Fino a Stoccolma su 2 ruote di Fiammetta La Guidara

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Fino a Stoccolma su 2 ruote Fiammetta La Guidara

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Una notizia inaspettata

È una giornata di marzo fredda e piovosa quando arriva la lettera del mio amico Claus che mi annuncia il suo matrimonio per il prossimo agosto nella città di Aalborg, nell’estremo nord della Danimarca. Impossibile mancare. Claus è un fratello per me, lo conosco da quando avevo tredici anni. A quell’epoca ci scambiavamo lunghe lettere: io, che soffrivo perché non riuscivo a convincere mio padre a comprarmi la prima moto, e lui che a vent’anni già abitava da solo, lavorava, sapeva mille cose della vita e aveva tante moto, tutte da cross, con cui faceva anche delle gare. In breve ci adottammo: “big brother” e “little sister”. Oggi ci scambiamo sì e no qualche e-mail telegrafica, ma ci lega un grande affetto. Siamo cresciuti insieme, anche se a duemila chilometri di distanza. E pensare che ci siamo incontrati per la prima volta solo un anno fa, quando è venuto a Roma con la sua ragazza «definitiva». In moto, naturalmente. Ma non cross. E ora che tocca a me ricambiare la visita, anch’io vorrei andare in moto. Probabile compagna di viaggio: mia madre, che per Claus nutre una gran simpatia e da il merito della mia sopravvivenza sulle due ruote ai suoi insegnamenti. (E non a torto: descrivendomi le sue esperienze e… i suoi incidenti, Claus mi ha trasmesso una saggezza tutta scandinava, stemperando la mia naturale irruenza). E infatti la risposta di mia madre è positiva. Sapendo che ama viaggiare, non avevo dubbi che avrebbe colto al volo l’occasione di una «scappata» in Danimarca. Non abbiamo mai fatto viaggi così lunghi su due ruote. Un po’ preoccupata per il maltempo che incontreremo, le propongo altre alternative (auto, camper, aereo…) ma tutte cadono nel vuoto. Neanche la possibilità di pioggia la spaventa. È deciso: andremo in moto. E non solo in Danimarca: mia madre punta decisa verso il cassetto che contiene le carte stradali e trova quella che la guidò per la prima volta in Scandinavia, insieme a mio padre che era giornalista. Spiegata la cartina sul tavolo, l’itinerario 2

presto fatto: per andare in Danimarca “passeremo” da Stoccolma. Inutile osservare che la Svezia è fuori rotta: mia madre ha deciso che una volta “lassù” sarebbe un peccato non allungare un po’ e tornare nella capitale svedese, che evidentemente le è rimasta nel cuore.

I giorni corrono e siamo già a luglio. Dobbiamo partire se vogliamo che il nostro itinerario «passi» anche da Stoccolma. È tempo di pensare all’equipaggiamento. Per l’abbigliamento opto per Spidi, che mi è simpatica per l’attenzione che rivolge alle motocicliste creando modelli dedicati, anche se alla fine la Spidi mi manderà capi unisex molto tecnici: le giacche Ergo 365 in cordura con membrana antipioggia e antivento in H2 Out (un tessuto alternativo al Goretex ma ugualmente impermeabile) e pantaloni dello stesso tipo per me e semplici antipioggia (ma con imbottitura estraibile) per mia madre, che come passeggera è meno esposta al freddo. Anche per i guanti puntiamo su Spidi: impermeabili, con un’imbottitura felpata estraibile che sarà molto utile al Nord. Agli stivali preferiamo le scarpe, anche perché partiamo in estate piena. Quelle della Alpinestars sembrano delle normali scarpe di gomma e invece sono in Goretex. Comode, leggere, persino eleganti, tutte nere come sono. Le sposiamo senza dubbio. Passiamo ai bagagli. La Ama Sport fabbrica borse laterali e zainetti Kangaroo’s in un bel nylon grigio perla che si adattano a meraviglia al rosso della CB 500. La classe non è acqua: vada per le borse della Ama, anche se non sembrano troppo capienti. Le borse laterali hanno una capacità di 39 litri, e altrettanta ne hanno i due zaini-borse da serbatoio. Però è un bel set da viaggio. E all’interno hanno una sacca impermeabile che ci rassicura sulla tenuta stagna. Adottiamo anche due borse da serbatoio di due dimensioni diverse, entrambe utilizzabili come zaini. Manca ancora qualcosa… ma sì, il bauletto! Mia madre lo “pretende” per non avere la sensazione di cadere all’indietro ogni volta che parto o allungo. E sia, almeno potrò adottare una guida sportiva!


È bene che sia grande questo bauletto. La Givi ne fa uno, elegante e aerodinamico. Sarà il nostro secondo passeggero! Ora mancano solo dei caschi “speciali”. Uno me lo darà il mio amico Alessandro Gramigni, l’ex campione del mondo della 125. Me l’ha promesso appena gli ho raccontato che avrei portato mia madre in moto fino a Stoccolma. Fortuna che abbiamo la stessa misura (la XS). Per l’altro casco chiedo agli amici del Motoclub Firenze: li incontro spesso durante le gare nazionali di velocità, ed è nata una simpatia reciproca. In fondo siamo quasi conterranei, dato che mia madre è fiorentina. Telefono a Mauro Zecchi – ex sidecarista e rappresentante dei piloti in Federazione – che mi dice di passare in sede a prendere un casco Premier, di quelli che vengono dati in premio ai piloti del Trofeo Esso, organizzato per l’appunto del sodalizio toscano. Il giorno prima di partire è dedicato agli ultimi preparativi: andare a prendere la moto alla Honda Italia, acquistare i rullini per le foto e… preparare i bagagli! Cosa non facile, visto che alle quattro del mattino sto ancora sudando sette camicie! Il problema maggiore è costituito dal regalo per il matrimonio di Claus: una macchina elettrica per il caffè e il cappuccino. Un regalo ingombrante ma Claus e Ann l’hanno adoperata a casa mia, si sono domandati come avrebbero fatto a sopravvivere in

Danimarca, senza un bel cappuccino schiumoso ogni mattina. Dopo qualche ora di tentativi, la macchinetta viene tolta dalla sua scatola e infilata nello zaino. E finalmente si va a dormire, anche se per poche ore. Si parte

Roma-Firenze-Calenzano-Milano km 720 Alle nove sono già dall’altra parte della città, all’officina del pilota della Supertwins Marco Tamantini, che è il mio meccanico ma anche il mio migliore amico: lo coinvolgo nel montaggio del bauletto. Quando torno a casa il telefono continua a squillare per questioni di lavoro: proprio non ne vogliono sapere di mandarmi in vacanza. Eppure è il 28 luglio. Basta! lascio inserita la segreteria e inizio a caricare la moto. Alle due del pomeriggio siamo finalmente pronte. Inforco la CB e… quanto è pesante! Mantenere l’equilibrio alle basse velocità è faticoso. Faccio il giro dell’isolato e torno indietro. Parola d’ordine: alleggerirsi! Lasciamo le guide turistiche e qualche pullover e indossiamo subito le Alpinestars abbandonando i sandali. Ora si parte davvero. Sono le tre del pomeriggio e fa un caldo bestia… Fortuna che andiamo verso nord. Come immaginavo, la moto – che guido solo da un giorno – si comporta nel migliore dei modi: dopo aver bilanciato il peso dei baga-

La prima tappa è Firenze, dove ci aspettano Renzo Chiarelli e Mauro Zecchi per la «consegna ufficiale» del casco Premier, nella colorazione racing giallo e nero. In cambio fotograferò la scritta «Esso» con la Sirenetta di Copenaghen. 3


gli è tornata ad essere maneggevolissima, persino leggera nelle manovre da ferma, per via della ridotta altezza della sella. La posizione di guida non è stancante e il cupolino fa bene il suo dovere. Nel traffico della Roma-Milano non ho modo di saggiare le qualità velocistiche del monocilindrico che la anima, però sento che nei frequenti sorpassi lo scatto e l’allungo sono più che soddisfacenti, considerando anche che siamo in due e a pieno carico.

Alle dieci di sera siamo ancora a Calenzano, a pochi chilometri da Firenze, dove ci aspetta un altro casco, quello di Alex Gramigni, che è in giro a provare, ma ha lasciato il personalizzatissimo Bell al ristorante del suo amico Leandro Becheroni, che è stato un protagonista del motociclismo e che negli anni Ottanta ha conquistato quattro titoli nazionali e uno europeo nella classe 500. Una pizza e si riparte alle undici e mezza, con arrivo all’albergo di Milano alle tre passate.

Milano-Basilea km 370 Fa un caldo feroce e inforchiamo subito la Milano-Chiasso sperando di rinfrescarci un po’ verso le Alpi. È il 29 luglio, uno dei giorni più critici per l’esodo, e mentre ci avviciniamo alla frontiera incontriamo auto incolonnate per chilometri e chilometri. Sotto il casco Premier, mia madre gongola perché siamo non su un qualsiasi mezzo a quattro ruote, a sciropparci la fila sotto il sole. Ma c’è poco da rallegrarsi… raggiunta la Svizzera il sole scompare drasticamente per far posto a degli inquietanti nembi scuri. Alle quattro divoriamo un’insalata in piedi in un’area di servizio talmente ricca di negozi che assomiglia ad un grande centro commerciale, e poi attraversiamo il traforo del San Gottardo. Il traffico scorre molto lentamente, fino a fermarsi. Dev’esserci stato un incidente. Rispettiamo il divieto di sorpasso, anche perché l’unica carreggiata è molto stretta, e intanto ci facciamo un’idea di quello che dev’essere l’inferno di Dante: sotto il gigantesco tunnel l’aria è irrespirabile e rovente e anche tenere abbassata la visiera del casco serve a poco. Ogni metro sembra interminabile. 4

Finalmente superiamo il blocco (era uno scontro frontale), e poco dopo intravediamo l’uscita. Di nuovo all’aperto, ci sembra di essere in pieno inverno: su questo versante della montagna diluvia e fa freddo. Indossiamo l’imbottitura e i pantaloni antipioggia e continuiamo, riducendo la velocità a 110120 km/h. Siamo circondate da montagne alte più di tremila metri di cui non si vedono neanche le cime, avvolte nelle nebbie: un paesaggio affascinante, ma che ci lascia presagire che il cattivo tempo continuerà. All’altezza di Lucerna, infatti, la pioggia è fortissima e ci impedisce di ammirare il lago che costeggia l’autostrada sulla nostra destra. Sotto il diluvio, per la prima volta mi chiedo se ho fatto bene a condurre mia madre con me: in due giorni di viaggio abbiamo dormito pochissimo, abbiamo mangiato male e adesso non sappiamo dove ripararci. Lei, però, con mia somma meraviglia, non batte ciglio e si limita ad osservare che le giacche e le scarpe funzionano davvero contro la pioggia, mentre i guanti sono zuppi. Incontriamo un paio di stazioni di servizio dotate di motel che, però, sono tutti al completo. Intanto la pioggia diminuisce. Proseguiamo fino a Basilea e quando entriamo nella città sono già le nove di sera. Puntiamo nei pressi della stazione, che di solito è una zona alberghiera in ogni Paese. I prezzi, però, sono proibitivi: per pernottare ci chiedono oltre 200 marchi. Uno degli albergatori ci suggerisce di uscire da Basilea e ci indica una pensione in un paese vicino. Siamo stanchissime e bagnate fino al midollo, ma decidiamo di ripartire. Attraversiamo il confine con la Germania senza scattare la foto di rito («piove»,«fa freddo»,«non c’è luce a sufficienza») e a pochi metri arriviamo all’uscita per Eimeldingen. Trovata la pensione Lowen, che in realtà è una bella locanda accogliente, scopriamo che la camera costa solo 100 marchi compresa la prima colazione: la metà che a Basilea, e in un posto molto, molto più caratteristico. Decisamente, valeva la pena fare qualche chilometro in più. Ci dicono che è tardi per cenare, ma per non mandarci a letto a stomaco vuoto ci danno un congruo anticipo


La mia moto è una Suzuki DR 650 RSE: sella stretta e un po’ dura, ruote dentate, poco posto per i bagagli, tranne il bauletto. E un cuore monocilindrico che batte già da quasi quarantamila chilometri. Mi porterà fino a Stoccolma? Ma il budget per una nuova moto scarseggia. Ma se trasformassi quest’avventura in un viaggio di lavoro, potrei chiedere una moto in prestito. Mi rivolgo ad un amico di vecchia data, Carlo Sabbatini che è «pierre» a Honda Italia. La risposta è positiva: mi affiderà una CB 500 S rossa. Quanto a comodità e robustezza mi sembra

l’ideale per un così lungo viaggio: non potrei chiedere di meglio!

Seconda tappa a Milano. Facciamo colazione con il nostro amico (e direttore di una rivista di trasporti) Giuseppe Guzzardi, che ci scatta la foto ricordo davanti alla stazione di Milano. In basso: Ci lasciamo il sole e il San Gottardo alle spalle.


sui biscotti della colazione. In compenso la camera è bella, tutta rivestita in legno, è calda e soprattutto… asciutta! Inizia il rito della “svestizione” e del controllo dei bagagli, che ripeteremo ogni sera. Con sommo stupore, aprendo le borse della AMA Sport, che hanno cambiato colore tanto sono inzuppate, ci accorgiamo che i vestiti sono rimasti all’asciutto. Stendiamo giacche, pantaloni e guanti vicino al termosifone (che è acceso anche se siamo in luglio!), ci infiliamo sotto i tipici piumoni del NordEuropa e in un attimo il sonno ci rapisce. Basilea-Strasburgo-Goettingen km 650 L’indomani ci aspetta una colazione superba: in un salone intimo e accogliente, con le tovaglie a quadri, le tendine alle finestre, bei soprammobili in ceramica e tanti, tanti fiori. E una tavola riccamente imbandita: uova sode, frittata, formaggi, affettati, pane al burro e ai cereali, torte e crostate, macedonia, succhi di frutta, caffellatte, tè… yum! E d’ora in poi, finché rimarremo nel Nord Europa, la mattina sarà sempre così! Finalmente sazie e riposate, ripartiamo. L’asfalto è ancora bagnato e sole non ce 6

n’è, ma almeno non piove. Ripresa la vicina autostrada, iniziamo subito a costeggiare il confine con la Francia. Dopo un centinaio di chilometri, vediamo l’indicazione per Strasburgo e decidiamo di fare una deviazione, attratte dalla presenza del Parlamento Europeo e del Palazzo dei Diritti dell’Uomo. Le meraviglie di Strasburgo Foto di rito alla frontiera dei «cugini» francesi e si entra subito a Strasburgo. Ci colpisce la bella e ordinata architettura delle case, quasi tutte con le travi di legno a vista e i tipici tetti spioventi. Sembra di essere in un’altra epoca! Ammiriamo il succedersi di antiche cattedrali, case, caffè all’aperto e strade prive di traffico, nonostante sia l’una del pomeriggio. Puntiamo verso il Parlamento Europeo e scopriamo che si tratta in realtà di un vero e proprio «quartiere europeo», situato a nord di Strasburgo, là dove il fiume Ill giunge al canale che va dalla Marna al Reno. Ci sorprende l’architettura moderna, che pure non stona con la bellezza della vecchia Strasburgo. Il Palazzo d’Europa, che risale al 1975, è


Strasburgo - In alto: la sede della Legione Straniera, che recluta solamente in presenza fisica dei candidati in un centro d’informazione (PILE) o in un centro di preselezione, in Francia metropolitana. Durante tutta la fase di selezione, l'alloggio ed il cibo sono gratuiti. In basso: Il Parlamento Europeo. Dispone di tre sedi: Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo. Le sessioni plenarie si svolgono sia a Bruxelles sia a Strasburgo, mentre le riunioni delle commissioni si svolgono sempre a Bruxelles. Lussemburgo è invece la sede del Segretariato generale del Parlamento europeo. 7


Strasburgo: le case sono rimaste quelle del 1500, con i tetti spioventi, i balconcini con i gerani, le finestre a filo d’acqua. I fienili e i magazzini sono stati sostituiti dai laboratori artigianali e dai negozi di souvenir, ma questo non toglie nulla al fascino del luogo.

stato costruito in pietra arenaria rosa e davanti alla sua facciata in vetro e acciaio sventolano perennemente le bandiere dei Paesi membri del Consiglio d’Europa. Accanto c’è il palazzo del Parlamento Europeo, ultimato da poco e veramente avveniristico: a forma di semicerchio, lambisce per mezzo chilometro la riva dell’Ill e una torre a specchio riflette l’immagine della cattedrale, magnifico simbolo di Strasburgo che ci apprestiamo ad andare a visitare. Ma con calma. È bello sostare in questo meraviglioso quartiere europeo, arioso, pulito, circondato da meravigliosi giardini e dalle acque limpide del fiume. È bello sapere che in un luogo così idilliaco si svolgono i dibattiti e le procedure di voto delle direttive e dei regolamenti che incidono quotidianamente sulla normativa di tutti i Paesi che fanno parte dell’Unione. Poco più in là riconosciamo il Palazzo dei Diritti dell’Uomo, costruito nel 1995 e definito come «un battello che sposa il corso d’acqua». Mentre ci dirigiamo verso il vicino centro 8

storico, apprezziamo la snellezza del traffico: niente code, niente auto clacsonanti, niente motorini che zigzagano. La moto è incustodita, ma non si può resistere alla tentazione di salire sul pianale, dal quale persino Goethe si affacciava spesso per ammirare il tramonto. Sembra di essere in cima al mondo, e invece siamo solo alla metà (66 metri) dell’altezza totale dell’edificio, anche se guardando dal basso un’illusione ottica potrebbe far sembrare diversamente. Da non perdere una sia pur fugace visita all’interno, con la navata alta 32 metri e larga 34 illuminata attraverso le preziose vetrate. Qui si trova anche il famoso «orologio astronomico», terminato verso il 1570. Funzionò fino alla Rivoluzione Francese e poi di nuovo dal 1842, quando al meccanismo furono aggiunti una volta celeste copernicana e il computo ecclesiastico. L’orologio attrae per i singolari movimenti delle statuine che tutti i giorni alle 12,30 sfilano davanti al Cristo, che li benedice tre volte prima di rivolgersi alla folla; inoltre, ogni quarto d’ora si susseguono le statuine


La Place de la Cathédrale è situata sul punto più alto di Strasburgo (144 m slm) ed è il fulcro di una continua animazione connessa al richiamo esercitato dal grandioso edificio che è, appunto, la Cathédrale de Notre Dame. La piazza brulica di negozi di souvenir, di caffè con i tavolini all’aperto, pittori e

ritrattisti che dipingono sotto gli occhi di tutti. Qui è zona pedonale, e lasciamo la moto (incustodita e carica!) per pochi minuti. Troppo pochi… impossibile non incantarsi davanti all’immensità della Cattedrale: la sua guglia tocca i 142 metri di altezza! La facciata è talmente decorata che sembra un merletto di pietra, proprio come nelle descrizioni del grande romanziere francese dell’Ottocento Victor Hugo. Qui, davanti a noi, già nel 1015 sorgeva una basilica romanica costruita dalla famiglia degli Asburgo: distrutta da un incendio, fu ricostruita a partire nel 1176 e l’altissima guglia fu terminata nel 1439. Per quattrocento anni rimase l’edificio più elevato al mondo nel mondo cristiano. Poi il primato è passato alle guglie di Ulm e di Colonia, ma questo non toglie niente alla grandiosità della Cattedrale di Strasburgo.

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Strasburgo - Percorriamo i «quai», fiancheggiati da case pittoresche e da bei palazzi, e ammiriamo i canali navigabili e i battelli turistici, alcuni dei quali trasformati in bar e ristoranti. Decidiamo di provarne uno, proprio davanti alla maestosa Chiesa di Saint Paul. L’interno in legno ricorda un pub inglese. Cullate dolcemente dalle onde che muovono appena il battello, sorseggiamo una bibita fresca sedute ad un tavolino all’aperto e sfogliamo il programma di eventi estivi che animeranno le serate di Strasburgo. Non a caso questa è la seconda città dopo la Francia quanto a investimenti culturali: mostre di pittura, concerti, musei, spettacoli teatrali… ci assale il desiderio di rimanere qui almeno per tutti i giorni che abbiamo a disposizione, per carpire alle persone di Strasburgo qualcuno dei segreti che li rendono così «artistici», briosi e aperti alla vita. Invece dobbiamo proprio ripartire.


Il Palazzo del Parlamento di Strasburgo

delle “età della vita”, e ogni ora un angelo volta la clessidra. Sulla piazza altri due edifici catalizzano la nostra attenzione: uno è la Maison Kammerzell, la più grande e la più decorata casa a graticcio di Strasburgo. Sulle cornici delle sue 75 finestre sono scolpiti personaggi biblici e mitologici, musicisti e persino i segni zodiacali. Oggi l’edificio ospita un ristorante ma non ci azzardiamo ad avvicinarci temendo prezzi esorbitanti! Di fronte alla Cattedrale si erge la Pharmacie du Cerf, la più antica di Francia: risale almeno al Quattrocento. Con la sua struttura a graticcio e il tetto spiovente rappresenta una tipologia tipica delle case francesi. Mentre risaliamo in moto, il conducente di un autobus giunto al capolinea si ferma a parlare con noi… in italiano. Ci spiega che ha origini italiane e che nel nostro Paese ha anche lavorato per un po’. Poi, con discrezione, ci augura buon viaggio e se ne va. Una foto alla legione straniera, un panino e ripartiamo. Sulle autostrade tedesche Tornate in Germania, riprendiamo l’autostrada che in questo punto costeggia la scenografica Foresta Nera e il fiume Reno.

Mentre i chilometri scorrono piuttosto velocemente (teniamo una media di 140 km/h), apprezziamo le tre ampie corsie per ogni senso di marcia e ci meravigliamo per le frequenti aree di sosta: ombreggiate da pini e altri alberi d’alto fusto e dotate di servizi e panche e tavoli in legno per pic-nic, ospitano numerose famiglie tedesche che sostano tranquille e senza clamore, nonostante la presenza di tanti bambini piccoli. Almeno ogni cinque chilometri incontriamo una di queste aree, mantenute nel migliore dei modi. Proviamo a immaginare cosa succederebbe se le avessimo sulle nostre autostrade: con ogni probabilità sarebbero invase da cartacce, lattine e bottiglie vuote; le fioriere, le panche e i tavoli da pic-nic verrebbero divelti e i servizi sarebbero impraticabili. Qui invece è proprio un paradiso: i tedeschi, forti del loro innato civismo, mangiano e si divertono rispettando la tranquillità degli altri e anche i loro bambini giocano senza infastidire nessuno. La pioggia è diventata nostra costante compagna e non ci facciamo più caso. Le autostrade tedesche, per quanto molto frequentate, sono veramente ampie e consentono di guidare anche «soltanto» a 120 km/h senza creare impaccio alle autovetture più 11



Goettingen-Brema-Amburgo km 370

veloci. Più lenti di noi sono solo i mezzi pesanti e le auto con roulotte al seguito. E qualche moto «nuda». Poche, per la verità. La nostra terza giornata di viaggio si conclude a Goettingen, una cittadina universitaria dall’aspetto moderno. L’albergo, il Rennaschuh, per 130 marchi offre un garage per custodire la moto e una camera piccola ma calda. Non ha niente a che vedere con l’accogliente locanda della sera prima. Pazienza… Tanto per cambiare, piove, e non ci va di cercare ancora. Per una cena veloce e «risparmiosa», assaggiamo una pizza da asporto che ci fa rimpiangere l’Italia.

Ho la sensazione che la stanchezza si stia accumulando sempre di più: ancora una volta non riesco a svegliarmi presto come vorrei. La colazione, poi, dura almeno una mezz’ora, ma è anche il break mangereccio più lungo e l’unico pasto decente che ci concediamo in tutta la giornata, visto che finora non abbiamo messo piede in un ristorante. Oggi ci aspettano 240 per Brema e 130 per Amburgo, ma la mattina mi viene in mente che dovrei avvertire il mio “big brother” Claus che sto arrivando. Già, perché nell’eccitazione della partenza, mi sono «dimenticata» di dirglielo. «Siamo a Goettingen, nel cuore della Germania!» sono le mie prime parole al telefono. «Mia madre ed io saremo al tuo matrimonio! Stiamo venendo in moto». Dall’altro capo del telefono c’è un silenzio assoluto. Poi finalmente Claus esprime tutta la sua meraviglia. Gli spiego che non arriveremo subito: prima dobbiamo fare un «salto» in Svezia. Sento aumentare il suo stupore, ma anche la sua felicità per la nostra ormai inattesa presenza al giorno più importante della sua vita. Già, perché mentre io avevo deciso da mesi che sarei andata, lui non sapeva niente… Beh, queste si chiamano sorprese, no?! Le nostre soste sono brevi ma frequenti: con la scusa di rabboccare la benzina o di bere un cappuccino o una cioccolata calda ci fermiamo almeno ogni due ore, tanto per sgranchirci un po’ le gambe e per scambiare due chiacchiere (cosa che non possiamo fare in moto perché non abbiamo gli interfoni). Ci piace curiosare in quelli che sono gli equivalenti dei nostri Autogrill: molti sono ricchissimi di ogni genere di mercanzia, soprattutto alimentare. Oltre a dolciumi e snack salati, che regolarmente saccheggiamo, ci sono anche le confezioni di salumi o di formaggi già affettati, il pane fresco e persino i surgelati (quelli, però, ci attirano un po’ meno). In genere c’è anche una ricca scelta di bibite e succhi di frutta, mentre per le bevande calde c’è solo la macchinetta a monete. Laddove troviamo il 13


Melsunger è una città tedesca di origine medioevale. La città è citata ufficialmente per la prima volta nell'802 come Milisunge, ma i primi insediamenti risalgono verosimilmente all'età del ferro, in particolare alla Hallstattzeit (IX-IV secolo a.C.). All’uscita per Eimeldingen ci fermiamo all’accogliente Lowen.

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tipico bar con tanto di cameriere (una vera rarità sulle autostrade tedesche) il caffè costa almeno tre o quattro marchi. Decidiamo di non rischiarli e ci buttiamo sulla cioccolata calda del distributore automatico, che è densa e gustosa. Anche se ci troviamo nel cuore della moderna Germania, la nostra presenza nelle stazioni di servizio non passa inosservata e nelle brevi soste c’è sempre qualcuno che ci osserva con curiosità. Eppure qui alle moto dovrebbero esserci abituati: ce ne sono tantissime e tutte a pieno carico. Ma tutte rigorosamente con targa tedesca. Certo il motivo di tanta sorpresa deve derivare dal fatto che siamo due motocicliste e veniamo dall’Italia. Con gli altri utenti delle due ruote – custom, sportive o tourer – lo spirito di corpo si sente forte: ci si saluta sempre, non solo quando ci si incontra viaggiando in direzione opposta, ma anche nei sorpassi, facendo precedere il saluto da un colpo di clacson. Proprio come in Italia… Mah, quasi quasi mi trasferisco in Germania…

Arriviamo in tempo per fare un breve tour a Brema, in questa caratteristica cittadina dove è ambientata la storia de «I musicanti di Brema», la celebre favola dei fratelli Grimm. Sul lato ovest della Rathaus è posta la statua in bronzo degli animali protagonisti della fiaba, realizzata nel 1951 dall’artista Gerhard Marcks. Purtroppo nel secondo conflitto mondiale Brema, con il suo grande porto, fu considerata un centro strategico e ben 890 mila bombe vennero sganciate sulla città. Il centro storico fu quasi totalmente distrutto e morirono oltre 3.560 persone. Brema fu fondata da Carlo Magno e da sempre la città ha trovato il modo di rendersi libera e indipendente di fronte a chi ha tentato con la forza di assoggettarla. Si dice a Brema che la libertà della città è garantita finché «Rolando» rimarrà sul piedistallo. (Rolando è un gigante in calcare alto quasi 6 metri che si trova proprio davanti al Duomo di San Pietro).

Brema: un angolo della Piazza del Mercato.

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Brema: la statua di bronzo che rappresenta i Quattro Musicanti, protagonisti della fiaba dei fratelli Grimm. Un asino, un cane, un gatto e un gallo, vissuti in quattro diverse fattorie, sono stati sempre trattati male dai loro padroni, che, una volta invecchiati, li hanno cacciati via. Decidono allora di abbandonare il proprio territorio e scappano. A un certo punto si incontrano e decidono di andare insieme a Brema, in Germania, per vivere senza padroni e provare a diventare musicisti nella banda della città . Una leggenda dice che se si esprime un desiderio, mentre si stringono le zampe dell’asino, il desiderio si realizzerà . Nella foto in basso: statua in rame dei musicisti di tromba. Nella pagina accanto: ragazzi che giocano nella Piazza del Mercato.

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Brema: un varco sul lato meridionale della piazza del mercato porta a Bottcherstrasse, una stradina contraddistinta da un bassorilievo dorato, raffigurante l’Arcangelo Michele in lotta con il drago. È uno degli angoli più caratteristici di Brema. La strada ha un atmosfera retrò ma guardando attentamente si notano anche dettagli originali e moderni. Il bassorilievo dorato scampò la distruzione ordinata da Hitler nella seconda guerra mondiale, soltanto perché considerato un esempio di arte degenerata da non seguire. 18


Brema: immagini della Piazza del Mercato

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Brema: Il Municipio di Brema è uno storico edificio che si affaccia sulla Marktplatz la «Piazza del Mercato». L’edificio, dal 2004, è stato inserito dall'Unesco nel Patrimonio dell'Umanità, unitamente alla dirimpettaia Statua di Rolando, che risale al 1404, e che simboleggia la libertà e la giustizia. Secondo la leggenda, si dice che la visita al monumento sia garanzia per il buon proseguimento del viaggio. E’ abitudine toccare le ginocchia appuntite della statua prima di avventurarsi tra i vicoli del centro. Questo gigante in calcare, scolpito da un artista anonimo, è alto quasi sei metri, mentre l’intero complesso, compreso il baldacchino, il sostegno e gli altri elementi, raggiunge i 10,21 metri.



Amburgo è poco distante ma dobbiamo procedere lentamente, perché anche oggi piove. Inoltre incontriamo un rallentamento che degenera subito in una paralisi totale della circolazione. Ancora una volta, possiamo rallegrarci di essere in moto: sia pure a non più di 40 km/h sorpassiamo centinaia e centinaia di auto incolonnate e con il motore spento. Non possiamo fare a meno di notare l’ordine che contraddistingue la circolazione tedesca: nessuno si sogna di occupare la corsia di emergenza e persino tra le corsie di marcia le auto ferme lasciano dei veri e propri corridoi, tanto ampi che ci passerebbero anche i veicoli di soccorso. Mentre procediamo, notiamo anche dei motociclisti che rispettano la fila… ci sentiamo degli autentici teppisti e rallentiamo ulteriormente. Finalmente arriviamo in capo alla fila. Troviamo auto e moto della Polizia e vigili del fuoco. Metto a frutto i miei tre anni di studio del tedesco e chiedo ad un poliziotto motociclista cos’è successo. Apprendo che si è ribaltato e incendiato un camion che trasportava elettrodomestici, e per fortuna non ci sono feriti gravi. Poi finiamo per parlare del nostro viaggio. In breve la carreggiata viene sgomberata e si riprende il via.

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In viaggio per Amburgo L’intensificarsi improvviso del traffico è l’inequivocabile indicatore che ci troviamo nei pressi di una megalopoli. Sorpassiamo alcune uscite, finché non mi sembra di individuare un cartello che indica il centro di Amburgo. In realtà usciamo alla periferia Sud, ma ne approfittiamo per cercare un albergo per la notte alle porte della città, sperando che, sulla scorta di quanto sperimentato a Basilea, i prezzi siano tanto più abbordabili quanto più siamo lontani dal centro. Ci inoltriamo in una zona verdeggiante: siamo in un Parco Naturale. Chiediamo informazioni: nei dintorni ci sono soltanto due alberghi, a poca distanza tra loro. Il primo è al completo, l’altro ha una camera disponibile a soli 130 marchi. La prendiamo al volo, anche perché questo hotel è talmente bello, grande, pulito e “country”. Siamo completamente immersi nella natura: davanti all’albergo c’è una fattoria con gli animali che pascolano nei prati verdissimi. Negozi pochi, anzi, c’è un solo supermercato. Giunte in camera, per la prima volta diamo un’occhiata alla cartina per considerare quanta strada abbiamo fatto da casa: abbiamo attraversato mezza Italia, tutta la Svizzera e siamo sulla punta nord della Germania. Da sole, con la nostra fida CB 500. Ma, bando agli autocompiacimenti: sono soltanto le quattro del pomeriggio: decidiamo di lasciare bagagli e antipioggia e di andare a fare un po’ di turismo ad Amburgo, che dista pochi chilometri. Una serata ad Amburgo Con una cartina dettagliata della città, ci mettiamo alla ricerca dei punti più interessanti. Ma è un’impresa che richiede tempo, perché Amburgo è immensa, conta quasi due milioni di abitanti e si estende su 800 km quadrati: dopo Berlino è la seconda città della Germania per densità di popolazione. Vediamo le cattedrali di St. Jacob e St. Petri e ci incantiamo davanti alla grandezza del municipio, costruito tra alla fine del

1800 in stile neo-rinascimentale. Per realizzarlo ci vollero undici anni, anche perché la zona paludosa costrinse i costruttori a erigere le fondamenta su quattromila pali in quercia. La torre, alta 112 metri, demarca il centro dell’edificio, che è lungo 112 metri e largo 78. È possibile visitare anche l’interno, che conta ben 647 sale (sei in più rispetto a Buckingam Palace di Londra!) Tra le più belle, quelle dell’assemblea plenaria del Parlamento, quella delle sedute del Senato e quella dell’Imperatore. Nel cortile interno si trova anche la Borsa di Amburgo che, fondata nel 1558, fu la prima di tutta la Germania. A breve distanza raggiungiamo il Ponte Adolph, che passa sull’Alster e fu costruito nel 1842, insieme alle arcate in stile neorinascimentale, popolate da negozi e caffè all’aperto, che invitano a sostare, e a godere della meravigliosa vista sul municipio e sul piccolo canale con i suoi cigni. Le arcate conducono ad una delle strade più commerciali: lo Jungfernstieg, che offre negozi eleganti, gioiellieri, case di moda, un cinema e un ristorante molto chic, dal quale, però, ci teniamo accuratamente lontane. Puntiamo poi verso la chiesa di San Michele che con il suo campanile alto 132 metri costituisce il simbolo di Amburgo ed è visibile anche risalendo il fiume l’Elba. È lì dal 1600, ma è stata distrutta e ricostruita più volte: l’ultima dopo un incendio nel 1906. Scendiamo verso la vicina zona del porto, dove ha sede il famoso «Fischmarkt», il mercato del pesce. Impossibile non fermare continuamente su pellicola le mille immagini di Amburgo, la gente che brulica nelle strade principali, i turisti seduti sulle scale delle chiese, la gente che affolla le gallerie dello shopping e, soprattutto, il fiume Elba, tanto ampio e azzurro da sembrare un mare. Commisurati a tanta vastità sono gli impianti portuali, che si estendono su una superficie di 87 km quadrati, con 70 darsene utilizzate da imbarcazioni fluviali e navi anche transoceaniche. Lasciamo la moto e ci confondiamo tra la gente: uomini e donne di tutte le età, abbigliati nei modi più disparati, appariscenti o 23


in jeans. La strada brulica di sexy-shops e di locali notturni che sembrano molto particolari: l’impressione è che qui non si entri in coppia, ma… ci si accompagni poi all’interno. Nell’alternarsi dell’oscurità notturna e delle mille luci colorate al neon, i volti chiari dei ragazzi di Amburgo assumono espressioni inconsuete e alcuni sembrano alieni usciti da qualche film di fantascienza, tipo «Blade Runner». E se non sono alieni, molti di loro, ragazze comprese, sono quanto meno alienati da alcool o droghe. Non a caso questa zona viene chiamata «quadrilatero del peccato»: a pochi metri da qui c’è la Herbertstrasse, sconsigliata alle donne, a meno che non cerchino seccature con le “signorine” che fanno bella mostra


San Michele è la principale chiesa di Amburgo, è una chiesa protestante in stile barocco di grandi dimensioni e si trova nel centro. La sua torre, visibile da tutta la città, è alta ben 132 metri ed è uno dei principali simboli della città. Il primo edificio fu costruito nel 1669, ma buciò a causa di un fulmine e poi, ricostruito, fu distrutto da un incendio nel 1906. Restaurato nel 1912, andò distrutto nuovamente durante la seconda guerra mondiale. La ristrutturazione attuale è iniziata nel 1983 e non è ancora finita. Nella pagina accanto: caratteristici angoli di Amburgo.




di sé nelle vetrine. Nei pressi, nella Bernhard-Nocht-Str. 69, c’è anche l’Erotik Art Museum, che propone dipinti, disegni e sculture d’arte erotica ed è aperto a tutti. È l’una passata, eppure continuiamo a camminare senza alcun timore: l’impressione è che qui i guai si trovino solo cercandoli. Il succedersi continuo di locali trasgressivi mi incuriosisce. Provo ad entrare in un club che all’esterno esibisce locandine “tranquille”: si annunciano solo ballerine che danzano sui tavoli. Il mio tentativo cade nel vuoto: il buttafuori mi proibisce di entrare e mi spiega che l’ingresso è riservato ai soli uomini. Uffa! Rimango scornata, mentre mia madre se la ride sotto-sotto. Qui c’è un locale ideato per le donne: il caffè Keese, famoso per il suo «ballo paradossale», dove sono le signore a scegliere, servendosi del telefono. Ma per ballare mi sembra un po’ tardi, e poi, forse, non ho neanche gli abiti adatti! Sperdute ad Amburgo Riprendiamo il raccordo per la periferia, percorrendo a ritroso la strada dell’andata. Alle due sostiamo ad una stazione di servizio per un panino e ci rimettiamo in marcia ma all’improvviso ci mancano i riferimenti. A un certo punto dovevamo svoltare a sinistra, ma non riconosciamo più la strada. 28

Facciamo due, tre, quattro tentativi, ma niente. E purtroppo non c’è nessuno a cui domandare. Torniamo sul raccordo per rifare la strada come se fosse la prima volta. Ma quando raggiungiamo il fatidico punto della svolta a sinistra, la strada che ci ricordiamo sembra che sia stata inghiottita dal buio. Forse alla stazione di servizio sul raccordo sapranno indicarci l’albergo... A proposito, come si chiama? Non ce lo ricordiamo. E non abbiamo preso neanche il depliant con l’indirizzo! Abbiamo in tasca la chiave della camera, ma sopra non c’è scritto il nome dell’albergo. Potremmo anche cercarne un altro, ma lì abbiamo lasciato i documenti, i bagagli e anche i pantaloni antipioggia. E quest’ultima cosa ci preoccupa ulteriormentre perché dal cielo provengono tuoni e lampi poco rassicuranti. Sono quasi le tre e sta finendo anche la benzina. Per un lungo momento ci sentiamo perdute. Proviamo a rientrare in città. Seguiamo le indicazioni per una stazione ferroviaria secondaria. Forse lì qualcuno potrà aiutarci. Spieghiamo la situazione ad un taxista, che ci scoraggia subito dicendoci che gli hotel in zona sono moltissimi: come trovarne uno di cui non ci si ricorda nemmeno il nome?! Benedicendo i tre anni di studio della lingua tedesca, provo a snocciolare qualche riferi-


In alto: la Reeperbahn, la strada più notturna di Amburgo e la più famosa di tutta la Germania. Qui la notte diventa giorno, dato che la polizia non impone orari di chiusura. Quanto a folla sembra di trovarci in una strada commerciale in pieno periodo di svendita. In basso: Indra, il locale dove negli anni 60 debuttarono i Beatles, il più famoso quartetto rock di Liverpool.

mento: il nostro albergo, in cui abbiamo una camera calda che ci aspetta e di cui abbiamo una chiave senza nessuna indicazione, è in un Parco Nazionale, in mezzo al verde, in un agglomerato di case che ospita due hotel vicini ed un supermercato. Lo sguardo del nostro interlocutore rimane perso nel vuoto. Poi mia madre ricorda che proprio davanti c’è una fattoria con tanti animali. È fatta! Il taxista non ha più dubbi: dev’essere l’Hotel Cordes, sì e no a dieci chilometri da qui. Ci spiega la strada, ma adesso sono io ad avere lo sguardo perso: è una serie di svolte a destra e a sinistra… E se ci sbagliamo di nuovo? «Vi accompagno io! Mamma e figlia che vengono


Il Deutsches Schauspielhaus (letteralmente "teatro di prosa tedesco") è un celebre teatro di Amburgo. Nella foto in basso e nell’altra pagina, siamo proprio in una città marinara.

dall’Italia in moto… Troppo interessante. Seguitemi!» dice il tassista. La Passat Station Wagon si muove di colpo, abbandona le luci della città e si inoltra sicura in un aperta campagna, fendendo il buio pesto con i suoi grandi fari che ci indicano la via. In pochi minuti di curve e controcurve, ci domandiamo se stiamo andando proprio al nostro albergo, ma poco dopo, con gran sollievo, riconosciamo la strada. Il nostro amico taxista ci scorta fino all’entrata, poi scende lasciando motore e fanali accesi e si accerta se è proprio questo l’hotel dove avevamo lasciato… tutta la nostra identità. Quando vede che sto mettendo mano al portafogli, senza neanche darci il tempo di toglierci il casco ci augura un buon sonno, rientra nel taxi, fa conversione e si allontana velocemente nell’oscurità. Anche questa notte dormiremo poco… ma le ore di sonno arretrato non si contano più! 30


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Amburgo è una città più da vivere che da visitare: non ci sono tante “cose vecchie” come a Roma o Parigi, anche perché la città è stata duramente bombardata durante la Seconda Guerra Mondiale, ma è la seconda città più popolosa della Germania dopo Berlino.



IImmagini del Porto di Amburgo: in basso il »Ricker Rickmers» un veliero che sembra uscito da un film. Si tratta di un imponente tre alberi di 97 metri, con una superficie velica di 3.500 metri quadrati. Fu costruito nel 1896 nel porto di Brema e veleggiò più volte lungo le coste africane fino in Oriente; trasformato in nave-scuola dalla marina e poi provvisto di motori diesel, dal 1987 è ormeggiato ad Amburgo e funge da monumento e museo della navigazione. Nella foto a destra: l’«Occhio della città», così è chiamata la ruota panoramica di Amburgo.



Amburgo-Lubecca-Malmo km 680 La colazione all’Hotel Cordes supera qualsiasi aspettativa. In un salone rivestito in legno scuro, il tavolo del buffet è straordinariamente ampio e imbandito. Tanto che un discreto cartello all’ingresso avvisa che le vivande sono da consumare sul posto ed è vietato portarle via. Raccontiamo la nostra disavventura della sera prima alla receptionist, consigliandole di far scrivere l’indirizzo dell’albergo sul portachiavi e poi ripartiamo alla volta di Amburgo, per scoprire il volto mattutino di questa grande città. Puntiamo al porto per ammirare le imbarcazioni, il pontile, l’antica dogana e il Fischmarkt, anche se il vero e proprio mercato si tiene solo la domenica, dall’alba alle dieci. Mentre scattiamo foto dal molo, si avvicina una coppia di mezza età: ci chiedono se la nostra targa è proprio italiana e si complimentano per il nostro viaggio. Ci fa piacere intrattenerci qualche minuto con questi signori sorridenti e ciarlieri, che ci raccontano i loro viaggi e la loro passione per il nostro Paese e si premurano di dimostrare che conoscono persino qualche parola d’italiano. Amburgo è anche questo. Poco dopo affidiamo la moto con sopra i caschi ed i bagagli al gestore di una bancarella che vende panini al pesce crudo (che qui sono comuni come i nostri tramezzini al prosciutto e formaggio) e ci avviamo a piedi verso il molo, affollato e ricco di negozi di souvenir. Non resistiamo alla tentazione di fare un giro in battello. Visitiamo così il porto di Amburgo, che costituisce l’approdo principale per gli svizzeri, gli scandinavi e per molti Paesi dell’Est. Sembra che ogni anno ci attracchino più di sedicimila bastimenti, che scaricano 72 milioni di tonnellate di mercanzia. La metà delle transazioni avviene con Paesi molto lontani: Taiwan, Cina, Singapore, Corea… Nel corso del tour, costeggiamo anche la Speicherstadt (che significa “città-deposito”), ed è l’emblema della zona portuale. Dopo un paio d’ore, mentre torniamo alla moto, ci assalgono cattivi pensieri: abbiamo lasciato i caschi appoggiati sugli spec36

chietti e anche la borsa da serbatoio non è legata alla moto. Ma il giovane del ristoro ha fatto buona guardia. Lo ricompensiamo acquistando il pranzo: un panino al pesce crudo per me e un gelato per mia madre che detesta il pesce. Al primo morso ho l’impressione di essermi riempita la bocca del sapore e del profumo del mare. Ah, che indimenticabile bontà! Il pesce così fresco non andrebbe mai cotto. Torniamo alla Reeperbahn, che ancora non pulsa frenetica di luci a intermittenza, e ci infiliamo nella Grosse Freiheit Strasse, per vedere il pub dove suonarono i Beatles prima dell’exploit. Attraversiamo il vicino quartiere di Altona, che anticamente era una città a sé e tra il 1937 e il 1945 appartenne addirittura alla Danimarca. Ci sarebbe ancora molto da vedere: basti pensare che gli affascinanti canali di Amburgo sono attraversati da ben 2.321 ponti… più che in qualsiasi altra città del mondo. Ma si deve pur ripartire. Verso Lubecca È primo pomeriggio quando lasciamo Amburgo, tanto grande e caotica che occorrerebbero degli anni per imparare a orizzontarci. È nostra intenzione di arrivare a Copenaghen in tempo per fare fotografie, ma quando vediamo che Lubecca è a soli 70 km da Amburgo non possiamo fare a meno di fermarci. Lubecca ha da sempre attratto i viaggiatori. Le sue piccole dimensioni, infatti, la rendono accogliente e ben indicata per trascorrere un week end in pieno relax. Il centro storico di Lubecca, ricostruito a seguito dei bombardamenti del 1942, è stato dichiarato Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco. Lubecca è una sorta di museo a cielo aperto è caratteristico camminare e perdersi per i vicoletti, fra casette a graticcio colorate, palazzi storici e affascinanti cortili interni fioriti e decorati, eredità del passato commerciale quando accanto alle abitazioni padronali si costruivano le abitazioni ad un piano per ospitare i lavoratori che affollavano la città.


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Lubecca: In alto, a sinistra, la Holstentor è la più famosa delle porte cittadine appartenenti alla fortificazione medievale della città. È uno dei monumenti più celebri di tutta la Germania. Consiste di due torri circolari collegate con un edificio di mattoni che copre il passaggio d'ingresso. È uno dei più importanti esempi del Gotico baltico che faceva uso principalmente del mattone rosso. La porta principale venne eretta dal mastro cittadino Heinrich Helmsted tra il 1464 e il 1478. Quella esistente è la superstite di una serie di porte di difesa nel lato ovest della città. Una peculiarità di questa porta è la pendenza. Questa infatti è dovuta al terreno paludoso sul quale venne edificata. In alto a destra: Il Theater Lübeck, e i caratteristici vicoli.

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Lubecca - A sinistra gli affollati vicoli, in alto, l’ospedale di S. Spirito. In basso: il centro storico BurgtorBefestigungsanlage

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Lubecca-Copenaghen km 270 Raggiunto velocemente il confine con la Danimarca, ci inoltriamo verso Copenaghen, lottando contro un vento furioso che ci costringe a ridurre la velocità intorno ai 120 km/h. Superati due spettacolari ponti sul mare, intorno alle dieci siamo alle porte della capitale danese e iniziamo a cercare un albergo. Ma fin dai primi tentativi ci rendiamo conto che la situazione è molto diversa dalla Germania: qui gli affittacamere non esistono e i pochi alberghi sono tutti al completo. 42

Le autostrade in Danimarca di notte sono deserte e percorrerle così, da sole, sulla nostra piccola CB 500, con tanta stanchezza sulle spalle e senza sapere dove dormiremo, mi impensierisce un po’. Inoltre i rifornimenti di carburante scarseggiano e per qualche lunghissimo chilometro sperimentiamo anche il terrore di rimanere «a secco». Poi, intaccata già la riserva, imbocchiamo la prima uscita e fortunatamente raggiungiamo un impianto self-service, dove possiamo anche ristorarci con due hot-dog caldi.


Copenaghen sotto la pioggia, nella foto in alto, il Tivoli 43



Copenaghen - Nella pagina a fianco: Il cambio della guardia al Palazzo Reale; tra tante due ruote la nostra moto attira l’attenzione. A fianco: Omaggio a Hans Christian Andersen, il più importante esponente letterario danese, celebre in tutto il mondo soprattutto per le sue fiabe. Tra le più note vi sono La principessa sul pisello, Mignolina, La sirenetta, Il soldatino di stagno, La regina delle nevi, La piccola fiammiferaia e Il brutto anatroccolo. Come non ricordare la filosofia di Hans Christian Andersen: «Non importa che sia nato in un recinto d'anatre: l'importante è essere uscito da un uovo di cigno».


Copenaghen - In alto: La Carlsberg, una delle più antiche fabbriche di birra d’Europa ed una delle più famose produttrici di birra a livello internazionale per la produzione, oltre che della Carlsberg, dei marchi Tuborg, Baltica, Kronenbourg e Jacobsen. Non si tratta di una semplice azienda dove si produce la birra ma di un edificio davvero molto particolare, famoso per i suoi “elefanti” ma anche per la storia che l’edificio incarna e racconta.

In basso: La statua della Sirenetta, una scultura bronzea alta 1,25 m e dal peso di 175 kg, situata all'ingresso del porto di Copenaghen, di cui è uno dei simboli. Raffigura la protagonista, Sirenetta, di una delle più celebri fiabe di Hans Christian Andersen.


Nyhavn è l'antico porto di Copenaghen. Si trova nel centro della città; oggi corrisponde al porto storico nonostante il suo nome (Nyhavn) significhi Porto nuovo. È uno dei punti centrali del turismo cittadino, lungo il quale sono presenti caffè e locali di ogni genere. Da qui inoltre partono le imbarcazioni turistiche che permettono la visita della città attraversandone i numerosi canali.


Copenaghen - «La parola del Signore rimane in eterno», ricorda la scritta sulla facciata della Chiesa di Marmo, con la sua cupola verde. Nella pagina accanto: sullo sfondo Christiansborg Palace, sede del Parlamento danese, della Corte Suprema e dell'Ufficio del Primo Ministro.

Una notte interminabile Entriamo a Copenaghen verso mezzanotte. La periferia è squallida e deserta: non c’è ombra di alberghi. Poi, le prime indicazioni per il centro, che lascia a bocca aperta: è uno sfavillio di luci e colori, di strade ampie, di bei palazzi. Siamo nei pressi della stazione. Qui gli hotel sono numerosi ma… sorpresa! Sono quasi al completo e un cartello con la scritta “Full” invita a non suonare. Qualche albergatore aperto fa finta di guardare sul registro per scoprire che è rimasta libera solo una suite, che costa intorno alle trecentomila lire. Decidiamo di cercare altrove. Un portiere si mostra gen48

tile, fa una telefonata e scrive su un foglietto l’indirizzo di un hotel alla periferia di Copenaghen, spiegandoci che lì potremo dormire a buon mercato. Ci rimettiamo in moto con fiducia. Cartina alla mano, dobbiamo andare dall’altra parte della città. Ci perdiamo varie volte, ma c’è sempre qualcuno a cui chiedere: incredibile ma vero, Copenaghen brulica di persone che girano in bicicletta alle tre del mattino! Del resto qui, con il «sole di mezzanotte», in questa stagione le tenebre non sono mai fitte e dopo gli interminabili inverni trascorsi a casa la gente ha voglia di stare all’aria aperta. A destinazione, ci rendiamo conto che il posto in questione dev’essere un cinque stelle. E infatti… c’è libera solo una suite da mezzo milione di lire. Fortuna che doveva essere economico! Ma anche qui dimostrano disponibilità: dopo un paio di telefonate, ci prenotano una camera a duecentomila lire all’hotel “Il Tritone”, a due passi dalla stazione. È forse l’unico dove non avevamo già chiesto. Ormai conosciamo Copenaghen come le nostre tasche e arriviamo in un batter d’occhio. Il tizio alla reception ci conferma di aver ricevuto la prenotazione ma, dopo averci fatto scaricare i bagagli aggiunge che l’unica camera disponibile è una lussuosa suite e che noi dovevamo aver capito male. Sono già le tre del mattino e l’indomani saremo in marcia già molto presto: pagare ottantamila lire l’ora per dormire ci sembra un delitto. Ricarichiamo i bagagli e cerchiamo altrove. Di tanto in tanto piove, ma ormai non ci facciamo più caso. Tentiamo in un albergo di semi-periferia: c’è una camera d’emergenza, adibita a mo’ di ripostiglio, con i letti semisepolti da sedie e tavoli. Senza bagno. Da liberare entro le otto. Costa duecentomila lire… finché il portiere non si accorge che siamo in moto e ci sottopone per la firma un modulo d’accettazione dove il prezzo è giusto il doppio. Ce ne andiamo



Copenaghen - Angoli pittoreschi


senza neanche discutere: evidentemente da queste parti «strangolano» i motociclisti, forti del fatto che noi abbiamo per forza bisogno di una camera per riposarei un po’. Dopo aver percorso quasi duecento chilometri tra Copenaghen e dintorni nel vano tentativo di dormire ad un prezzo ragionevole, decidiamo di continuare le ricerche in Svezia. Sono le cinque del mattino quando, percorrendo strade deserte, raggiungiamo il recente e avveniristico Ponte di Øresund che collega la Danimarca con la Svezia. La stanchezza, però è solo un ricordo. Al centro del lunghissimo ponte, sotto le imponenti arcate illuminate, ci fermiamo per scattare qualche foto. Certo, per avere la luce migliore avremmo dovuto pernottare a Copenaghen, ma non a costo di farci truffare! Mentre prendiamo l’inquadratura, il chiarore dell’alba illumina gradualmente il mare, rivelando la sua lucentezza. Dal buio emerge una vista inattesa: le dimensioni spaventose del viadotto, che si allunga sul mare per 18 km, eppure è infinitamente piccolo rispetto all’enorme massa d’acqua che ci circonda. Il vento è fortissimo, quasi insostenibile, e quando ci sorpassano i rari autotreni l’incredibile struttura che ci sostiene compie dei sobbalzi paurosi. Siamo combattute tra il sensato desiderio di tornare sulla terraferma e l’irrazionale voglia di godere ancora un po’ di questo panorama inebriante. Ci sentiamo in comunione con la potenza della natura – il nuovo sole che sorge, l’immensità del mare, il vento imperioso che toglie il fiato – e per un attimo ci sembra che quello scenario meraviglioso sia lì solo per noi. Grazie, Copenaghen, per non averci lasciate dormire quando c’era questo spettacolo ad attenderci. E grazie cara, piccola, docile CB 500, per averci portate fin quassù! Percorro la rimanente metà del ponte lentamente, per assaporare altre immagini e altre sensazioni. Sulla sponda opposta troviamo il casello dove si paga il pedaggio e la frontiera svedese. Un poliziotto ci chiede i documenti e si intrattiene un po’ a parlare, incuriosito dalla nostra presenza a quel-

l’ora insolita. Ascoltate le nostre vicissitudini, la ragazza addetta al casello ci indica un albergo abbordabile a Malmo e ci regala una piantina della città, che ci consente di trovare subito l’hotel Formule 1, che costa l’equivalente di settantacinque mila lire. Ma dobbiamo attendere che l’unico addetto serva tutte le colazioni e rifaccia almeno una camera. Approfittiamo per rifocillarci e tocchiamo il letto alle sette, dopo quasi ventiquattro ore di filata in moto. Dormiremo solo fino alle undici, poi dovremo liberare la camera. E sarà un’altra lunga giornata. Malmo-Stoccolma 620 km Dopo due ore di sonno ricomponiamo i bagagli e ci rimettiamo in marcia. Ci aspettano 600 km. Perdiamo la strada un paio di volte prima di imboccare la via giusta per Stoccolma e quando incrociamo la prima area di servizio è mezzogiorno passato. Mentre divoriamo un panino, notiamo un bureau di informazioni turistiche che consente di prenotare gli alberghi. Memori della notte trascorsa insonne, chiediamo di prenotare una camera a Stoccolma, dove giungeremo in serata. La ragazza addetta alle informazioni sfodera un enorme sorriso e ci fornisce un pieghevole con l’elenco di tutti gli alberghi convenzionati, prezzi compresi. Il meno caro è un “tre stelle”. Chiediamo la prenotazione. Diamo duecento marchi alla gentile signorina e le chiediamo di usarli per pagare la camera e di cambiarci il resto in valuta locale. Intaschiamo la ricevuta e le banconote svedesi e ripartiamo compiaciute per la brillante idea. L’autostrada svedese corre velocemente sotto le nostre ruote ed è costeggiata da scenari brulli e affascinanti: enormi pianure deserte si alternano a fitti boschi di alberi d’alto fusto. Non una casa, né una masseria: si prova una sensazione di estrema solitudine. Pur viaggiando intorno ai 130 km/h marciamo costantemente sulla corsia di sorpasso e ci sembra di incontrare solo veicoli-lumaca: il traffico è pressoché nullo, e le poche auto che incrociamo sono in maggioranza stagionate Volvo che procedono 51


Il Ponte di Ă˜resund che collega alla Svezia, qui la notte non è mai completamente buia.



sotto i cento all’ora. Soltanto quando torneremo in Danimarca, il mio «big-brother» Claus mi dirà che in Svezia il limite di velocità di 110 km/h in autostrada viene rigorosamente rispettato, pena pesanti sanzioni e ritiro della patente. Intanto noi ci sentiamo delle prodi saette e l’idea di chiudere un po’ la manopola del gas non ci sfiora. Anzi, cerchiamo di viaggiare velocemente, perché siamo stanche e ci imponiamo uno stop almeno ogni 150 km, abbassando la media. Immensa solitudine Stanche della monotonia dell’autostrada con le sue tre corsie, due di marcia e una di emergenza di un caratteristico colore rosso, ci avventuriamo su una strada che si snoda su una sola corsia per ogni senso e perde il suo andamento rettilineo. Anche il paesaggio è cambiato: la nostra CB 500 si

inoltra nello splendore di una natura rigogliosa e nonostante il pieno carico si inclina dolcemente sulle sinuose curve accrescendo il piacere della guida e facendomi dimenticare la stanchezza e... la mia passeggera. La mia guida diventa più sportiva, ma adesso è come se ci fossimo solo io, la moto e la Svezia: un Paese così diverso dal nostro che ora identifico con questa strada, che mi guida nella quiete di boschi popolati da fusti scheletrici e altissimi. Aprire il gas e affrontare le curve con la moto un po’ più inclinata del solito è un modo per sfogare la mia allegria, la mia gioia di trovarmi qui, tra questi alberi tipicamente svedesi che protendono i loro rami verso il cielo di colore azzurro intenso, anch’esso «tipicamente svedese». Ogni singolo elemento del paesaggio parla della Svezia, della sua natura incontaminata, dei suoi spazi grandi, della sua immensa solitudine. L’Italia è solo un ricordo lontano. Per un tratto, nei miei pensieri annebbiati dalla notte insonne mi sembra che l’Italia che non esista nemmeno più. L’unica realtà possibile è quella che ho davanti agli occhi: strade deserte, spazi verdi a perdita d’occhio, automobilisti e camionisti che guidano piano e si tirano da parte quando vedono la nostra moto nello specchietto retrovisivo. La «normalità», qui, è una popolazione sorridente, formata di persone che vivono in pace con se stesse e con il resto del mondo. Dagli occhi chiari di uomini e donne svedesi che incontro nelle stazioni di servizio traspare una contagiosa sensazione di benessere. All’altezza di Strömsnäsbruk incrociamo il Museo dell’Alce e decidiamo per una visita. Una rassegna di oggetti e fotografie consente di scoprire in pochi minuti tutto di


A StrĂśmsnäsbruk, un gigantesco alce sovrasta l’autostrada E4 per Stoccolma, e finalmente arriviamo alla capitale svedese


questo animale che regna nel grande Nord. Il museo è sulla statale che conduce a Stoccolma, e forse proprio per questo un’apposita sezione è dedicata ai viaggiatori su gomma: il monito è di fare attenzione agli alci anche in autostrada, perché l’enorme mammifero ha l’abitudine di piantarsi in mezzo alla carreggiata di marcia e di attendere a pie’ fermo il malcapitato che sta sopraggiungendo. Per avere un’idea di quanto l’alce sia robusto basta dare un’occhiata alla mostra fotografica che illustra le auto accartocciate dopo lo scontro con il quattrozampe. Il museo conserva anche un alce imbalsamato. Sarà per via della stanchezza, sarà che la mole di quell’animale mummificato fa veramente terrore - e ancor più le auto distrutte! - ma da questo momento io percorrerò ogni autostrada svedese con il terrore di trovarmi davanti un alce che mi guarda con l’aria di sfida di un toro con il torero. Di più: di lì a poche ore, alle porte di Stoccolma, arriverò anche a vederlo, un alce, e a fare una brusca frenata per schivarlo... Per poi rendermi conto che - forse - era solo uno scherzo della mia fantasia! Immagini della marinara Stoccolma.

Tornate sull’autostrada, la monotonia viene rotta all’altezza di Jankoping: sulla nostra sinistra appare d’improvviso un lago dalle acque azzurrissime. C’è il sole e fa caldo. Sostiamo in un’area di servizio panoramica, in posizione sopraelevata rispetto al lago. Assaporiamo il paesaggio insieme ad una bevanda calda dei soliti dispenser self-service che ormai ci accompagnano fin dalla Germania. Compriamo della frutta, che nelle stazioni di servizio nordiche viene venduta non al chilo ma a pezzi: tre per l’equivalente di un marco (10 corone). Poco più in là ci aspetta una tempesta d’acqua. Il cielo è carico di nembi impenetrabili e spaventosi. Pur diminuendo la velocità, con i nostri 110-120 km/h siamo sempre in corsia di sorpasso, e ad ogni camion che affianchiamo le nostre visiere si inzaccherano. Lo spostamento dell’aria dovuto al sorpasso, il vento forte che ci bracca e l’enorme quantità di acqua che piove non spostano di un millimetro la fida CB, che addenta la strada con grinta e trasmette sicurezza a me e alla mia passeggera. Scrutando il cielo ci sembra che avanti a noi (ma molto avan-


ti!), le nubi si diradino. Alle nostre spalle, invece, è quasi buio: il temporale ci sta inseguendo, noi dobbiamo correre più di lui. Via, allora! Dopo un’interminabile serie di sorpassi, un ultimo nuvolone e siamo fuori dal diluvio. Ma rimangono ancora parecchi km prima di arrivare nella stanza calda e asciutta che ci sta aspettando.

L’inarrivabile Stoccolma A questa latitudine, in estate, le tenebre non sono mai fitte, eppure ora che il sole ci ha abbandonate mi assale una strana sensazione: mentre il faro della moto illumina la strada buia sulla quale non incontriamo nessuno per chilometri e chilometri. I cartelli ai margini della strada mi informano regolarmente su quanto ancora dovrò


guidare prima di raggiungere Stoccolma, ma a me sembra di non arrivare mai. Alle nove di sera siamo ad una quarantina di chilometri dalla capitale svedese, ma devo assolutamente fermarmi: abbiamo indossato maglioni su maglioni ma il freddo penetra fino alle ossa. La stanchezza mi sta vincendo: negli ultimi tre giorni abbiamo dormito in tutto sei ore. Rimaniamo semi-sdraiate su una panchina di legno fuori di una stazione di servizio giusto il tempo di assimilare le energie di un’ennesima tavoletta di cioccolato fondente, poi ripartiamo. Finalmente, le luci di Stoccolma! Ma per raggiungere il centro dobbiamo percorrere ancora una lunga tangenziale, illuminata e deserta, che ha un non so che di fantascientifico. Il nostro albergo è in un sobborgo a nord della città: per noi che proveniamo da sud significa altri chilometri. Arriviamo quasi a Uppsala prima di capire che dobbiamo fare dietro front. Chiediamo informazioni prima in una stazione di servizio e poi ad un passante. Quest’ultimo ci risponde in italiano… Ha un accento insolito, si sente che la sua prima lingua ormai è lo svedese. Ha un gruppo di amici che gestiscono il locale davanti al quale noi lo abbiamo fermato. Ci invitano a cena, ma ora a 58

noi preme mettere in posizione orizzontale le nostre stanche membra. Due di loro ci fanno strada con la loro auto con targa svedese. Mentre attraversiamo le vie spopolate della periferia di Stoccolma di notte, ci chiediamo se stiamo facendo bene a fidarci, proprio come due sere prima, ad Amburgo, mentre seguivamo quel taxi che in piena notte ci riportò all’albergo di cui non ricordavamo più né nome né indirizzo. Ma anche questa volta la fortuna è dalla nostra: i connazionali ci accompagnano e poi ci salutano festosamente. L’hotel sembra ancor più spaziale della tangenziale: è un altissimo parallelepipedo di cemento armato e cristallo dove, però, non c’è anima viva. L’orario sulla porta prevede la chiusura alle 22.00. Un’ora fa. Al citofono mi risponde una voce metallica: «L’hotel è chiuso e non risulta alcuna prenotazione a suo nome. Buona notte». Beep. Chiusa la comunicazione. Suono ancora: «Controlli meglio, ho prenotato oggi da un’area di servizio in prossimità di Malmo. Ho anche già pagato». «Non risulta alcuna prenotazione. Buona notte». Beep. Non mi arrendo: «Se mi apre le mostro la



ricevuta della prenotazione». «Non posso aprire. Non sono in hotel. Rispondo da un centralino. La prego di non suonare più». Beep. La stanchezza è ormai un ricordo. È ora di tirar fuori le energie: «Se non mi apre chiamo la polizia». «Non posso aprire. Non sono in hotel». «Siamo in moto, non possiamo dormire per strada con un hotel prenotato». Beep. Il tale dalla voce metallica ha di nuovo chiuso la comunicazione. Suono ancora ma invano. Sarà un’altra notte insonne? Mentre cerco tra i depliant il numero della polizia svedese, si avvicina una pattuglia con tanto di cane lupo che scende dal sedile posteriore. L’avrà chiamata il tale dalla voce metallica. È incredibile come sia arrivata così in fretta! I due poliziotti sono giovani e simpatici, ma non hanno voglia di scherzare. Ci vuole un

po’ per convincerli che non siamo delle teppiste. Ma l’albergatore invisibile aveva ragione… I due ragazzi in divisa ci fanno notare che la nostra ricevuta attesta solo il cambio di valuta, e non la prenotazione. Un malinteso con la gentile signorina del servizio turistico all’area di servizio? Oppure noi non avevamo capito che la valuta corrispondeva solo ai duecento marchi con cui noi pensavamo di aver pagato anche la prenotazione? I poliziotti, anch’essi «tipicamente svedesi» quanto a gentilezza, ci fanno strada ad un altro hotel, aperto fino a mezzanotte, e poi si improvvisano interpreti alla reception, sfoggiando con me anche qualche parola in italiano. Non avevo mai fatto caso a come una doccia calda e un letto pulito siano quanto di più bello si possa sognare. La cena, invece, ormai è diventata solo un optional.

Immagini di Stoccolma: un battello vichingo per un tour nei canali. A destra: Ahlens City la principale via dello shopping di Stoccolma.

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Decidiamo di vedere Stoccolma dal battello. La gentilezza delle persone qui ci stupisce sempre di piĂš: il bigliettaio, le guide, i negozianti e persino i passanti sfoderano continui sorrisi e molti, vedendoci con una mappa in mano, si offrono di aiutarci a visitare la cittĂ . Percorriamo i canali di Stoccolma a bordo di un veloce motoscafo insieme ad un gruppo di harleysti norvegesi. Incuriositi dalla nostra avventura, alla fine del tour vogliono scattare una foto ricordo tutti insieme vicino alla nostra moto.


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Lo Stockholms Stadshus (il Municipio) si specchia nelle acque del lago Mälaren. Al suo interno ospita uffici, sale da cerimonia, sale congressuali e un ristorante di lusso. È inoltre la sede del banchetto dei premi Nobel, oltre che essere un'attrazione turistica. Fino al 1878 qui esisteva un mulino, che fu distrutto dalle fiamme. La costruzione dello Stadshus iniziò nel 1911 durò 12 anni, e furono utilizzati quasi 8 milioni di mattoni rossi.



I pittoreschi canali, e la Sergels Torg, la piazza principale di Stoccolma di oggi. È caratterizzata da una grande fontana in cristallo alta più di 37 metri, realizzata da Edvin Öhström nel 1974. L’opera è famosa perché realizzata su due livelli: quello superiore con la fontana, e quello inferiore dove si trovano la stazione della metropolitana, diversi negozi e alcuni supermercati. È stata realizzata demolendo vecchi edifici. Non è nella parte vecchia quindi, ma nel cuore della City.


Stoccolma-Linkoping km 175 Passiamo più di mezz’ora nella splendida sala della colazione, arredata in legno chiaro e stilizzato. Qui tutto è così tipico che non si può fare a meno di innamorarsene. Abbiamo poche ore per visitare Stoccolma e iniziamo dal centro, dalle strade acciottolate di Gamla Stan, dove tra le case alte e strette rimbomba il rumore degli zoccoli dei cavalli che trainano le caratteristiche carrozze. Dai bar e dai forni ci arriva l’odore forte e gradevole dei dolci e del pane al cinnamomo. Improvvisamente ci troviamo davanti all’immenso Palazzo Reale, residenza di re e regine dal 1200. Mentre scattiamo alcune foto alla CB 500 davanti ad uno dei tanti ponti da cui si gode una veduta romantica della città, un camionista con targa svedese rallenta, si affianca e ci saluta: «Anch’io sono italiano. Che fate tanto lontane da casa? Io vivo qui da tanto. In Italia come si sta?» Scambiamo due chiacchiere e poi proseguiamo il rapido giro di Stoccolma, città moderna e vibrante ma dal fascino storico: situata sulla confluenza del lago Mälaren con il mare, è costruita su 14 isolette e offre di continuo affascinanti paesaggi urbani, con i suoi maestosi palazzi e le oasi verdi che si raddoppiano nel riflesso delle acque trasparenti. Vediamo il Birger Jarls Torg, la chiesa più antica di Stoccolma, costruita intorno al 1300 e la torre di Norra Riddarholmshamnen che insieme a Wrangelska palatsets è l'unico elemento ancora presente delle antiche fortificazioni. E poi, ancora, il Riksdagshuset, attuale sede del Parlamento e della Banca di Svezia, la chiesa trecentesca Storkyrkan, attuale cattedrale di Stoccolma, nel cui interno si trova la famosa statua di San Giorgio e il drago; il palazzo Börshuset, in cui trovano posto l'Accademia di Svezia e la Borsa e dove ogni anno vengono assegnati i premi Nobel, il simbolico Stadshuset, e le mille biciclette che sfrecciano veloci e sicure sulle corsie a loro riservate, che corrono incredibilmente tra quelle riservate ai mezzi pubblici e quelle per l’ordinaria circolazione.

Intorno alle 20 ripartiamo. È tardi per raggiungere Malmo, come avevamo previsto a tavolino: ci fermeremo strada facendo in uno degli hotel che costeggiano l’autostrada… Ma che chiudono alle 21.00. Lo scopriamo poco dopo la nostra partenza, quando iniziamo a trovare i cartelli “closed”. Il timore di un’altra notte insonne mi assale. E questa volta non siamo né a Copenaghen né a Stoccolma, ma nel mezzo di un’autostrada fredda e talmente deserta che anche le stazioni di servizio sono rare. Tanto che per fare rifornimento deviamo di qualche chilometro È un self-service privo di qualsiasi presenza umana. Perlustro con lo sguardo l’area di servizio cercando un riparo per la notte. Ma poi ripartiamo. Di nuovo in autostrada spingo al massimo la fida CB in una corsa contro il tempo: dormiremo al coperto? Un cartello indica l’hotel Gyllene Uttern a pochi chilometri. Seguendo le indicazioni per qualche minuto vaghiamo nel buio profondo rincorrendo un minuscolo gruppo di luci, che ci sembra irraggiungibile come la fine dell’arcobaleno. Invece l’hotel è aperto, e c’è anche un ristorante zeppo di persone. L’ambiente è elegante, arredato in boiserie e ferro battuto in stile marinaro, con tappeti alti tre centimetri e lampadari di cristallo. Il prezzo è contenuto se ci accontenteremo di un cottage, mentre la suite costa più del doppio. Il cottage va più che bene. Ci impossessiamo della chiave come se fosse un emblema di vita. Con la moto ci inoltriamo in un silenzioso labirinto di sentieri costeggiati da pini altissimi e raggiungiamo il nostro bungalow, che spunta tra la fitta boscaglia. È un cottage, con tanto di patio e un doppio ingresso. L’interno, confortevole e funzionale, è diviso in zone per la notte e il giorno e c’è anche una cucina attrezzata. Peccato non avere una confezione di pasta da mettere sul fuoco… Un frutto e una tavoletta di cioccolata per cena, e poi via nei letti a castello!

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Hotel Gyllene Uttern, a Linkoping. Questa struttura si trova a 6 minuti a piedi dalla spiaggia. Situata in un ambiente naturale con vista sul Lago Vättern e l'Isola di VisingsÜ, e a pochi minuti di auto dal porto di Gränna. Sono preparati piatti svedesi tipici.


Linkoping-Aalborg km 765 Al risveglio scopriamo che il portico del confortevole cottage guarda sullo splendido lago che aveva catturato la nostra attenzione solo due giorni prima, mentre viaggiavamo in senso opposto. Con la luce del sole ammiriamo lo splendore del villaggio di bungalow, tutti immersi tra piante secolari e ben distanziati l’uno dall’altro, per garantire un’assoluta privacy. Per la colazione ci indirizzano in un salone che per dimensioni e arredi sembra la sala da ballo di un castello medievale. Su un enorme tavolo da buffet troneggiano vassoi

con vari tipi di frittate, aringhe in tutte le salse e una varietà incredibile di affettati e formaggi. Non mancano le insalate, la macedonia di frutta, gli yogurt, il pane al cinnamomo e innumerevoli tipi di dolci. Rinvigorite dopo il buon sonno e la sostanziosa colazione, ripartiamo: dobbiamo arrivare fino ad Aalborg. E per fotografare alla luce del sole il ponte Malmo-Copenaghen non prenderemo il traghetto neanche questa volta. La giornata è limpida e soleggiata, e la nostra CB divora i chilometri con regolarità, nonostante le sue dimensioni decisamente minute in confronto alle gigantesche supertourer dei tedeschi, che stiamo incrociando spesso da quando siamo partite. Qui pullulano anche le maestose Goldwing, che in questi giorni sciamano verso Goteborg per un raduno internazionale. Il viaggio procede senza sorprese e con poche e brevi soste, durante una delle quali scambiamo qualche parola con un gruppo di Hell’s Angels danesi. Raggiungiamo l’Öresund Bridge, che dopo la surreale attraversata notturna, ora si mostra ai nostri occhi in tutta la sua immensità. L’enorme struttura di tralicci e acciaio si snoda nel mare a perdita d’occhio, tanto che una leggera foschia ci impedisce di distinguere la sponda della Danimarca. A metà del ponte, le strutture si protendono vertiginosamente verso il cielo e quando arriviamo a quell’altezza non possiamo fare a meno di accostare per scattare qualche foto: il complesso architettonico che ci sovrasta è talmente alto che solo con un obiettivo grandangolare riusciamo a inquadrarlo insieme alla moto. Sul ponte che taglia in due il mare il vento spira fortissimo oggi come l’altra notte, ma adesso che tutto è così chiaro e visibile, ancora maggiore è la nostra sensazione di piccolezza davanti alla forza della natura e alla maestria dell’uomo, che ha saputo sfidare la potenza del mare e dei venti realizzando un’opera ciclopica. 69


Hotel Gyllene Uttern a Linkoping, relax nel cottage e colazione nel salone. A fianco: ci avviciniamo al sull’Oresund Bridge, dove è proibito fermarsi e fare foto.


Mentre stiamo scattando foto, un elicottero della polizia ci sorvola a bassa quota e ci fanno cenno di allontanarci. Sapendo che è vietato sostare sull’Öresund Bridge, riponiamo velocemente le macchine fotografiche, ma non facciamo in tempo a ripartire: un poliziotto in moto ci raggiunge, si ferma e con parole brusche ci dice che contravveniamo a una disposizione. Però non mette in atto provvedimenti. Visti i ferrei divieti, abbiamo la sensazione che le nostre foto siano uno scoop. Intanto, quando affianchiamo Copenaghen sono già le sei del pomeriggio. Ancora una volta non c’è tempo per fermarsi a fotografarla: torneremo fra qualche giorno. Ora il mio «big brother» Claus ci sta aspettando:

domani si sposa. Dopo tante ore in sella la stanchezza torna a farsi sentire, e Aalborg come Stoccolma sembra non arrivare mai. Lottiamo sempre contro un vento fortissimo e costeggiamo paesaggi monotoni e piatti. Come in Svezia, la circolazione procede a ritmi lenti, e questo ci consente di viaggiare costantemente sulla corsia di sorpasso. Sono le dieci di sera quando arriviamo nel sobborgo di Klarup, nella splendida villetta di Claus, che ci sta aspettando davanti al garage per prendersi subito cura della moto. Ann, invece, non è in casa: tradizione vuole che i futuri sposi, anche se hanno già convissuto, non spartiscano insieme la settimana prima delle nozze.



Il canale di Øresund separa la Svezia dalla Danimarca, e il ponte che collega le due nazioni è un capolavoro di ingegneria e architettura. Le due città collegate sono Copenaghen, in Danimarca, e Malmo, in Svezia. E’ il più lungo ponte “strallato” d’Europa: cioè è un ponte di tipo "sospeso" nel quale l'impalcato è retto da una serie di cavi (gli stralli) ancorati a piloni (o torri) di sostegno. Il ponte è lungo 7.845 metri, l’isola artificiale che collega il ponte al tunnel altri 4 chilometri e il tunnel sotto il mare, il più lungo al mondo attraversato da una ferrovia, altri 4 km. Dentro al tunnel le diverse carreggiate si affiancano le une alle altre e corrono parallele sotto al mare, insieme alle gallerie d’emergenza previste all’interno del tunnel.


Il ponte sul canale di Ă˜resund che unisce la Svezia dalla Danimarca è stato inaugurato nel 2000.


Due chiacchiere davanti ad un tè caldo con i biscotti e via a dormire nella camera degli ospiti. Domani ci aspetta un grande giorno. Aalborg Al mattino Claus mi appare finalmente “normale”: ha addosso tutta l’agitazione che si conviene ad un futuro sposo. Eppure il matrimonio con Ann è ciò che vuole più al mondo. Mentre consumiamo la colazione si avvicendano in casa i suoi genitori e il fratello minore di Claus, che vivono a Randers e aiutano lo sposo nel rito della vestizione. Qui in Danimarca il matrimonio viene vissuto in modo assai meno consumistico rispetto al nostro Paese, e non si usa neanche fotografare lo sposo e la sposa prima della cerimonia. Scatto alcune immagini a Claus e alla sua famiglia e poi ci avviamo nella piccola e vicina chiesetta rupestre che, con mia somma meraviglia, sorge vicino ad un cimitero. Gli unici invitati sono i familiari. Per Claus ci sono i genitori, il fratello e la sua ragazza, una zia dall’aria un po’ svanita, mia madre ed io. Qualche istante dopo il nostro arrivo, fa il suo ingresso Ann, raggiante nell’abito bianco e accompagnata del padre. Il sacerdote donna che celebra lo sposalizio invita i presenti a non scattare foto. La cerimonia non dura più di un quarto d’ora. All’uscita dalla chiesa, gli amici motociclisti attendono Claus per un lancio di riso a sorpresa. Neanche in questa occasione entra in scena un fotografo »ufficiale». Incredibile! La giornata prosegue con un party a casa e poi con la cena per pochi intimi: un’allegra tavolata di trenta persone. Anche se non parliamo danese, ci sentiamo a casa e non possiamo fare a meno di apprezzare la semplicità di queste persone, che non assumono atteggiamenti consumistici neanche in occasione di un matrimonio. Alla sera Claus e Ann andranno in albergo, lasciando a nostra disposizione la loro casa.

La giornata seguente la trascorreremo in giro per Aalborg, con Claus che ci farà da guida. Scoprirò così che la Danimarca è uno dei Paesi dove meno di sei milioni di persone vivono tra mille agiatezze economiche, con un alto livello di sicurezza sociale. Qui la gente vive felice in villette monofamiliari circondate da variopinti giardini. Ecco perché Claus, 36 anni, perito informatico e Ann, 25 anni, infemiera, possono già permettersi una villa con salone triplo, quattro camere, due bagni, un box doppio, un giardino esagerato con serra e un vialetto d’ingresso che ricorda quello delle case americane. Aalborg-Skagen-Aalborg km 220 Ricomincia l’avventura: ci aspetta un giro fin sulla punta della Danimarca, nella città di Skagen, famosa per i suoi cieli azzurrissimi che ispirano molti pittori. Claus e Ann ci precedono con la loro Suzuki. È una giornata assolata ma terribilmente ventosa, tanto che mantenere l’equilibrio sulla CB, leggera senza le borse laterali mi sembra un’impresa. Ci inoltriamo su strette provinciali che si insinuano in mezzo alle campagne coltivate, fiancheggiate da schiere di mulini a vento. La prima tappa è Hirtshals, città marinara e importante centro commerciale con un ampio porto per traghetti e navi da pesca che si affaccia sul cristallino Mare del Nord. Famoso è il suo enorme «Oceanario», il più grande museo del mare d’Europa, con tanto di squali e foche in vasche d’acqua salata. Claus ci costringe a visitarlo mentre noi vorremmo proseguire il viaggio su due ruote. Pranziamo a base di ottimo pesce nel moderno self service del singolare museo e finalmente ripartiamo: fiancheggiamo Tversted, circondata da una foresta con due laghetti artificiali e ci fermiamo al Santuario delle Aquile di Tuen, dove gli splendidi rapaci volano liberamente. Puntiamo poi verso Kandestederne: da qui si raggiunge il «deserto in movimento»: una distesa di sabbia bianca di 2 km quadrati per 40 75




metri di altezza le cui dune avanzano verso est di una decina di metri l’anno. Trovarsi al cospetto di tanta sabbia nel freddo nord della Danimarca è un’esperienza inattesa e per me, che impazzisco per il mare, è fonte di un’emozione gioiosa. E ora, rotta verso la «vetta» della Danimarca, Skagen. Su alcune brochure avevo letto che in questa cittadina all’estremo nord del Paese il cielo assume un colore particolarmente intenso. Ma nessuna brochure può essere tanto eloquente quanto una semplice occhiata verso l’alto: anche se sono quasi le sette del pomeriggio, l’azzurro è forte e vivace. Il sole del tramonto accende e riscalda le tonalità rosso-mattone, gialle e marroni delle case di Skagen con i loro tetti spioventi e le strutture a travi, che si stagliano nitide nell’aria trasparente. I negozi, che si apprestano a chiudere, sembrano risalire ad almeno cento anni fa: lindi, ordinati, semplici, ostentano insegne antiche e tendine ricamate. Molte gioiellerie sono ricche di oggetti in ambra, prezioso 78

minerale che viene raccolto sulla rena e poi lucidato ad arte. Mi assale il desiderio di rimanere qui tutto il tempo necessario per scoprire ogni dettaglio di questa suadente cittadina che conta appena dodicimila abitanti, e che con le sue affascinanti stradine sembra disegnata dalla fantasia del romanziere Hans Christian Andersen. Invece riusciamo a vedere solo la Tilsandede Kirke, una chiesa del Seicento aggredita e quasi completamente coperta dalla rena, a riprova della migrazione della sabbia. Oltre al centro vediamo il Museo di Skagen, la Villa Pax, una residenza di un secolo fa, e lo Skagen Fortidsminder, un museo all’aperto che descrive la vita e i mestieri delle antiche comunità danesi. Proseguendo verso la punta sabbiosa della Danimarca, troviamo tre fari, appartenenti a tre epoche diverse, e il punto in cui lo Skagerrak mare del Nord - e il Kattegat - mar Baltico si incontrano, creando uno spumeggiante panorama. La «luce del Nord» assume, qui, un timbro veramente particolare e, insieme alle ampie distese di sabbia argentea e ai


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cavalloni spumosi costituisce uno spettacolo indimenticabile. Il rientro ad Aalborg è veloce… e quando una pattuglia della polizia ci affianca, all’altezza di Frederikshaven, non facciamo in tempo a riportarci alla velocità consentita, ma sfuggiamo alla contravvenzione solo grazie alla mia targa italiana e dopo essermi preso un severo ammonimento! Aalborg-Saltum-Lønstrup-Saltum km 150 Viaggiare con Claus è piacevole, ma lui è troppo… danese: prende tutto con molta calma e noi non disponiamo di tanto tempo. Mia madre ed io, invece, abbiamo gli stessi ritmi. E, in fondo, siamo esploratrici solitarie. Decidiamo di lasciare Claus e Ann alla loro meritata luna di miele e continuiamo da sole il nostro tour della Danimarca. A cominciare dal porto di Aalborg, e dalla necropoli vichinga, situata nella periferia settentrionale, sull’altura di Lindholm, che ospita circa settecento tombe dell’età del Ferro, strade lastricate in legno e fonda80

menta di case e pozzi. Puntiamo poi verso il mare: percorrendo una statale che attraversa le cittadine di Vadum e Aabrybro, si arriva a Saltum. Dal piccolo agglomerato di case che si affaccia sulla strada si raggiunge in pochi minuti una delle spiagge più famose della Danimarca, di cui ammiriamo rapidamente la bellezza. Nei pressi di Saltum troviamo ricovero per la notte in una famiglia di affittacamere: madre e figlia di quindici anni sì e no che vivono in una splendida villetta circondata da un giardino alberato e fiorito. Paghiamo e riceviamo la chiave della camera, che possiamo portare con noi: la signora ci anticipa che alla sera non troveremmo nessuno in casa per aprirci. Proseguiamo per Løkken, cittadina balneare di soli 1.300 abitanti che deve la sua esistenza al mare, in passato uno dei maggiori centri danesi di pesca. Oggi ospita la più grande spiaggia danese sul versante ovest, 15 ristoranti e un museo della pesca. Nella vicina Lyngby si può visitare un antico villaggio di pescatori. La strada provinciale


Nella pagina a fianco: dalla Aalborg Tower lo sguardo si spinge lontano. Qui sopra: il caratteristico centro di Aalborg, e in basso, il concessionario Honda

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A Hirtshals visitiamo il piÚ grande museo del mare d’Europa, con tanto di squali e foche in vasche d’acqua salata. Un moderno self-service consente di gustare squisiti piatti a base di pesce.



Frederikshavn - In basso: Il pittoresco vecchio quartiere di 'Fiskerklyngen" tra il Fiskergade tortuosa e Strandgade. Le sue strade acciottolate sono fiancheggiate da case dei pescatori color giallo chiaro e piastrelle rosse sui tetti risalenti alla fine del 18° e l'inizio del 19° secolo.


Il vippefyr di Skagen è una ricostruzione del vippefyr originale. È un faro di navigazione risalente al 1600, chiamato «leva della luce», in quanto venivano messi nel suo interno legno o alghe, poi accesi e alzati in modo da indicare ai marinai le coste. Qui viene acceso per la grande festa di mezza estate che attira tanti turisti. Al centro: La Krudttårnet, la Torre delle Polveri di Frederikshavn, costruita nel 1688 In basso: Il Santuario delle Aquile.


II faro Grenen a Skagen segna il punto dove si scontrano il Mare del Nord e il Mar Baltico. Ăˆ il secondo faro piĂš alto della Danimarca.



Skagen è una perla naturale, immersa in un fascino artistico bohemien ma caratterizzata anche da una fiorente pesca. Artisti internazionali e danesi hanno vissuto e lavorato qui sin dal XIX secolo, attratti soprattutto da una luce affascinante, in costante cambiamento e da un paesaggio indimenticabile. Skagen è anche un paradiso per chi ama pesce e frutti di mare oltre ad offrire un ambiente pittoresco. In basso: Marup Kirke, una piccola chiesa romanica costruita su uno sperone di roccia a picco sul mare, che minaccia il crollo. Spettacolare al tramonto. Davanti alla chiesa, la grande ancora di una fregata britannica incagliatasi durante una tempesta del 1808.


che costeggia il Mare del Nord verso Lønstrup offre paesaggi affascinanti, con le dune di sabbia che cedono il passo alle scogliere formatesi nell’era glaciale per poi tornare a scorci sabbiosi. Si incontra il faro di Rubjerg, semisepolto dalla rena. Prima di raggiungere Lønstrup una strada sterrata porta alla Marup Kirke, una piccola chiesa romanica costruita su uno sperone di roccia a picco sul mare, che minaccia il crollo. La raggiungiamo al tramonto, che ha colori surreali e incantevoli. Davanti alla chiesa, la grande ancora di una fregata britannica incagliatasi durante una tempesta del 1808. La spiaggia è subito dopo il centro, e un hotel-ristorante sul mare invita ad una pausa mangereccia in questo idilliaco villaggio di pescatori di soli 500 abitanti. Saltum-Copenaghen km 450 Lasciamo di buon’ora la camera, senza curiosare nell’accogliente appartamento che pure è disabitato e completamente a nostra disposizione. Abbandoniamo la chia-

ve sul tavolo di cucina, come da istruzioni, ci tiriamo dietro la porta e carichiamo le borse sulla CB, pensando a come dev’essere bello vivere in un Paese come questo, dove la fiducia reciproca è ancora un valore intoccabile. È una bella giornata di sole e il vento è cessato. Partiamo puntando ancora verso Nord, e procediamo verso l’interno su una strada che si snoda tra i campi coltivati. Di tanto in tanto incontriamo piccoli centri con villette unifamiliari che sembrano case di marzapane uscite da un disegno di fiabe. Le finestre sono sproporzionatamente grandi per percepire il più a lungo possibile la luce del sole nelle sue fugaci apparizioni invernali. La vita delle famiglie si svolge così sotto gli occhi di tutti e anche se nessuno sembra sbirciare nelle case altrui, ciascuno ostenta mobilia pregiata e graziosi gingilli disposti sui davanzali al posto delle fioriere, simbolo di un diffuso benessere. All’esterno, le case sono circondate da prati erbosi e giardini fioriti, senza mura di recinzione e senza cancelli. Qui la fiducia reciproca regna sovrana e per girare nelle aree pedonali o nei musei si può lasciare la moto carica, con i caschi appesi ai manubri, certi di ritrovare tutto. La Danimarca ci appare come una meta ideale per ritemprarsi, riempiendosi gli occhi di persone sorridenti, di cittadine a misura d’uomo, dove non si conosce lo stress. C’è il tempo per fermarsi a pensare, per bere una birra con gli amici, per riunirsi nelle case spaziose. Dopo le 18.00 gli unici locali aperti sono i pub ed i ristoranti. A sottolineare l’elogio per i ritmi lenti della vita, qui le strade statali e provinciali sono quasi tutte costeggiate da piste ciclabili ben tenute e frequentate da coppie e famigliole in vacanza. Un meritato riposo per la nostra Honda CB500 prima di riprendere il viaggio di ritorno 89


Da Kandestederne si raggiunge il deserto in movimento: una distesa di sabbia bianca (2 km quadrati per 40 metri di altezza) le cui dune avanzano verso est di una decina di metri l’anno.



A Skagen, la punta piĂš estrema del nord della Danimarca, si trova la lingua di terra di Grenen: il luogo in cui le onde del Mar Baltico e del Mare del Nord si incontrano, proveniendo da opposte direzioni, senza potersi mescolare a causa della diversa densitĂ . Esercitando forze diverse, che si "scontrano", il fenomeno origina turbolenze e violente correnti che impediscono la balneazione e la navigazione. 92


In breve raggiungiamo Hjørring, ideale per lo shopping con il suo centro storico che pullula di negozi.

Foto di rito davanti alla maestosa chiesa di Santa Caterina, che risale al dodicesimo secolo, e poi via verso Frederikshavn, principale porto e stazione di traghetti della regione settentrionale. Antico villaggio di pescatori, le cui caratteristiche case sono ancora visibili, oggi è una città importante, le cui strade del centro sono rinomate per gli ottimi prezzi praticati dai negozianti, che ogni anno si confrontano con milioni di visitatori: da qui ci si imbarca per la Norvegia e la Svezia. Vediamo il Rudttarnet, un edificio-fortezza del 1686 adibito a museo di armi e uniformi e la villa di Bangsbo, che risale al 1750 ed è la sede di un museo in cui il presente si mescola con il passato, tra polene di navi vichinghe, modellini di imbarcazioni degli ultimi trecento anni, cannoni della seconda guerra

mondiale e uno splendido orto botanico. Sulla strada del ritorno è d’obbligo una tappa a Sæby, per riscoprire la vita dei pescatori. Prima di ripartire, sostiamo al Café Smeden, che si affaccia sul caratteristico porto, e ci appropriamo, per qualche minuto, dei segreti della vita di mare. A malincuore, lasciamo il nord della Danimarca e puntiamo verso Copenaghen. Da lì prenderemo il battello per approdare in Germania, accorciando così il viaggio di qualche centinaio di chilometri. Ci assale un pizzico di malinconia perché l’avventura sta volgendo al termine. Ma c’è ancora tanta strada da fare. E alla fine di questo itinerario ce ne saranno ancora altri da scoprire. Ora so che ho una compagna di viaggio consapevole di quello che comporta andare in moto, ma pronta a ripartire in qualsiasi momento e per qualsiasi destinazione. Anche su due ruote. L’importante è andare: perché è entusiasmante sentire l’asfalto che scorre sotto la sella, percepire il vento, il freddo, il caldo e la pioggia, vedere posti e volti nuovi,


Il faro di Skagen.


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