Maria Rita Montagnani

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MARIA RITA MONTAGNANI

RECENSIONI 2008 - 2012



CRITICA D’ARTE

INTRODUZIONE LA MELANCHOLIA Alchimia della forma mentis creativa RECENSIONI 1. AGOSTINO ARRIVABENE 2. NICOLA SAMORI’ 3. RAFFAELE FERRERO 4. LAURA BIANCHI 5. COLOMBOTTO ROSSO 6. MARTA DALLA CROCE 7. LIDIA GIUSTO 8. GAIA FERRARIO 9. ALESSANDRO KOKOCINSKI 10. STEFANIA QUARTIERI 11. SIMONA BRAMATI

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RECENSIONI








NICOLA SAMORI’

E IL SUO ESERCIZIO DI MORTE







INTERVISTA di Maria Rita Montagnani

“Nel fondo delle cose umane, tu vedi ciò che ne rimane, uno scheletro di memoria, con dentro la tua storia, poi c’è il fossile del cuore, buco nero di parole. Ma l’anima infine vola, dove si abbandonerà a restare sola”. Milo Rossi

INTERVISTA

A RAFFAELE FERRARO MRM - Raffaele la tua attività artistica è stata intimamente connessa con la tua professione di chirurgo, ma puoi riconoscere in entrambe una radice comune? RF -Non so se merito il nome di artista. Mi sento un uomo comune. Dall’eta’ di 13 anni ho vissuto 9 mesi all’anno, il tempo della scuola,e fino alla maturita’ classica, in casa di un mio zio,chirurgo. Operava anche in una Casa di Cura ove io riuscivo ad entrare, prima a sua insaputa, poi con il suo consenso; qui “spiavo” la condizione umana e le operazioni . E’ stata una epifania: il centro e’ l’uomo. Non ho avuto dubbi. Ho percorso il cammino fino in fondo, con passione e condivisione della poca gioia e del tanto dolore. Nelle situazioni piu’ drammatiche ho sentito la necessita’ interiore di eseguire gesti-schizzi veloci, su carta qualsiasi: volti dolenti, diari segreti. Compassione per l’altro, che e’ sentire insieme come sentire insieme rende la chirurgia un’arte.

in creazione? Può l’amore per l’essere umano trasformarsi in creazione? Può la rivolta urlante trasformarsi in creazione? Cambiare il mondo e la vita. Così com’è mi sento sempre meno a “casa mia”.

MRM - Cos’è che cerchi di scavare nei volti della tua sofferente umanità muta? RF -La polvere dalle ferite fisiche e spirituali di quella folla. La polvere dalle ossa della mia memoria , non tanto di quella presente, quanto di quella assente, inabissata, vera, presente nell’assenza.

MRM - Tre parole per definire la vita RF - Incomprensibile cuneo verticale. MRM - Tre parole per definire la morte RF - Luce senza tempo. MRM - Secondo te qual è la chiave del mondo? RF - Dio. Senza di Lui tutto e’ nulla. MRM - La tua arte è solitudine o moltitudine? RF - Il motivo che suono è un’opera intima. Ho dialogato in silenzio con queste opere per trent’anni. Poi hanno voluto parlare con altri, con tutti quelli che sono pronti all’incontro. E ho aperto la porta. Una moltitudine di soli che dialoga con una moltitudine che entra in contatto con se stesso, vede con l’occhio dello spririto e completa l’opera. Chi non ha occhio e orecchie non apre il varco e l’opera non si manifesta.

MRM - Si dice che nella pazienza stia la nostra anima,sei d’accordo? RF -Si, la pazienza e’ una condizione morale che ha a che fare con la coscienza e l’anima.E l’anima e’ soffio vitale, intelletto, luce, verita’, essenza dentro il cuore, piu’ piccola di un seme di sesamo, piu’ grande del mondo. E comprende anche l’universo. MRM - Pensando alla tua infanzia,c’è qualcosa di essa che è rimasto ancora vivo nelle tue opere? RF - Tutto il mio dire col segno e’ un viaggio all’indietro, un vissuto di cui ho sensazioni e percezioni dentro di me e che parla con linguaggio semplice, innocente, infantile, automatico e compulsivo. E’ il mio essere nel mondo. E’ l’infinito interrogarsi su ciò che io sono stato e sono. E’ il mio buio e la mia luce, il mio giorno e la mia notte. MRM - Quale spinta,quale molla ha fatto scattare dentro di te l’urgenza della pittura? RF -Può la sofferenza condivisa trasformarsi

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MRM- Certo l’arte ha la sua responsabilità morale. RF . Sì l’arte pittorica non può solo raccontare e documentare il bello estetico, ma deve prima di tutto partecipare. E lo fa con la sintesi di quello che sta oltre la pittura, oltre l’immagine. Se la figurazione riesce a traslare il dato pittorico sul piano dei valori universali. MRM - Il mondo è una corda sull’abisso,e l’artista un equilibrista...per te l’arte è la corda o l’abisso? RF - L’arte è un abisso di libertà che l’artista, come essere nel mondo e del mondo, dico come individuo, aggiunge alla terra.

MRM - Cosa rispondi a chi trova le tue opere inquietanti, angosciose, insostenibili? RF - E’ vero. Più di uno mi dice “sono belle, ma mi creano ansia, non me le metterei in casa”. Non importa. Io dico che questi non sono pronti all’incontro con l’altro. Si sono rifugiati in un luogo di quiete, intimo ma gracile, non veritiero che si infrange appena qualcosa /il dipinto svela loro che la vita no è così come loro pensano. E questo mozza loro il fiato; non resistono al vedere , non sentono il coro che muove il sentimento e


R. FERRARO Per contattare l’artista scrivere a Maria Rita Montagnani mrmontagnani@gmail.com

fanno tacere la voe della coscienza.Ma non sarà un vuoto? Non partecipano alla vita, a quella vera. E aggiungono rischio al rischio. Non è forse il cosiddetto uomo “normale”, l’uomo come noi che fa tutto il male che si può a uomini come noi? MRM - Quale strada pensi di aver percorso nell’arte contemporanea e a che punto del cammino ti trovi? RF - Mi sembra di avere appena attraversato la soglia. Voglio approfondire la riflessione sulla interiorità e sulla esteriorità; Sempre la stessa idea come una ruota che gira sul proprio asse e non mi voglio staccare. Mi fa sentire meglio. Ciò che faccio mi fa sentire più vivo. Arriverò “fin dove si potrà se oltre non mi sarà consentito di andare”. Così Orazio. Grazie Maria Rita MRM Grazie a te Raffaele. Hai una visione cristallina della vita e dell’uomo, è per questo che sei diventato un artista, da solo

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RECENSIONE a cura di Maria Rita Montagnani

IL CARNAIO MISTICO DI RAFFAELE FERRARO

Nelle opere di Raffaele Ferraro pulsano volti e figure di una dilacerata umanità silenziosa,il cui grido si è ormai svincolato dalla sudditanza del clamore terreno,per rifugiarsi in una salvifica dimensione mistica. Essi formano la folta schiera dei perdenti, dei diseredati, dei vinti dalla vita, ma che prima di perire hanno lasciato sulle tele di questo artista, la traccia di un’indelebile evanescenza. E’ l’apparente immobilità del transeunte, dove in verità tutto passa e scorre così rapidamente da sembrare immoto, nella rappresentazione cristallizzata di un dolore che muta, pur rimanendo sempre uguale a se stesso. Affondate nel miasma dell’oblio, le figure di Ferraro sono icone del vuoto ripescate dai fondali melmosi della memoria dell’artista, dove immaginario e reale non sono più distinguibili se non in qualcosa che ci assomiglia e che ci turba singolarmente, e a cui noi cerchiamo di dare un’identità che sia lontana il più possibile dal nostro Ego più consueto e rassicurante. In questa ampia regione del nostro rimosso, ciascuno

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tenta di relegare ciò che vuole dimenticare o cancellare, non dover vedere più, in quel regno di ombre, le nostre paure e timori, le nostre orrende fragilità e debolezze e i nostri fantasmi, vivono una vita parallela che spesso però irrompe drammaticamente nelle nostre realtà e ancor più drammaticamente nei nostri sogni. In Ferraro le solitudini dell’essere, divengono le moltitudini dell’apparire, volti scavati nel dolore da una lacrima eterna, oppure pietre solitarie scolpite nello stupore, restano attonite ed allucinate nell’attesa di una risposta al loro tragico interrogativo: perché? Nel cronicario di quelle esistenze dimenticate ed anonime, quei volti e quelle figure fatti di sangue, lacrime e sudore rappresi in un umore acre di vita amara, si trasfigurano in un carnaio mistico,il cui anelito fervido alla suprema Verità, diviene un com-patire universale, il palpito cosmico di un unico cuore. Ferraro mirabilmente scava nella fallibile materia umana per cercare la sostanza spirituale del suo essere-nel-mondo, quella matrice


R. FERRARO

“Ti ho scritto una lettera sul mio viso, leggi ogni ruga, leggi ogni piega amara, leggi i segni del tempo, leggi i disegni del destino, leggi, e poi cancellami. Così andrò per il mondo con la mia pagina bianca”. Neri Tancredi

ultra-terrena che, pur imprigionando l’uomo tra le radici della terra, lo spinge anche a rispecchiarsi nel creato, tentando di varcare i confini della propria esiguità e di risplendere come un astro attraverso l’innocenza della propria anima trasognata. Spesso le forme del vivere sono forgiate sulle forme del morire, ma in Ferraro le forme del morire divengono memoria e testimonianza del vissuto, quel vissuto che ci appare ora fluido ora coagulato nel fondo cromatico in cui è immersa ogni sua figura: dai grigi ai gialli accesi, dalle ocre ai rossi spenti o ai bianchi calcinati, tutto è storia personale nella storia universale. “Amo coloro che cadono, perché sono quelli che attraversano” dice Nietzsche e sicuramente l’umanità di Ferraro è un’umanità che è caduta, ma da quella caduta ha saputo rialzarsi mille volte aggrappandosi al filo di una divina speranza, quel sentimento che ha portato ogni uomo a sentirsi “strumento” di una più potente e incomprensibile Volontà superiore, il compiersi ultimo di un ineluttabile e unico destino.Così in ogni personaggio di questo artista possiamo incontrare quel “male di vivere” che spesso anche Montale ha

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RECENSIONE di Maria Rita Montagnani

LAURA BIANCHI Identità negate

“Verrà il tempo per tutto, quando il tempo sarà già passato, ma allora esso non troverà più lo spazio. Così accade sovente che tempo e spazio mancanti creino l’essere (presenti) nel mondo”. L.M..

Questa riflessione filosofica e poetica al contempo ci introduce in modo del tutto appropriato e adeguato nell’universo pittorico di Laura Bianchi, artista sensibile ed introversa che a partire da una matrice iperrealista, si presenta all’osservatore con una tecnica ed uno stile inconfondibili, dove nessun elemento narrativo è lasciato al caso e dove ogni immagine pare raccontarsi senza raccontare di sé niente più di ciò che ci è dato immaginare. Il mondo della Bianchi è stigmatizzato nel ritratto della figura umana, ma poiché nei suoi quadri la figura è quasi sempre di spalle, sarebbe forse più opportuno parlare di “contro-ritratti”, e comunque sia è attraverso questa peculiare forma espressiva che Laura rappresenta i disagi e i profondi malesseri dell’età adolescenziale e giovanile. Queste tematiche costituiscono per l’artista il nucleo centrale su cui essa focalizza la sua attenzione e intorno a cui ruota la sua concezione della vita, non a caso è proprio in questa fase della crescita individuale che si manifestano maggiormente il vuoto esistenziale e la mancanza di senso e di significato che stanno alla base dell’agire umano. Così attraverso la sua pittura sapiente e composita, la Bianchi avvolge i suoi personaggi ben definiti e particolareggiati, in un’atmosfera indefinita, dilavata, facendoli apparire quasi irreali ed estranei persino a se stessi. Il colore è volutamente monocromo e spento forse proprio per accentuare maggiormente la condizione indifferenziata dell’età adolescenziale, dove una personalità fragile e un vuoto di valori determina un’anodina individualità. Così questi personaggi solitari, questi attori incomunicabili tra loro e ancora ignari del copione della vita, cercano loro malgrado un senso al loro essere, un riscatto a queste loro identità negate che la Bianchi raccoglie immortalandole almeno nella memoria artistica, prima che ricadano nel nulla. L’essere si manifesta e si nasconde contemporaneamente, ma la pittura di questa artista ci mostra come nella sua visione esso si confonda con il mondo più che fondersi con esso e dunque tenti di mimetizzarsi piuttosto che di esistere. Tutti questi personaggi della Bianchi, giovani e giovanissimi, sempre girati di spalle, tra non molto magari si volteranno verso di noi, si muoveranno, attenderanno alle loro faccende, ai loro passatempi e se non lo fanno è solo perché hanno timore che chi li guarda colga nei loro occhi la paura di vivere che è dentro di essi. Maria Rita Montagnani

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L. BIANCHI Per contattare l’artista scrivere a Maria Rita Montagnani mrmontagnani@gmail.com

Non ti volti e resti fermo Quando corri il rischio Dell’angoscia che ti assale. Davanti a uno splendore. Quel passare le ore A rinventarlo sarà il tarlo del tuo mondo. Tra il dire e il fare C’è di mezzo l’amare. Tutto il resto andrà a fondo. Nella vita di senti d’esistere Nel mondo ti senti desistere, eppure ancora non sai quanto sia lontano da entrambi il vivere e il suo insistere. Neri Tancredi

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INTERVISTA

ENRICO COLOMBOTTO ROSSO MRM- Maestro, nella sua pittura in cui echeggiano i fasti simbolisti, si agita un’inquietudine di vivere che sembra un retaggio più dell’infanzia che non della maturità, cosa può dirci a riguardo? CR-Credo, anzi sono sicuro che il retaggio sia dell’infanzia. Lei ha ragione, anche se la mia infanzia non è stata così diversa da quella che hanno vissuto i miei fratelli ma io ho sempre cercato un mondo a parte che non era altro che il sogno di ciò che ho successivamente creato. Non ho avuto grandi incubi ma alcuni possono raccontare che la madre di mia madre è morta in manicomio, io l’ho saputo molto tempo dopo. Ho sempre pensato che solo con l’isolamento sarei arrivato alle mie verità. Non potevo concedermi come i miei fratelli, io non dividevo nulla con loro, leggevo un libro ogni due giorni. L’isolamento è stato la mia formazione ma la formazione inizia da bambini, non si arriva a vent’anni e si diventa artisti, si parte da piccoli. Io ero sempre solo con la mia carta… si capiva che c’era un destino. MRM-Tutte le cose preziose stanno nascoste, è d’accordo? CR-Dividiamo tra cose esteriori e cose interiori, a me interessano quelle interiori. La parte interiore è la più difficile. Io non comunicavo né con mio padre né con i miei fratelli. Sono d’accordo, è complicato quando sei un bambino e non hai ancora un linguaggio con cui esprimerti, dire le tue verità che quindi restano nascoste, sono preziose e rappresentano la parte segreta che interessa. Mio fratello alzava i pesi mentre io leggevo libri. Mio padre andava a caccia, ammazzava gli animali mentre io leggevo libri. Imbalsamava gli uccelli, le civette. Ricordo che le metteva nelle gabbie ed io sentivo che battevano con i becchi contro i vetri. Quando mio padre è morto nessuno voleva la sua collezione, ho dovuto prenderla io ma all’epoca avevo un gatto siamese, Lilly, che ha spiumato tutta la collezione di animali impagliati… il mio gatto li ha distrutti. Non ho mai potuto dimostrare l’amore per mio padre, era molto risoluto, non mi ha mai capito perché sentiva che ero un bambino diverso. MRM-La vita, la morte sono una grande distesa di niente? CR- La vita è quello che hai quando non pensi alla morte. La morte è la soluzione di tutto quello che hai fatto e lasci agli altri. Se non lasci nulla vuol dire che non hai fatto nulla. Per un artista produrre è come allargare la propria famiglia, il mondo che non c’è. Io non ho avuto un trauma nel non avere un figlio, io tramando parte di me con le mie opere non per mezzo di una persona, di un figlio. MRM-Che posto occupa nella sua vita d’artista l’ignoto? CR-Lei, signora, conoscerà senz’altro la mia età, il mio futuro non è così lungo, neppure l’ignoto. Non ho la percezione dell’ignoto perché ci sono già dentro. Non mi ha mai spaventato, io ho sempre giocato con la realtà. Quando mi alzo al mattino, rido come un pazzo perché non ho mai avuto una famiglia e lo posso fare. MRM-Secondo lei è più importante la réverie o la lucida riflessione? CR-Preferisco la réverie, mi piace questa parola francese, perché i sogni sono l’unica cosa che ti sostiene per vivere anche se sei vecchio. Il vero sogno è continuo, non parlo dei dreams della notte, di notte i sogni sono poco interessanti, di giorno invece, quando hai la concretezza della realtà che vivi, è fondamentale sognare. L’ultimo lavoro che ho fatto, ad esempio… Ho illustrato Les Fleurs du mal di Baudelaire con più di 500 tavole, spero di poter fare una mostra con queste opere in uno spazio pubblico per realizzare un catalogo, non potrei farne un libro, sarebbe economicamente troppo oneroso. E’ un testo che non ho più riletto, ho guardato solo i titoli, le immagini che lui aveva, ad esempio la donna creola di 200 Kg di cui Monet aveva fatto un ritratto. Una critica tedesca, quando ho esposto in un museo in Germania, ha detto che ero uno dei pochi artisti che lavora in stato inconscio, ipnotico, senza progettare… è stata la più bella recensione che ho ricevuto. Io ho sempre sognato la mia vita ideale senza avere accanto una moglie, la dama di compagnia. Non ho mai voluto una presenza nella mia casa di qualcuno che mi dicesse “ti voglio bene”, ho sempre sognato l’assoluto, non posso avere legami perché se qualcuno mi dice al mattino “come sei bravo” (uomo o donna

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COLOMBOTTO che sia) mi mette in crisi, non voglio complimenti, non li ho mai avuti da bambino. Non sono un orso, come può apparire da ciò che dico, sono il contrario, sono fragile nella radiografia che posso fare di me stesso, la cosa più importante che posso dire è non analizzare mai né il proprio conscio né l’inconscio, come qualcuno ci ha insegnato. Ho letto molti trattati quando ero giovane, allora non avevo capito nulla, ho capito tutto dopo. Tra le letture fondamentali che ho fatto ci sono i Frammenti di Nietzsche, lui insegna ad avere un assoluto totale mentre nella psicoanalisi c’è molta “tendresse”, fragilità che non ti aiuta a diventare una persona sicura, non parliamo di virilità. A 15 anni il primo libro che ho letto è stato Via col vento. Amo Jung, Adler, Freud è per le bambine della prima comunione. MRM-La sua pittura nasce da un sogno o da un bisogno? CR- Il mondo mio personale è il sogno continuo. In qualsiasi momento mi metta a disegnare io continuo a sognare un’altra realtà che è quella che nessuno vede ma si percepisce nel lavoro. E’ come nutrirsi, come bere un bicchiere di vino, fare un buon pranzo. MRM-. Cosa sono il passato e il presente per lei, che cos’è il tempo? CR- Il passato? Io ho già dimenticato tutto, soprattutto le parti negative delle persone, il male che mi hanno fatto, preferisco ricordare le cose positive perché mi danno gioia. Il presente è la rinuncia alla noia che è il sintomo delle persone che invecchiano, quando la creatività è continua, si deve creare fino all’ultimo giorno della propria vita. Il tempo? Non me ne accorgo, se tu hai immaginazione rigeneri continuamente la tua parte psichica, dimentichi l’età che hai, questo non significa che io giochi ai birilli… Vuol dire che sei arrivato a un confine dell’assoluto senza dover sostenere il peso di una cultura intellettuale opprimente. MRM-Mi dica 3 parole per definire la vita. CR-J’en ai assez… Ne ho abbastanza. Lo dico al mattino quando mi alzo perché ho vissuto abbastanza. Questo è uno scongiuro, il destino non si sa cosa sia. MRM-Mi dica 3 parole per definire la morte. CR-Morire sognando dolcemente. Senza un incubo finale. Quando arriva la morte… lo vorrei solo sapere. MRM-C’è qualcosa nella sua vita che non ha ancora potuto realizzare? CR-Molte cose non sono state realizzate ma non è dipeso da me. Per quello che riguarda il mio lavoro credo di avere descritto migliaia di fogli d’inchiostro, ci sarebbero voluti 800 pittori per produrre ciò che ho prodotto io. Ho fatto un disegno lungo un Km., sono fogli da 4 mt. per 2 disegnati ad inchiostro di china, poterli esporre, questo è un sogno che vorrei vedere realizzato. Si tratta di nudi, tutto il lavoro s’intitola Ossessione. L’ho iniziato nel 1992 e finito nel giro di un anno. MRM-C’è una domanda che nessuno le ha mai fatto e a cui vorrebbe rispondere? CR-Sì. “Ma lei è ancora vergine?” Ovviamente dipende da che cosa io idealizzo con il termine assoluto di verginità ma questo non lo voglio dire, è un mio segreto. MRM-Maestro, dove sta andando l’uomo odierno? Dove sta andando l’Arte attualmente? CR-Per quanto riguarda l’Arte c’è un ritorno al figurativo, io lo sono sempre stato. Ci sono grossi talenti in Italia, Inghilterra, Germania ma sono pochi. In Piemonte, al massimo, ce ne sono tre. Non c’è preparazione accademica, culturale, non ci sono persone che come me hanno rifiutato di appartenere ad un gruppo di artisti per difendersi. Bisogna avere il coraggio di esporsi in prima persona, oggi basta un piccolo successo per sentirsi grandi artisti mentre questo lo si può dire solo alla fine della propria vita. Non so dire dove stia andando l’uomo odierno, forse le persone che hanno talento, cultura, lo possono capire. Io sono un anarchico, contrario alla cultura ufficiale, non posso essere un esempio, so solo che i grandi poeti, scrittori, artisti hanno sempre cercato l’assoluto per arrivare all’opera straordinaria… è sufficiente scrivere un libro bellissimo, ecco lì deve andare l’uomo odierno con tendenze artistiche, so parlare solo di questo.

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RECENSIONE

ENRICO COLOMBOTTO ROSSO La spaventosa aureola dello psicopompo

Immaginare Colombotto Rosso intento al suo creare artistico, è come essere rapiti da Ade nel bel mezzo di un prato di virginale quotidianità, per ritrovarsi come Proserpina-Persefone sprofondati in una dimensione notturna ed oscura, ostile e inestricabile non perché lontanissima da noi, bensì perché è in fondo al nostro essere più inconoscibile. In quel regno popolatissimo di fantasmi e di mostri, anche lo spettro del nostro “doppio” diviene spettrale, assumendo le sembianze di ciò che maggiormente ci turba e ci sconvolge, ma che ci parla col suo linguaggio sibillino e stigio, che vuole entrare nelle nostre emozioni, provocandone altre ancor più devastanti. Colombotto Rosso sublime e beffardo psicopompo, ci conduce così attraverso i suoi labirinti tappezzati da orrorifiche amenità, esso si serve della pittura come fosse il fior fiore dei sortilegi, di quelli che riescono ad annodare la mente con l’anima in un mortale intreccio di assoluto abbandono. La sua grande maestria, al pari dei grandi maestri “neri”, consiste innanzitutto nel togliere ossigeno all’aria che respiriamo, rendendo l’atmosfera mefitica e saturnina all’interno di quel suo claustrofobico splendore, dove mondo e realtà vengono ingoiati da un unico universo di tenebre e dove la luce soffusa in una sinistra aureola, fa ancor più paura del buio. Col suo linguaggio sinuoso e sontuoso, questo artefice mesmerico, ci fa toccare tutte le anfrattuosità delle deformità mentali, dove si annidano penitenti succubi ed impenitenti carnefici, dove le forze del male e del bene non sono più in lotta, bensì in un’eterna affabulazione, e dove infine prevarrà solo la crudele e indecifrabile verità dell’inconscio. Colombotto Rosso non parla dell’uomo, e non parla nemmeno all’uomo, egli parla nell’uomo, attraverso la voce di ciò che esso non vuole ascoltare e che s’insinua nelle sue orecchie come il canto delle sirene facendolo impazzire. Perciò l’uomo teme quella voce,perciò volge altrove lo sguardo quando esso rischia di posarsi su ciò che non si può sostenere e forse nemmeno concepire. Il nano, ilmostro, lo scheletro, il deforme, sono in effetti personificazioni dell’inconscio, non persone e figure reali, bensì sono tutti simulacri plasmati nella melma dell’aldilà, dove aldilà, qui, significa “metaxy”, il regno di mezzo, il luogo abituale delle nostre paure e dei nostri tormenti, quel luogo dove itifalliche divinità stridono sulle nostre ingenue congetture, digrignando i denti quando cerchiamo di contrastarle o ancor peggio di sconfiggerle. Si tratta comunque “di rendere l’anima mostruosa, alla maniera dei comprachicos.. (A.Rimbaud), perché solo così possiamo assecondare gli dèi ed esperire l’inconscio senza esserne soltanto sparuti ed inermi visitatori. Scendere bisogna, occorre approfondire e approfondirsi,ed infine anche inabissarsi in quel mare di tenebre rilucenti dove riverbera la nostra più audace possibilità di pensiero. Questa è la grande lezione di Enrico Colombotto Rosso, il saper condurre l’osservatore verso una Nekyia, verso una discesa nel Tartaro. Ecco che allora esso con la sua arte luciferina fatta di visioni impressionanti, di soverchianti presenze sotterranee, ci guida sapientemente verso quegli dèi e le loro epifanie, per cercare di farne la loro conoscenza e tentare di favorire quell’identificazione che sta alla base di ogni processo d’individuazione e che possa esitare come l’opera alchemica verso una compiuta individualità. Come sulla porta di Jung, la scritta: “Vocatus atque non vocatus deus aderit”, pare sia incisa anche sulla porta iridescente e traslucida della dimora sulfurea di Colombotto Rosso, che in quella dimora crea con il suo eterno spirito mercuriale. Ma quel dio ci sarà soltanto attraverso sacrificio, energia e dedizione, perché solo così saremo segnati dall’incommensurabile destino dell’arte, quello che ha fatto di questo artista, un artista geniale.

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Maria Rita Montagnani


COLOMBOTTO

BIOGRAFIA A Camino Monferrato vive l’artista torinese Enrico Colombotto Rosso, nato (con il fratello gemello Edoardo) il 7 dicembre 1925 da madre toscana e padre ligure. La sua scuola è stata la vita. Fin da bambino manifesta la propensione per il disegno e studia da autodidatta le tecniche espressive. Fra i 15 e i 19 anni frequenta una piccola cerchia di poeti e letterati, scrive poesie e segue da vicino l’ambiente artistico e culturale torinese. Nel 1948 incontra Mario Tazzoli con il quale aprirà a Torino la galleria Galatea che tratterà artisti come Giacometti, Bacon e Balthus. I temi dominanti della sua pittura sono anticipati dalla “piccola storia per un bambino che aveva grandi orecchi e piccole zampe”, che scrive in questo stesso periodo e sarà edita da Giorgio Tacchini nel 1981 con il titolo di “Storie di Maghe per adulti”. A partire dagli anni Cinquanta la sua vita seducente si fa irrequieta e compie il suo primo viaggio a Parigi dove incontra Leonor Fini, Stanislao Lepri, K.A. Jelenski, Jean Genet, Dorothea Tanning, Max Ernst personaggi già padroni della scena internazionale e molto vicini a lui per la loro espressione artistica; queste amicizie dureranno tutta la vita ed ancora oggi Enrico Colombotto Rosso parla di Leonor come di un grande “ Sole- Luna” comparso nel secolo scorso, di cui tutto è indimenticabile, la voce, il suo enorme talento e la bellezza. Poi Vienna, Londra, Stoccolma, Siviglia e gli Stati Uniti costituiscono per l’artista altri importanti punti di riferimento dove ha occasione di conoscere e stringere amicizie nell’ambiente artistico con grandi personaggi quali John Huston, Eugéne Jonesco, Wharol, Becker, Fellini dai quali il giovane Enrico Colombotto Rosso assorbiva le atmosfere, il senso della letteratura e dell’arte, della drammaturgia e dell’immagine. Nel frattempo espone nelle più importanti gallerie europee con mostre personali ed è regolarmente presente con le sue opere agli appuntamenti d’arte importanti, sia in Italia che in altri Paesi europei e negli Stati Uniti. Datano al 1953 personali a Torino (Galleria Galatea), Parigi (Galérie de l’Odéon), Providence, USA (Museum of Art) e Roma (Galleria dell’Obelisco). Espone a tutte le collettive torinesi del Circolo “Piemonte artistico e culturale”; nel 1955 espone in personale alla Galleria Montenapoleone di Milano, alla Bussola di Torino, alla Galérie de Seine a Parigi, alla Sagittarius Gallery di New York e alla rassegna ‘Italian Parade’ a Sidney; nel 1957 alla Galleria comunale di Bordeaux; di nuovo all’Obelisco di Roma; nel 1958 nuova personale torinese alla Galatea; nel 1959 torna all’Obelisco di Roma, espone alla Quadriennale e a Palazzo Strozzi di Firenze. Nel 1960 espone ad Amburgo e Brema; nel 1961 a Padova e Madrid. Nel 1967-68 è invitato alla rassegna torinese ‘Pittura e scultura contemporanea’. Si cimenta altresì nel cinema e nel teatro disegnando scene e costumi, ad esempio nel 1970 per l’opera teatrale “Le jeu du massacre” di Jonesco per il Teatro Stabile di Torino, per la “Danza di morte” di Strindberg, “Salomé” di Wilde. Nella sua carriera artistica ha tenuto numerosissime mostre personali e collettive, in altrettante prestigiose sedi pubbliche e private. . Nel 2000 la Regione Piemonte organizza una sua grande mostra antologica presso la Sala Bolaffi a Torino e nel 2002 è invitato da Vittorio Sgarbi a partecipare alla mostra “Surrealismo padano. Da De Chirico a Foppiani, 1915-1986”. Nel 2003 un’altra importante antologica ordinata presso il Panorama Museum a Bad Frankenhausen in Germania. Nel 2005 partecipa alla mostra “IL MALE. Esercizi di pittura crudele” curata da Vittorio Sgarbi presso la Palazzina di Caccia di Stupinigi (Nichelino-Torino). Negli ultimi anni si sono attivati tre depositi museali a Conzano, a Camino, a Pontestura (sempre nella provincia di Alessandria), dove sono conservate opere di grande pregnanza storica. 15




2 . C R I T I C O M A R I A R I TA M O N TAG N A N I

ALESSANDRO KOKOCINSKI:

IMPRIMERSI NEL SEGNO DELL’ETERNITA’ di Maria Rita Montagnani

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o avuto recentemente come critica d’arte l’opportunità e la fortuna di incontrare e di conoscere da vicino Alessandro Kokocinski, grande personalità ed “artifex maximum” del panorama internazionale dell’arte contemporanea, figura controversa ed estremamente espressiva,che ha fatto dell’arte la propria vita e il proprio destino. L’ho incontrato nel suo studio strabiliante,un autentico “ouroboros”nel cuore della stupenda Tuscania dove vive e lavora e, qui,ho potuto fargli questa breve intervista che in realtà non ci rivela niente di più se non la misteriosa oscurità che avvolge ogni sua opera così come il nucleo della sua stessa anima. MRM: Maestro lei è pittore, scultore e disegnatore, e in ognuna di queste discipline Lei ha raggiunto l’eccellenza, ma tra esse ce n’è una che prevale sulle altre? O concorrono tutte in egual misura ad un’espressione totale? AK: Raggiungere l’eccellenza per fortuna è una meta inafferrabile.. , tra l’altro eccellenza rispetto a chi? a che cosa? qual è il metro di confronto? forse le posso rispondere che più conosco meno so, e ciò che conosco oggi non mi basta per domani, sono orgoglioso di quello che amo: l’Arte. MRM: Quale concetto ha del Male e quale significato ha per lei. AK: Il Male è necessario per capire il Bene. MRM: “Il vento ruba le voci al silenzio rivelandone i segreti” dice il poeta. A lei Maestro cosa rivela il silenzio? AK: Il poeta dice bene. L’artista in genere è un animale solitario e nel momento della creatività, nel suo “silenzio” forse dialoga con Dio.

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MRM: L’artista visionario è di sicuro un essere che vive di molte paure. Lei che cos’è che teme di più nella vita? AK: La stupidità. MRM: Quando lei crea, “possiede” o è “posseduto”? AK: l’atto del creare talvolta è un atto di pura ispirazione e come tale si è inconsapevoli, si stabilisce un rapporto di equilibrio tra possedere ed essere posseduto MRM: Facendo riferimento al mondo del mito, che lei spesso evoca o reinventa, a quale divinità-archetipo si sente più affine, all’incontenibile energia (argento vivo) di HERMES alla greve e feconda malinconia di SATURNO? AK: Senza dubbio Eros e Pathos. MRM: Guardando alla sua vita, così intensa,avventurosa e per certi versi anche pericolosa, rifarebbe anche gli stessi errori? AK: No MRM: Si dice che la Verità non si trovi in fondo al cammino, ma che sia il cammino stesso. E’ d’accordo? AK: Si, la vita di ogni uomo è un cammino verso se stessi. MRM: Cosa pensa dell’uomo di oggi? Quale ritiene sia il suo grado di civiltà riguardo alla scienza, all’Arte e alla vita. AK: Penso che la civiltà moderna, intendendo la società nella quale siamo immersi non ha un grado di civiltà, confrontandosi con le civiltà che ci hanno preceduto... in fondo la nostra epoca oltre ad aver inventato la penicillina ..e .. la bomba atomica ......se mi guardo intorno mi viene un pianto amaro...














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