Inviati speciali in pace e in guerra

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Franco La Guidara

Siciliano, nato nella terra delle zagare e dei Ciclopi, fra le soleggiate contrade di Verga e Pirandello, fu scrittore autentico: dopo essere stato inviato speciale corrispondente di decine di quotidiani (aveva intervistato anche Gagarin l’uomo che ha conquistato per primo lo spazio), egli dedicò la sua vita all’arte e alla cultura. E non si curò dei giochi di potere che pure spingevano avanti autori di libri che La Guidara usava chiamare romanzetti d’appendice. Ma l’ansia di successo non faceva parte dell’animo nobile e sensibile di Franco La Guidara, che fu un vero gentiluomo nella vita come nell’arte. Egli sapeva bene che solo dopo la sua scomparsa, quando non avrebbero più avuto ragione di esistere l’ostracismo dei mediocri e degli ipocriti, sarebbero stati affermati ad alta voce i tesori umani e letterari ivi contenuti. La sua scelta di indipendenza, Franco La Guidara la compì nel lontano 1958, quando pubblicò con la sua casa editrice il suo primo volume, il documentario sulla Lapponia «Icebergs». Da allora egli continuò a svolgere il doppio ruolo di editore e scritto-

re, sacrificando la grande fama e il denaro che avrebbe potuto ricavare da un immediato successo alla libertà di poter narrare ai suoi lettori quanto scaturiva dal suo cuore e non quanto gli ordini editoriali richiedevano. Uomo dai valori saldi e autentici, Franco La Guidara non concepiva la mentalità che faceva della letteratura un affare commerciale. I lettori che lo conoscevano attendevano con ansia le sue nuove produzioni letterarie, perché dense di amore, di speranza, di fiducia sulla palingenesi dell’uomo. E per i suoi lettori, e per


i posteri, La Guidara componeva, insonne, inappagato, inquieto, scavando infaticabilmente nei recessi segreti dei moti esistenziali. I suoi romanzi erano epici e corali: da Furore in Russia a Ballata Siciliana, da La notte del Falco a Il Porto delle Ambizioni, egli creò un proprio stile, stilistico e contenutistico, arricchendo il verismo verghiano di una manzoniana speranza e dell’acutezza descrittiva di Victor Hugo e Balzac. Nelle sue liriche, Albori d’Africa e Odissea ’43 nella steppa russa, La Guidara diventò omerico cantore di umane tragedie immedesimandosi con il dolore di interi popoli per poi tornare giornalista attento e obiettivo nei documentari storici come Ritorniamo sul Don fino all’ultima battaglia e 25 Anni Caldi. Uno scrittore a tutto tondo, dunque, Franco La Guidara, che negli ultimi anni di vita si era dedicato anche alla pittura ricreando con il pennello gli scenari apocalittici e pregni di umani sentimenti e valori dei suoi romanzi. Ma, soprattutto, egli fu un uomo che coraggiosamente rinunciò ai giochi di potere che lo avrebbero innalzato nel fatuo Olimpo delle acclamazioni imme-

diate. Pur non essendo un estimatore dell’arte per l’arte, perché egli permeò ogni sua opera di intensi significati e messaggi etico-sociali, Franco La Guidara fu profondamente convinto del valore della cultura pura, di quella cultura, cioè, che non si intreccia con la managerialità editoriale, con i talk-shows e i salotti televisivi, o con le caterve di carta stampata che si alternano sui banconi dei librai con cadenze sempre più frequenti e che vi rimangono per pochi giorni. Egli credeva nella durevolezza del capolavoro letterario, immerso nella propria epoca e di questa rappresentativo, ma capace di avvincere anche i lettori di domani. Lo scotto che Franco La Guidara ha pagato per volere essere uno spirito anticonformista fedele solo a se stesso è stato alto: novello Ulisse, egli ha combattuto con le sue forze contro una ciclopica editoria. Ha perso? Diremmo di no. Perché ha pubblicato libri che sono destinati a diventare dei classici e ad arricchire concretamente il bagaglio letterario del nostro tempo.


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