EIKON ARTMAGAZINE
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Anno V Maggio - Giugno n.20/2012 e. 5,00
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EIKON 20/2012
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Bimestrale di cultura dell’immagine e comunicazione
CRISTIANO NASI
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N. 20 Maggio-Giugno 2012
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Bimestrale di arte, recensioni e cultura dell’immagine
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Maria Rita Montagnani Anna Maria Ronchin Mara Campaner Renato Freddolini Marina Zatta Barbara Vincenzi Roberta Filippi Mara Valente Alice Zannoni Marzio Dall’Acqua Pietro Negri Editore Corso Palladio, 179 36100 Vicenza
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MAURIZIO BONO GERMANA BARTOLI FRANCESCO GRANELLI ROSSELLA LICCIONE 16
RECENSIONI GAIA FERRARIO L’Inganno di Aracne ELSA MIGLIORINI IMERIO ROVELLI AGRON HOTI Le risonanze infinite
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BIOGRAFIE ENNIO MONTARIELLO il piacere estetico GIAMPIERO ABATE SILVIA BELVISO YASMIN HASSANIN mitologia, arte e simbolo
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ROSANNA D’AMICO Intelligente passione
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MASSIMO SHOZA LONGHI L’arte sensoriale
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L’Editore si dichiara pienamente disponibile a regolare eventuali pendenze relative a illustrazioni e fotografie con gli aventi diritto che non sia stato possibile contattare.
la quota comprende 15 copie in omaggio ogni numero (90 copie annue) e 1 redazionale omaggio
IN PRIMO PIANO
FRANCO SANNA Alphabet Art
Stampa Grafiche Corrà Arcole (VR) Contatti e informazioni: info@federcritici.org 0444.1805588
PREMIO AFRODITE 2012
CRISTIANO NASI Cristiano Nasi
Direttore responsabile Maria Elena Bonacini Redazione
N.20
ALBERTO IUCULANO La terapia dei colori 30
MOSTRE MA - DONNE L’Archetipo femminile
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FOTOGRAFIA Appunti (6)
Bollettino postale C/C n. 70951959 Supplemento della testata Museohermetico Reg. Trib. VI. 1115 del 12.09.2005 roc n. 13974 Eikon Magazine è un prodotto
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SOMMARIO
RECENSIONI
www.cristianonasi.it cell. 347.3533976 cristiano.n@email.it testo critico: Marzio Dall’Acqua
EIKON EIKON20
CRISTIANO NASI
O IL SAPORE PIU’ FORTE
Vorrei non crepare, no Signore, no Signora, prima d’aver assaggiato il sapore che mi tormenta il sapore più forte. Vorrei non crepare prima d’aver gustato il sapore della morte. Boris Vian Sole nero
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Cristiano Nasi crede nella pittura: ci crede al punto di affidare ad esso le sue parole d’uomo, le sue idee ed i suoi dubbi, con una dolce aggressività che si nasconde dietro a forme fredde, rigide, in un certo senso essenziali e rigorose, forme nelle quali i simboli, specialmente la croce, si contorcono come animati da interni tormenti, piegati da forze esterne così oppressive e schiaccianti da deformarle, piegandole a significati che non sono loro propri. Il linguaggio della pittura diventa sommessa preghiera interiore, evanescente denuncia, perifrasi eufemistica di quello che non si può dire e quindi, in teoria non si potrebbe vedere. Ma Cristiano Nasi osa, avanza in una terra di nessuno immediatamente impopolare perché parla della morte, parla del nostro stesso intimo rapporto con questo grande buio, immenso enigma che ci sta in qualche modo sia alle spalle - poiché, prima della nostra nascita, c’è stato un tempo che non eravamo - e che ci sta di fronte, ineluttabile. Tempo che per Cristiano è invece un eterno presente, una continua sospensione che unisce vita e morte in una stagione che se ha le caratteristiche soprattutto dell’inverno, con grigi che evocano il freddo, il rigore estremo, quasi a negare ogni forma di vita, ritroviamo però negli interni vasti, scombinati, con proporzioni irreali in prospettive periclitanti, improbabili e malferme; lo ritroviamo in una natura continuamente scossa, bloccata in
contorsioni che evocano sempre lingue di fuoco, un ardere senza fiamma, senza calore, strade che vibranti per interne scosse telluriche rendono instabili casette da illustrazioni per bimbi, mentre si perdono verso chiese che sono l’ultima meta, anch’esse solitarie e geometriche come giochi di bimbi, denunciando così non tanto la loro fragilità, quanto il loro carattere innaturale. Aurore boreali, accalorati turbinii di arsure in movimento si muovono spesso intorno ad un sole nero centrale nella composizione pittorica. Il tema del sole nero è l’antitesi all’astro del mezzogiorno, datore di vita, generatore di forme e di luce: Illumina un altro mondo, quello infero, quello dei morti. Il sole nero degli Aztechi era portato in spalla del dio degli inferi, come l’assoluto malefico e divoratore della morte. Si tratta di una negazione tale per cui neppure il morire gli può resistere, perché anche questo stato ha una sua positività di valori. Per i Maya veniva rappresentato come giaguaro, divinità ctonia, evoluzione dell’immagine della bocca del felino che divora il sole e favorisce il buio e la notte. Per gli alchimisti il sole nero è la materia prima, non lavorata, in via di evoluzione e per l’analista l’inconscio allo stato più elementare. Si tratta insomma sempre di qualcosa che capovolge il giorno, il reale tangibile e razionale, intorno al quale si muovono vampe aeree a spirale, turbini, che proprio perché fanno
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Interno con pianoforte
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Fiori d’inverno
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perno sul sole nero diventano simbolo di una evoluzione, di un movimento incontrollata ed ingovernabile da parte degli uomini e quindi guidata da forze superiori, sospesi tra regressione irresistibile, caduta vertiginosa o di movimento ascensionale e accelerato progresso. Insomma un mutamento in atto, lontano da noi, sopra la linea dell’orizzonte, sospeso nel suo equilibrio magmatico ed incandescente. questo è quasi l’unico evento dinamico nelle opere di Cristiano Nasi, altrimenti contemplative, anche nel traballare indefinito e forse eterno delle cose, sospese in una attesa fuori dal tempo, in una rassegnazione quieta che non ha né parole né gesti per esprimersi, non comunica, si ostenta, si mostra, è nella sua essenza insieme semplice, povera e sciatta, spesso, nel grigiore o nei colori come sussurrati. Intorno spazi per sospiri, per lievi sussurri, forse per sibili lontani nello stormire delle fronde fiammeggianti: ma soprattutto regno del silenzio, della contemplazione, dell’apparizione improvvisa, ma insieme nella sua pacatezza impossibile da cancellare, da negare ed allontanare, Nasi, in una società come la nostra dove il morire e la morte sono l’ultimo tabù, sono veramente più che mai l’indicibile, ha il coraggio di parlarne e lo fa con la pittura che non ammette, non consente repliche di parole, ma solo lo sguardo che indaga, accoglie e mette in moto l’interiorità di ciascuno di noi o che rifiuta di vedere, di misurarsi, di lasciarsi coinvolgere in un mondo che non è retorico, ma al contrario 1 ha un suo interno languore, un lieve stupore, una sospensione di poesia, che diventa eterna e sembra l’unico segreto modo per vincere il tempo. Ed insomma alla fine vincere la morte. Più che pensare al morente Cristiano Nasi costringe a guardarlo, a leggere con gli occhi questa dimensione, che vorremmo sentire estranea, ma che è profondamente nostra: “E il grande meriggio è: quando l’uomo sta al centro del suo cammino - ha scritto Nietzsche - tra l’animale e il superuomo, e celebra il suo avviarsi alla sera come la sua speranza più elevata: giacché quella è la via verso un nuovo mattino”. Ma il suo discorso si fa più sottile, assumendo talora accenti profetici, ponendo interrogativi sociali, criticando con la quieta mestizia, che gli è propria e che forse toglie veemenza, ma non certo pregnanza né alle immagini né agli interrogativi che pone, consuetudini, pregiudizi, timori e comportamenti irrazionali, che fuggono e negano, che cercano ipocritamente di spacciare la loro irrazionalità per razionalità.
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RECENSIONI Di fronte ad alcuni quadri ci sembra di ritrovare e comprendere la sintesi di Roberto Bazlen: “E’ un mondo della morte un tempo si nasceva vivi e a poco a poco si moriva. Ora si nasce morti - alcuni riescono a diventare a poco a poco vivi”. Ecco Cristiano Nasi ha trovato, attraverso la pittura, il suo personale modo di diventare vivo, quadro dopo quadro, apparizione, dopo apparizione: infatti non a caso le sue immagini ricordano certe illustrazioni devote, popolari, essenziali che raccontano miracoli con la sommessa quotidianità dei gesti più banali e famigliari. E’ forse l’eco di una sacralità che riguarda la vita e non i simboli, riguarda questa faticosa scesa verso l’esistenza come pienezza da raggiungere, nella quale e per la quale anche la morte è spazio di vita, di scoperta e di conquista. Può essere come ha scritto Boris Vian “il sapore più forte”. C’è ancora da dire che la nostra cultura rigetta la morte, la respinge ed il morto è come un nemico, da temere e blandire, ma soprattutto rendere inoffensivo, relegarlo nella elaborazione del lutto. Per la morte si è creato un altro regno ed un altro mondo, oltre le rive del fiume, dell’Acheronte, confine che divide ed impedisce ogni mescolamento: “L’immorale segreto della morte - ha scritto Michel de Certeau - si depone nelle grotte protette che gli riservano la psicanalisi o la religione. Abita le vaste metafore dell’astrologia, della negromanzia o della stregoneria, linguaggi tollerati finché formano le ragioni dell’oscurantismo da cui si distinguono le società del progresso. L’impossibilità di dire… è inscritta in tutte le procedure che racchiudono la morte o la spingono fuori dalle frontiere della città, fuori del tempo, dal lavoro e dal linguaggio, per salvaguardare un luogo”. Lo scandalo Cristiano Nasi è che egli cerca - e trova - un linguaggio per dire, un modo per riappropriarsi di una dimensione esclusa e cercare di condividerla con noi. La dimensione della realtà che dipinge non è quella dell’Aldilà, che separa il mondo dei vivi dai morti, che crea due regni inaccessibili ed incomunicabili, ma è quella dell’Altro Mondo, concezione decisamente diversa da quella che ci pervade e alla quale riflettiamo se non nel misterico televisivo, nei brividi dei facili horror così imprevedibili da denunciare il
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Natura morta in blu
Novembre
CRISTIANO NASI O IL SAPORE PIU’ FORTE
BIOGRAFIA Cristiano Nasi nasce a Reggio Emilia nel 1964. Formatosi artisticamente da autodidatta, con le sue opere ci introduce in un mondo dove la realtà è rappresentata nella continua ricerca dell’ignoto. Dipinge per pura passione. Parallelamente alla sua attività ha già all’attivo varie mostre personali e collettive in diverse città italiane ed estere con discreto successo. Alcune sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private. Vive e lavora a Scandiano di Reggio Emilia. Contatti: cell. 347.3533976 cristiano.n@email.it www.cristianonasi.it
Notturno con case
loro essere improbabili, speso al limite del ridicolo. L’Altro Mondo si sottrae alle contingenze del tempo e delle dimensioni e si mescola con il nostro, in una contiguità che non ha regole, per cui le presenze sono insieme vive e morte, reali o evanescenti, per accettare questa dimensione che ci coinvolge nel nostro stesso mondo, qui ed ora, in contatti continui che non controlliamo, non possiamo razionalizzare, ma che sono come l’essenza immortale delle cose e degli uomini, abbiamo inventato gli angeli come presenze positive, come forme alle quali affidarci con fiducia. Cristiano Nasi non ha bisogno di queste figure allegoriche per riaffermare una dimensione che è stata profondamente radicata in Irlanda dove questo luogo si chiama, nelle antiche leggende precristiane, globalmente sid, o in ortografia moderna sidh, che etimologicamente significa pace. Cristiano Nasi riscopre questa dimensione che è fatta di interferenze, di incontri, di connessioni e di silenzi, ma anche di assenze con una geografia dello spirito che non comprendiamo, ma che percepiamo e con la quale possiamo appunto pacificamente convivere. Il linguaggio pittorico di Cristiano Nasi ha echi dalle prime
avanguardie storiche, di Van Gogh padano, meno vibratile ed emotivo, dagli espressionisti tedeschi e dai Nabis, dai Fauves, da diverse forme di primitivismo novecentesco che usa colori contrastanti, visioni dall’alto, prospettive a volo d’uccello anche in interni, organizzazione degli spazi emotivi e non ottici visivi, con cromatismi accesi oppure spenti, tirati al limite come sottovoce in una nota dilata ed infinita, deformazioni che rendono gli oggetti instabili, ne denunciano la natura di apparenza e non realtà. L’iconografia è quella che parte dai visionari settecenteschi alla Blake, per passare alle sospensioni dolcemente lineari dei Preraffaelliti, dei simbolisti e della metafisica, per approdare al surrealismo, alla lezione di Magritte, con una tetraggine ed una ostinazione al complotto con le ombre che ha perso ogni irrisione ed ogni sghignazzo grandguignolesco alla Ensor per chiudersi in una malinconia, che è parziale presenza, contemplazione visionaria, convalescenza dello spirito, ma anche tensione dell’anima a parlare con chi è intorno a noi e non vediamo. Cristiano Nasi lo vede e gli parla sulla tela, attraverso i colori. Marzio Dall’Acqua presidente dell’Accademia Nazionale di Belle Arti di Parma
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RECENSIONI
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ALBA PEDRINA
ALL’ORIGINE DELL’ATTO CREATIVO
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ASSOCIAZIONE
MAURIZIO BONO
Intervista di Mara Valente
Soqquadro
INTERVISTA Come mai la scelta di esprimere la sua vocazione artistica e dedicarsi allo studio dell’arte solamente da pochi anni? Da dove nasce questa sua esigenza? Mi sono iscritto in ingegneria nucleare appena conseguita la maturità classica, esaudendo una mia naturale predisposizione verso la matematica e la fisica, ma ho sentito l’esigenza di riempire i vuoti che la formazione scientifica inevitabilmente seminava nel mio cammino, leggendo come un onnivoro quello che mi capitava fra le mani (Pirandello e Agatha Christie in particolare) e disegnando tutti i fine settimana con la mia matita preferita, una 2B. Conclusi gli studi, mi sono iscritto in Belle Arti, seguendo un corso di decorazione, e a partire dal 2006, ho trovato la mia strada, dedicandomi alla Digital Art.
Maurizio Bono, siciliano di Sciacca è un artista molto “giovane”. Ingegnere di formazione, infatti si è avvicinato al mondo dell’arte solamente da pochi anni studiando all’accademia di belle arti, ma è in realtà dalla nascita che cova in sé questa passione.
I suoi lavori sono il risultato di un mix di tecniche differenti. Vorrebbe illustrarci come nascono ed i vari processi di realizzazione? I miei elaborati nascono da alcuni schizzi preliminari disegnati con la mia 2B. i passi successivi prevedono la realizzazione di foto digitali di soggetti da me scelti, disegni di oggetti (soprattutto negli ultimi lavori) e scansioni di riviste illustrate. Con l’ausilio di Photoshop, vengono miscelate le foto con le scansioni, producendo gli sfondi sui quali verranno successivamente sovrapposti i disegni. Leggendo la critica relativa alle sue mostre ho trovato spesso le sue opere definite “ermetismi grafici”. Come spiegherebbe quest’affermazione? I miei lavori non sempre offrono significati evidenti, a volte questo risultato è totalmente casuale a volte è voluto. Diciamo che in genere non mi piace offrire solo una spiegazione possibile ma una pluralità di significati. Mi piacciono le strutture ad albero: partendo da un soggetto si sviluppa così un sistema plurimo di significati, come a dire a ciascuno il suo. Oltre ad esprimere la sua creatività con opere d’arte si diletta anche a scrivere pensieri, poesie e racconti. Vuole parlarci di quest’altra sua passione e farci il dono di alcuni suoi versi poetici? Sono un accanito sostenitore del mio “non-sense”, mi piace cogliere il sentimento del contrario ed esprimerlo in modo quasi surreale, proponendo verità alternative all’unica che ci viene proposta. Ho scritto per anni aforismi e racconti brevi, per poi approdare in una fase più matura a una poesia asciutta e senza tanti fronzoli, diretta e al tempo stessa sulle righe, trasponendo il mio ermetismo artistico anche nella scrittura. Nero su bianco Quando ricomincia la tratta dell’uomo nero l’uomo bianco ritratta.
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Ha già in programma eventi artistici per il prossimo anno? Il 2012 mi vedrà a Cannes, ad aprile, per il XIII Salon du Monde de la Culture et des Arts M.C.A. e a Las Vegas (in primavera presumibilmente) per una collettiva in occasione della presentazione dell’ International Contemporary Masters Book V, di cui faccio parte. Sono in corso di definizione partecipazioni a collettive sia in Francia che in Austria e la mia seconda personale. Chiediamo a Marina Zatta: dovendo fare una stima delle opere di Bono, quale valore artistico attribuiresti loro? Come tutti gli artisti che lavorano con la computer grafica, Maurizio Bono ha valutazioni diverse collegate alla dimensione delle opere e alla quantità di stampe realizzate; per questo i suoi lavori hanno una forbice ampia che oscilla tra gli 800 e i 2.000 euro. titolo dell’opera: “LOOP”
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Intervista di Mara Valente
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ALINA DITOT
Soqquadro
INTERVISTA
Alina Ditot, rumena di nascita trapiantata a Bergamo, classe 1980, laureata in Filosofia solo da pochi anni si è avvicinata all’arte.
Alina da dove nasce il tuo interesse nei confronti dell’arte? Cosa ti ha fatto avvicinare a questo mondo ? Il mio interesse nei confronti dell’arte nasce dalla curiosità di scoprire qualcosa in più su di noi e sulla nostra natura.. Chi siamo? Di che cosa siamo fatti? L’essere umano è un essere magico, misterioso..Sappiamo ancora così poco su di noi..e ci sorprende ancora tanto la nostra natura duale e volubile! Sono domande e risposte che cerco di approfondire attraverso la mia ricerca artistica. Debbo però confessare che la mia formazione filosofica mi aiuta a comporre i pezzi del puzzle che riguarda il tema complesso della natura umana. “Dipingo quando mi sento più vicina al mistero..” questa tua affermazione mi ha colpito molto; ho notato infatti che tu ma anche i critici che si sono interessati al tuo lavoro hanno fatto spesso riferimento al mistero. Vuoi spiegarci meglio la tua affermazione? Posso dire che il Mistero è uno dei miei maestri. Sento un’energia immensa, una forza creatrice misteriosa che mi coinvolge anima e corpo. Le mie opere sono delle riflessioni sul mistero che ci avvolge, e quella sensazione che mi spinge ad andare oltre il mondo materiale, e trovare le risposte che cerco. Siamo tutti attratti dal mistero..perché ci sorprende, ci emoziona, ci incuriosisce.. L’uso di inserire oggetti extrapittorici, i colori stratificati combinati sapientemente sulle tele e i tagli che spesso fanno parte della superficie pittorica rendono i tuoi lavori molto particolari. Quanto la tua formazione filosofica influenza la tua pittura? Molto. E aggiungerei che la Filosofia è l’altro mio maestro. Credo che non si debba aver paura dei giudizi o di confrontarsi con gli altri. Bisogna esprimere ciò che abbiamo dentro di noi senza timori. Credo anche che l’essenza dell’arte e dell’essere artista sia l’originalità. Proporre qualcosa di nuovo nel messaggio che si vuole trasmettere o nel concetto che si vuole esprimere ti contraddistingue dagli altri. Tuttavia è fondamentale rimanere se stessi. L’Arte non è altro che Anima pura. Chiediamo a Marina Zatta: come hai conosciuto Alina Ditot e che valore artistico attribuisci alle sue opere? Conosco il lavoro di Alina da poco, ho notato i suoi lavori in internet e l’ho contattata perché li ho trovati interessanti. Ha appena partecipato ad una grande mostra realizzata da Soqquadro presso il Palazzo Orsini di Bomarzo ed è così che ho potuto vedere le sue opere dal vivo, trovando in esse una grande forza espressiva data dalla capacità di Alina di narrarsi in piena libertà. Considerando il percorso artistico fatto dalla Ditot, le sue opere hanno un valore variabile tra i 600 e i 1.400 euro.
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titolo dell’opera: “PRESENZE”
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Intervista di Mara Valente
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MANUELA SCANNAVINI
Soqquadro
INTERVISTA Manuela Scannavini artista romana, approfondisce la sua passione per l’arte dopo gli studi professionali per il commercio e la laurea in sociologia. E’ durante gli studi universitari che si dedica alla scrittura, al disegno e alla pittura, sino ad arrivare ad una ricerca plastica attenta alla sperimentazione e all’uso di nuovi materiali. Scrittura, pittura, disegno… dove trovi l’ispirazione che ti conduce ad un’espressione così poliedrica? La scrittura mi ha sempre accompagnato fin da bambina; esprimevo le mie emozioni sulla mia agenda che puntualmente trasformavo all’interno con piccoli disegni e collage. Non ho mai abbandonato le tre forme espressive ed ancora oggi prima di creare un quadro, scrivo, tutto ciò mi libera la mente, mi da pace e dal quel pensiero nasce un disegno che il più delle volte non ha senso e solo dopo alcuni giorni lo riprendo dandogli forma e connotazione. C’è poi un ulteriore passaggio, la mia tela, che generalmente è una lastra di plexiglas, diventa un foglio bianco su cui trasferisco il tutto ed inizia la fase della scoperta di nuovi materiali e nuove tecniche di pittura e assemblaggio. Oltre a tecniche artistiche storicamente affermate, sei molto vicina anche all’arte del riuso e al design eco-compatibile. Vuoi parlarci di queste altre sperimentazioni? Mi ha sempre affascinato il riciclo, forse perché da bambina ho frequentato lo studio di mio nonno, non era un artista, ma era lo studio della sua casa in campagna; ero affascinata dai compensati, dai mattoni, dal cemento, dal gesso e dalle carte, aveva poi degli elementi di mobili ed elettrodomestici che teneva da parte, a distanza di tempo quel pezzo di ferro, vetro o legno lo ritrovavo riassemblato in casa o in giardino. Per il momento ho realizzato solo un paio di stampe su strutture di cartone, (dei tavoli) ma in futuro vorrei realizzare delle opere di design con elementi di riciclo. Quali sono i tuoi prossimi progetti espositivi? Il mio prossimo progetto espositivo è la collettiva dal 30 Maggio al 13 Giugno presso la galleria Elle di Andrea Lucchetta a Preganziol. Sarà l’ultima prima della pausa estiva, nei prossimi mesi ho intenzione di fare una lunga pausa per raccogliere tutte le mie idee anche perché i progetti sono tanti, uno tra questi è la realizzazione di una box lamps. Marina conosci il lavoro di Manuela Scannavini dal 2007 circa. Come si è evoluto e che valore artistico credi che abbia raggiunto? Quando ho esposto i primi lavori di Manuela lei era ancora legata ad una ricerca che ruotava intorno al disegno e ai materiali classici dell’arte. Oggi si è lanciata verso fasi più sperimentali in cui esprime con maggiore forza la sua visione del mondo e dell’arte. Proprio perché Manuela sperimenta materiali e tecniche atipiche, il valore delle sue opere è molto variabile e va dai 200 euro dei lavori 20x20 fino agli 800 delle opere più grandi.
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ARTISTI EMERGENTI
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a cura di
RECENSIONI
Claudio Bagagli è nato a Perugia il 7 gennaio 1968 dove e’ sempre vissuto. Pur avendo passioni per il disegno e la pittura ho indirizzato i mie studi sull’agricoltura prendendo il diploma di agrotecnico senza però avere mai un lavoro in questo settore. Il mio impiego invece è andato nella sanità e dopo ulteriori studi ora lavoro nella centrale del 118 di perugia da 12 anni. Da ragazzo ( a 18-20 anni) ho provato il piacere della pittura dipingendo sulle pareti dei muri riproducendo alcune immagini prese da spot pubblicitari e dallo sport dell’epoca. Ho cominciato a dipingere sulle tele recentemente verso la fine del 2009 senza insegnamenti scolastici,corsi i o informazioni basilari sulla pittura che nel mio caso è di tipo acrilico (per ora). I 2010 ed il 2011 sono stati anni molto intensi in quanto il piacere per la pittura e’ sempre cresciuto e sono riuscito a creare 25 dipinti. Fin’ora non ho fatto mostre o vendite o promozioni dei miei dipinti perchè a me piace la sensazione che si prova nel creare qualcosa di difficile (almeno per me) e poi vedere un lavoro finito che e’ proprio quello che avevo pensato e programmato è il massimo. Comunque i soggetti dei miei dipinti sono a volte oggetti di culto od immagini che comunque rappresentano il presente. Mi sono posto l’obiettivo di creare almeno 100 dipinti ed in questo periodo ne volglio fare molti sul centro storico della mia città osservata però dal mio punto di vista. Spero che piacciano, tutto qui
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CLAUDIO BAGAGLI IL PIACERE DELLA PITTURA
ARTISTI EMERGENTI
Anno I N.1/2011
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INTERVISTA
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UN DORMITORIO DI NOME VICENZA
Ho chiamato Gianni, venerdì scorso, perché volevo invitarlo a cena: una delle cose che facevamo spesso un tempo, con le rispettive signore. Mi ha risposto una voce dall’indubitabile accento slavo: “Il signor Gianni non c’è. E’ andato a Torino per il week end”. Grazie. Ho riattaccato. Allora ho provato con Paolo. So che si era risposato con una bella ragazza portoghese dopo che il suo matrimonio era andato all’aria da alcuni anni. Avrei conosciuto la nuova signora e avremmo passato una piacevolissima serata. Niente da fare: al cellulare rispondeva la segreteria e a casa la litania triste dei bip. Non mi sono dato per vinto e ho chiamato Giorgio: lo vedo spesso, è un gran mangiatore, andare al ristorante con lui è un divertimento. E poi è ingegnere e ha sempre qualche informazione fresca da darmi sulle nequizie del sistema edilizio. Giorgio mi fa: “Porca miseria, Pino. Ho accettato un invito da un collega di Modena per questo sabato. Andiamo all’opera a Parma e poi a mangiare il prosciutto, di cui, come sai, vado pazzo.” Sarà per un’altra volta, Giorgio. Infine chiamo Federico. Non lo vedo da tanto tempo, che fine avrà fatto? Mi risponde la mamma, gentilissima, premurosa: “Caro Pino, mi dispiace tanto. Fede è a Parigi. Ogni tanto ci va: è la sua passione.” Ho cambiato programma, l’appetito se ne è andato. Juve-Napoli su Sky era la domenica sera, Parma-Lazio non mi attirava punto, e allora che fare? Dico a Paola: “Andiamo a Venezia, ho sentito che alle Gallerie dell’Accademia presentano i quadri di Lorenzo Lotto dell’Ermitage. Vale un viaggetto.” Anch’io dunque diventavo un vicentino che viaggia. Come Gianni, Paolo, Giorgio, Federico. Non c’era da lamentarsi. Lorenzo Lotto dall’Ermitage valeva il breve viaggio. E poi a Venezia ci sono nato e ho studiato tanti anni. Dopo Lotto, un bel bagno di sole fuori stagione alle Zattere. Meglio di così! Venezia è casa mia, ma abito a Vicenza. Come Gianni, Paolo, Giorgio, Federico. E lascio spesso Vicenza per altre mete. Il mio, naturalmente, non è un campione statistico. E’ un’impressione. Ma dobbiamo credere alle impressioni? Ci sono quelle giuste e quelle sbagliate, anche questo è un gioco. Francesco De Sanctis diceva: “State alle vostre impressioni, e soprattutto alle prime, che sono le migliori.” E siccome a me il De Sanctis è sempre piaciuto, lo ascolto. La mia prima impressione è che un fine settimana in cui quattro amici, di diversa estrazione, gusti, abitudini, cultura – lontana da Pasque, Natali, ponti comandati, solleone estivo, eccetera – vanno tutti fuori città
CENTRO STORICO
a cura di Pino Dato
programmaticamente, è qualcosa di più e di meglio che un campione statistico: è una realtà con la quale fare i conti. Non è che nell’ultimo weekend tutta Vicenza sia andata a spasso lontana da sé. E’ però un fatto che i vicentini ormai da Vicenza se ne vanno spesso perché a Vicenza non sanno che fare. Una volta si diceva che i dormitori erano nelle periferie. Adesso è il contrario: le periferie sono abitate da quasi poveri o da poveri senza quasi che alla domenica si trovano in qualche posto che solo loro conoscono o a camminare negli ipermercati (la città è una giungla di luoghi improbabili, a volte chiusi a volte aperti, provate a girare nella spalla ovest, verso Creazzo, intorno a viale Milano, o verso Motta) mentre il centro storico (il luogo deputato all’incontro) è un deserto. La borghesia vicentina che fa? Viaggia. Mi direbbe Giorgio, l’ingegnere, uno dei quattro assenteisti: “Ebbene, Pino, che ci vuoi fare? Di che ti lamenti? Se viaggiano vuol dire che stanno bene, no? Vuol dire che hanno reddito.” Fine del discorso. Ma non è che l’inizio. Se una città è identificabile con periferie disordinate e senz’anima, con un centro deserto o quasi, con una borghesia assenteista per metodo e quasi per obbligo, dove va a finire l’entità di nome città? Il centro di Vicenza poi ha una caratteristica, storicamente acquisita dagli anni ’70-’80, di luogo deputato ad essere contenitore di banche, fondazioni, associazioni e spazi inutilizzabili o comunque non abitati. Un centro con pochi abitanti dovrebbe possedere una sua intima calamita (fatta di cinema, teatri, ristoranti, bar, ritrovi) che li attira dalle zone intermedie o periferiche. E il centro di Vicenza questa calamita non ce l’ha più da molto tempo. Perché non ce l’ha? Perché i vicentini sono cattivi? No, sono troppo buoni. Anzi, troppo indifferenti. Hanno lasciato per vent’anni (anni ’50 e ’60) il potere alla chiesa cattolica supportata da tre o quattro imprenditori tosti e si sono fidati. Per altri venti (’70 e ’80) hanno lasciato il potere alla Dc e al suo orribile codicillo doroteo (Pandolfo, Dal Maso, et similia). Quest’ultimo potere, con i costruttori avidi, ha desertificato il centro. Poi è arrivata l’era berlusconianleghista che sarà ricordata come l’era del vuoto (spirituale) a perdere. Oggi, chiunque ci sia a palazzo Trissino ha le mani legate da una realtà strutturale esterna (urbanistica, costume, stile di vita) semplicemente immodificabile. E ora modificata solo per aggiungervi il Dal Molin. Un disastro cosmico. E’ arrivato, questo sì, il teatro nuovo. Che vive (si fa per dire) nello spirito dell’assenteismo. Rappresentazioni teleguidate da un’organizzazione commerciale esterna che con la cultura non ha neanche un fratellastro in comune. Date di programmazione improbabili (un mese nulla e poi due programmi nel giro di cinque giorni). E poi l’aspetto fisico. Che si confà allo spirito assenteista della città. Che c’è e non c’è (ecco, è shakespeariana questa città). Adesso capisco. Gianni, Paolo, Giorgio e Federico hanno ragione. Anzi, hanno le antenne. Il baccalà l’hanno già mangiato tutto, alla Moreieta non ci vanno più da tanto tempo, il Bar Italia non è più quello, e nessuno di questi ha avuto eredi. Se ne vanno altrove. E tornano in città verso sera tardi. Per dormire.
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RECENSIONI
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MOVIMENTO DEL FRAGILISMO SEGNI
MOVIMENTI
A cura di Sotoros Papadopoulos
Il Caffè Garibaldi ha ospitato sabato 12 maggio il “debutto in società” del Fragilismo, movimento artistico nato a Vicenza nel 2011 su iniziativa, fra gli altri, di Livio Pacella, con un incontro nel quale è stata presentata al pubblico la partnership intellettuale del movimento con il rinnovato locale del centro storico di Vicenza. La collaborazione vuole avviare un ambizioso e ricco progetto di contaminazione tra arte, design, musica e gusto, presentando volta per volta artisti e progetti nuovi. La prima iniziativa riguarda la mostra, inaugurata sabato, dal titolo “Segni”, una riflessione sul linguaggio inteso come espressione verbale-non verbale, sintesi di segni, gesti e simboli. “Vorremmo rendere lo storico caffè un luogo attivo, un punto di riferimento riconoscibile – ha dichiarato la proprietaria del Caffè Garibaldi Manuela Pietrobelli – e farne un contenitore ricco di proposte, dinamico e aperto a chiunque abbia voglia di un confronto positivo e propositivo. Un luogo – sottolinea – dove creativi, scrittori, studenti, professori, critici e giornalisti, o semplici curiosi, spero possano trovare un posto accogliente e stimolante”. A breve prenderà inoltre avvio l’iniziativa “tête-àtête di Giovedi”, serie di incontri aperti al pubblico interessato al confronto con gli artisti del movimento e con creativi invitati a presentare la propri
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RECENSIONI
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AGRON HOTI LE RISONANZE INFINITE
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BIOGRAFIE
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BIOGRAFIE
www.giampieroabate.it info@giampieroabate.it
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ADELE CERAUDO IL DISEGNO CREATIVO
Il disegno è il cuore pulsante dell’arte di Adele Ceraudo, la cui espressività e non si può comprendere in pieno senza seguire il processo creativo, che dalla materializzazione dell’Idea attraverso il disegno conduce all’opera finita. La tecnica messa a punto dall’artista consiste infatti nel partire da scatti fotografici ed elaborare dei disegni a penna, costituiti da una fitta trama di segni che li rendono simili a incisioni, e poi tradurli in stampe su tela e rifinire le serigrafie tramite pennellate pittoriche o dorature e argentature. Le figure di donna, da sempre al centro della sua indagine, vengono stampate su supporti diversi, ora su plexiglass e ora su tela, e poi riassemblate in un’unica opera con effetti di sdoppiamento dell’immagine. Il disegno è l’elemento distintivo della tradizione tosco-romana, e Adele, calabrese di nascita ma romana d’adozione, mostra di aver ben assimilato la lezione michelangiolesca nella torsione dei corpi muscolosi. Michelangelo è senz’altro il modello più sentito per il disegno così come Omar Galliani lo è per la pittura. Adele ha modo di conoscere e confrontarsi con il maestro del disegno sia durante la formazione in architettura e restauro a Firenze, che nella città eterna, dove i disegni della Sistina esercitano un fascino sul suo immaginario nella genesi di progetti, appena in nuce. Mentre Michelangelo, all’interno della visione neoplatonica, intende liberare l’immagine dalla materia e sottolineare lo sforzo dell’artista imperfetto nel rendere l’Idea perfetta e quindi irraggiungibile, Adele al contrario aggiunge materia all’immagine, sovrapponendo al disegno inserti di colore o effetti metallici oro e argento, e usa l’Idea disegnata originaria come matrice da esplodere sulla tela. In tal modo ella agisce per addizione e non per sottrazione della materia in funzione di un risultato finale, l’opera conclusa, che tende ad emancipare l’immagine figurativa in direzione astratta. Nel suo modo di procedere, aggiungendo e poi togliendo i colori, l’artista sembra voler rivestire i nudi, senza aver più paura di dosare le pennellate. Talvolta infatti le pennellate di colore o le stesure metalliche coprono volutamente i volti o alcuni particolari anatomici, come se l’identità del soggetto non fosse più rilevante ai fini della rappresentazione o l’oggetto stesso rappresentato volesse celarsi in pose di raccoglimento dietro schermi a virtuali e protettivi dagli stimoli esterni. Osserviamo infatti all’interno dei quadri dispiegarsi una battaglia di forze, rese dalle linee dipinte con andamento irregolare in direzioni opposte, e lo scatenarsi di tensioni emotive attraverso l’alternanza di toni chiari agli scuri o di zone di colore a quelle in luce o in ombra, che rivelano le variazioni psichiche dell’artista.
BIOGRAFIE
adele72c@libero.it
Adele Ceraudo, artista cosentina di nascita, romana di adozione. Si diploma al liceo artistico e prosegue la sua formazione presso la facoltà di architettura a Firenze, dove approfondisce lo studio delle linee e dell’armonia che caratterizzano nel tempo la sua produzione. Esprime la sua personalità variegata, lavorando contemporaneamente come grafica, illustratrice e attrice. Esordisce con la personale “Nudi a penna” a Cosenza (2007) ma è a Roma dove si trasferisce e vive, in cui conosce e si confronta con artisti, storici dell’arte, fondazioni e gallerie, internazionali e locali. Ha la sua prima personale romana alla Galleria dell’Orologio (2009), mostra replicata nello stesso anno a Barcellona, partecipa a premi di arte contemporanea, e a collettive accanto a noti artisti in occasione di aste di solidarietà, “Learn to be Free” promossa da Irene Pivetti (2009) e “Fabula in Arte” in asta con Christie’s (2009 e 2010) nei musei Greco e Mastroianni di San Salvatore in Lauro; espone nel foyer del teatro Quirino (2010)e, al museo Centrale Montemartini a Roma, come finalista del premio Talent Prize. L’artista ha partecipato alla 54° edizione della Biennale di Venezia, padiglione Calabria (2011) e, a Venezia, per la mostra “l’ombra del divino nell’arte contemporanea” a cura di Vittorio Sgarbi; è presente, in esposizione permanente, A Palazzo de Brutii di Cosenza con un’opera dedicata alla figura Di S.Francesco di Paola; viene invitata alla fiera internazionale d’arte contemporanea di Istambul “Immagine Italia, l’arte ambasciatore della cultura italiana nel mondo”; alla mostra collettiva “Pensieri in arte” nella prestigiosa Galleria Pio Monti, Roma. Alla galleria Opera Unica, per la prima volta l’’artista si confronta con la creazione di una installazione “GUARDAMI” disegni a biro,mash forato di grande dimensione ed un tapp eto stampato con immagini e parole, “riempendo” uno spazio di 3x2x6metri. Una mostra personale, nel Castello Chiaramontano, a Racalmuto “Eros…linguaggi plurimi del corpo” a cura di Francesco Gallo Mazzeo. Presente alla II edizione della fiera d’Arte Contemporanea di Arezzo. Diverse anche le partecipazioni ad eventi solidali e, donazioni di opere per aste di beneficenza a favore di cause sociali e culturali, intese come percorsi fondamentali, nella filosofia di vita dell’artista. Sono in programmazione, una mostra personale dedicata ai grandi maestri del Rinascimento ed alle immagini icone della nostra storia dell’arte, in collaborazione con grandi fotografi italiani ed europei, in chiave contemporanea ma soprattutto, al femminile; inoltre un libro di foto e disegni, con Teresa Emanuele (fotografa) in cui verranno ritratte ed intervistate le più importanti figure femminili italiane, in ogni campo, a fini benefici.
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BIOGRAFIE
previtali.arte@alice.it
Maurizio Previtali all’opera durante il corso di manipolazione e modellato tenuto dal maestro a Castelli Galepio (Bg)
Svestizione Pietra arenaria di Samico esposta nel Parco della Biblioteca di Palazzolo sull’Oglio (Bs)
PRINCIPALI ESPOSIZIONI Simposio Scultura -Leonidio (Grecia) Simposi e mostre di scultura Paratico (Bs) Centro Arte Galater - Adro (Bs) Personale Sala Manzù - Bergamo Atelier degli artisti - Brescia Salone di rappresentanza - Martano (Le) Cern - Ginevra Arteincastello - Castelli Calepio (Bs) Centro Promozionale Artigianato Bergamo Sala Polifunzionale - Grumello D.M (Bg) Galleria “Il Sole” - Castelli Calepio (Bg) Bergamo Arte Fiera - Fiera di arte moderna e contemporanea Sala Ombrello - Pro Loco Comune di Gromo (Bg) Galleria D’Arte “il Borgo d’Oro” - (Bg) Museo Civico G. Bellini - Samico (Bg)
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MAURIZIO PREVITALI LA RAGIONE DELLE EMOZIONI Maurizio Previtali, (Palazzolo S/Oglio - Bs 1962) ha sviluppato le prime esperienze teorico-pittoriche presso lo studio del Maestro d’Arte Paolo Manenti. Ha frequentato la scuola artistica di Palazzolo preparatoria al disegno e all’incisione; ha appreso le tecniche della scultura presso lo studio dello scultore Luigi Ghidotti. Opera presso il proprio studio-laboratorio a Grumello del Monte (Bg) in via Cardinal Ferrari, 63. La sua poetica, secondo Lanfranco Ravelli, noto critico d’arte, è dominata dal controllo delle emozioni; se a prima vista le sue creazioni paiono portare a un distacco, è perché sono bellezze della ragione e non degli occhi, e sono perciò sentite dalla vista soltanto dopo essere passate attraverso l’intelligenza. In un’epoca come la nostra in cui artigianato e valori manuali sono entrati in crisi, in molti casi estinguendosi, in altri parendo avviati a morte sicura sotto i colpi inesorabili della tecnologia, giunge difficile immaginarci come poteva essere organizzato, un tempo, lo studio di un artista. Certo, era popolato di svariati soggetti, ognuno con una propria funzione, molto più specifica di quanto oggi sia dato ipotizzare. Anzitutto, era quasi sempre lontano dall’abitazione dell’artista, pittore o scultore che fosse: le opere di grandi dimensioni cui essi, sovente, erano chiamati a realizzare esigevano spazi necessariamente ampi e in grado di offrire un supporto logistico adeguato alla realizzazione. La bottega era, a un tempo, rifugio e habitat creativo; tale è rimasta per alcuni artisti contemporanei che qui progettano, sperimentano, adottano nuove tecniche attraverso un approccio all’opera d’arte che molto ricorda l’antico. La premessa è parsa utile per addentrarsi nel mondo poetico di Maurizio Previtali, il cui studio ha il carattere di un vero e proprio opificio, costellato di impianti particolari e specializzati. La suggestione che ne emana pare uscita dalle pagine del Winckelmann: “l’unico modo per diventare grandi è imitare gli antichi”. Tale concetto non ha da spartire con la copia, bensì intende ispirarsi all’ideale classico di imitazione tendente ad ispirarsi ai valori non solo artistici, ma anche politici e di vita che hanno reso grande la civiltà classica. Dunque non si tratta di ripetere l’antico, ma di generare il nuovo alla luce di quello in una limpida coscienza del presente, ma in una altrettanto chiara consapevolezza del suo profondo, fisiologico radicamento nel passato. In tale alveo scorre la linfa vitale che irradia di sé le grandi opere del nostro momento Storico. Ad essa attinge anche Maurizio Previtali traendone stimoli, suggestioni, interrogativi. Il nostro artista è convinto che per una vita nuova sia necessaria anche un’arte nuova e per far questo è utile
formare il proprio gusto sullo studio dell’arte del passato. Ne sono esempi il meraviglioso “Fregio all’antica” e “In attesa”, opere a tutto tondo, in marmo di Carrara, in cui ripropone l’antico, generando il nuovo, in una limpida coscienza del presente oppure , “Figura Maschile Accasciata” e “Cavaliere a Cavallo”, terrecotte trattate con particolari patine e ossidanti che portano a risultati estetici di notevole e indubbio fascino e col sapore arcano del tempo che si deposita sulle cose e ne plasma i volumi, i tratti e l’anima nascosta. Celeste dote è negli artisti: far rivivere, sognare, svelare il senso profondo dell’essere, accendere per un istante una scintilla divina.Come accadeva nelle officine di un tempo, Maurizio Previtali sperimenta tecniche con una passione che ricorda quella dell’alchimista ideando, tra l’altro, una formula particolare con ossidanti applicabile a sculture in terracotta, gesso e legno. Maurizio Previtali, ha già avuto modo di imporsi e di ottenere pubblici riconoscimenti. Numerose sono le sue mostre personali e collettive sia in Italia che all’estero. Nel 1986 si classificò primo al concorso nazionale indetto dall’Arma dei Carabinieri e nel 1995 ottenne il medesimo riconoscimento alla Mostra Concorso di Albano S. Alessandro. Nel 1999 e nel 2001 risultò primo classificato, sezione scultura, Premio Greppi di Bergamo. Per il curatore e critico Emiliano Bona, nel corso di vent’anni di attività artistica, Maurizio Previtali ha individuato ed elaborato diversi linguaggi artistici e differenti forme stilistiche, tra il figurativo e l’astratto. Costante ricerca di tutta la sua opera è la rappresentazione della dinamica trasformazione della forma: in un processo organico di metamorfosi, la figura umana diventa zoomorfa o fitomorfa, e viceversa. Come in un silente risveglio da un letargo della fisicità, le forme aprono e tendono i propri arti a un universo in continua mutazione, dove un cavallo si flette nel corpo del suo domatore, dove le dita di una mano si innervano come radici di un albero, dove un nudo femminile emerge imponente dalla propria crisalide. Non esistono definizioni esistenziali e formali precise per lo scultore: ciò che conta è la metamorfosi di una materia che proietta la propria dimensione vitale in tutta la realtà e la natura. Le sculture di Previtali inspirano ed espirano la loro liricità come nuove creature sul punto di nascere, solenni e discrete, instaurando con l’osservatore un rapporto di speciale intimità. La primitività di certe forme animalesche o l’essenzialità di certi tratti fisici traggono dalla realtà la propria linfa vitale, per giungere con un gesto a volte accennato, a volte quasi erotico, nello spazio della memoria e del
meta-tempo dell’uomo.
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BIOGRAFIE
giorgiobolla@libero.it Via Comino,52 35126 Padova 3683971050
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GIORGIO BOLLA POESIA, FORSE METAFORA Ho cominciato a scrivere poesie – per meglio dire mi sono accorto che uscivano – fin dalla fanciullezza di Piove. Dopo molti anni (tante non le trovo più) mi hanno convinto a pubblicarle, prima in riviste ed antologie di premi di poesia e poi, finalmente, in libri tutti miei.Nel 2008 è uscito “Solo Immagini” – Ed. ISMECA Bologna.Con lo stesso editore l’anno successivo è stato pubblicato “Il motore del tempo”; sempre nel 2009 mie poesie sono apparse nell’Antologia della quarantesima edizione del premio letterario internazionale “Giulia Gonzaga”(Ed. Lo Spazio) e nell’anno in corso nell’Antologia “Demokratika” edita da Liminamentis e ancora nell’Antologia “Confini”, edita da ISMECA. Partecipo alla Scuola di Scrittura di Sarzano (RE) e faccio parte dell’Associazione “Poetas del mundo”.Mie poesie in lingua Spagnola sono poi apparse nell’Antologia del Premio Internazionale ‘Simon Bolivar’.
Sono nato ad Adria il 18 di novembre dell’anno 1957, in una città un tempo di mare e battuta anticamente da popolazioni le più varie, compresi greci ed etruschi. A soli due anni passai a vivere a Piove di Sacco, non più quindi nei grandi spazi del Polesine ma in quel territorio veneto che prelude al mondo acqueo della laguna di Venezia. Piove di Sacco ha visto nascere un poeta per me importante, Diego Valeri. Lì passai la mia fanciullezza, sempre serena e dove per la prima volta ho iniziato a parlare con le mie solitudini. All’età di undici anni lasciai questo “guscio” per trasferirmi a Padova, la città dove ancora oggi vivo. Anche adesso che ci sono tornato a vivere (ormai dal 1994) non sono mai riuscito a parlare con questo luogo; insomma,non mi sento mai completamente a mio agio. Dal 1985 al 1994, appunto, ho passato i miei giorni in un altro luogo legato ad un grande poeta, questa volta vivente, Andrea Zanzotto.
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Pieve di Soligo conosce la dolcezza ed il mistero delle colline trevigiane, che preparano la mente alle ascese, non lontane, delle nostre montagne. Credo di poter dire che qui ho vissuto i miei anni più sereni di uomo adulto. Mi sono sposato due volte:la mia prima moglie mi ha donato Alberto, la seconda Eleonora.Tralasciando le frasi fatte, loro due sono il vero significato della mia esistenza, qui. Posso dire di svolgere due mestieri; il primo è sicuramente quello di chirurgo pediatra: altra grande fortuna quella di stare assieme ai bambini. Poi, corro in macchina e allora dico che “mi voglio bene”!
I miei versi e recensioni su di me sono comparsi, fra le altre, nelle Riviste “Poesia”,”Inverso”, “L’Ortica”, “Lo Spazio”, “Poems of the World”, “Il Leviatano”, “Poeti e Poesia”, “L’osservatore”, “Il Giornale della Previdenza dei Medici e degli Odontoiatri”.Nel 2010 ho vinto il Premio Selezione Poesia con il poemetto “Mnesis”, sempre pubblicato da ISMECA. E un nuovo poemetto – “Assoli di oboi” – è stato pubblicato alla fine del 2010 dall’editore “Liminamentis” .Nell’Aprile 2011 sono stato premiato nella Sezione Poesia del Premio “San Marco - Citta’ di Venezia” e nel Novembre dello stesso anno nel Premio “La Rocca – Citta’ di San Miniato”. Sempre in quest’anno magico è stata pubblicata dalle Edizioni “Lo Spazio” la raccolta con testo spagnolo a fronte “Ruote Alate” . “Liminamentis” ha poi pubblicato, ancora nel 2011, l’Antologia “Frammenti Ossei” con versi miei . Il giorno 2 di Luglio 2011 mi è stato conferito in Larissa (Grecia) il Gran Premio di Poesia Mediterranea (prima edizione), mentre l’11 di Settembre a Lerici – luogo sacro ai poeti – ho avuto la fortuna di ricevere il Premio “Citta’ di Lerici”. Il 12 Novembre di quest’anno incredibile che è stato il 2011 ho vinto poi il Premio “AmbiArt” in Milano per la Sezione Poesia in vernacolo . L’anno dopo, il 2012, hanno pensato bene di assegnarmi il primo premio a Parigi e Venezia (“Ville De Paris-Victor Hugo” e “Citta’ di Venezia-San Marco”). Mi hanno premiato poi a Sanremo, nel Premio Letterario “Artisti con il cuore”, per un mio saggio interpretativo sulla “Tempesta” di Giorgione. E nel 2012 esce con “La Versiliana” Editrice il poemetto “Skhandha”, accompagnato dal mio primo e-book : “Epistolario” (www.mnamon.it). Non sono abituato a giudicare la mia poesia, ma però per me conta, parecchio. Devo raccontare ancora di avere interessi di filosofia e di teologia, ma anche di storia e di storia dell’arte.Forse anche in conseguenza di questi interessi e letture continuo a chiedermi il significato (parola troppo bella) delle stupide lotte che l’animale uomo continua a creare, nel quotidiano e nelle grandi comunità allo stesso modo. Il 14 Gennaio 2012 il Sito www.nuovorinascimento.org ha pubblicato una mia interpretazione iconologica della “Tempesta” di Giorgione. Infine, penso di essere un uomo libero.
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POETI AFFERMATI
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POESIA, FORSE METAFORA . La poesia è il colore degli occhi, quel colore. Ce l’hai o non ce l’hai .Il sentimento poetico nasce in chi ce l’ha. Io credo che non tutti lo abbiamo. E’ connaturato solo ad alcuni di noi. In questo so di non essere “democratico”, pero’ mi posso definire sincero ! In anni di decadenza editoriale, dove politiche prive di qualità ed attente all’aspetto non tanto economico quanto finanziario (soldi, in altri termini) permettono a personaggi privi di quel particolare colore degli occhi di diventare famosi e invece, al contrario, riducono poeti immensi a restare anonimi anche dopo la loro morte, scrivere della propria poesia e di quella degli altri – i veri poeti – è solo un atto spontaneo . Inizio ora questa mia collaborazione con “Eikon” ed io, poeta veneto, ne sono contento, quasi fosse un ragazzo che vede per la prima volta in vetrina una piccola macchina – la sua prima macchina? – con quel colore che a lui piace tanto. Alla fine è sempre una questione di colori e di luce. Io credo che Vicenza sia il nocciolo profondo della veneticità (dell’essere veneti); la luce di Vicenza, quella che ordina e conduce lo spazio di Palladio e di UNA NUOVA INTERPRETAZIONE IN CHIAVE BIBLICA DELLA TEMPESTA DI GIORGIONE Per un artista del ‘500 la lettura allegorica dell’opera d’arte è funzionale al suo ambiente culturale e alla volontà del committente. L’allegoria biblica è quella più frequente; nella Tempesta ,secondo questa nuova interpretazione, Giorgione mette in scena la storia di Davide e Betsabea e dei loro figli, rivelata da Samuele nel suo secondo libro. Il saggio completo di Giorgio Bolla è pubblicato in www.nuovorinascimento.org
Scamozzi, la luce dell’atmosfera e dell’intelligenza, molecolare disposizione della bellezza. La stessa cosa. Quando si parla di poesia è come si parlasse di luce. Metafora, immersione in un labirinto simbolo della ricerca di verità e bellezza, totalmente celibe, afinalistico, privo di funzione. Poesia – luce – immagine. L’immagine visiva, figurativa, è la purezza data, immediata, quella dei sensi. Ma l’immagine poetica e’ necessariamente il frutto di un intervento concettuale, di pensiero: e’ allora piu’ nobile? Chiedetevelo, poeti . In questo percorso che vado a cominciare con la Rivista coinvolgerò poeti e scrittori,veneti e non solo, che sceglierò sulla base della sola presenza di poeticità, condizione ineludibile. I non poeti non li contatterò. Mi vorranno dire del loro rapporto privilegiato con un’opera d’arte figurativa o con un’opera letteraria, per scendere e camminare dentro il labirinto dei sensi e dei significati. Mi piacerebbe che lo scrittore arrivasse a non avere piu’ remore e ad aprire la sua arte fatta di immagini mentali come davanti allo specchio dove sosta a contemplare il colore dei propri occhi . Giorgio Bolla
EVENTI
a cura di Rodolfo Cubeta
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ART FESTIVAL 2012 DI CERRETO LAZIALE
EIKON 20 E’ stata stilata la lista definitiva degli artisti selezionati dal direttore e dalla Direzione scientifica del museo (M.A.M.E.C.) di Cerreto Laziale, per la partecipazione all’evento che si svolgerà nel periodo giugno-ottobre in Cerreto Laziale(RM). La città di Cerreto Laziale è lieta di presentare la prima edizione di “Art Festival Cerreto Laziale” che racchiuderà in sé appuntamenti artistico/culturali con valenti autori a livello nazionale ed internazionale.. Dopo una attenta e scrupolosa selezione del Direttore del museo e della direzione scientifica, dei partecipanti all’evento, è stata definita la sua data di inizio nel giorno 09-giu-2012 e di termine nel giorno 07-ott-2012. La programmazione degli appuntamenti artistico/culturali si defilerà, per i quattro mesi di durata con l’avvicendamento delle esposizioni e attività dei vari artisti presenti. Sono state rese disponibili dalla città le seguenti locations : Museo d’arte moderna e contemporanea “M.A.M.E.C.” Chiesa Santa Maria Assunta Galleria d’arte “GA.a.m.ec.” Teatro Cerreto Laziale Municipio Cerreto Laziale 2.
I contenuti e le tipologie dell’evento vengono delineati nelle seguenti aree artistico/culturali: Mini personali e mostra collettiva finale per chiusura evento Installazioni Scultura Fotografia e digital/art Video/arte e cortometraggi Performance. Teatro con il gruppo “Idiomi e Idioti” Musica con la banda musicale di Cerreto e i Saxophone quartet Arte e Artigianato Il sapore dell’arte (degustazioni di prodotti locali) Convegni. poesia - i dialetti – mitologia e saggezza popolare di Cerreto Laziale Dimostrazioni pratiche di arte (foto, pittura) Infrastrutture e attività ricreative, della ristorazione e del divertimento
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Il sindaco di Cerreto Laziale: Pietro Mastrecchia La direzione scientifica: Dott.ssa Romina Salvati e Dott.ssa Virginia Rosa Il direttore del museo M.A.M.E.C: Rodolfo Cubeta
ARTFESTIVAL PROGRAMMA ESPOSIZIONI (tutte mini/personali) SABATO 09 GIUGNO – GIOVEDI’ 21 GIUGNO h 17,OO INAUGURAZIONE Don Eugene Seastrum - Valentina Majer - Antonella Sassanelli - Claudia Venuto - Claudio Lia - Ignazio Fresu (installazione) spazio antistante e gradini MAMEC ***Danilo Verticelli (installazione pannello 1,50x3,00 mt) *** Claudio Cori SABATO 23 GIUGNO – GIOVEDI’ 28 GIUGNO Silvano Bruscella - Marcello Toma - Giacomo Falcinelli Patrizia Montegrande - Alessandro Di Gregorio Angela Vinci SABATO 30 GIUGNO – GIOVEDI’ 05 LUGLIO Luca Piccini - Rita Iszlai - Rocco Manniello Stefano Momentè - Rosella Lenci SABATO 07 LUGLIO – GIOVEDI’ 19 LUGLIO Alessandra Carloni - Luca Morici - Maria Serra Paolo Facchinetti - Donato Arcella videoart SABATO 21 LUGLIO – GIOVEDI’02 AGOSTO
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Fausto Fabiano - Luigi Latino pitt/video/perf. Cristina Cattaneo - Daniela Rumini - Michele Cacciaguerra SABATO 04 AGOSTO – GIOVEDI’ 09 AGOSTO Iryna Andaralo - Noriko Ohashi - Alessio Gazzola Sara Renzi - Riccardo Mataklas SABATO 11 AGOSTO – GIOVEDI’ 23 AGOSTO Claudio Cori - Nanni Spina - OFFICINA MATERICA Stefano Venturini - Sara Dorigo SABATO 25 AGOSTO – GIOVEDI’ 13 SETTEMBRE Claudio Bandini - Nina Todorovic - Imma Visconte Sara Dorigo - Rudy Zoppi SABATO 15 SETTEMBRE – DOMENICA 23 SETTEMBRE Giulia Spernazza - Valentino Albini - Momò Calascibetta Alf e Nic Vaccari - Marco Verdiglione - Luca Esposito
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DAL 24 SETTEMBRE AL 28 SETTEMBRE pausa per la preparazione della collettiva di chiusura. SABATO 29 SETTEMBRE – DOMENICA 07 OTTOBRE - COLLETTIVA E CHIUSURA EVENTO
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RESTAURI
A cura dell’Associazione SOQQUADRO
RESTAURO
SAN ZENO DI COSTABISSARA Sabato 30 aprile sarà una giornata di festa per la comunità bissarese. Alle 11 verrà inaugurato il restauro dell’antica chiesetta paleocristiana di San Zeno, che esiste da più di mille anni. “Prima dell’avvio dei lavori - spiega l’ingegner Gabriele Zorzetto, autore del progetto assieme all’architetto Angela Blandini - il fabbricato, una delle più antiche cappelle del Vicentino, era in condizioni di totale degrado, dopo aver subìto nel tempo molte modifiche, e avendo da due secoli perduto la propria funzione religiosa. Nell’Ottocento, infatti, da edificio per il culto venne trasformato in casa di abitazione per due famiglie di coloni. A ciò si aggiunse un grave crollo più di mezzo secolo fa, cui seguì una lunga fase di abbandono. Negli anni ’70 e ‘80 il gruppo archeologico Cercatori Bissari ristrutturò a proprie spese gran parte di ciò che rimaneva, recuperando testimonianze storiche importanti e proteggendo le strutture sopravvissute ai secoli con una tettoia provvisoria e riportando l’edificio ad uno stato simile a quello che doveva caratterizzarlo nell’alto medioevo. Tuttavia questa ristrutturazione, seppur meritevole, aveva in parte compromesso la lettura storico stratigrafica di parte dell’edificio”. A causa della millenaria età delle strutture e della lunga esposizione agli agenti atmosferici, si erano verificate abbondanti infiltrazioni di acqua nelle murature in pietra, uno dei problemi principali da risolvere. “Il progetto di recupero si è basato sui principi della conservazione e del minimo intervento. La struttura è stata analizzata nel dettaglio, in tutte le sue componenti architettoniche, per il mantenimento dell’autenticità dell’opera. Il restauro si è limitato ad interventi di pulitura a secco e solo con utensili semplici e manuali”. Oltre al restauro dei materiali, si è affrontata la questione di come l’edificio avrebbe dovuto mantenersi nel tempo e di come garantirgli una copertura. Sono state valutate diverse opzioni, fino ad individuarne una che fosse compatibile sia sotto l’aspetto estetico che sotto quello della conservazione del monumento. “Si è deciso di completare l’edificio con le strutture mancanti, sia in elevazione che in copertura. È stata ripristinata una copertura in legno di larice a capriate di tipo tradizionale, mentre le porzioni di muratura mancanti, soprattutto la volta e l’arco absidale, sono state interamente ricostruite, impiegando quasi esclusivamente materiali di recupero proveniente dalle vecchie demolizioni. Le altre parti, pavimentazione, basamento dell’antico altare, finestrelle della navata e dell’abside, non sono state oggetto di intervento, ad eccezione di un consolidamento e una pulitura superficiale. Per l’illuminazione interna, il progetto ha previsto un sistema di faretti orientabili che non ha interessato le murature storiche: l’alimentazione elettrica è stata assicurata da una canaletta all’interno delle strutture di nuova realizzazione”. Per completare l’intervento, alcuni dei reperti archeologici rinvenuti durante i vari restauri, a partire dagli anni Settanta, sono stati destinati al museo. Per non disperdere gli elementi lapidei di interesse archeologico rinvenuti nel corso degli anni, si è proposto il loro restauro e l’esposizione all’interno del sito, in corrispondenza della parete nord, l’unica quasi completamente rifatta in tempi recenti.
Fratelli Loro
Artigiani
Pulitura - Riparazioni Restauro ARTE SACRA
Nel nostro laboratorio...
RESTAURIAMO
calici - patene - pissidi - turiboli - ostensori - candelieri tabernacoli - suppellettili varie in metallo
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Te z z e S u l B r e n t a - V I ( L o c a l i t à S t r o p p a r i ) p r e s s o “ L A P A G O D A ” - V i a C a m p a g n a r i , 1 3 - Te l . 0 4 2 4 5 6 0 2 4 3
RESTAURO
RESTAURI
ALTARE DEL DUOMO DI NOVENTA La ditta veneziana Lithos ha eseguito un intervento mirato di pulizia dell’antico altare del Duomo di Noventa Un breve ma significativo intervento di restauro ha interessato nel mese di gennaio il Duomo di Noventa Vicentina. I lavori, iniziati il 3 gennaio e durati un mese, sono stati realizzati dalla ditta Lithos di Venezia e hanno riguardato il restauro dell’altare maggiore. Questo recente intervento ha concluso il progetto più ampio che era iniziato lo scorso giugno con la realizzazione della Camera Santa e il montaggio di una nuova vetrata artistica, entrambe inaugurate nel mese di luglio. In questi giorni poi sono iniziati i lavori per la pulitura dell’intero recinto presbiteriale, costituito da più di quaranta metri quadrati di balaustre e gradini in marmo di Carrara bianco venato. Il completamento del restauro dell’intero presbiterio sarà così possibile entro fine febbraio. I lavori saranno sempre eseguiti dalla ditta Lithos con fondi della parrocchia. “Sull’altare in marmo di Carrara venato si è provveduto innanzitutto ad una spolveratura generale per la rimozione dei depositi superficiali mediante pennelli e spazzolini morbidi - spiega l’architetto Barbara Zattra che ha diretto i lavori - . E’ seguita poi una pulitura generale per la prima asportazione di depositi mediante il lavaggio manuale con spugne e spazzolini, mentre macchiature, colature e depositi di cere sono stati rimossi a bisturi. Sono state asportate le stuccature non idonee o cementizie eseguite durante precedenti restauri e quelle che avevano perduto la loro funzione conservativa ed estetica. Sono stati smontati e ricollocati in opera elementi in legno o gesso ricostruiti e montati in modo poco corretto, come ad esempio dita o mani di Santi. L’operazione finale è stata la lucidatura manuale dei marmi con stesura di cera micro-cristallina a più mani a pennello. Infine, le parti in oro sono state pulite con idonei solventi e la reintegrazione cromatica mediante ritocco pittorico”. Lithos opera dal 1985 nel campo del restauro conservativo ed esegue lavori su materiali lapidei, affreschi, dipinti murali, intonaci, marmorini, terracotta, gesso, stucco e legno. Il Duomo di Noventa, dedicato ai Santi Vito, Modesto e Crescenzia, è stato realizzato fra il 1884 e il 1912 in ampliamento alla preesistente costruzione seicentesca non più funzionale alle esigenze della popolazione. La chiesa aveva navata unica, con lo stesso orientamento dell’attuale, presbiterio quadrato e altare maggiore sotto l’arco santo. L’ampliamento prevedeva una serie di volumi esterni giustapposti al fabbricato preesistente, per realizzare nuovi profondi altari laterali e un’ampia area presbiteriale triabsidata, elevata di circa un metro rispetto all’aula, e coperta da una grande cupola. L’altare maggiore, importante opera marmorea di fine ‘600 di Antonio Bonazza, venne mantenuto, ampliato ed elevato rispetto al presbiterio per meglio inserirsi nella nuova area presbiteriale contornata da absidi e da un ordine gigante di colonne corinzie. Il progetto di ampliamento iniziale fu più volte rivisto in corso d’opera: il primo cantiere durò circa 25 anni e si concluse solo nel 1964 con la sopraelevazione della navata e della facciata. Il 20 novembre 1999 il Vescovo di Vicenza Monsignor Pietro Nonis ha elevato la Chiesa Arcipretale di Noventa Vicentina a dignità di Duomo. Nel 2006 i lavori di adeguamento liturgico hanno avuto come obiettivo avvicinare parte delle celebrazioni all’assemblea, riducendo le barriere fisico-spaziali che dividevano l’aula dal presbiterio. E’ stata realizzata una nuova predella all’altezza del terzo gradino, che interrompe la ripida scalinata ottocentesca. Sul presbiterio è stata collocata la nuova mensa eucaristica, a forma di tavolo, posta su di una predella che ne migliora la visibilità. A destra dell’ambone, nell’attuale cappella dello Spirito Santo, è stato individuato il luogo del battesimo. Qui è stato collocato il fonte battesimale, elegante acquasantiera ottagonale in marmo. Il fonte è stato posto su di un nuovo basamento in parte scavato per dar spazio ad una piccola vasca che permette anche il rito del battesimo degli adulti. (Cenni storici tratti da : Excelsior, Noventa Vicentina 1912; P. Valda - L. Ziliotto, Il Duomo di Noventa, Tipografia Alba Noventa, 1999; AA.VV, Lo spazio liturgico, UTVI Tipolito Vicenza, 2002). NB: Le foto dell’altare completo sono state eseguite dallo studio Borin, mentre i particolari sono scatti della ditta restauratrice.
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UNI EN ISO 9001:2000
L’azienda MIAM nasce nel 1977 dalla ditta individuale VECCHIATO, concessionario del marchio FIAM per la zona di Vicenza e provincia, con l’esclusiva dell’installazione ed il servizio di assistenza di ascensori, montacarichi industriali, montavivande e scale mobili. La nostra sede operativa si trova a Vicenza Ovest, comprende una gamma di prodotti ad alto contenuto tecnologico e dal design accurato e personalizzabile. I punti di forza dell'azienda vanno ricercati nell'elevata qualità e competitività dei suoi prodotti, nell'efficienza del suo servizio, nella professionalità delle persone, fornendo il supporto tecnico necessario dalla fase progettuale a quella realizzativa. MIAM SRL è in grado di proporre soluzioni che vanno dal semplice impianto condominiale a quello panoramico, dal montacarichi per l'edilizia industriale al montavivande per mense, dalle incastellature metalliche, agli ascensori di ultima generazione senza locale macchina, dai mini ascensori/piattaforme per l'abbattimento delle barriere architettoniche, ai sistemi di parcheggio multipli ed automatici. MIAM SRL si rivolge prevalentemente al mercato delle aziende e dei privati, si occupa di vendita, installazione e servizio di assistenza 24 ore su 24. L'esperienza trentennale consente la vendita e l'installazione anche particolarmente complesse e con finiture adeguate allo stile dell'edificio.
in
condizioni
Nel corso degli anni MIAM SRL ha diversificato il parco impianti con l’acquisizione in manutenzione di impianti elevatori di varie marche presenti nel mercato, acquisendo un’ottima esperienza e dotandosi di attrezzature e ricambistica necessari.
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FOTOGRAFIA APPUNTI (6)
Con il termine “natura morta” si intende un quadro che rappresenta solo oggetti inanimati. Nel mondo anglosassone, ma ormai è un linguaggio diffuso, lo stesso concetto viene indicato con il termine still life. Il sostantivo life significa vita: dovremo dunque indicare questo genere artistico con il termine “natura viva”sia che si tratti di fotografie che ritraggono i materiali più utilizzati come frutta , verdura, fiori, sia che si ritraggano oggetti di uso comune. Il filosofo Remo Bodei (La vita delle cose, ed. Laterza) si sofferma sul significato di cosa, oggetto, merce spiegando che “investiti di affetti, concetti e simboli che individui, società e storia vi proiettano, gli oggetti diventano cose, distinguendosi dalle merci in quanto semplice valore d’uso e di scambio o di status symbol.” Natura viva dunque: viva perché gli oggetti hanno una vita propria, vivono indipendentemente da noi e a loro volta vivono riflessi nel nostro sguardo. Fotografare le cose significa sì ricercare la bellezza delle forme, l’armonia dei rapporti tra superfici e volumi, l’illuminazione con la giusta quantità di luce, ma significa anche ridare loro una nuova vita ed un altro valore anche diverso da quello per cui sono state costruite. Gli oggetti ci sopravvivono, alcuni si tramandano di generazione in generazione spesso custodi di memorie e tradizioni: “quale era il valore di quel soprammobile, di quel foulard, di quell’acquerello che i miei genitori mi avevano regalato, di quel dizionario che sarebbe stato utile ai miei figli e che non avevano ritenuto opportuno cedere, di quel vaso che avrebbero potuto porgermi sorridendo e che adesso prendevo senza il loro sorriso?”( Flem Lydia).
FOTOGRAFIA
di Renato Freddolini fred.renato@inwind.it
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