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Risollevare l’auto per dare un messaggio di fiducia a tutti i consumi

RISOLLEVARE L’AUTO PER DARE UN MESSAGGIO DI FIDUCIA A TUTTI I CONSUMI

La crisi del coronavirus ha devastato il mercato automotive e occorre un rilancio per “riavviare la macchina” più velocemente possibile prima che sia troppo tardi.

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28.500 immatricolazioni, meno 85%. Come mai la cifra confermata dai dati ufficiali è la stessa che ormai circolava da giorni? Perché se fino a metà marzo qualche immatricolazione è stata fatta, sulla base delle auto ordinate e arrivate e grazie al fatto che in molte zone ancora si potevano consegnare e ritirare, dopo c’è stato il blocco totale, delle immatricolazioni e soprattutto degli ordini. Il settore è in ginocchio e questo ha delle forme ben precise. Le fabbriche sono chiuse e i dipendenti in cassa integrazione. Anche le concessionarie sono chiuse e i dipendenti in cassa integrazione. Pure tutti i servizi che ruotano attorno alla vendita e all’assistenza delle macchine sono fermi, con la differenza che non tutti i lavoratori sono dipendenti e in cassa integrazione. Centinaia di migliaia di famiglie, che adesso sono assistite. Ma nessun sistema economico regge a lungo assistendo le persone invece di metterle nella condizione più favorevole per produrre, indipendentemente dalla capacità di debito del suo Governo – e la nostra è piuttosto limitata, Europa o non Europa. Presto, appena possibile, meglio prima che poi, dovranno tornare a essere operative, con tutta l’energia di cui dispongono. Il settore deve essere aiutato, nell’interesse delle imprese che operano sul territorio e dei loro occupati, ma soprattutto dell’economia in generale. Non è un mistero che l’auto faccia notizia. Quando i mercati riapriranno, farà differenza se le famiglie a cena sentiranno al TG che le vendite di macchine sono in fortissima crescita op-

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pure in graduale recupero. Il messaggio di fiducia nell’andamento dell’economia sarebbe profondamente diverso, condizionando le decisioni d’acquisto su decine di altre spese, dalla lavatrice al week-end. Tutto il Paese dovrà reagire il più velocemente possibile e il sentiment sarà determinante. Se ognuno aspetta l’altro, rischiamo di soffrire di più e più a lungo. No, questa è una gara per centometristi, non per maratoneti. Per servire l’obiettivo, gli incentivi dovranno avere alcune caratteristiche e non altre. Innanzitutto, essere concentrati nel tempo: ordini entro ottobre targati al massimo entro dicembre. Chi volesse cambiare l’auto nell’estate del 2021 non dovrebbe essere agevolato, bensì forzato ad anticipare al 2020. Perché è adesso che abbiamo bisogno. Dopo, saranno capaci tutti. Il business si fa anche con i soldi, per quanto prosaico possa apparire al cospetto di altri valori. In queste settimane i concessionari hanno i bilanci gonfi di magazzino (auto sui piazzali) mentre stanno bruciando cassa, che dovrà essere ricostituita alla velocità della luce. Come? Vendendo macchine. Quali? Quelle in stock, appunto, quali che siano, ibride o turbodiesel. Anche perché, con la chiusura delle fabbriche, alla ripresa i tempi di consegna per il built-to-order (vetture prodotte su un ordine del cliente) schizzeranno da un paio a otto/dieci mesi: ma il registratore di cassa deve suonare subito, prima che sia troppo tardi. Inoltre, le risorse che i contribuenti potranno mettere in campo per il settore saranno limitate, se per l’intero Paese parliamo di decine di miliardi, molti dei quali assorbiti per sostegni ai redditi. Dunque, sarà opportuno concentrare i soldi, quali che siano, in un periodo limitato, puntando a far ripartire la macchina dei consumi e spiegando bene l’effetto volano che l’auto riesce ad avere. Infine, gli incentivi dovrebbero essere riformulati eliminando ogni vincolo di emissioni di CO2, per varie motivazioni, prima fra tutte che non siamo nella condizione di poter rifiutare (o non

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incentivare) il cliente che volesse un bel turbodiesel. Potremmo non essere lì quando dovesse tornare dieci mesi dopo. Poi, diciamo anche che almeno per quest’anno il tributo al Greta-pensiero è già stato pagato col blocco forzato. Oggi il titolo non è ambiente ma sopravvivenza. Ciò che aveva un senso a gennaio è stato spazzato via dal Covid-19, che sta riordinando molte priorità. Se prima noi europei ci sentivamo talmente satolli da illuderci di ridurre la CO2 da soli e con qualche macchina, ora dovremmo aver capito, chi prima chi con un aiutino, che siamo in una tempesta economica in cerca di un approdo: tecnicamente, si salvi chi può. Tempesta perfetta non è un’affascinante espressione, ma una cosa precisa, che può uccidere, nel senso che dopo non ci sei più. Chi va per mare lo sa. A onor del vero, nessuno o quasi degli addetti ai lavori credeva alle favole ma obbediva alle minacciose pretese dell’UE di stare dentro dei limiti, pena multe miliardarie. Ufficialmente, quei limiti stanno ancora là. Eppure, risulta difficile immaginare che l’Europa possa andare in soccorso della sua economia nel 2020, con centinaia di miliardi di extra-debito, per poi multare quelle stesse aziende l’anno dopo. Sarebbe troppo anche per i furori ideologici di Bruxelles.

Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 1 aprile 2020

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