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NOVEMBRE/DICEMBRE 2015 Bimestrale
SPECIAL CAFE è una pubblicazione edita dalla Flake S.R.L. REDAZIONE DI SPECIAL CAFE Via di Pietralata, 304/c 00158 Roma Tel. +39 06 97271295 redazione@specialcafe.it
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BLACK LIST
DIRETTORE RESPONSABILE Roberto Brodolini roberto.brodolini@specialcafe.it IMPAGINAZIONE e GRAFICA WEB Vart S.r.l. www.vart.it info@vart.it SUPERVISOR Marco Montanari montanari@specialcafe.it FOTO Phil Aynsley, Roberto Brodolini, Lorenzo Catini, Francesco Cesaroni, Fermino Fraternali, Adam Hinton, Steve Nielson HANNO COLLABORATO Simone Augelli, Giacomo Brodolini, John Bucarest, Ruggiero Capone, Lorenzo Catini, Mauro Di Giovanni, Jeffrey Zani AMMINISTRAZIONE e PUBBLICITA’ Barbara Marrocco Via di Pietralata, 304/c 00158 Roma Tel. +39 06 97271295 Fax +39 06 41793417 amministrazione@specialcafe.it STAMPA Tiber S.p.A. Via della Volta, 179 25124 Brescia DISTRIBUZIONE SO. DI. P. Spa Cinisello Balsamo (MI) Tel.: +39 02660301 www.sodip.it ABBONAMENTI Tel. +39 0399991541 Fax +39 0399991551 abbonamenti@specialcafe.it ARRETRATI Tel. +39 06 97271295 Fax +39 06 41793417 segreteria@specialcafe.it Pagamento: bonifico bancario di 8,00 euro Banca Popolare di Spoleto iban: IT87Q0570403218000000232200 intestato a Flake S.R.L. Testata Registrata al Tribunale Civile di Roma n. 141/2011 del 05/05/2011
L’editore garantisce la riservatezza dei dati forniti, per i quali è possibile esercitare i diritti di cui all’Articolo 13 L. 675/96. Finito di stampare nel mese di OTTOBRE 2015
CULT GARAGE 04 HELMUT DÄHNE
COLLATERAL 60 LORENZO BURATTI
NEWS 06 MOTORCYCLES & OTHER
FACTORY 66 VYRUS
WORLD GARAGE 08 CRAIG RODSMITH
BOOK 72 ADAM HINTON
MEAT & BONES 14 DANIELE SOIATTI 20 ANTONIO MARASCO
HANGOUT 78 MAN CAVE
GARAGE HOT WHEELS 80 UNION JACK 24 EGG SALAD 32 HONDA 750 REPLICA SENIOR 82 CD GARAGE 84 IREFUL 38 BMW R50 MOTO COLLECTION 44 PHIL AYNSLEY
OLD GLORY 86 PIER PAOLO BIANCHI
OIL & INK 52 DANILO DE DONNO
BLACK STREET CAR 92 LANCIA FULVIA ZAGATO 1600
VISION 54 JO FISCHER
CULT GARAGE HELMUT DÄHNE
HERR DÄHNE, IL MASTRO DEL “RING”
Meccanico, collaudatore e pilota della BMW detiene il record sul giro del vecchio Nürburgring con 7:49.71 nel 1993 A cura di Mauro Di Giovanni
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ui 22 chilometri e 800 metri del vecchio tracciato del Nürburgring non hanno più corso dal 1993, e questo è il motivo del record di Dähne. Il destino ha voluto magnanimamente regalare al gigante (190 cm) di Altenmarkt questo primato che corona una vita appassionata alla corte bavarese della BMW. Helmut Dähne era famoso nei primissimi anni ’70 perché fu l’unico che ebbe il coraggio di portare in pista la nuova BMW 75/5, debitamente modiicata, per cercare con orgoglio di opporsi allo strapotere della tradizione inglese, del genio italiano e dei mostri giapponesi. Dopo la lunghissima parentesi della serie “R”, nel 1969 la casa di Monaco decise inalmente di lanciare sul mercato una nuova motocicletta che potesse contrastare 4
la forza di concorrenti agguerritissimi. La 75/5 risultò una moto dalle caratteristiche gran turistiche, ma assai apprezzata dal pubblico che non gradiva la delicatezza delle moto inglesi e italiane. Dal punto di vista delle prestazioni, le BSA e le Triumph a tre cilindri erano nettamente superiori, così come le Norton Commando, le Moto Guzzi V7 Sport e le Laverda, senza parlare ovviamente delle nuove Ducati che vinsero ad Imola nel 1972 e delle frazionate giapponesi che erano largamente più potenti. Ma la special costruita a mano dal collaudatore bavarese era veramente una “bestia”. La 75/5 di Dähne era la sua personale. Smontò il motore e lo modiicò con l’inserzione di un albero a camme speciale, pistoni high compression Mahle, testate modiicate con
valvole maggiorate, molle racing, carburatori Dell’Orto PHF da 40 mm a vaschetta centrale con pompetta di ripresa, aggiustamenti vari, e poi montaggio accuratissimo e bilanciamento dell’albero motore. In questa conigurazione per gare di durata il boxer a 180° erogava 75 cv ad un regime di oltre 7.500 giri/min con il peso contenuto in soli 150 kg! Il rapporto peso/potenza era pari a 2,0:1 e garantiva ottime doti in accelerazione e ripresa all’uscita delle curve; il limite intrinseco della moto era costituito dalla trasmissione cardanica che in quegli anni non aveva ancora fatto i progressi odierni e pertanto in scalate “rabbiose” poteva facilmente bloccare la ruota posteriore. Il telaio era una copia del Norton “Featherbed” del Manx, con lo stesso disegno del “Telaio Rosso” della Moto Guzzi V7 Sport a doppia culla superiore. Il comparto sospensioni era misto, con la forcella teleidraulica BMW modiicata e gli ammortizzatori Ceriani regolabili con molla grigia a passo variabile. Tutte le sovrastrutture furono disegnate e realizza-
te personalmente dal collaudatore tedesco che utilizzò anche cerchi Borrani Record a bordo alto in alluminio e il poderoso freno anteriore a doppia camma e quattro ganasce da 250 mm, costruito da Daniele Fontana a Milano. I comandi Tarozzi regolabili, il contagiri elettronico Krober, i inali speciali “lunghi” per “tirare in basso” e i comandi arretrati realizzati artigianalmente completavano la dotazione. Questa Special BMW 75/5 derivata da una moto stradale va considerata come un’icona stilistica e meccanica, e dimostra inequivocabilmente come lo spirito racer presente in molte interpretazioni contemporanee ha raggiunto l’apice espressivo proprio in quegli anni. Osservate l’armonia fra le varie componenti, la pulizia dello styling, l’assenza di deformazioni e il giusto rapporto fra codino e serbatoio. La moto era bellissima con la sua livrea in oro metallizzato, spiccava tra le altre come il coraggio, la dedizione e la passione di chi non parte mai battuto. Come Helmut Dähne, il mastro del “Ring”. 5
NEWS MOTORCYCLES & OTHER a cura della Redazione
Arte in pista Linear Edge è leader nella progettazione di innovative sculture a parete per gli appassionati di motori. Il progetto nasce dall’amore di un architetto per le due e le quattro ruote e l’assoluta necessità di un’alternativa ai poster e ai modellini. Linear Edge offre una vasta gamma di piste che spaziano dai circuiti di Formula 1, MotoGP, Superbike, Endurance World Championship e IndyCar. L’altissima qualità dei design e lo stile raffinato con un tocco di contemporaneità permettono a tutti i fan dei motori di mostrare la loro passione con un pezzo di arredamento unico e ricercato.
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Casco jet 20.7 Oldster Il nuovo casco jet 20.7 OLDSTER completa la collezione 2016 di GIVI coprendo un segmento che in questo momento ha il favore del pubblico. La rinnovata attenzione per lo stile classic rappresenta infatti un trend in forte crescita, ulteriormente consolidato dalle Case moto al Salone di Milano. I bottoni in metallo presenti sulla calotta servono a fissare il frontino nero fornito di serie e la visiera a bolla disponibile come optional. Entrambi gli accessori presentano una linea dal sapore retrò che si sposa perfettamente a quella del jet.
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Stivaletto Rocket Il nuovo stivaletto Rocket, presentato al Salone di Milano, intercetta i gusti di un pubblico che, mai come in passato, si identifica con la propria moto. Realizzato in pelle pieno fiore testa di moro con effetto scrivente, è dotato di un triplice sistema di chiusura costituito da zip laterale, lacci anteriori e cinturino al polpaccio con fibbia regolabile. Rocket è waterproof e traspirante. È dotato di protezioni nelle aree dei malleoli, della punta e del tallone, mentre la suola a carrarmato è in gomma antiolio e antiscivolo.
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Born in the U.S.A. Fondata nel 2011 da Peter Grimaldi, newyorkese, la Ace Electric Motorbikes produce biciclette elettriche fondendo le più recenti tecnologie eco friendly con lo stile retrò che richiama alla memoria il board track racing. Le e-bikes Ace Electric sono un omaggio all’era d’oro dell’industria americana, completamente artigianali sono prodotte con acciaio garantito a vita, pelle per i sellini e montano i motori più affidabili sul mercato delle biciclette elettriche. Ogni bicicletta può essere completamente personalizzata con una vasta gamma di colori e accessori. www.aceelectricmotorbikes.com
Tecnologia italiana: velocità, innovatività, frugalità Il prodotto della Zehus, società interamente italiana, BIKE+ all in one ha fatto man bassa di premi in tutto il mondo diventando ben presto una delle maggiori espressioni della tecnologia made in Italy. Il nome fa comprendere facilmente la sua caratteristica maggiore: tutto il necessario (motore, batterie, elettronica e sensori) è contenuto in un mozzo posteriore piccolo e leggero dal design elegante. Grazie alla connettività Bluetooth, BIKE+ all in one si può collegare al proprio smartphone consentendo, oltre al monitoraggio del percorso, diagnosi di malfunzionamenti e un blocco elettronico atto a disincentivare i furti. Grazie all’innovativa modalità “non-plugin hybrid” il prodotto della Zehus permette un risparmio di fatica fino al 40% in meno rispetto ad una bici muscolare.
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WORLD GARAGE CRAIG RODSMITH
Ama l’alluminio, detesta le cromature ed è allergico alle vernici: Craig Rodsmith costruisce le sue special a poche miglia dal lago Michigan, dove si concede anche qualche scappatella su quattro ruote Testo Jeffrey Zani Foto Steve Neilson Art Director John Wondrasek
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«Negli anni della Guerra Fredda l’Unione Sovietica e l’Australia avevano trovato un’intesa commerciale che prevedeva lo scambio dei principali prodotti provenienti dai rispettivi paesi. Armi e sidecar da parte dei russi, pecore e grano da parte degli australiani. E così, da giovanissimo, me ne potevo andare in giro con un sidecar Ural assemblato nella zona siberiana dell’Urss». La voce che dispensa aneddoti sull’economia australiana e li intreccia alle modalità di trasporto che hanno caratterizzato la sua adolescenza è quella di Craig Rodsmith, 53enne di Melbourne emigrato negli Stati Uniti più o meno venti anni fa inseguendo una libertà che solo i meccanici più incalliti possono capire: «Dove sono nato omologare o collaudare una moto modificata era qualcosa di drammatico e dispendioso, mentre negli States la procedura era decisamente semplice. Così ho deciso di trasferirmi e aprire qui la mia officina». L’australiano parla dalla cittadina di Grayslake, fra Milwaukee e Chicago. Mappamondo alla mano, si trova sulla sponda Ovest del Lake Michigan, uno dei 5 grandi laghi degli Stati Uniti, l’unico interamente circondato dal territorio a
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stelle e strisce. Girovagando con il giusto fiuto nel groviglio di strade che si snodano tra case e negozi, fra le quali spunta la Route 45 che taglia in verticale l’intera nazione, ci si imbatte nell’officina in cui Craig plasma le sue opere metalliche e rumorose seguendo una serie di divieti tassativi. Come quelli che riguardano le cromature: «Non le utilizzo perché preferisco la sincerità dell’alluminio lucidato. Non le vedrete mai sulle mie moto». L’esempio più lampante è rappresentato dalla sua Honda CX del 1979, «un modello che negli Stati Uniti, nella sua versione originale, è stato snobbato al punto da venire definito la larva di plastica». Di buono, comunque, qualcosa c’era. Soprattutto nel motore, che nella struttura assomiglia alle più iconiche Moto Guzzi fabbricate a Mandello del Lario, caratterizzate dal bicilindrico a V trasversale rispetto al telaio. Il meccanico di Grayslake si è sbarazzato del superfluo e ha accorciato la parte posteriore dello chassis per dotarla di sella monoposto e parafango battuto a mano, la stessa tecnica con cui ha dato forma al cupolino minimal indossato dal faro e ai fianchetti che accolgono la punta dei
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cornetti di aspirazione dei carburatori. Il serbatoio, «semplice e filante per valorizzare le fattezze del motore», è stato realizzato interamente nella sua officina, bombature e saldature comprese. Stesso discorso per la maggior parte dei componenti utilizzati per rifare il look di questa giapponesina da mezzo litro: «Pulendo il radiatore ho inoltre scoperto che alcune zone erano fatte in ottone, così ho deciso di lucidarle e lasciarle a vista». Per completare l’opera Craig ha dovuto fare una deroga a un altro dei suoi divieti, quello di non verniciare le superfici nelle aree in cui non è strettamente necessario: «Lo vedo come un modo per coprire qualcosa che non vuoi vedere - confida - ma in questo caso tingere il motore di nero mi ha permesso di far risaltare le parti lucide in maniera efficace». Le lampadine e i neon che illuminano la sua officina fanno brillare anche un’altra bicilindrica del 1979: si tratta di una Kawasaki KZ 750, nella cui parte superiore del telaio l’australiano ha scoperto una perla nascosta. La curva che passa sopra al motore come un pallonetto per collegarsi al cannotto dello sterzo, nascosta nella versione originale da un abbraccio di metallo, l’ha convinto al punto da dettare il pro-
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filo del serbatoio, abbinato al codino a panettone e alla parte frontale, anche in questo caso battuta a mano e impreziosita dal vetro giallo che fa pendant con il faro anteriore. Si passa a un’attitudine decisamente più racer, invece, per l’Harley Davidson XLCH Sportster del 1964 che Craig ha rivisto in chiave pistaiola ricordando l’era in cui le moto uscite dai reparti corse non erano ancora provviste di carenature. Gli ingredienti ci sono tutti: semimanubri bassi, cerchi Borrani, abbondante tamburo anteriore con presa d’aria sul lato destro per evitare le temperature troppo alte. L’amatissimo alluminio è intervallato da alcune aree verdi (a volte vernice, altre pelle) che ben si abbinano al metallo a vista generale, qua e là contornato di filetti rossi. La cornice ideale per avvolgere le forme squadrate e solenni del bicilindrico americano, dal quale parte una coppia di scarichi in acciaio inossidabile sprovvista di silenziatori che consegna la voce del propulsore senza filtri. È quanto di più racing possa finire in strada, pagando un tributo a una delle manie che hanno distratto il cervello di Craig prima che stringesse in mano il passaporto e si lanciasse alla conquista degli States. In Australia, patria di circuiti storici
come Phillip Island ed Eastern Creek, era un habitué delle piste da velocità, sulle quali ha messo alla prova la sua abilità di consumatore di saponette in sella a delle Yamaha a due tempi da 350 centimetri cubici. Le bicilindriche di Iwata e il loro grido samurai l’hanno fatto divertire parecchio, ma con il passare degli anni è arrivato il momento di dedicarsi ai più gestibili four-stroke: «Nella vita arrivi a un punto in cui il rumore, la puzza e l’olio dei due tempi ti stancano», confessa Craig. In Australia un’altra delle sue passioni coinvolgeva le quattro ruote, spesso provenienti dall’Italia: «La mia prima automobile è stata una Fiat 2300 a sei cilindri del 1962», disegnata in una delle sue versioni
da Pininfarina. Pieghe, staccate ed equilibrismi per lui non hanno eguali, ma il piacere di intervenire su un’automobile non si può negare. Negli ultimi anni il meccanico di Grayslake ha messo le mani principalmente su modelli Ford e Chevrolet immatricolati fra gli anni Trenta e i Cinquanta, usando più vernice di quanta ne abbia mai sparsa per le sue moto. Difficile fare paragoni fra le due e le quattro ruote, ma un modo per far capire le differenze Craig lo trova comunque: «Quando si tratta di lavorarci sopra, le automobili sono come gli orologi da muro, mentre le moto sono come gli orologi da polso».
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MEAT & BONES DANIELE SOIATTI
LAVATO CON
PERLANA «Nuovo? No, restaurato da Soiatti». Ecco il botta e risposta tipico di chi si imbatte in una delle moto rimesse in sesto a Novara dal maestro dei recuperi, nato nel motocross e scivolato nel vintage Testo Jeffrey Zani Foto Roberto Brodolini
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MEAT & BONES DANIELE SOIATTI
«Graeka Verma Verbus», sospira Daniele Soiatti elencando i nomi stampati sui bulloni delle Hercules, marchio tedesco che ha sfornato fior fior di moto da fuoristrada negli anni Sessanta. Per chi non se ne intende ascoltarlo è un po’ come assistere a Mago Merlino mentre recita la formula «Higitus Figitus Abra Kazè» in vista di un colpo di alta stregoneria. Anche se per lui il movente si riduce al vocabolario minimo di chi deve chiamare le cose con il loro nome: «Quando parlo di certa componentistica posso sembrare un po’ bizzarro, ma in realtà sono lucidissimo. Restaurare una moto significa affrontare una grande mole di ricerche, nelle 16
quali scopri storie, termini ed elementi tecnici che non avresti mai immaginato. Non si finisce mai di imparare. È il bello di questo lavoro». Daniele sa che per rimettere in sesto un ammasso di ruggine e farlo diventare un gioiello da parata non serve solo una mente attenta, ma anche una pignoleria spinta ai limiti più estremi. Perché restaurare una moto significa ripristinare lo stesso assetto che aveva quando è uscita dalla fabbrica. Senza margini di approssimazione: «Continuando a parlare della Hercules devi sapere che i più esperti sanno addirittura distinguere un parafango originale da uno copiato in maniera leggermente
Quarant’anni fa lavoravo su quei modelli, e oggi faccio lo stesso. Il proprietario della prima officina in cui ho lavorato trafficava anche con degli esemplari inglesi, BSA e Norton in testa. Faceva pure le gare, domando una Triumph Trident semplicemente stupenda». Fra gli anni Settanta e l’attualità per Mister Soiatti c’è un’altra costante, rappresentata dalle special: «Una volta erano principalmente pensate per la pista, perché agli appassionati della zona piaceva cimentarsi in circuito, specialmente a Monza. Montavamo semimanubri aggressivi, pedane arretrate, valvole maggiorate, pistoni maggiorati, alberi a camme particolari e tutto quello che poteva servire per andare più forte». Se una volta l’attenzione era tutta per l’area raggiunta dalla lancetta sul tachimetro, oggi è piuttosto focalizzata sullo stile: «In quel senso una delle mie preferite è stata la BMW R75/5. E pensare che una volta la detestavo, perché lavoravo in un’officina Moto Guzzi e ragionavo come un purista senza margine di redenzione. Ne ho sistemata una tinta di un bianco particolare, reso “vecchio” con una punta di nero nella ricetta della vernice. Era così
imperfetta. Per farlo provano a infilare l’unghia sotto l’estremità del riccio che ne segue il profilo. Se ci passa significa che è originale, altrimenti si tratta di una replica». Spinto da un intuito che nemmeno lui riesce a tradurre in parole e attivo nel mondo delle due ruote dal 1972, quando ha vestito la tuta dell’apprendista meccanico, Daniele ha iniziato a darsi da fare nel periodo in cui sulle strade italiane imperversavano le più fatali pluricilindriche giapponesi, capaci di galoppate entusiasmanti e con contenuti tecnici più che interessanti: «Era il periodo delle Honda Four e delle Kawasaki a tre cilindri a miscela, moto che hanno fatto la storia.
bella che tutti mi chiedevano di fargliene una uguale. Alla fine ne ho sfornate una ventina». Da quindici anni a questa parte i lavori si svolgono nella sua officina di Novara, una terra che fra gli anni Sessanta e Settanta ha assistito al boom delle ruote tassellate: «Ne ho fatto parte anche io, a 14 anni mi dilettavo nel motocross con un Aspes Navaho 50 del quale in breve avevo scoperto ogni segreto tecnico. Negli anni successivi, poi, ho corso con Zundapp e SWM nella classe 125, mentre per gli allenamenti usavo un KTM 250». Nei circa 180 metri quadrati che Daniele monopolizza ogni giorno mentre è alle prese con i metalli e le messe a punto, trovano spazio una piccola sabbiatrice, qualche saldatrice, tornio, trapani e tastiere. Il computer è ormai diventato uno degli strumenti indi-
spensabili di chi vuole avere in mano le informazioni minime necessarie per un restauro. Daniele lo usa per navigare, ordinare i ricambi e archiviare i circa cento scatti con cui documenta ogni lavoro, dalla prima vite estratta alla rifinitura dell’ultimo dettaglio: «La prima cosa da fare sono le ricerche, che coinvolgono la raccolta delle foto esistenti in rete, delle copie delle riviste che hanno testato la moto e del manuale d’officina, indispensabile perché le procedure spesso sono rigorose. Mi viene in mente il caso dei motori Harley Davidson, quando si montano le teste bisogna seguire con precisione la sequenza di serraggio indicata, anche se a prima vista sembra sproporzionata. Altrimenti iniziano a perdere olio. E in questi casi con le formule magiche non risolvi niente. Bisogna saperci fare».
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