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Auto alla spina, la rimonta delle ibride plug-in: i motivi della crescita
AUTO ALLA SPINA, LA RIMONTA DELLE IBRIDE PLUG-IN: I MOTIVI DELLA CRESCITA
Nel mercato italiano crescono le vetture elettrificate ed è un vero boom per le cosiddette Phev, cioè le ibride ricaricabili.
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C’è l’auto elettrica, BEV, e poi ci sono le auto elettrificate: ibride plug-in e mild-hybrid. Ora pare si stiano muovendo alcuni equilibri. Come sappiamo, i costruttori in Europa da alcuni anni sono presi dalla passione per la propulsione elettrica, un po’ per sensibilità ambientale e molto perché minacciati dalla UE con multe salatissime, nell’ordine di centinaia di milioni ciascuno. La propulsione mild-hybrid permette di recuperare parte di quell’energia che il motore sviluppa in eccesso e che normalmente viene dispersa. Una soluzione che non fa lievitare i costi e che non impone all’automobilista cambiamenti di abitudini o limitazioni. Non sorprende che sia arrivata al 12% delle vendite, il doppio di un anno fa, e sia probabilmente destinata a crescere ancora. Per le macchine alla spina il discorso è diverso. Negli ultimi anni sembrava andare meglio l’elettrico puro, senza motore termico. Nel 2018 c’era stato il sorpasso in volata: 5.000 BEV con un balzo del +150% contro 4.600 plug-in in crescita del +60%. Ma i numeri erano ancora insignificanti: insieme facevano mezzo punto di quota di mercato. L’anno dopo c’è stato addirittura l’allungo delle BEV: 10.000 unità con un +110% contro 6.500 unità delle plug-in in crescita del 30%. È vero, gli incentivi premiavano le prime, ma non è solo quello. Era il frutto dell’offerta dei costruttori, la cui opzione iniziale era di offrire ai clienti le macchine equipaggiate solo col motore elettrico, nonostante i limiti oggettivi e ben noti: tempi di ricarica, autonomia, costo. La ragione era
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che anche poche vendite sarebbero state sufficienti a bilanciare le emissioni totali del gruppo ed evitare le multe. Sfortunatamente, neanche quelle poche vendite si sono materializzate e i costruttori l’hanno capito. Già due anni fa alcuni top manager sia francesi che tedeschi avevano esternato serie perplessità che il mercato potesse accogliere tutte le elettriche ipotizzate. Così hanno iniziato a sviluppare seriamente un’offerta di vetture plug-in, che in questi mesi stanno arrivando nei saloni. In effetti, pare che i clienti stiano rispondendo. Nei primi otto mesi, registriamo una vera rimonta delle ibride plug-in sulle elettriche. Non tanto in quantità assoluta (9.500 rispetto a 13.500) quanto nel ritmo di crescita: +196% le prime rispetto a +108% le seconde e nonostante gli incentivi premino di più le elettriche pure. Incentivi che restano in buona parte inutilizzati, come denunciano gli stessi costruttori, che chiedono di poter spostare quelli che restano sulle altre fasce di emissione. È un segno che la domanda è ancora molto inferiore a ciò che si vorrebbe, magari perché espressa da una classe sociale piuttosto esigua. In effetti, le auto alla spina che crescono del +137%, in un mercato che segna meno 40%, fanno supporre che questi clienti siano forse tra i meno colpiti dalla crisi. In conclusione, sembra iniziato il momento delle ibride plug-in, su cui paiono convergere sia le esigenze dei clienti, interessati al clima e soprattutto a evitare i blocchi nelle città e ogni altro fastidio, sia quelle dei costruttori di abbassare la media delle emissioni. Sarebbero più contenti di vendere le elettriche, ma se non le comprano allora ci si accontenta delle plug-in. Come si dice? Piuttosto che niente, meglio piuttosto.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 2 settembre 2020
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