FilmDOC Numero 96

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FILMDOC NUMERO

96

Anno XX • gennaio | febbraio 2012

TARIFFA REGIME LIBERO: “POSTE ITALIANE S.P.A.• SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% - DCB GENOVA”

DISTRIBUZIONE REGIONALE GRATUITA

PERIODICO DI INFORMAZIONE CINEMATOGRAFICA

Scorsese, Eastwood, Fincher, Soderbergh, Payne: arriva il cinema d’autore USA 03

ACAB: Intervista a Sollima

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14-15

Hoover secondo Eastwood

Giuliano Montaldo presenta L’industriale

David Cronenberg


IN QUESTO NUMERO

PERIODICO DI INFORMAZIONE CINEMATOGRAFICA

FILMDOC NUOVA SERIE • ANNO XX • N° 96 GENNAIO FEBBRAIO 2012 REDAZIONE c/o A.G.I.S. LIGURIA via S.Zita 1/1 16129 Genova tel. 010 565073 - 542266 fax 010 5452658 www.agisliguria.it e-mail: agisge@tin.it

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DIRETTORE RESPONSABILE Renato Venturelli COORDINAMENTO EDITORIALE Daniele Biello Vittorio Di Cerbo Gianfranco Ricci Riccardo Speciale Coordinamento redazionale Giancarlo Giraud Registrazione stampa N. 30/93 (1/10/1993) del Tribunale di Genova

03 03> Intervista a Sollima 04> Paradiso Amaro

Progetto grafico, ricerca immagini e impaginazione B&G Comunicazione via Colombo 15/2 - 16121 Genova info@begcom.it Stampa Ditta Giuseppe Lang srl Via Romairone, 66 - 16163 Genova (Bolzaneto) Questa pubblicazione, ideata nel quadro della collaborazione tra Regione Liguria - Settore Spettacolo e la Delegazione Regionale Ligure dell’AGIS, contiene i programmi delle sale del Circuito Ligure Cinema d’Essai e viene distribuita gratuitamente, oltre che in dette sale, anche nei circoli culturali e in altri luoghi d’incontro e di spettacolo

05> Steven Soderbergh 06> J. Edgar di Eastwood

07>

Intervista a Montaldo

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Le Carrè e il cinema

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09> Occhio ai film doc 10> Noir in festival

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FilmDoc ragazzi

11> Torino Film Festival

© A.G.I.S. Liguria - Regione Liguria

12-13> Le recensioni - Fight Club

I cinema del Circuito Ligure Cinema d’Essai aderiscono a:

14-15> David Cronenberg

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16> Colonne sonore Cinema e cucina

F.I.C. F.E.D.I.C. C.G.S. A.N.C.C.I.

17> La posta Doc - Forza Italia

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18> Libri & Riviste 19> Intervista a Guideguian Intervista a Gaudino

La rivista è anche visibile on-line sul nuovo sito www.filmdoc.it . Ogni numero è anche scaricabile in formato pdf.

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La prima volta di Gassman

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Paolo Saglietto Produzioni indipendenti

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Febbre Gialla

23-27>

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Programmi sale d’essai

22 19 In copertina Una scena di Hugo Cabret di Martin Scorsese (foto © 2011 Studio Lucherini Pignatelli)

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www.filmdoc.it

Leggi la rivista, guarda i programmi e commenta gli articoli sul nuovo sito on line


©01 Distribution - Ph.: Emanuela Scarpa

PARLA IL REGISTA DI ACAB, FILM SULLA POLIZIA DOPO I FATTI DI GENOVA

INTERVISTE DOC

Police

on my back [ di Roberto Pisoni ]

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RATTO LIBERAMENTE DAL ROMANZO OMONIMO DI CARLO BONINI, A.C.A.B. è il primo lungometraggio per il cinema di Stefano Sollima, regista di Romanzo Criminale, la serie televisiva italiana più innovativa dell’ultimo decennio. Figlio d’arte - il padre Sergio ha diretto, tra gli altri, memorabili western “guevaristi” e sceneggiati tv diventati ormai classici – Sollima ha maturato, nel corso del proprio apprendistato televisivo, uno stile nervoso e iperrealistico, una bella inclinazione all’epica e al pathos, grande economia di racconto e una direzione degli attori asciutta e convincente. Doti che tornano in A.C.A.B, acronimo di All Cops Are Bastards, un pezzo skinhead degli anni settanta, diventato poi un inno delle rivolte di strada. A.C.A.B è un altro film su una banda, l’odiatissimo reparto mobile della polizia, destinato a far discutere fin dalla scelta del punto di vista, tutto interno alle vite pubbliche e private dei tre celerini protagonisti, tre “bastardi” reduci dal G8 di Genova, che cercano di educare una giovane recluta alle regole violente e spregiudicate del clan e alla loro idea distorta di ordine pubblico. Una formazione sul campo che trascorre da alcuni degli episodi di violenza urbana più feroci degli ultimi anni alla routine del lavoro quotidiano: scontri fuori dagli stadi, sgomberi, il caos dei centri di accoglienza, le veglie contro la caccia all’immigrato e i raid ai campi nomadi. A.C.A.B oltre ad essere uno studio antropologico su una tribù ostile e coesa, un racconto di formazione e di amicizia, è soprattutto una disturbante immersione in un paese attraversato da odi e contrapposizioni radicali, spesso sopite o rimosse, da cui sarebbe sciocco stornare lo sguardo. Il libro di Bonini ha una struttura rapsodica, quasi da reportage. Come lo hai “reinterpretato” per tradurlo in un film? «Il romanzo di Carlo mi ha colpito immediatamente perché parlava dell’Italia di oggi, scegliendo un punto di vista “sbagliato” e inedito, quello dei celerini. Un mondo a parte, lontano, che viene illustrato mediaticamente soltanto dai telegiornali in modo distante e spersonalizzato. Il testo ha un taglio documentaristico molto frammentato, con personaggi e storie vere, ma poco adatto alla riduzione cinematografica. Abbiamo fatto ricerche approfondite, incontrato e conosciuto molti celerini, trasformato i personaggi, aggiunto storie nuove, ma ci siamo tenuti la catena degli eventi – l’uccisione di Raciti, l’omicidio della Reggiani a Tor di Quinto, il ferimento per vendetta dei tre albanesi, fino alla morte di Sandri e agli scontri violentissimi che ne sono conseguiti - attraverso cui abbiamo voluto ripercorrere la nostra storia recente. Ci siamo concentrati sugli eventi e soprattutto sull’anima del racconto, per cercare di analizzare e raccontare l’odio di cui questi fatti sono la conseguenza. Non soltanto quello tra celerini e ultras, che è uno dei refrain narrativi della storia, ma tentando di intercettare le tensioni che lo fanno esplodere un po’ ovunque, in maniera improvvisa e incontrollata, come è accaduto di recente anche a San Giovanni. Ci interessava l’odio come contagio, come disordine e come stato dell’essere che caratterizza l’Italia contemporanea». Nel libro tutto inizia dai fatti di Genova, l’evento da cui non c’è ritorno. Che ruolo ha nel film e come lo hai voluto rappresentare? «È un’eco lontana. Il G8 di Genova non viene mai messo in scena. I tre protagonisti – Cobra, Negro e Mazinga - sono dei reduci che appartengono al settimo nucleo, l’élite del reparto celere, e qualcuno di loro ha delle pendenze giudiziarie proprio per le violenze commesse a Genova. Gli eventi che il film racconta si concentrano poi nel biennio 2006/2007, i fatti del G8 sono citati in alcune scene e nei dialoghi tra celerini per testimoniare come, anche all’interno del corpo, ci siano a distanza di anni delle posizioni molto diverse su quello che è accaduto. Genova è un groviglio di avvenimenti così complesso che avrei avuto bisogno di una serie televisiva per raccontarlo e non avevo voglia di tenerlo come sfondo o utilizzarlo per un intro a effetto. Per questo ho preferito che rimanesse un’ombra lontana, il passato che ha cambiato per sempre la vita dei protagonisti.». Cos’ha di irrappresentabile quello che è accaduto a Genova? «Il contesto storico dell’epoca era molto complicato: era il luglio 2001, c’era un nuovo governo che cercava una legittimazione internazionale, una forte tensione sociale, i servizi segreti in fibrillazione… Io rimasi sconvolto, ero completamente impreparato ai fatti di Genova. C’era una

disparità assoluta tra la percezione che avevo del mio paese, evidentemente fasulla, e una deflagrazione dell’odio così violenta ed estrema. Mi sono documentato molto su quanto è accaduto e, anche se ci sono ancora molti processi in corso, non c’è molto da scoprire, la verità è tutta scritta. Ma Genova, la Diaz, la “macelleria messicana” erano eventi troppo radicali per il mio film, che inevitabilmente mi avrebbero portato fuori tema, avrebbero “bruciato” i personaggi. L’eccezionalità di quanto è successo lo rende poco replicabile e quindi poco significativo da un punto di vista drammaturgico. Era mia intenzione entrare in un mondo ed esplorarlo in modo da renderlo riconoscibile, declinare un microcosmo e dei personaggi in cui ci si potesse identificare». Hai già messo in conto che il film si tirerà dietro le critiche di tutti coloro che non amano i film “senza tesi”? «La storia è raccontata dal punto di vista dei celerini ma il film ovviamente non prende nessuna posizione, si regge sul principio che per ogni azione dei protagonisti ce n’è un’altra uguale e contraria. Questo totale annullamento del “pregiudizio”, dovrebbe consentire allo spettatore di avere lo spazio per formulare la propria lettura delle cose. Non era nostra intenzione né assolvere né condannare, ma mostrare. Abbiamo scelto tre celerini caratterizzati da un diverso grado di stanchezza rispetto al proprio ruolo, che incontrano un giovane e gli insegnano la loro visione del mondo e del lavoro. Partendo da un principio astratto e universale, la difesa della legge, lo educano al conseguimento di un ordine “ideale” da raggiungere attraverso un uso ossessivo e illegale della violenza. La giovane recluta è il nostro strumento, il nostro sguardo per indagare l’universo del reparto mobile. Sulla carta è un film che dovrebbe fare incazzare tutti, ma che racconta fatti autentici su un corpo di polizia che è una specie di terminazione nervosa dello stato. Il loro lavoro li porta a contatto con la parti più disperate della società e sembrano fatti apposta per catalizzare l’odio dell’opinione pubblica. Sono sempre dalla parte sbagliata. Aggiungi poi che i nostri protagonisti sono dei perdenti, un gruppo di “fratelli” che ha perso la bussola e non riesce più a capire la differenza tra bene e male». A.C.A.B. non è un pamphlet politico, non è del tutto una storia di formazione, forse, alla fine, è un film poliziesco? «Un poliziesco classico, certo, alla Training Day: il racconto di formazione di una recluta piena di buone intenzioni che finisce nelle mani sbagliate. Una storia di fratellanza e di amicizia, come sono spesso le storie poliziesche. Il film di genere ha questo di fantastico, quando è riuscito: attraverso una struttura classica riesce a raccontarti l’oggi, ad avere uno sguardo acuto e penetrante su quello che ti succede intorno. Sullo sfondo di A.C.A.B. ribollono una serie di fatti che, messi insieme, tracciano un quadro molto inquietante del nostro paese». GENNAIO - FEBBRAIO 2012 FILM DOC

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I FILM DOC

THE DESCENDANTS DI ALEXANDER PAYNE

Paradiso amaro [ di Bruno Fornara ]

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HIUDETE GLI OCCHI E IMMAGINATE di essere alle Hawaii. Vedete con la mente spiagge di sabbia finissima con alberi che si allungano sopra il mare, state a osservare sott'acqua frotte di pesci colorati, poco più in là c'è la barriera corallina, vedete picchi montagnosi ricoperti di fitta vegetazione, vulcani da cui esce lava e fumo. Il paradiso delle Hawaii. Adesso andate a vedere il bel film di Alexander Payne: e siete nelle isole Hawaii come sono, come le vedono e le vivono quelli che ci abitano, gli hawaiani che non portano sui fianchi il gonnellino di foglie di palma e al collo le collane di fiori carnosi, gli hawaiani che sono americani e non pensano di essere i discendenti degli antichi e orgogliosi abitatori di un paradiso che forse è esistito una volta, che adesso non c'è quasi più, paradiso che rischia di perdere anche gli ultimi angoli rimasti intatti. Nel film di Payne, questi discendenti normalizzati si trovano ad affrontare i problemi di qualsiasi altro uomo o donna in qualsiasi altro posto del mondo: vivere giorno dopo giorno, restare sospesi tra una vita vegetale e la morte, crescere i figli. Poi succede qualcosa di inatteso e si accorgono, questi hawaiani di oggi, di dover pensare a ciò cui non avevano mai pensato: devono decidere se confrontarsi con il loro essere discendenti. Eredi di una tradizione che avevano dimenticato. Essere padroni e custodi di una terra che è stata accudita dai loro antenati e che adesso sta diventando un posto quasi come tutti gli altri di questo mondo. Essere discendenti – una volta che viene in mente questa parola – vuol dire dunque farsi carico di una tradizione. Conservarla, tramandarla. Prendersi cura di una porzione di mondo per lasciarla il più possibile intatta ai figli e alle figlie, che a loro volta dovranno essere consapevoli del compito loro affidato. The Descendants è un film doppio: è sul nostro vivere (e finire di vivere) come di solito avviene, alle Hawaii e altrove; ed è sul come ci si può accorgere di stare dentro una tradizione, di essere cioè dei discendenti che hanno ricevuto un compito da rispettare e un luogo da custodire. Tutto questo viene raccontato nel film con quella 4

FILM DOC GENNAIO - FEBBRAIO 2012

tranquilla modalità e semplice sicurezza tipica di Alexander Payne, regista (classe 1961) che si è costruito un percorso significativo, le cui tappe vanno, dopo due film di avvio (Passion of Marty, 1991, film di diploma, e La storia di Ruth, donna americana), da Election, esempio di satira sociale politicamente poco corretta dentro un universo In scolastico, a un film “di famiglia” come A proposito The Descendants, l'avvodi Schmidt, con un Jack Nicholson, uomo ultramecato Matt King esce di casa tutte le mattine dio e fresco pensionato che, quando la moglie tira in un paesaggio che di hawaiano non ha nulla: le cuoia con l'aspirapolvere in mano, festeggia la solo villette, una addosso all'altra, dove abitano raggiunta libertà facendo la pipì in giro per l'aptanti Matt King. Vita normale: addormentata. Poi, partamento. Payne, di film in film, è andato a vesua moglie ha un incidente e finisce in coma. E lui dere, con acuta e partecipe adesione, cosa succede conosce il dolore, deve prendersi cura del corpo dentro le stanze e lungo le strade dell'America inerte di lei e deve mettersi a impaprofonda e livellata. Ai suoi A Payne piace pren- rare a vivere con le due figlie di cui non si era mai preoccupato. In più film non si può dere dei personaggi e scopre anche qualcosa di sorprenattribuire una renderli diversi senza dente sulla vita della moglie. Indefinizione l'avvocato Matt è obbligato precisa: sono stare a fargli la mo- somma, dalle circostanze a rimettere in pari commedie e rale, farli diventare l'orologio della vita e lo fa fino in sono radiografondo: non solo si prende in carico le fie sentimenquello che erano già figlie (bravissima Shailene Woodleye tali, sono all'inizio… " nella parte della più grande); si trarapporti non sforma anche nel difensore di una sempre amispiaggia, di un luogo incontaminato che Payne oschevoli su fette di vita ordinaria. O anche viaggi serva soltanto da lontano, senza mai entrarci con in compagnia di gente piuttosto comune lungo le la macchina da presa, come a volerlo proteggere, strade del vino californiano, come succede in Sianche lui regista, con il suo cinema cauto e prodeways – In viaggio con Jack, dove Jack è volgarotto fondo. Non è facile incasellare un film come The e buzzurro e Miles è sì un intellettuale fallito ma è Descendants: è una commedia ma un po' sbilenca, soprattutto una persona perbene. Sono comunque è un film toccante ma non sentimentale, è un film e sempre, i film di Payne, dei percorsi di “presa di socialmente utile ed ecologicamente istruttivo. È coscienza”, se vogliamo usare un'espressione un soprattutto sincero e dignitoso: e lascia un depopo' consunta, ma Payne la sa rimettere a nuovo: sito di emozioni che lievita dopo la visione. c'è qualcuno che vive così, senza pensarci su, e poi Ultima cosa. Non piccolo merito di Payne è aver i casi dell'esistenza lo portano a fermarsi un modato a George Clooney la possibilità di non essere mento e a cambiare. A Payne piace prendere dei il “solito” Clooney. In questo film, matura anche personaggi e renderli diversi senza stare a fargli la lui come attore. È più incerto, capisce di essere gramorale, farli diventare quello che erano già all'inicile e vulnerabile: e questa scoperta lo fa diventare zio ma non sapevano di essere o non riuscivano a consapevole, nobile e forte. Come dovevano essere essere. Come si dice in Sideways: il vino è vivo e i suoi antenati, di cui lui è degno discendente. noi, come il vino, maturiamo.


REGISTI DOC

ESCE A FEBBRAIO KNOCKOUT, L’ULTIMO FILM DEL REGISTA DI TRAFFIC

The Steven Soderbergh experience [ di Giona A. Nazzaro ]

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A PROLIFICITÀ E LA VELOCITÀ di realizzarato tardivamente sulla strada di Ocean’s 13). Sozione di Steven Soderbergh è pari solo a derbergh è come se avesse compreso un paio di quella di Frank Zappa, che però faceva dischi cose fondamentali (da cui deriva il paragone con e suonava la chitarra. Soderbergh, partito con il la prolificità zappiana): 1) non fermarsi mai tra un successo di Sesso, bugie e videotape, dopo esfilm e l’altro. 2) non farsi mai sorprendere nello sere stato acclamato da Wenders nel corso della stesso posto due volte. Ma a differenza di Woody premiazione cannense come “una speranza per Allen che da 22 anni che fa sempre lo stesso film, il futuro del cinema”, durante la prima parte della Soderbergh non solo non sta mai fermo ma, ed sua carriera, si è mantenuto, tutto sommato, feecco la sua strategia guerrigliera, inizia a camdele al ritratto che di lui ne dava la stampa. biare in continuazione al riparo della sua rispetCineasta indipendente, velleità autoriali, protabilità hollywoodiana che funziona a doppio pensione verso argomenti alti, nobilitanti (il caso senso. A Hollywood gli fanno fare quello che esemplare di Delitti e segreti ispirato a Kafka). vuole perché lui è un “autore”; fuori, non solo Non tutto fila liscio, però. Soderbergh è afflitto, e continua a fare esattamente quello che vuole, ma ne è molto contento, da un’evidente isteria del lo fa con una convinzione esilarante, quella di un linguaggio che si manifesta pienamente in Gray’s regista hollywoodiano che improvvisa una jam Anatomy e, soprattutto, Schizopolis, entrambi del session. E i risultati pagano. Ne sono prova ca1996 e programmaticamente polavori Bub… solo Steven Soderbergh ble e The Girlsopra e sotto le righe. Una dichiarazione di guerra al cipuò raccogliere il testimone di friend Expe. nema ben fatto e all’ossequio Robert Altman, oggi. Quello di rience Ogni film è della norma narrativa così un cinema visceralmente per- l’ o c c a s i o n e violenta che sembra porre per sperimenfine in anticipo alla carriera sonale, strategico, aperto, tare un nuovo di un promettente regista che contaminato e politico. approccio, risi era fatto notare per la schiare, metprima volta nel 1985 con l’ottersi in gioco o semplicemente, giocare. timo documentario musicale Yes: 9012 Live. Nell’arco di undici anni Soderbergh sembra avere Soderbergh può contare sull’appoggio di molti tra percorso tutto l’arco delle possibilità concesse a i divi più importanti di Hollywood che, a differenza un cineasta indipendente consacrato prematuradei registi, sono infinitamente più propensi a mente come un miracolo. Ma il regista nato ad mettersi in gioco di quanto il sistema non perAtlanta nel 1963 è solo all’inizio. Nella testa di Sometta loro. E così, conservando un’inconfondibile derbergh, non lo sappiamo per certo, proviamo a e paradossale identità camaleontica, proprio immaginarlo, i risultati sono sotto gli occhi di come Zappa, inizia a suonare (ahem… filmare…) tutti, si fa largo una strategia: piuttosto che porsu tutti gli spartiti disponibili. E, come Robert Altare se stesso, con il peso delle sue idiosincrasie tman, riesce a diventare il cineasta hollywoonel cinema hollywoodiano, lui porta Hollywood diano più lontano da Hollywood, pur conservando nel suo cinema. Sembra una resa. È l’inizio di una una sua inconfondibile americanità. E così, con guerriglia cinematografica entusiasmante che un piccolo aiuto da parte dei suoi amici Brad Pitt, lungo la strada gli permette di stringere una Julia Roberts, Matt Damon, Soderbergh realizza serie di amicizie e complicità importantissime di film come Solaris (senz’altro il suo capolavoro indiscusso), Erin Brockovich, la trilogia di Ocean il cui quella con George Clooney è solo la più evicui segmento centrale è probabilmente il metadente. Paradossalmente è in questa seconda film più vertiginoso mai realizzato a Hollwood. parte di carriera, la divisione è ovviamente arbiTutto questo viene messo in gioco per realizzare traria, che Steven Soderbergh diventa davvero Che!, il dittico sul guerrigliero argentino, braccio appassionante, anche se in molti faticano a tedestro di Fidel Castro. Con il Che s’era bruciato nere il passo (compreso chi scrive che comunque le mani un grande come Richard Fleischer, ma lo sopportavo poco pure prima e che sarà folgo-

È Gina Carano, campionessa di arti marziali , la protagonista assoluta dell’ultimo film di Soderbergh.

Soderbergh mette in gioco tutto e vince tutto. Per altri cineasti sfidare così appartemente il sistema avrebbe significato la fine ma lui subito dopo realizza un film godardiano come The Girlfriend Experience (con la diva hard Sasha Grey) e un thriller paranoico, schiettamente altmaniano, The Informant!. Insomma: invece del classico run for cover teorizzato da Alfred Hitchcock (ossia: se hai rischiato molto con il film precedente, corri ai ripari), Soderbergh alza il tiro. Il successivo The Last Time I Saw Michael Gregg da noi non è mai arrivato (nonostante Cate Blanchett protagonista) e con Contagion dimostra di essere in grado di realizzare un film catastrofico da camera, con un cast impressionante, dire delle cose non banali su informazione, governi e medicina e al tempo stesso tenere incollato sulla sedia lo spettatore. Così, in attesa del thriller al femminile Knockout, il nostro ha già in preproduzione altri due film e un altro in postproduzione. Steven Soderbergh incarna oggi un tipo molto particolare di cineasta. Il regista embedded nel sistema, in grado di realizzare film a budget zero e allo stesso tempo di confezionare blockbuster politici ricorrendo a tutti i mezzi che Hollywood mette a disposizione. Tutto questo senza contare che Soderbergh è attivo anche come produttore e vanta più di una trentina di titoli al suo attivo. E non è un caso che la vera dimensione autoriale di Soderbergh sia venuta compiutamente alla luce dopo il suo passaggio a Hollywood, quando ha iniziato a giocare con Hollywood utilizzando le regole dell’industria come la migliore delle strategie mimetiche. Probabilmente solo Steven Soderbergh può raccogliere il testimone di Robert Altman, oggi. Quello di un cinema visceralmente personale, strategico, aperto, contaminato e politico. Del maestro condivide, infatti, gli aspetti fondamentali: l’irrequietezza, l’urgenza politica, la grande sensibilità per il lavoro con gli attori e una percezione antimitologica della macchina dei sogni hollywoodiani. Tutto questo senza avere smesso, anche per un solo giorno, di fare cinema. GENNAIO - FEBBRAIO 2012 FILM DOC

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I FILM DOC

© (AP Photo/Warner Bros. Pictures, Keith Bernstein)

IL FILM DI EASTWOOD SU J. EDGAR HOOVER HA DIVISO L’AMERICA

Mister FBI [ di Natalino Bruzzone ]

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LLELUIA: FINALMENTE CLINT Eastwood è tornato a dividere. Almeno i critici americani. J.Edgar ha rotto l’artificioso schieramento di osanna e di entusiasmi alzato dalle voci anche di chi aveva sempre disprezzato l’uomo e l’artista, unendosi poi al coro plaudente quando era quasi impossibile, e poco alla moda, non accorgersi dell’opera straordinaria del maggior regista hollywoodiano in attività. Ma se il biopic Invictus (questo sì angariato da falle e quasi da un ispirazione non convinta da commissione) rispondeva alle regole del politicamente corretto intorno al santino di Nelson Mandela, J.Edgar è cinema secondo Eastwood allo stato puro. Non convince solo chi preferisce l’attacco ideologico da volantino ad una lettura drammaturgica che sfrutti l’ambiguità del personaggio per ribadire le sue molte miserie e le risicate nobiltà. Quasi mezzo secolo al comando e con otto presidenti che non sono riusciti a staccarlo dalla postazione di direttore assoluto, J. Edgar Hoover sino alla morte, il 2 maggio del 1972 alla vigilia del Watergate, è stato una cosa sola con la creatura che aveva praticamente creato e allevato, il Federal Bureau of Investigation. Una leggenda e un eroe della storia degli Usa? Per la parte più conservatrice dell’opinione pubblica sì, per gli altri, invece, un manipolatore e un persecutore che inseguiva unicamente la sua personalissima concezione della sicurezza nazionale dando la caccia più che alla malavita organizzata, ai comunisti, ai dissidenti, agli scomodi rappresentanti delle minoranze, usando le armi delle informazione riservate e delle intercettazioni. Il suo archivio, zeppo di schede bollenti, è scomparso. Quello che resta sono le polemiche, le rivelazioni, la contraddizione del suo essere omossessuale (ovviamente mascherato) seppure abbia costan6

FILM DOC GENNAIO - FEBBRAIO 2012

ricano tranquillo, temente osteggiato il movimento gay. Insomma, neppure quando un caso patologico alla Howard Hughes dove l’oscorteggiava la rasessione compulsiva prende il sopravvento sulla gazza che sarebbe razionalità. diventata la sua asDagli inizi del Novecento all’infarto fatale mensistente-segretaria tre Nixon pensava seriamente un modo per scacper tutta la vita o ciarlo dalla sua poltrona, Eastwood non nasconde quando rischiò di niente: né le retate contro i radicali, né lo sfrutfidanzarsi con Dotamento del rapimento di baby Lindbergh per rothy Lamour innemettere l’F.B.I sull’altare dell’istituzioni intoccascando la gelosia “radicale” di Tolson. Si faceva bili, né i mezzi illegali, né tanto meno il suo lepagare le vacanze da faccendieri, giocava ai cagame affettivo con il vice Clyde Tolson. Ma lo fa valli con nessun rischio di perdere soldi, riceveva alla Eastwood, quindi in nome della messa in baci sulla guancia da Shirley Temple, non sopscena cinematografica prima delle rampogne e portava il Cagney di Nemico pubblico ma lo adodi comizi. La regia mostra, indaga ma solo per i rava quando compariva in La pattuglia dei senza superficiali pare non giudicare. L’etica del vepaura, era geloso di Purvis il suo dipendente che gliardo Clint è lontanissima dalla teorie e dalle tese l’agguato decisivo a Dillinger, si sentiva in pratiche di Hoover: dire che ne condivida, per imbarazzo, scappando, quando Ginger Rogers lo quanto è dato da vedere sullo schermo, l’avverinvitava a ballare, era un mammone cronico, un sione per il radicalismo, è una forzatura non giumegalomane inguastificata dalla Per Eastwood, Hoover ribile e considerava sequenze che, come l’FBI un fiore esclusempre in Eastwood, appartiene alla notte sivo del suo giardino. contengono e conCon la partecipatemplano una “pieamericana, a quella zona zione di un cast in tas” sconosciuta ai grigia che ha accompagnato stato di grazia dove fondamentalisti. Leonardo DiCaprio Hoover, come gli la nazione nella perdita di (Hoover) e Arnie rimprovera un suo tutte le sue innocenze." Hammer (Tolson) azzimato agente, non perdono talento perseguiva oltre ai e credibilità neppure con il trucco mummificante crimini pure le idee, quelle che non corrispondedi una vecchiaia impietosa, Eastwood, non insivano alla sua visione del mondo. Eastwood lo stendo sul duello tra l’F.B.I e il gangsterismo, stampa negli occhi degli spettatori sin dall’inizio, presenta il suo “Quarto potere” in una dimensenza indulgenze e senza reticenze. Intorno al sione che può lasciare perplessi od estasiati. Appersonaggio fa lievitare un’epoca evocata in flash partenendo alla seconda categoria, diventa back attraverso la dettatura delle sue memorie impervio non raccomandare il “travestitismo” (o della storia dell’F.B.I che erano per lui la stessa alla morte della madre e l’immagine di Tolson, cosa) che J. Edgar voleva lasciare in eredità al con una carrellata all’indietro, che guarda per futuro. Un futuro che lo avrebbe respinto e conl’addio la fotografia dell’amato ricordando i passi dannato. Il copione di Dustin Lance Black (Milk) volteggia intorno all’omosessualità unicamente sui baci ardenti in una lettera proibita tra la first con l’insistenza che serve alla regia per costruire lady Eleonor Roosevelt e la giornalista Lorena Hickok. Qui Clint Eastwood svela l’intima preil suo protagonista in un allestimento cupo, tetro, gnanza del suo cinema, intessuto e modellato su raramente, anche in esterni, lasciato alla pieuna classicità che risponde sia alle coordinate nezza della luce. Per Eastwood, Hoower appardello stesso concetto artistico sia alla sua rimotiene alla notte americana, a quella zona grigia dellata simbolicità moderna. Non accorgersene che ha accompagnato la nazione nella perdita di è un peccato. Grave? Assolutamente sì. tutte le sue innocenze. Hoover non era un ame-


INTERVISTE DOC

≥ GIULIANO MONTALDO PARLA DEL SUO NUOVO FILM, L’INDUSTRIALE. GIRATO NELLA TORINO DELLA CRISI.

L’Italia ferita [ di Renato Venturelli ]

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IULIANO MONTALDO COMPIE MEZZO SECOLO DA REGISTA (TIRO AL PICCIONE, 1961), OLTRE CHE SESSANT’ANNI DI CINEMA (ACHTUNG! BANDITI!, 1951), E LO FESTEGGIA NEL MIGLIORE DEI MODI. CON UN NUOVO FILM: L’INDU-

STRIALE, IDEATO INSIEME ALLA MOGLIE VERA, SCRITTO POI INSIEME AD ANDREA PURGATORI. E BATTEZZATO DA UN ANEDDOTO CHE HA SUBITO FATTO IL GIRO D’ITALIA: IL PRESIDENTE NAPOLITANO CHE HA VOLUTO ASSISTERE ALL’ANTEPRIMA DURANTE IL FESTIVAL DI ROMA, PAGANDO REGOLARMENTE IL BIGLIETTO E SEDENDO IN UN POSTO QUALSIASI, IN MEZZO AGLI ALTRI SPETTATORI. A cosa si deve l’idea del film? « Volevo raccontare un momento così difficile come quello che stiamo attraversando, attraverso gli occhi, la vita, la testardaggine, la forte personalità di un uomo che ha ereditato dal padre una fabbrica. Il padre era un uomo del sud, emigrato in Piemonte negli anni del boom, e grazie all’aiuto dei suoi operai era riuscito a diventare titolare di un’azienda. Il figlio ha grinta, riesce a dare più forza alla ditta, conosce personalmente gli operai uno per uno. Ma arriva il momento della resa dei conti della crisi, con le banche che chiudono gli sportelli, le finanziarie che vogliono mettere le mani sull’impresa. Basterebbe una firma, la firma della suocera piemontese, di famiglia ricca, ma lui con orgoglio dice no, voglio farcela da solo. Questo lo porta a silenzi, difficoltà anche sul piano psicoologico, e quindi a una crisi che da sociale diventa anche interna, familiare». Qualcuno ha parlato anche di noir « In qualche modo sì, anche, visto che ci sono tensioni forti. Sono molto contento del cast, ho avuto tanti bravi attori, da Pierfrancesco Favino a Carolina Crescentini, Francesco Sanna... E un genovese che amo molto, Mauro Pirovano: disegna un ragioniere della fabbrica che passa le pene dell’inferno, a fare buste paga quando non c’è più un soldo». Girato a Torino, nel cuore del Nord industriale… «E’ stata una lavorazione abbastanza dura, perché abbiamo girato d’inverno in una Torino gelida, con giorni freddi e notti polari. Abbiamo iniziato esattamente un anno prima dell’uscita in sala, nel gennaio 2011. Per fortuna, però, avevo intorno il calore meraviglioso della

troupe e della gente di Torino, città ferita da questa crisi come tutte le grandi città industriali. Siccome volevo trasmettere l’idea della crisi attraverso l’immagine di una città spenta, con poco traffico, semideserta, a volte facevo richieste che sembravano bizzarre, come togliere le auto parcheggiate in strada. Ma la gente del posto, che magari aveva appena trovato posteggio sotto casa, si è sempre prestata volentieri, perché quando spiegavo cos’era il film avvertivano che si trattava di una storia anche loro. E con grande affetto hanno partecipato alla nostra avventura, sia in centro che in periferia. D’altra parte, bastava andare un po’ fuori Torino, verso Pinerolo, per vedere subito capannoni abbandonati, striscioni di battaglie perse, piazzali vuoti… C’è stato poi un momento particolare. A un certo punto, l’auto dal protagonista doveva passare davanti a una fabbrica occupata, con striscioni, tende, lavoratori che manifestavano. Era difficile chiederlo a una fabbrica chiusa, con tutto il dolore che la chiusura aveva comportato. Così abbiamo chiesto a una fabbrica in funzione di prestarsi. Ma quando la scena era pronta, è successo il finimondo. Sono venute centinaia di persone a chidere cosa stava succedendo, c’è stata una mobilitazione di tutto il quartiere: temevano che davvero ci fosse un’altra fabbrica che stava chiudendo». L’industriale ha una fotografia livida, quasi decolorizzata, ed è una cosa che accade più volte nei suoi film... «Quando uno fa un film che ricorda certe epoche, e io ricordo tante battaglie per la sopravvivenza, si tratta di un film a colori o in bianco e nero? Per me è in bianco e nero! Qui rivedo le immagini di grandi battaglie sindacali viste in passato, ed erano in bianco e nero. Sono

immagini livide perché quel ricordo è come fare un film sul 1945: adesso speriamo che tutto sia passato, ma temo di no». Lei compie quest’anno mezzo secolo da regista, e sessant’anni di cinema. Al di là delle trasformazioni organizzative e tecnologiche, è cambiato qualcosa nel suo atteggiamento, nel suo modo di confrontarsi col suo lavoro, in tutti questi anni? «C’è un’agilità dei mezzi molto più facile da gestire, è cambiata la sensibilità delle pellicole o del nastro, l’illuminazione... Oggi possiamo fare film ambientati in altre epoche con più facilità, e questo per la tecnica. Ma nelle nuove tecnologie siamo rimasti un po’ indietro. Se penso che nel 1985 con Vittorio Storaro e l’Arlecchino a Venezia eravamo stati i primi al mondo ad aver fatto alta definizione… Adesso siamo gli ultimi, o quasi. Ma il vero problema è un altro, e riguarda la scrittura. Come una volta, come sempre. La sceneggiatura, il perché, il come, la costruzione, i dialoghi… Una volta sono andato da Martin Scorsese e ho visto una pila altissima di sceneggiature, una sopra l’altra. Ho chiesto se erano sceneggiature in lettura, progetti. Mi disse: no, sono le varie versioni di Toro scatenato. Invece da noi il lavoro di scrittura spesso non viene capito, non viene pagato. Dire ciak senza avere una storia solida, una sceneggiatura ben costruita, non ha senso. Prima la testa: questa è la base del cinema cinquant’anni fa come oggi». GENNAIO - FEBBRAIO 2012 FILM DOC

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GUIDE DOC

GUIDA AI FILM TRATTI DA JOHN LE CARRÈ, MENTRE ESCE LA TALPA CON GARY OLDMAN

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SCE A GENNAIO LA TALPA, il film di Tomas Alfredson che ci riporta al John Le Carré originario: quello di Smiley, del Circus, della guerra fredda e insomma dei suoi più autentici capolavori. E ripropone la questione dei rapporti tra lo scrittore e il cinema: “Penso che la tecnica narrativa del cinema mi abbia segnato, insieme a Graham Greene” ha detto Le Carré nel 2001, aggiungendo: “Con Greene abbiamo in comune una maniera cinematografica di scrivere. Ma la cosa era vera anche per Dickens e Balzac, prima dell’invenzione del cinema!”. Ecco di seguito i film tratti da Le Carré, cui andrebbero aggiunti i titoli realizzati per la tv: La spia perfetta (1987), A Murder of Quality (1991, sceneggiatura sua) e soprattutto le due miniserie interpretate dal grande Alec Guinness nella parte di Smiley (La talpa, 1979; Tutti gli uomini di Smiley, 1982). Più un episodio curioso di cui parla lo stesso Le Carré, che aveva declinato l’offerta di Stanley Kubrick di collaborare a Eyes Wide Shut: «Gli ho risposto che non potevamo lavorare insieme perché era troppo intelligente, sapeva esattamente ciò che voleva e desiderava che io scrivessi come voleva lui! E’ a quel punto che Kubrick mi ha rivelato di aver voluto adattare A Perfect Spy. Gli confessai di essere sorpreso perché non ne avevo mai sentito parlare. Avevo avuto come unico contatto una strana compagnia privata con base in Svizzera.”Ero io, mi rispose, è il mio modo di procedere!”». La spia che venne dal freddo (1965) • Martin Ritt, con Richard Burton. La prima volta di Le Carré sullo schermo, due anni dopo l’uscita trionfale del romanzo (1963): lanciato come l’anti-Bond, la faccia più sofferta, intimista e crepuscolare della spy-story, racconta come un vecchio agente venga inviato a Berlino per finire soffocato in un vortice di inganni e doppi giochi. «L’interpretazione GENNAIO - FEBBRAIO

di Leamas fatta da Richard Burton è probabilmente la cosa migliore che questo attore abbia fatto sullo schermo, anche se la sua celebrità ha tolto al personaggio molto del suo mistero. Control interpretato da Cyril Cusack era assolutamente delizioso» (Le Carré). Chiamata per il morto (1966) • di Sidney Lumet, con James Mason, Simone Signoret. E’ il momento d’oro della spy story, e Hollywood recupera anche il romanzo d’esordio (1961) di Le Carré: con un funzionario inglese che muore misteriosamente, e Smiley che si fa licenziare per indagare meglio. Ma Smiley nel film si chiama Dobbs perché la Paramount non voleva mollare alla Columbia i diritti sul personaggio. «L’interpretazione di James Mason era elegante e sentita, ma non era Smiley, né voleva esserlo. E poi lo Smiley del primo libro non era lo Smiley della Talpa, che fu scritto 17 anni dopo: a quell’epoca sia io che Smiley vedevamo il mondo in un modo ben diverso» dice Le Carré, che era invece rimasto entusiasta dall’interpretazione di Simone Signoret: «Andai a vedere il film a Kilburn, quasi solo in quel grande cinema, un pomeriggio d’inverno (…) e quando la vidi recitare feci tutta la strada di ritorno verso casa pensando di stracciare il libro e riscrivere ogni scena proprio per le». Lo specchio delle spie (1969) • di Frank Pierson, con Christopher Jones. Un ex-agente polacco viene richiamato in servizio, addestrato in fretta e spedito in Germania Est per far luce su una storia di missili. Cupa e malinconica rappresentazione di un mondo di fantasmi, finita però nelle mani del mediocre Frank Pierson. «Il personaggio di Smiley venne riscritto interamente. Ad ogni modo, il film passò così rapidamente sugli schermi che si doveva essere ben veloci per capire se Smiley c’era o no» commenta Le Carré, che apprezzava però l’interpretazione di Ralph Richardson come Leclerc. C’è anche un Anthony Hopkins alle prime armi, poco più che trentenne. La tamburina (1984) • di George Roy Hill, con Diane Keaton, Klaus Kinski. In piena era Reagan, il primo film da Le Carré senza tradizionale guerra fredda: protagonista, un’attrice americana di sinistra, che viene risucchiata nel gioco dei servizi segreti e usata come

© Studio Lucherini Pignatelli

Il ritorno di Smiley esca per catturare un terrorista palestinese. Con Klaus Kinski spia israeliana: gli attori si salvano, l’operazione resta abbastanza fredda. Cameo di Le Carré nella parte di un poliziotto. La casa Russia (1990) • di Fred Schepisi, con Sean Connery, Michelle Pfeiffer. La sceneggiatura è di un mostro sacro come Tom Stoppard, il protagonista è l’ex 007 Sean Connery, ormai reinventatosi in ruoli più crepuscolari. E la vicenda riguarda un editore inglese spedito in Russia per via di un manoscritto sul sistema missilistico sovietico. Complicazioni spionistiche e sentimentali (lei è Michelle Pfeiffer…), bel cast, confezione elegante ma prevedibile. E nella realtà la guerra fredda è ormai finita: girato a Mosca e San Pietroburgo, oltre che a Lisbona, in Inghilterra e in Canada. Il sarto di Panama (2001) • di John Boorman, con Pierce Brosnan, Geoffrey Rush Quasi un omaggio a Graham Greene e a Il nostro agente all’Avana: stavolta c’è di mezzo il miglior sarto di Panama, che viene agganciato da un agente inglese per dare informazioni sulla sua clientela d’alto bordo. Con Harold Pinter nel ruolo di “zio Benny”, e con Daniel “Harry Potter” Radcliffe. A un certo punto il film sembrava dovesse essere diretto da Tony Scott su script di Andrew Davis, ma Le Carré riprese in mano la sceneggiatura: «sono stato spesso deluso da certi adattamenti dei miei romanzi, come La tamburina, dove c’era materiale per un buon film: accettare di essere coproduttore e cosceneggiatore era un modo di proteggermi da ogni deriva». The Constant Gardener (2005) • di Fernando Meirelles, con Ralph Fiennes, Rachel Weisz. Stavolta niente più spionaggio tradizionale, ma gli orrori delle grandi ditte farmaceutiche e del loro strapotere sul mondo: protagonista, un diplomatico inglese si reca in Kenya con la sua compagna e finisce per doversi confrontare coi crimini delle multinazionali farmaceutiche. Da Il giardiniere tenace (2000), secondo il regista brasiliano di City of God: Oscar a Rachel Weisz come miglior attrice non protagonista.


≥ Scorsese, omaggio a Méliès

L’ARTE DI VINCERE

Le avventure di un bambino nella stazione di Montparnasse anni ‘30. Dopo la Parigi degli artisti e dei letterati targata Woody Allen, ecco arrivare in sala l’altra Parigi: quella del cinema, dei Méliès e dei Lumière, e magari pure della mitica Cinémathèque. A reinventarla sullo schermo in Hugo Cabret è Martin Scorsese, partendo dal graphic novel di Brian Selznick uscito nel 2007. E la vicenda si svolge nella Parigi dei primi anni Trenta, dove Hugo è un ragazzino orfano che vive tra i muri della stazione di Montparnasse, prendendosi cura dei grandi orologi e di un automa cui stava lavorando suo padre. Nel corso delle sue avventure quotidiane entra in contatto con un misterioso venditore di giocattoli che si scoprirà essere nientemeno che Georges Méliès: vale a dire il grande regista delle origini del cinema, il primo creatore di film fondati su trucchi e magie, l’inventore di un cinema spettacolare e fantastico caduto ormai in miseria. Hugo Cabret ha avuto accoglienze entusiastiche negli Stati Uniti, l’impiego del 3D è stato definito il più creativo dai tempi di Avatar di James Cameron. E Scorsese approfitta dell’occasione per realizzare

REGIA STEVE MCQUEEN CON MICHAEL FASSBENDER, CAREY MULLIGAN

OCCHIO AI FILM DOC

non solo un film di grande spettacolo, ma un omaggio al cinema e alla sua storia: reinventando l’Arrivo del treno dei fratelli Lumière, passando attraverso l’opera di Méliès, sottolineando la necessità di conservare i vecchi film. Con Asa Butterfield nella parte di Hugo, Ben Kingsley in quella di Méliès e Sacha Baron Cohen nel ruolo dell’ispettore deciso a spedire Hugo in orfanotrofio.

HUGO CABRET DI MARTIN SCORSESE CON ASA BUTTERFIELD, BEN KINGSLEY, SACHA BARON COHEN, JUDE LAW

La storia (vera) di Billy Beane, general manager degli Oakland Athletic, l’uomo che ha rivoluzionato il mondo del baseball americano. Stanco di vedersi ogni anno soffiare il titolo e i migliori giocatori dalle squadre più potenti, un giorno ha deciso di dar retta a un giovane laureato e di puntare su statistiche e dati og-

gettivi anziché sulla fama che i giocatori godevano nell’ambiente. Ritrovandosi così a combattere da solo contro tutti...

REGIA BENNETT MILLER CON BRAD PITT, JOHAN HILL, PHILIP SEYMOUR HOFFMAN, ROBIN WRIGHT

REGIA DAVID FINCHER CON DANIEL CRAIG, STELLAN SKARSGAARD, ROONEY MARA, ROBIN WRIGHT, MAX VON SIDOW, CHRISTOPHER PLUMMER

MILLENNIUM – UOMINI CHE ODIANO LE DONNE David Fincher si misura con la saga di Stieg Larsson e realizza il remake del primo episodio di Millennium, dicendosi disponibile a girare l’intera trilogia. Grande cast

SHAME

E ORA DOVE ANDIAMO?

Solitudine e ossessioni erotiche di un trentenne di successo, che vive in un appartamento da scapolo alla moda, lavora in un ufficio della City, ma non riesce a controllare le proprie pulsioni e il malessere crescente: soprattutto dal momento in cui irrompe nella sua vita la sorella autodistruttiva. Opera seconda del videoartist Steve McQueen (Hunger), dominata da immagini di grande eleganza formale. Con memorabile esecuzione di New York, New York.

Qualche anno fa, in Caramel ci aveva raccontato il Libano, le donne e il mondo dal punto di vista di un salone di parrucchiera. Stavolta, Nadine Labaki ci porta in un villaggio libanese rigorosamente diviso tra musulmani e cristiani che si guardano in cagnesco: riusciranno le donne a rimediare ai guai combinati dai maschi? Fra dramma, commedia e musical, un film che conferma la capacità della regista di trattare problemi seri con amabile leggerezza.

attorno a una scommessa: il lancio di Rooney Mara (26 anni) nel ruolo di Lisbeth che ha portato al successo internazionale Noomi Rapace.

REGIA NADINE LABAKI CON CLAUDE MSAWBAA, LEYLA FOUAD, ANTOINETTE EL-NOUFALLY, NADINE LABAKI

BENVENUTI AL NORD

IL SENTIERO

LA CHIAVE DI SARA

REGIA LUCA MINIERO CON CLAUDIO BISIO, ALESSANDRO SIANI, ANGELA FINOCCHIARO, PAOLO ROSSI, VALENTINA LODOVINI

REGIA JASMILA ZBANIC CON ZRINKA CVITESIC, LEON LUCEV, ERMIN BRAVO

REGIA GILLES PAQUET-BENNER CON KRISTIN SCOTT THOMAS, MÉLUSINE MAYANCE, NIELS ARESTRUP, FRÉDÉRIC PIERROT

Dopo il successo strepitoso di Benvenuti al Sud, ecco l’immancabile sequel, ma senza più il sostegno dell’originale francese da ricalcare… Stavolta è il napoletano Mattia a doversi trasferire al Nord con un giubbotto fendinebbia, affrontando pregiudizi e sorprese della vita quotidiana a Milano. Con Paolo Rossi manager superefficiente in giacca e cravatta.

Lei lavora come hostess, lui perde l’impiego e accetta di lavorare per una comunità di islamici integralisti: da quel momento, le diverse concezioni del mondo, della vita, del ruolo e della dignità della donna cominciano a esplodere. I problemi della Bosnia post-bellica in un film della regista che vinse l’Orso d’oro a Berlino con Il segreto di Esma.

Parigi, estate 1942. Prima di essere deportata con la famiglia in un campo di sterminio, una bambina ebrea nasconde il fratellino in un armadio a muro. Ai giorni nostri, una giornalista americana va a vivere in un appartamento parigino della famiglia del marito, e scopre a poco a poco quella storia sconvolgente. Dal libro di Tatiana De Rosnay.


FESTIVAL DOC

XXI COURMAYEUR NOIR IN FESTIVAL

Il noir negli anni della crisi Hodejegerne di Morten Tyldum

Wall Street, banche e scandali finanziari al centro di molti film del Festival. Ospite d’onore Stephen Frears con il recupero dell’ottimo Fail Safe, inedito in Italia. [ di Alberto Marini ]

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IECI I TITOLI in concorso per la 21.ma edizione del Noir in Festival di Courmayeur, la manifestazione consacrata alla letteratura e al cinema nero/giallo e affini: erano quasi tutti film in anteMargin Call di J.C. Chandor prima assoluta per l’Italia, e il livello medio è stato decisamente buono. Ma quel che più ha colpito è il fatto che al centro delle pellicole ci fosse l’oggi, e in particolare il momento attuale della crisi del mondo del lavoro e della finanza internazionale. A cominciare dal film d’apertura, l’americano Margin Call, di J.C. Chandor, impreziosito da un cast stellare (Kevin Spacey, Jeremy Irons, Demi Moore, Stanley Tucci) che descrive, romanzandola, la Storia recente. Il giorno prima della crisi finanziaria del 2008, i dirigenti di una banca di investimento di Wall Street vengono informati da un giovane analista entrato in possesso di una chiavetta con file riservati, che l’Istituto è destinato nel giro di poche ore al fallimento. Tra istanze etiche e cinismo di chi pensa solo al proprio tornaconto, i protagonisti di questo dramma si troveranno a decidere come evitare il

collasso: Margin Call racconta il tentativo di un piccolo gruppo di personaggi che stava al centro della crisi senza rendersene conto e che quando ne ha preso coscienza era ormai troppo tardi. Ci è piaciuto molto ed è valso il premio per la migliore interpretazione a Jean-Pierre Darroussin (l’attore feticcio di Robert Guediguian, per intenderci), il francese De bon matin di Jean-Marc Moutout. Il regista sceglie di partire dalla fine, e cioè dal momento in cui il cinquantenne protagonista, bancario, che si occupa della gestione dei piccoli clienti, fa il suo ingresso nella sala riunioni della Banca e spara a due dei suoi superiori. Il perché di quel gesto estremo è spiegato attraverso la rivisitazione della sua vita, utilizzando una serie di suggestivi e mai banali “avanti e indietro” nel tempo della narrazione. Il lavoro sul montaggio è ottimo, la capacità di raccontare la storia, nonostante la fine sia nota, è egregia. E poi quell’uomo che investe tutta la vita sul lavoro e la carriera e si trova, suo malgrado, con un pugno di mosche in mano, è la storia i tanti uomini e donne del nostro tormentato presente. E passiamo al trionfatore di questa edizione, il norvegese Hodejegerne di Morten Tyldum, insignito del primo premio (il Leone Nero). Rispetto agli altri, è il film più “ di genere”, un thriller classico che gioca con la suspense dall’inizio alla fine. Ciò che conta è però il contesto su cui si innesta la vicenda narrata. Ancora una volta, la ricerca spasmodica del potere e del denaro che non basta mai. Il protagonista è un tagliatore di teste, bravo nel suo lavoro che, per “arrotondare” e viziare sempre più la bella moglie, si inventa un secondo mestiere, come ladro e ricettatore di opere d’arte.

FILM DOC RAGAZZI

[ di Maria Francesca Genovese ] niale intuizione e all’incredibile voglia di vivere della delfina. Winter esiste davvero e ha ispirato questo film, dove “recita” nel ruolo di se stessa. Per esigenze drammatiche la trama è stata arricchita di nuove situazioni e personaggi (lo stesso Sawyer è un’invenzione cinematografica), ma gli sceneggiatori hanno saputo mantenere intatto l’insegnamento più importante della vicenda originale: di fronte a difficoltà all’apparenza insormontabili, è possibile reagire se si ha coraggio, determinazione e l’aiuto di persone care. Come la vera Winter, che è sopravvissuta a un’amputazione, ha imparato ad usare una protesi per nuotare ed è d’ispirazione per i tanti disabili che la visitano al Clearwater Marine Aquarium in Florida (proprio quello che appare nel film), avvalendosi per le loro protesi dello stesso gel al silicone sperimentato su di lei. La trasformazione di Sawyer, che da abulico diventa un vulcano di energia propositiva, ed il subplot legato al cugino (ferito in Afghanistan perde una gamba e cade in depres-

L’incredibile storia di Winter il delfino

Sawyer (Nathan Gamble) è introverso e senza amici. Da quando il padre ha abbandonato lui e la madre Lorraine (Ashley Judd), il suo carattere si è incupito e nemmeno l’ammirazione per il cugino Kyle (Austin Sto10

Lo spettatore non si annoia mai, viene sorpreso da continui colpi di scena, fino ad un improvviso ma opportuno happy end. Vogliamo inoltre dar conto dell’omaggio reso dal festival all’autore britannico Stephen Frears, di recente premiato con il premio alla carriera dagli Oscar europei. Era presente in carne ed ossa nella cittadina valdostana e ha dialogato in modo schietto e diretto con il pubblico. Ha raccontato una serie gustosissima di aneddoti, dagli spunti che sono all’origine dei suoi lavori, alle sue passioni, fino al metodo usato per dirigere (spesso benissimo) i suoi interpreti. A parte l’incontro, i selezionatori hanno proposto sul grande schermo due opere, che testimoniano il feeling di Frears con il genere e le atmosfere noir. Stiamo parlando del televisivo – e da noi inedito- Fail Stephen Frears Safe (A prova d’errore), bianco e nero girato in presa diretta, remake del film di Lumet del 1964. Siamo in piena guerra fredda e il regista orchestra uno splendido esercizio di stile con un manipolo di attori eccellenti (George Clooney e Harvey Keitel su tutti) e tensione da tagliare con il coltello: da recuperare assolutamente. Grande piacere è stato infine rivedere Gumshoe (Sequestro pericoloso), commedia nera di Frears degli anni ’70, atmosfera e spirito british, con un detective memorabile al centro dell’intreccio.

well), campione di nuoto, riesce a sbrecciare il muro d’isolamento che si è costruito intorno. Un giorno il ragazzino trova sulla spiaggia un delfino, rimasto impigliato in una rete da pesca per gamberi. Tra i due si crea subito un legame forte: Sawyer non la abbandona (si tratta di una lei) mentre è trasportata al vicino acquario per le cure, né quando subisce l’amputazione della coda. Per tenerla in vita occorre una soluzione e Sawyer convince un medico specializzato in protesi (Morgan Freeman) a creare per lei una coda artificiale. Ma Winter rifiuta l’arto nuovo e il suo destino sembra segnato. Sarà ancora una volta Sawyer a salvarla, grazie a una ge-

FILM DOC GENNAIO - FEBBRAIO 2012

sione, ma sposando anch’egli la causa di Winter ritrova la voglia di vivere e di nuotare), ricordano che donare significa anche ricevere. Classico “family movie” piacevole per spettatori di tutte le età, può contare su un cast di prim’ordine, diretto con mano sicura e sguardo sereno da Charles Martin Smith. Lo stesso che, nel 1984, recitò da protagonista in un altro film incentrato sul rapporto profondo tra l’uomo e il mondo animale, l’ottimo Mai gridare al lupo.


FESTIVAL DOC

LA QUESTIONE DELL’IDENTITÀ AL CENTRO DEI FILM DI SION SONO, REGISTA RIVELAZIONE DEL TORINO FILM FESTIVAL

Sono o non Sono? [ di Renato Venturelli ]

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UE ANNI FA AVEVA PRESENTATO Nicolas W. Refn, quest’anno il Torino Film Festival ha avuto il suo evento più appassionante nella personale di Sion Sono, regista giapponese entrato da pochi anni nel giro dei grandi festival internazionali ma ancora inedito in Italia. Dopo i primi tentativi come poeta, autore di manga, attore o musicista, spiega lui stesso come aveva deciso di passare al cinema: «Scrivevo poesia, ma se avessi pubblicato libri la mia scrittura sarebbe diventata uniforme: con i caratteri a stampa le emozioni non possono trasparire come attraverso la propria calligrafia. Volevo che il mio stato d’animo rimanesse nella scrittura, ed è per questo che ho cominciato a fotografare le poesie che scrivevo in giro per la città, e che erano veri e propri graffiti (…) Finché mi chiesi “e se aggiungessi il movimento?”, e cominciai a girare con una 8 mm». Dopo quasi vent’anni di lavori a carattere più sperimentale, lui stesso vede il momento della svolta in Suicide Club (2002), film dall’incipit fulminante: in una stazione della metropolitana di Tokyo, decine di ragazze in divisa da studentesse si prendono per mano e si gettano insieme

sotto un treno, suicidandosi. In quella sequenza troviamo tanti aspetti ricorrenti nell’opera del regista: lo shock sullo spettatore, il rapporto tra individuo e dimensione collettiva, l’improvviso spezzare la propria “normalità” quotidiana per proiettarsi in un’altra dimensione. La “trilogia dell’odio” porterà agli estremi questa poetica. In Guilty of Romance (2011) una timida mogliettina si getta improvvisamente nel mondo, affondando in una storia di orrore, crimine e prostituzione. In Cold Fish (2010) il proprietario di un piccolo acquario viene trascinato in un incubo di violenza estrema da un ricco concorrente serial killer, tra laghi di sangue e corpi squartati sotto le insegne della Madonna. E non è finita. In Strange Circus (2005) travestimento, voyeurismo, melò incestuoso si mescolano in un continuo ribaltamento d’identità, con un padre che chiude la figlia bambina dentro la custodia di un violoncello per assistere alle scene di sesso tra lui e la moglie. E Hair Extensions (2007) parte dalle lunghe capigliature tipiche di tanto horror giapponese per trasformarle in un delirio irrefrenabile. Molti film di Sion Sono ruotano attorno alla scoperta dell’altra faccia della propria identità, a un’improvvisa discesa agli inferi che è al tempo stesso sconvolgente e rivelatrice: un’insistenza che forse ricorda anche “fino a che punto siano deboli la coscienza e la volontà dei giapponesi”, secondo quanto dice il regista. Il

quale, comunque, non offre di sé un’immagine univoca, ma cambia continuamente registro, passando anche a opere molto più essenziali e intimiste: come osserva Emanuela Martini, c’è in lui “una sana reazione a un mondo che gli fa sempre più orrore”, ma “senza aver fatto dell’odio la sua moneta di scambio, nel senso che non è uno che provoca perché è quello che ci si aspetta da lui”. E tutto nell’ambito di una produzione torrenziale, fatta di almeno un film all’anno. D’altra parte, uno dei suoi registi prediletti è Fassbinder, di cui dice di amare due cose: “il suo modo di lavorare come un pazzo, cinque o sei film all’anno, senza distinzione fra opere maggiori o minori”, e “il fatto che i suoi lavori sono privi di humour: non c’è mai un lieto fine, sono tutte storie tragiche”.

Temi ricorrenti alla 29ma edizione del Torino Film Festival

Solitudini, malattie e catastrofi

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A DESOLAZIONE DEI PAESAGGI dell’Islanda del Nord, l’incontro fra due solitudini, la nascita di un’amicizia al Á maschile. Annan Veg - Either Way, opera prima di Hafsteinn Gunnar Sigurdsson vince la 29esima edizione del Torino Film Festival con la giuria presieduta dal regista americano Jerry Schatzeberg, in cui risaltano i nomi del filippino Brillante Mendoza e della nostra Valeria Golino. Una scelta condivisibile che premia la semplicità di una storia che si svolge durante un’imprecisata estate degli

anni ’80, quando ancora internet e i cellulari non erano diffusi. I due protagonisti, un uomo in crisi con la compagna (Sveinn Òlafur Gunnarsson, anche coautore del soggetto) e il giovane fratello della donna (Hilmar Gudjónsson) si occupano della manutenzione di strade dove l’unico mezzo che circola è il camion di un bizzarro alcolizzato. I due sembrano non condividere nulla: l’adulto serio e motivato, il giovane con la testa fra le nuvole e gli ormoni che premono, ma gli eventi della vita – la fine di un amore e l’arrivo di un bambino – ribaltano la situazione avvicinandoli. La macchina da presa segue imparziale le loro vicende, ritraendoli – spesso con campi lunghi - nel paesaggio scabro, bruciato dal freddo e

dal vento, rispettando i loro silenzi e culminando nella significativa sequenza della sbornia in cui i due si scoprono finalmente amici. Fra i temi che hanno dominato questa ricca edizione del Torino Film Festival quello più evidente e disturbante è stato quello della malattia. In concorso: il banale ed edulcorato 50/50 di Jonathan Levin, su un giovane che si trova ad affrontare un tumore, e Serdca Boomerang di Nikolay Khomeriki, in cui il protagonista scopre di avere un grave difetto al cuore; nelle altre sezioni: il candidato all’Oscar francese La guerre est déclarée di Valérie Donzelli, sulla guarigione di un bambino guarito da una grave forma di cancro al cervello, una storia vera raccontata

(con furbizia) e interpretata dalla madre del protagonista reale, The Descendants di Alexander Payne con George Clooney sul capezzale della moglie in coma. In tempi di crisi economica, sociale e globale è comprensibile che emergano domande che riguardano non solo la fine del mondo (il catastrofismo è un altro argomento forte della produzione cinematografica della stagione) ma anche quella dell’uomo. Il problema riguarda semmai spesso la drammaturgia – basta raccontare la malattia di una persona per fare un film? – e il rischio altissimo di cadere in facili sentimentalismi.

(Francesca Felletti)

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LE RECENSIONI DOC

MIRACOLO A LE HAVRE

Realismo poetico secondo Kaurismaki

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L RAPPORTO CON LA CITTÀ francese eletta a fare da contenitore scenografico dall’ultimo film di Aki Kaurismaki è diametralmente opposto a quello che l’ultimo Woody Allen instaura con la “sua” Parigi. Nei fotogrammi di Miracolo a Le Havre non c’è mai nulla d’illustrativo o di turistico e le immagini di quella città restituiscono solo qualcosa di squisitamente cinematografico. Le Havre è un personaggio del film come lo sono gli altri di questa favola realistica: personaggio figurativo che con gli esseri umani dialoga in modo intimo e profondo, ora giustificandone i comportamenti e ora commentandoli. Varcata la soglia dei cinquant’anni, gli ultimi dei quali trascorsi nel suo ritiro portoghese, poco lontano dalla strada di Oporto dove abita il centenario De Oliveira, il finlandese Kaurismaki consegna al grande schermo, con

Miracolo a Le Havre, il suo film più sereno e rappacificato, lontano dagli eccessi goliardici dei suoi Leningrad Cowboy come dal cupo pessimismo che contraddistingue quel filone della sua filmografia che va da La fiammiferaia a L’uomo senza passato. Una grande opera dal tono dimesso: dolce e insieme graffiante, malinconico e tutto proteso verso la speranza nel futuro. Senza nulla rinnegare della originalità espressiva del suo eccentrico autore, Miracolo a Le Havre è un film che riesce nell’impresa, apparentemente impossibile, di fonderne le due anime estetiche in un realismo poetico che affonda le proprie radici nella storia stessa del cinema. Mai esibite sullo schermo, le molteplici suggestioni culturali del film si esplicitano in citazioni dirette solo nei nomi assegnati ai personaggi che rinviano ora a un’ideologia (il cognome del protagonista è Marx), ora a un modello estetico (Monet si chiama l’ispettore-poeta) e ora a

MIDNIGHT IN PARIS

Cartoline da Parigi firmate Woody Allen

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L RITMO DI UNA ALL’ANNO, Woody Allen continua a mandare sugli schermi internazionali le sue cartoline, avvolte in tonalità narrative dal tono gentile e accomodante, che garantiscono, a chi è stato disposto ad acce t t a r n e l’eleganza patinata e l’assunto culturale radical-chic, di uscire dal cinema rasserenato, nello spirito e nella mente. Questa volta le cartoline arrivano da Parigi e l’apologo racconta di come gli esseri umani sensibili e intelligenti non siano mai contenti di vivere nel presente e, per questo, sognano ciascuno un proprio passato, nel quale poter precipitare. E si sa, sin dai tempi di La rosa purpurea del Cairo, che nei film di Woody Allen i sogni a volte si avverano. Ben pagato sceneggiatore hollywoodiano, Gil è a Parigi con la sensuale fidanzata Inez, sua prossima sposa accompagnata 12

dai ricchi e reazionari genitori. L’aria della “Ville Lumière”, soprattutto di notte (ah, le notti di Parigi!), risveglia nel giovanotto rimembranze artistiche e letterarie dei “favolosi” anni Trenta, quando Parigi era il crocevia di scrittori, pittori, critici e toreri; e nello stesso tempo lo inducono a meditare sul proprio presente così insoddisfacente (quando mai uno sceneggiatore hollywoodiano, se è intelligente, può essere anche felice?) e a tirar fuori dal cassetto il manoscritto di un romanzo che tutti gli editori hanno rifiutato. È in quella città bellissima, come solo sanno essere le città nelle cartoline, che accade il miracolo. In una notte solitaria passa un’automobile d’epoca. Qualcuno si affaccia per invitare il malinconico Gil. A bordo ci sono Francis Scott e Zelda Fitzgerald. Inizia così il viaggio di Gil in un passato di cui anche nelle sere seguenti attende il puntuale manifestarsi allo scoccare della mezzanotte. Un viaggio che gli permette di conoscere i suoi idoli, ai quali Woody Allen dà la stessa consistenza elegante e superficiale di

FILM DOC GENNAIO - FEBBRAIO 2012

quel particolare momento della storia del cinema francese che nei tardi anni Trenta aveva trovato la propria cifra più autentica, proprio su quelle coste del nord, nello sguardo malinconico di Arletty (nome attribuito al personaggio qui affidato all’icona kaurismakiana Kati Outinen) osservato dalla cinepresa di Carné, che come il lustrascarpe interpretato da André Wilms di nome faceva Marcel. E il gioco dei rimandi “cinephili” potrebbe proseguire chiamando in causa anche la presenza nel film di Jean-Pierre Leaud, profilo invecchiato della “Nouvelle Vague”, o del più chapliniano dei registi francesi (Pierre Etaix), o anche l’esplicita reminescenza del cinema giapponese restituita da quel ramo di ciliegio in fiore su cui il racconto si conclude. Ma, pur essendo così radicalmente immerso nella storia del cinema, del cui linguaggio si fa consapevolmente sponda, Miracolo a Le Havre non è mai un film che usa la citazione come una strizzata d’occhio per farsi riconoscere dal suo pubblico. Attraverso questa narrazione d’ambiente realistico e dal doppio lieto fine, con protagonista un lu-

quella Parigi di sogno. Come sempre gli accade, il regista mescola malinconia e ironia, realismo e dimensione onirica; senza ovviamente mai rinunciare al suo gusto per il dialogo frizzante e per la battuta cabarettistica. Ecco, allora sfilare, sempre al limite tra l’omaggio e la parodia, gli eroi di Gil (che sono poi gli stessi di chiunque abbia sfogliato almeno un articolo illustrato sugli anni Trenta parigini): Hemingway e Gertrude Stein, Picasso e Salvator Dalì, Cole Porter al piano e Luis Buñuel con il torero Juan Belmonte. E poi, in quel passato di sogno, c’è anche (finalmente!) un personaggio che appartiene solo al film. Si tratta di Adriana: amante di Picasso come lo era già stata di Modigliani. Tra Gil e lei scatta un’affinità elettiva, che allontana sempre più il giovanotto dalla fidanzata. Ma, proprio come lui, anche Adriana si sente a disagio nel suo presente e sogna pertanto di vivere nella Belle Époque, con il risultato che quando Woody Allen, sempre generoso con i propri personaggi, la fa precipitare ai tempi di TouloseLautrec, Gil torna a essere solo. Almeno sino a che, infine, non si avvia in campo lungo verso il futuro in compagnia della sorridente commerciante di cose vecchie, che, incontrata quasi per caso, ritroverà “miracolosamente”su un ponte della Senna. Midnight in Paris è un film

strascarpe che aiuta un ragazzino africano a proseguire il suo viaggio verso l’Inghilterra, proprio nei giorni in cui la moglie ricoverata per un cancro maligno viene miracolosamente dimessa dall’ospedale perfettamente guarita, Kaurismaki mette in scena un film che s’inserisce con assoluta originalità nel solco tracciato dai Chaplin, Capra, De Sica o Demy. Un film assolutamente personale, in cui la follia rockettara di “Little Boy”, può perfettamente convivere con il mondo chiuso di quel quartiere dove tutti si aiutano e dove anche l’arcigno e temuto ispettore di polizia si rivela essere sensibile alla malinconica dolcezza dell’amore. Un delicato esempio di come l’utopia possa farsi cinema, senza mai cadere nella retorica.

MIRACOLO A LE HAVRE (Le Havre, Finlandia-Francia-Germania, 2011) Regia, soggetto e sceneggiatura: Aki Kaurismaki – Fotografia: Timo Salmines - Fotografia: Pawel Edelman -Scenografia: Wouter Zoon - Costumi: Frédéric Cambier – Montaggio: Timo Linnasalo. Interpreti: André Wilms (Marcel Marx) – Kati Outinen (Arletty) – Jean-Pierre Darroussin (Monet) - Blondin Miguel (Idrissa) – Elina Salo (Claire) – Evelyn Didi (Yvette) – Quoc Dung Nguyen (Chang) – Roberto Piazza (Little Bob) – Pierre Etaix (Dottor Becker) – JeanPierre Leaud (il delatore). Distribuzione: Bim - Durata: un’ora e 33 minuti

che piace al pubblico, perché tende a farlo sentire colto, sensibile e intelligente. Uno di quei film che rasserenano e gratificano. Belle immagini, tonalità ammiccante, elegante impaginazione. Poco importa che, infine, non ci sia quasi nulla di autentico e profondo. In fin dei conti, questo è ciò che contraddistingue quasi tutto il cinema di Allen, che – anche se suona un po’ blasfemo scriverlo – potrebbe forse essere letto come la versione da salotto buono (tra Manhattan e il circuito turistico degli hotels a cinque stelle) di quello ruspante dei fratelli Vanzina, dove si esibisce anche lì soprattutto il niente che c’è sotto il vestito che si è scelto d’indossare.

Midnight in Paris (Midnight in Paris, Francia-USA, 2011) Regia, soggetto e sceneggiatura: Woody Allen - Fogtorafia: Darius Khondji - Scenografia: Anne Seibel - Costumi: Sonia Grande – Montaggio: Alisa Lepselter. Interpreti: Owen Wilson (Gil), Rachel McAdams (Inez), Kathy Bates (Gertrude Stein), Adrien Brody (Salvador Dalì), Marion Cotillard (Adriana), Michael Sheen (Paul), Tom Hiddleston (F. Scott Fitzgerald), Alison Pill (Zelda), Carla Bruni (guida del museo), Adrien de Van (Luis Buñuel), Marcial Di Fonzo Bo (Pablo Picasso), Corey Stoll (Ernest Hemingway). - Distribuzione: : Medusa Film - Durata: un’ora e 40 minuti.


[ di Aldo Viganò ]

LE NEVI DEL KILIMANGIARO

Classe operaia e rivoluzione etica

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TORNATA LA CLASSE OPERAIA, ma nell’età della globalizzazione la sua missione storica è radicalmente cambiata. Licenziato per estrazione a sorte, da lui stesso voluta, Michel, sindacalista di un cantiere navale della Costa Azzurra, si trova improvvisamente a fare i conti con la sua nuova vita da cassaintegrato in attesa di pensione. Nulla di traumatico, in fin dei conti: dopo una vita di lavoro, Michel ha davanti a sé un futuro autunnale, ma non nero. Una casa modesta di proprietà a pochi metri dal mare, una moglie che fa la badante e nulla mai gli rimprovera, due figli sposati, un pugno di nipotini da portare al mare, un amico d’infanzia che ha sposato la sorella di sua moglie e con il quale può trascorrere qualche sera a giocare a carte. Ma Michel ha troppa consapevolezza sociale per non sentirsi in colpa: la rivoluzione di classe non c’è stata e il mondo che la sua generazione ha consegnato a quella seguente è certo meno roseo di quello passato. Che fare? Con tono dimesso e asciutto, degno di un Ken Loach marsigliese, Robert Guédiguian (giunto a notorietà internazionale con Marius e Jeannette) mette in scena un film che è insieme etico

e politico. Il titolo deriva da una canzoncina popolare e dalla destinazione della settimana di vacanza che i colleghi e i parenti regalano a Michel e a sua moglie per l’anniversario di matrimonio. Sarà proprio quel carnet con i biglietti di viaggio a segnare lo spartiacque nello sviluppo narrativo del film. Poche sere dopo la festa al cantiere, infatti, due giovani incappucciati fanno irruzione in casa di Michel per rubargli tutto quello che c’è e svuotargli il conto corrente con le carte di credito, dopo aver picchiato sua moglie, nevrotizzato sua cognata e lasciato lui con una spalla lussata. Scoperto che uno dei rapinatori è un giovane ex collega, licenziato il suo stesso giorno, Michel lo denuncia d’impulso; ma poi si pente, anche perché viene ad apprendere che il ladruncolo ha due fratellini a carico, abbandonati dai padri e ripudiati dalla madre. Citando Victor Hugo, al quale in modo alquanto arbitrario viene attribuito il soggetto del film, a questo punto il discorso cinematografico si fa prevalentemente etico. Contro tutto e tutti, infatti, Michel e la moglie, dapprima all’insaputa l’uno dall’altra e poi insieme, si fanno carico di quei due ragazzini. Sconfitta sul piano

FIGHT CLUB

economico-sociale, anche su quello ideologico, la classe operaia, almeno quella uscita dalla guerra di resistenza, si trova ora a dover fare i conti soprattutto con l’etica solidale e con lo scontro tra le generazioni, con i giovani (anche i propri figli) ormai vittime inconsapevoli della società dei consumi. Il fascino e l’originalità di Le nevi del Kilimangiaro stanno tutte in questo laico assunto morale. Nulla di urlato o di programmaticamente declamatorio, ma il racconto semplice di un recupero dei valori umani, contro la inconsapevole diffusione dell’immoralità nel tempo della globalizzazione, anche degli interessi individuali. E Guédiguian sa

dire queste poche cose elementari con linguaggio semplice e chiaro: cosa di cui non si può che essergli grati.

LE NEVI DEL KILIMANGIARO (Les neiges du Kilimandjaro, Francia, 2011) Regia: Robert Guédiguian - Soggetto: dal poema Les pauvres gens di Victor Hugo - Sceneggiatura: Robert Guédiguian e Jean-Louis Milesi - Fotografia: Pierre Milon - Scenografia: Michel Vandestien Costumi: Juliette Chanaud - Montaggio: Bernard Sasia. Interpreti: Ariane Ascaride (MarieClaire), Jean-Pierre Darroussin (Michel), Gérard Meylan (Raoul), Maryline Canto (Denise), Grégoire Leprince-Ringuet (Christophe), Anais Demoustier (Flo), Adrien Jolivet (Gilles) – Robinson Stévenin (il commissario). Distribuzione: : Sacher - Durata: un’ora e 40 minuti

[ di Giona A. Nazzaro ]

IL TINTIN DI SPIELBERG

La reinvenzione dei classici dell’avventura

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A VERA SEPARAZIONE È QUELLA che si è creata fra il pubblico, italiano e non, e il cinema di Steven Spielberg, non quella dell’ottimo film di Asghaf Farhadi. Presentato al Festival Internazionale del Film di Roma un giorno

prima che uscisse nelle sale, Le avventure di Tintin: il segreto dell’Unicorno, è stato sbeffeggiato dai cosiddetti critici crossmediali che manco erano nati quando Fuga da New York stava nelle sale e disertato dal pubblico che evidentemente di fumetti sa solo sino all’ultimo Batman di Chris Nolan. Insomma: con questi chiari di luna, Steven Spielberg diventa un regista da cenacolo cineclubbista e non da folle oceaniche dei multiplex. Infatti, nonostante l’esposizione mediatica, il nostro ha continuato con ostinazione a lavorare intorno alla sua poetica aggiornandola costantemente con le ultime tecnologie. Tant’è vero che Tintin lo si può a ragion veduta considerare come la quadratura spielberghiana del cerchio. Ricorrendo all’incompresa motion capture dell’amico Robert Zemeckis, Spielberg crea un film che è di fatto la reinvenzione dei classici

avventurosi di Hollywood come Gunga Din di George Stevens. Tutto l’immaginario delle avventure degli albi di Lee Falk e Alex Raymond, il sapore di imprese coloniali tese fra le due guerre, rivive nel film di Spielberg come un vortice di cinema al cubo, dove la tecnologia digitale non è utilizzata per andare nella direzione di Michael Bay (purtroppo utilizzato sempre come termine di confronto negativo, ma ne riparliamo) ma per andare indietro. Come una torsione paramnestica, Spielberg finge di ricordare che il cinema dei Michael Curtiz che amava da adolescente fosse veloce e senza apparenti stacchi di montaggio come il suo Tintin e crea un puro movimento apolinneo. Ed è questo sortilegio a fare l’incanto del film di Spielberg, non la sua ineccepibile perfezione formale. Spielberg usa infatti tutto quanto ha a sua di-

sposizione per creare la versione perfetta de I predatori dell’arca perduta. Tintin si mimetizza fra il consumo cinematografico fingendo di essergli omologo. Il pubblico, però, non ci è cascato: ha capito che Spielberg smerciava del cinema vero, e ha preferito andare a vedere altra roba, non il cinema. Gli altri, i critici, hanno tratto le medesime conclusioni del pubblico. Ma loro non hanno alcun alibi per avere mancato uno Spielberg in forma smagliante. Per cui resta una domanda: che fare quando il piacere del cinema diventa di fatto un problema? Quando il piacere del cinema non si riesce più a vedere al… cinema? Solo Spielberg ci può salvare.

GENNAIO - FEBBRAIO 2012 FILM DOC

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CHI E' David Cronenberg nasce a Toronto (Canada) il 15 marzo 1943 in una famiglia ebraica, politicamente progressista. Si laurea in lettere e studia scienze. Per un anno viaggia in Europa, risiedendo soprattutto a Copenaghen e a Londra, da dove torna in patria fortemente influenzato dai fermenti culturali degli anni Sessanta. Scrive racconti di fantascienza e scopre ben presto il cinema. Gira alcuni film senza produttore, con attori assoldati nel college dove studia. Il suo primo film professionale è Il demone sotto la pelle. Nel 2002 è stato nominato "Officer of the Order of Canada”. Nel 2008, realizza due progetti extra-cinematografici: l’allestimento della mostra Chromosomes al Palazzo delle Esposizioni di Roma e la regia dell'opera The Fly a Los Angeles e al teatro Châtelet di Parigi. Il suo ultimo film, Cosmopolis, è tratto dall'omonimo romanzo di Don DeLillo.

FILMOGRAFIA Cortometraggi 1966: Transfer 1967: From the Drain

Lungometraggi 1969: Stereo 1970: Crimini del futuro •• (Crimes of the Future) 1975: Il demone sotto la pelle ••• (The Parasite Murders) 1976: Rabid sete di sangue ••• (Rabid) 1979: Veloci di mestiere ••• (Fast Company) – La covata malefica •• (The Brood) 1980: Scanners •• 1982: Videodrome ••• 1983: La zona morta ••• (The Dead Zone) 1986: La mosca ••• (The Fly) 1988: Inseparabili •••• (Dead Ringers) 1991: Il pasto nudo •• (Nakes Lunch) 1993: M. Butterfly •• 1996: Crash ••• 1999: eXistenZ ••• 2002: Spider •• 2005: A History of Violence •••• 2007: La promessa dell’assassino •••• (Eastern Promises) 2011: A Dangerous Method ••• 2012: Cosmopolis (prossima uscita).

Televisione 1971: Tourettes – Letter from Michelangelo – Jim Ritcher Sculptor Documentari per la tv canadese) 1972: Don Valley – Fort York – Winter Garden – Scarborough Bluff – In the Dirt (televisione canadese) ) – Secret Weapons (per la serie “Program X”) 1975: The Victim (per la serie “Pep Show”) – The Lie Chair (per la serie “Peep Show) 1976: The Italian Machine (per “Tele Play”) 2000: Camera 2007: At the Suicide of the Last Jew in the World in the Last Cinema in the World (episodio di “Chacun son cinema”)..

David Cronenberg, dall’horror alla classicità [ di Aldo Viganò ]

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A TORONTO A HOLLYWOOD, via Copenaghen e Londra. Il percorso di David Cronenberg verso il cinema non è diretto come quello dei “cinéphiles”, della cui schiera egli non fece mai parte; ma nasce dall’incrocio tra molteplici sollecitazioni culturali: la letteratura che aveva imparato a conoscere nella libreria del padre e la giovanile ambizione di diventare scrittore, la filosofia e la biochimica, la passione per la tecnica e il mai dismesso interesse per la psiche umana. Nato al cinema come film-maker undergroud, ai tempi della contestazione giovanile, per anni considerato soprattutto un regista di film horror, Cronenberg si è confrontato negli ultimi anni (da A History of Violence a A Dangerous Method) con i temi e le modalità espressive della classicità, consegnando allo schermo opere di grande maturità espressiva, senza per questo mai rinunciare alla sua intima vocazione trasgressiva e al gusto per un linguaggio sovente sperimentale. David Cronenberg non è mai stato un “metteur en scène”, ma è un autore nel senso più europeo del termine. Un autore contemporaneo che ha visto nel cinema di “genere” la via maestra per accedere alle contraddittorie radici delle pulsioni umane e che considera il film come una realtà complessa fatta di immagini, ma anche di parole, di soluzioni figurative sempre in libero dialogo con la colonna sonora che le accompagna (parole, musica, rumori, ecc.). «Il cinema muto era una forma matura sola a metà», ha detto Cronenberg una volta: «È come un girino non ancora divenuto rospo». E, per rimanere nella metafora, proprio di “rospi” è abitata la sua filmografia, punteggiata da opere “mutanti” che si caratterizzano sempre per l’articolata complessità di tutti gli elementi che compongono la loro articolata struttura linguistica. Coerentemente con l’immagine del

Scanners

rospo, infatti, il tema che più ossessivamente ritorna nei suoi film è proprio quello della mutazione, del diventare altro da sé. Per azione della scienza come succede nei suoi primi lungometraggi (Stereo, Crimes of the Future) o per intervento di un agente esterno (Il demone sotto la pelle, Rabid sete di sangue); per pulsione inconscia (Brood – La covata malefica, La zona morta) o per apporto della tecnologia (Videodrome, La mosca): in un crescendo sempre più complesso e sofisticato, che progressivamente cancella il prima e il poi della mutazione, attraverso lo sdoppiamento gemellare di Gli inseparabili o la confusione dei sessi di M. Butterfly, sino ai giochi erotico-meccanici di Crash o a quelli solo apparentemente virtuali di eXistenZ. Dal suo primo cortometraggio (Transfer), dedicato al rapporto ossessivo di un paziente con il proprio psichiatra, al sinora ultimo lungometraggio (The Dangerous Method), in cui racconta senza prendere esplicita posizione a favore di nessuno dei due i conflittuali rapporti tra Freud e Jung, David Cronenberg non ha mai cessato d’indagare il mistero dell’anima umana, ma lo ha sempre fatto in modo squisitamente cinematografico: cioè, senza mai indulgere al sentenzioso o alla programmatica assunzione di una tesi a-priori, ma portando con insistenza sullo schermo perso-


I REGISTI •41

IL CINEMA E L’ARTISTA Il cinema d’autore n A un certo punto, mi sono reso conto che ciò che mi piaceva dei registi classici degli anni Sessanta e Settanta, come Bergman e Fellini, era il fatto che, quando andavi a vedere i loro film, entravi in un mondo creato da loro.

n La mia presunzione era che i miei film diventassero, nel mondo della cinematografia, delle creature emergenti, senza precedenti e neanche lontanamente presagite.

n Una delle cose che vuoi fare con qualsiasi genere di arte è scoprire a cosa stai pensando, ciò che per te è importante, ciò che ti disturba. Molte persone per lo stesso motivo si vanno a confessare, o parlano con gli amici al telefono.

I film n Non credo che i miei film siano radicali. Presento al pubblico delle immagini e delle situazioni che devono essere mostrate, non c'è altro modo di farlo. Non lo faccio con l'intenzione di schoccare.

n Io penso al cinema horror come a un’arte, come a un cinema capace di metterti di fronte alla realtà.

n Non ho avuto bisogno che i critici prendessero sul serio i miei film per sopravvivere, perché i patiti dell’horror riconoscevano in quei film qualcosa di unico.

n Fai un film per scoprire che cosa ti ha spinto a farlo.

n I miei film hanno origine dalla tradizione del meraviglioso e dell’illusione, dal fantastico. Tra Lumière e Méliès, io provengo dalla parte di Méliès. naggi comunque molto concreti, fatti di carne e ossa, di fisicità e di sentimenti mai astratti. È proprio questa costante centralità del corpo, visto nella sua concretezza comportamentale, ciò che maggiormente inquieta ed emoziona nel suo cinema d’autore. E ciò accade tanto più il suo cinema dimette progressivamente ogni compiacimento sperimentale, l’aspirazione a essere originale a ogni costo, per sintetizzare la permanente complessità del suo modo di raccontare il mondo e di descrivere la natura umana in un linguaggio che ambisce alla classicità e che non ha ormai più bisogno di esibire se stesso per rivelarsi in modo compiuto. È soprattutto per questo che, contrariamente a quanto accade ad altri registi della sua generazione, la filmografia di Cronenberg appare oggi come un percorso in crescendo: protesa verso la conquista di una semplicità di sguardo su un universo sempre in movimento. E così, pur senza mai negare nulla della propria ricerca passata, egli giunge alla piena e sempre ricercata maturità espressiva. Dapprima con A History of Violence, che eleva a ossessiva riflessione sull’identità individuale il viaggio “infernale” di Viggo Mortensen nel mondo archetipico del sesso e dei sensi di colpa “famigliari”, in un affascinante (anche per lo spettatore che lo scopre all’unisono con lui) groviglio di paura e di piacere nei confronti della violenza che è in lui. Poi, con i corporei e complessi riti che si articolano nel clan mafioso di La promessa dell’assassino o con l’esibita oralità (fatta di parole dette o scritte, di cibo ingurgitato, di sesso vissuto o desiderato, anche surrogato con un sigaro da succhiare) della “finta” biografia storica di A Dangerous Method. Autore fondamentalmente pessimista, ma sempre innamorato dell’umanità, con il trascorrere degli

n Parte del mio viaggio cinematografico l’ho fatto per provare e per scoprire i legami tra il mondo fisico e quello spirituale.

Arte e filosofia A history of violence

anni Cronenberg allarga sempre più lo sguardo sul fango dell’esistenza (la metafora è sua, come quella del rospo), ma così facendo giunge a vedere il mondo, e gli esseri umani soprattutto, da un punto di vista più ampio, che comprende anche l’altro da sé. Proprio come s’addice ai classici. Mentre nei film precedenti i suoi temi preferiti (il rapporto mente e corpo, la mutazione genetica insita nel concetto stesso di modernità, il processo d’incorporazione che la macchina e la tecnologia attuano nei confronti degli esseri umani) venivano sviluppati di preferenza su un piano di ricerca formale (pur con sequenze sovente entusiasmanti), con l’avvento del terzo millennio il cinema di Cronenberg sembra essere giunto a una personale e felice sintesi di forma e struttura narrativa, concretizzandosi in film che non guardano più solo al cinema, e in particolare a quello di “genere”. Come si addice all’autore che ha sempre voluto essere con tenacia e determinazione, Cronenberg è giunto con i suoi ultimi film a prefigurare un mondo intero, dove la conflittualità tra l’Io e l’Inconscio, lungi dall’essere negata, si concretizza nella capacità di tradurre in immagini concrete i concetti astratti: proprio come accade nei sogni ai quali egli continua ad assimilare il suo cinema stesso, che pur è sempre molto cosciente dell’elemento fisico che lo sottende.

n Come artista, l’individuo non è un membro della società. Un artista ha l’obbligo di esplorare ogni aspetto dell’esperienza umana, quindi nel momento che sei un artista, non sei un cittadino. Non hai la stessa responsabilità sociale di un cittadino. Non hai, di fatto, nessun tipo di responsabilità. Per un artista, responsabilità significa permettersi la libertà completa.

n Se intendi fare dell’arte, devi esplorare alcuni aspetti della tua vita senza riferimento a istanze o a posizioni politiche.

n Non sono un freudiano, ma credo nell’equazione civiltà uguale repressione.

n Quando sei nel fango puoi vedere solo fango. Se in qualche modo riesci a fluttuarci sopra, vedi ancora fango, ma lo vedi da una diversa prospettiva; e vedi anche altre cose. Questa è la consolazione della filosofia.

(Dichiarazioni tratte da Il cinema secondo Cronenberg, a cura di Chris Rodney, Pratiche Editrice e dalla monografia di Gianni Canova per “Il Castoro Cinema”.)


Real Steel

PERCORSI SONORI • Musiche da Film

Dagli artigli di acciaio di Wolverine, Hugh Jackman è passato ai pugni, sempre di acciaio, di Real Steel. Il film (diretto da Shawn Levy e prodotto da Steven Spielberg e Robert Zemeckis) è ambientato nel 2020, anno in cui il pugilato, sul ring, è combattuto da giganteschi robot comandati dagli stessi ex pugili. Tra i principali pregi del film va menzionata sicuramente la colonna sonora originale di Danny Elfman (compositore noto per essere il collaboratore abituale di Tim Burton), che si misura per la prima volta con un genere di ispirazione sportiva. Le colonne sonore da lui firmate sono quasi tutte entrate di diritto nell'immaginario collettivo. Qualche esempio? E’ sua la storica sigla della serie animata I Simpson, suoi i

Hugo Cabret Tratta dal romanzo ‘La straordinaria invenzione di Hugo Cabret’ di Brian Selznick, la pellicola diretta da Martin Scorsese (incoronata miglior pellicola e premiata per la miglior regia del 2011 dalla National Board of Review, associazione di critica cinematografica newyorkese che ogni anno annuncia i propri premi, ndr), narra la storia di Hugo Cabret, un orfano che vive segretamente tra le mura della stazione ferroviaria della Parigi anni 30, e che viene coinvolto in una magica e misteriosa avventura. A tradurre le sue vicissitudini in note, ci pensa il compositore Howard Shore che, dopo Il Signore degli Anelli (ha curato con successo le colonne sonore dell’intera saga), continua a mostrarsi a suo agio con i toni del regno della fantasia. Per Hugo, Shore si è prefissato uno

Il Gatto con gli stivali Come resistere ad un Gatto con gli stivali modello Zorro, seduttore, fuorilegge ed amante dell’erba gatta? Quasi impossibile, almeno sulla carta. Se a questo si aggiunge uno score che, sempre sulla carta, promette di intrattenere con ritmi che farebbero ingelosire Speedy Gonzales, allora sembra davvero impossibile. Ma non è così, né per il film né per la colonna sonora firmata da Henry Jackman. Il compositore, infatti, ha optato per lo stereotipo ‘spaghetti we-

Legami al cacao

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Les Emotifs Anonymes. L’emotività rende difficili le relazioni affettive, crea sofferenza e solitudine ma anche situazioni perfette per lo sguardo cinico della commedia. E Améris, ispirandosi a Blake Edwards, ha realizzato una commedia romantica, dolce e amara come il cioccolato, l'alimento di cui si è servito per far incontrare i protagonisti della sua storia, due grandi emotivi: Angélique Delange – Isabelle Carré – la più grande chocolatière di Francia che, a causa della timidezza crea i suoi sublimi cioccolatini nell’anonimato e Jean René Vandenhugde – Benoit Poelvoorde proprietario di una fabbrica di cioccolato che sta per fallire. Lui racconta le sue paure ad uno psicanalista, lei, alter ego del regista, ad un gruppo di Emotivi Anonimi. Per entrambi il cioccolato è tutta la loro vita. E’ una storia delicata, ironica e divertente e il lieto fine, con la complicità del cioccolato, è inevitabile. Tutti coloro che hanno visto Bianca di Nanni Moretti e ricordano l’enorme vaso di nutella predisposto in cucina

FILM DOC GENNAIO - FEBBRAIO 2012

stern’, rimanendo di conseguenza fedele alla tecniche e agli strumenti della tradizione musicale latina. E sin qui non ci sarebbe nulla di male. Se però ci si ritrova ad ascoltare uno score che ‘suona’ unicamente come parodia di tutte le tradizionali musiche scelte per i film western, allora si riscontra una totale mancanza di originalità. Ironia della sorte, le migliori porzioni di partitura sono proprio quelle non latineggianti! Ogni singola composizione, infatti, è come un guscio vuoto; si intuisce un contenuto fantasma, ma poi rimane solo una lunga serie di motivi latini declinati talvolta in chiave naïf. L’ascolto delle singole tracce ripropone ad oltranza tutto lo spettro di toni e strumentazioni utilizzati da Jackman, che come rimedio antinoia si limita ad aumentare le chitarre acustiche, le trombe e le nacchere, alternandole a clavicembalo, armonica e qualche coro. Anche facendo un passo indietro per apprezzare il Gatto con gli stivali nel suo complesso, l'imitazione è così evidente da rendere vano persino lo sforzo di chi, con gran coraggio, cerca di trovarci qualcosa di buono.

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Emotivi Anonimi di Jean Pierre Améris

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sentieri musicali su cui hanno passeggiato quasi tutti i personaggi creati dalla mente, oltre che di Tim Burton, di Sam Raimi, Guillermo del Toro e Gus Van Sant. Elfman è un vero maestro, o forse è più opportuno parlare di mago, delle colonne sonore. Il suo segreto? Lo ha svelato lui stesso: "Di solito, qualunque sia il film che devo musicare, cerco di immergermi il più possibile nella storia per trovare il giusto tono emotivo. Una volta che l'ho trovato inizio a sperimentare. Prendo quattro o cinque scene e compongo, per ciascuna, sei o sette pezzi, tutti molto diversi tra di loro. Quando sento quello che mi convince, inizio a elaborarlo, lasciando che la mia mente lo plasmi per tutto il tempo". Per Real Steel Elfman deve essere stato ispirato da Rocky Balboa, dal suo coraggio e dal suo trionfo; la sua composizione, infatti, si risolve con toni gloriosi (talvolta redentori), sorprendentemente affascinanti. Per apprezzare il suo tocco personale occorre assaporare con cura l'ensemble musicale da lui scelto: chitarre elettriche, batteria, cori angelici e una fugace voce solista. Non c’è molto altro da aggiungere. Con il suo approccio intelligente ai toni strumentali, Elfman regala a Real Steel una partitura di grande integrità tematica e un flusso narrativo potente che ben segue le immagini. Alla fine, il mix dei vari elementi e la fedeltà tematica fanno di Real Steel un CD di grande carattere.

scopo: scandagliare le profondità dei misteri e delle invenzioni che farciscono la storia, con diversi strati di meraviglia musicale. Lungo la strada Shore si lascia sedurre dalla Ville Lumière e le chiede in prestito un tocco irrinunciabile di spirito parigino. L'identità principale di questo commento sonoro, infatti, è un valzer delicato, evocato da una splendida fisarmonica. Hugo è un vero e proprio viaggio musicale, dall’ascolto affabile e di rara bellezza. Ogni tema è concepito per il genere fantastico rivolto ai bambini, ed è caratterizzato da affettuosa personalità francese. Se siete fan di Shore e se ammirate la sua capacità di destreggiarsi tra una moltitudine di temi distintivi, questo è lo score che fa per voi. Evitatelo se la sola idea di ascoltare fisarmoniche a gogò, e di lasciarvi andare a qualche giro di valzer, vi fa venire la nausea.

QUANDO IL CINEMA SPOSA LA CUCINA

LI EMOTIVI ANONIMI SONO GRUPPI di auto aiuto per persone estremamente timide e funzionano come gli Alcolisti Anonimi. Li abbiamo visti tante volte al cinema: i partecipanti si dispongono in cerchio e a turno raccontano agli altri ciò che li affligge. Al regista francese Jean Pierre Améris è capitato di prendere parte ad alcune di queste riunioni – di emotivi, non di alcolisti - ed avendone tratto un’esperienza positiva, ne ha ricavato un film,

[ di Barbara Zorzoli ]

contro la depressione notturna, sanno che il cioccolato favorisce la secrezione a livello cerebrale della serotonina, una triptamina conosciuta anche come l'ormone del buon umore. Sanno cioè che il cioccolato ci rende meno infelici. Pare che nel sangue degli innamorati, nei primi tre mesi del loro innamoramento, si riscontrino grandi quantità di serotonina che poi, progressivamente e inevitabilmente, va diminuendo per lasciare posto al più duraturo bisogno di cioccolato. Tra i deliziosi cioccolatini preparati da Angélique si sentono citare, nella versione originale, le tuiles aux cèpes, letteralmente:” le tegole ai funghi”. Le tuiles sono sfoglie sottili piegate su se stesse come le tegole del tetto – le tuiles, appunto - da qui il loro nome. Possono essere salate, come le tuiles al parmigiano, oppure dolci. Quelle di Angélique sono al cioccolato con un sentore di funghi. Procurarsi l’aroma di fungo da utilizzare in pasticceria non è cosa semplicissima ma non disperiamo che possiate riuscirci. Realizzare delle tuiles al cioccolato è invece piuttosto semplice. Per circa 20 tuiles del diametro di 7 cm occorrono: 15 g di ottimo cacao amaro in polvere; 75 g di zucchero fine; 15 g di farina 00; 20 g di burro e l’albume di un uovo. Mescolate cacao, zucchero e farina, unite il burro fatto fondere a bagnomaria e lavorate ancora. Infine aggiungete l’albume e sbattete il tutto vigorosamente. Prendete il composto con un cucchiaino da caffè e mettetelo in un vassoio

[ di Antonella Pina ] antiaderente o di silicone, spalmatelo fino ad ottenere dischi molto sottili, quasi trasparenti, aiutandovi con una piccola spatola. Cuoceteli nel forno preriscaldato a 180 gradi per cinque minuti e, una volta estratti, staccateli con la spatola e poneteli attorno al mattarello da cucina a meno che non disponiate dell’apposito cilindro per tuiles - in modo da fargli prendere la caratteristica curvatura a tegola. L’operazione fa fatta in fretta altrimenti i dischi si induriscono e non è più possibile piegarli senza spezzarli. Dopo pochi minuti potete sfilarli dal mattarello. Se avevate a disposizione dell' ottimo cacao, avrete ottenuto deliziose e croccanti tuiles. Nel caso non abbiate trovato l’aroma di fungo da aggiungere all’impasto, potrete, passando da Lione, fermarvi alla confetteria Mercier, dove Angélique, anonimamente, preparava i suoi cioccolatini. Tralasciamo il dettaglio di trovarci in Francia e abbiniamo un Barolo chinato.


DISEGNO DI ELENA PONGIGLIONE

LA POSTA DI DOC HOLLIDAY

Basta che sia Hepburn

Egregio dott. Claudio G. Fava, in questi ultimi tempi sta crescendo sempre più quello che chiamano "culto" di Audrey Hepburn. "Colazione da Tiffany" è diventato un capolavoro, la Hepburn è diventata quasi il simbolo della femminilità al cinema, addirittura scavalcando - dicono sui giornali - Marilyn Monroe. Che ne pensa? Le sembra giusto? Era una grande attrice o una donna molto elegante? Io appartengo ancora alla generazione per cui la grande Hepburn era l'altra, Katharine, che invece ormai non ricorda quasi più nessuno. La ringrazio molto se vorrà rispondermi e le porgo i miei migliori saluti. Amalia Ricci – Genova Cara Signora anche per me la “vera” Hepburn è Katharine. Posso dire di aver acquistato un merito particolare dedicandole alla Rai un ciclo specifico, che a suo tempo ebbe molto successo, e per il quale posso anche vantarmi di avere scoperto un piccolo gioiello inedito: “Amore tra le rovine” (1975), interpretato dalla stessa Katharine e dall’eccellente Laurence Olivier e diretto nientemeno da George Cukor! Il titolo era stato sistematicamente trascurato dagli importatori perché all’origine era un TVFilm. Ciò detto riconosco volentieri non solo l’inattesa fama attuale di Audrey Hepburn fra le ragazze ventenni (si pensi, per cogliere il divario di generazioni, che essa era nata a Bruxelles il

Forza Italia  • 06 •

4/05/1929 e morì in Svizzera, a Tolochenaz, il 20/01/1993) ma anche i suoi notevoli meriti. Nata in Belgio, da padre inglese e da madre olandese di origine aristocratiche cresciuta nei Paesi Bassi, si trasferì da ballerina a Londra nel 1948, cominciò a fare del cinema, si mise in luce in teatro, reggendo per sei mesi a New York le repliche di “Gigi”, tratto da un romanzo di Colette. Aveva ventitre anni, e almeno sette presenze cinematografiche, quando si sottopose ad un provino per “Vacanze romane”, che William Wyler doveva girare a Roma. Il grande regista la scelse a preferenza di Elizabeth Taylor, e il film fu, a fianco di Gregory Peck, un successo mondiale, imponendo la presenza decisiva di Audrey nel cinema di maggior richiamo. Non a caso l’anno dopo Audrey fu la protagonista di un altro film di enorme esito (a fianco di Humphrey Bogart e William Holden ) e cioè “Sabrina”(nome proprio che divenne un successo mondiale!) diretto dal grande Billy Wilder. Fu la sua definitiva consacrazione a diva internazionale, imponendo con questi due film un personaggio di ragazza, sia altolocata che di modeste condizioni, destinata a diventare un modello femminile per generazioni e che, come la stessa lettrice rileva, esercita anche oggi un grande fascino su ragazze di un'altra epoca. “Colazione da Tiffany” (1961) non sarà un capolavoro ma certamente l’attrice è pienamente all’altezza dell’elegante regia di Blake Edwards. Del resto in quasi tutti i film in cui ha lavorato Audrey ha dimostrato duttile eleganza di recitazione e autentico talento ora comico ora drammatico. Penso a molti titoli tipici della parte centrale della sua non lunga carriera. Ad esempio “Guerra e Pace” (1955) di King Vidor, “Arianna” (1957) ancora di Billy Wilder, il drammaticissimo “La storia di una monaca” (1959)

Vai col golpe! U

Per scrivere a Claudio G.Fava: claudio.g.fava@village.it

[ di Giovanni Robbiano ]

“I PRIMI DELLA LISTA” DI ROAN JOHNSON

NA DELLE COSE BELLE che mi derivano dall’età non più verdissima e dalla lunga consuetudine di lavoro con il mondo del cinema romano è avere molti amici. Alcuni di questi sono cresciuti esponenzialmente, fin da quando erano studenti, e sono diventati il cinema, quello magari povero, magari non nobilissimo come quello dei maestri di una volta, ma il cinema di adesso; quello che si va a vedere. Tra costoro metto Roan Johnson, che conosco da almeno una decina di anni, tanti da essere stato testimone di tutti i tentativi e i passaggi che creano un autore. Roan penso si divertirebbe dell’evocazione di un piccolo corto amatoriale, non riuscitissimo, realizzato con altri amici, allora miei studenti, in Versilia, che si intitolava, ricordo benissimo: “I danni del liberismo”. Lo hanno visto in pochi, anzi pochissimi, ma era la prima volta per lui e per altri. Da al-

di Fred Zinnemann, il western “Gli inesorabili” (1960) di John Huston, “Quelle due” (1961), ancora di William Wyler, “Sciarada” (1963) di Stanley Donen. “My Fair Lady” (1964), di nuovo di George Cukor, “Due per la strada” (1967) ancora di Stanley Donen, “Gli occhi della notte” (1967) di Terence Young, eccetera. Si sposò due volte, una volta con Mel Ferrer e l’altra con il medico italiano Andrea Dotti, ebbe due figli, uno per matrimonio. Via via che rallentava l’attività cinematografica aumentava quella di ambasciatrice straordinaria dell’Unicef. Morì di un cancro al colon e fu sempre una gran signora. Quando abitava a Roma io inclusi “Vacanze romane” in un ciclo e la invitai a partecipare alla presentazione. Rifiutò ma dopo la proiezione mi mandò un gentilissimo telegramma di ringraziamento. Cosa rara in un ambiente facilmente incline al cinismo.

lora naturalmente è passato molto tempo, e molto quel gruppetto è cresciuto: c’è stato un corto collettivo poco visto, ma piacevolmente amaro, sul mondo del calcio, 4-4-2 in cui Roan dirigeva l’episodio per me più bello (sono di parte, era scritto dai miei due amati ex-studenti e suoi ex colleghi di “liberismo” Michele Pellegrini e Francesco Cenni) : “Il terzo portiere” con Valerio Mastrandrea, e poi, oltre ad altre sceneggiature, tra queste: “Ora o mai più” e la bella serie Rai “Raccontami” era arrivato l’anno scorso un romanzo agile e leggero per Einaudi: “Prove di felicità a Roma est”. Un esordio letterario assai ben accolto. E adesso, infine, ecco il lungometraggio, scritto con Davide Lantieri (altro amico…) e basato su una di quelle vicende di tipica epopea toscana: si dà che nel 1970 a Pisa tre tipi abbiano inscenato una fuga in auto culminata con la richiesta d’asilo politico in Austria per sfuggire ad un imminente (ricordiamo il golpe Borghese e i molti omissis della nostra storia recente…) golpe alla greca che li avrebbe perseguiti. In realtà il fatto è accaduto ed ha avuto tre protagonisti in carne ed ossa. Il film infatti segue pari pari la vicenda: è

il primo giugno 1970, Claudio Santamaria, ergo Pino Masi, autore di inni di lotta politica come “la ballata del Pinelli” (proprio il vero Masi, all’epoca cantautore politico di buon seguito negli ambienti della sinistra militante) è suggestionato da un consiglio ricevuto: dormire fuori casa per tre-quattro giorni in vista dell’imminente golpe di destra. Così’ coinvolge due suoi giovani ammiratori, il Lulli ed il Gismondi, per dirla alla toscana a fuggire verso l’amica Repubblica Jugoslava a bordo della A112 della famiglia del primo… Perché? Perché intellettuali ed artisti sono appunto i primi della lista delle prossime epurazioni. Durante il viaggio un equivoco tragicomico: i militari in sosta all’autogrill per raggiungere Roma, dove si prepara la sfilata del due giugno, sono scambiati per le avanguardie del colpo di stato. Spinti così da un misto di paura e desiderio, nostalgia e speranza di inventarsi una nuova vita i tre, percorrendo strade alternative, raggiungono il confine, ma qui l’eccesso di militari e mezzi bellici li spingerà a cambiare il piano e tentare di consegnarsi ai più democratici austriaci. Democrazia? Oh, c’è nato Hitler lì, come commenta il Gismondi in una delle molte riuscite battute del film, un nuovo equivoco con i frontalieri italiani che sospettano per via del loro atteggiamento… sospetto, causa una esilarante fuga a piedi verso l’agognata Austria, ed un incidente diplomatico: i militari italiani per inseguirli sconfinano armi in pugno

oltre confine. Ci sono altre peripezie, finchè i tre capiranno che l’Italia sonnecchia tranquilla (o quasi..) non c’è nessun golpe e soprattutto con crudele contrappasso tutti a Pisa li aspettano per prenderli per il culo… Roan ha raccolto l’aneddoto e ne ha fatto un film fresco, con interpreti sconosciuti o quasi a parte il leader, tutti al loro posto ed in gran spolvero. Un film che fa centro dove pochi riescono: raccontare anni tra i più cupi della storia d’Italia, con ironia, leggerezza e affetto. C’era riuscito forse solo Monicelli anni ed anni fa: con più ferocia e naturalmente più immediatezza: “Vogliamo i colonnelli” era del 1973 e in quegli anni già fioccavano le pallottole… Il tempo addolcisce i ricordi e ci fa guardare con simpatia ad anni in verità terribili come lo sono per modi diversi quelli che viviamo… Di certo si è persa passione politica e candore. Roan ci restituisce la nostalgia dell’uno e il rimpianto dell’altro. E bravo Roan. E bravi tutti…

GENNAIO - FEBBRAIO 2012 FILM DOC

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LIBRI E RIVISTE

e il cinema… chapeau! ≥Magritte di Marcella Biserni (Morlacchi, Perugia 2011, pp.212, 17 euro con dvd)

Quali erano i rapporti tra Magritte e il cinema? Sull’argomento esiste una documentazione frammentaria, cui cerca di mettere ordine questo libro scritto da una giovane studiosa del surrealismo, partendo dai primi cortometraggi realizzati con Paul Nougé nel 1928-30 e approdando al periodo tra il 1956 e l’inizio dei sessanta in cui Magritte, sulla scia delle esperienze fotografiche, trova nel cinema “uno sfogo liberatorio all’exercice ennuieux che gli imponeva il mestiere di pittore”. In mezzo, oltre all’analisi dei materiali filmati che ci sono giunti, c’è spazio anche per ricordare i gusti cinematografici dell’artista, fin da adolescente assiduo frequentatore del Cinéma bleu di Charleroi: l’amore per un cinema “ludico, spensierato e non intellettualista”, l’apprezzamento per le scene “dove apparivano pellerossa, cowboys, gangsters e soldati tedeschi”, e poi i vecchi comici, Spione di Lang, Il vampiro di Dreyer, fino alla vecchiaia, quando ancora preferiva i film “giocosi, creati per il divertimento più puro e senza pretese”. “I miei film preferiti sono Babette va alla guerra o Madame et son auto, non sopporto i film che vogliono insegnarmi qualcosa o espormi una tesi: quel tipo di cinema mi annoia”, diceva, asserendo anche di scegliere spesso i film “a seconda delle sale che permettevano o meno l’accesso al suo cane”. Si definiva fervente ammiratore di John Wayne, apprezzava Pierre Etaix, il Lemmy Caution di Eddie Constantine e pure l’Hitchcock di Psyco (nonostante certi aspetti grossolani e commerciali, diceva), mentre detestava I quattrocento colpi di Truffaut. Al volume è allegato un dvd in cui sono riportati i film di Magritte L’affaire Colinet o Paul Colinet, Le Dessert des Antilles e Le Loup rouge o Tuba Intérieur.

schermo di Dio ≥ Lo di Auro Bernardi (Le Mani, Recco 2011, pp.194, 16 euro) Film come Gli uomini di Dio o Il villaggio di Dio hanno riproposto esplicitamente in quest’ultima annata il tema della religione e del divino nel cinema. Adesso arriva il volume scritto da Auro Bernardi, studioso da sempre attento a questi argomenti e già autore di monografie su Dreyer e Bunuel per lo stesso editore. Al centro, il rapporto tra il cinema e il pensiero religioso, che Bernardi vede sintetizzato già nella parola “schermo”: un termine che indica sia la superficie su cui viene proiettato un film, sia un elemento che nasconde alla vista, rimandando così alla definizione di “Dio rivelato e nascosto”. Il libro comprende saggi su dieci registi, suddivisi tra “precursori” (Bunuel, Dreyer, Bresson), “teosofi” (Olmi, Godard, Chahine) e “predicatori” (Bellocchio, Greenaway, Kieslowski, von Trier). Tra i film analizzati, La via lattea, Il diavolo probabilmente, Centochiodi, Je vous salue Marie, Il destino, L’ora di religione, Il decalogo, Baby of Macon, Le onde del destino. Con una conversazione con Ermanno Olmi. E con una considerazione preliminare dell’autore: “i cineasti che ci accompagnano in questo percorso, nel momento in cui elaborano una risposta, generano altre domande. Esattamente il contrario di quanto fanno i dogmi”.

al cinema ≥ Idimostri Eric Dufour (Gremese, Roma 2011, pp.128, 18.50 euro) Chi è veramente un mostro, e che cos’è la mostruosità al cinema? Nella nuova collana “…al cinema”, esce questo libro in forma di album per raccontare la mostruosità nei 18

FILM DOC GENNAIO - FEBBRAIO 2012

[ di Renato Venturelli ]

Al cinema con Mussolini di Marco Salotti (Le Mani, Recco 2011, 260 pp. 20 euro) Uno studente impegnato in una ricerca sul cinema in epoca fascista si imbatterebbe subito in due antiche etichette: propaganda e telefoni bianchi. Fino a ieri, però, anche se ciò è quanto riporta ancora la prima fonte per il giovane che ha più dimestichezza col computer che con le biblioteche, Wikipedia insomma. Ma oggi le due etichette sono state ampiamente rivisitate da Al cinema con Mussolini, il libro di Salotti che riporta comunque nel sottotitolo la parola Regime, ma ancora dopo la parola Film, come per sottolineare che nell’argomentazione viene prima lo schermo rispetto al suo contesto storico. Marco Salotti è infatti uno storico del cinema, che pur non dimenticando mai che le immagini sullo schermo fanno i conti – ora debitori, ora creditori – con la realtà restano sempre e comunque espressioni di un linguaggio che la realtà possono anche eluderla, evitarla, superarla. In una battuta, citata anche nella prefazione non così necessaria di Dino Cofrancesco, l’autore azzarda addirittura che “Camerini non è fascista, è il Fascismo a diventare talvolta cameriniano”; e Mario

film attraverso un testo sintetico e molte immagini. Attenzione, però, perché se il testo è scarno, il suo autore è un professore di filosofia dell’università di Grenoble che ha già scritto ottimi studi sull’horror (“Le cinéma d’horreur et ses figures”, 2006) ed è un esperto dell’argomento capace di validissima divulgazione. Qui premette di non aver voluto redigere un semplice catalogo di deformità e patologie mediche, ma “delineare una tipologia dei dispositivi che permettono di dare vita a un essere orrorifico, dunque dei modi di produrre la mostruosità al cinema”: categoria che non comprende solo i film di mostri, per interrogarsi invece “sul mostro che alberga in ognuno di noi e sulle nostre angosce più profonde”. Tanti brevi capitoli sui vari aspetti del tema, a partire dal mostro come alieno, per passare all’”altro” che sta all’interno della stessa natura umana, o ragionare sulla mostruosità come questione di sguardo e di punto di vista. Con sezioni sui mutanti, sul passaggio dal meccanico al digitale, sul trucco e la maschera, ma anche su locandine e trailer che ci introducono alla mostruosità. Con molte illustrazioni, da Freaks a Toxic Avenger, passando attraverso capolavori famosi e Z-movies di culto.

del West ≥ Idicavalieri Andrea Bosco e Domenico Rizzi (Le Mani, Recco 2011, pp.326, 22 euro) “Quando la realtà diventa leggenda, vince la leggenda”, dice la famosa battuta di L’uomo che uccise Liberty Valance, sintetizzando le annose diatribe sul rapporto tra la realtà del West e la leggenda del western. Il libro di Andrea Bosco e Domenico Rizzi cerca invece di ritessere i rapporti tra la verità storica di alcuni celebri personaggi del West e il modo in cui sono stati reinventati sullo schermo, per la sicura gioia di tutti gli appassionati di western. Sfilano così le “ombre rosse” di Cavallo Pazzo, Toro Seduto, Cochise e Geronimo, poi quelle di David Crockett, Buffalo Bill, Custer, quindi le figure “a cavallo del mito” di Wild Bill Hickok, Calamity Jane e Wyatt Earp, per concludere con i “senza legge” della banda James-Younger, Billy the Kid o le donne del Branco Selvaggio. Per ogni perso-

Camerini è stato con Alessandro Blasetti quasi una primadonna della macchina da presa negli anni trenta, il periodo preciso in questione. I due registi sono infatti presenti ciascuno con nove film dei quarantasette schedati. L’indagine di Salotti parte da un’analisi storica che ha per protagoniste la produzione e la progettualità riconducibili alle figure di Pittaluga e di Freddi e arriva alla schedatura dei film, da La canzone dell’amore (1930) di Righelli a L’assedio dell’Alcazar (1940) di Genina. Vi si riconosceranno personaggi e interpreti consegnati alla Storia – tra i molti altri De Sica e Nazzari, gli esordi di Totò e di Mario Soldati – ma vi si scoprirà soprattutto uno sguardo piacevolmente arioso e rigorosamente accademico ad un tempo (buona parte del testo è costituito dalle note) su cinema e film che giacevano irrigiditi nella memoria. (Massimo Marchelli)

naggio, un’ampia rievocazione storica seguita dalla descrizione delle sue apparizioni al cinema. In totale, trecento fitte pagine non a caso edite da un grandissimo appassionato di West come Francangelo Scapolla, titolare della casa editrice Le Mani che proprio con un volume sul western aveva cominciato quasi vent’anni fa la sua avventura editoriale. Prefazione di Maurizio Porro.

(n.63, luglio-settembre ≥ CineCritica 2011, pp.114, 6 euro) Ettore Scola è il regista cui viene dedicato l'abituale "primo piano" della rivista del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani: con una lunga intervista a cura di Piero Spila e Bruno Torri, seguita da saggi di Aldo Viganò e Paolo D'Agostini. Altri argomenti del numero: il cinema basco, Pratolini e il cinema, il compositore Henry Mancini, Robert Altman, Kathryn Bigelow, Robert Bresson, Il colore del vento di Bruno Bigoni.

≥ Il cinema spagnolo di Antxon Salvador (Gremese, Roma 2011, pp.279, 39 euro) La storia del cinema di lingua spagnola attraverso le schede di 250 film, a partire da La donna del porto (1933) per arrivare a Biutiful di Inarritu, Il segreto dei suoi occhi di Campanella o al cartoon Chico e Rita (2011). In mezzo, ci sono i capolavori di Buñuel e di Almodovar, opere di Berlanga, Fernandez, Saura, Aménabar, Jodorowsky e di tanti altri registi noti anche in Italia, ma pure film inediti sul nostro mercato e comunque sconosciuti da noi, in modo da comporre un percorso storico per molti versi rivelatore. Tra i titoli schedati figura anche El cochecito, realizzato da Marco Ferreri prima di imporsi anche in Italia. Le schede sono sintetiche e accurate, il volume è riccamente illustrato: la particolarità da ricordare è che non si tratta di una storia del cinema spagnolo, ma di “lingua spagnola”, e che quindi all’interno della cronologia vengono mescolati film prodotti in Spagna, a Cuba, in Messico, in Argentina e nei vari paesi dell’America Latina, secondo un’idea di un unico “paesaggio culturale proteso da un lato all’altro dell’Atlantico”. Curiosità: il regista più rappresentato è Bunuel (6 film), seguito da Almodovar e Berlanga (5), da Carlos Saura e dal cubano Tomas Gutierrez Alea (4).


INTERVISTE DOC

INCONTRO COL REGISTA DE LE NEVI DEL KILIMANGIARO, BEL FILM AMBIENTATO NELLA MARSIGLIA OPERAIA

Miracolo a Marsiglia [ di Francesca Savino ]

M

ICHEL (JEAN-PIERRE DARROUSSIN) LAVORA COME OPERAIO nei pressi del porto di Marsiglia, ma a causa della crisi viene licenziato. La sua vita proseguirebbe ugualmente serena, se non irrompesse un nuovo trauma: una rapina in casa ad opera, come scoprirà presto, di uno dei giovani operai licenziati insieme a lui. A quel punto Michel ha una reazione rabbiosa, che però lascia ben presto il posto a un senso di dolorosa inadeguatezza quando riflette sui motivi per cui il giovane ha compiuto quel gesto criminale. Ispirato al romanzo Les pauvres gens di Victor Hugo (il titolo Le nevi del Kilimangiaro deriva dalla canzone di Pascal Danel che caratterizza la colonna sonora), l’ultimo film di Robert Guédiguian potrebbe ricordare i drammi sociali “alla Ken Loach”, ma è raccontato con una personalissima volontà di reinventare il cinema politico con i mezzi della favola, superando le attuali contraddizioni del proletariato, incapace oggi di “farsi classe”. Il film è stato presentato in anteprima al cinema Sivori di Genova dal regista e dalla moglie Ariane Ascaride, attrice protagonista di quasi tutte le sue pellicole. Come le è venuta l’idea di utilizzare Les pauvres gens come punto di partenza del film? Nel 2005 mi capitò di rileggere il poema e la sua fine, ovvero il momento in cui il povero pescatore decide di adottare i figli della sua vicina morta dicendo «avevamo cinque figli, ora saranno sette», e poi scopre che la moglie, avendo preso per prima l’iniziativa, ha già portato i bambini a casa; è assolutamente struggente. Tanta bontà, tanta generosità è esemplare. E poi, c’è questa convergenza, quel gesto d’amore unisce i due personaggi. Ho subito pensato che sarebbe stata una fine stupenda per un film, e dovevo solo trovare un percorso contemporaneo per giungere a questo finale. Dopo un thriller (Lady Jane) e un film storico (L’armée du Crime) questo film è un ritorno al suo cinema degli esordi? Era ovviamente escluso che raccontassi la storia di un pescatore bretone dell’Ottocento. L’idea era quella di fare un film contemporaneo, a Marsiglia, con la truppa di persone con cui lavoro abitualmente: Jean-Pierre, Ariane e Gérard Meylan (nda: sia Guédiguian che la Ascaride, molto disponibili e alla mano, parlano correntemente l’italiano e amano chiamare la loro troupe “truppa”).

E, come era già successo con L’ultima estate e con Marius e Jeannette, volevo fare il punto della situazione, nel quartiere dove sono nato, l’Estaque, e con la “povera gente” che vive lì; il film vuole essere la descrizione della “povera gente” di oggi. In questo film la vita normale di due persone perbene viene sconvolta da un evento violento; la reazione dei due protagonisti però è molto diversa, mettiamo, da quella che si vede in pellicole con una struttura simile, come Funny Games o Festen. Questo dipende dalla classe sociale di Michel e Marie-Claire? Sì. Anche se da trent’anni a questa parte le classi sociali sono più confuse. Ci sono adesso molti più proletari che in passato, ma non sanno di esserlo e non si riuniscono insieme per difendere i loro interessi. C’è una grande “atomizzazione”, frammentazione: ognuno è solo, si sta sempre meno con gli altri. E’ anche per questo che i figli di Michel e Marie-Claire non capiscono le scelte dei genitori. Pur essendo più giovani, non vogliono mettere a repentaglio la loro vita tranquilla, diciamo che hanno perso la “capacità di indignarsi”, perché non hanno una coscienza di classe che li supporti.

Il film racconta anche lo scontro tra due generazioni. Per la prima volta nella storia i nostri figli rischiano di vivere peggio di noi. Tutte le conquiste sociali sono state ottenute attraverso dure lotte, ma oggi sono state messe nuovamente in discussione. È arrivato il momento di passare all’attacco, e di proporre delle alternative. Spero in una riconciliazione tra la nostra e la nuova generazione. Il filo si è rotto, ma dobbiamo ricucirlo. A questo proposito è significativa la domanda che alla fine Michel si pone: che cosa avrebbe pensato la persona che eravamo a vent’anni di quello che siamo diventati oggi? E’ una domanda che io, Ariane e gli altri della truppa ci siamo sempre posti. Io sono sempre andato avanti chiedendomi cosa avrei pensato, quando avevo vent’anni, della persona che sono diventato. E a vent’anni ero, come potete immaginare, un ragazzo eccessivo, ribelle. Direi persino che mi sono sempre sforzato di comportarmi in un modo che potesse piacere al ragazzo di allora, come se quel ventenne di un tempo fosse per me una specie di grillo parlante, la voce della mia coscienza.

Parla il regista di Per questi stretti morire (cartografia di una passione), ospite del Missing Film Festival

Gaudino, per un cinema indipendente

I

sabella Sandri e Giuseppe Gaudino sono due registi indipendenti, autori di film a tratti sperimentali, come Per Questi stretti morire (cartografia di una passione), proiettato al 20° Missing Film Festival. L’opera rende omaggio ad Alberto Maria De Agostini (fratello del più conosciuto Giovanni), prete missionario ed esploratore. L’intrecciarsi continuo di materiale d’archivio, parti recitate e tecnica del passo a uno fanno di questo film non una classica biografia, ma un lavoro complesso e particolare che gioca con i diversi lin-

guaggi cinematografici. In occasione della proiezione del Missing ho incontrato il regista Giuseppe Gaudino. Isabella Sandri e lei avete girato cortometraggi, documentari e lungometraggi di finzione. Nella diversità dei film realizzati avete un’idea di cinema fissa oppure ogni progetto vale in se stesso? Ogni film ha per noi una sua idea e una sua matrice. Ad esempio Storie d’armi e di piccoli eroi ha uno sguardo diverso rispetto a Per questi stretti morire (cartografia di una passione). Qui la nostra intenzione era di far rivivere una memoria andata perduta, quella di Alberto Maria De Agostini. La scelta di far spesso ricorso al passo a uno è stata fatta proprio per dare vita ad un

luogo più mentale che reale. Infatti, molte parti del film appaiono oniriche. Sì, esattamente. È proprio il modo con cui i diversi concetti presenti nel film vengono uniti e messi insieme ad essere molto vicino al sogno. Non è un caso che invece di realizzare delle classiche interviste abbiamo preferito usare delle metafore. Anche le riprese attuali dei paesaggi che a suo tempo filmò De Agostini e le parti recitative vanno in tale direzione. Può parlarci della sua casa di produzione, la Gaundri Film? La nostra è una casa di produzione indipendente, siamo in due, io e Isabella Sandri. Il nome nasce dall’acronimo dei nostri

due cognomi. Essere indipendenti ha il vantaggio di riuscire a portare avanti senza eccessivi compromessi le proprie idee, ma comporta anche una maggiore difficoltà a trovare una distribuzione. Qual è secondo lei il problema maggiore dell’attuale cinema italiano? Oggi la problematica più evidente è la paura della creatività. Produttori e distributori richiedono un cinema lineare e rassicurante, ponendo limiti sia sui temi che su questioni tecniche. Molti di loro credono erroneamente che ci sia solo un tipo di pubblico, mentre in realtà esistono diversi tipi di spettatori, desiderosi di diversi tipi di cinema. In questo senso il documentario ultimamente sta rispondendo molto bene, mentre la fiction sembra avere qualche difficoltà in più. (Juri Saitta)


EVENTI  DOC

[ di Renato Venturelli ] RISCOPERTO A CAMOGLI PRELUDIO D’AMORE, FILM LEGGENDARIO DEL 1946. TRA MELÒ E DOCUMENTARIO.

La prima volta di Gassman V

ITTORIO GASSMAN APPARE PER LA PRIMA VOLTA NEL PORTO DI GENOVA, inquadrato in primo piano dal basso, col volto giovanissimo stagliato contro il cielo, i capelli misteriosamente biondi. E’ la prima immagine in assoluto di Gassman al cinema, e il film è Preludio d’amore, girato subito dopo la guerra a Camogli, con alcune sequenze genovesi. Un film leggendario per tanti motivi: non solo per l’esordio di un Gassman ventitreenne sullo schermo, ma perché ad essere coinvolti nella produzione erano parecchi nomi di primo piano dell’intellighenzia cinematografica ligure dell’epoca, dal regista Giovanni Paolucci al direttore della fotografia Piero Portalupi, dal sestrese Cesare Stagnaro a Gianfranco Bo o Enrico Rossetti, fino agli attori Claudio Gora e Lauro Gazzolo. E l’intera produzione dell’Albatros Film era stata finanziata a livello locale. Di Preludio d’amore si favoleggiava da decenni, ma in pratica non lo si riusciva più a vedere da quando era uscito, e cioè nella stagione 1946-47. A dicembre, è stato finalmente recuperato e proiettato a Camogli, dove è appunto in gran parte ambientato. La vicenda, a carattere melodrammatico, riguarda un reduce di guerra (Gassman, appunto) che torna nella sua Camogli ma scopre che la fidanzata (Marina Berti) nel frattempo s’è messa con un losco trafficante (Massimo Girotti), membro di una banda che utilizza l’abbazia di San Fruttuoso per nascondere la propria refurtiva. Ma il vero interesse degli autori del film non ri-

guarda tanto l’intrigo, quanto il rapporto che viene a instaurarsi tra i personaggi e il paesaggio. Ne risulta così una delle migliori rappresentazioni di Camogli sullo schermo, anche perché Paolucci era un ottimo documentarista (nato a Pallanza, genovese d’adozione, “intellettuale cattolico molto introverso” secondo la definizione di Gora) e la fotografia era di un grande operatore come Piero Portalupi, che non a caso ottenne per questo film il Nastro d’argento. Entrambi, tra l’altro, insegnavano al Centro Sperimentale di Roma, e le immagini del film hanno la minuziosa accuratezza formale tipica del documentario dell’epoca. Oltre al borgo, si vedono vari scorci della costa, fino alla tonnara di Punta Chiappa e a Porto Pidocchio, vale a dire la zona della Foce che secondo alcuni venne così battezzata proprio da Gassman. Il quale Gassman, com’è noto, non ha mai amato tutta questa prima parte della sua attività cinematografica, non Di Preludio d’amore perdonava al regista di avergli si favoleggiava da voluto fare i capelli biondi, e ha decenni, ma in sempre ricordato pratica non lo si i suoi film col tono sprezzante vedeva più da del grande attore quando era uscito" teatrale che si prestava distrattamente al cinema. Preludio d’amore non è però l’unico film “ligure” recuperato dall’oblio. Il Comune di Camogli e la genovese Corigraf hanno infatti ripescato addirittura un titolo di cui s’era completamente persa la memoria: Al mare pago io (1963), prodotto dall’imprenditore italo-svizzero Andrea Nunnari, diretto da Max Gauthier e interpretato dal mimo René Quellet (piuttosto noto in patria) al fianco di un’attrice francese all’epoca in ascesa come Yvonne Monlaur (Le spose di Dracula ecc.). La commedia ha i modi stralunati tipici dei film imperniati su un mimo, e racconta di un bislacco pastore svizzero (Quellet) che riceve un’eredità e decide di venirsela a godere a Camogli. Il regista diceva di aver voluto esplicitamente citare la commedia dell’arte, ed infatti al centro della scena camogliese

c’è una sorta di Pulcinella, incarnato da Carlo Pisacane, vale a dire il mitico Capannelle dei Soliti ignoti. Capannelle è un ubriacone scansafatiche che si aggira tra bar e piazzette camogliesi, ruba una botte di vino, fa infuriare i negozianti. Il personaggio di Quellet è invece una specie di Pierrot, che in una delle scene più riuscite del film fa aprire e chiudere gli ombrelloni sulla spiaggia con un semplice tocco magico. E attorno a loro c’è un’umanità ben poco abituale nella severa tradizione del cinema ligure dell’epoca, a cominciare da una stagionata prostituta che esercita apertamente la sua professione, secondo un’allegra indifferenza per i vecchi moralismi che percorre tutto il film. Al mare pago io è la testimonianza stravagante di un cinema dei primi anni sessanta in fase di profonda trasformazione, tra voglia di novità (riprese tutte in esterni, rottura del racconto convenzionale, irrisione della morale bigotta ecc.) e una sorta di improvvisazione dilettantesca. Resta la curiosità di questa Liguria colta tra leggerezza e malinconia, dove tutti parlano napoletano come in una storia di Pulcinella. E resta il recupero di un film di cui s’era completamente persa traccia, mai uscito in Italia e nemmeno riportato sulle filmografie degli attori che vi prendono parte: recupero che Anna Zunino della Corigraf ha condotto partendo da qualche ritaglio di giornale conservato nell’archivio del Comune di Camogli. Alla proiezione era tra l’altro presente il figlio del produttore: “Mio padre, che adesso ha 88 anni, era un imprenditore nel campo dell’abbigliamento e della moda. Aveva voluto sperimentare il cinema come aveva fatto con tanti altri settori, ma gli andò male. Continuò a frequentare per un po’ il suo amico Enzo Ocone a Cinecittà, entrò in qualche altra produzione, ma poi lasciò perdere. Diceva: Al mare pago io!, ho pagato e ho voltato pagina”.


LIGURIA D’ESSAI DAMS, CLUB AMICI DEL CINEMA E MEDIATECA DI SAMPIERDARENA RICORDANO IL DOCUMENTARISTA IMPERIESE (1924 -1973)

Paolo Saglietto, regista da riscoprire [ di Ilaria Orazzini ]

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OPO PIÙ DI TRENT’ANNI di silenzio, finalmente il nome di Paolo Saglietto ha ricominciato a suscitare interesse. Regista imperiese che lavorò dall’immediato dopoguerra sino alla morte, sopraggiunta nel 1973 a soli 49 anni, ha girato ben trentaquattro cortometraggi e un solo lungometraggio. Mosso da una grande passione per il cinema, si era trasferito giovanissimo a Roma per frequentare il Centro Sperimentale di Cinematografia. Il giorno del diploma tra i commissari d’esame figurava Luchino Visconti, che, secondo un aneddoto, gli chiese da quale romanzo gli sarebbe piaciuto ricavare un film; ironia della sorte vuole che Saglietto abbia risposto «I Malavoglia» e che, nello stesso anno (1948), sia uscito La terra trema. Saglietto fece del cortometraggio la sua essenziale forma d’espressione, affrontando i temi più disparati, ma tutti uniti dal medesimo stile, uno stile refrattario alla linearità, che inserisce in uno stesso film momenti di fiction, di documentarismo più tradizionale e di sperimentalismo audiovisivo. Caratterizza il tutto una costante attenzione al linguaggio, alla musica e alla composizione dell’inquadratura, campi in cui ha sperimentato senza

riserve. Era un artista che amava le rotture di tono, i cambi improvvisi di registro, insomma, il rimescolamento delle carte. I temi dei suoi film spaziano dalle arti figurative (Arte senza pace) alla letteratura (Il barbaro), dalla sociologia (Il vuoto) alla psicologia (REM), con un occhio particolarmente attratto dall’opera di artisti tormentati, minati nella psiche, sprofondati nell’inquietudine o stritolati dalla fede. Sono film che esplorano la caduta dell’uomo contemporaneo e la sua disperata ricerca di vie di fuga. Questi film hanno partecipato a numerose rassegne e festival ottenendo prestigiosi riconoscimenti, come il premio Osella della Mostra del Cinema di Venezia o il Nastro d’Argento. Ci si chiede, dunque, come sia possibile che un artista tanto valente, circondato da eccellenti collaboratori (per citarne solo alcuni: Emilio Cigoli, Cesare Vico Ludovici, Franco Potenza) e vincitore di premi, sia stato dimenticato. È presto detto: fu colpa dei provvedimenti adottati dal regime fascista per incentivare il cinema e in seguito mantenuti, sia pur rivisti e corretti, sino agli anni Sessanta. Nell’Italia di quegli anni le leggi che regolamentavano il cinema documentario, invece di favorirne la produzione sul piano qualitativo, tenevano conto esclusivamente degli interessi economici e commerciali di produttori, esercenti e distributori; i cinematografi erano obbligati a proiettare un cortometraggio abbinato ad un film a soggetto, ma presto, non avendo alcun interesse specifico e non essendo controllati, smisero di farlo. Venne quindi girata una gran quantità di documentari al solo scopo di incrementarne la produzione, senza veri-

ficare se essi venissero poi effettivamente proiettati nelle sale. Tale situazione creò un pericoloso regime elitario che favorì solo le grosse case di produzione, tra le quali la Corona Cinematografica presso cui Saglietto lavorò. Ma come finì Saglietto alla Corona? Probabilmente come molti altri registi che, in cerca della possibilità di lavorare e al tempo stesso di tener fede alle proprie convinzioni, approdavano a una casa di produzione che gli permettesse di soddisfare le proprie esigenze, nonostante la distribuzione limitata dei loro film. Grazie all’interesse della famiglia del regista, nel 2010 è stato organizzato un incontro in sua memoria al DAMS d’Imperia, presso cui è stato tenuto, di recente, anche un corso monografico a lui dedicato; tutto ciò ha stimolato una serie di iniziative per il 2012, promosse dal Missing Film Festival in collaborazione con Cineamatori Genovesi e Club Amici del Cinema. Le sedi di questi incontri saranno la Sala Coop al Terminal Traghetti di Di Negro (16 febbraio, h. 21.15) e la Mediateca del Centro Civico Buranello di Sampierdarena (23 febbraio, h. 17.30).

A.A.A. Giovani produttori cercasi Presentati a Genova i MAIA Workshops 2012, corsi formativi dedicati alla produzione audiovisiva e frequentati da giovani di tutta Europa.

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L CINEMA ITALIANO MANCANO produttori di talento. Così si dice da anni, e pochi si azzardano a negare l’evidenza. Mancano figure capaci di sostenere un film (sia esso un corto o un lungometraggio), svilupparlo e accompagnarlo passo per passo; capaci di reperire finanziamenti, scoprire storie e individuare il talento registico in quel mare di aspiranti cineasti, ricchi di buoni propositi ma poveri di mezzi, che affollano la penisola. Il progetto MAIA perciò, sulla carta, è un’occasione da non perdere per chi desidera calarsi nei meccanismi della produzione audiovisiva. Ne è convinto Andrea Rocco, direttore della Genova-Liguria Film Commission, che non riesce a nascondere la soddisfazione per aver ottenuto, dopo

una collaborazione biennale, la titolarità dell’intera iniziativa: “A livello nazionale è un unicum. Siamo i soli che formano produttori con un progetto mirato. E per di più con fondi europei.” MAIA nasce infatti nel 2006, da un’idea della fondatrice di Fabula Film Graziella Bildesheim, con il preciso scopo di creare nuove figure di produttori in tutta Europa grazie al sostegno del programma MEDIA. Un progetto a vocazione continentale, basato su tre seminari intensivi in Polonia, Lazio e Liguria, con insegnanti di varie nazionalità e l’inglese come unico collante linguistico. Ma a chi è davvero rivolto il corso? “Direi a tutti coloro i quali hanno già all’attivo una prima fase di carriera professionalizzata nell’ambito dell’audiovisivo, ma che desiderano fare il salto di qualità.” Persone motivate, quindi, con idee chiare e voglia di aprirsi all’Europa: l’identikit di molti titolari di realtà produttive presenti sul nostro territorio, da sempre in attesa della chiamata alle armi.

Sul salto di qualità insiste anche Alessandra Pastore, la coordinatrice didattica che qui a Genova ha deciso di trasferirsi per seguire i lavori: “La nostra intenzione è quella di potenziare il tessuto dei professionisti. Vogliamo fare il salto sull’internazionale, creando produttori in grado di relazionarsi con i partner europei attraverso una rete di conoscenza e collaborazioni.” Nulla però è garantito, sia chiaro; l’industria è spietata e non basta certo schioccare le dita o masticare una lingua straniera per mettere in piedi un set. “Ognuno è padrone della propria strada e non possiamo certo piazzare le persone. Però possiamo assicurare tutti gli strumenti necessari per permettere loro di iniziare a cooperare.” spiega la Bildesheim, “Invitiamo a venire con un progetto di film, in modo da poterlo sviluppare con la nostra consulenza diretta. Per i partecipanti è l’occasione di avere dei pareri qualificati e di capire come funzionano le cose nel set-

tore, ma soprattutto di imparare a valutare il rischio.” Le reazioni alle attività degli workshop sono state positive, così come il destino delle 370 persone provenienti da vari paesi europei che hanno partecipato gli anni scorsi - tutte impiegate nel mondo della produzione, in qualità di assistenti o produttori con responsabilità serie. C’è quindi una speranza per i giovani liguri che vogliono provare ad entrare nel cinema senza autocondannarsi ad un destino di galoppini nella giungla romana? “La speranza non si nega a nessuno.” è la chiosa di Rocco, “Naturalmente ci auguriamo la partecipazione di molti liguri: è fondamentale per evolverci ed acquisire autorevolezza. E sappiamo che in questa regione qualcosa si sta muovendo da tempo, altrimenti non avremmo aderito.” Le iscrizioni sono aperte. (Massimo Lechi)

GENNAIO - FEBBRAIO 2012 FILM DOC

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LIGURIA D’ESSAI

INIZIA CON DRIVE LA XXV EDIZIONE DI FEBBRE GIALLA, CON FILM E REGISTI DA TUTTO IL MONDO.

Global Noir R

EGISTI INGLESI, DANESI, COREANI, IRANIANI, GIAPPONESI… Arriva dal primo di febbraio Febbre Gialla, la rassegna del Club Amici del Cinema che ogni anno riflette sullo stato di poliziesco, noir & dintorni. E stavolta il consueto predominio del cinema americano sembra ormai cancellato. Il noir è diventato definitivamente una questione globalizzata, la patria di Hammett e Chandler, di Humphrey Bogart e dell’ispettore Callaghan sembra ormai aver ceduto il passo a registi e sceneggiatori che in tutto il resto del pianeta usano gli schemi del poliziesco per raccontare altri mondi, sperimentare nuovi linguaggi, battere piste sempre più diverse. Anche il regista del più importante noir americano dell’annata, Drive, è del resto un danese: Nicolas W. Refn, che non a caso ha sviluppato altrove tutta la sua prima parte della carriera, era stato celebrato con una retrospettiva al festival di Torino di qualche anno fa, e insomma era già ben conosciuto dal pubblico di tutto il mondo per la sua attività in Europa. L’americano Drive si presenta peraltro come il miglior film della sua carriera, e costituisce il titolo-simbolo della stagione noir, anche per i suoi rimandi a uno dei classici di fine anni ’70, quel Driver di Walter Hill che non solo era uno splendido film ma è anche uno degli ultimi esempi del grande cinema di genere americano sciaguratamente spazzato via a partire dagli anni ’80. Accanto a Refn e a Drive, l’altra tendenza da citare per il 2011 è la persistente attenzione al noir da parte del cinema inglese, che ama sempre più mescolare gli ingredienti classici con umorismo nero, dialoghi compiaciuti, una violenza tanto esasperata quanto astrattamente teatrale. Il neo-noir britannico ha d’altronde una sua tradizione ben precisa, che affonda le radici in

un film probabilmente sopravvalutato ma ormai mitico come Carter (1971, con Michael Caine), passa attraverso lo stile modaiolo “Lock & Stock” di Guy Ritchie ed arriva al giorno d’oggi, magari guardando anche a titoli recenti come In Bruges. Quest’anno si sono visti London Boulevard e Un poliziotto da happy hour, titolo demenziale per l’originale e più semplice The Guard. London Boulevard è ambientato in Inghilterra, è diretto dall’americanissimo William Morahan (sceneggiatore di The Departed) e mette in mostra un Colin Farrell finalmente ottimo, affiancato dal grande Ray Winstone, oltre che da Keira Knightley e David Thewlis. La sua formula è basata su una mescolanza di dialoghi arzigogolati, umorismo nero, violenza fisica e verbale, così come accade nell’altro film, dove i criminali discutono di filosofia, i poliziotti di letteratura e i bassifondi odorano di quinte teatrali. Il giochetto finto-intellettuale di inserire riferimenti “alti” in situazioni violente da crime movie è abbastanza banale, ma il corpulento poliziotto irlandese di mezz’età di Un poliziotto da happy hour, razzista, ubriacone e puttaniere, è magnificamente interpretato da Brendan Gleeson, e il film si presenta come uno dei neo-noir più sottovalutati dell’anno. Per il resto, tanto Oriente, nonostante la censura di mercato che impedisce alla maggior parte dei film asiatici di arrivare nelle nostre sale, e nonostante le abitudini del pubblico che li snobba. Dalla Corea del Sud è arrivato The Housemaid di Im Sang-soo, analisi feroce di una società classista raccontata attraverso un thriller dalle derive quasi grandguignolesche: protagonista, una povera camerierina che va a lavorare in una famiglia di ricchi, viene messa incinta dal padrone, e deve così subire la violenta persecuzione della moglie e della suocera. Dal Giappone, s’è visto invece Detective Dee

e il mistero della fiamma fantasma di Tsui Hark, incrocio tra poliziesco e wu-xia-pian, ispirato a un personaggio storico del VII secolo già celebrato dal sinologo olandese Robert Van Gulik in una celebre serie di romanzi polizieschi: ed è probabile che Febbre Gialla riproponga Detective Dee accanto ad altri due film in costume diversamente action del cinema orientale recente, come 13 assassins di Takashi Miike e Il buono, il matto, il cattivo di Kim Ji-woon. E non è finita, perché quest’anno abbiamo avuto addirittura un noir iraniano, The Hunter, con un tizio che scopre di aver perso moglie e figlia per colpa delle pallottole della polizia, e si trasforma così in un serial killer di sbirri. Il regista è in realtà un iraniano (Rafi Pitts) scappato in Inghilterra all’inizio degli anni ’80, uno che ha studiato cinema a Londra, ha poi lavorato con famosi registi francesi, e quindi ha una cultura molto occidentale: resta comunque il dato insolito, anche se non certo unico, di una variante del crime movie realizzata nel paese di Kiarostami e Makhmalbaf. Il tutto in attesa di altri due film destinati ad essere inseriti nel programma: Millennium di David Fincher e La talpa di Tomas Alfredson, vale a dire il remake di un film e di un romanzo svedese realizzato da un americano, e di un romanzo inglese diretto da uno svedese. Decisamente, questo noir è sempre più global.

Festival & Rassegne BILLY WILDER A FILMSTUDIO Quattro capolavori di Billy Wilder al Filmstudio di Savona, dal 12 gennaio al 2 febbraio. In programma Giorni perduti (1945), Viale del tramonto (1950), L’asso nella manica (1951), Prima pagina (1974): i primi tre sono opere fondamentali del Wilder “drammatico” negli anni del noir, l’ultimo è un grande classico della commedia con Jack Lemmon e Walter Matthau. L’iniziativa è di un gruppo di studenti del Laboratorio Audiovisivi Buster Keaton del Campus di Savona, in collaborazione con la Cineteca Griffith.

CIMAMERICHE NEL TIGULLIO

AMBIENTE AD ARENZANO

GIAN MARIA VOLONTE’ AL NUOVO

L’ottava edizione di Cimameriche (30 novembre – 8 dicembre) è stata vinta da Merica, coproduzione italo-brasiliana di Federico Ferrone, Michele Manzolini e Francesco Ragazzi: un film dedicato ai migranti, a cominciare dai 25 milioni di brasiliani discendenti dagli emigrati italiani, e dal fenomeno per cui molti brasiliani stanno ora percorrendo il percorso opposto verso l’Italia. Il premio del pubblico e quello degli studenti sono invece andati a Waste Land, dedicato all’artista brasiliano Vik Munoz e ai suoi lavori realizzati con l’aiuto dei “catadores”, vale a dire i raccoglitori di rifiuti delle discariche.

Loro della munnizza è il film vincitore della terza edizione di Fidra, Festival Internazionale del Reportage Ambientale svoltosi dal 15 al 17 dicembre ad Arenzano. Diretto da Marco Battaglia, Gianluca Donati, Laura Schimenti e Andrea Zulini, il film parla dei “cenciaioli” di Palermo, che da generazioni rovistano nella spazzatura per cavarne fuori materiali riciclabili: oltre che una forma di sopravvivenza per centinaia di persone, è un’attività virtuosa in una logica di raccolta differenziata, combattuta però dal business degli inceneritori. Menzione speciale a Polvere. Il grande processo dell’amianto, premio speciale degli studenti e premio Green Jury degli ambientalisti a Vivamazonia.

Ricordo di Gian Maria Volonté al Nuovo di La Spezia, nell’ambito di quattro incontri pomeridiani (ore 15.45) condotti da Giordano Giannini. In programma A ciascuno il suo (1967) di Elio Petri, Faccia a faccia (1967) di Sergio Sollima, Sbatti il mostro in prima pagina (1972) di Marco Bellocchio, Ogro (1979) di Gillo Pontecorvo.


I PROGRAMMI DEI CINEMA DOC in LIGURIA

GENOVA e PROVINCIA CLUB AMICI DEL CINEMA - Tel. 010. 413838 c/o Cinema Don Bosco - Via C.Rolando, 15 16151 Genova - Sampierdarena www.clubamicidelcinema.it

Orari:

feriali: Unico spett. sabato: domenica e festivi:

DA DOM 1 A MAR 3 GENNAIO 2012

SCIALLA!

di Francesco Bruni con Fabrizio Bentivoglio, Barbora Bobulova, Filippo Scicchitano, Italia 2011, 95’. Il gap generazionale come non s’era mai visto, con un adulto sgangherato, ghost writer per calciatori e pornostar, costretto a misurarsi con la genuina vitalità di un adolescente, e la scoperta da parte del ragazzo di valori che oggi sembrano rivoluzionari: l’importanza della cultura, la dignità del lavoro. Opera prima dello sceneggiatore di Virzì.

Da mercoledì 4 a martedì 10

MIDNIGHT IN PARIS di Woody Allen con Owen Wilson, Rachel McAdams, Marion Cotillard, Spagna /USA 2011, 94’. Uno sceneggiatore di Hollywood alla ricerca di ispirazione per un romanzo è a Parigi con la fidanzata, e allo scoccare della mezzanotte un misterioso taxi lo trasporta negli anni Venti, a incontrare gli scrittori e gli artisti che ama di più, Hemingway Scott Fitzgerald o Picasso. Mercoledì 11 e giovedì 12

MELANCHOLIA di Lars von Trier con Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg, Danimarca/Sv/ Fr/Ger 2011, 129’. Una festa di matrimonio si trasforma in una inquietante attesa del passaggio del pianeta Melancholia a brevissima distanza dalla terra. Lars von Trier rigoroso e severo, capace di mostrare pietas per la fine di un mondo che merita di dissolversi. Palma d’oro come migliore attrice per Kirsten Dunst a Cannes 2011, e Premio EFA 2011 Miglior Film Europeo. Venerdì 13 LA COMMEDIA SECONDO WOODY ALLEN CRIMINI E MISFATTI di Woody Allen con Woody Allen, Martin Landau, Mia Farrow, Anjelica Huston, USA 1989, 104’. Judah è un oculista affermato che assolda un sicario per eliminare l’amante; Cliff è uno squattrinato documentarista, ma la donna che ama si fidanza con un altro. Due fragili e incerti personaggi che si muovono tra commedia e tragedia.

Da sabato 14 a martedì 17

LE NEVI DEL KILIMANGIARO di Robert Guédiguian con Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Francia 2011, 107’. Una poesia di Victor Hugo, Les pauvres gens, e una canzone anni ’60 sono il punto di partenza per un dramma sociale raccontato con commossa leggerezza. Michel e Marie Claire sono persone comuni, vittime di una rapina in cui perdono i biglietti per il viaggio in Africa sognato da una vita. L’autore del furto è un ex compagno di lavoro di Michel, (un operaio) come lui licenziato.

Mercoledì 18 e giovedì 19

FAUST

di Aleksandr Sokurov con Johannes Zeiler, Anton Adasinsky, Isolda Dychauk, Russia 2011, 134’. Non più Mefistofele ma un povero diavolo, un usuraio ignorante a cui lo scienziato Faust si affida per violare il segreto della vita e impadronirsi di un potere negato agli uomini. Una storia crudele e fantastica, ispirata alla tragedia di Goethe e am-

ore 21,00 ore 15,30 - 21,00 ore 18,30 - 21,00

Gosling, Carey Mulligan, USA 2011, 95’. Stuntman per il cinema e pilota impeccabile a disposizione di rapinatori e uomini della mafia, Drive è un solitario fino a quando conosce la vicina di casa e il suo bambino. Il coinvolgimento emotivo lo porterà ad agire per difenderli, con (im)prevedibili drammatiche conseguenze. Premio per la miglior regia a Cannes 2011.

Da sabato 18 a martedì 21 Venerdì 3 feb - DAVID CRONENBERG

VIDEODROME

LA COMMEDIA SECONDO WOODY ALLEN

di David Cronenberg con James Woods, Deborah Harry, Sonja Smits, Canada 1983, 90’. Il proprietario di una cable –tv porno scopre "Videodrome”, un’emittente clandestina di omicidi e torture trasmessa su un segnale che causa lo sviluppo di un tumore al cervello e produce allucinazioni. La televisione che sostituisce la realtà e lo schermo come estensione del corpo, in anticipo sui tempi e nella forma più folgorante.

UN’ALTRA DONNA

Da sabato 4 a martedì 7

bientata in una Germania seicentesca di straordinaria forza visiva. Il film conclude la tetralogia sul potere del maestro russo. Leone d’oro a Venezia.

Venerdì 20 di Woody Allen con Gena Rowlands, Mia Farrow, Ian Holm, Gene Hackman, USA 1988, 84’. Una seduta di psicanalisi ascoltata involontariamente conduce una affermata intellettuale a una graduale scoperta degli errori che condizionano le sue relazioni personali e le sue stesse emozioni. Complesso e maturo studio di una figura femminile – e omaggio al Bergman di Il posto delle fragole, con una straordinaria Gena Rowlands.

Da sabato 21 a martedì 24

MIRACOLO A LE HAVRE di Aki Kaurismaki con André Wilms, Kati Outinen, Finlandia/ Fr/Germ 2011, 93’. Sorrisi e malinconia di un quartiere popolato da personaggi stralunati e concretissimi che si mobilitano per aiutare un giovane clandestino. E sotto l’impermeabile nero di un poliziotto si può scoprire la tenerezza. Inimitabile Kaurismaki, che mette il nome della cagnetta Laika nei titoli di testa. Mercoledì 25 e giovedì 26

PINA di Wim Wenders con Pina Bausch e i danzatori del Tanztheater Wuppertal, Germania/Francia/GB 2011, 106’. Viaggio nel mondo della coreografa tedesca che ha cambiato per sempre la percezione della danza. Raffinate coreografie sul palcoscenico ma anche riprese esterne capaci di trasmettere l’emozione, la fisicità e l’energia di alcune delle creazioni più intense della Bausch.

Venerdì 27 - DAVID CRONENBERG

BROOD-LA COVATA MALEFICA di David Cronenberg con Oliver Reed, Samantha Eggar, Canada 1979, 91’. I colpevoli di alcuni brutali omicidi sono strane creature aventi l'aspetto di bambini deformi, frutto degli esperimenti mostruosi del dottor Raglan per dar vita ai desideri e alle pulsioni della mente. L’impulso incontenibile ad andare oltre l'umano trova una giustificazione nell'impressionante finale, inaspettato e rivelatore.

Da sabato 28 a martedì 31

LE IDI DI MARZO

di George Clooney con Ryan Gosling, G. Clooney, Philip Seymour Hoffman, USA 2011, 102’. I pugnali della congiura, ovvero gli inganni e la corruzione della politica in cui si trova invischiato un guru della comunicazione giovane e idealista al servizio del candidato alla presidenza durante le Primarie del Partito Democratico in Ohio. Conferma definitiva per George Clooney, che dopo Good Night, and Good Luck dirige un thriller politico dalla trama avvincente.

MERC 1 E GIO 2 FEBBRAIO 2012 FEBBRE GIALLA DRIVE di Nicolas W. Refn con Ryan

Due gemelli, affermati ginecologi, hanno sempre condiviso tutto, donne comprese. L’entrata in scena di una attrice di cui uno dei due si innamora sarà lo strumento di separazione, in un percorso distruttivo inesorabile che coinvolgerà inevitabilmente anche il fratello. Straordinaria performance di Jeremy Irons nella doppia parte dei due gemelli.

THE ARTIST di Michel Hazanavicius con Jean Dujardin, Bérenice Béjo, John Goodman, Francia 2011, 100’. Un film “muto”, in bianco e nero, in cui si ride e ci si commuove sulla sorte di un divo del muto che l’arrivo del sonoro condannerà al declino. Il suo destino si incrocia con quello di una comparsa che diventa la nuova star di Hollywood. Ricostruzione minuziosa delle tecniche d’epoca, e Palma d’oro come miglior attore per Dujardin a Cannes 2011. Mer 8 e gio 9 - FEBBRE GIALLA

LONDON BOULEVARD di Wiliam Monahan con Colin Farrell, Keira Knightley, Ray Winstone, USA/GB 2010, 103’. Un ex galeotto diventa la guardia del corpo di una famosa attrice, ma il suo passato non gli dà tregua e lo porta a scontrarsi con il gangster più spietato di Londra. Nel suo debutto alla regia lo sceneggiatore di Martin Scorsese (The Departed) rende omaggio a due grandi classici: Sunset Boulevard, ma soprattutto Blow-Up, e la Rolls Royce del film è la stessa usata da Antonioni. Venerdì 10 - DAVID CRONENBERG

LA MOSCA di D. Cronenberg con Jeff Goldblum, Geena Davis, USA 1986, 95’. La metamorfosi del corpo e del carattere di uno scienziato che in un esperimento di teletrasporto della materia si trasforma accidentalmente in un insetto. Il tema che ha ispirato Kafka e Stevenson offre lo spunto per esplorare ancora una volta la mutazione e rapporti tra carne e psiche. Oscar a Chris Walas e Stephen Dupuis per il trucco (per quello di Goldblum erano necessarie cinque ore). Da sabato 11 a martedì 14

ALMANYA-La mia famiglia va in Germania di Yasemin Samdereli conVedat Erincin, Fahri Ogun Yardim, Lilay Huser, Demet Gul, Germania 2011, 101’. Saga familiare in bilico tra ironia e commozione. Il viaggio di andata e ritorno in Turchia è il segno di una integrazione compiuta per l’ immigrato turco numero un milione e uno, ma strada facendo emergono i ricordi dei primi tragicomici anni in Germania e i segreti del passato che mettono a rischio l’unità della famiglia.

Mer 15 e gio 16 - FEBBRE GIALLA

UN POLIZIOTTO DA HAPPY HOUR

di John Michael McDonagh con Brendan Gleeson, Don Cheadle, Irlanda 2011, 96’. L’improbabile alleanza tra un poliziotto irlandese scorrettissimo e un professionale detective statunitense inviato in Irlanda per indagare su un traffico di cocaina. Nonostante il titolo, si tratta di un noir solitario e insolito, e sotto i toni della commedia affiora tutta la durezza del mondo in cui è ambientato.

Venerdì 17 - DAVID CRONENBERG

INSEPARABILI

di David Cronenberg con Jeremy Irons, Geneviève Bujold, Canada 1988, 115’.

EMOTIVI ANONIMI di Jean-Pierre Améris con Benoit Poelvoorde, Isabelle Carré, Francia/Belgio 2010, 80’. Arriva (in Italia) la commedia romantica che ha sbancato il botteghino in Francia. Il proprietario di una fabbrica di cioccolato e la sua dipendente specializzata in praline sono due persone fragili, vittime di fobie sociali. La timidezza li allontana, la passione comune per il cioccolato li unirà.

Mer 22 e gio 23 - FEBBRE GIALLA

DETECTIVE DEE e il mistero della Fiamma Fantasma

di Tsui Hark, con Andy Lau, Tony Leung Ka-Fai, Cina/Hong Kong 2011, 122’. Cina, anno 690: il detective Dee viene reclutato dall’imperatrice Wuper indagare su una serie di morti che potrebbero impedire la sua ascesa al trono. Cinema orientale avventuroso e movimentato per un protagonista da leggenda, l’”onorevole magistrato” Di Renjie, giudice infallibile realmente vissuto in Cina in epoca T’ang.

Venerdì 24 - DAVID CRONENBERG

M. BUTTERFLY

di David Cronenberg con Jeremy Irons, John Lone, Barbara Sukova, USA 1993, 101’. Un diplomatico francese si innamora di una cantante dell’Opera di Pechino dopo averla vista interpretare la Butterfly di Puccini. La tenacia autodistruttiva delle sue illusioni non gli permette di vedere che in realtà “lei” è un uomo, una spia al servizio della Cina maoista. Basato su un fatto realmente accaduto e centrato sul tema del doppio e sul senso ambiguo che ne deriva.

Da sabato 25 a lunedì 27

J. EDGAR

di Clint Eastwood con Leonardo Di Caprio, Armie Hammer, Naomi Watts, USA 2011, 137’. Nel biopic su “Dirty Hoover”, Eastwood sceglie un personaggio controverso: America’s Top Cop, l’uomo che per quasi cinquant’anni fu il capo temuto e ammirato del FBI e si avvaleva di una vasta rete di informatori, ricatti e pura violenza per esercitare un potere formidabile. Eppure nascondeva nella vita privata segreti che avrebbero potuto distruggere la sua immagine e la sua carriera.

Martedì 28

COTTON CLUB di Francis Ford Coppola con Richard Gere, Diane Lane, Bob Hoskins, Tom Waits, USA 1984, 127’. Un trionfo di numeri musicali per narrare la storia del famoso cabaret di Harlem, il Cotton Club, tra il 1928 e il 1935, anni in cui si intrecciano storie di gangster e numeri di grande jazz, un omaggio alla sua epoca d'oro. Mer 29 e gio 1 marzo - FEBBRE GIALLA

THE HOUSEMAID di Im Sang-soo con Jeon Do-yeon, Corea del Sud 2010, 106’. Le dinamiche tra superiori e sottoposti, tra Hitchcock e Chabrol: la ragazzina assunta a lavorare come domestica da una famiglia ricchissima suscita la passione del padrone, ma non sfugge al ruolo di vittima designata del sistema sociale. Remake del film omonimo (1960), autentica pietra miliare del cinema orientale.


I PROGRAMMI DEI CINEMA DOC in LIGURIA

Peter Wight, Gran Bretagna 2010, 129’ Una grande sceneggiatura per un film sulla fragilità delle relazioni umane.

Cineforum Genovese

Martedì 31 Gennaio

c/o Cinema America - Via Colombo, 11 16121 - Genova - Tel.010 5959146 www.cineforumgenovese.it

Orari:

Martedì 14 febbraio

FILM DA DEFINIRE Martedì 28 Febbraio

ore 15,15 - 17,30 - 21,15

THE WARD

Le proiezioni sono riservate esclusivamente ai Soci muniti di tessera. MARTEDÌ 10 GENNAIO 2012

HEREAFTER di Clint Eastwood

con Matt Damon, Cecil de France, Joy Mohr, Bryce Dallas Howard, USA 2010, 129’ L'esplorazione della morte con la grazia del poeta

Martedì 17 gennaio

THE TREE OF LIFE

di Terrence Malick con Brad Pitt, Sean Penn, Jessica

Chastain, USA 2011, 139’’ Storia tormentata e, allo stesso tempo, piena di speranza. Malick tenta di svelare i segreti della famiglia, primo luogo dove ognuno di noi impara la verità sul mondo.

CARNAGE

Martedì 24 Gennaio

di Roman Polansky con Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz, John C. Reilly, Francia/Germania/ Polonia/Spagna 2011, 79’ Un dramma da camera che coniuga il piacere della forma al valore della storia.

ANOTHER YEAR

MARTEDÌ 7 FEBBRAIO 2012

di Mike Leigh con Jim Broadbent, Lesley Manville, Ruth Sheen, Oliver Maltman,

CINECLUB NICKELODEON - Tel. 010 589640 Via Consolazione, 1 - 16121 Genova e-mail: info@cineclubnickelodeon.it

L’ ILLUSIONISTA Da ven 13 a dom 15 merc 18 e gio 19

LE NEVI DEL KILIMANGIARO

Da ven 20 a dom 22 merc 25 e gio 26

DOM 1 MER 4 - GIO 5 GENNAIO 2012

Da ven 6 a dom 8 - merc 11 e gio 12

IL CUORE GRANDE DELLE RAGAZZE di Pupi Avati

ANCHE SE E’ AMORE NON SI VEDE di Salvatore Ficarra e Valentino Picone con Ficarra & Picone, Ambra Angiolini, Diane Fleuri Italia 2011, 96’

di John Carpenter con Amber Heard, Mamie Gummer, Danielle Panabaker, USA 2010, 88’ Un horror della vecchia scuola fatto da un regista della vecchia guardia.

di Sylvain Chomet,

di Robert Guédiguan con Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, Francia 2011, 107’

Orari: venerdì e domenica ore 16,00 e 21,15; sabato e feriali: unico spettacolo ore 21,15

con Micaela Ramazzotti, Cesare Cremonini, Gianni Cavina Italia 2011, 85’

da una sceneggiatura originale di Jacques Tati , Francia/Gran Bretagna, 2007, 78’. Chomet fa rivivere Tati con grande rispetto e con il piacere della rivisitazione.

UN ALTRO MONDO di Silvio Muccino con S. Muccino, Isabella Ragonese, Maya Sansa, Italia/Gran Bretagna 2010, 110’

Da ven 27 a dom 29 gennaio MERC 1 E GIO 2 FEBBRAIO

MIDNIGHT IN PARIS di Woody Allen

MIRACOLO A LE HAVRE

con Owen Wilson, Marion Cotillard, Rachel McAdams, USA/Spagna 2011, 94’

di Aki Kaurismäki con Jean-Pierre Darroussin, Kati Outinen, André Wilms Finlandia/ Francia/Germania 2011, 93’

a seguire, in data da definire:

Martedì 24 gennaio, alle ore 20.45 rassegna FILMISSIO

THE ARTIST, LE IDI DI MARZO, ALMANYA

IMPERIA E PROVINCIA Cineforum IMPERIA - Tel. 0183.63871 c/o Cinema Centrale - Via F. Cascione, 52 18100 - IMPERIA Porto Maurizio www.cineforumimperia.it - e-mail: info@cineforumimperia.it

Orari spettacoli: LUNEDÌ 9 GENNAIO 2012

ore 16,15 - 20,15 - 22,30 Kevin Breznahan, USA 2010, 99’ Dopo la sparizione del padre che per uscire di prigione si è ipotecato la casa di famiglia Ree Dolly, un'adolescente del Missouri, decide di trovare il genitore per farlo comparire in tribunale prima che lo Stato si inghiotta la proprietà. Intraprende così un duro viaggio alla sua ricerca.

Lunedì 23 gennaio

TUTTI PER UNO di Romain Goupil

L’ILLUSIONISTA

di Sylvain Chomet Gran Bretagna/Francia 2010, 78’-Film d’animazione Omaggio al mondo di vaudeville e ai suoi artisti dimenticati, la malinconica storia d'amore del prestigiatore Tatischeff e della giovane cameriera Alice nella Francia del 1959. La sceneggiatura, scritta da Jacques Tati tra il 1956 e il 1959, è stata ritrovata dalla figlia e consegnata al disegno animato nei tratti eleganti di Chomet.

Lunedì 16 gennaio

UN GELIDO INVERNO

di Debra Granik con Jennifer Lawrence, John Hawkes, 24

con Valeria Bruni Tedeschi, Linda Doudaeva, Jules Ritmanic, Francia 2010, 90’ Il governo francese ha deciso l'espulsione di tutti gli immigrati irregolari e la piccola Milana, una bambina cecena di 10 anni, rischia di rientrare al suo Paese. I suoi compagni si organizzano per nasconderla e tutti insieme si rifugiano in un nascondiglio segreto.

Nella Cina del 690 d.C. la reggente Wu si appresta a essere incoronata imperatrice ma i suoi nemici giocano le ultime carte per impedirlo. Nel frattempo si verificano diverse morti misteriose legate alla costruzione di un Buddha su cui viene incaricato di indagare il Detective Dee, un ribelle esiliato dalla stessa reggente.

LUNEDÌ 6 FEBBRAIO 2012

LADRI DI CADAVERI - BURKE & HARE di John Landis con Simon Pegg, Andy Serkis, Tom Wilkinson, Gran Bretagna 2010, 91’ Burke e Hare sono due scapestrati che sbarcano il lunario come possono in una Edinburgo fine Ottocento votata alla Scienza medica. Quando il Dottor Knox decide di pagare profumatamente i corpi che gli porteranno per usarli in nome della medicina, i due compari decidono di mettersi in società per cercare di fare più soldi possibili. Grande ritorno di un regista cult assente da molto tempo dal set.

Lunedì 13 febbraio

MICHAEL PETRUCCIANI – BODY & SOUL

DETECTIVE DEE E IL MISTERO DELLA FIAMMA FANTASMA

di Michael Radford con Michael Petrucciani, Francia/Germania 2011, 102’ Straordinario documentario su uno dei massimi pianisti jazz della seconda metà del Novecento, un uomo che per tutta la vita lottò contro la malattia che lo torturava dalla nascita. Rivediamo tantissimo materiale di repertorio sull'artista e interviste ad amici e musicisti che condivisero con lui un pezzo della loro vita.

di Tsui Hark con Andy Lau, Tony Leung, Bing Bing Li, Jean Michel Casanova, Cina/Hong Kong 2010, 122’

NON LASCIARMI di Mark Romanek

Lunedì 30 gennaio

FILM DOC NOVEMBRE - DICEMBRE 2011

Lunedì 20 febbraio

con Andrew Garfield, Keira Knightley, Carey Mulligan, Gran Bretagna 2011, 103’ I bambini che crescono nel cupo collegio di Haisham non hanno genitori e non sono orfani, la loro sorte è già segnata ma loro ne sono ignari. In un crescendo di emozioni scopriremo cosa si cela dietro le mura di questo severo college inglese, in un film che sicuramente rimarrà impresso per diverso tempo nel cuore degli spettatori.

Lunedì 27 febbraio

TOURNEE di Mathieu Amalric con M. Amalric, Miranda Colclasure, Suzanne Ramsey, Francia 2010, 111’ Un produttore televisivo caduto in disgrazia torna in Francia con una compagnia di New Burlesque. Il suo spettacolo, con ballerine e cantanti, viene portato in giro nei teatri minori e ogni tappa porterà nuove tensioni, nuove relazioni, diverse prospettive sullo spettacolo e sulla vita. Film interpretato da un magico cast, le attrici sono infatti vere showgirl di New Burlesque.


≥ Gio 19

CINEMA TABARIN - Tel. 0184 597822 -

BAR SPORT di Massimo Martelli con Claudio Bisio, Giuseppe Battiston, Antonio Catania, Italia 2011, 93’

0184 507070 -

Via Matteotti, 107 Sanremo (IM) www.aristonsanremo.com

LA KRYPTONITE NELLA BORSA

Promozione Cinema: Euro 4,00 di Alessandro Genovesi con Fabio De Luigi, Cristiana Capotondi, Alessandro Siani, Italia 2011, 92’

LA PEGGIOR SETTIMANA DELLA MIA VITA

di Francesco Bruni con Fabrizio Bentivoglio, Barbora Bobulova, Filippo Scicchitano, Italia 2011, 95’

Gio 9 febbraio

ANCHE SE E’ AMORE NON SI VEDE

Gio 26

Orari spettacoli (indicativi): 16,00 – 21,30

GIOVEDÌ 12 GENNAIO 2012

I PROGRAMMI DEI CINEMA DOC in LIGURIA

di Ivan Cotroneo con Valeria Golino, Luca Zingaretti, Cristiana Capotondi, Italia 2011, 98’

di Salvatore Ficarra e Valentino Picone con Ficarra & Picone, Diane Fleuri, Ambra Angiolini., Italia 2011, 96’ in collaborazione con C.D.C.

GIOVEDÌ 2 FEBBRAIO 2012

SCIALLA! (stai sereno)

SAVONA e PROVINCIA MER 1 FEBBRAIO 2012

Nuovo FILMSTUDIO - Tel./fax 019 813357

di Gus Van Sant, con Mia Wasikowska, Henry Hopper, Usa 2011, 95'

Piazza Diaz, 46r - SAVONA www.nuovofilmstudio.it - info@nuovofilmstudio.it MAR 10 GENNAIO mer 11 gen

15.30 - 21.15 21.15

UNA SEPARAZIONE di Asghar Farhadi, con Sareh Bayat, Sarina Farhadi, Iran 2011, 123' Nader e Simin hanno ottenuto il visto per lasciare l'Iran ma Nader si rifiuta di abbandonare il padre malato. Simin vuole partire lo stesso con la figlia e torna a vivere dalla madre. Nader assume una badante per prendersi cura del padre mentre lui lavora. La donna però non solo è incinta ma sta anche lavorando senza il permesso del marito...

gio 12 gen

17.00

Nuovofilmstudio presenta

MELOASCOLTO: Sappiamo parlare la musica? Per un’introduzione all’ascolto cosciente della musica (Emanuela E. Abbadessa)

ingresso libero

gio 12 gen

21.00

Nuovofilmstudio, "Laboratorio Audiovisivi Buster Keaton" del Corso di laurea in Scienze della Comunicazione di Savona e cineteca "David Wark Griffith" presentano

Omaggio a Billy Wilder GIORNI PERDUTI (The lost weekend) di Billy Wilder, con Ray Milland, Jane Wyman Usa 1945, 101', 16mm

ingresso con tessera Arci: 5 euro

sab 14 gen

9.15

Il "Circolo degli Inquieti" e l'associazione per la lotta ai disturbi del comportamento alimentare "Mi nutro di vita" presentano: “Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla contro i disturbi alimentari”

ingresso libero

da ven13 a lun16 gen

Film in prima visione mar 17 gen mer 18 gen

15.30 - 21.15 21.15

TERRAFERMA di Emanuele Crialese con Donatella Finocchiaro, Filippo Pucillo, Beppe Fiorello, Italia/Francia 2011, 88'

In un'isola siciliana, Filippo, un ventenne orfano di padre, vive con la madre Giulietta e il Nonno Ernesto, un irriducibile pescatore che pratica la legge del mare. Durante una battuta di pesca, Filippo ed Ernesto salvano dall'annegamento una donna incinta e il suo bambino. Malgrado burocrazia e finanza, decidono di prendersi cura di loro…

gio 19 gen

21.15

l'amore che resta (Restless)

21.00

Enoch è un adolescente molto particolare. Alla cerimonia funebre di uno sconosciuto, il ragazzo incontra Annabel, con cui condivide un dramma doloroso. Annabel è malata e non le resta molto tempo. Tra i due nasce una storia d'amore ed Enoch farà di tutto per rendere gli ultimi giorni della sua ragazza tanto intensi da esorcizzare la morte...

Gio 2 feb

21.00

Nuovofilmstudio, "Laboratorio Audiovisivi Buster Keaton" del Corso di laurea in Scienze della Comunicazione di Savona e cineteca "David Wark Griffith" presentano

di Francesco Clerici 24, come i fotogrammi che scorrono in un secondo di pellicola, sono i racconti del libro, e tutti partono da un aneddoto (vero) su personaggi che hanno fatto il cinema. Registi per caso, filosofi mancati, attori famosi con strambe vite private o curiosi ricordi. L’aneddoto serve a svelarci il nascondiglio del loro carattere, raccontando quegli attimi di vita che delineano la loro personalità e la loro vicenda che poi, alla fin fine, forse, non è così diversa da quella di ognuno di noi. Francesco Clerici nasce a Milano nel Dicembre 1983. Dopo gli studi classici si laurea in Storia dell’arte e dal 2003 lavora nella didattica del cinema: presenta cineforum e tiene laboratori per ragazzi di diverse età realizzando con loro cortometraggi di finzione, documentari e mockumentari.

Nuovofilmstudio, "Laboratorio Audiovisivi Buster Keaton" del Corso di laurea in Scienze della Comunicazione di Savona e cineteca "David Wark Griffith" presentano

Omaggio a Billy Wilder PRIMA PAGINA (The front page) di Billy

Omaggio a Billy Wilder VIALE DEL TRAMONTO (Sunset boule-

Usa 1974, 105', 16mm

vard) di Billy Wilder, con William Holden,

Da ven 3 a lun 6 feb

Mar 21 feb mer 22 feb

Gloria Swanson, Usa 1950, 110', 16mm

Film in prima visione

Jane Eyre di Cary Fukunaga, con Mia

ingresso con tessera Arci: 5 euro

Wilder, con Jack Lemmon, Walter Matthau

ingresso con tessera Arci: 5 euro

da ven 20 a lun 23 gen

Mar 7 feb mer 8 feb

Film in prima visione

FAUST di Aleksandr Sokurov

mar 24 gen mer 25 gen

15.30 - 21.15 21.15

DRIVE di Nicolas Winding Refn con Ryan Gosling, Carey Mulligan Usa 2011, 95'' Hollywood. Driver ha più di un lavoro: è un esperto meccanico, fa lo stuntman per il cinema e l'autista per alcuni criminali, garantendo loro una fuga a tempo di record. Quando si trasferisce presso un nuovo condominio conosce Irene, una vicina di casa, e diventa amico di suo figlio Benicio. Ma come sempre accade le cose si complicano...

gio 26 gen

17.00

Nuovofilmstudio presenta

MELOASCOLTO: La preistoria della nuova musica. Vienna alla fine del “lungo Ottocento”: 1897-1918 (Stefano A.E. Leoni)

ingresso libero

gio 26 gen

21.00

Nuovofilmstudio, "Laboratorio Audiovisivi Buster Keaton" del Corso di laurea in Scienze della Comunicazione di Savona e cineteca "David Wark Griffith" presentano

Omaggio a Billy Wilder L’ASSO NELLA MANICA (Ace in the hole) di Billy Wilder, con Kirk Douglas, Jan Sterling, Usa 1951, 112', 16mm

ingresso con tessera Arci: 5 euro

da ven 27 a lun 30 gen

Film in prima visione Mar 31 gen

15.30 - 21.15

15.30 - 21.15 21.15

con Johannes Zeiler, Anton Adasinsky Russia 2010, 134' Faust è un pensatore, un trasmettitore di parole, un cospiratore, un sognatore. Un uomo anonimo guidato da istinti semplici: fame, avidità, lussuria. Una creatura infelice e perseguitata che lancia una sfida al Faust di Goethe. Perché rimanere nel presente se si può andare oltre?

Gio 9 feb

21.00

Nuovofilmstudio presenta

MELOASCOLTO: La coscienza dell’avanguardia. Formidabile quella scuola! (Emanuela E. Abbadessa)

ingresso libero

Film in prima visione 15.30 - 21.15 21.15

Wasikowska, Michael Fassbender, Gran Bretagna 2011, 120' Inghilterra del XIX secolo. Jane Eyre è un’orfana affidata alle cure di Mrs. Reed, una zia crudele che rimette la sua educazione al collegio di Lowood. La ragazza ne esce temprata e desiderosa di cominciare una nuova vita nella tenuta Thornfield, dove viene assunta come istitutrice. Qui incontra Edward Rochester, l'autoritario signore della casa...

Gio 23 feb

21.00

Nuovofilmstudio presenta

MELOASCOLTO: Satie et ses amis (Stefano A.E. Leoni)

Da ven 10 a lun 13 feb

ingresso libero

Da ven 24 a lun 27 feb

Film in prima visione Mar 14 feb mer 15 feb

Da ven 17 a lun 20 feb

15.30 - 21.15 21.15

MIDNIGHT IN PARIS di Woody

Film in prima visione Mar 28 feb mer 29 feb

15.30 - 21.15 21.15

Allen, con Owen Wilson, Rachel McAdams, Usa/Spagna 2011, 94''

ARRIETTY di HIromasa Yonebayashi,

Gil, sceneggiatore hollywoodiano con aspirazioni da scrittore, e la sua futura sposa Inez sono in vacanza a Parigi. Gil è già stato nella Ville Lumière e ne è da sempre affascinato. Lo sarà ancor di più quando una sera, a mezzanotte, si troverà catapultato nella Parigi degli Anni Venti con tutto il suo fervore culturale…

Sotto il pavimento di una grande casa nella campagna di Tokyo, vive Arrietty, una minuscola ragazza alta non più di dieci centimetri. Tutto ciò che lei e la sua famiglia possiedono, lo "prendono in prestito" dalle due vecchiette che abitano sopra di loro. Finché un giorno Sho, un ragazzino di 12 anni, vi si trasferisce per motivi di salute...

Mer 15 feb Prima della proiezione serale del film”Midnight in Paris” Nuovo Filmstudio presenta:

24 fotogrammi - storia aneddotica del cinema - Secondavista Edizioni - Presentazione del libro a cura

Giappone 2010, 94’

Programmazione cinematografica a cura di Corrado e Damiano Meraviglia. Programma realizzato da Damiano Meraviglia e Andrea Tessitore, con la collaborazione di Francesco Chignola.

SETTEMBRE - OTTOBRE 2011

FILM DOC

25


I PROGRAMMI DEI CINEMA DOC in LIGURIA

LA SPEZIA e PROVINCIA da ven 10 a lun 13 e gio 16 feb

Cineforum Film Club PIETRO GERMI c/o Cinema teatro Il Nuovo - Tel. 0187 24422 Via Colombo, 99 - 19100 LA SPEZIA e-mail: ilnuovocinema@tin.it - www.cinemailnuovolaspezia.it DA DOM 1 A LUN 9 GENNAIO 2012 e gio 12 gen

EMOTIVI ANONIMI

di Jean-Pierre Améris con Benoît Poelvoorde, Isabelle Carré - Francia, Belgio - 80’

Dopo l’esordio con “Hunger”, Steve McQueen torna con un film che, se per certi versi sembra l’opposto del suo predecessore, per altri ne è una diretta filiazione. Per quanto, infatti, “Shame” sia ambientato nella più affascinante e vitale metropoli del mondo, al contrario del carcere di “Hunger”, entrambe le pellicole parlano di isolamento e prigionia, una fisica, l’altra dell’anima.

Mar 24 e mer 25 gen Ore 17.30-19.30-21.30

ROMANZO DI UNA STRAGE di Marco Tullio Giordana con Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Laura Chiatti – Italia - 105’ Un film sulla strage di Piazza Fontana, la morte di Giuseppe Pinelli e del Commissario Luigi Calabresi, un enorme lavoro d'indagine e giornalistico si racconta l'indicibile, cioè una di quelle verità fondamentali che in genere in Italia vengono coperte da altro.

Mar 14 e mer 15 feb Ore 17.30-19.30-21.30 “LE GIORNATE DEGLI AUTORI”

IL VILLAGGIO DI CARTONE di Ermanno Olmi. Con Michael Lonsdale, Rutger Hauer, Alessandro Haber – Italia – 87’

“IL NUOVO È UN CINEMA ORIGINALE” Rassegna di film in lingua originale sottotitolati in italiano Jean-René, proprietario di una fabbrica di cioccolato, e Angélique, sono preda della loro emotività. I due si innamorano l'uno dell'altra senza trovare il coraggio di confessare i reciproci sentimenti a causa della timidezza che li blocca.

Mar 10 e mer 11 gen Ore 17.30-19.30-21.30 “IL NUOVO È UN CINEMA ORIGINALE” Rassegna di film in lingua originale sottotitolati in italiano

A DANGEROUS METHOD di David Cronenberg con Michael Fassbender, Keira Knightley, Viggo Mortensen - Gran Bretagna, Germania, Canada - 93’

CARNAGE di Roman Polanski con Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz, John C. Reilly - Francia, Germania, Polonia, Spagna – 79’ Un dramma da camera che coniuga il piacere della forma al valore della storia

Intenso e appassionato, una riflessione sull'apparente inutilità della Chiesa

THE IRON LADY

da ven 17 a lun 20 e gio 23 feb

Mar 31 e MER 1 FEB Ore 17.30-19.30-21.30 “IL NUOVO È UN CINEMA ORIGINALE” Rassegna di film in lingua originale sottotitolati in italiano

MIDNIGHT IN PARIS

Una profonda analisi sull'agire di tre fragili personalità in costante ricerca…

da ven 13 a lun 6 e gio 19 gen

LA CHIAVE DI SARA di Gilles Paquet-Brenner con Kristin Scott- Thomas, Mélusine Mayance – Francia – 111’ Julia Jarmond, giornalista americana che vive in Francia da 20 anni, indaga sul doloroso episodio del rastrellamento nazista del Vel d'Hiv a Parigi. Il soggetto di un possibile articolo giornalistico diventa per Julia qualcosa di più personale, fino a svelare un mistero familiare. Mar 17 e mer 18 gen Ore 17.30-19.30-21.30 “IL NUOVO È UN CINEMA ORIGINALE” Rassegna di film in lingua originale sottotitolati in italiano

di Woody Allen con Owen Wilson, Rachel Mc Adams, Michael Sheen – USA, Spagna – 94’ Raffinato viaggio nel tempo per un film colmo di speranza

Mar 21 e mer 22 feb Ore 17.30-19.30-21.30 “LE GIORNATE DEGLI AUTORI”

“LE GIORNATE DEGLI AUTORI”

TOMBOY di Céline Sciamma con Zoé Héran, Malonn Lévana, Jeanne Disson, Sophie Cattani, - Francia – 84’

FAUST

Sab 4 feb LA VEDOVA ALLEGRA di Franz Lehàr

di Aleksandr Sokurov. Con Johannes Zeiler, Anton Adasinsky, Russia, 134’ Un'opera d'arte potente che ribadisce il paradosso tragico della vita.

Sab 11 feb CYRANO di Franco Alfano

da ven 24 a lun 27 e gio 1 marzo

Sab 25 feb I PURITANI di Vincenzo Bellini

“LE GIORNATE DEGLI AUTORI”

LA KRYPTONITE NELLA BORSA

FILM DOC NOVEMBRE - DICEMBRE 2011

Venerdì 13 Gennaio - ore 17.30 RUDOLF JACOBS L’UOMO CHE NACQUE MORENDO di Luigi Faccini con Rudolf Jacobs jr., Birgit Schicchi Tilse. Uscito da una famiglia dell’alta borghesia di Brema, un Capitano della Kriegsmarine germanica che il 3 settembre 1944 diserta, raggiunge i partigiani dell’estremo levante ligure pronto a dare la vita purché questa guerra insensata finisca anche un solo minuto prima. Muore a Sarzana, due mesi dopo, durante un’azione contro le Brigate Nere.

Sab 28 gen DON CARLO di Giuseppe Verdi

Mar 28 e mer 29 feb Ore 17.30-19.30-21.30

Il microcosmo dei bambini visto con tenerezza e acume, senza facili semplificazioni

Giovedì 12 Gennaio - ore 21.15 “ARTEMOBILE” 119 giorni di viaggio, 5mila chilometri percorsi, per portare a termine una grande impresa: attraversare l'oceano atlantico in automobile. il docu-film ripercorre i 119 giorni di navigazione attraverso le immagini originali dell'epoca.

Sab 21 gen MEDEA di Luigi Cherubini

di Anne Fontaine con Isabelle Huppert, Benoît Poelvoorde - Francia, Belgio, 99’

SHAME

Rassegna presentata dalle Dott.sse Brigida Parente e Ilaria Begliuomini (titoli in fase di definizione)

Sab 14 gen OTELLO di Giuseppe Verdi

IL MIO PEGGIOR INCUBO

da ven 20 a lun 23 e gio 26 gen

CINEMA E PSICOANALISI

L’OPERA AL CINEMA (ore 16,00)

di Phyllida Lloyd con Meryl Streep, Jim Broadbent, - Gran Bretagna - 120’

di Paolo Sorrentino con Sean Penn, Frances McDormand - Italia, Francia, Irlanda – 118’ Lucidamente intimo, il percorso di vita di un personaggio indimenticabile

26

di Anne Fontaine con Isabelle Huppert, Benoît Poelvoorde - Francia, Belgio, 99’ Agathe dirige una prestigiosa fondazione per l’arte contemporanea, è snob, sarcastica, spesso insopportabile. Patrick è il padre del miglior amico del figlio di Agathe, è un alcolizzato e ha una vera e propria fissazione per il sesso. Agathe e Patrick non potrebbero essere più lontani, ma dal momento del loro incontro le vite di entrambi cambiano radicalmente.

THE IRON LADY

THIS MUST BE THE PLACE

di Steve McQueen con Michael Fassbender, Carey Mulligan – Gran Bretagna – 99’

IL MIO PEGGIOR INCUBO

da ven 3 a lun 6 feb e gio 9 feb

Mar 7 e mer 8 feb Ore 17.30-19.30-21.30

“ I mille volti di Gian Maria Volontè” Sab 16 gen A ciascuno il suo (1967) di Elio Petri ( 99’) Sab 30 gen Faccia a faccia (1967) di Sergio Sollima ( 99’) Sab 13 feb Sbatti il mostro in prima pagina (1972) di Marco Bellocchio ( 93’) Sab 27 feb Ogro (1979) di Gillo Pontecorvo (115’)

Martedì 8 e Mercoledì 9 Febbraio “TOMBOY E ALTRE STORIE” Rassegna in collaborazione con il Festival del Cinema di Torino sull’identità sessuale, proiezioni di film e documentari.

da ven 27 a lun 30 gen e gio 2 feb di Phyllida Lloyd con Meryl Streep, Jim Broadbent, - Gran Bretagna - 120’ Chi, se non Meryl Streep, avrebbe potuto interpretarla con maggiore pertinenza? Solo un'attrice del suo calibro avrebbe potuto catturare l'essenza della Thatcher e portarla sullo schermo. La sua è una performance di proporzioni imponenti che fissa un nuovo punto di riferimento per la recitazione.

EVENTI (ore 15,45)

di Ivan Cotroneo con Valeria Golino, Cristiana Capotondi, Luca Zingaretti, Italia, 98’ . Una Napoli vintage che si allontana a piccoli passi dai cliché della famiglia italiana.

Sab 18 feb LA FILLE DU REGIMENT di di Gaetano Donizetti

CINEMA E PIZZA PROSEGUE ANCHE NEL 2012

Novità CINEMA SULLA BRACE : POSSIBILITA DI CINEMA E GRIGLIATA


I PROGRAMMI DEI CINEMA DOC in LIGURIA

Giovedì 16 febbraio

CINEforuModerno

NOTIZIE DEGLI SCAVI

Tel.: 0187 620 714 c/o Multisala Moderno -

di Emidio Greco con Ambra Angiolini, Giuseppe Battiston, Italia 2010, 90’

Via del Carmine, 35 19038 Sarzana (SP) - Fax: 0187 603 941

Giovedì 23 febbraio

Orari spettacoli: ore 21,00 - www.moderno.it

BIUTIFUL

GIOVEDÌ 19 GENNAIO 2012

Giovedì 9 febbraio

L’ESPLOSIVO PIANO DI BAZIL

CORPO CELESTE

di Jean-Pierre Jeunet con Dany Boon, André Dussolier, Yolande Moreau, Francia 2009, 105’

di Alice Rohrwacher con Yle Vianello, Anita Caprioli, Renato Carpentieri, Italia 2011, 100’

di Alejandro Gonzales Inarritu con Javier Bardem, Maricel Alvarez, USA 2010, 138’

Giovedì 26 gennaio

CONTROLUCE -

ADAM RESURRECTED

Tel.: 0187 714955 - Via Roma, 128 - 19100 LA SPEZIA

di Paul Schrader con Jeff Goldblum, Willem Dafoe, Germania/USA/Israele 2009, 106’

www.cgscontroluce.it

GIOVEDÌ 2 FEBBRAIO 2012

DA MERCOLEDÌ 4 GENNAIO 2012

Da venerdì 20 gennaio

UN PERFETTO GENTILUOMO

IMMATURI – IL VIAGGIO

BENVENUTI AL NORD

di Paolo Genovese con Raoul Bova, Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu, Italia 2012

di Shari Berman, Robert Pulcini con Kevin Kline, Katie Holmes, John C. Reilly, USA/Francia 2010, 105’

Nuovo Cineforum Sarzana c/o Cinema ITALIA - P.zza Niccolò V, 2 - Sarzana (SP) Tel. e Fax uffici 0102476147 - cell.3483368713 www.cattedraledisarzana.it

Orari spettacoli: ore 21,00

Venerdì 27 gennaio

Venerdì 17 febbraio

LA ROSA BIANCA-SOPHIE SCHOLL

THIS IS ENGLAND

di Marc Rothemund con Julia Jentsch, Gerald Alexander Held, Germania 2005, 117’

Venerdì 24 febbraio

HAI PAURA DEL BUIO

Alla ricerca del senso della vita

MIRACOLO A LE HAVRE

IL RAGAZZO CON LA BICICLETTA

di Aki Kaurismaki con Jean-Pierre Darroussin, Kati Outinen, Jean Pierre Léaud Finlandia/Francia/Germania 2011, 103’

di Jean-Pierre e Luc Dardenne con Cécile de France, Thomas Doret,Belgio/Francia/Italia, 2010, 87’

Venerdì 10 febbraio

NON LASCIARMI di Mark Romanek con Andrew Garfield, Keira Knightley , Gran Bretagna 2010, 103’

Venerdì 20 gennaio

di Shane Meadows con Thomas Turgoose, Stephen Graham, Gran Bretagna 2006, 101’

VENERDÌ 3 FEBBRAIO 2012 di Massimo Coppola con Erica Fontana, Alexandra Pirici, Italia 2010, 90’

VENERDÌ 13 GENNAIO 2012

di Luca Miniero con Claudio Bisio, Alessandro Siani, Angela Finocchiaro, Italia 2012

[ a cura di Sergio Labriola ]

THE TREE OF LIFE (L’albero della vita) di Terrence Malick

con Brad Pitt, Sean Penn, Jessica Chastain, India/Gran Bretagna 2011, 138’

L’ANGOLO DEL QUIZ

STORIE DI EPOCHE LONTANE A SINISTRA: Un'inquadratura tratta da un film di Ang Lee, il regista di "Mangiare bere uomo donna", "Tempesta di ghiaccio" e "La tigre e il dragone". Girato nel 2000, la vicenda si snoda durante la Guerra Civile d'America, e vede in azione bande di guerriglieri sudisti che, senza capi né leggi, contrastano i nordisti nel riparo della boscaglia. Come s'intitola la pellicola? Qual è il nome dell'attrice in campo? A DESTRA: Una giovane e nobile in abiti maschili, ed un poeta squattrinato alla ricerca della sua musa ispiratrice: lei è Gwyneth Paltrow (premio Oscar), e lui è Joseph Fiennes. Interpretano un film del 1998, ambientato nella Londra della fine del Cinquecento ed è intitolato ad un grandissimo autore teatrale. Di che film si tratta? Chi ne è il regista? 2

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CASELLARIO

UN FILM (FRASE: 2, 9, 2, 7)

Collocare verticalmente nel casellario le parole corrispondenti alle definizioni. A gioco ultimato, nella successione delle caselle evidenziate si leggerà il titolo di un noto film di Bobby e Peter Farrelly.

DEFINIZIONI: 1. Il regista di "Terraferma" - 2. Craig di "Un tuffo nel passato". - 3. Un film storico di Kevin Macdonald - 4. L'interprete di "This is England". - 5. Con James Franco e Freida Pinto in "L'alba del pianeta delle scimmie" (nome e cognome).- 6. Impersona l'agente Simmons in "Transformers 3". - 7. Alicia di "Un perfetto gentiluomo".- 8. Ha diretto "Venere nera". - 9. É la moglie di Messeri in "Tutta colpa della musica". - 10. Il cineasta di "Carnage". SOLUZIONI - Storie di epoche lontane: Shakespeare in Love, John Madden; Cavalcando col diavolo, Jewel Kilcher. - Casellario: “Libera uscita”. - Rebus: IL villa GG - I odi C - arto NE

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SETTEMBRE - OTTOBRE 2011

FILM DOC

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