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Il Covid-19 ferma le vendite di auto, ma non deve bloccare anche
IL COVID-19 FERMA LE VENDITE DI AUTO, MA NON DEVE BLOCCARE ANCHE IL PROGRESSO
L’emergenza sanitaria mette sotto scacco l’industria e il mercato. L’obiettivo è ripartire il prima possibile evitando derive anti tecnologiche.
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Meno 7% a febbraio e meno 7% a gennaio. È costante la flessione della domanda di auto in Europa. Questa sarebbe la cattiva notizia, ma sfortunatamente non lo è. Anzi, rimpiangeremo questi tassi di flessione, visto che ancora non riflettono l’emergenza Coronavirus. Il blocco alle attività, applicato a marzo nel nostro Paese, ha causato un tracollo nelle immatricolazioni. Andrea Cardinali, direttore generale di Unrae, l’associazione dei costruttori, stima “nel mese circa 30.000 unità contro le 194mila del marzo 2019”. Come sappiamo, anche gli altri Paesi stanno seguendo la quarantena, tanto che quasi tuti i costruttori hanno fermato o stanno fermando la produzione. Insomma, si prospetta un anno disastroso, dove l’unica parola d’ordine sarà: ripartire! Prima possibile e più rapidamente possibile. Poi verrà il tempo per i ragionamenti e le riflessioni. Ma dopo. Del resto, quando il Covid-19 c’è arrivato addosso, non è che nella vecchia Europa stessimo facendo baldoria. Nel tempo libero, eravamo intenti al passatempo preferito dei popoli opulenti e decadenti: l’autoflagellazione. Avevamo individuato il peccato del cambiamento climatico, procurato soprattutto da altri Paesi con la produzione di energia elettrica, l’industria e gli allevamenti, ma comunque risolvibile diminuendo solo noi la circolazione delle auto. Pertanto, l’esercizio
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adesso è collegare il virus con l’ambiente. Innanzitutto, possiamo registrare quanto l’attuale quarantena stia riproducendo quello scenario socio-economico tante volte evocato e da qualcuno pure invocato. Uno studio, per caso finlandese, ha calcolato che a febbraio la Cina abbia emesso 600 milioni di tonnellate di CO2, un quarto in meno del normale. È un’indicazione quanto mai concreta. Sarebbe sufficiente chiudere i cinesi in casa per tutto l’anno, tutti gli anni, per avere 2,5 miliardi di tonnellate di emissioni in meno, pari allo 0,3% della CO2 che ogni anno il pianeta produce. Ovviamente, se il blocco venisse applicato a tutti i Paesi, il beneficio sarebbe ben più sensibile: quasi 7 miliardi in meno, pari allo 0,8% del totale. In proposito, Alessandro Blasi, consulente speciale dell’International Energy Agency, ha sentito il bisogno di fare chiarezza: “Ho paura che ci sarebbe ben poco da festeggiare. Una contrazione delle emissioni dovuta a un crollo economico provocato dal Coronavirus non è un segno che stiamo andando nella giusta direzione. In mancanza di cambiamenti strutturali e misure serie, appena il mondo sarà uscito dall’incubo del virus, meglio prima che poi, le emissioni risaliranno di nuovo”. Quindi no, la decrescita infelice non pare una ricetta per salvare il pianeta. Ma non c’è solo il pianeta, ci siamo anche noi da salvare, i nostri polmoni aggrediti dalle polveri sottili, in particolare in Lombardia. Quella stessa che sta reagendo meglio di chiunque al mondo a un urto drammatico quanto anomalo del virus. Gli scienziati di fama mondiale non sanno ancora spiegare questa speciale virulenza, eppure c’è chi pare abbia trovato la causa. Come sappiamo, è la regione in cui c’è la maggiore concentrazione di polveri sottili, per la grande massa di abitazioni riscaldate e industrie manifatturiere, combinata con una conformazione geo-
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grafica che non agevola la circolazione. Secondo uno studio della Società Italiana di Medicina Ambientale, “le alte concentrazioni di polveri registrate nel mese di febbraio in pianura padana hanno prodotto un’accelerazione alla diffusione del Covid-19. L’effetto è più evidente in quelle province dove ci sono stati i primi focolai”. In effetti, Brescia come provincia ha un numero elevato di entrambi gli indicatori, ma i casi di Corona non sono concentrati solo nei comuni ad alta concentrazione urbana. Mentre la provincia che in assoluto è martoriata dal virus, Bergamo, ha recentemente registrato il livello di PM10 migliore da dieci anni a questa parte. Tanto che Alessandro Miani, presidente della Sima, smorza i toni, affermando che “in attesa del consolidarsi di evidenze a favore di questa ipotesi, la concentrazione di polveri sottili potrebbe essere considerata un possibile indicatore o ‘marker’ indiretto della virulenza dell’epidemia da Covid-19”. Attesa, consolidarsi, condizionale. Aggiungendo che adesso con il blocco “i livelli di inquinamento sicuramente stanno scendendo ma quelli dovuti al traffico veicolare rappresentano circa il 22% del totale”. La conclusione è lineare. Il virus è un dramma che ci è capitato. Decrescere deprimendo le attività non è la soluzione e men che meno fermare le macchine. L’umanità è stata flagellata anche in altre epoche, quando era meno progredita, pagando un prezzo enormemente maggiore in vite umane. Lezioni arriveranno da questa tragedia e andranno capite e apprese, separando le fantasie e le bufale dai miglioramenti apportabili concretamente, per migliorare e rendere più sicura la vita sulla Terra, non per riportarla all’età della pietra. Abbiamo impiegato 200.000 anni per arrivare a 1 miliardo di abitanti, nel 1804. Poi in appena cento anni siamo diventati 6 miliardi, grazie a e non malgrado il progresso. Andiamo avanti.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 18 marzo 2020
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