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Auto, la crisi coronavirus accelererà la concentrazione dei concessionari

AUTO, LA CRISI CORONAVIRUS ACCELERERÀ LA CONCENTRAZIONE DEI CONCESSIONARI

La drammatica situazione porterà nei prossimi 18/24 mesi alla creazione di grandi dealer-hub in grado di avere la sufficiente massa critica.

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La chiusura forzata sta portando l’economia al collasso, ben oltre il periodo di fermo. Alla riapertura mancheranno all’appello una miriade di piccole e piccolissime attività, che neanche si possono definire aziende, perché i loro addetti si saranno disaggregati, ciascuno per sé alla ricerca di un approdo. La maggior parte delle imprese invece sarà pronta a ripartire, non senza aver eliminato ogni grasso superfluo, che in gergo macroeconomico significa meno addetti. In sintesi, tante famiglie in seria difficoltà che si tradurranno in un contenimento dei consumi, che a sua volta rallenterà il ritorno al livello pre-crisi dell’economia, suggerendo infine a una parte dei clienti, magari pronti a cambiare la macchina, che sarebbe opportuno rimandare. In un mercato di sostituzione, l’acquisto di un’auto è una bellissima esperienza, eppure meno necessaria di quanto piaccia pensare a chi le vende. Tolte le aziende, circa 4,5 milioni di persone ogni anno compie tale scelta, tra auto nuove e usate, perché sente che la sua situazione economica non gli dà particolari grattacapi. Nel prossimo futuro, i mal di testa sono previsti in aumento esponenziale. Le case andranno in aiuto di quei concessionari più in difficoltà, come hanno sempre fatto, allentando la loro pressione sui margini e sui costi, a cominciare dallo stock e finendo col chiudere un occhio su altre cose. In alcuni casi il sostegno sarà determinante per rimettere in sesto l’azienda, ma come sempre accade i più deboli non daranno segnali di potercela. Intorno a loro comincerà

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la danza delle possibili fusioni e acquisizioni. Con la collaborativa regìa delle stesse case, interessate a tenere ben coperta la zona di competenza, si valuteranno soluzioni diverse. La più immediata è la fusione col vicino che sta meglio, ma pochi saranno in condizione di spiegare alle banche che la puntata vale la pena. Così si faranno sotto i grandi gruppi, per ’acquisizione, totale o parziale, della concessionaria in difficoltà. Questi hanno una capacità finanziaria solida, fondata non tanto sul patrimonio quanto sulla capacità organizzativa e gestionale, che garantisce ai finanziatori che l’aggiunta di un’ulteriore attività porterà utili. In Italia operano 1428 concessionarie, di cui il 42% multibrand, con un fatturato medio poco sotto i 40 milioni, secondo l’Osservatorio Bilanci di Dekra. Di questi, 16 (sedici) hanno un fatturato medio di 318 milioni, più di nove volte la media degli altri 1412. Già a livello di margine commerciale questi mega dealer, col 14,7%, trattengono circa un punto in più degli altri, che nel business dell’auto fa la differenza. Ma è sui costi di struttura, dove i grandissimi sviluppano economie di scala e sinergie, che le distanze si ampliano: fatto cento il margine, riescono a produrre un risultato di gestione corrente pari al 16,6%, doppio rispetto agli altri. Da un lato, le case sono affascinate dai concessionari che producono valore aggiunto, perché in questi anni vogliono lasciare sempre meno punti di margine alla distribuzione, da investire nelle politiche di elettrificazione. Dall’altro, se il valore aggiunto del concessionario non arriva da fattori ideali ma dalla sua dimensione e capacità imprenditoriale e manageriale, il fascino diminuisce e di molto. Più il dealer è forte e capace di pensare, specie se consapevole di esserlo, meno diventa controllabile. Già in questi giorni alcuni dei grandi stanno alzando la testa per criticare le politiche commerciali che, nel mondo che fu, tendevano a forzare la vendita di auto a basse emissioni, indipendentemente dalla richiesta del mercato. Secondo loro oggi non sono una priorità.

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Dunque, proprio l’ulteriore crescita dei principali gruppi spingerà i costruttori a mettersi davanti al problema, piuttosto che rincorrerlo, accelerando la ridefinizione del modello distributivo. Un’ipotesi, già allo studio da almeno un anno, sarebbe il dealer-hub. Un concessionario a cui farebbe capo una rete di altri più piccoli, i quali avrebbero ancora un rapporto formale di mandato direttamente con la casa, ma dentro un’architettura organizzativa e commerciale in cui l’hub coordina alcune politiche commerciali e mette a fattor comune servizi di back-office e logistici. La finalità sarebbe di generare tutte le efficienze possibili, consentendo quindi alla rete di lavorare bene con margini più bassi, senza trovarsi però a confrontarsi solo con pochi grandi. Vedremo nei prossimi due anni quali esperimenti ci presenterà il mercato.

Articolo pubblicato su Il Sole24 Ore, il 3 aprile 2020

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