Papa Montini ricorda che lo sviluppo di sé non può avvenire separatamente dallo sviluppo degli altri, quindi «dovere di solidarietà», cioè aiuto che le Nazioni ricche devono prestare ai Paesi in via di sviluppo
«Uragano negro» nel 1974 entrò nella rosa dei finalisti alla XXII edizione del premio Bancarella, insieme a «L’uomo di Babele» di Bruno Tacconi, «Corporale» di Paolo Volponi, «Oh, Serafina» di Giuseppe Berto, «Vengo dalla Siberia» di Carlo Silva, «Buongiorno onorevole» di Luciano Radi e «Mercanti dell’occulto» di Pier Carpi. Nel novembre 1974, a Foligno, venne assegnato a Franco La Guidara il premio internazionale «Poeta dell’anno» per la silloge di liriche «Albori d’Africa», edita nel volume «Uragano negro». Scrisse Ave Stella su «La Gazzetta del Mezzogiorno»: «Il La Guidara, coraggiosamente, ha imboccato una pista appena tracciata sulla quale si incontrano personaggi reali e simbolici, insieme alle tigri e ai leoni ed a tutti quegli animali anch’essi coinvolti dall’avidità e dalla dissennatezza degli uomini bianchi. Bisogna dargli atto, quindi, oltre che oltre al valore letterario della sua opera, anche della scelta che indica ancora una volta la duttilità dei suoi interessi su vastissimi orizzonti geografici ed umani. In sintonia con l’autore noi non possiamo che unirci ad «Auspicio», poesia terminale di «Albori d’Africa», nella speranza che esso si realizzi al più presto».
50 anni di inutili sforzi
Cinquant’anni fa, il 26 marzo 1967, Paolo VI promulgava la «Populorum progressio», la prima enciclica sociale dedicata interamente allo sviluppo. Quei tempi erano contrassegnati da alcuni fatti - La decolonizzazione, specie in Africa; la «guerra fredda»; la proliferazione degli armamenti, specie nucleari; il nazionalismo in Francia e il razzismo in Sudafrica; la crescita della Cina; la guerra in Vietnam; la promessa (dal 1960 e mai realizzata) di destinare l’1 per cento del reddito dei Paesi ricchi per lo sviluppo dei poveri; il continuo aumento di persone che soffrono la fame, le malattie, la mancanza di lavoro e di una casa; l'incomprensione tra le generazioni che esploderà nel Sessantotto. I viaggi di Giovanni Battista Montini prima del pontificato erano stati numerosi: visita gli Stati Uniti e il Brasile, Rhodesia, Ghana e Nigeria. Durante il pontificato va in Terra santa (1964), India (1964), New York e Onu (1965). L'enciclica montiniana arriva dopo i documenti roncalliani «Mater et magistra» (1961) e «Pacem in terris» (1963) e dopo la conciliare «Gaudiurn et spes» (1965). L'enciclica tratta dello sviluppo in relazione alla pace - Gli squilibri sociali, le lotte, le rivoluzioni e le guerre sono il segno di una convivenza che chiede giustizia. Nella prima parte Paolo VI definisce lo sviluppo non come semplice crescita economica, ma «per essere autentico deve essere integrale, volto alla promozione di ogni uomo, di tutto l'uomo, di tutti gli uomini», soprattutto nei Paesi poveri.
Considera la proprietà, l'uso dei beni, la riforma del capitalismo, i programmi di sviluppo, l'alfabetizzazione, la famiglia, i problemi demografici: «Lo sviluppo economico, la tecnica, la ricerca non hanno in sé la ragion d'essere, ma hanno valore nella misura in cui sono al servizio della persona, riducono le disuguaglianze, combattono le discriminazioni, liberano l'uomo e lo rendono responsabile». Lo sviluppo è il passaggio da condizioni meno umane a condizioni più umane A) Condizioni meno umane: carenze materiali di coloro che sono privati del minimo vitale; carenze morali di coloro che sono accecati dall'egoismo; strutture oppressive collegate agli abusi del possesso e del potere, sfruttamento dei lavoratori, ingiustizia delle transazioni. B) Condizioni più umane: ascesa dalla miseria al possesso del necessario; vittoria sui flagelli sociali; ampliamento delle conoscenze e della cultura; accresciuta considerazione della dignità altrui; orientamento verso lo spirito di povertà; cooperazione al bene comune; volontà di pace; riconoscimento dei valori supremi e di Dio che ne è la sorgente e il termine; fede, dono di Dio accolto dalla dall'uomo; unità nella carità del Cristo che ci chiama a partecipare alla vita di Dio». Chi è artefice dello sviluppo? - Le persone e le famiglie, i corpi intermedi e i poteri pubblici («Bisogna evitare la collettivizzazione e la pianificazione arbitraria»), le riforme agrarie, evitando l’industrializzazione improvvisata o precipitosa. Occorre che lo sviluppo sia graduale e armonico, ma «bisogna affrettarsi» perché «grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana. E occorre che sviluppo economico e so ciale e sviluppo umano camminino insieme, perché l'uma-
nesimo esclusivo è inumano». Cooperazione tra i popoli e sviluppo dei popoli – Nel documento di cinquant’anni fa Paolo VI ripete che «lo sviluppo umano, economico e sociale deve riguardare i singoli, le famiglie, i popoli più poveri» e che «lo sviluppo integrale dell'uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell'umanità». Imbevuto del personalismo del filosofo francese Emmanuel Mounier, Papa Montini ricorda che lo sviluppo di sé non può avvenire separatamente dallo sviluppo degli altri, quindi «dovere di solidarietà, cioè aiuto che le Nazioni ricche devono prestare ai Paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale; riorganizzazione delle relazioni commerciali tra popoli forti e popoli deboli; dovere di carità universale; promozione di un mondo più umano per tutti». Oggi diversi gruppi di popolazione migrano per motivi demografici come la sovrappopolazione e la povertà, caratteristiche delle società sottosviluppate. Una gran parte dei migranti in Europa è costituita dalle popolazioni provenienti dall'Africa (Etiopia, Somalia, Capo Verde) e dall'Asia (India e Sri Lanka). Si migra anche per motivi culturali. Il modello della vita occidentale esercita una forte attrattiva sui popoli dei paesi poveri, che, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, vedono i falsi modelli di vita proposti dai programmi televisivi o la pubblicità di prodotti commerciali esportat Si migra anche per motivi politici. Pochi paesi del terzo mondo sono democratici, più spesso le dittature sono state le risposte ai problemi sociali ed economici più drammatici e hanno fatto affluire masse di esuli nel resto del mondo. Altre cause sono le guerre e i conflitti civili, razziali, etnici e religiosi che si verificano in alcuni paesi e che spingono le persone a cercare rifugio all'estero. Alcuni esempi: l'Eritrea, ma anche la ex-Jugoslavia e i
paesi sovietici ed ex-comunisti come l 'Albania, da cui i flussi di migrazione sono in costante aumento. Ci piace ricordare Amilcar Lopes da Costa Cabral, oltre ad essere stato l'artefice dell'indipendenza della Guinea Bissau e di Capo Verde (indipendenza che non fece in tempo a vedere) è ritenuto uno dei massimi ideologi della teoria della rivoluzione. Era nato a Bafatà (Guinea Bissau) il 12 settembre 1924, da padre capoverdiano e da madre guineiana. Il padre Juvenal, un maestro elementare, gli insegna l'amore per lo studio e la curiosità del conoscere. Dopo aver frequentato il liceo a Capo Verde (nell'isola di Sao Vicente), si trasferisce a Lisbona (1945) dove studia all'Istituto Superiore di Agraria. A Lisbona è molto attivo sia nei movimenti studenteschi che combattono la dittatura portoghese sia nei circoli africani delle avanguardie rivoluzionarie che si oppongono al colonialismo portoghese in Africa. Conosce e stringe ottimi rapporti con Agostinho Neto, futuro leader dell'Angola. Si laurea nel 1950 e dopo aver lavorato due anni in Portogallo ed essersi sposato nel dicembre 1951 con la portoghese Maria Helena Rodrigues, conosciuta all'Università (da cui avrà due figlie, Iva e Ana Luisa), nel 1952 torna in Guinea incaricato di monitorare le risorse agrarie del paese. In questo modo viene a contatto con le poverissime realtà contadine. Inizia allora a convincersi che solo attraverso l'emancipazione del proprio popolo vi potrà essere quella spinta rivoluzionaria necessaria per liberarsi dai colonizzatori e dalla loro oppressione. Nel 1955 lavora in Angola. Nel 1956 assieme al fratellastro Luis Cabral (futuro presidente della Guinea Bissau), ad Aristedes Pereira (futuro presidente di Capo Verde), Rafael Barbosa e ad Abilio Duarte fonda, clandestinamente, il PAIGC (Partito Africano per l'Indipendenza della Guinea e di Capo Verde).
Fino al 1959 nonostante gli sforzi profusi, il partito non riesce a far breccia nei ceti medi dei centri urbani. Quando, a seguito del massacro di Pidjiguiti, (la polizia segreta portoghese - il PIDE - uccide oltre 50 operai che manifestavano al porto di Bissau) la direzione del partito decide di aprire la stagione della lotta armata a partire dalla aree rurali. Trasferita la sede a Conakry in Guinea, il PAIGC inizia prima a coalizzare i vari oppositori dei portoghesi e poi a stringere rapporti internazionali (di cui Cabral sarà uno dei massimi interpreti) con alleati e finanziatori. Nel 1963, inizia la conquista militare delle aree di territorio a partire dal sud. Cabral mette a disposizione la sua esperienza di agronomo ed è molto attivo con le comunità locali dove insegna tecniche di coltivazione, dove lavora ogni giorno con i contadini e dove riesce a far giungere gli aiuti internazionali. Riesce a costruire centri sanitari e scuole. L'educazione è il suo chiodo fisso, convinto che l'emancipazione può avvenire solo attraverso la conoscenza. Nelle aree conquistate nascono nuove strutture politiche-amministrative comunitarie atte a gestire il governo del territorio. Le sue idee rivoluzionarie e il suo esempio fanno presto il giro del mondo e diventa un leader apprezzato. Alla fine del 1972 quasi l'intero paese era controllato dal Partito Africano per l'Indipendenza della Guinea e di Capo Verde. Il 20 gennaio 1973 Amilcar Cabral venne assassinato a Conakry, porto della Guinea. A sparare fu un ex compagno di partito, Inocencio Kani (per molti al soldo dei portoghesi), alla guida di un comando di guineiani (si parla anche di complicità della polizia politica portoghese) che lo aspettavano, a tarda notte, sotto casa. Il 24 settembre 1973 la Guinea Bissau dichiarerà unilateralmente l'indipendenza che sarà riconosciuta un anno dopo.
Amilcar Cabral è stato sicuramente uno, tra i tanti africani, ad aver sacrificato la propria esistenza e la propria vita per un ideale. Un ideale che l'ha condotto a teorizzare e studiare i meccanismi che si rendevano necessari per emancipare il suo popolo e portarlo ad avere una coscienza critica e attiva per incidere sul proprio futuro. Un'azione fatta in primo luogo con l'esempio, che sebbene apprezzata da alcuni, è stata mal vista da molti. A Cabral, come a troppi africani, non è stato concesso l'onore di veder crescere il frutto del loro operato. Cabral non ha fatto in tempo neppure a veder partire i portoghesi dalla sua terra. E' quanto mai difficile poter immaginare come sarebbe stata una nazione, e più in generale l'intero continente, se tanti dei più genuini protagonisti non fossero stati sterminati o messi a tacere. Lumumba, Cabral, Sankara e in misura diversa Mandela, tanto per citare solo alcuni dei più noti, hanno creduto che l'Africa potesse essere un luogo diverso da quello che oggi è.