Anno II - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, Aut. C/RM/03/2012
Harley Stortz: the best of Sporty Vision: Max Trono La saga dei Laverda Ducati 749: il vento del sud Microbolide Guzzi: Dingo Special Special book: Dennis Hopper
N.12 - 4,50 APRILE MAGGIO 2013 Bimestrale AUSTRIA 7,70 BELGIO 7,30 SPAGNA 6,50
BLACK LIST #12
CULT GARAGE 06 BURT MUNRO SHOP 08 CLOTHES & ACCESSORIES MOTODAYS 10 COLPO D’OCCHIO MEAT & BONES 12 PIERO LAVERDA 20 CIP & CIOP 24 MAX TRONO COVER STORY 30 DAVIDE CAVALLARO HOT WHEELS 38 MOTO GUZZI GALLINELLI 44 DUCATI 749 DARK '07 SOUTH GARAGE CAFE 52 HARLEY-DAVIDSON 1200 STORZ 58 TRIUMPH THRUXTON CAFE TWIN 62 MOTO GUZZI DINGO BY MCR
30 HEART OF ROCKER
BLACK STREET CAR 71 TRIUMPH GT6 MK I FACTORY 78 VALLESE GARAGE COLLATERAL 82 STRUMENTAZIONE 84 “THE LOST ALBUM” DI DENNIS HOPPER CLASSIC CYCLES 86 SARTORIA CICLI BURLESQUE 94 BETTY CUORE FORCHE & PISTONI 97 ROTELLE ALLA BONNEVILLE EVENT 98 RENDEZ-VOUS
52 HARLEY STORZ E IL SOGNO DI YURI
24 ROCK ‘A PICTURES
62 SHARP BEAK
SPECIAL CAFE è una pubblicazione edita dalla EUROSPORT EDITORIALE S.R.L. REDAZIONE DI SPECIAL: Via della Bufalotta, 378 - 00139 Roma INFOLINE: Tel. 06.45.23.15.00 - Fax 06.45.23.15.99 redazione@specialmag.it
DIRETTORE RESPONSABILE Roberto Brodolini - roberto.brodolini@specialmag.it ART DIRECTOR Giovanni Morelli CONSULENTE DI REDAZIONE Riccardo Panzironi
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SUPERVISOR Mauro Di Giovanni
LA LAMA DI COVENTRY
FOTO Roberto Brodolini, Enrica Citoni, Dennis Hopper, Sergio Serrangeli, Giorgio Scialino, Max Trono, Sartoria Cicli
86 LIMITED EDITIONS
HANNO COLLABORATO Giacomo Brodolini, Fernando Felli, Pier Paolo Fraddosio, Hermann Pacciani, Ludovica Schiaroli, Giorgio Scialino, Domenico Sofia DIRETTORE COMMERCIALE Frederic Lupo - lupo@eurosporteditoriale.eu TRAFFICO PUBBLICITARIO Rossella Nicoletti - Tel. +39 06.45.23.15.08 nicoletti@eurosporteditoriale.eu DIFFUSIONE E ARRETRATI Tel. +39 06.45.23.15.00 - Fax +39 06.45.23.15.99 diffusione@specialmag.it AMMINISTRAZIONE Francesco Ambrosini, Paola Nicoletti Tel. +39 06.45.23.15.01 - Fax +39 06..45.23.15.99 amministrazione@eurosporteditoriale.com STAMPA Tiber S.p.A. Via della Volta, 179 - 25124 Brescia DISTRIBUZIONE SO. DI. P. Spa Cinisello Balsamo (MI) Tel.: +39 02.66.03.01 - www.sodip.it
94 UN BURLESQUE DI CUORE
ABBONAMENTI Tel. +39 039.99.91.541 - Fax +39 039.99.91.551 abbonamenti@specialmag.it www.eurosporteditoriale.com/shop ARRETRATI Versamento di 10,00 € su c.c. postale 91850008 intestato: Eurosport Editoriale S.r.l. Via della Bufalotta, 378 - 00139 Roma Tel. +39 06.45.23.15.00 - Fax +39 06..45.23.15.99 arretrati@specialmag.it www.eurosporteditoriale.com/shop Testata Registrata al Tribunale Civile di Roma
L’editore garantisce la riservatezza dei dati forniti, per i quali è possibile esercitare i diritti di cui all’Articolo 13 L. 675/96. Finito di stampare nel mese di APRILE 2013
CULT GARAGE
Burt Munro
IL MITO DELLA VELOCITÀ Burt Munro fu sempre affascinato dalla magia della velocità, quel cocktail tra spazio, tempo e adrenalina. Per raggiungere un record era capace di tutto, anche passare nottate nel suo garage ad elaborare la vittima sacrificale di turno, spesso vecchie B.S.A., Indian e Triumph A cura di Fernando Felli
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l luogo dove Burt Munro tirava il collo alle sue moto era la lunga spiaggia di Invercargill, una città nel sud ovest della Nuova Zelanda. Su quella sabbia bagnata dalle onde dell'oceano raggiunse per la prima volta, tra le urla di entusiasmo dei suoi amici, gli 80 km/h su di una tranquilla Indian “sottocanna” del 1913, appartenuta a Peter Wilks, il postino del suo quartiere. Nel 1920 acquistò la famosa Indian Scout, con la quale scrisse la storia dei record di velocità nell'ambito albo dell'A.M.A. (American Motorcyclist Association). “Ricordo quando portò nel garage la sua Indian -racconta Ernest
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“Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” (WILLIAM SHAKESPEARE)
Bigthel, suo compagno d'infanzia- era felice come un ragazzino. Per prima cosa cominciò a togliere dalla moto tutto quello che era superfluo. Nel giro di un paio d'ore la moto pesava 27 kg in meno e somigliava ad un povero condor spelacchiato”. Con la Indian partecipò a gare ufficiali di velocità in Nuova Zelanda e in Australia. Ben presto il suo nome entrò nel giro degli appassionati e cominciò a firmare i primi autografi ai suoi fans. Nel 1940 si aggiudicò il record di velocità neozelandese, raggiungendo i 194,4 km/h. L'anno successivo, a causa di un brutto incidente, dovette lasciare la moto ed anche la moglie,
che esasperata dalla vita senza regole di Burt, chiese ed ottenne la separazione.
SUL LAGO SALATO DI BONNEVILLE Ma il sogno di Burt era quello di portare la sua Indian, da lui soprannominata Special Munro, al tempio della velocità mondiale, the Great Salt Lake di Bonneville, nello Utah (USA). Cominciò a manifestare questo desiderio ad amici e parenti i quali organizzarono una colletta per permettere a Burt di attraversare l'oceano e coronare il suo sogno sulla ruvida superficie salata americana.
Iniziarono notti interminabili in garage, accompagnate da suoni striduli di frullini, saldatrici, martelli, che spesso facevano incazzare di brutto i vicini. Tra le modifiche più interessanti apportate alla sua Indian Scout, aumentò la cilindrata a 950 cc, inserì le valvole in testa e fasciò tutta la moto con una leggera lamiera di alluminio per aumentarne l'aerodinamicità. Nel 1967 mise le ruote sulla superficie del Great Salt Lake e ottenne il record di classe (cilindrata inferiore a 1.000 cc) alla velocità di 295,5 km/h. Durante le qualifiche le fotocellule fecero fermare i cronometri a 305,9 km/h. La velocità
ufficiale più alta mai raggiunta da una Indian. A causa dei continui problemi cardiaci, Burt fu costretto ad abbandonare la scena e morì nel 1978 all'età di 79 anni. Nel 2006 il Motorcycle Hall of Fame lo inserì nel prestigioso albo riservato ai campioni di tutte le epoche per i suoi meriti nella storia del motociclismo. Nel 2005 venne realizzato il film sulla sua infinita passione, “Indian, la grande sfida”, del regista Roger Donaldson, con la partecipazione straordinaria di Anthony Hopkins. Un film che ogni motociclista dovrebbe vedere almeno una decina di volte nella vita.
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SHOP
CLOTHES & ACCESSORIES di Riccardo Panzironi
DAINESE PER LEI
BONNEVILLE SPECIAL EDITION Allo scorso Moto Days sono state presentate due special in edizione limitata per Bonneville e Bonneville T100. La prima, con il suo caratteristico motore da 865 cc, lo stile retrò, i dettagli cromati e i cerchi in lega d’alluminio, si veste di un telaio Cranberry Red con dettagli Matt Black. All'anteriore troviamo nuovi indicatori di direzione e nuovi sostegni cromati per il fanale, come sulla Thruxton, mentre nella parte posteriore spiccano un nuovissimo maniglione passeggero e i paracoppa neri. Specchietti neri dallo stile contemporaneo completano il nuovo look. Un design originale anche per la sella, con nuove cuciture e copertura in vinile. La nuova Bonneville SE è già disponibile nelle concessionarie, in tiratura limitata di 50 pezzi per l’Italia. Il prezzo è di 8.755,00 euro. Ancora più esclusiva la versione della Bonneville T100, che si presenta in un’originale colorazione grigio perla. Anche lei è realizzata in 50 pezzi. Il prezzo è 9.990,00 euro. www.triumphmotorcycles.it
Per la primavera 2013, tra le tante novità Dainese troviamo la giacca in pelle “Jessy Lady”, dedicata alle motocicliste che amano distinguersi. Racchiude tutto il fascino del motociclismo, senza rinunciare ad un design femminile, raffinato e di carattere, proprio dei capi alla moda. Confezionato in morbidissima pelle ovina e dotato di inserti in tessuto elastico S1 sui fianchi, per adattarsi alle forme del corpo femminile, questo giubbotto presenta una vestibilità asciutta ed è dotato di protettori morbidi Pro-Shape su spalle e gomiti, nonché di tasca per alloggiare il paraschiena. Prezzo: 429,00 euro www.dainese.com
CONVERSE PRIMAVERA 2013
AFFASCINANTE POWER CRUISER
Le nuove “Converse Chuck Taylor All Star Well Worn Collection” sono realizzate con un canvas appositamente trattato per replicare il look “worn”, cioè usato, indossato. Questo trattamento fa sì che le scarpe siano ancora più “morbide” e facili da calzare, rendendole perfette per la stagione primaverile. Sono disponibili sia in versione high-top che low-top e nei colori Beluga, Stellar, Cashmere Rose, Drizzle, Meadowbrook, Tango Red e Turtledove. www.converse.com
La nuova Moto Guzzi “Custom” 1400 V2, della quale presenteremo il test completo di Barcellona sul prossimo numero di Special Cafe, si libera delle borse laterali e del parabrezza. Pesa 22 chili in meno rispetto alla “Touring”, con un manubrio più stretto e più dritto, in stile drag bar, ammortizzatori più lunghi e la sella a soli 74 cm da terra. Il motore è il V2 1400 a iniezione da 96 CV, con tre mappature di erogazione e controllo di trazione. Prezzo: 17.300,00 euro (ABS incluso). www.motoguzzi.it
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NON SOLO CRAVATTE Tra le nuove proposte Ulturale Cravatte spiccano i guanti, realizzati con pellami selezionati: il fiore di vitello, l'elefante, il pecari ed un modello in vitello cinghialato. Sono foderati in misto cachemire, con una bordatura interna in seta madder. Una novità nella novità è il guanto da guida realizzato in pellame “suede” e in vari colori. Prezzo: da 90,00 a 150,00 euro. www.ulturalecravatte.it
L’OROLOGIO PER CHI È SEMPRE IN MOVIMENTO
BICI NORMANN COPENHAGEN Il famoso marchio di mobili e oggetti d'arredamento Normann Copenhagen ci stupisce con “Bike”, la prima bicicletta single speed di alto design in numero limitato. L'azienda originaria della Danimarca, paese in cui la bicicletta è indispensabile e l'ecologia è il primo obiettivo sociale, ne ha prodotte solo 50: linee di ispirazione anni '50, telaio in alluminio, sella e impugnature manubrio in cuoio, il tutto montato a mano da professionisti, con una grande attenzione al dettaglio. Misura telaio: 53, adatto per una persona di altezza tra 170 e 185 cm; colori: antracite, cromato e verde; prezzo: 1.600,00 euro. www.normann-copenhagen.com
Progettato dal francese Mathieu Lehanneur per Lexon, “Take Time” è la reinvenzione del classico orologio da taschino. Realizzato con materiali impermeabili e flessibili come il silicone, ha un anello finale che consente usi diversi. Può essere un orologio da polso, può scivolare dentro il taschino o essere appeso sul manubrio della bicicletta. Disponibile in tantissimi colori, il “Take Time” rappresenta una novità divertente e un tocco di vintagemoderno che mancava. www.lexon-design.com
LA BICI DI PHILIPPE STARCK
NOVITÀ HARLEY-DAVIDSON 2013
È stato presentato a Bordeaux, una delle capitali della bicicletta, il primo prototipo di “Pibal”, l’innovativa bici-monopattino urbana pensata da Philippe Starck e realizzata da Peugeot Cycles. “Pibal” andrà inizialmente a rinnovare il parco bici della città di Bordeaux, i cui abitanti hanno attivamente contribuito, con le proprie idee, a ripensare l’ergonomia, la filosofia e la sicurezza dei ciclisti, consentendo a Peugeot Cycles di produrre in serie la visone di Starck. www.cycles.peugeot.fr
Tra le tante novità HD 2013 troviamo la sella monoposto a molle, nei colori Black Diamond e White Diamond: impunture, delicato profilo a contrasto e design ribassato. Prezzo al pubblico: 374,00 euro. Un altro interessante accessorio è la borsa da telaio. Si monta sulla parte bassa dei longheroni ed ha il dorso rigido, la balza in pelle di ampio spessore e le chiusure con fibbie e cinghie. Disponibile in pelle nera e pelle anticata marrone. Prezzo al pubblico: 149,00 euro. www.harley-davidson.it
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MOTODAYS 2013
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COLPO D’OCCHIO 1. Antonello Riommi, pittore e motociclista, felice dinnanzi ad un “olio” di una Guzzi S3, presentato in Fiera. 2. Tra i motoclub di marca, su una classica Settebello
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175, Sergio Milani, del Moto Morini Club. 3. Presa! Michela Amenduni, Marketing Manager della Triumph Italia, al Motodays.
4. Silvio Manicardi e i cinquantini: Honda Dream, un rospo Malaguti davanti a Silvio e un Malanca subito dietro... e poi tanti altri sogni...
5. Domenico Ferri di Union Jack “sgarzello” in sella alla bella 500 denominata Continental GT, esattamente come la 250 dei primi anni '60, alla quale si ispira.
6. Decisamente bello il restyling della Kawasaki W800, presto su queste pagine. 7. In attesa della nuova Honda CB 1100: roadster style e tecnologia.
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MEAT & BONES
Piero Laverda
IL TESTIMONE Moto Laverda: ascesa e caduta di una delle più grandi Case di motociclismo italiane attraverso il racconto di Piero Laverda Testo Mauro Di Giovanni Foto Roberto Brodolini
tringere la mano di Piero Laverda è come toccare un filo scoperto della corrente: una scarica d’informazioni simile ad un chiusino che si apre improvvisamente e lascia scaturire un torrente in piena che vi investe. Cercare di sistemare cronologicamente le notizie, di dare un senso univoco ad una storia contrastata anche al suo interno è cosa ardua, ma avvincente. Ma per parlare, raccontare della Laverda di Breganze ci siamo potuti avvalere della complicità di uno dei suoi diretti protagonisti, quel Piero Laverda (9 marzo 1947) che, con il fratello Massimo, ereditò dal padre Francesco le sorti di un’azienda che aveva sempre saputo cavalcare i mutamenti di un mercato in continua evoluzione. Laverda, una famiglia veneta più legata all’hinterland
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vicentino, che incarna la voglia di costruire attraverso la meccanica; interpreta un fermento visionario, attraversando e accendendo l’immaginazione delle menti più acrobatiche dell’ottocento europeo. Dai tempi dell’avo Pietro Laverda, il quale seppe applicare le innovazioni meccaniche all’agricoltura (grazie alla quale la Laverda fu ben nota oltre l’epoca della Seconda Guerra Mondiale), sino a Francesco, che ebbe l’intuizione di pensare, prima che di costruire, veicoli utilitari a due ruote, la genealogia, il timone di questa antica azienda meccanica italiana, è sempre rimasta radicata al territorio. Verso la metà del 1947, il fisico dott. Francesco Laverda, con il sostegno del tecnico Luciano Zen, appronta un motore a quattro tempi di 75 centimetri cubici, attorno al quale
costruisce una “motoleggera”. La prima: la Laverda 75. Ricorda Piero Laverda: “Già a nove anni andavo in moto con la 75, una “pretina” a telaio aperto, così chiamata perché era la preferita dai parroci e dai preti, che vestivano la lunga e ingombrante tonaca nera. Quando avevo dodici anni mio padre mi fece avere un permesso per girare su strada come collaudatore, legittimando indirettamente le mie ambizioni motociclistiche. A sedici anni ebbi l’onore d’impossessarmi della 125 che, nel 1964, aveva preso la medaglia d’oro alla Sei Giorni Internazionale di Garmish Partenkirchner”... Ma il tempo vola, come volano le ambizioni, e Piero Laverda “tradisce” con una Horex 400, con la quale gira l’Europa, per ritornare infine “a Casa” con la 200 bicilindrica, una media che anticiperà e conviverà con le prime grosse bicilindriche.
“Francesco, Massimo e Piero: “talis pater, talis filius”, lo stesso cognome... Laverda!”
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MEAT & BONES PIERO LAVERDA
LA STORIA
LA STORIA DELLE GROSSE LAVERDA PREMESSA: nel 1965 la Laverda esportava negli Stati Uniti il bel modello 125 Trail, con il cilindro orizzontale a quattro tempi, così come per le Aermacchi e le Moto Guzzi monocilindriche, ma con il marchio Garelli, distribuito da John Cornack, importatore Suzuki.
In un incontro di lavoro presso la sede dell’importatore, negli USA, Cornack suggerisce a Massimo Laverda (il maggiore dei due fratelli figli del dott. Francesco) di spostare l’attenzione verso un’eventuale produzione di “motopesanti”, che potrebbero essere commercializzate con il marchio American Eagle in suo possesso. La Casa italiana non ha una tradizione motopesantistica che possa essere d’ausilio a questo progetto, così Cornack mostra a Massimo Laverda la Honda 304, una moto media ben costruita, che si vende bene in America e completamente sconosciuta in Italia. Cornack suggerisce di costruirla simile a quella, con cilindrata perlomeno doppia. Massimo Laverda torna in Italia suggestionato dalla proposta e reinventa l’azienda. Entusiasta, ottimo pilota, appassionato oltre ogni limite come il fratello minore, con la collaborazione dello staff tecnico, di fronte ad un esemplare della Honda 304 appositamente recapitatogli da John Cornack, Laverda dà inizio ad una saga che porterà la Casa di Breganze “sugli scudi”. 1.000 “American Eagle” vendute negli Stati Uniti, 51.650 “Settecentocinquanta”, poche le “Seicentocinquanta” (poco più di una cinquantina): questo il risultato numerico di una grande moto, costruita dall’aprile 1968 fino al 1976. Sono gli anni colorati delle Laverda che sciamano sulle strade d’Europa, potenti come
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le moto inglesi ma più robuste, meno maneggevoli ma più moderne, con l’avviamento elettrico e le cinque marce in blocco. È un successo in mezza Europa, che sorprende, che crea un mito. Un nocciolo duro di appassionati del marchio, i quali ancora oggi resistono, fedeli nel tempo al loro blasone: i laverdisti sono un popolo e un epopea vivente. Alcune scelte furono discutibili (ad esempio le teste in ghisa volute da Zen, o anche il telaio monotrave superiore costruito da Verlicchi), ma l’altezza del baricentro era casomai imputabile al carter umido e al sovradimensionamento generale, voluto per garantire maggiore resistenza allo stress endotermico e alle vibrazioni, che, come è noto, affliggono i bicilindrici paralleli a 180° privi di contralbero, quali erano per l’appunto le moto costruite verso la metà degli anni ‘60. Ciononostante, secondo Laverda, la scelta del monotrave superiore fu dettata dal marketing, per mostrare la possanza del propulsore. Piero Laverda racconta: “Negli anni ‘50 costruivamo il 70% delle moto in fabbrica, negli anni ‘60 questa percentuale scendeva al 30%; oggi chi costruisce non supera il 10%. Riguardo alla resa, bisogna dire che cominciammo a sottoporre le testate, dopo la fusione in fonderia, ad un processo coesivo d’indurimento che fece scendere la resa dall’8% al 3%. Ma fu un duro lavoro d’affinamento continuo e costante”.
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“L’arancione è stato indiscutibilmente
il colore delle Laverda da competizione. Ma nel 1968 e nell’anno successivo le 750 erano bianche. Un giorno incontrai il mio vecchio professore di fisica, il quale, su mia richiesta, mi fece presente che, subito dopo il giallo, l’arancione è il colore che si vede meglio. Fu questo il motivo per cui, in previsione dell’attività agonistica, le SFC divennero di quel color arancio che tutti abbiamo bene in mente; sbagliano dunque coloro che credono che il colore sia stato mutuato da quello delle macchine per l’agricoltura, costruite dalla Laverda sin dai primordi”. (PIERO LAVERDA)
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Fu Massimo a volere la 1000 a tre cilindri. La fusione di una testata bialbero presenta meno difficoltà di una monoalbero;
questo perché per quest’ultima si creano troppe camere libere interne, che generano a loro volta formazioni di microporosità e trasudi
LA 1000 Piero Laverda prosegue: “Fu Massimo a volere la 1000 a tre cilindri. La fusione di una testata bialbero presenta meno difficoltà di quella di una testata monoalbero; questo perché per quest’ultima si creano troppe camere libere interne, che generano a loro volta formazioni di microporosità, con conseguenti possibili trasudi. Erano necessari tre bagni di resina speciale termoresistente per saturare le microporosità”. L’aneddotica di Piero Laverda è rutilante di ricordi che si susseguono incisivi e colorati, sebbene talvolta, nell’impeto della rievocazione, non sia l’esattezza cronologica dei fatti ad emergere, bensì l’atavica e inveterata passione per il motore e per la competizione. E come unico
obbiettivo: la vittoria! Una menzione per Giorgio Dal Sasso e Fernando Cappellotto, i quali accompagnavano Laverda durante il nostro incontro. Cappellotto era un ex pilota e collaudatore Laverda; con la 750 bicilindrica percorse centinaia di migliaia di chilometri. In sua compagnia abbiamo piacevolmente condiviso uguali valutazioni sul comportamento dinamico e meccanico della bicilindrica di Breganze.
L’EVOLUZIONE “Non vi furono più le condizioni finanziarie per continuare”, conclude Piero Laverda. La posta in gioco si fece troppo alta, troppi elementi dovevano continuare a quadrare; fu così che la Laverda di Breganze si
estinse. In seguito, a Zanè, nuovi appassionati imprenditori giocarono al rialzo: la “Ghost” e la “Formula 750” ivi costruite rappresentano ancora fulgidi esempi di moto realizzate da “ingegneri motociclisti” per altrettanti appassionati motociclisti. Poi il marchio Laverda finì alla corte di Beggio per la commercializzazione di uno scooter coreano, marchiato Laverda, che venne percepito quasi come un oltraggio. Il messaggio originale si polverizzò nelle ultime iniziative industriali. Ma quella forza, quell’incedere truculento, ignorante, poderoso, altero e possente, che agita l’anima e il corpo delle motociclette Laverda, sempre avrà un posto nello scranno dell’emiciclo della fantasia.
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