboros”nel cuore della stupenda Tuscania dove vive e lavora e, qui,ho potuto fargli questa breve intervista che in realtà non ci rivela niente di più se non la misteriosa oscurità che avvolge ogni sua opera così come il nucleo della sua stessa anima. MRM: Maestro lei è pittore, scultore e disegnatore, e in ognuna di queste discipline Lei ha raggiunto l’eccellenza, ma tra esse ce n’è una che prevale sulle altre? O concorrono tutte in egual misura ad un’espressione totale? AK: Raggiungere l’eccellenza per fortuna è una meta inafferrabile.. , tra l’altro eccellenza rispetto a chi? a che cosa? qual è il metro di confronto? forse le posso rispondere che più conosco meno so, e ciò che conosco oggi non mi basta per domani, sono orgoglioso di quello che amo: l’Arte. MRM: Quale concetto ha del Male e quale significato ha per lei. AK: Il Male è necessario per capire il Bene. MRM: “Il vento ruba le voci al silenzio rivelandone i segreti” dice il poeta. A lei Maestro cosa rivela il silenzio? AK: Il poeta dice bene. L’artista in genere è un animale solitario e nel momento della creatività, nel suo “silenzio” forse dialoga con Dio.

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MRM: L’artista visionario è di sicuro un essere che vive di molte paure. Lei che cos’è che teme di più nella vita? AK: La stupidità. MRM: Quando lei crea, “possiede” o è “posseduto”? AK: l’atto del creare talvolta è un atto di pura ispirazione e come tale si è inconsapevoli, si stabilisce un rapporto di equilibrio tra possedere ed essere posseduto MRM: Facendo riferimento al mondo del mito, che lei spesso evoca o reinventa, a quale divinità-archetipo si sente più affine, all’incontenibile energia (argento vivo) di HERMES alla greve e feconda malinconia di SATURNO? AK: Senza dubbio Eros e Pathos. MRM: Guardando alla sua vita, così intensa,avventurosa e per certi versi anche pericolosa, rifarebbe anche gli stessi errori? AK: No MRM: Si dice che la Verità non si trovi in fondo al cammino, ma che sia il cammino stesso. E’ d’accordo? AK: Si, la vita di ogni uomo è un cammino verso se stessi. MRM: Cosa pensa dell’uomo di oggi? Quale ritiene sia il suo grado di civiltà riguardo alla scienza, all’Arte e alla vita. AK: Penso che la civiltà moderna, intendendo la società nella quale siamo immersi non ha un grado di civiltà, confrontandosi con le civiltà che ci hanno preceduto... in fondo la nostra epoca oltre ad aver inventato la penicillina ..e .. la bomba atomica ......se mi guardo intorno mi viene un pianto amaro...


A. Kokocinski, Senza titolo

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ALESSANDRO KOKOCINSKI: LA DIMENSIONE INFERA DELLA BELLEZZA a cura di Maria Rita Montagnani

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A. Kokocinski, Come la tempesta senza fine

o visto, ho visto tutto.Tutto ciò che si poteva vedere nell’invisibile,tutto ciò che si poteva strappare alla visione terrena, l’ho visto divenire ìnfero,demonico, in quelle straordinarie creature di Alessandro Kokocinski,che scaturiscono da ciò che non si può più raccontare ma solamente “patire”. I volti e le figure, che siano sculture o dipinti, sono comunque personificazioni dell’angoscia dell’artista, quei fremiti della materia rispecchiano i suoi tormenti interiori e cosmici,se ne percepiscono le urla ed anche i gemiti sommessi, ancor più temibili e ammalianti. In Kokocinski l’anima diviene oscurità della bellezza, la cui ombra malinconica illumina più che adombrare, ma illumina con una luce radente che getta ombre lunghe simili ad inquieti fantasmi. La mente di questo artista vaga instancabilmente, tornando e ritornando alle proprie ossessioni come un assassino sul luogo del delitto,niente la consola e tuttavia trova riscatto nel sentirsi sola e solitaria, sospesa tra ciò che fu e ciò che fu solamente immaginato, indecisa se infine fermarsi o trapassare in un improvviso stupore. Alessandro ha mille volti e uno solo, Kokocinski ha mille anni e un cuore solo, ma possiede un sentire che va oltre mille vite terrene, nella sua arte il vivere si esprime attraverso il soffrire, e l’esistere si manifesta attraverso ciò che fa soffrire. Passando davanti alle sue opere si cede all’irresistibile richiamo di fermarsi per “entrare” dentro ad esse, pur sapendo che dopo non ne usciremo più indenni. Questo è il loro maggiore incantesimo,l’incanto di ciò che vince perché è capace di soggiogare, cosciente della propria insostenibile potenza espressiva ed emotiva, eppure inconsapevole della sua immensa umanità.


Le sculture di Kokocinski nascono dalla pittura che poi nuovamente diventa forma solida, come magma sgorgato da una ferita lavica perenne, la fonte di ogni sua dolorosa passione ,di ogni suo impeto violento e tenero al tempo stesso. Nella sua solitudine l’artista, a differenza della desolazione dell’uomo comune, trova la propria moltitudine e in quella moltitudine scopre la sua unità interiore, la propria intima ed ultima individualità. In questa oscura zona dell’essere, Kokocinski dà vita ad ogni forma segreta,sia che provenga dall’umano che dal numinoso, foggiandola in una memoria eterna,memoria che è della stessa sostanza dei sogni, dunque evanescente, inafferrabile ma anche indelebile, imperitura. Attraverso la sua arte, Alessandro perviene alla conoscenza del dolore con il dolore della conoscenza che rappresenta il mezzo elettivo per giungere a quella coscienza più profonda e suprema -la Morte- e dare così al dolore dignità, senso e significato universali. Se l’essere umano contiene l’anima,per l’artista vi è un altro destino, quello di essere contenuto da essa, inscritto e inglobato nella totalità dell’Anima Mundi. Questo presupposto filosofico ci introduce alla spiritualità sicuramente travagliata di Kokocinski, in cui prevale il senso del sacro più che quello religioso, in quanto il suo rapporto con il divino si esprime attraverso una visione e una concezione politeistiche e non nella centralità di un dio monoteista. Ne deriva una tensione perenne,come se quei corpi e quei volti venissero scossi da dialettiche conflittuali e viscerali nei confronti di invisibili ma soverchianti entità superiori. C’è in tutta l’opera di Kokocinski un drammatico dualismo che tuttavia non è semplicemente una doppia polarità,non è solo bene-male, buioluce, notte-giorno, vita-morte, bensì l’unione di due istanze fatali –EROS e PATHOS- che costituiscono in questo artista un’unica, imprescindibile “Necessità”. Ed è attorno a questa terribile necessità che gira il mondo,così come risiede in essa il vero nucleo del mistero umano. Di fronte a questo insondabile mistero si dispiega ogni nostra energia e si piega ogni nostra ragione, nel comprendere infine che l’unica possibilità che abbiamo anche solo di sfiorare quel mistero, è rappresentata unicamente dall’arte. Concludo questo mio discorso su Alessandro Kokocinski, con la “sospensione” di una poesia di Neri Tancredi, che sembra modellata sull’anima di questo possente artista: “Nasco dove mi nascondo”.

A. Kokocinski, Imprimersi nel segno dell’eternità

“NASCO DOVE MI NASCONDO

Hai la tunica bianca Sulla carne stanca, Come un balsamo d’amore Sulla disperazione delle ore A cui è volato via il cuore. Ali nere come ciglia Portano gli occhi a perdersi Nella meraviglia del pensiero Della morte. Guardi l’essere Da cosmiche prossimità, Eppure temi una carezza E ti rifugi in ogni umana sorte. Conduci ogni cosa Alla sua estrema verità. Il tuo piede calca la vita Girandole intorno come Il pedale della tua bicicletta Gira intorno all’eternità. Neri Tancredi Ad Alessandro per la scultura “imprimersi nel segno dell’eternità”

A. Kokocinski, Senza titolo


6. CRITICO MARICA ROSSI

ALBERTO LANZARETTI PREZIOSE EMOZIONI a cura di Marica Rossi

A. Lanzaretti, Genesi

L’arte senza tradizione è come un gregge senza pastore. Ma senza futuro è un cadavere”. L’affermazione di Churchill, che evidentemente non si intendeva soltanto di politica, introduce bene all’opera di Alberto Lanzaretti alla sua prima personale all’ Urban Center della nativa Thiene, ma da tempo presente nel panorama artistico del Nord Italia essendo stato segnalato per bravura e originalità in collettive e concorsi nazionali. I suoi quadri, tarsie di legno colorato e incollato su tavola, ricordano le asimmetrie, gli scoppi di forme e colore dei Futuristi come le cromie di vernici per metalli introdotte dal movimento Dada: entrambi inneggianti il nuovo concetto di bellezza ispirato alla civiltà delle macchine. Intendimenti di cui Lanzaretti fa tesoro elaborando con la sua perizia di carrozziere una tecnica sua nel plot esecutivo successivo a quel disegno che è la vera anima del progetto. Infatti in quelle fiabesche figure, e più ancora nelle sue mirabolanti invenzioni geometriche, fa vivere un sentimento delle forme che è interiore e che, allo stesso modo che per i quadri di Ugo Nespolo (contemporaneo cui il nostro è per certi aspetti accostato), viene trasmesso a tutti i suoi fruitori. Sia all’osservatore acculturato, sia a chi, pur non essendolo, comprende il valore di questo costruire gioioso vivacizzato dal positivo rapporto dell’autore con un presente sul quale l’arte ha il potere di incidere relativamente alla qualità della vita. La fervida ispirazione ascrivibile a questa fede è poi arricchita dalla pratica certosina assiduamente esercitata. Quella che Baudelaire affermava essere propria ‘del lavoro tutti i giorni’, dove la manualità ha un ruolo importantissimo perché volta al compimento di un’opera pensata ma mai disgiunta dalla ferrea volontà di perfezione pure in fase operativa. E questa è una condizione di controcorrente notevole se pensiamo che uno dei tratti dominanti dell’arte contemporanea è una sorta di predominio della ideazione sulla esecuzione, come se si trattasse di una dichiarazione poetica oppure di un brevetto. Ebbene, in Alberto Lanzaretti troviamo invece tutto: l’emozione quale sorgente di creatività, l’invenzione, la preziosa e rara manualità, e una umiltà senza la quale questi dipinti sarebbero meno belli.

A. Lanzaretti, la foresta incantata

A. Lanzaretti, Lavori in corso


A. Lanzaretti, La stella del mattino A. Lanzaretti, Autoritratto

A. Lanzaretti, Frammento

Sono Alberto Lanzaretti, artista autodidatta, dopo un lungo periodo di gestazione, alcuni anni fa ho deciso di presentarmi al pubblico. Sono lavori di complessa esecuzione risultato di una lunga preparazione che fanno risaltare: manualità, armonia del colore e fantasia, caratteristiche in me innate. Dal 2007 mi propongo al pubblico applicandomi nel campo dell’arte e del design, opere caratterizzate da incastri di legno colorato e incollato su tavola e basi di materiale vario. Fin dall’inizio ho seguito una strada artistica personale, difficile, cercando una giusta coesione tra arte e design con esperienze positive anche nel settore dell’arte applicata. I miei recenti esordi nel panorama artistico locale prima, e nazionale poi, mi hanno portato ad esporre sia in collettive che in personali, tra le numerosissime esposizioni a cui ho partecipato vanno ricordate: nel 2007 le collettive ad Asiago - “Sareo” e a Thiene “Espressioni artistiche della

A. Lanzaretti, Attraverso lo spazio

Pedemontana”; nel 2008 a Stra’ in Villa Pisani per la manifestazione artistica “Aria Acqua Terra e Fuoco” e a Preganziol per il Premio Nazionale di Pittura “Città di Preganziol”; nel 2009 tra le collettive vanno ricordate quelle a Venezia in Galleria d’Arte San Vidal per la Biennale a Confronto, a Vicenza in Palazzo Vescovado nell’ambito di “Cinque per Uno” e ad Udine alla Galleria “Centro d’Arte Tiepolo” mentre tra le personali si menziona quella intitolata “Colore e Fantasia” tenuta presso l’Urban Center Thiene; infine nel 2010 la personale a Monticello Conte Otto presso la prestigiosa “Galleria Sante Moretto-Arte Contemporanea”; tra le collettive a Cartigliano “Eros e Thanatos - un abbraccio di amore e morte”. In programma la partecipazione alla 21a Edizione di Arte Padova, prestigiosa Mostra Mercato dedicata all’ Arte Moderna e Contemporanea. I miei lavori sono visionabili sul mio sito www.lanzarettialberto.it in

Contatti

Via Teano 5 36016 THIENE tel. 0445 368668 cell. 3478501736 info@lanzarettialberto.it www.lanzarettialberto.it

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8. CRITICO ANNA MARIA RONCHIN

RENATO FREDDOLINI ALGERIA, REPORTAGE DALL’OASI di Timimoum A cura di Anna Maria Ronchin

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“ La luce alle 10 del mattino”

“Le mani sulla teiera”

ALGERIA Reportage dall’Oasi di Renato Freddolini Galleria Tao, str.lla S. Barbara, 1 Vicenza Inaugurazione sabato 16 ottobre 2010 ore 18.30

enato Freddolini, originario di Quinto Vicentino, si dedica all’arte fotografica da 35 anni, seguendo la sua personale ricerca iconografica e tenendo corsi sulla tecnica e sui principi della composizione fotografica nella sua residenza-studio ad Altavilla di Vicenza. Dopo gli studi intrapresi con Roberto Salbitani di Mogginano Arezzo e con il CRAF di Pordenone, Renato Freddolini si configura come originale fotografo paesaggista, non solo per i singolari punti di vista delle sue vedute, ma anche per la scelta rigorosa del bianco e nero. La sua produzione è frutto della conoscenza dei materiali e del loro ottimale utilizzo; le sue immagini prendono forma, seguendo il processo creativo dalla previsualizzazione, allo sviluppo del negativo, fino alla scelta dettagliata della pellicola e della carta di stampa. Nel 1999 espone a Villa Thiene di Quinto Vicentino la mostra fotografica Paese intimo, la scelta di stile che predilige i punti di vista dal basso verso l’alto, ha lo scopo di riprodurre il paesaggio della memoria, quello del paese natìo, che Freddolini aveva conosciuto da bambino accanto al nonno giardiniere. Nella stessa sede, espone nel 2009 l’attuale mostra -Algeria- dove la scelta del punto di vista è, invece, quello della prossimità, della vicinanza che il deserto immancabilmente crea tra le persone e le cose. Ad esempio la foto: “Le mani sulla teiera”, dai toni contrastanti e dal gesto immediato, sembra muoversi nei fotogrammi successivi della sequenza di un evento quotidiano, mirabilmente, catturato. I paesaggi di Freddolini, non sono immediatamente identificabili, perchè sono “pensati”, conservano l’effetto del processo intellettuale di scavo e d’indagine conoscitiva dell’ambiente veneto, che oggi ha perso la sua connotazione principale, la presenza fluida dei corsi d’acqua, un tempo numerosi, della freschezza delle sue riviere. E’ da questa consapevolezza che l’artista parte per ricreare, graffiando via il colore, l’ambiente palustre e lussureggiante dell’antica foresta planiziale, le sue foto , a differenza di quanto si possa immaginare, non s’impoveriscono, anzi, ne vengono esaltate la luminescenza e la trasparenza del paesaggio. Dal 2003 Renato Freddolini sceglie d’intervenire su alcuni esemplari con la tecnica del ligth printing, tecnica dello sgranato, che si applica nella fase di stampa; per cui gli scatti perdono la linea dura dei contorni e lasciano il posto allo sfumato, con il risultato di una fotografia pittorica dai toni caldi. La sequenza delle 30 immagini proposte alla Galleria Tao nel mese di ottobre 2010 sono il frutto della collaborazione tra il geografo Pierpaolo Faggi, docente del Dipartimento di Geografia presso l’Università di Padova, e la Comunità Algerina sfociata nel viaggio compiuto tra il 2006 e il 2007 nell’Oasi di Timimoum, città di 30.000 abitanti. L’osservatore compie il viaggio ideale insieme al fotografo, che apre il percorso con l’immagine della metropoli con la sua densità abitativa; prosegue poi con gli eventi pubblici, come la festa del Montone, in musulmano Meshui, la gioia dei bimbi e il dramma della fine che attende il bovino, Re per un giorno, è il titolo della foto dai forti contrasti dei tagli di luce. Il paesaggio algerino è abitato dai bambini sulla strada e dagli uomini al mercato o all’ingresso nel cortile della moschea, si abbracciano, uniti dalla religione, altrimenti divisi nelle numerose etnie; i volti femminili, invece, emergono dalle mura domestiche o dai lunghi burqa spinti dal vento. Il viaggio prosegue nel deserto del Sahara, la tempesta di sabbia investe la strada che va ad Adrar, capoluogo di provincia, distante 180 km, fissata nella splendida la foto: “La luce alle 10 del mattino”. Poi compaiono le linee nette delle dune, i paesaggi di città abbandonate, il cielo senza nuvole, che fa da sfondo ai camellieri algerini accovacciati al bivacco per un the alla menta o al bar per il caffè; infine, il cimitero ai margini del paese, contemplato dal fedele ripreso di spalle. Il deserto è stato sin dai primi anacoreti il luogo privilegiato della meditazione e Sant’Agostino che ben lo conosceva lo paragona paradossalmente alla vita: “Dammi un cuore che ama, e capirà ciò che dico. Dammi un cuore anelante, un cuore affamato, che si senta pellegrino e assetato in questo deserto, che è la vita, un cuore che sospiri la fonte della patria eterna.” Liberi di appesantire o di esasperare, saremo viaggiatori partecipi che cantano al ritmo delle mani la sorpresa del deserto alternativa all’imperativo del mondo occidentale.



1 0 . C R I T I C O M A R TA B R E U N I N G

ANTONIETTA MENEGHINI I PENSIERI DELLE DONNE A cura di Marta Breuning

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rtista dotata di notevoli qualità tecniche, come dimostra la sua pittura minuziosa nel raffigurare figure o volti. Questi ultimi non devono però far pensare semplicemente ad una ricerca pittorica di Antonietta Meneghini sul ritratto, perchè i suoi visi hanno sempre qualcosa in più del ritratto e qualcosa in meno della precisa raffigurazione. In essi c’è un’allegoria fantastica, un’epifania sottile di quel segreto che ogni stato d’animo nasconde, dietro le proprie quotidiane espressioni. L’opera di questa pittrice mette in luce aspetti di una ricerca che sembra inesauribile di suggestioni intellettuali, di motivi e d’immagini narrative. Sono qui ibridati i fantasmi che intimamente ci percorrono e ci sollecitano. Sembra, infatti, di riscontrare tracce di quelle ossessioni che attraversano i volti di un po’ tutti noi e che così bene sanno raccontare chi siamo. In “Catalogo Nuova Arte 2007”, ottobre 2008

A. Meneghini, Dimmi......

A. Meneghini, Nessuno mai è quello che sembra

Non è facile rappresentare i moti dell’anima. Leonardo lo ha fatto con sapienza dipingendo nelle pose e nei volti delle sue dame un vero e proprio vocabolario di espressioni in cui si possono leggere stadi diversi di consapevolezza di sè, di comprensione della realtà, di conoscenza delle verità nascoste. L’anima è una entità psichica soggetta alla metamorfosi attivate dalla percezione delle sensazioni, alle quali l’essere umano, e le donna in particolare, desidera offrire dei significati, oppure delle motivazioni valide per il tempo presente. La ricerca di Antonietta si muove sulla stessa lunghezza psicologica dei grandi artisti del rinascimento e diventa, con il passare del tempo, sempre più concreta, profonda e abile nel decodificare stadi di passaggio esistenziale o di trasformazione critica delle emozioni in comprensione razionale dei rapporti umani. In ogni sguardo delle sue bellissime donne si intravede il segno dell’autocoscienza femminile capace di indagare il mondo dei sentimenti e di sperimentare, per quanto possibile nella attuale società che assimila la donna a oggetto estetico, l’autoderminazione, spesso interpretata dagli uomini come velleitaria aggressività. Non è priva di sostanza concettuale l’immagine del corpo femminile privo di volto che emerge da un fondo rosso, a sottolineare il potere inconscio della donna di trasmettere l’Eros da cui potrebbe avere origine, secondo la mitologia, il desiderio di conoscere non solo l’anima delle donne (le ninfe), ma anche la loro mente intuitiva (le dee dell’Olimpo). E’ in questo duplice aspetto di affermazione della coscienza femminile (il volto frontale) o di negazione dell’identità più profonda (il volto che non si vede, oppure nascosto dai capelli), che l’artista vuole comunicare il gioco di luce e di ombre che la coscienza dell’osservatore può instaurare con i molteplici aspetti della mente femminile. I pensieri delle donne, rappresentati da volti che non sorridono, ma da sguardi che sembrano andare oltre l’oggettiva superficie delle cose, non si soffermano più all’interno, come raffigurato nel Rinascimento dallo sguardo introspettivo della Vergine Maria, ma accarezzano sogni, speranze e desideri in cui è possibile intravedere la millenaria ricerca dell’anima di amore, felicità e conoscenza.


A. Meneghini, Marta

A. Meneghini, Apparire

A. Meneghini, Mara

A. Meneghini, Pausa

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12. CRITICO GABRIELLA NIERO

OSCAR BOSCOLO L’ANIMA E IL CORPO A cura di Gabriella Niero

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corpi nudi di giovani donne esprimoino tutta la loro sensualità. Talvolta muovono passi di danza leggeri e cadenzati oppure scuotono il ventr e come moderne Salomè. Sinuose ed etere, vibranti nello spazio, misteriose nelle espressioni dei volti. Le sculture di Oscar Boscolo ci colpiscono all’istante per l’intensa raffinateza, per quel modo ammiccante di attrarre, per la loro pelle risolta attraverso una lavorazione morbida della materia: la creta patinata. E’ un percorso maturo nato da un apassione che ci porta lontano, a molti anni fa. E’ noto che Oscar, di professione, creava e modellava i prototipi di noti giocattoli, ne studiava l’espressione, le smorfie, il carattere: La creta era il mezzo per raggiungere risultati commerciali importanti e nel contempo contribuiva al perfezionamento tecnico dell’autore. Poi la svolta, la scultura vera e propria, il desiderio di esprimere la bellezza assoluta del corpo umano, di analizzare i proifili emozionali della figura. Si rivela nella forma la trasfigurazione di uno stato d’animo, il tocco sapiente ch eattraverso il modellato comunica riflessioni, segreti o arcane seduzioni. Ogni scultura diventa un messaggio per accedere alle pieghe segrete delal vita ed avvertirne i turbamenti sottesi: Oscar Boscolo dà voce espressiva alle sue creature per liberare ciò ch ec’è dentro e di riflesso spoglia metaforicamente anche se stesso. Le sue sono “presenze che evocano sentimenti appartenenti principalmente a una poetica interiori, e poi più in generale a un mondo sospeso tra l’immaginario e il reale. Di riflesso i suoi lavori prendono consistenza o leggerezza nello spazio, seguono una linea melodiosa e misurata, danzano attraverso dolci morfologie. Ogni soggetto, - una una fanciulla in posa, una coppia di ballerini o i recenti volti bronzei dalla forte introspezione psicologica - respira e pulsa sotto le superfici soprattutto quando mostra accenti cromatici che si riflettono nell’effetto plastico perfettamnete in equilibrio tra luce e ombra. Solidità estetica e plastica, intrinseca purezza, riflessione interiore sono termini che insieme caratterizzano l’arte di Oscar Boscolo nel suo raggiungimento di una felice sintesi tra natura e geometria, tra sentimento e ragione, tra arte e vita.

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1 4 . C R I T I C O M A R A C A M PA N E R

GIORGIA SARTI LA MAGIA DELL’INCONSCIO A cura di Mara Campaner

G. Sarti, Albero verde oro

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G. Sarti, Good Luck

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e sue immagini scaturiscono da una cultura interiorizzata e ricollegabile all’iconografia surrealista, da cui Giorgia si differenzia inserendo nelle opere oggetti reali, veri, esistenti che hanno delle relazioni in comune, inoltre in alcune rappresentazioni i luoghi non compaiono completamente estranei al soggetto raffigurato; le situazioni che vi si creano generano all’osservatore un’inattesa visione che sorprende per la sua assurdità e perché contraddice le nostre certezze. L’artista imprime ai suoi lavori una leggerezza suadente che si attua in scenografie proposte come un’esperienza di viaggio nel tempo e nello spazio, portando in superficie e sulla tela i contenuti più profondi dell’inconscio. I suoi lavori sono avvincenti, in quanto propongono situazioni antinaturalistiche nel naturalistico, tenendo lontano dal pericolo tutti i soggetti che vengono rappresentati, librandoli nello spazio con assoluta leggerezza. La sua natura è lontana dai fenomeni geologici e meteorologici della Terra dall’intervento modificatore dell’uomo, ma arriva ad essere soprannaturale, dimostrando il pieno inconscio che prova l’artista nel momento dell’atto pittorico. Il suo è un processo speculare adatto ad indagare sulla natura che non si dimostra solo auto significante, ma sviluppa sensazioni e riflessioni diverse per stimolare la curiosità dello spettatore. L’intenzione dell’artista è di portare lo spettatore aldilà dei binari della logica corrente, in un territorio magico, dove l’evidenza delle cose viene sconvolta e desta interrogativi anche nel fruitore meno accorto. Prossima esposizione personale dell’artista nel mese di ottobre presso lo spazio della Locanda Avogaria di Venezia.

G. Sarti, Lovely


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16. CRITICO BARBARA VINCENZI

VETURIA MANNI ATTIMI FERMATI: TRA POP E MITOLOGIE URBANE A cura di Barbara Vincenzi

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V. Manni, Il colore

V. Manni, Le Quattro stagioni

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V. Manni, Un viaggio oltre me

eturia Manni nasce a Sezze Romano (LT), attualmente vive e lavora a Latina. Il suo percorso complesso e variegato, inizia negli anni ’70 a Bologna, dove si Laurea in DAMS Spettacolo, con una tesi sulla società dell’informazione e le innovazioni tecnologiche nel campo della comunicazione di massa. Sempre attenta a qualsiasi forma di comunicazione e appassionata di Cinema, frequenta a Roma un corso di montaggio cinematografico e digitale e, poco dopo, si iscrive alla Facoltà di Architettura a Valle Giulia, Roma. Tutte queste esperienze unite al suo percorso di vita, si intrecciano fra loro, portandola ad intraprendere il cammino verso la sua primaria passione, quella dell’arte, del creare, del fare. Cinema, fotografia, architettura e pittura si fondono insieme, per dare vita a creazioni singolari, legate al mondo reale, ricche di un significato profondo ed intimo, incessantemente alla ricerca di attimi fuggenti che cercano la sorpresa, l’emozione in uno scatto fotografico. Nel 2003, crea una linea di gioielli di gusto avanguardista, siglando il marchio “gioiellixcaso”, una ricca collana di monili realizzati con resine date in più strati, unite a frammenti di vetro, conchiglie, polveri ed altri materiali di recupero arricchiti ed impreziositi, riscuotendo notevole successo. Dopo questa parentesi torna alla creazione di opere d’arte di sapore pop. Parte dalla fotografia, fermando diversi attimi di vita come elementi architettonici, spazi dismessi, luoghi e persone, e tutto ciò che la incuriosisce, in una sintesi di poesia e narrazione e una piacevole connessione tra soggettivitàoggettività. Partendo da un progetto disegnato, sceglie la foto più consona, procede stampandola sul supporto di tela, reintervenendo, successivamente, con colori acrilici, diverse resine sintetiche, matite, gesso, tubi di neon luminosi e, talvolta introducendo anche il linguaggio verbale. I suoi scatti sono filtrati dalla sua immaginazione, attimi di passaggio fermati prima di un montaggio, che cercano il “movimento”, superando così il distacco e la freddezza del puro responso fotografico. Non ignora l’umanità, ma porta l’oggetto ad un interesse pari a quello della figura, sostenendo l’utilità di considerare il mondo fisico, come una collezione di cose mutevoli che osserva scoprendone ogni volta la bellezza e le diversa potenzialità intrinseche. Per l’artista rimane fondamentale il riconoscimento nell’opera, dell’origine fotografica che ne costituisce l’elemento centrale. Qualsiasi oggetto, luogo o persona è godibile in quanto immagine multievocativa: Veturia fonde abilmente arte e vita, percependo l’influenza fra uomo e tecnologia, riuscendo a coniugare armonicamente capacità naturali e casuali. Ed è proprio la casualità un esplicito riferimento al dadaismo storico con la sua forte componente ludica, seppur l’artista prende le distanze dal loro spirito dissacratorio e nichilista, ma al contrario il suo diventa un inno alla vita. Nella “Fontana” ferma l’elemento architettonico, una fontana dismessa che rivela una nostalgica ammirazione per quella parte di passato recente che non è ancora storia. Così anche nella “Trave” o “Il Muro”, dove ritrae muri sgretolati , a cui aggiunge colore denso e materico, resine e lacche, colpi di luce, ridonandogli nuova vita. Adopera con incessante vitalità nuove tecniche e nuovi materiali, fra cui la plastica, vista come elemento del nostro secolo, non bio-degradabile, ma riutilizzabile a fini di puro estetismo. Il riferimento alla pop-art è d’obbligo, in particolare alla pop-art della seconda fase che, sposta l’attenzione all’ambiente circostante, con interessanti affinità alla pop-art inglese, meno aperta al progresso di quella americana, più nostalgica e “poetica”, infatti gli artisti europei tendono a scorgere nella realtà non solo il mero consumismo, ma “mitologie quotidiane”. Il suo è un pop-figurativo, memore del gioco dadaista e degli oggetti-immagini riutilizzati a scopo artistico. Molto interessante risulta essere l’opera “Le quattro stagioni” che ritraggono quattro frame della stessa donna, attimi rubati e fermati prima di


un montaggio, frame di un film legato mentalmente al Cinema francese, in particolare al “realismo poetico” della Nouvelle Vague, in una sintesi di vera poesia visiva. In “Occhio onirico” ci presenta l’icona tipica del nostro secolo: la vetrina di un Mc Donald’s. Quest’ultima viene ripresa fra luci notturne che rimbalzano sui vetri e si riflettono sull’obbiettivo, rimandandoci un’immagine quasi astratta-surreale di luci e colori, dove l’artista interviene con lacche e resine che al contatto con l’aria esterna e l’umidità lasciano gocce, impronte casuali dovute alla temporalità. L’effetto finale è quello di un’effige del Duemila, filtrata attraverso una sottile pioggia che bagna delicatamente l’intera immagine in uno “sguardo metafisico della realtà”. Un momento di lavoro è ben descritto in “Colore”: l’artista sposta l’attenzione su un secchio con pennello intriso di colore, pronto all’uso da un imbianchino in un cantiere, che viene impreziosito con raffinata eleganza dal semplice neon che ne percorre il perimetro per esaltarne la pura forma estetica. L’utilizzo del neon ricorre con prepotenza in “Rosso” dove è proprio la luce a disegnare la grande forma del cuore, collocato sulla base di una trave percorsa da “nervature” che ricordano la corteccia dell’albero in un binomio di natura-uomo. Chiaro il riferimento alla società, all’uomo e all’ambiente circostante, il tutto risolto con la medesima semplicità e sobrietà. In “Interno”, un grande spazio in disallestimento, l’insegna di una libreria si lega sinuosamente ad una serie di omini di carta ritagliata, quasi un ricordo d’infanzia, dove si rincorrono piacevolmente diverse tonalità di grigio in cui spiccano rossi vivaci. Estraniante è “Un viaggio oltre me”, dove ricordando il concetto della Land Art, il pensiero che la ispira è che nella modificazione discreta del paesaggio vede l’opportunità di definire attivamente la relazione tra l’uomo e la natura, e quindi quella più ampia tra l’uomo, lo spazio e il tempo. Una visione panoramica colta obliquamente d’alto sullo sfondo di un colorato arcobaleno dopo la pioggia. Al pari in “Tu eri qui” dove, in un luogo degradato e dimenticato, introduce sopra un muro ingiallito una scritta quale metafora e testimonianza del passaggio dell’uomo. Citiamo “Scherzi di luce”, dove gli effetti di luce dati dai neon e dalla fotografia si intrecciano in un astrattismolirico. Impronte, colori, materia, segni verbali, luci e fotografia, lacche, resine ed odori di luoghi si amalgamano in una esauribile “fonte” a cui attinge Veturia, con la piena consapevolezza di una estrema libertà di sperimentare sempre nuove forme di comunicazione in una sorta di “mappa topografica interiore”.

V. Manni, Il muro

V. Manni, La fontana

Per ulteriori informazioni sull’artista contattare la dott.ssa Barbara Vincenzi alla e-mail: barbara.vin@libero.it

V. Manni, Occhio onirico

V. Manni, Rosso

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1 8 . C R I T I C O M A R TA L O N G O

AT E L I E R D I _ S E G N O L I B E R O

CLAUDIO DAL PRA’ A cura di Marta Longo Atelier Di_segnolibero

Spazio Bianco Regno di cose che ho solo pensato panico inconfessato di fronte a un turbine di forme e colori; è qui che prendono forma consistenza e immortalità idee importanti. La vita stessa è un foglio bianco, per questo voglio scriverla, disegnarla, dipingerla con i miei colori. Claudio dal Prà

C C. Dal Prà, Dal profondo

C. Dal Prà, Estate sulla spiaggia

laudio Dal Prà nasce nel 1972 a Chiuppano - Vicenza, il suo rivolgersi e dedicarsi all’espressione pittorica avviene in maniera estremamente naturale e libera, in seguito al conseguimento nel 1990 del diploma di maturità, si dedicherà con interesse sempre crescente a corsi di restauro e tecniche pittoriche tramutando ben presto, una prima pratica pittorica, in una ricerca personalissima ed originale condotta con spontanea propensione artistica, tecnica e formale. La pittura di Dal Prà dà forma ed espressione in maniera compiuta ed intrigante al modo che l’autore ha di percepire il mondo, esprimendolo in temi, modalità grafiche e soluzioni tecniche assolutamente inedite, quello di uno stile libero e svincolato da forme già collaudate, che si rigenera, di volta in volta, in una trasposizione figurativa espressione della fantasia creatrice dell’autore. I colori sono vivi, vivaci, a volte gestuali, spontanei ed armoniosi, combinati per definire l’elemento tempo e spazio in una sintesi formale di suggestiva potenza rievocatrice spesso risolta attraverso un concitato andamento di linee e pennellate sinergicamente condotte da un andamento vorticoso, dal quale assistiamo assurgere intenso, il frammento o il ricordo di una storia passata, compiuta, vissuta. L’esplosione cromatica degli sfondi asseconda proprio questa condizione di astrazione dal mondo presente e reale sottolineando una sensibile atmosfera di sogno. Le sovrapposizioni non ostacolano la scansione dei piani e i fondi modulano tramite la variabilità cromatica, l’impianto fondamentale del quadro. La personalissima ricerca pittorica di dal Prà ha riscosso negli ultimi anni riscosso sempre maggiore consenso ed interessamento, l’autore ha finora esposto le sue opere principalmente in veneto in numerose esposizioni collettive. Ad Aprile di quest’anno è stato protagonista assieme agli artisti Sylwester Piedziejewski (Varsavia) e Adolfo De Turris (Torino) di un suggestivo evento dedicato alla pittura: KREA_ATTIVA_ MENTE#4 - ‘Collettiva di Creativi del Contemporaneo’ - allestito presso gli spazi dell’Atelier di Promozione Artistica e Culturale Di_segnolibero in centro storico a Vicenza.

C. Dal Prà, Dal profondo

CLAUDIO DAL PRA’ Via Roma 44 36010 Chiuppano_Vi C_+39.346.008.88.79 claudio@claudiodalpra.com www.claudiodalpra.com

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C. Dal Prà, Incomincia lo show


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FABIO SAVEGNAGO A cura di Marta Longo Atelier Di_segnolibero

F F. Savegnago, Acqua

F. Savegnago, Bristol

F. Savegnago, Freccia

F. Savegnago, Natura morta

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abio SAVEGNAGO, è nato a Valdagno dove vive e lavora, è perito chimico dal 1996. Il suo interesse per la fotografia inizia nel 2004, quando in maniera del tutto occasionale ed esperienziale inizia a maneggiare la sua prima macchina fotografica. I primi soggetti di quella nuova attitudine, derivano da scatti di paesaggio che Fabio cattura durante i suoi viaggi, scoprendosi sempre più affascinato dalla fotografia, ma anche interessato ed intenzionato ad indagare e ‘catturare’ un mondo altro tramite l’ausilio del “magico” strumento fotografico. Ad indicargli la via in questo senso, sarà di nuovo la casualità. La sua scoperta arriva presso il laboratorio dove lavora come tecnico, dove si accorge di come dei particolari all’apparenza insignificanti possano nascondere valenze grafiche e cromatiche inaspettate, da quel momento gli si apre dinanzi un mondo nuovo e meraviglioso, quello che stava appunto cercando, dal quale egli prende e seleziona secondo il suo estro riconsegnandoci immagini di una realtà nuova, la Sua, colta, catturata, per mezzo di una innata propensione e capacità di cogliere delle cose l’aspetto meno ovvio e superficiale per una spiccata capacità di osservazione e meraviglia. Le sue foto particolarmente apprezzate presso il mondo del design e dell’arredamento, compaiono presso negozi e fiere del settore, una su tutte: la celebre Fiera del “Lusso” di Verona. A Marzo di quest’anno (2010), Savegnago, assieme agli artisti Gianni Riva (Pittore-Cuneo) e Mirta Caccaro(Incisore-Vicenza), è stato protagonista del suggestivo evento espositivo: KREA_ ATTIVA_MENTE#3 - ‘Collettiva di Creativi del Contemporaneo’ - allestito presso gli spazi dell’Atelier di Promozione artistica e Culturale Di_segnolibero in centro storico a Vicenza. L’autore, scopertosi recentemente attratto dai suggestivi effetti luministici e dalle atmosfere concitate e colorite tipiche di eventi a sfondo musicale, ha ampliato il suo campo d’indagine a questa particolare realtà rendendosene interprete attraverso un attività di reportage. Alla consultazione e divulgazione di questa altra tipologia di ricerca fotografica, Savegnago ha dedicato il blog: ‘fabiosavegnago. blogspot.com’

FABIO SAVEGNAGO C. da Mastini di Piana 23 36078 Valdagno_Vi C_+39.340.62.77.145 fsave@interfree.it www.fabiosavegnago.altervista.org


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MARTA PETRUCCI A cura di Marta Longo Atelier Di_segnolibero

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M. Petrucci, Composizione 150

M. Petrucci, Composizione 151

M. Petrucci, Composizione 310

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M. Petrucci, Composizione 158

arta Petrucci è nata a Valdagno, dove vive e lavora. Laureata in lettere, indirizzo artistico, presso l’Università di Padova con il chiarissimo prof. Puppi, pratica da diversi anni la pittura senza aver seguito specifici studi accademici. Marta Petrucci guarda, vive, sente e osserva il Mondo attraverso quanto di ciò che Lo anima La colpisce impressionandone la sottilissima sensibilità. Così Ella coglie e si sofferma talvolta sulle affascinanti e curiose forme dei sassi, talaltra sugli originalissimi e coraggiosi accostamenti cromatici che lo spettacolo della natura mette in scena tra fiori, foglie e piante, altre volte sono invece scorci, porte, architetture, navate ad attrarla, altre ancora sono fenomeni quali la danza, la musica e la poesia ad imbrigliarsi nella sua mente in attesa di una sua benevola risoluzione pittorica, secondo un processo di rielaborazione e trasmutazione per il quale l’artista ripercorsi i soggetti eletti, lì riconsegnerà filtrati da quella personalissima necessità di ‘ordinazione’ e com-prensione che le è propria e che volge al raggiungimento di una sintesi di massima perfezione attraverso una progressiva scomposizione geometrica che volga al fine alla riconsegna di un equilibrio di forme e colore ove in vero si riesca a cogliere un assoluta e sempre vera armonia universale. Grande è lo sforzo, s’intuisce, che Marta compie nel percorso che la conduce al compimento di un’opera. Quasi contro la sua stessa natura, lei che si definisce irrimediabilmente disordinata, nel suo operare artistico muove con calma precisione da chirurgo: rilevando, vagliando, togliendo, per poi scomporre, ricomporre e ricostruire come nel progetto di un’architettura in cui vanno valutati pesi e contrappesi, vuoti e pieni Secondo un modo di procedere attento e rigorosissimo, Lei avanza in una costruzione lenta e serissima tesa al perfetto equilibrio nella composizione tra forma, colore e proporzione. Profondamente innamorata della tecnica ad olio, la predilige da sempre praticandola fin dagli inizi della sua ricerca artistica, diversamente dall’acquerello, che pur trattato con esiti felicissimi, appartiene ad un passato meno remoto del suo percorso. I suoi lavori, “Composizioni”, secondo la denominazione con cui la stessa Petrucci intitola tutte le sue opere, differenziandole per progressione numerica, sono il risultato di una complessa ed intima operazione estetica in cui l’afflato lirico e poetico che emanano, risulta mirabilmente potenziato dalle intrinseche e personalissime soluzioni tecniche, grafiche e cromatiche che l’artista sa creare. Tra Giugno e Luglio di quest’anno (2010) è stata protagonista con Franco Lorenzetto della Doppia Personale –OPPOSTE RAGIONIallestita presso gli spazi dell’Atelier di Promozione Artistica e Culturale Di_segnolibero in centro storico a Vicenza. Marta Petrucci è presente nel volume: “ARTE TRIVENETA DAL BAROCCO ALLE ULTIME RICERCHE DEL 2000” di Ottorino Stefani - Edizioni d’Arte GHELFI_VERONA L’artista è inoltre presente nell’Archivio Monografico dell’Arte Italiana - www.arteitaliana.net L’artista espone i suoi lavori in mostre personali e collettive, fiere e concorsi. Le sue opere suscitano l’interesse del pubblico e della critica qualificata che le ha dedicato numerosi articoli, apprezzamenti e riconoscimenti su riviste specializzate e cataloghi. Tra gli altri hanno scritto di lei: Giuliano Menato, Maria Lucia Ferraguti, Marica Rossi, Floriana Donati, Vittorio Visonà, Graziella Zardo, Desiree Iezzi, Marta Longo, ecc… MARTA PETRUCCI Via Garibaldi 18/A 36078 Valdagno Vicenza


II^ BIENNALE EX LIBRIS PALLADIO Presentazione del Concorso. Scadenza Bando 30 Ottobre 2010. Inaugurazione Mostra a Vicenza - Galleria Tao 11 Dicembre 2010 alle ore 18,00

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a II Biennale Internazionale Ex Libris Palladio è patrocinata dal Centro per l’Incisione e la Grafica D’Arte del Comune di Formello (Roma) e promossa dall’Associazione Annette Ronchin Onlus, iscritta all’Albo delle Associazioni di Promozione Sociale della Regione Veneto, con l’obiettivo di offrire una vetrina internazionale ad artisti e incisori selezionati. L’ex libris nasce dalla necessità del lettore di sottolineare la scelta dei suoi libri, nonché degli interessi che lo hanno spinto a creare la sua personale biblioteca. L’ex libris, letteralmente “dai libri”, è un multiplo su carta, con motti, disegni e simboli che possono rappresentare il singolo proprietario del libro, oppure l’associazione, il gruppo, la categoria d’appartenenza. Nell’arte exlibristica si sono cimentati artisti eccellenti dapprima a penna, poi con le tecniche della stampa xilografica, calcografica, serigrafica, off-set, fino a quelle più recenti come la linoleumgrafia, la fotoincisione e il digital-graphic. Gli appassionati bibliofili che desiderano ricevere un ex libris in occasione della II Biennale Internazionale Palladio sono: Gilda degli Insegnanti; Galleria “Scaletta 62” e la Corniceria San Paolo di Vicenza; la Libreria Do Rode di Vicenza, la Galleria “Aqua fortis”di Treviso; Edizioni Il Punto D’Incontro, ciascuno di loro ha messo in palio un premio per gli artisti ed incisori interessati a partecipare. Spesso negli ex libris è indicata l’occasione per la quale è stato realizzato, come ad esempio, i cinquecento anni della nascita di Andrea Palladio che sono stati celebrati nella prima edizione del 2008 della Biennale Internazionale Palladio. Infatti, fu nell’età del grande architetto patavino che l’arte della stampa si diffuse in Europa, quando i primi libri, incunaboli e cinquecentine, vennero tirati nelle stamperie delle più importanti città, come Venezia, dove operò il celebre stampatore-editore Aldo Manuzio e Vicenza, dove aprì la prima stamperia Leonardo Achates. Egli si trasferì a Santorso da Basilea, intorno alla metà del settimo decennio del XV secolo e qui pubblicò opere significative, come il Canzoniere di Francesco Petrarca, conservato ancora oggi nella città berica; lo stesso mecenate di Palladio, Giangiorgio Trissino, si servì dell’arte calcografica per pubblicare i suoi scritti e partecipare attivamente al dibattito sulla lingua. Inventare un ex libris sarà, dunque, l’occasione da non perdere per l’artista che voglia stabilire un ponte tra il passato e il presente e suggellarlo con l’amore per il libro. Chi è interessato può scaricare il bando del concorso nei siti: www.artedepaolironchin.org, www. stamperia-calcografica-venezia.com e inviare il modulo di adesione entro il 30 ottobre 2010, farà fede il timbro postale. La vernice della mostra della II Biennale Internazionale Ex Libris Palladio 2010© si terrà il giorno 11 dicembre 2010 alle ore 18, presso la Galleria Tao, Stradella Santa Barbara 1/b, Vicenza, Italia. Anna Maria Ronchin 25


2 4 . A S S O C I A Z I O N E S O Q Q UA D R O

Cinèma Cinèma UNA MOSTRA DEDICATA AL CINEMA A cura dell’Associazione Soqquadro di Roma

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A. Mercedes Melocco, Il Sorpasso

C. Messora, Luce dei miei occhi

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G. Mangiacapra, La finestra sul cortile

d ottobre, il mese in cui Roma dedica al Cinema una prestigiosa vetrina, Soqquadro rende omaggio alla settima arte dedicandole una mostra presso la galleria Tartaglia. Ariela Böhm, Giovanni Mangiacapra, Andrea Mercedes Melocco, Cristina Messora, Roberto Pagnani, Angela Scappaticci e Gloria Tranchida, sette tra i più rappresentativi artisti di Soqquadro hanno appositamente elaborato opere nelle quali hanno espresso le sensazioni ricavate da alcuni dei film che hanno amato nella loro vita. I titoli delle opere sono stati dedicati a titoli di film. Opere astratte ed informali che vogliono raccontare le emozioni suscitate dal Cinema e non le trame dei film, una narrazione emotiva e non realistica. Il centro del lavoro di Ariela Böhm è la curiosità e la fascinazione per l’infinita varietà della materia, naturale o artificiale, che prescinde dalla funzione per la quale tale sostanza è stata pensata o si è originata, e l’incessante sperimentazione dei materiali più adatti all’opera che vuole realizzare spingono Ariela su un inesauribile percorso di sperimentazione. L’evoluzione della sua opera si dipana nell’uso combinato di materiali di diversa natura, in cui il dialogo fra gli elementi esprime il significato dell’opera stessa. La pittura di Giovanni Mangiacapra è materia viva, pulsante, organica: il corpo fluido della pittura che scorre sulla tela, sospinta da una passione incontenibile, ritrova la sua anima nella luce che penetra nei pigmenti e svela profondità inaspettate. L’artista aggredisce la tela con impulsività, stende il colore con robuste pennellate che lasciano la superficie ruvida, fitta di concavità e sporgenze come il terreno appena arato, ma pronto ad accogliere il seme della vita. I suoi dipinti informali sono paesaggi interiori: nelle rughe, nei cretti, nelle increspature della superficie pittorica si intuiscono le pieghe dell’anima. Andrea Mercedes Melocco è una artista il cui percorso si è snodato attraverso differenti esperienze, tutte accomunate da una stessa visione: svelare quello che unisce le persone, il sentire che li accomuna. Non solo i sentimenti e le emozioni: piuttosto i ritmi che creano la condivisione, le sintonie che non sempre trovano le parole per essere espresse. I suoi totem, che in questa mostra sono dedicati al film “Il Sorpasso”, sono assi di legno fortemente incise e destinate all’abbandono che riprendono vita con un minuzioso e lunghissimo lavoro: le loro ferite aperte accolgono segni in metallo o in pietra che formano pentagrammi simbolici su cui si modulano intense visioni interiori. Alle forti incisioni della Melocco fanno da contrappunto i lavori di Cristina Messora, in cui su delicate colorazioni monocrome realizzate su carta, lievi segni neri evocano atmosfere leggere in cui i colori si alternano rendendo sensazioni di accoglienza e inclusività, di reazione e incisività, di slancio e di riflessione. Scorci dove tutto ciò che è superfluo e privo di valore è stato eliminato per far posto solo a ciò che conta e che ha senso. L’Essenza distillata attraverso un sentire in perfetto equilibrio tra sentimento e ragione, tra emozione e realtà. C’è nella pittura di Roberto Pagnani la ricerca allusiva alla raffigurazione, al senso dell’indeterminatezza, al gioco delle coppie antinomiche: fantastico/reale – visibile/invisibile – guardare/ ascoltare. I luoghi, il viaggio e le navi sono i nuclei tematici che ne compongono e ne delineano la produzione artistica. Le


A. Böhm, Il Pianista

navi, quale simbolo per antonomasia del viaggio, diventano la metafora dell’acqua, del pensiero liquido, dell’oblio, del mito cosmico dell’avventura, delle sfide ciclopiche, strumento di verità e di eterne illusioni. Il lavoro di Angela Scappaticci è riassumibile nella parola “materia”, solida e invadente nello spazio e contrapposta a parti più impalpabili della tela. Lo scontrarsi/integrarsi di questi due elementi rivela, attraverso l’astrazione della figura, l’emotività dirompente nella concretezza della realtà. Da diversi anni le sue sperimentazioni sono invase da elementi come calce, plastica, sabbia da cantiere, tele di juta, asfalto mescolando la ricerca stilistica dell’astrazione con quella dell’arte del recupero. In questa mostra presenta una serie dei suoi cretti dedicati a diverse opere della filmografia internazionale. Gloria Tranchida realizza le sue opere con carta e cartone riciclati arricchendoli con l’uso di oro e altri colori metallici per sottolineare il valore di questi materiali gettati tra i rifiuti con troppa superficialità, un impegno ambientalista espresso con le armi dell’arte. Per questa mostra ha realizzato tre opere di cui una rappresenta un fermo immagine sulla bidonville di Mumbai dal film “The Millionaire”, un trittico dedicato ai film di Almodovar, dove i colori predominanti esprimono la passione, la sensibilità e il carattere che li pervadono, mentre la terza è dedicata all’opera in bianco e nero “Good night, and good luck.”, con solidarietà e passione per coloro che si battono per la ricerca e la diffusione giornalistica della verità e contro ogni censura. La mostra si inaugura il 9 ottobre ed è inclusa negli eventi della Giornata del Contemporaneo indetta dall’ A.M.A.C.I. (Ass. Musei Arte Contemporanea Italiani). L’esposizione è visitabile fino al 23 ottobre presso la galleria Tartaglia in via XX Settembre 98 C/D a Roma. Info: 06.4884234 – 333.7330045

R. Pagani, Amarcord

A. Scappaticci, Film blu

G. Tranchida, The Millionaire

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2 6 . R E C E N S I O N E D I F R A N C E S C A S C O M PA R I N

ROBERTO ROSSI A cura di Francesca Scomparin

Nato a Valdagno (VI) nel 1949. Abita a Vicenza. Diplomato in disegno tecnico. Esperto decoratore di porcellana d’arte Scuola Capodimonte. Pittore, poeta. www.robyarte.it roberto.rossi49@gmail.com Ideatore e fondatore con Micaela Jane Gaiani dell’Associazione artistica multiculturale EARTH SOUL con sede a Vicenza.

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ncontro Roberto Rossi la tavolo di un bar di Marostica in un caldo pomeriggio di luglio. La sua cartellina blu, apparentemente vuota, è invece piena di fogli con progetti, idee e annotazioni sui prossimi eventi della sua associazione Earth Soul, che ha come obiettivo l’integrazione multiculturale attraverso varie forme d’arte. Con la sua solita aria serena da artista sognatore, mi chiede di scrivere una breve recensione su alcuni suoi dipinti. Subito penso che mi abbia sopravvalutata perché, malgrado il mio interesse per il mondo dell’arte, non me ne intendo di tecnica pittorica o cose simili, ma non vuole questo: semplicemente vorrebbe che mettessi nero su bianco il mio pensiero sul contenuto delle sue opere. “Tutto qui?” penso sollevata. Mi lascia quattro tele, tutte avvolte da grandi fogli di carta gialla. Arrivata a casa, le scarto una ad una e mi rendo conto che il compito affidatomi da Roberto è in realtà più arduo di quanto pensassi. Metto i quadri allineati sulla parete del mio salotto e comincio ad osservarli, cercando di coglierne tutti i minimi particolari e il loro significato. La prima cosa che mi colpisce è il tratto chiaro, definito e pulito, i chiaroscuri, la prospettiva e mi sembra di entrare in un’altra dimensione, un sogno. Il mio sguardo si posa su un quadro molto semplice ma di grande impatto emotivo, leggo il titolo: “Censura Stoltezza della”. Un gioco di parole che mi affascina. I coltelli piantati su un libro, simbolo non solo di cultura ma anche di libertà di stampa, parola e informazione, l’inchiostro rosso sangue che sgorga da due calamai mi fanno venire in mente i racconti della mia amica Nahal sulla sanguinosa repressione della protesta del coraggioso popolo iraniano. Intellettuali, giornalisti, scrittori, registi, professori e studenti universitari chiusi in prigione, torturati e uccisi per un diritto legittimo in un Paese democratico Il messaggio è forte ma fedelissimo alla realtà, non solo iraniana, ma anche di molti altri Paesi che vivono la medesima situazione di ingiustizia. Altri due dipinti carpiscono la mia attenzione, hanno elementi comuni: cielo azzurro, alberi e acqua, ma leggendo i titoli mi accorgo che i significati sono diversi. Ne “I valori nascosti”, penso che l’Artista abbia accostato l’esistenza dell’albero con quella umana. L’albero rappresenta la vita: nasce dal seme, cresce, fiorisce, dà frutto e dai semi nasceranno nuovi alberi Un ciclo continuo e ininterrotto che si può paragonare alle tre età dell’uomo: la fanciullezza, l’età adulta e la morte. Per l’uomo


saranno i figli e i figli dei loro figli a crescere, a fiorire e a dare nuovi frutti. Il concetto dell’albero come compagno di vita dell’uomo mi affascina molto e osservo subito l’albero dell’altro quadro: “Donna/Uomo: una storia”. Mi soffermo sul titolo: perché l’Artista avrà scritto Donna/Uomo anziché Uomo/Donna? Forse è un particolare casuale ma guardando la tela mi rendo conto che forse non lo è. Sospese nel cielo azzurro, ci sono delle piramidi, alcune rivolte verso l’alto, altre verso il basso. Quest’ultime mi ricordano il simbolo del femminino, un disegno arcaico che rappresenta il ventre femminile, un simbolo che ha una storia antichissima e riguarda l’adorazione della dea Madre Terra in quanto generatrice di vita. Ne danno prova le numerose statuine, le famose Veneri paleolitiche, che portano a vedere la donna come creatrice di nuova vita. Da una piramide capovolta cadono alcune gocce d’acqua, simbolo non solo di vita ma, secondo la concezione filosofica taletiana, l’elemento da cui tutto ha avuto origine. Da donna, apprezzo molto il fatto che un Artista abbia voluto sottolineare questo concetto in una società dove purtroppo la donna viene ancora troppo spesso discriminata o vista come oggetto in molti contesti e ambienti sociali. I colori bui e l’atmosfera cupa di “Equilibrio necessario o psiche incatenata” attirano la mia curiosità su questa tela dal titolo tanto enigmatico quanto affascinante. Quattro cubi e una sfera sono circondati da una catena, l’attenzione però si sposta su un particolare: sopra un cubo vedo la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Mi chiedo se possa esistere un sistema con un equilibrio “ragionevole”, permettendo che un pergamena di tale valore etico e morale sia “imprigionata”, quindi non considerata. Trovo la risposta nella seconda parte del titolo: “Psiche incatenata”. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo non è rispettata in tutti i Paesi del mondo: questo purtroppo contribuisce a mantenere in un Paese il suo “equilibrio” politico, economico e sociale, ma ciò implica che per mantenere tale equilibrio vengano calpestati i diritti fondamentali dell’uomo come il diritto alla libertà e uguaglianza, libertà di pensiero, opinione, fede e coscienza, parola e associazione pacifica dell’individuo. Chi pensa il contrario, viene imprigionato. E’ impossibile guardare questi dipinti e non riflettere per un momento sul loro significato. Esco da quel mondo etereo e onirico in cui mi ero immersa, guardo i quadri in fila sulla parete del mio salotto e mi accorgo che mi trovo davanti a capolavori ineguagliabili, piccoli spunti di saggezza e riflessione che l’Artista vuole regalarci. Sono contenta dell’incarico affidatomi da Roberto Rossi e mentre scrivo le ultime righe di questa recensione, fatico a tenere gli occhi sul foglio e continuo a lanciare occhiate ai quadri pensando: “Devo proprio riconsegnarli al loro proprietario?”.

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1. Censura! : ---- stoltezza della Olio su tela cm 60x80, anno 2007 2. Quei valori nascosti di cui abbiamo bisogno Olio su tela, cm 100x70, anno 2009 3. Donna/uomo - una storia olio su tela, cm 70x100, anno 2009 4. Equilibrio necessario/psiche incatenata olio su tela, cm 70x100, anno 2009 4.

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28. CRITICO TERESA FRANCESCA GIFFONE

MANUELA METRA A cura di Teresa Francesca Giffone

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anuela Metra è un’artista milanese che può vantare una formazione artistica molto ampia ottenuta attraverso la sperimentazione di varie tecniche, tra le quali spicca la ceramica. Il suo approccio verso questi tipi di manufatti avviene grazie ad artigiani e creativi che mediante le loro ricerche ed i loro laboratori sono divenuti per l’artista il punto di partenza per una crescita costante. La ceramica, forse più di altri materiali per le arti, consente alla scultrice un vero e proprio contatto con il materiale, una materia che può essere preparata, plasmata e manipolata con amore e vigore fino a farle assumere la forma desiderata. Per le sue realizzazioni Manuela Metra utilizza il grès dotato di pregevoli caratteristiche quali la compattezza e l’opacità. Utilizzata sin dal tardo medioevo per i particolari requisiti insiti nella materia ovvero la già citata compattezza e la naturale pellicola vetrosa, trova ulteriori applicazioni nei secoli successivi fino ad oggi quale materia insostituibile nella realizzazione di materiali ceramici da inserire nell’arredamento. Nella produzione di Manuela Metra il grès assume la forma sferica con l’inserimento di vernici dai colori brillanti che si distribuiscono sulla superficie come un colata lavica. Da analizzare è la stessa forma che conferisce alla terracotta, ovvero quella sferica, che viene declinata in varie dimensioni. Esempio assoluto di essenzialità volumetrica, simbolo perfetto di unità di origine platonica, la sfera sarebbe assimilabile alle sfere celesti. I colori, che di volta in volta l’esecutrice utilizza, diventano visioni di un mondo ideale, visto in un sogno di creazione in cui Manuela Metra ridisegna l’intera geografia terrestre. L’effetto craquelè, ottenuto mediante la cottura del manufatto, interessato da sovrapposizioni di vari colori, oppure i fori posti sulla sommità della sfera segnano un passaggio di luce, un collegamento con il centro della sfera dalla quale scaturisce un’energia primigenia. Lo stesso materiale è utilizzato dalla scultrice per la realizzazione di coppette, che nei bordi frastagliati o nei piccoli fori praticati nel grès possono essere assimilati ad un materiale vivo e palpitante, nonché a piccoli satelliti posti in diretta relazione con le sfere. Fortemente intuibile nelle ragioni e nelle ispirazioni dell’artista sono le opere scultoree di grandi interpreti dell’arte non solo italiana, come i fratelli Pomodoro e Lucio Fontana, nonché Henry Moore, riscontrabile nel comune utilizzo di forme e materiali. BIOGRAFIA Manuela Metra, nasce a Milano nel 1971, dopo le scuole superiori, la sua formazione prenderà due strade parallele, da una parte gli studi di filosofia presso l’Università Statale di Milano, mentre di sera gli studi artistici presso l’Accademia di Brera. Ben presto preferisce un contatto diretto gli artisti piuttosto che una formazione accademica, studia Mimo con “Quelli di Grock”, le varie tecniche pittoriche con Alessandro Gorlini, corsi di illustrazione ed arte digitale. Si dedica alla ceramica grazie agli insegnamenti di Gabriella Sacchi e Marilena Belloni. Attualmente si sta specializzando in Arteterapia presso l’Accademia il Cinabro. Rilevante anche il suo percorso espositivo, che l’ha vista protagonista dal 2006 in diversi progetti e collettive. Nell’ultimo anno si dedica attivamente all’organizzazione di laboratori per bambini e adulti, presso l’antica fornace Curti CONTATTI http;//laboratorioathanor.eu

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PEPPE FONTI

A cura di Teresa Francesca Giffone

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B. Fonti, I cantori

B. Fonti, Scorcio di paese ionico

B. Fonti, La rossa

rchitetto ed artista autodidatta Peppe Fonti attraverso la sua pittura rende visivamente tangibile il rapporto travagliato che possiede con la sua anima e la sua terra, dedicando al paesaggio gran parte dei suoi lavori. Quindi la Calabria, il suo mondo, caratterizzata da forti contrasti, nella pittura di Peppe Fonti diventa protagonista di una lotta interiore. A volte il pittore arriva ad una tregua, quando si abbandona a dipingere strade, volti e cose familiari. Abbandonando colori freddi e pennellate violente che si abbattono sulla tela come una frusta, utilizza colori caldi e avvolgenti che trasformano così la pennellata in una carezza. Da buon architetto Peppe Fonti calibra bene tutti gli elementi della composizione conferendo struttura anche ad una semplice foglia. Raramente trasferisce sul supporto impressioni immediate ma visioni che appartengono al suo vissuto e ai luoghi che più ha amato: il paesino adagiato sulla collina, il giardino di casa, la spiaggia delle vacanze e gli uliveti che ha imparato a conoscere sin dalla più tenera età. Questi stessi scenari familiari e rassicuranti, mostrano come un Giano Bifronte, il loro lato più oscuro e triste, il mare in tempesta, un paese assolato ma vuoto e desolante, terrazze che si perdono nel panorama lussureggiante ma prive di qualcuno che resti a contemplarlo. Come le agavi e i fichi d’india che sostano in silenziosa contemplazione e diventano simbolo di una terra selvaggia e indomabile. Oltre alla pittura di paesaggio l’artista si cimenta anche con il ritratto, sia di persone care sia di volti caricaturali, rubati al lugubre mondo delle maschere. Diavoli e satanassi che non fanno però assolutamente paura ma sembrano loro stessi sorpresi e terrorizzati dal buio che li avvolge, così come i fantasmi che hanno lo scopo di guidarci. Ancora, troviamo violente caricature di volgari donne che di attraente hanno ben poco. Volti di musicisti, come il “Violinista” il quale si commuove all’ascolto della straniante musica che sta eseguendo, o i “Cantori” che intonano all’unisono una melodia blues. Un pensiero particolare lo dedicherei a “Giovane ragazza”, dove la protagonista è la tipica bellezza mediterranea dai lineamenti greci e dalle forme generose nascoste parzialmente dall’accesa tunica rossa, colore del resto, che ritorna in più punti della tela. La ragazza è posta di fronte ad un largo specchio che ci mostra la lunghezza dei capelli corvini, ma tutta la passionalità denotata dal rosso acceso è smorzato dal volto truce della protagonista. In questa galleria di immagini trovano posto anche la povertà dei pescatori e dei contadini trattati come rigidi segmenti. La tecnica prediletta da Peppe Fonti è l’olio su tela, che gli permette di ottenere, attraverso una pennellata larga, effetti materici. Nonostante ciò per molti dei suoi lavori si avvale anche di colori acrilici, tempera ed acquerello. Tutti questi elementi fanno dell’artista un grande interprete che attraverso la semplicità dei paesaggi e delle scene di vita riesce a rendere mediante una vigorosa pennellata e un’intensa tavolozza tutta la bellezza di una terra amara. BIOGRAFIA La sua formazione di architetto inizia a Roma dove frequenta per alcuni anni la Facoltà di Architettura, durante l’esperienza romana ha avuto l’occasione di conoscere alcuni personaggi di spicco nel campo artistico partecipando a numerose collettive. Ritornato in Calabria per ragioni familiari, termina gli studi a Reggio Calabria. Attualmente vive a Cittanova (RC), dove svolge la professione di architetto e si dedica alla pittura con proficui risultati.

CONTATTI www.digilander.libero.it/fonti1945/ e-mail: giuarch.fonti@tiscali.it

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GIULIA MARTINO A cura di Teresa Francesca Giffone

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G. Martino, Entusiasmo

G. Martino, Girasoli

G. Martino, Reano

CONTATTI www.giuliacolore.altervista.org

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atura, colore e musica sono gli elementi che costituiscono la peculiarità di Giulia Martino, artista torinese, che ha fuso tali elementi nella sua ricerca pittorica. Il soggetto prediletto è il paesaggio, non particolarmente lussureggiante ma palpitante nell’atmosfera. L’artista utilizza le sue conoscenze musicali per creare a suon di pennello, turbinii di nuvole e serpeggianti soffi di vento che rendono i suoi cieli unici e magici. Spesso questi virtuosismi danno spazio anche all’evocazione di animali africani che nel mondo di Giulia Martino divengono il pretesto per esprimere attraverso la pittura l’amore verso le creature che abitano il globo. Non mancano nella sua ricca produzione paesaggi legati al vissuto che costituiscono il necessario bagaglio di ricordi e suggestioni, i luoghi che vive nella quotidianità. Così accanto a paesaggi scaturiti direttamente dalla sua sensibilità si affiancano i luoghi della provincia torinese, come ad esempio la cittadina di Reano riconoscibile dalla torre merlata del maniero che sovrasta il paesaggio. Altri elementi che concorrono alla comprensione del lavoro di Giulia Martino sono le scienze semiotiche e sinestetiche, che le consentono di far partecipare alla composizione dei suoi lavori non solo la vista ma anche l’udito creando un’ulteriore comunicazione tra i due mondi. Utilizzando le sue stesse parole “…un pezzo musicale non è un’aspetto esteriore ma è il completo aspetto che COMUNICA. Non è un’emancipazione la dissonanza sia delle note che dei colori…”. In questa sua dichiarazione Giulia Martino si discosta dall’artista che ha cominciato e perseguito un’importante filone dedicato al tema musicale, ovvero Kandinsky. Il suo colore è puro e brillante e fluttua sulla tela in delicati giochi di sfumature. La pittrice, nei suoi ultimi lavori ripropone il binomio arte e musica, partendo da una composizione musicale che il maestro Walter Gatti ha composto per la nostra artista. Le melodie sono da abbinare alle tele e alla fiaba delle Controstagioni. Il progetto consta di otto pezzi che corrispondono ad altrettante emozioni. Controstagioni perché non solo non trattano della tipiche stagioni climatiche ma si raddoppiano anche nel tradizionale numero. La cifra stilistica di Giulia Martino si ritrova nel tipico turbinio del pennello, che anticipa l’esecuzione musicale facendone intuire le melodie: talvolta di speranza, talvolta di dolore. Il colore usato acuisce in noi tali sensazioni come nel blu degradante in delicate sfumature di Tristezza. Oppure il fiammeggiante rosso attributo alla Rabbia. Questa pittrice sensibile possiede un legame profondo con le armonie musicali, in un gioco continuo di rimandi. Vedere una sua opera è come aprire un pentagramma visivo, che arriva a toccare le corde emozionali dello spettatore. BIOGRAFIA La formazione artistica e musicale di Giulia Martino inizia negli anni Settanta, nei decenni successivi le sue competenze in campo fotografico e grafico aumentano. Negli anni Novanta perfeziona gli studi pittorici grazie al maestro Luigi D’Amato, e nel 1997 consegue il diploma di grafica pubblicitaria. Questi sono anche gli anni in cui inizia l’attività espositiva in Italia e all’estero, ricevendo diversi riconoscimenti al suo lavoro. Tra i vari premi ricevuti ricordiamo quello del 2004 in occasione del Concorso Internazionale d’arte Accademia Internazionale di Santa Rita, ricevendo il Premio Speciale Giovani. Attualmente tra le varie attività gestisce il sito web del liceo Cottini di Torino.


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Pablo Picasso, “Guernica”, part.

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Giralafoglia è una fattoria eco-pedagogica che si prefigge di insegnare agli alunni delle scolaresche, ma anche agli adulti, a rispettare l’ambiente, la natura, gli animali e la biodiversità al fine di diffondere la coscienza ecologica indispensabile a salvare il pianeta dai pericoli derivati dalla distruzione delle specie vegetali e animali. “Non parliamo mai di cose che non si vedono - spiega Alessandro Meschinelli, uno dei due fratelli ideatori di questo straordinario progetto educativo - la biodiversità qui c’è e la tocchiamo con mano”. Ubicata all’interno della Valletta del silenzio, luogo ancora incontaminato racchiuso tra le colline più prossime al centro urbano di Vicenza, la fattoria propone un percorso di conoscenza ed esperienza della natura strutturato in quattro stazioni in modo da portare i visitatori a contatto con le api, i daini, gli alberi, le farfalle, le formiche e i vermicelli che si possono catturare e osservare con uan speciale lente senza far loro del male. I vari giochi che completano le stazioni di sosta non sono solo per i bambini. Alcuni sono esclusivamente per gli alunni delle elementari e medie, ma altri sono stimolanti anche per adulti e anziani Nel 2011 è prevista la possibilità di studiare un frutteto dove scoprire le tecniche di coltivazione, cura e potatura. Per queste e altre attività e progetti i proprietari si avvalgono del supporto di botanici, agronomi, architetti e altri professionisti ed esperti del settore.

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Vi aspettiamo per assaggiare le nostre specialitĂ e le numerose serate a tema organizzate per la stagione autunnale Per informazioni e prenotazioni: 0445 534016

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