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La ripartenza dell’auto decisiva per la ripresa di tutto il sistema

LA RIPARTENZA DELL’AUTO DECISIVA PER LA RIPRESA DI TUTTO IL SISTEMA

Il dibattito sulle misure da adottare per stimolare la crescita. I dati evidenziano il ruolo chiave del settore ma ci sono posizioni ideologiche contro l’automotive. Stride la differenza tra i pochi fondi dell’Italia e i maxi-piani di Francia e Germania.

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Il settore auto non va per niente bene. A una crisi già conclamata s’è aggiunta la pandemia, che frena la domanda dopo averla bloccata e che fa emergere contraddizioni e divergenze, quando invece servirebbe unità d’intenti. I vertici di importanti costruttori e concessionarie, incontrati a porte chiuse, hanno dipinto un quadro realistico. Il Covid-19, dopo aver costretto il settore a fermare le attività distributive, ha lasciato sul campo una domanda che stenta a riprendersi, per due fattori. Il più evidente, largamente previsto, è quello economico. Produrre 150 miliardi in meno di ricchezza qualche colpetto lo dà alle tasche di chi avrebbe cambiato la macchina. Tanti hanno subito e stanno subendo un calo di reddito e altri lo temono. A questi ultimi sono destinati quei prodotti assicurativi di copertura dal rischio di perdita della fonte di reddito, busta paga o partita Iva che sia. L’altro fattore, meno evidente e più subdolo, è psicologico. La sospensione dalla vita sociale ha prodotto nella popolazione un distacco dai consumi generalizzato, per cui diventa facile rimandare un acquisto impegnativo come l’auto. Secondo alcuni, l’insieme potrebbe accentuare il gap tra il cliente che coglie il fascino dell’auto ma acquista pur sempre un prodotto utile, e chi invece guarda alla macchina come piacere, puntando spesso ai modelli premium e alto-di-gamma. Questa riflessione porta i concessionari a suggerire una strategia nuova per il settore. Basta reggere l’industria sui volumi e puntare piuttosto ai margini e alla redditività. Secondo loro, occorre prendere atto che l’eccesso

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di capacità produttiva ha imposto una strategia push che è insostenibile economicamente. La coda di tale pressione, le vetture a km zero, avrebbe messo in ginocchio la salute della distribuzione, forzando un livello di prezzi che lascia poco e nulla alla remunerazione del capitale proprio, che invece dovrebbe essere la prima chiave di misurazione del business. Tutti concordano che se non riparte la fiducia nella situazione economica il segno resterà negativo. L’opinione è che, dopo gli interventi a pioggia, sarebbe opportuno un approccio più verticale, sui singoli settori, visto che non tutti sono e saranno colpiti allo stesso modo. Una farmacia e uno stabilimento balneare hanno prospettive diverse, eppure entrambi i titolari ogni tanto comprano una macchina. Questa visione macroeconomica dura diversi minuti, prima di lasciare spazio a un più italico ognunoper-sé-e lo-Stato-per-tutti. Incentivi, che mai come stavolta potrebbero avere un senso macroeconomico. Già mesi fa avevamo suggerito che una spinta forte sull’auto creerebbe un riverbero positivo sull’intero sistema dei consumi. Una scossa allo stato di sonnacchioso torpore indotto dal lockdown, che rischia di farci fare la fine della rana bollita. Le nostre economie stanno in equilibrio a un ritmo frenetico di consumi, grazie al quale una gran parte di noi riesce a guadagnarsi da vivere. Se addirittura aumentasse, altri verrebbero inclusi nel processo di produzione della ricchezza. Sfortunatamente, congiunzione astrale vuole che questa crisi epocale si consumi proprio negli anni in cui tanti nel Palazzo non gradiscono affatto questa equazione socioeconomica, di cui l’auto è assunta a simbolo. Più esplicitamente, i nostri interlocutori hanno evocato l’esistenza di un partito anti-auto, trasversale agli schieramenti politici e sotterraneo, espressione di un’ideologia che vorrebbe meno automobili e più trasporto collettivo o, se individuale, condiviso. Qualcuno ha esplicitamente ricondotto a tale pregiudizio, evidentemente non solo italiano, la miopia che ha impedito di leggere nel diesel-gate un attacco americano all’in-

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dustria europea e tedesca, e nella spinta all’elettrico il tentativo cinese di azzoppare la tecnologia termica, per loro inarrivabile. Dietro la riluttanza del Governo a mettere dei soldi nel settore c’è tutto questo e anche una mancanza di orgoglio nazionale per una filiera di eccellenza. Fossero trattori invece di macchine, il sostegno sarebbe già stato decretato. I lavoratori interesserebbero pure, il problema è il prodotto. Poi alla fine qualcosa arriverà. Si parla di cifre piuttosto modeste, un paio di centinaia di milioni, buoni a muovere meno di 200.000 veicoli. Considerando che, come in tutte le promozioni, una parte andrà a beneficiare chi avrebbe comunque comprato, la spinta aggiuntiva sarà nell’ordine di centomila pezzi, concentrati nella fascia bassa, dove si guadagna poco o nulla. Il confronto con gli altri due grandi mercati, Germania e Francia, in cui i Governi hanno annunciato interventi miliardari, fa solo risaltare la dimensione sistemica e macroeconomica di questa pandemia, da cui chi era forte e ricco uscirà ancora più forte e più ricco.

Articolo pubblicato su il Giornale, il 23 giugno 2020

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