La mia India

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La mia India

di Claudia Stoppato

“A che scopo non dovrei mollare? Perché non c’è altra scelta. Non si può fare altro in fin dei conti: bisogna andare avanti”. Shashi Deshpande, Piccoli Rimedi, Giunti

una doccia. Solo un secchio posto sotto una di quelle fontanelle basse che nelle nostre spiagge utilizziamo per lavarci i piedi. Esattamente a cosa serve? Devo riempirlo e poi rovesciarmelo addosso? Sarà come in Svezia che sul pavimento è posizionato uno scolo per E così, come per magia, mi risveglio a Nuova Delhi e l’acqua? No. Non siamo in Svezia. Siamo in India e su l’impatto dell’India su di me è violento e invadente: questo pavimento non c’è uno scolo. Non desisto e aperta la porta di uscita dell’aeroporto Indira Gandhi imparo una tecnica tutta mia per lavarmi “a pezzi” sono stata infatti investita dai rumori frastornanti, nel lavandino che mi sarà utilissima e perfezionerò dagli odori prepotenti, ma soprattutto dai colori che, nel prosieguo della permanenza, visto che la maggior avvolti dalla polvere, brillano comunque sempre parte dei bagni in cui sono stata era così strutturata. vividi. Sono al primo piano di questa struttura fatiscente e nella via sotto la mia finestra c’è un mercato, salgono dalla strada mille voci, grida, risate, clacson, campanelli, odore di cibi fritti, odore di umanità brulicante. Mentre aspetto che il mio amico indiano passi a prendermi in albergo, comincio a scrivere il mio diario e devo dire che, rileggendolo, non stavo proprio proprio bene in quel momento: che ci faccio qui? Perché sono venuta da sola? Perché ci sono tornata un’altra volta in India, non mi era bastata la prima nemmeno sei mesi fa? Sono tornata per rivedere Kush, la giovane guida turistica che avevo conosciuto la scorsa estate? Sono tornata per punirmi? Per dimostrare qualcosa agli altri? Per dimostrare qualcosa a me stessa? Ora posso dire, a distanza di tempo, che credo un po’ tutte queste domande messe insieme mi abbiano spinta a lanciarmi senza paracadute in questa avventura. Sicuramente non ho fatto nulla di eccezionale, ma per la radical chic munita di trolley devo dire che questo viaggio rappresentava veramente una grande sfida. E l’ho vinta. Piano piano mi riabituo all’India, mi mescolo con lei e inizio nuovamente a farne parte. Provo razionalmente a cercare di capire come il mio Essere riesca ad essere così organizzato, schizzinoso, paranoiato quando sono a casa mia qui in Italia voglio dire, quanto in India si trasformi in qualcosa di assolutamente

Io e il mio “piccolo ed organizzato” zaino (NdR: lo zaino in questione aveva una forma mostruosamente informe e pesava credo il doppio di chi se lo portava a fatica sulla schiena) siamo quindi andati alla ricerca di un taxi, obiettivo abbastanza facile visto che in India c’è una concentrazione di taxi gialli che è impressionante, per raggiungere l’albergo che, comodamente da Torino, avevo scelto come residenza indiana. La camera d’albergo non è come quella che avevo visto su Internet: sembra pulita ma è buia e fredda, vagamente soffocante ma soprattutto in bagno non c’è

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