EIKON 17

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EIKON ARTMAGAZINE

una copia: 6 numeri 24 euro - 15 copie per 6 numeri 90 euro PIETRO NEGRI EDITORE - Distribuzione nelle gallerie d’arte e nei Musei su abbonamento -

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Anno IV Novembre- Dicembre n.17/2011 e. 5,00

EIKON 17/2011

Artisti_Mostre_Musei_Beni culturali

Bimestrale di cultura dell’immagine e comunicazione

AGOSTINO ARRIVABENE



N. 17 Novembre-Dicembre 2011

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Bimestrale di cultura dell’immagine e comunicazione Direttore responsabile Maria Elena Bonacini

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AGOSTINO ARRIVABENE: L’irresistibile vocazione a Hades Intervista Recensione a cura di Maria Rita Montagnani GLI ARTISTI DI SOQQUADRO GIOVANNI MANGIACAPRA MARIA ELENA GIANNOBILE ANNA MARIA STACCINI Intervista di Mara Valente a cura di Marina Zatta

Redazione Maria Rita Montagnani Anna Maria Ronchin Mara Campaner Mara Valente Laura Leone Lorena Zanusso Renato Freddolini Marina Zatta Barbara Vincenzi Teresa Francesca Giffone

N.17

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ALBA D’ALPAOS Artemisia contemporanea

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Pietro Negri Editore Corso Palladio, 179 36100 Vicenza

ARTEMISIA GENTILESCHI Una passione A cura di Anna Maria Ronchin

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Stampa Grafiche Corrà Arcole (VR)

ADA MASSIGNANI TRUSSARDO Body and Spirit

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ANTONELLA IURILLI DUHAMEL Venus

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MARIA TERESA SABATIELLO Anime di pietra

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CARLO BRENNA Cogito, Ego sum

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GIULIA FERRETTI MAURO GOBBO FEDERICA NALIN A cura di Barbara Vincenzi

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PASQUALE BRAVACCINO La poetica della semplicità A cura di Teresa Francesca Giffone

gallerie, musei, librerie, associazioni 90 euro

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ANDREA LOMAZZI A cura di Renato Freddolini

la quota comprende 15 copie in omaggio ogni numero (90 copie annue) e 1 redazionale omaggio

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CONSERVATORIO PEDROLLO A cura di Anna Maria Ronchin

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PALAZZO MONTANARI A cura di Laura Leone

Contatti e informazioni: info@federcritici.org 0444.327976 L’Editore si dichiara pienamente disponibile a regolare eventuali pendenze relative a illustrazioni e fotografie con gli aventi diritto che non sia stato possibile contattare. Eikon Magazine Prezzo di copertina 5 euro abbonamento 6 numeri artisti 24 euro

Bonifico a Pietro Negri Editore IBAN IT67 F076 0111 8000 0007 0951959 Bollettino postale C/C n. 70951959 Supplemento della testata Museohermetico Reg. Trib. VI. 1115 del 12.09.2005 roc n. 13974 Eikon Magazine è un prodotto

SOMMARIO

EIKON


INTERVISTA

di Maria Rita Montagnani

INTERVISTA

AGOSTINO ARRIVABENE MRM - Agostino cosa significa per te la pittura? A A - E’ il veleno del destino di un artista a cui ha saputo rispondere con un antidoto divinamente distillato MRM - C’è per te una cosa o situazione che rende ogni tuo giorno un organo cavo? A.A. - Si la fine di un giorno e il termine della luce . MRM - Nella tua pittura la mitologia riveste un ruolo importante, forse perché ti riconosci in ogni mito? A.A.- No , non perchè mi riconosco in ogni mito, ma perche il mito è l’eco di una civiltà perfetta che ancora ci parla con racconti e metafore e ci insegna la perfezione MRM - Dove vibra per te il “Duende” di F.G.Lorca? A.A.- E’ ovunque in me e vibra al di fuori di me ed oltre me ....

Ade bacterico

MRM - Squisite malinconie e inquietudini agitano il tuo mondo d’artista come pure le tue improvvise “impennate” mercuriali.Quale stato d’animo prevale mentre dipingi? A.A.- L’animo è sereno se l’immagine sublima celermente e fluidamente senza ostacoli, l’animo è crudele se non sublima alcun vaticinio . MRM - L’infanzia è secondo te un infinito pozzo d’immaginazione oppure è l’immaginazione ad essere un pozzo che racchiude la nostra infanzia? A.A. - La mia infanzia è tenebra e nebbia . MRM - Ti fa più paura la vita o la morte? A.A.- Alla paura della morte mi ci immedesimo ogni giorno e ci dialogo come un attore e lei diviene amica ai miei passi, la paura della vita la affronto come un oplita greco . MRM- Qual è il tuo rapporto con Dio, o almeno col divino? A.A.- Totale, estremo, vero e pieno di conforto . MRM - Nella tua visione del mondo che posto occupa il senso del nulla? A.A.- Nulla ! MRM- Se tu potessi avverare un desiderio, quale esprimeresti ? A.A.- L’isolamento totale. La mia negazione alla civiltà .

Apoteosi di Cerbero

MRM - Si dice che la natura ami nascondersi, sei d’accordo? A.A. - La natura si nasconde e si rivela costantemente e sopratutto ci rivela il mistero della creazione in ogni istante, ma noi l’abbiamo tradita per quattro soldi ... MRM - Cosa pensi del memento mori, che sia un limite o uno stimolo ad andare oltre? A.A.- E’ uno stimolo ad affrontare la soglia con dignità MRM - Ossessione, la parola racchiude un labirinto, puoi dirci qualcosa della tua? A.A.- La mia ossessione sono il cielo, il cosmo, le stelle il tempo le distanze e le grandezze disumane MRM - 3 parole per definire la vita A.A.- Occasione al destino MRM - 3 parole per definire la morte A.A.- La morte è la via per lo stupore MRM.- Se tu potessi racchiudere in una frase sibillina il tuo mondo pitico, che cosa scriveresti di te e la tua arte? A.A.- Risuoneranno i mie passi come suoni di mille trombe ..... MRM.- Ti ringrazio molto Agostino, soprattutto per la tua arte,per quel mistero che celi e disveli e che quando viene da te rivelato, diventa ancora più oscuro.

Du Mal


1. Endimione 2. Autoritratto pantocrator 3. Uomo fiorente 2.

4. Vertebrea 5. Autoritratto 6. Lucifero...pesante ho l’anima di una tenebra perenne

ARTISTI AFFERMATI

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RECENSIONE

a cura di Maria Rita Montagnani

L’IRRESISTIBILE VOCAZIONE A HADES

Sulfureo, scaleno, sghembo, plutonico per vocazione, demonico per destino. Agostino Arrivabene è artista “infettivologo”, che al posto di sanare ammorba, e che anzi risana ammorbando. La sua pittura può apparire come paradigma dell’incubo o come armamentario delle allucinazioni infere, mentre invece è cagione dell’incubo e portatrice insana di una sanità allucinatoria, sintomo inequivocabile dell’attività magmatica del Caos organizzato in un Cosmo ancor più inquieto. I pensieri di Arrivabene sono arroventati nel fuoco freddo dello spirito, ma solo per ricadere subito dopo nel sontuoso appagamento dell’immagine che si cala nella calda umidità dell’anima, nella sua liquida ma non limpida umoralità. Nel mondo di Agostino, regno notturno anche di giorno, il colore diventa materia psichica, con i nodi e i grumi che le sono peculiari e con la densità pregna del vuoto da riempire.

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Il ratto di Proserpina

AGOSTINO ARRIVABENE

Le sue opere sono “agite” da forze straordinariamente potenti che cercano di deformare il più possibile il nostro immaginario dilatandolo a dismisura, fino a renderlo idoneo a fagocitarci e a divorarci negli insondabili recessi delle sue profondità mentali. Non è dato sapere dove finiremo quando saremo di nuovo espulsi nel mondo concreto, perché dopo essere entrati in quelle visioni, esse ci appariranno stranamente più reali della realtà. Il loro impatto soverchiante, raschia sul fondo dell’osservatore il giubilo del vivere la vita senza giubilo e anzi, l’artista si abbandona a quel suo deliquio ctonio, che porta Agostino ad assaporare il requiem del mondo attraverso l’apoteosi dell’im-mondo. Ogni cosa in Arrivabene si svincola da ogni possibilità umana per diventare atto estremo di una divinità, ogni sua storia anela a restare una gloriosa scoria, desiderio mirabolante di un’itifallica decadenza, dove tutto ciò

che muore diviene splendore luciferino e riluce come oro al sole. La bellezza non è niente senza la contaminazione del fascino dell’orrendo, che le conferisce il carattere di ciò che è tragico e fatale e che comporti una luccicante epifania del tremendum in tutte le sue forme e ardimenti espressivi. “Nessuna bellezza fu tale senza una morte adeguata” dice il poeta e Arrivabene ci mostra il viatico e la prassi alchemica perché ciò si realizzi ancor prima che sulle tele, nelle sue stesse cellule e filamenti, nelle volute delle sue mefitiche ossessioni, nell’ errare eterno delle sue manie.”Se tu rinunci al tuo potere d’attrarmi, io perderò la volontà di seguirti” (Shakespeare), così Agostino Arrivabene acuisce il richiamo della fascinazione a seguirlo, respingendo le catatonie distratte e maldestre della ragione e incatenando le deformità della nostra immaginazione alla portentosa mostruosità del suo immaginario. Maria Rita Montagnani


ARTISTI AFFERMATI Per contattare l’artista scrivere a Maria Rita Montagnani mrmontagnani@gmail.com

“Quando giunge l’acida Ecate non ti puoi salvare dalla sua ala oscena, sferri colpi di morte come carezze, ti rifugi nel mondo che ancora non c’è. Tutto ciò che di più lontano esiste è simile a te”. Milo Rossi

Rae ed Ade majestatis

Il nuotatore d’abissi

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MOSTRE E PREMI

di Maria Rita Montagnani

Agostino Arrivabene nasce l’11 giugno 1967. Si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Brera nel 1991. Subito dopo Arrivabene parte alla volta delle maggiori città d’arte italiane e internazionali, spinto dal desiderio di approfondire la cultura acquisita durante gli anni della formazione attraverso la conoscenza diretta dei grandi capolavori del passato, che non poco influiranno sui futuri sviluppi della sua produzione.

Eccentrici” nella Galleria civica di Palazzo Loffredo a Potenza, nel 2006 il “57° Premio Michett”i a Francavilla a Mare premio a cui parteciperà nuovamente nel 2007, nel 2010 è presente alla Biennale d’arte Aldo Roncaglia, e sempre lo stesso anno alla rassegna sul ritratto: “Ritratti Italiani”, a cura di Vittorio Sgarbi, nel museo civico di Cento, mostra che poi verrà portata a Milano nello spazio espositivo della Fondazione Durini.

È così che l’artista dà inizio a un mai più interrotto percorso teso al recupero delle tecniche artistiche, all’affermazione del arte antica come linguaggio atto ancora a dare la possibilità a nuovi ceselli iconografici, al perfezionamento di un linguaggio che lentamente si ibrida anche con le correnti contemporanee, creando sinergie di indiscussa potenza emotiva, il disegno e le opere grafiche divengono mezzo per esplorare la dimensione essenziale del monocromo che in questi ultimi anni sta anche esprimendosi con tecniche più sontuose in cui tutti i medium si ibridano per raggiungere un dialogo più essenziale e ripulito da quel amato orror -vacui che caratterizzò i suoi primi anni di formazione.

Spiccano le presenze dell’artista in occasione di celebri fiere dedicate al contemporaneo, quali Arte Fiera Bologna, Arte Padova, ArtVerona e MiArt e Art-expo di Bari. Già vincitore nel 1998 della prima edizione del Premio Internazionale Leonardo Sciascia Amateur d’Estampes, Agostino Arrivabene da la possibilità di essere riconosciuto fra i più validi incisori europei, quest’ultime spesso ottenute in maniera indiretta attraverso la tecnica dell’acquaforte – proposte al pubblico in occasione di numerose esposizioni, come la personale svoltasi nel 1995 presso la Biblioteca Comunale di Palazzo Sormani a Milano.

Arrivabene predilige la tecnica della pittura ad olio con un tocco sontuoso e materico che negli ultimi anni è andato sempre più caratterizzandosi nella stratificazione, procedimenti ricomposti partendo dalle materie prime utilizzate dai maestri olandesi del 600’ ed arrivando a sperimentazioni atte alla ricostruzione di un film pittorico che potesse avvicinarsi il più possibile alla sontuosità sedimentata e tipica della pittura antica e barocca. Le opere di Agostino Arrivabene attraggono lo spettatore non soltanto per l’indiscussa abilità tecnica dimostrata, frutto e retaggio di studi approfonditi, bensì anche, e soprattutto, in virtù di quell’alone di mistero che le avvolge, che riconduce ad una ricerca legata all’indagine di uno spirito che acquisisce senso attraverso le discipline mistiche del passato e ibridata all’alchimia, quest’ultima non come scienza della trasmutazione di metalli poveri in oro, ma bensì indagine della metafora esistenziale celata che la contraddistingue, e a cui il pittore apertamente si ispira.

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AGOSTINO ARRIVABENE

Arrivabene crea visioni ricche di simbologie ermetiche declinate secondo i diversi tipi di soggetti a lui cari – “animalia”, “mirabilia naturae”, paesaggi, vanitas, nature morte e autoritratti – che mostrano mondi immaginari, definiti dall’artista stesso “moderne e virtuali Wunderkammern”, musei immaginari di un collezionista desueto, viaggi verso luoghi o “grand tour” dove la meta diventa un fine

Mater persiana

invalicabile, un’ iperbolica tensione verso un oltre - umano, o un Eden perfetto e possibile. Le iconologie legate al mito della Grecia più arcaica diventano metafore della sua vita personale e privata e che appaiono ad intervalli nella sua produzione ibridandosi ad un mito da lui autonomamente creato, elementi che creano epifanie divine e mostruosità atte a decodificare le più oscure pulsioni dell’anima; icone che sono state ben sviscerate nella recente mostra personale nel 2011 “Isterie plutoniche” nella galleria Jannone a Milano dove un percorso iniziatico recitato da una tremante Proserpina lo spinge dall’indagine dei riti iniziatici eleusini, fino ai rituali di morte e rinascita nelle molteplici culture e che portano ad un mutamento del “sè”, e al rinnovamento dell’anima.

Di recente Agostino Arrivabene ha avviato una stretta collaborazione con Vittorio Sgarbi, che invita l’artista a prendere parte a importanti mostre da lui stesso curate, tra le quali spiccano “Surrealismo Padano”, “Da De Chirico a Foppiani” al Palazzo Gotico di Piacenza (2002), mostra che poi migrerà a Trieste nel Museo Revoltella; “Il Male”. Esercizi di pittura crudele, tenutasi nella splendida cornice della Palazzina di Caccia di Stupinigi (2005); “Il ritratto interiore. Da Lotto a Pirandello”, allestita all’interno del Museo Archeologico di Aosta (2005);

Immediatamente dopo gli studi braidensi, nel 1992, Arrivabene partecipa al XXXII Premio Suzzara premiato dal presidente della Repubblica, e a cui prenderà parte anche nel 1993. Esplorazioni, nel museo di Crema, è la prima di una lunga serie di mostre giovanili: “Memoria e desiderio” sempre nel museo di Crema (1994) e “L’arte segreta di Agostino Arrivabene” (1998) a Reggio Emilia, fino ad arrivare alle più recenti “Mirabilia Naturae” (2005) a Milano e “Il sole morente nella stanza azzurra” (2007) ad Andria nello spazio espositivo Le Muse. Gli anni Novanta rappresentano per Arrivabene solo l’inizio di un periodo di intensa attività: tra le innumerevoli rassegne collettive nel 2004 il “Premio Cairo” al palazzo della Permanente a Milano, “Silenzi, la natura morta tra Italia e Paesi Bassi” nella Galleria di Rob Smeets a Milano, nel 2005 “Visionari Primitivi

Exit “L’Inquietudine del volto. Da Tiziano a De Chirico”, i cui spazi espositivi sono accolti nella nuova sede suggestiva della Banca


ARTISTI AFFERMATI

L’IRRESISTIBILE VOCAZIONE A HADES Popolare di Lodi, progettata dall’architetto Renzo Piano (2006). E ancora “Vade Retro. Arte e Omosessualità. Da von Gloeden a Pierre et Gilles” e “Arte italiana 1968-2007”. “Pittura”, rispettivamente ospitate presso Palazzo della Ragione e Palazzo Reale a Milano nel 2007. Insieme a Flavio Arensi, Vittorio Sgarbi redige inoltre i testi critici della personale dell’artista, dal titolo “Metamorfosi”, organizzata nel 2009 dalla Galleria Forni di Bologna, subito dopo nel 2010 lo stesso Sgarbi lo invita a partecipare con una personale: “Deliri”, allestita durante le manifestazioni del Festival dei Due Mondi nella splendida cornice di Palazzo Pianciani a Spoleto. Degno di nota è anche l’impegno profuso dall’artista nella realizzazione delle scenografie dell’Hans Heiling di Heinrich Marschner, riproposto con la regia di Pierluigi Pizzi al Teatro Lirico di Cagliari. Con “Elena” (2007-2009), nell’aprile 2010 Agostino Arrivabene vince, per la Categoria “Invitati”, il “Premio d’Arte Contemporanea Arciere”, promosso dal Comune di Sant’Antioco, in Sardegna, attestandosi a pari merito con altri due celebri artisti italiani quali Peter Demetz e Nicola Samorì, rispettivamente insigniti per “L’analfabeta” e “Vicario” (écorché).

Il sogno di Licina

Arrivabene si è dimostrato anche interprete di opere letterarie come quella de “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde commissionata da Progetto Italia, con un volume strenna a tiratura limitata voluta da Telecom Italia, fino alla più recente e prestigiosa Agenda Manzoniana promossa dalla fondazione Carichieti in cui si è cimentato con un opera giovanile di Alessandro Manzoni: “Urania” , e le cui 12 opere in originale sono state esposte nel centro studi Manzoniani a Milano nel 2011. Nell’estate del 2011 Arrivabene è invitato dal Curatore Vittorio Sgarbi al Padiglione Italia nella sede dell’arsenale a Venezia, nell’ambito della 54° biennale d’Arte di Venezia, l’artista partecipa con un dittico in cui esplora l’icona del protomartire “San Sebastiano” destrutturando la classica visone iconica tramandata nei secoli ed indagando molto più intimamente attraverso i testi di Jacopo da Varagine, nelle visioni suggestive di due figure femminili coeve al santo, Irene e Lucina, entrambe testimoni di miracolosi eventi salvifici .

La visione di Irene

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INTERVISTA

Mara Valente intervista gli artisti dell’Associazione Soqquadro di Roma soqquadro@interfree.it

GIOVANNI MANGIACAPRA Attivo sin dagli anni ’70, Giovanni Mangiacapra ha esordito con dei paesaggi dipinti con tempera su carta e compensato in una collettiva presso il centro Don Gnocchi di Parma. Lavorando ininterrottamente sino ad oggi ha approfondito in maniera particolare un personalissimo percorso sull’arte informale. Dopo molti anni di esperienze espositive di grande rilievo, sia in Italia sia all’Estero, è approdato un paio di anni fa a una personale realizzata al Maschio Angioino a Napoli.

Composizione

Da dov’è nata la sua inclinazione nei confronti dell’arte informale? Un passaggio, uno spostamento verso una nuova “forma” nasce per scelta ma anche per maturità per esigenza di vedere le cose diversamente; la rappresentazione dell’informale la sentivo più vicino a me, quasi un modo di naturale di fare, l’arte di per se assume sempre anche attraverso il suo segno, la sua materia, il suo gesto, il suo linguaggio.

L’esperienza dell’arte e della natura è sempre un ritorno alla natura al primitivo, dove ognuno può utilizzare le cose che trova e trasformarle e interpretarle, dandogli nuove forme, senza mai uscire da questa dicotomia, da quest’armonia, comunque rimane un’esperienza che affascina e ti prende nella totalità.

“Oggi sono in lotta con i colori e la lotta è aspra: spetta ad uno di noi vincere”. Ho letto questa frase sul suo sito e mi ha colpito molto. Può provare ad interpretarla? La lotta rappresenta sempre un misurarsi, un chiedere qualcosa di nuovo, fa parte della nostra indole, poi ognuno se la gestisce come vuole, i colori sono sempre un nostro modo di presentarci, mischiare un colore o usarlo all’atto puro rappresenta una parte emotiva di noi quindi molte volte far prevalere l’uno l’altro dipende da nostri stati emozionali.

Cara Marina, che valore artistico assegneresti ai lavori dell’artista Giovanni Mangiacapra che tramite l’indagine approfondita dell’arte informale è riuscito a tracciare un percorso personalissimo? Come prima cosa mi preme dire che Giovanni è un’artista Soqquadro da molti anni e ne conosco benissimo il percorso di grande crescita artistica, culturale e di conseguenza di mercato. Dopo molti anni di esperienze espositive di grande rilievo, sia in Italia sia all’Estero, è approdato un paio di anni fa a una personale realizzata al Maschio Angioino a Napoli. I suoi lavori possono essere quindi valutati, secondo le loro dimensioni, una cifra variabile tra gli 800,00 e i 5.000,00 euro.

Oltre all’arte informale, ha anche avuto modo di cimentarsi nella Land Art. Mi piacerebbe che ci parlasse dell’esperienza presso i Campi Flegrei (Napoli).

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MARIA ELENA GIANNOBILE

ARTISTI EMERGENTI ARTISTI EMERGENTI

Mara Valente intervista gli artisti dell’Associazione Soqquadro di Roma soqquadro@interfree.it

La giovanissima artista Maria Elena Giannobile vive e lavora a Villafrati, un piccolo paesino dell’entroterra siciliano. Dopo aver conseguito nel 2005 il Diploma Accademico presso il Liceo Artistico “E.Catalano”, ha consolidato la sua formazione artistica all’Accademia di Belle Arti di Palermo, laureandosi in Scultura nel Marzo 2009. www.wix.com/mariaelenagiannobile/photo www.elenagiannobile.jimdo.com Tramite la tua arte, specchio dei tuoi occhi, indaghi il mondo. Ami di più rappresentarlo con la scultura, la pittura o la fotografia? Amo l’arte in tutte le sue forme…ne ho bisogno, ne sento la necessità. Anche se modellare l’argilla mi “emoziona” molto di più. Creando dai veramente la vita. Ho una predilezione particolare per la fotografia, i tuoi lavori mi piacciono molto, in paricolar modo i tuoi Portrait. Sei un’ autodidatta? Come nascono le tue foto? Si sono un autodidatta.. Le mie foto nascono dal pensiero del doppio, della dualità, come del resto tutte le mie creazioni. Cerco di trovare un nuovo punto di vista per ogni cosa, di trasmettere ed esprimere le mie paure, che poi sono le paure di tutti. La situazione per i giovani italiani oggi non è molto rosea. Tenendo in considerazione anche la tua professione di artista (altra categoria in posizione non comodissima), cosa pensi di questo periodo che il mondo sta attraversando? Penso che ci sono troppi avvocati, troppi medici, troppi artisti, arrivati al loro traguardo, non per “bravura”, non per “passione”, ma per conoscenze, per denaro, per la fatidica raccomandazione, che oggi prevale più che mai! Siamo un popolo che non si sa

ribellare, questo è il nostro principale problema, e noi ragazzi ci siamo tranquillamente accomodati in tutto questo sistema. Anche nell’arte si ripercuote tutto ciò. L’arte è diventata puro guadagno, e non più “emozioni”, “vita”, ”tormento”. Cara Marina, hai avuto modo di collaborare diverse volte con Maria Elena, ricordi qualche mostra in particolare? Quale valore artistico pensi abbiano raggiunto i suoi lavori? Ho realizzato diverse mostre con Maria Elena, tra queste la grande mostra “Ogni Pensiero Vola” realizzata al Palazzo Orsini di Bomarzo e l’esposizione alla galleria Metamorfosi di Reggio Emilia in occasione dello scorso Festival Europeo della Fotografia. Maria Elena ha interpretato in entrambe i casi il tema della mostra con grande spirito artistico, oltre che con una maestria straordinaria per una fotografa così giovane. Il valore economico, come sempre per la fotografia, è legato alla quantità di stampe che si realizzano di una stessa foto e Maria Elena è una fotografa molto seria, che riproduce sempre in pochi esemplari. Se il valore economico potesse essere semplicemente legato alla bravura Maria Elena varrebbe molto di più della sua quotazione attuale, ma considerato che è ancora giovane il valore commerciale delle sue foto varia secondo la grandezza dai 250,00 ai 700,00 euro, tenendo presente che l’artista stampa spesso su carte pregiate

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INTERVISTA

Mara Valente intervista gli artisti dell’Associazione Soqquadro di Roma soqquadro@interfree.it

ANNA MARIA STACCINI

“Chi sono…? Sono il tutto e il niente, il passato e il presente, sono gelo e fuoco, donna e bambina piccolo pensiero di Dio nell’immensità dell’universo. Essere complesso e semplice salito a bordo del treno della vita, seduto accanto al finestrino osservo scorrere il tempo, cerco di catturare l’attimo creando istantanee di realtà, provo ad acchiappare i sogni cucendo reti di desideri. Farfalle di emozioni dentro al cuore sogni imperfetti nella testa, nostalgica e dispettosa vivo l’attimo. Voglio ridere col mondo, mentre il mondo ride con me”. Questa è l’artista Anna Maria Staccini.

Monaco

Cerco di catturare l’attimo creando istantanee di realtà. L’attenzione alla realtà e al dettaglio è la sintesi in parole delle sue opere. Da dov’è nata la sua passione per l’arte? La mia passione per l’arte nasce dalla vita quotidiana ...dall’osservazione della realtà...e dal bisogno di esprimere con i colori il disegno emozioni e stati d’animo ..... amo paragonare la pittura ad un discorso di cui i quadri sono frasi e parole .... Ha partecipato ad una mostra “Ai confini del mondo cosa pensi di trovare?” Come risponderebbe, basandosi sulle opere che ha esposto in quell’occasione, a questa domanda? Bella domanda “ai confini del mondo cosa penso di trovare”... a quella mostra ho partecipato con il ritratto di mio figlio Andrea ....ai confini del mondo spero di trovare, anzi di ritrovare ad aspettarmi gli affetti perduti... Ha già in programma progetti artistici per il futuro? Beh il mio cervello è un vulcano in eruzione ...penso e spero di partecipare alla mostra itinerante dell’associazione soqquadro MA-DONNE a Roma e Reggio Emilia....e poi ripetere la bellissima esperienza del 16 luglio quando insieme ad un gruppo di amiche appassionate di fotografia abbiamo realizzato una mostra fotografica “Luci e Parole” Tuscania in immagini

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e poesia .....in cui oltre ad una esposizione di fotografie e video, si sono declamate poesie di vari autori noti e meno ..... locali e internazionali il tutto allestito e curato nel bellissimo microcosmo che è il giardino di Santa Croce a Tuscania .... e poi chissà ...!!!! Signora Zatta, le diverse collaborazioni con la Staccini le avranno permesso di farsi un’idea ben precisa riguardo i suoi lavori. Come li reputa? Il lavoro di Anna Maria Staccini è di grande espressività sul piano stilistico e di perfezione sotto il profilo tecnico; gli animali e le persone dipinti da Anna Maria riescono ad entrare in grande empatia con il pubblico, come se i loro sguardi fossero reali. Con me Anna Maria ha partecipato a diverse mostre di grande successo di pubblico, come ad esempio quella realizzata a Natale dello scorso anno al Golden Circus, che ha avuto centinaia di spettatori ogni giorno, oltre a diverse mostre collettive e personali in cui quest’artista ha esposto. Vista la grande maestria di quest’artista, i suoi lavori vanno valutati ad una cifra che varia tra i 1.500,00 e i 3.000,00 euro, soprattutto considerando che la tecnica principalmente usata dalla Staccini è l’olio che l’artista usa con massima sapienza.


ARTISTI EMERGENTI

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RECENSIONI

ALBA D’ALPAOS

A cura della Redazione

ARTEMISIA CONTEMPORANEA Biografia La possiamo definire artista figlia del mondo perché fin dalla più tenera età sono iniziate le sue peregrinazioni con la famiglia in vari stati.. Nasce a Caracas da padre italiano e madre Ispano-cubana, a sei anni il primo trasferimento in Italia per motivi di lavoro del padre e poi Hong Kong,, Spagna, Caracas. In ogni Stato in cui va prosegue gli studi in lingua italiana. Ma è pur vero che deve comunicare con gente sempre diversa che parla una lingua diversa della sua ed è forse questo il motivo che la spinge a parlare in una lingua universale che tutti capiscono, “la Pittura”. Con essa lei riesce a far emergere ogni suo stato d’animo e ogni sua emozione. Questo mezzo di comunicazione è totalizzante al punto che anche oggi sebbene stabile in Italia il suo carattere è rimasto un po’ schivo, riservato e di poche parole; preferisce esprimersi attraverso la sua arte. Frequenta il Liceo Artistico e ottiene la maturità a Venezia dove frequenta anche l’Accademia di Belle Arti, ha lavorato per uno studio pubblicitario a Caracas, ha decorato per negozi di ceramiche, stoffa, mobili. Ha lavorato anche come ritrattista e su richiesta, facendo copie di grandi pittori quali Michelangelo, Tiepolo, Murillo, Leonardo,arricchendo così la sua esperienza e studiando le varie tecniche dei pittori del passato. La sua pittura rimane in ogni caso sempre fedele alla ricchezza dei temi offerti dalla figura e dalla vita umana.

“Basta carta”

Ama comunicare attraverso i suoi dipinti con una certa “classica modernità” e si può definire quindi pittrice di corrente anacronista, ama De Chirico, Antonio Garzia, Bodini, Klimt, pensa che la pittura intesa come rappresentazione dell’anima e come comunicazione sia finita con loro. E’ dell’idea che per essere pittori, bisogna saper disegnare tutto, sapere dipingere in qualsiasi forma, studiare a fondo i classici e non solo sui libri ed imparare tutte le tecniche per far parte della pittura così definita colta. Si è presentata, su invito, sia in mostre personali che collettive (Belluno, Conegliano, Vittorio Veneto, Pieve d’Alpago, Ferrara, Gaiarine Migliarino, Roma, Bologna, Torino, NewYork, Spagna, Miami, Arte fiera a Padova, Pisa) ricevendo ovunque larghi consensi da parte del pubblico e della critica, ha anche partecipato ad aste ogni luogo in cui è stata impara qualcosa, lo assimila, lo metabolizza fino a farlo diventare una parte del suo patrimonio culturale, spirituale e umano. Impara nuove tecniche nuovi giochi di colore ma non si lascia mai lusingare dall’astrattismo la sua arte vera e quasi tangibile deve esprimere una quotidianità di concetti e intenti avvalendosi pur sempre di un simbolismo quasi onirico per esprimere i più remoti sentimenti dell’anima. Il suo interlocutore deve comprendere e assimilare le sue emozioni. Osservando i suoi quadri senza conoscere il suo vissuto si ha egualmente la percezione di un artista singolare, alla ricerca degli antichi valori perduti e del vero senso della vita.

“Ninna nanna”

Si nota in lei il cambiamento l’evoluzione, la sofferenza in questo senso il pennello è molto eloquente perché attraverso mutazioni di colore e di intensità si possono cogliere serenità e angoscia ma in tutto questo vi è un tema sempre dominante che accomuna tutti i suoi quadri: il “Trionfo della fede per la bellezza”. In molti quadri è presente la croce quale simbolo di sofferenza, speranza, crescita e rinascita. Ma tornando alla nostra artista ricordiamo che in occasione della XXIII Edizione di Expo Arte Pisa 1999, considerata e valutata la sua opera, le ha conferito Diploma d’onore e medaglia d’oro Gran Premio Fax Mundi per avere contribuito con la sua opera artistica a diffondere sentimenti di pace, amore, amicizia e fratellanza tra gli uomini e per gli altri meriti conseguiti nella promozione artistica e cultura.Nel 2011 ha ricevuto la cittadinanza onoraria dal comune di Pieve d’Alpago a Belluno per meriti artistici.

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“Magistratura”


PROTAGONISTI

“Immacolata Concezione”

C’è una forte tensione spirituale nelle opere di Alba D’Alpaos. Si percepiscono due spinte contrapposte che interagiscono in modo dialettico per dare forma e contenuto a immagini straordinarie, belle, complesse, capaci di emozionare, di stupire e ammaliare le menti più razionali. E’ come se gli archetipi, definiti da Jung come istinti mentali che solleticano le menti creative a prendere parte dell’armonia universale, si divertissero a celebrare le nozze mistiche tra “sacro e profano” congiungendo in coppia simboli tra loro contrastanti oppure antagonisti. Ad esempio in “Basta carta”, il gentiluomo con la maschera, metafora dell’inconscio collettivo, si fa breccia nel muro di carta ed entra nel mondo delle immagini sterotipate delle riviste alla moda, quasi a voler carpire il senso della bellezza sensoriale generata dalla percezione estetica delle donne. In “Ninna nanna”, il bambino dorme fra l’orsachiotto e un fucile a significare l’eterno dualismo esistente tra dolcezza e aggressività, e la possibile sublimazione dell’energia psichica in gioco e creatività. I due giudici di “Magistratura”, dipinti di spalle per rimarcare l’aspetto imponderabile del giudizio umano e divino, dichiarano simbolicamente l’impotenza della Legge di riuscire a ricomporre il puzzle della verità. Uno di essi ha le mani legate, metafora dei vincoli presenti nella razionalità umana di andare oltre il condizionamento sociale implicito in ogni giudizio. Quanta consapevole umanità trasuda dal volto dell’Immacolata Concezione dipinta nella posizione tipica delle donne gravide? L’immagine ha l’effetto di sacralizzare il ruolo salvifico delle donne, costrette biologicamente a partorire per un atto d’amore e ad evolvere nella coscienza delle madri capaci con l’autosacrificio di trascendere il Male quotidiano. Ma se la Donna del nuovo millennio ha finalmente il potere di schiacciare la testa del serpente, il nuovo Uomo, dipinto nel “David” in vesti femminili, possiede il volto virile dell’eroe biblico colto nell’atto di mordere il frutto della conoscenza intuitiva. Per secoli le donne hanno sviluppato l’arte di conoscere per intuizione. Anche gli uomini possono appropriarsi delle funzioni mentali intuitive che originano dai sentimenti corporei, ad iniziare dalla normalità quotidiana. Se così non fosse correrebbero il rischio di subire una atroce “Vendetta “da parte del partner. All’interno del tondo che racchiude uno specchio, sintesi dell’Utopia femminista di Alba, “Lolita” può ammirare il “trono barocco”, simbolo della rinascita del corteggiamento amoroso.

“David, la normalità “

“Vendetta”

“Lolita.“

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MOSTRE

di Anna Maria Ronchin

ARTEMISIA GENTILESCHI STORIA DI UNA PASSIONE

La mostra su Artemisia Gentileschi (Roma 1593-Napoli 1654), a Palazzo Reale fino al 29 di gennaio 2012, è curata da Francesco Solinas e Roberto Contini, e presenta una monografia completa dell’artista secentesca. Già nel 1951 Roberto Longhi aveva apprezzato l’artista nella mostra “Caravaggio e il caravaggismo”, conferendole il ruolo eminente che ebbe nella prima metà del XVII secolo; nel 1991 seguì la mostra, questa volta monografica, presso la Casa Buonarroti a Firenze, che restituì definitivamente Artemisia al ruolo di artista d’eccezionale levatura nel panorama dell’arte moderna. La mostra attuale ricostruisce la carriera artistica della Gentileschi in termini meno riduttivi, cresciuta all’ombra del padre Orazio che l’avviò alla pittura, ma collocandola nel contesto dei diversi ambienti artistici che la pittrice frequentò, restituendo al visitatore la figura dell’artista di sicuro talento. A soli diciotto anni eseguì la celebre Susanna e i vecchioni, e nella sua variegata esistenza fu capace di confrontarsi con il milieu artistico ed intellettuale del tempo, stabilì relazioni diplomatiche con Galileo Galilei, Cosimo II de’ Medici e Carlo I d’Inghilterra, infine fu la prima donna ad essere ammessa all’Accademia Fiorentina del Disegno. Artemisia, figlia d’arte, compare in molti quadri del padre pittore tardo-manierista, e poi in altre opere dipinte da lei stessa; dei quattro autoritratti che si conoscono, quello del 161718 la ritrae come suonatrice di liuto - è la prima immagine dichiarata di se stessa - afferma Francesco Solinas e documenta la consuetudine degli artisti dell’età moderna di suonare il liuto e di frequentare la musica; la pittrice conosceva Bellerofonte Castoldi, illustre compositore per liuto e tiorba. Il Direttore di Palazzo Reale, Domenico Piraina, ha invitato all’inaugurazione della mostra la regista teatrale Emma Dante, per interpretare con l’attualità di una performance l’originale personalità di Artemisia. Uno spettacolo non d’intrattenimento, ma che scaturisce dalla necessità dall’urgenza di raccontare, con il corpo di donna del XXI secolo, il noto dramma vissuto dall’artista nel 1611, la violenza di Agostino Tassi, amico pittore del padre. Emma Dante l’ha eletto al ruolo privilegiato d’interpretazione del repertorio iconografico della Gentileschi, perché riverbera il dolore della millenaria storia femminile e la determinazione con cui Artemisia superò l’umiliazione del processo per stupro, voluto dal padre, come pure il discredito morale, che tentò di abbatterla, secondo una mentalità tristemente nota; l’immagine che restituisce di Artemisia è di sicura individualità, audace protagonista del Seicento europeo. La rassegna presenta oltre 50 opere per seguire le molteplici produzioni dell’artista, ripercorrendo le quattro fasi che contraddistinguono la sua vita trascorsa nella capitale pontificia in gioventù e dopo l’esperienza fiorentina, e infine a Napoli. A Firenze ebbe la protezione di Michelangelo Buonarroti il Giovane, bisnipote del geniale artista, che l’introdusse alla corte del granduca Cosimo de ‘Medici e fu quest’evento che le consentì l’accesso all’-aristocrazia pittorica - del tempo. Della celebre opera Giuditta che decapita Oloferne degli Uffizi, Roberto Longhi nel 1916, sottolineava l’eccellente qualità tecnica di chi sa “di pittura, e di colore e di impasto”. Questa tela, realizzata dopo poco l’arrivo nella città medicea (1613), probabilmente documenta l’introduzione del caravaggismo a Firenze, per l’intensa drammaticità delle tre figure che emergono dal fondo nero pece, per i drappi meticolosamente studiati, per la compattezza dei colori, per la composizione mirabilmente equilibrata nella triangolazione che ha il punto focale nell’elsa della spada dove si firma: Ego Artemitia Lomi Fec.; infatti, il nome completo della nobile famiglia pisana era Gentileschi de Lomis.

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Determinanti per la bibliografia dell’esposizione sono state le monografie di Mary D.Garrard, di Raymond W.Bissel e di Judith W. Mann; quest’ultima studiosa nordamericana prende le distanze da chi sostiene che- Artemisia si sia manifestata soltanto nel raffigurare donne forti e capaci di farsi valere, al punto che non si riesce a immaginarla impegnata nella realizzazione di immagini religiose convenzionali, come una Madonna con Bambino o una Vergine che accoglie sottomessa l’Annunciazione …


Palazzo Reale – Sala delle Otto Colonne Piazza Duomo, 12 – Milano - fino al 29 Gennaio 2012

PROTAGONISTI

Anno I N.1/2011

Lo stereotipo ha avuto un doppio effetto restrittivo: inducendo gli studiosi sia a mettere in dubbio l’attribuzione dei dipinti che non corrispondono al modello descritto, sia ad attribuire un valore inferiore a quelli che non rientrano nel cliché». (Roma 2001) Infatti, il riconoscimento odierno e la fama di Artemisia solo in minima parte rendono giustizia alla ragazza rimasta a soli dodici

anni orfana della madre, che lottò con determinazione, per superare i limiti di genere e quelli determinati dalle inevitabili difficoltà di donna orgogliosa del suo mestiere di - pittora - che maturò un linguaggio potente singolare e unico, comparabile alle grandi figure dell’umanità capaci di trasmettere in ogni tempo i valori universali dell’arte.


A cura di Ada Massignani Trussardo

da Massignani Trussardo al

ODY and SPIRIT

Vernissage

bato 3 Dicembre 2011

o r e 18

Palladio, 187 - Vicenza

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ADA MASSIGNANI TRUSSARDO

and SPIRIT AdaBODY Massignani Trussardo Queste formelle dipinte, come tela no- reintegrarsi al centro per poi spargersi bilitata dalla sua cornice, sono come un nuovamente dall’uno alla molteplicità percorso che Ada haalfatto, un emergere in un processo di creazione continua. del pudore femminile che è in rapporto tra la sua sensibilità e la sua passione. La sua volontà di trasmettere di essere donna si rappresenta sempre nel dualismo tristezza e bellezza, nudo e velato che si mescolano insieme per esprimere sensualità, con forme morbide, plastiche, provocatorie in contrapposizione, neanche tanto latente, alla sua ricerca di

BOD

Y and

Ada vuol vedere cose che gli altri non riescono a vedere e invita , guardando queste formelle a prendere coscienza di chi realmente siamo. E poi.. le foglie del “vento”, un cuscino dove appoggiarsi per ammirare il fascino femminile nella sua essenza.

I R I SP

Ada Massignani inizia già a 3 anni a disegnare e colorare,già da quando riesce a tenere le matite in mano ed impara a scrivere a 4, come bambina indaco allora. Sempre per tutta la sua infanzia la creatività artistica è la sua passione preferita, dove eccelle anche nelle scuole, inzia a dipingere tele dopo i 17 anni, quando dopo il liceo Scientifico che stava frequentando, decide di proseguire con l’Artistico e va a Venezia. Si iscrive a 19 anni alla Facoltà di architettura, ma non la termina perchè a va a vivere per circa un anno e mezzo in Venezuela dove disegna anche sui progetti del più grosso studio di architetti di Maracay. Fa cinema e modella per anche il suo fidanzato di allora fotografo. Torna in Italia nel 77 e riprende a dipingere, espone in quegli anni in diverse collettive a Venezia, frequentando spesso lo studio dell’amico maestro Luigi Voltolina a Mestre. Dipinge fino circa all’ 84 anche nello studio in Piazzetta Palladio a Vicenza, e poi per svariati cambiamenti di vita, prosegue a lavorare nel commerciale, nel suo negozio prima e nelle fiere anche estere come p.r.ed interprete, viaggia molto,crea gioielli ....e,.. ama.....

Vernissage

T

MOSTRE

Alberto Cerioni Riprende la passione e l’attività artistica gli ultimi anni,collaborando nel laboratorio creativo Sbittarte di Marostica, creato e frequentato da amici artisti ceramisti. Espone in svariate location della città e nella sua ultima esposizione ne parla anche il Giornale di Vicenza.Viene invitata nel 2012 di nuovo a Venezia, in Toscana ed Umbria. Ada ama l’arte in tutte le sue espressioni, la danza che pratica per svariati anni, la poesia, la letteratura, la musica, il teatro che avvicna già molti anni fa con un suo ex compagno regista Folco e l’attore vicentino scomparso Otello Cazzola. Nel suo ultimo laboratorio teatrale all’Accademia Olimpica, conosce Alessandro Gassman ed i suoi attori che l’avvicinano nuovamente all’incredibile mondo dell’interpretazione creativa. Per diletto organizza anche interviste radiofoniche e televisive. Come già in Venezuela, si ripropone anche di pubblicare fra non molto testi inediti di poesie, pensieri e novelle in un suo libro. info: Studio A. M. - Viale San Lazzaro 191 Via Baretti 13, 36100 Vicenza phone +39.3491322720

Sabato 3 Dicembre 2011

o r e 18

Corso Palladio, 187 - Vicenza


PROTAGONISTI

Ada Massignani Ada Massignani Trussardo

al

al

TI HO AMATO

TrussardoTi ho amato in nero,

Ti ho amato in bianco, Ti ho amato in grigio, Ti ho amato in tutti i colori puri. Ti cerco in prosa, Ti ho amato in viola, Nei colori dell’arcobaleno, E nella tua rosa carnosa. Ti ho amato perchè non sapevo cosa fare, O forse ti ho amato poco? Ti ho odiato poco, Così sempre strano, Senza parole. Ti ho amato sempre lontano, Non c’eri nel mio letto. Lunghi declini d’amore nel cuore. Ti ho amato in tutti i colori del mare, Solo l’anima vale, Nulla più serve per farti tornare, Solo l’anima vuole, Solo bocca di miele può dire, Cose infinite d’Amore. A.M.

Ada Massignani Trussardo

al BODY and SPIRIT

Vernissage Vernissage

Vernissage

T

I R I B BODY andOSPIRIT DY and SP

3 Dicembre 2011 da Sabato 3 alSabato 30 Dicembre 2011 o r e 18 ,3 0 o r e 18 Corso Palladio, - Vicenza Corso 187 Palladio, 187 - Vicenza

di vigna in vino

VINIDOC-SPUMANTI

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da Sabato 3 al 30 Dicembre 2011 o r e 18 ,3 0 Corso Palladio, 187 - Vicenza


MOSTRE

A cura di Antonella Iurilli Duhamel

AL MUSEO OBRIETAN DAL 02 AL 30 DICEMBRE

ANTONELLA IURILLI DUHAMEL VENUS

Troverai a sinistra delle case di Ade una fonte, e presso di essa piantato un bianco cipresso: a questa fonte non ti accostare. Ne troverai un altra, dal lago di Mnemosine fresca acqua sgorgante; dinnanzi vi sono custodi. Dirai: “Sono figlia della Terra e di Urano splendente di astri, splendente la mia stirpe questo sapete anche voi; brucio di sete e muoio; ma voi datemi subito la fresca acqua che sgorga dal lago Mnemosine”. Quindi ti daranno da bere dalla fonte divina, e allora tu regnerai con tutti gli altri eroi. Trascrizione di Laminetta aurea

L’oblio è solo una forma della memoria, il suo luogo sotterraneo “su vago sòtano”. Jorge Louis Borges La Memoria e l’Oblio sono misteriosamente intrecciati quanto lo sono Mnemosine e Lete. Mnemosine, la madre di tutte le Muse, è la generosa dispensatrice di quella sensibilità che ci consente di impressionarci per accogliere, dar spazio e trattenere il

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ricordo e la conoscenza. Lete, secondo la magnifica rappresentazione tramandataci dagli antichi greci, è una naiade nata nella famiglia della notte: Nyx. Lete è anche il fiume sotterraneo dell’Ade il fiume dove ricordi e coscienza devono lasciarsi sommergere per portare alla luce una nuova vita; chi beve dalle sue acque perde completamente la capacità di ricordare. Gli antichi greci lo avevano collocato in prossimità dei campi Elisi, e per coloro che non riuscivano ad arrivarci e dissetarsi il tormento eterno era una sicura garanzia. La memoria è una funzione di accoglienza, una sorta di grande utero che preserva i valori fondamentali della vita e per la vita. Sin dall’antichità è stata considerata una funzione importantissima; per gli antichi Greci la topoi era l’arte di associare luoghi a parole immagini e rappresentazioni. La Memoria è l’Oblio concorrono a creare un campo unificato; ne erano profondamente consapevoli gli iniziati dei misteri orfici i quali sottolineavano costantemente la

Venus


PROTAGONISTI

LA MEMORIA E L’OBLIO

strettissima interdipendenza utilizzando rituali specifici. Le due funzioni sono simili al flusso del mare dove l’onda in avanti è sempre seguita da un’altra di arretramento. La memoria è anche un fatto fisico: è sempre il corpo a ricordare. Marcel Proust ne “La ricerca del tempo perduto” ci parla di esperienze olfattive e sonore che riportano a galla gli antichi vissuti. La memoria non solo come esercizio della mente, ma come funzione totale dell’essere. Anche Nietzsche riteneva che la capacità di dimenticare fosse un prerequisito fondamentale per il raggiungimento della felicità; in questo modo poneva l’accento sulla forza propulsiva della vita che deve necessariamente lasciare andare i suoi carichi quando si spinge in avanti. La memoria come tutti gli organismi viventi è soggetta a disfunzione. La memoria si ammala, si inceppa. Aleksandr Romanovich Lurija e Oliver Sacks hanno trattato in profondità i meccanismi difensivi della perdita di memoria a seguito di eventi traumatici

e tutte le relative problematiche di identità o come conseguenza della degenerazione senile. Nelle culture moderne la memoria purtroppo ha perso in popolarità. Una volta essa era ritenuta fondamentale per coloro che dovevano imparare; oggi il discredito nei confronti del nozionismo ha inflitto un duro colpo a questa vitale funzione; così insieme all’acqua sporca si è buttato via anche il bambino. Ci preoccupiamo seriamente solo quando siamo di fronte a principi di Alzheimer. La soppressione della memoria è anche un’arma micidiale nei confronti del nemico, un’arma acui hanno fatto largamente ricorso i regimi totalitari per ben installarsi e indebolire le masse. Grazie ad un colpo di spugna tutto il passato viene cancellato. Gli antichi romani erano maestri nell’eliminare ogni traccia di esistenza presente e passata di coloro erano considerati nemici della patria. La vita si basa sugli equilibri e anche la funzione della memoria ha bisogno di preservare il proprio per mantenersi in

buona salute il più a lungo possibile; essa ha bisogno di essere coltivata come una tenera pianta, ha necessità di essere custodita e preservata; vivono in simbiosi le sue fasi di attività che di inattività per meglio esplicare le sue fondamentali funzioni di accoglienza e di resa per lasciar spazio al nuovo, ma senza mai negare del tutto il passato. Proprio come l’Angelus Novus di Paul Klee dove un angelo sta per prendere il volo, mentre al contempo è ancorato nel fissare lo sguardo nel presente:Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi.” “Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.” (1) La memoria come la vita è un cerchio il cui centro è ovunque; ad un movimento in avanti corrisponde un puntuale movimento di ritorno. La memoria come la vita è forte e fragile al contempo, essa ha bisogno di tutela e di nutrimento. In occasione della mostra “La Memoria e l’Oblio”, presenterò delle grandi tele dove il luogo e il tempo della memoria è affidato a figure femminili che indicano come ricerca, reminiscenza, amore, libertà, conoscenza ed oblio sono tutte funzioni ugualmente importanti, insieme concorrono a mantenere intatto il tessuto della vita sul quale le singole esperienze di memoria concorrono a creare il grande serbatoio della memoria collettiva. Come accorte vestali queste figure custodiscono gelosamente il segreto degli intimi nessi della natura e delle sue inevitabili leggi: guardiane dell’armonia e della verità, come fasi di luna, testimoniano la necessità di dimenticare per far spazio al ricordo e di perdonare per tornare a vivere. (1)Walter Benjamin

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MOSTRE

ANTONELLA IURILLI DUHAMEL

NOTE BIOGRAFICHE Antonella Iurilli Duhamel è nata nel 1954 a Belvedere Marittimo, piccolo paese di mare dell’alto cosentino, arroccato sulla costa dei Cedri. La sua formazione è stata influenzata dalle molteplici esperienze esistenziali, dai lunghi soggiorni in luoghi molto differenziati e dalle stesse radici familiari. Scultrice, pittrice e psicologa, ha messo a frutto la sua formazione universitaria- semiologia, antropologia e psicologia- per approfondire le tematiche che sono sempre state al centro della sua ricerca,

come donna e come artista : l’identificazione del ruolo sessuale femminile e maschile, nonchè il rapporto dell’uomo moderno con le emozioni, la vita e la natura. E’ membro della Società di belle Arti di Verona, della Societè Quebequoise des Beaux arts e dell’International Institute for Bioenergetic Analysis di New York. E’ particolarmente apprezzata per i suoi ritratti scultorei. Le sue opere figurano in collezioni private in Italia, Canada e Stati Uniti

Mattutino

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PROTAGONISTI

LA MEMORIA E L’OBLIO

Reminescenza

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RECENSIONI

A cura di Maria Teresa Sabatiello

MARIA TERESA SABATIELLO ANIME DI PIETRA

MARIA TERESA E I SASSI DIPINTI La “relazione” che intercorre tra la pietra e me è qualcosa che nasce istintivamente, prima ancora che io stessa possa darle un significato. I miei occhi e le mie mani si poggiano sul sasso, ne vengono rapiti e lo “rapiscono” di conseguenza a quella natura che, benevolmente lo scolpisce per me… ed io per ringraziarla dipingo per lei, portando a compimento un’opera, già in parte realizzata… Il mio è innanzitutto un lavoro di ricerca, meticolosa e attenta, un viaggio interiore che si “materializza”, oserei dire. Seduto accanto a me, il mio mare invernale, severo e impetuoso consigliere. Le pietre, infatti, vanno scelte con cura perché la mia mano deve intervenire soltanto “a svelarne l’essenza nascosta”… mai sulla forma. Quando raccolgo un sasso, non sempre ho ben chiaro in mente il suo suggerimento, è la sua forma a catturare il mio sguardo, la sensazione che mi regala sotto le mani, una sorta di armonia naturale, che diventa, per me, un’attrazione assolutamente magnetica… L’immagine si fissa nella mia mente, e “l’impronta” nelle mie mani…. Poggio la pietra sul tornio, la osservo, l’accarezzo ed inizia una sorta di dialogo che è dapprima un sussurro, poi il bisbiglio si trasforma in una voce chiara e nitida e infine in un vero e proprio urlo… Ed è da questa ricerca ,”interiore e materiale”, che il 18 luglio 2007 è partito “Il CarRo di MarTe. (M.T.S.) CONTATTI Maria Teresa Sabatiello Laboratorio Il CarRo di MarTe Via Battaglia,1 84051 S. Nicola di Centola (Sa) Tel.:0974939973 - 3205724838 sito personale: www.ilcarrodimarte.eu facebook: https://www.facebook.com/ mariateresa.sabatiello skype:maryesa1 twitter: MaryaTheresa

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LaMiaEva - pietra marina dipinta con acrilici

Sobrie sensazioni e intuizioni avvolgenti scaturiscono alla vista delle leggiadre movenze della pietra dipinta dall’artista Maria Teresa Sabatiello. L’autrice, milanese di nascita, interpreta, attraverso il proprio scenario emotivo, un materiale naturale, a cui dona un’anima propria.La nobilitazione dell’oggetto artistico appare come il segno tangibile di una sensibilità spiccata verso tutto ciò che la circonda, una capacità di guardare che va ben oltre la semplice sapienza. La libertà d’interpretazione determina una trasposizione della realtà

nella materia, dove l’iconografia pittorica non solo sembra rispettare pienamente le naturali modulazioni della pietra, anzi le supera mediante una pittura figurativa da essa ispirata. Ne derivano così delle sculture fluttuanti che regalano all’osservatore un profondo senso di armonia visiva e morbidezza cromatica, rafforzato da un modus pingendi paragonabile al linguaggio musicale. Sabrina Falzone Critico e Storico dell’Arte www.sabrinafalzone.info

LaMiaEva


CARLO BRENNA

COGITO, ERGO SUM “Dunque che cosa sono io ? Una cosa che pensa. E che cosa è una cosa che pensa? Una cosa che dubita, che concepisce, che afferma, che nega, che vuole, che non vuole. Che immagina anche, e che sente. Certo non è poco se tutte queste cose appartengono alla mia natura. Io ho certamente la facoltà di immaginare: poiché sebbene possa accadere che le cose che immagino non siano vere, ciò nondimeno questa facoltà di immaginare continua ad essere realmente in me e fa parte del mio pensiero. Il mio spirito si compiace di smarrirsi. E non può contenersi ancora nei giusti limiti della verità….. Carlo Brenna

PROTAGONISTI

A cura di Carlo Brenna

CARLO BRENNA E I SUOI AFFRESCHI

Cosa si nasconde in un quadro? Cosa spinge un artista a divenire padre e madre tramite la sua opera d’arte? Cosa ci vuole dire , o cosa vuole dire a se stesso l’artista milanese Carlo Brenna quando dipinge o quando genera una figura umana dalla nuda materia? Forse Carlo Brenna vuole suggerirci che la nostra vita non può e non vuole essere solo uno scorrere banale di minuti e di secondi. Ma poichè ciò accada, occorre fermarsi, occorre, come dirlo, fissare l’attimo in qualcosa di stabile che abbia il vago sapore dell’eterno. Tempus fugit! Occorre qualcuno che lo sappia trattenere dunque. E chi meglio del pittore è in grado di trattenere, dal momento che vede ciò che a noi sfugge? Occorre sapere vedere il mistero delle cose e dell’essere nostro. Cosa è il mistero per Carlo Brenna? Come lui scrive è quella zona di confine tra l’uomo ed il suo pensiero …….. la donna è il mistero per l’uomo, e forse il mistero dei misteri. Chi è la donna per Brenna? Come stupendamente lui scrive, è rifugio, sofferenza, passione .. Valeria Zuntini Esiste un senso drammatico delle linee, esiste la consapevolezza di una triste, accorata distorsione del mondo ma tutto e’ addolcito da un notevole senso di spiritualità che scorre dipanandosi con estrema efficacia al di là di ogni elemento tradizionale. L’aspetto esistenziale, aderente alla vita dei nostri giorni, sfocia spesso in un accorato messaggio che è anche un accorato richiamo. Questo mondo, che è un mondo nuovo, si delinea come rifugio estremo, in una chiave poetica interiore che è spesso, l’inconscia trasformazione della realtà quotidiana che ci circonda. Sergio Tinaglia Recapito CARLO BRENNA VIA TONALE 7 20099 SESTO SAN GIOVANNI / MI Cell. 347 5988429

info@carlobrenna.it www.carlobrenna.it

In permanenza presso

LA TESTIMONE VELATA piazza N.Sauro 6° 20833 PAINA DI GIUSSANO/MB PROSSIMA MOSTRA 26/11/2011 “QUEL SOL CHE PRIA D’AMOR MI SCALDO’ IL PETTO” Dante e Carlo Brenna, un incontro -

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RECENSIONI

GIULIA FERRETTI

A cura di Barbara Vincenzi

UN GIOCO DI LINEE E COLORI Veneziana di nascita, Giulia Ferretti si trasferisce giovanissima a Pordenone dove attualmente vive e lavora nella sua casa immersa nella campagna friulana, sempre a contatto con i suoi amati animali, soggetti che ricorrono spesso nelle sue opere. Figlia di pittori, cresce a stretto contatto con cultura figurativa, diventando poi lei stessa protagonista con una sua personalissima produzione artistica. Il gioco, il fumetto e l’illustrazione, diventano campi che Giulia affronta, realizzando opere solari, immediate, create dal gioco sinuoso di eleganti linee nere che creano sagome sapientemente riempite dai colori brillanti e netti. La pittura della Ferretti riprende in parte il fenomeno della “cultura metropolitana” del graffitismo, che nelle sue opere perde le caratteristiche urbane, per elevarsi a vera e propria arte di atelier. L’artista interpreta ironicamente i suoi soggetti, divertendosi nel riproporre immagini serene e limpide: animali e buffi personaggi ci riportano immediatamente ai luoghi dell’infanzia, a ricordi mai sopiti, ma sempre vivi dentro noi. Giulia smaschera emozioni: fuori da regole prospettiche interviene con una pittura precisa che non lascia spazio ad indecisioni. Agli acrilici dati a tinte forti e piatte subentrano gli effetti luminosi del colore dati con bombolette spray, dove pochi ma efficaci tocchi creano movimento e luminosità con piccoli bagliori che entrano armonicamente nel suo fantastico mondo. I verdi pistacchio si uniscono a rosa accesi, agli azzurri e i cobalto, i gialli si accostano i rossi intensi, sposandosi tra eleganti linee che le incorniciano chiudendole in forme definite e ben delineate. Tematiche allegre, che sono viste dall’artista, con gli occhi di un bambino che con sguardo ingenuo si accosta all’arte, realizzando opere che ci catturano ci divertono, ci rasserenano. Il The delle cinque

Barbara Vincenzi

Neonato

Meme Pilly

Bikini rosa

contatti con l’artista www.giuliaferrettimicio.it

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Scarpette rosse


MAURO GOBBO

IL BUIO CHE LIBERA LA FIGURA

RECENSIONI

A cura di Barbara Vincenzi

Artista vicentino, da alcuni anni si è inserito con successo nel panorama artistico contemporaneo, ottenendo numerosi riconoscimenti in Germania e in Belgio. Il suo spiccato talento artistico, e la sua pennellata virtuosa e definita, lasciano spazio a intuizioni e rinnovate emozioni, tanto da non risultare mai freddo e accademico ma coinvolgente. Attraverso gli studi artistici si accosta giovanissimo all’arte. Inizia percorrendo diverse fasi, restando piacevolmente influenzato da numerosi influssi provenienti dalle correnti artistiche delle avanguardie storiche novecentesche. I molteplici studi dal vero lo conducono a privilegiare all’inizio le nature morte, per poi elaborarle e definirle attraverso nuove eimpegnate simbologie non sempre di facile lettura. La sua arte nel tempo si evolve: dai primi giovanili quadri astratti s’indirizza verso una ricerca attenta alla perfezione vicina all’iperrealismo, per poi superarla nuovamente. Passa attraverso tutte le fasi che spaziano dalla pittura simbolista al surrealismo, ispirandosi dapprima al Pointillisme di Seurat, e, giungendo in seguito attraverso gli spunti suggeritegli dalle opere di Chuck Close e di Richard Estes con il loro “international photorealist movement”, a nuova fase artistica attenta al vero, realizzando nel tempo, opere via via di maggiori dimensioni che privilegiano il corpo umano. Dopo le diverse sperimentazioni, come in un “Ritorno all’Ordine” si dedica al realismo della figura umana. Corpo che viene da Mauro Gobbo colto in molteplici inquadrature, in pose e movimenti, mai freddi e superficiali, che lasciano trapelare i diversi stati d’animo. Dolore, gioia, azione, sono raccontate dall’artista che, superando la semplice dimensione fotografica e iperrealista, la travalica per farsi interprete dell’animo umano e delle sue più intime emozioni. Nei suoi soggetti, il nero predomina, con toni di grigi e luci bianche che sono ottenute partendo unicamente dal nero che, Mauro con un’operazione in “togliere” aprono lo spazio buio liberando la figura già in esso contenuta: così l’artista dal nero totale ricava gradazioni e luminosità, i diversi i toni facendo emergere dal nero totale corpi ben definiti anatomicamente, ben impostati, equilibrati forti di un rigido rigore formale. I suoi corpi femminili o maschili escono dallo sfondo rilevandosi nella luce in una ricerca tesa verso l’interiorità, attenti alla sfera delle emozioni; corpi sensuali, tagli frontali, pose statiche e in movimento, che ferma un in istante: un pensiero, un luogo, una sensazione che è solo una parte di un universo più complesso. L’artista si limita all’uso di pochi colori, creando contrasti e sfumature, dove le tinte scure prevalgono verso un’attenzione evidente al lato più oscuro dell’essere, che Mauro non rivela mai completamente lasciando spazio all’interpretazione dello spettatore. Corpi colti nella nudità, vulnerabili, smascherati nel loro intimo, protesi altrove, assorti nei pensieri più profondi. Interessante l’ultima produzione in cui interviene anche con la materia, che “entra” in modo complementare al colore con effetti stranianti, ma sempre attenti all’equilibrio e all’armonia d’insieme. Nelle sue opere di grandi dimensioni, l’artista si appropria dello spazio, come luogo sulla tela, catturando ciò che già vede al suo interno. Mauro Gobbo, ama definirsi un “costruttore” che, attraverso un processo artistico edifica le sue opere. Nei suoi lavori nulla e lasciato al caso, ma studiato attraverso un’attenta e meticolosa ricerca artistica, un rigore dato dal disegno, per giungere alla scena finale che, come in un atto teatrale cerca il coinvolgimento dell’osservatore. Nudi femminili e maschili, giovani adolescenti, sono raccontate tramite un processo di rinnovata ricerca, che lo portano a sperimentare e a utilizzare diverse tecniche pittoriche: tempera, olio, acrilico, materiali poveri e di uso comune, riciclati nuovamente nelle sue molteplici espressioni artistiche. Opere volutamente senza un titolo, che vogliono dar spazio al pubblico di far “propria” l’opera in un’interpretazione che diventai più intima e soggettiva. Travalicando la semplice perfezione tecnica, i corpi rappresentati diventano messaggio intrinseco che ci conduce a riflettere, a entrare in contatto con il nostro io e le nostre emozioni più segrete: soggetti che ci svelano le debolezze e le fragilità del nostre essere. Barbara Vincenzi www.maurogobbo.com

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RECENSIONI

A cura di Barbara Vincenzi

FEDERICA NALIN

Specializzata presso il Politecnico di Torino, la produzione artistica di Federica Nalin si coniuga in maniera complementare con la sua professione di architetto: la sua formazione interviene nella costruzione dello spazio in un connubio di creatività e di rigorosa indagine di proporzioni e di equilibri. Forte di un assetto scenografico importante, tutte le sue rappresentazioni pittoriche sono giocate su netti e importanti tonalità di colore: il rosso, il nero, il blu e il bianco, si disegnano creando sfumature, profondità, rilievi e laghi respiri. In “Trittico” lo sfondo essenziale si esalta nella griglia di verticali e orizzontali, di linee nere e rosse che s’intersecano in giochi di grigi: lo sfondo accoglie in se, come in ventre, la figura umana nella sua interezza. La sua visione dell’uomo all’interno dello spazio è per contrappesi e stabilità; la figura è vista dall’artista come individuo nel suo essere totale prescindendo da caratteristiche femminili o maschili. Il corpo si erge come una scultura cercando la monumentalità tipica delle architetture. Energica la ricerca anatomica del corpo e dei suoi movimenti sempre attenta agli equilibri e sinergiche stabilità con lo spazio che la contiene. La figura si vibra nel suo divenire in un passaggio che plasma, crea i corpi, che si stagliano all’interno della rete di linee che s’incrociano, creando una spazialità profonda e neutra. Lo sfondo essenziale si grana all’interno della cornice sovrapposta, unico elemento tridimensionale, all’interno del quale il colore diventa più pastoso e materico in una amalgama quasi astratta. La cornice addossata all’opera dall’esterno crea un contatto con l’interno “sporcandolo”: il fuori contamina l’interno pulito e idealizzato. Due luoghi dunque: un dentro e un fuori. Due “mondi” separati dove le cornici si sovrappongono all’immagine creando disturbi percettivi: la parte della tela nel riquadro della cornice è inquinata dall’esterno, dal contatto con la realtà. L’esterno è dunque più inquietante, più mosso e confuso in netto distacco con la purezza e l’idealizzazione dell’interno della rappresentazione. Due luoghi: l’interno e l’esterno, l’idealizzazione e la realtà alla ricerca di un contatto tra i due spazi teso verso un equilibrio più alto. Barbara Vincenzi

Contatti: mail: the.fedart@gmail.com

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PASQUALE BRAVACCINO

RECENSIONI

A cura di Francesca Teresa Giffone

LA POETICA DELLA SEMPLICITA’ Il mondo artistico di Pasquale Bravaccino è popolato da colori, immagini e luci. Non ci 1. troviamo di fronte ad opere concepite attraverso una complicata costruzione spaziale, ma in un mondo sognante e quasi liquido, dove tutte le figure che l’artista inserisce sembrano fluttuare in un costante spazio sognante. Paesaggi dell’anima, facce amiche e semplici oggetti quotidiani, che si manifestano e si materializzano sulla tela. I colori sono squillanti e assolutamente innaturali, ma proprio per la carica tonale da loro espressa amplificano questa nostra percezione. Le opere di questo artista sono ingenue, nel senso più buono di questo termine, perchè sono genuine e nate da sentimenti sereni. A differenza di molte opere d’arte contemporanea, che ci obbligano a comprenderle, queste ci permettono di abbandonarci di volta in volta alla visione di un antico borgo adagiato sulle montagne, una cittadina attraversata da un sonnolento canale, la vista a volo d’uccello di un porticciuolo. Ma sono altresì presenti, nella produzione di Bravaccino improvvisazioni ed esplosioni di colori, che creano sulla tela non solo vivaci composizioni floreali ma veri e propri fuochi d’artificio che celano tra i filamenti figure ed emblemi simbolici; delle presenze magiche che comunque troveremo in tutta la produzione dell’artista. Indubbiamente importante per il nostro pittore è la natura e lo studio tonale, in particolare questo gli permette di esplorare passaggi cromatici fatti di tele monocrome che trattengono un colore caldo e solare. Un artista essenziale e di una semplicità eloquente che riesce a trasformare ogni scorcio in un’occasione di serena semplicità. BIOGRAFIA Artista autodidatta, Pasquale Bravaccino, ha partecipato nell’ultimo anno a due occasioni espositive: “Arte e cultura in Laguna” a Cavallino Treporti (Ve) e il premio Combat Galleria a Livorno. CONTATTI www.arteculturabravaccinopasquale.com pasqualino76@hotmail.it

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RECENSIONI

A cura di Renato Freddolini Docente di fotografia presso Ossidiana, centro culturale e di espressione. fred.renato@inwind.it ossidiana-time@tiscali.it

Coccolone mio - Carcere S. Biagio

Da “Storie Minime”

Coccolone mio - Carcere S. Biagio

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FOTOGRAFIA: APPUNTI (5) ANDREA LOMAZZI Andrea Lomazzi è vero fotografo: sa cogliere in ogni suo scatto il momento decisivo, illuminante, è sorretto da una sensibilità che gli consente di andare oltre la superficie, di penetrare, di indagare a fondo sulla natura del soggetto qualunque esso sia. Per questo si avvale della forma espressiva del bianco e nero che sviluppa e stampa da sé con maestria e creatività. Guardare e poi “vedere” fotograficamente, scegliere con sicurezza, dosare la luce quasi giocandovi con leggerezza sono le doti che gli consentono di “ fare “ una fotografia apparentemente semplice perché arriva con facilità all’essenziale e quindi all’occhio dell’osservatore, in realtà colta . Andrea Lomazzi è persona ricca, fotograficamente completa sia sul piano tecnico ( nella fotografia BN la “tecnica” è strettamente connessa all’espressività), sia sul piano della conoscenza storica e delle forme comunicative. Predilige il ritratto e la figura soprattutto quando essa è contestualizzata, realizza modo originale di reportage come in “Storie minime”, uno sguardo dentro alle quotidiane umanità in cui traspaiono al tempo stesso il tratto poetico ed una efficace forza narrativa. Questi stessi elementi sono presenti in “Coccolone mio”, lavoro di grande intensità sulle vecchie carceri di S. Biagio di Vicenza . In questo lavoro Andrea Lomazzi affronta il tema del dolore e della sofferenza dei tanti che hanno abitato le carceri, da una parte sottolineandone le loro tristi condizioni, dall’altra lasciando trasparire la speranza. Andrea Lomazzi vive e lavora a Vicenza. Numerose sono state le partecipazioni ad eventi espositivi, tra i quali alla Fiera di Milano nell’87, al Consolato di Francia di Milano nel 1989; in città presso la Stamperia d’arte Busato (1990), la Galleria Due ruote (1993), la Galleria Images (1997). Oltre ad avere collaborato a numerosi libri di architettura ed arte, tra i quali “Scamozzi a Vicenza: palazzo Trissino” di Barbieri e Saccardo. “Il restauro della Villa Thiene” di Andrea Palladio nel 1999, sede municipale di Quinto Vicentino; “La Torre Bissara di Vicenza tra antica memoria e nuova percezione”; (2002) la “Guida di Vicenza” di Barbieri e Cevese (2005) ha realizzato alcuni calendari di Vicenza, commissionati dalla Banca Popolare di Vicenza (1990), Società Fascina Leasing, Images e Galla (1999 – 2003) e dalla Biblioteca civica Bertoliana (2008) E’ stato per alcuni anni fotografo di scena di Scuole di Danza della Provincia di Vicenza. Dopo avere frequentato gli stages del maestro del Bianco & Nero Roberto Salbitani, ha tenuto numerosi corsi di fotografia, in particolare di camera oscura e ritratto, di su incarico di vari Comuni e di associazioni culturali, organizzando anche le relative mostre di fine corso. E’ segnalato nell’edizione 1996 di Art Diary Italia (Edizioni Flash Arte di Milano). Sue fotografie sono conservate presso il Musée de la Photographie “Nicephore Niepce” di Chalon sur Saone – France. Andrea Lomazzi - Via IV Novembre 43 – Vicenza 0444 514715 – 3473677092 E mail: andrea.lomazzi@katamail.com

Da “Storie minime”


CONSERVATORIO ARRIGO PEDROLLO

RECENSIONI

A cura di Anna Maria Ronchin

UN CONSERVATORIO ALL’AVANGUARDIA

MUSICA A VICENZA Il Conservatorio di Musica di Vicenza è nato dalla trasformazione della scuola di musica F. Canneti fondata nel 1867, ha sede nel prestigioso complesso architettonico dell’ ex Monastero di San Domenico, dagli inizi degli anni ’80 del secolo scorso. Nei suoi spazi, recentemente restaurati secondo i parametri più avanzati dell’acustica, si sviluppa e cresce l’alta formazione musicale con due corsi all’avanguardia, quello del Dipartimento di Musica Antica e il Corso di Diploma Accademico in Tradizioni Musicali Extraeuropee ad indirizzo indologico. Il Direttore Maestro Enrico Pisa nutre grandi speranze per il futuro del Conservatorio, in cui i corsi ex-ordinamentali, istituiti per regio decreto del 1930, coesistono con i corsi sperimentali, che sono ad esaurimento. La difficile fase di transizione è stata inaugurata dalla legge 508 del 1999, che con i successivi decreti attuativi, dal 2003 ad oggi, lentamente trasforma i Conservatori d’Italia in Istituti d’Alta Cultura, con corsi di I livello, paralleli alla Laurea triennale, e di II livello , equivalenti alla Laurea Magistrale. Il Maestro Enrico Pisa, in carica da un anno, conferma il ruolo assunto dall’istituzione che dirige nel potenziare l’alta formazione musicale, ospitando docenti di fama nazionale ed internazionale per stages e master class, sottolinea peraltro la specificità della ricerca del Conservatorio di Vicenza nei settori della musica antica ed indiana. Il Dipartimento di Musica Antica comprende dieci corsi di I e II livello, dal liuto del Maestro Stone Terrell Vincent, al clarinetto storico, dall’oboe barocco e alla tromba rinascimentale. Il Corso di Diploma Accademico in Tradizioni musicali Extraeuropee, ad indirizzo indologico, concepito dal M° Enrico Anselmi, ha ottenuto l’autorizzazione del Ministero dell’Università nel 1999 e rappresenta un’esperienza unica nel panorama degli studi musicali in Italia ed in Europa, comparabile solo all’HMD-World Music Section di Rotterdam. Il Corso Indologico guida i discenti nella definizione degli ambiti della ricerca, superando i concetti di ‘esotismo’ ed di dilettantismo che hanno finora caratterizzato il settore d’indagine. Il corso accademico nelle intenzioni del suo fondatore era aperto a più indirizzi musicali extraeuropei, attualmente è attivo quello indologico con corsi significativi come il Sitar del Maestro Guido Schiraldi e il Bansuri del Maestro Lorenzo Squillari che assicurano la formazione degli allievi secondo criteri interdisciplinari e coniugano lo studio teorico e pratico della musica indiana con lo studio della storia e della lingua sanscrita Maestro Roberto Perinu e della lingua hindi Maestro Monia Marchetto. Per l’alta professionalità del Corso Accademico ad indirizzo indologico, il Conservatorio di Vicenza collabora con l’Istituto di Studi Musicali Comparati della Fondazione G.Cini di Venezia. con l’obiettivo di reintegrare la musica tradizionale sia nelle comunità indiane sia nel contesto locale. Il Direttore del Conservatorio “Arrigo Pedrollo” ribadisce l’impegno profuso per ampliare l’offerta formativa musicale, non solo con dimostrazioni e spettacoli per sensibilizzare i ragazzi delle scuole elementari e medie, ma anche con corsi pre-accademici, che garantiscono il rapporto con le giovani generazioni e che vengono realizzati in parallelo alle 26 medie ad indirizzo musicale di Vicenza e provincia, una percentuale così alta da essere l’unica in Italia. A tutti i corsi di Primo livello si accede con il diploma di maturità, e in conseguenza dell’ampliamento dell’offerta formativa dal 2005 è consentita la frequenza dei diversi corsi musicali liberi a tutti quei cittadini che ritengano utile lo studio della musica, anche se non hanno una preparazione specifica, senza avere vincoli d’esami finali.

Per informazioni:

Conservatorio di Musica “Arrigo Pedrollo” di Vicenza Contrà S. Domenico 33 - 36100 Vicenza Tel: 0444-507551 (segreteria didattica) Website: www.consvi.org e-mail: didattica@conservatoriodivicenza.it

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MUSEI

A cura di Laura Leone

PALAZZO LEONI MONTANARI Vicenza, città bellissima, vanta un’immagine storica piena di emozioni. Il centro storico è un teatro a cielo aperto e ogni quartiere presenta edifici monumentali che si accostano tra loro per ricordare la stratificazione storica di stili gotici, veneziani, rinascimentali e barocchi. La visione d’insieme suscita forti suggestioni: mura fortificate, palazzi, piazze e spazi aperti sono stati riqualificati nel corso del tempo e restituiti alla città come preziosi gioielli. Palazzo Leoni Montanari, racchiuso tra contrà Santa Corona e la stradella di Santo Stefano, è uno tra i gioielli più significativi di stile barocco vicentino che si accosta alle tendenze artistiche e architettoniche nazionali seicentesche e principalmente all’area lombarda. Il vero linguaggio pittorico e stilistico viene letto sui soffitti delle sale e delle scale interne dove le libertà compositive e i ricercati intrecci di fantasie pittoriche, tra mitologia e ambienti naturali, offrono uno scenario raffinato. Le sale espongono visioni stravaganti di architetture e sorprendenti composizioni scultoree che si compenetrano le une con le altre dando vita a movimenti naturali e figurativi in spazi indefiniti. La tecnica innovativa è il saper irrompere le regole accademiche per dar vita ad una libertà di spirito e abbandonare la visione geometrica rinascimentale per abbracciare il nuovo gioco dell’illusionismo prospettico, ricco di mirabili finzioni pittoriche tra vero e falso e artificiose composizioni figurative dai toni capricciosi e ironici tanto amati dalla sfera aristocratica ed intellettuale del tempo. L’architettura esterna del palazzo non presenta frondosità architettoniche come da consuetudine barocca, al contrario sfoggia forme e stili contenuti in una lettura architettonica tardo rinascimentale. All’interno della corte sono visibili le facciate dei due blocchi monumentali che riflettono le monumentalità di architetture differenti: il primo blocco rappresenta al piano terra un solido bugnato dalla facciata lineare con finestre squadrate, al piano secondo la facciata si presenta lineare con finestre che si diversificano stilisticamente, pur mantenendo il rigore geometrico, e al primo piano si svolge la ritmica sequenza di balaustre con porte- finestre suggellate da timpani e lunette che indicano lo sfarzoso appartamento nobile della famiglia Leoni- Montanari e la lettura evidente dell’autorevole rango sociale. Il secondo blocco è la Loggia d’Ercole considerata la più sontuosa ed elaborata architettura barocca. Il vasto complesso architettonico passa in proprietà nel 1808 a Girolamo Egidio di Velo, seguono gli illustri proprietari Anselmi, Massari ed infine viene venduto alla Banca Cattolica del Veneto nel 1908, ora Banca Intesa che espone orgogliosamente le vaste raccolte di opere d’arte e la pregevole collezione di Icone Russe, considerata “…la più importante dell’Europa occidentale”. La famiglia Leoni Montanari e il Palazzo Bernardino Montanari è l’artefice della fortuna economica della famiglia che sin dalle origini si identifica nel mondo commerciale di stoffe, artigianato e produttivo tessile. Egli acquista nel 1632 appezzamenti di terreno con case prospicienti al Monastero di Santa Corona, racchiuso dalle contrade della Pozza e Santo Stefano, e dà inizio ad una lenta ma preziosa fase di riqualificazione dell’area con lavori di ristrutturazione degli edifici esistenti, meritevoli di interventi, per realizzare l’abitazione e i luoghi destinati alla produzione tessile. Alla sua morte l’eredità viene raccolta dal nipote Giovanni Leoni Montanari, abile mercante che acquista, dopo esplicita ed insistente richiesta di essere incluso nel registro dei nobili vicentini, il titolo nobiliare nel 1676. Inizia così la corsa al prestigio della casata e all’affermazione dell’ impero economico. La prima fase di ricostruzione inizia nel 1684 con la realizzazione della Loggia d’Ercole e in breve tempo completa l’ampliamento nel 1688 in forma angolare che si chiude nel monumentale palazzo di contrà Santa Corona. Il palazzo internamente è l’esempio caratteristico del barocco il cui virtuosismo tecnico e stilistico è in linea con la tradizione nazionale ed europea, finalizzata alla stupefazione attraverso le ricerche scenografiche e teatrali. La facciata esterna del complesso architettonico è avvolta da una luce che scorre con delicatezza sulla superficie come se volesse modulare le modeste sporgenze delle cornici delle finestre e le rientranze dei pilastri del piano nobile. Sul vasto piazzale interno si

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VICENZA

affacciano la Loggia di Ercole (1684) e il restante ampliamento (1688), il cui fronte è prospiciente a contrà Santa Corona. Sono due tipologie che si contrastano per proporre soluzioni di linee e curve dal carattere rinascimentale e barocco le cui bozze progettuali, in mancanza di informazioni certe, sono attribuite a Baldassarre Longhena, ospite a Vicenza, ma rimaneggiate da Carlo Borrella in un virtuosismo scamozziano. La paternità progettuale della Loggia d’Ercole, bugnata con erme virili barbute, draghi alati, stucchi zoomorfi e ritratti di imperiali romani, è attribuita alle maestranze lombarde dell’architetto Giuseppe Marchi, tradotte dallo stesso con caratteri locali. Le influenze lombarde e veneziane diventano un riferimento architettonico non determinante nella cultura vicentina, ma significativa per progettare nuove soluzioni eclettiche. Le pareti interne presentano delicate decorazioni scultoree dove gli artisti esprimono liberamente contenuti naturali, mitologici, eroici e soprattutto simbolici legati alle origini della famiglia Leoni Montanari. L’ultimo ventennio del Seicento vede ultimati i lavori di ristrutturazione degli ambienti e completati con decorazioni dagli stuccatori Andrea Paraca nel 1680, Giacomo e Orazio dal Pozzo, Angelo Marinali, Ludovico Lorigny e da vari artisti impegnati al realizzo di affreschi diretti da Giuseppe Alberti che viene ricordato per aver affrescato il soffitto della Sala di Apollo. La stessa divinità è presente più volte in composizioni pittoriche e scultoree, come la facciata esterna della

Loggia d’Ercole, forse per ricordare la forte dedizione della famiglia all’arte. La figura di Ercole rappresenta il simbolo della virtù, rafforza il ricordo delle umili origini della stirpe e la forte determinazione di emergere economicamente e socialmente da una condizione modesta per conquistare meriti e titoli nobiliari al tempo insperati. Altri simboli di appartenenza realizzati e illustrati più volte con disinvoltura all’interno del complesso architettonico e all’esterno della Loggia di Ercole sono l’aquila e il leone , legati ai nomi della famiglia, e Mercurio, divinità protettrice dei mercanti. Le sale caratterizzanti sono al piano nobile dove il “Salone d’Apollo” è l’ambiente aulico ed elegante conclusosi con eccellenti sovrapposizioni pittoriche nel periodo neoclassico, pur conservando gli affreschi di Giuseppe Alberti del Tardo Barocco, dedicati al dio Apollo: Il trionfo, Apollo e Diana, Apollo che fa crescere le orecchie d’asino a Mida. A questi affreschi, racchiusi da conici raffinate, si accostano altre storie legate ad Apollo: Apollo e Dafne, Apollo e il serpente Pitone, Apollo e Marsia e Apollo citaredo. Le scelte culturali dei committenti recuperano contenuti e iconografie mitologiche che derivano dai poemi greci, come l’Iliade, di conseguenza si deduce la dedizione all’arte della famiglia e l’interesse di condividere e intrecciare gli stessi interessi con altri ambienti culturali frequentati da persone dotte ed educate del mondo aristocratico. La tendenza culturale prosegue quella cinquecentesca che ha visto sul territorio nazionale molti collezionisti aprire raccolte di oggetti antichi, statue, immagini architettoniche

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MUSEI

dalle modanature ricercate, libri e testi antichi, monete e ceramiche per ricercare nuovi stimoli di “belle maniere”. La propensione al recupero archeologico è parallelo alla cultura letteraria classica e al mondo ellenistico, pertanto la tradizione che ha coinvolto la corte pontificia di papa Giulio II e Paolo III Farnese a Roma prosegue con maggiore attenzione nel corso del Seicento. I due pontificati si sono distinti per le vaste collezioni che hanno acquistato: la statua di Apollo citaredo, Ercole, Venere, Afrodite Cnidia, Laocoonte ed altre opere scultoree rinomate divenute esempi di riferimento per riscoprire nuove realtà del passato, per integrare piacevolmente l’antico con il moderno e per riprogettare nuove soluzioni nel campo artistico e architettonico. L’area veneta barocca è influenzata dalla febbre del collezionismo, ma Venezia è considerata il polo culturale di collegamento tra il Nord e il Sud Italia e mantiene forti contatti con altri stati europei, tra cui la Germania. Gli intellettuali veneziani acquistano molte opere, da diverse città italiane ed estere, per aggiornarsi sulle nuove culture e tradizioni: rilievi archeologici, stampe, disegni e dipinti di mondi idilliaci e fantastici, xilografie e incisioni e pitture dalle combinazioni di colori con effetti alchemici, pertanto la stirpe dei Leoni Montanari e le personalità autorevoli vicentine si affiancano con entusiasmo alle innovazioni perché in questa scelta ricercata identificano il loro stile, la fermezza della casata e la solidità sociale. Altre sale del palazzo di maggiore attrazione figurativa e simbolica illustrano l’archeologia dell’antica Roma nella Sala Pompeiana e nella Sala dei Quattro Continenti dove sono visibili i racconti di viaggi, scoperte di nuovi mondi e imprese gloriose legate all’America, Africa, Asia ed Europa, affrescati da Dorigny. Quattro statue allegoriche, a coronamento della preziosa sala, vogliono attribuire i significati simbolici alla civiltà europea: Sapienza, Concordia, Eloquenza e Considerazione, mentre le pareti, per sostenere la visione universale dei luoghi, espongono le opere pittoriche di Pietro Longhi, artista ricordato per aver realizzato gli scorci paesaggistici e architettonici di Venezia, dalle capricciose vedute sui canali e piazze vivacizzate dai toni

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coloristici reali, fantasiosi e talvolta azzardati. La tecnica è tipica dei vedutisti veneziani, condivisa nelle altre esposizioni pittoriche di Canaletto, Guardi e Carlearijs nel Settecento. La Galleria della Verità, affrescata da Giuseppe Alberti, è contraddistinta da rilievi e stucchi fortemente aggettanti, da superfici ispirate ai motivi floreali, conchiglie, foglie, volute e drappeggi scenografici per simulare le quinte teatrali spesso accompagnate da tonalità gialle alchemiche capaci di generare effetti dorati. I contenuti pittorici descrivono le sette fatiche di Ercole, ad opera di Dorigny, i cui significati simbolici rimandano alle origini umili della famiglia e le loro “fatiche” esercitate per conquistare titoli, benessere e rispettabilità in un ambiente sociale a loro alquanto ostile. L’ultimo ambiente dell’antica abitazione dei Leoni Montanari è la Quadreria, luogo comprensivo di attività commerciali e residenziali ristrutturato dall’architetto Miglioranza nel corso dell’Ottocento di cui, tra i molti interventi progettuali effettuati, si vede nel cortile interno il disegno geometrico a terra del ciottolato, la realizzazione in ferro battuto del parapetto dietro la nicchia di Apollo, il sontuoso portone principale d’ingresso su Santa Corona, l’elegante composizione ritmata da geometrie della ringhiera posta al primo piano della Loggia e le porte in ferro battuto poste all’inizio dello Scalone. Il palazzo Leoni Montanari è la massima rappresentazione dell’architettura barocca che unisce in armonia vari stili pittorici e compositivi per comunicare un nuovo linguaggio emotivo che si libera dai vincoli accademici per allargare la visione spaziale da una dimensione reale a intuitiva e da una percezioni illusionistica a spettacolare. E’ la caratteristica peculiare del momento: usare le leggi prospettiche per moltiplicare i punti di vista e non per unificarli come l’esperienza rinascimentale. Il fascino del palazzo è saper leggere il movimento di dilatazione e di contrazione che unisce tutti gli elementi spaziali per intrecciarli d’ incanto gli uni con gli altri, per suggerire il senso di unità e disgregazione, di finito e infinito e di estensione dello spazio indefinito e universale, concetto già espresso matematicamente dalle teorie di Galileo Galilei nel 1632 nell’opera “Il dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano”.



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Pavimenti alla veneziana: un’opera unica e irripetibile

Il pavimento alla veneziana nasce dal gesto dell’artigiano nel posare l’uno dopo l’altro un frammento di pietra di forma e colore diversi. La ditta Sgarbossa Dino e Figli utilizza fin dal 1961 una tecnica costruttiva che si rifà a quella dei tempi antichi, quella veneta del “fresco su fresco”: nell’arco di 24 ore si completa la realizzazione del pavimento, in modo da evitare fessurazioni. L’infinita varietà di quest’arte consente un ampio ventaglio di scelte, sia classiche che moderne.

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