FLORIANA PORTA
UN TUFFO NEL MARE PREISTORICO DEL PIEMONTE Il passato della vita è nascosto nelle profondità della Terra
SAGGIO BREVE SUI FOSSILI PLIOCENICI DEL PIEMONTE
“ Il concetto di preistoria è fondamentale. Chi non è al corrente della sua preistoria non può andare avanti nella sua storia.” Jean-Noel Schifano (intellettuale e scrittore francese)
UN TUFFO NEL MARE PREISTORICO DEL PIEMONTE Il passato della vita è nascosto nelle profondità della Terra
INDICE - Premessa - Introduzione - Citazioni 1. Il mare padano Ricchissime testimonianze fossili dimostrano che il Piemonte era sommerso dal mare. Le sabbie di Asti e il Villafranchiano. Notizie sul periodo Pliocenico. 2. La Riserva di Valle Andona, Valle Botto e Val Grande E' la zona dove maggiormante sono concentrati i resti fossili piemontesi. Fotografie ed informazioni generali. 3. I più importanti ritrovamenti fossili del Piemonte L'Astiano e il Villafranchiano. Introduzione al mondo delle Balene 4. La Balenottera di Valmontasca Uno dei più importanti ritrovamenti di vertebrati marini nelle terre astigiane. 5. Tersilla, la Balena di San Marzanotto Uno dei più significativi ritrovamenti fossili degli ultimi 50 anni in Italia. 6. Le Balene plioceniche nei musei italiani I resti fossili di Balena al Museo di Milano, Bologna, Parma, Pisa, Torino e Napoli. Introduzione ai Mastodonti 7. I Mastodonti del Piemonte Ritrovati, nelle sabbie piemontesi, molti scheletri di Mastodonti. I proboscidati. 8. Il passato che emerge dalle rocce Breve guida sulle Scienze della Terra: i fossili, la fossilizzazione e la Paleontologia. Georges Leopold Cuvier, il fondatore della Paleontologia. 9. Conclusioni e ringraziamenti
PREMESSA
Le presenti pagine non sono ovviamente un trattato, e nemmeno delle dispense, ma solo un breve saggio ricavato dalle mie letture e dai miei studi sui fossili dell'Astigiano. E' un mio omaggio al ricco e prezioso giacimento fossilifero del Piemonte. In particolare mi sono soffermata sui fossili rinvenuti nella zona di Villafranca d'Asti, una terra che amo, e che fin da piccola mi ha affascinato e stregato con i suoi colori, i suoi tramonti, i suoi profumi, e i suoi misteri. Dedico queste pagine a tutte le persone che, come me, desiderano fare un “tuffo nel passato”. Buon viaggio... Floriana Porta
«[...] La natura stessa ha una storia e le “conchiglie” sono alcuni fra i documenti di questa storia». (Da: I segni del tempo, di Paolo Rossi)
INTRODUZIONE
Il Piemonte è una terra ricchissima di fossili. E grazie anche a questi fossili è possibile ricostruire la successione delle diverse forme di vita sulla Terra. Tutte le tracce reperibili di vita, nelle rocce, sono fossili: animali, piante, orme, impronte di corpi, gusci, scheletri. I fossili ci interessano non solo perchè subiamo il fascino di oggetti che vengono da un passato lontanissimo ma, cosa più importante, perchè ci fanno capire la storia della Terra, e ci permettono di dire che gli organismi si evolvono. Il loro attento studio aprì la strada, infatti, alle teorie evoluzioniste, poichè mostrò, innanzitutto, che alcune forme di vita esistite nel passato erano in seguito scomparse. I fossili quindi “ci parlano”. A noi non resta che ascoltare quello che ci dicono. Cominceremo ora un lungo viaggio. Tenteremo di risalire a ritroso nel tempo. E' un'impresa difficile, ma seguiremo un percorso trasversale, il solo che ci sia accessibile, per tentare di distinguere, nel presente, alcuni riflessi del passato.
«Bichat usava dire: “La vita è l'insieme delle funzioni che si oppongono alla morte”. Oggi si sarebbe piuttosto tentati di dire che “la vita è l'insieme delle funzioni capaci di utilizzare la morte”.» (Henry Atlant, Tra il cristallo e il fumo)
CITAZIONI DAI LIBRI PIU' IMPORTANTI SUI FOSSILI
L'IDEA-SOGNO DEI GUSCI DI CONCHIGLIE di Jean-Baptiste-René Robinet (1735-1820) «I fossili sono brandelli di vita, abbozzi di organi che troveranno la loro vita coerente al culmine di una evoluzione che prepara l'uomo. Si potrebbe dire che internamente l'uomo sia un insieme di gusci [...] Ogni forma conserva una vita. Il fossile non è più semplicemente un essere che ha vissuto, è un essere che vive ancora, addormentato nella sua forma: il guscio è l'esempio più manifesto di una vita universale a forma di guscio. [...] I fossili vivono, se non una vita esterna, in quanto mancano forse di membra e di sensi, cosa che non potrei tuttavia assicurare, almeno di una vita interna, chiusa, ma estremamente reale nella sua specie, sebbene molto inferiore all'animale addormentato ed alla pianta. Non arrivo a rifiutare loro gli organi necessari alle funzioni della loro economia vitale, e, qualsiasi forma abbiano, li concepisco come un progresso verso la forma dei loro analoghi nei vegetali, negli insetti, nei grandi animali e nell'uomo». «La vita è causa di forme, ed è assolutamente naturale che la vita, causa di forme, forme viventi. [...] La forma è l'abitazione della vita». «Non ci si deve sorprendere dell'attenzione della natura nel moltiplicare i modelli delle parti della generazione, vista l'importanza di tali parti». J. B. ROBINET, Vue philosophiques de la gradation naturelle des formes de l'etre, ou les essais de la nature qui apprend à faire l'homme (Amsterdam, 1768).
I NICCHI DENTRO LE TERRE di Antonio Vallisnieri (1661-1730) «Chi può aver portato questi pesci, e questi nicchi dentro le terre, e fino sull'alto delle montagne? [...] Sui monti si trovano non solamente pesci e crostacei, ed altre spoglie di animali marini che furono una volta viventi, ma coralli e coralloidi, retepore, tabularie, madrepore, alcioni di varie sorti, astroidi, e, di più, denti di cane carcaria, detti volgarmente grossepietre e di altri cani e mostri marini, che sono vivipari, onde stenterà forte a persuaderci che non sono tutte quelle pietre lapidose, ma tutti i detti pesci, che non le uova, ma i feti vivi depongono, possano essere andati in alto a forza di vapori per le angustissime ed invisibili vie de' pori della terra». A. VALLISNIERI, De' corpi marini che su' monti si trovano; della loro origine e dello stato del mondo avanti al Diluvio, nel Diluvio e dopo il Diluvio, 1728.
CITAZIONI DAI LIBRI PIU' IMPORTANTI SUI DINOSAURI
PICCOLI DINOSAURI di Giorgio Faletti “Ecco cosa siamo, nient'altro che dei piccoli dinosauri. E la nostra pazzia prima o poi sarà la causa della nostra fine.” G. FALETTI
I DINOSAURI di Franco Manni «[...] Nella paleontologia [...] campeggiano i dinosauri, e il mondo popolato da essi mi suggerisce che essendo in qualche forma esistiti i draghi in qualche forma devono essere anche esistiti gli eroi e i maghi. Sappiamo che tra i milioni di specie animali conosciute il 99,9% dei ceppi evolutivi è fossile e cioè estinto». F. MANNI, Lettera ad un amico della terra di mezzo: guida personale di etica filosofica sulle tracce di Aristotele, Freud e Croce passando per J. R. R. Tolkien, 2006.
I MAMMUTH di Charlotte Brontë « [...] Lei non sa cosa siano i mammuth, ma glielo posso dire io; me l'ha spiegato Graham. Creature gigantesche, diaboliche, alte come questa camera e lunghe come l'ingresso; ma non feroci né carnivore, dice Graham. Secondo lui, se ne incontrassi una in una foresta non mi ucciderebbe, a meno che non mi trovassi proprio sulla sua strada; in tal caso mi schiaccerebbe sopra i cespugli, come io potrei schiacciare senza accorgemene una cavalletta in un campo di grano». C. BRONTË, Villette, 1853.
1. IL MARE PADANO
Un tempo tutta la Pianura Padana era mare. Dove ora crescono gli alberi circa cinque milioni di anni fa c'era il mare padano. Il Piemonte è stato quasi sempre sommerso da mari più o meno profondi, abitati da moltissimi organismi, come provano le ricchissime testimonianze fossili che rendono il Piemonte importantissimo, a livello internazionale, per i ritrovamenti fossili. In Età Pliocenica l'oceano occupava tutta la Pianura Padana. La linea costiera passava vicino a Torino e si estendeva a ridosso dei rilievi prealpini. A quel tempo il Monferrato era una lunga e bassa isola che limitava a nord il Mar Padano, mentre a sud le Langhe formavano una penisola; quel braccio di mare che si trovava tra il Golfo di Cuneo e il Golfo di Alessandria è definito col nome di “Bacino Pliocenico Astigiano”, e sopravvisse sommerso dalle acque per circa 3 milioni e mezzo di anni. Il clima era molto più mite di oggi (più caldo e umido). Sulle terre della pianura padana pascolavano mastodonti (oggi estinti), elefanti, ippopotami, antenati del cavallo e dei primi ruminanti, a cui tendevano i loro agguati iene e ghepardi. Nelle acque vi erano crostacei e mammiferi acquatici, sirenidi e cetacei. Dovete sapere che l’inizio del Pliocene viene collocato 5 milioni di anni fa, quando si concluse la chiusura del bacino del Mediterraneo e si aprì lo stretto di Gibilterra, con la riseparazione dell’Africa dall’Europa. Questo evento determinò l’ingresso delle acque dell’Atlantico nella conca mediterranea: le aree prima emerse furono ricoperte dall’acqua e si formò il Golfo Padano.
Qui in Piemonte si distinguevano tre diversi sottobacini: il Bacino Cuneese a ovest, il Bacino Alessandrino a est e il Bacino Astigiano al centro, la cui sponda meridionale era costituita dalle Langhe, dove il clima, caldo e umido, favorì lo sviluppo di una lussureggiante vegetazione tropicale. Nel corso di 3 milioni di anni si verificò il sollevamento del bacino piemontese, col conseguente ritiro delle acque ad Est e la formazione di terreni paludosi e bacini lacustri nella parte occidentale della valle padana. Il Pliocene è stato suddiviso nel tempo in vari modi a seconda degli studi e degli autori che si sono occupati dell’argomento. Attualmente per il Pliocene si adotta la divisione in Zancleano (Pliocene inferiore), Piacenziano (Pliocene medio) e Gelasiano (Pliocene superiore).
LE SABBIE DI ASTI Il Pliocene segna la transizione fra Era Terzaria e Era Quaternaria; in questo periodo si ha la definitiva scomparsa del “mare Piemontese”, che lascia il posto ad una vasta pianura, per molto tempo paludosa. Ad Asti le sabbie plioceniche sono composte da sabbie grigio-giallastre, ma anche rossastre o ocracee a causa della presenza di ossidi e idrossidi di ferro. Generalmente si presentano omogenee ma poco compatte, e solo localmente cementate. La stratificazione non è di solito molto evidente.
«[...] Tutto il globo terrestre era stato un tempo ricoperto dal mare prima della comparsa dell'uomo.» (Da una lettera di G. W. Leibniz indirizzata a M. Spener, 1710)
Il Pliocene: le sabbie di Asti.
IL PLIOCENE Il nome Pliocene deriva dal greco pléion ("più") e kainòs ("recente") e significa "continuazione del nuovo". Il nome fu scelto da Charles Lyell, e si riferisce alla natura già sostenzialmente moderna dei molluschi marini dell'epoca. Copre l'arco di tempo compreso tra 5,2 milioni di anni fa (fine del Miocene) e 1,8 milioni di anni fa (inizio del Pleistocene). SUDDIVISIONI DELL'EPOCA PLIOCENICA Il Pliocene viene suddiviso in 2 periodi: Gelasiano o Astiano (2.588-1.806 milioni di anni fa); Piacenziano (3.600-2.588 milioni di anni fa), e Zancleano (5.332-3.600 milioni di anni fa). CLIMA E FAUNA Durante il Pliocene, la temperatura media del pianeta iniziò a scendere gradualmente, dando inizio al processo di raffreddamento che sarebbe culminato con le glaciazioni, nell'era Quaternaria. Nel Pliocene si svilupparono una buona percentuale delle famiglie di mammiferi odierne. Comparvero tra l'altro gli Ippopotami, i Proboscidati (i primi elefanti, discendenti dei mastodonti), gli Sdendati (Gliptodonti e Megatherium), gli Ungulati (i primi veri cavalli del genere Pliohippus, i camelidi ed i bovidi), le Scimmie antropomorfe (Australopithecus), e gli Ominidi (Homo abilis).
IL VILLAFRANCHIANO Il Villafranchiano (circa 3,5 - 3 milioni di anni fa) è costituito da un insieme di sedimenti di ambiente fluvio-lacustre che chiudono la successione marina del bacino del Piemonte. Nell’Astigiano meridionale in particolare è caratterizzato da depositi nettamente continentali che per il loro contenuto paleontologico sono ancora da attribuirsi al Pliocene. Esso è distinto in Complesso inferiore (di cui fa parte l'unità di Ferrere e di San Martino, zone ricche di ritrovamenti di molluschi, mastodonti e di altri grandi vertebrati, oltre a legni e foglie fossili) e superiore (che comprende l'unità di Ghirba e quella di Maretto, zone caratterizzate da scarsi ritrovamenti fossili).
2. LA RISERVA DI VALLE ANDONA, VALLE BOTTO E VAL GRANDE La più grande zona che concentra i ritrovamenti fossili piemontesi è all'interno di quella che oggi è chiamata Riserva Naturale Speciale fossilifera di Valle Andona, Valle Botto e Val Grande, nel bacino del Torrente Borbone, nel circondario di Asti, ed è gestita dall'Ente Parchi Astigiani. Qui il mare ha lasciato i segni della sua antica presenza. Al suo interno oltre ad ammirare gli affioramenti fossili lungo i fianchi delle colline (prevalgono specie di Gasteropodi, Bivalvi e Scafopodi), si può visitare il piccolo museo che custodisce resti di delfini, balenottere e molluschi. Nella zona di Valleandona, in località Ca' di Boschi, venne ritrovato uno scheletro completo di Mastodons Alvernensis. La Riserva si estende su un territorio di 297 ettari, ed è stata definita un museo paleontologico all'aperto. Nell'area di Valleandona è possono fruire liberamente di più itinerari pedonali, per mountain bike, e percorsi a cavallo. Il paesaggio è caratterizzato da vallate e boschi. La fauna è costituita da anfibi, rettili, volpi, scoiattoli, faine, e numerose specie di uccelli, quali il picchio rosso minore, la ghiandaia, l'upupa e il gheppio. La Riserva di Valleandona costituisce oggi, insieme alla vicina Riserva Naturale di Val Sarmassa, uno dei pochissimi casi in Italia di tutela concreta del patrimonio paleontologico.
La Riserva di Valleandona.
Alcune immagini del sottobosco e dei fossili della Riserva Naturale Speciale di Valleandona.
3. I PIU' IMPORTANTI RITROVAMENTI FOSSILI DEL PIEMONTE Zona importantissima di ritrovamenti è Villafranca d'Asti, dove son stati portati alla luce numerosi scheletri di animali terrestri, come mastodonti (solo affini agli elefanti attuali), rinoceronti, ippopotami, iene, orsi, bovidi, cinghiali, cervidi, tapiri, scimmie, roditori, insettivori, e resti di animali marini, come i delfini. Sono stati rinvenuti anche resti di origine vegetale. L'importanza dei ritrovamenti indusse gli studiosi a parlare di “Periodo Villafranchiano” (fase terminale del Terziario, o Cenozoico, corrisponde al periodo di transizione tra il Pliocene e il Pleistocene). Asti diede invece il nome all'epoca geologica definita “Astiana” ( o facies astiana), caratterizzata dalle sabbie dove troviamo i fossili di conchiglia. Nella zona di Dusino San Michele (AT) nella primavera del 1880, venne rinvenuto l'imponente scheletro di un rinoceronte preistorico, un esemplare di Rhinoceros Etruscus, var. Astensis. Fu definito dai paleontologi il “mastodonte di Dusino”. Era un rinoceronte bicorne, di grossa taglia, con muso forte e allungato. Fu ripulito, recuperato, e nel 1895, completato il restaturo, Federico Sacco gli dedicò una monografia. I danni causati dall'ultima guerra coinvolsero anche lo scheletro del rinoceronte. Venne restaurato nuovamente negli anni settanta ma, a causa delle sue precarie condizioni, gli studiosi decisero di farne una copia. Oggi il modello del rinoceronte è esposto alla Biblioteca Civica di Novi Ligure. Una curiosità: i paleontologi, accanto al rinoceronte fossile, ne trovarono altri i cui reperti, però, erano meno completi. Abbondanti fossili sono stati ritrovati anche a Solbrito (resti di mastodonte), a Dusino San Michele (oltre al rinoceronte, ramo mandibolare di balenottera), a Cantarana (ossa fossili di delfino e di mastodonte), a Castelnuovo Don Bosco, località Becchi (resti di mastodonte), a Montegrosso (scheletri quasi completi appartenenti ad Odontoceti ed a Misticeti), a Roatto (carcassa di rinoceronte villafranchiano), a Montafia (resti di mastodonte della fine del Pliocene, e fossili marini del periodo Astiano), a Bagnasco e a Castelnuovo Calcea (scheletri fossili di cetacei), a San Damiano (resti di cetacei fossili), a Cascina Ghirga (scarsi resti paleontologici), nella Valle Goria (dente di un piccolo orso villafranchiano), a Belvelio (conchiglie), a Cortandone (molluschi marini), a Capriglio d'Asti (conchiglie), a Cortiglione d'Asti (numerose conchiglie fossili di molluschi), a Sommariva Bosco (giacimento di foglie fossili), a Vignale (scheletro di una foca), a Mongardino (conchiglie fossili), nella Riserva naturale speciale della Val Sarmassa (conchiglie, molluschi, e resti di mammiferi marini), a Cossato, Candelo e Masserano (denti ed otoliti di pesci, denti di squaloidei, gusci di Bivalvi e Gasteropodi), a Nizza Monferrato (resti di un sirenide), nei comuni di Settime, Cinaglio e Camerano Casasco (significative presenze di fossili), nel Biellese (foglie fossili e scheletri di animali marini, delfini), e a Nole (ceppi fossilizzati di lignite). Inoltre nelle bellissime Grotte di Bossea son state rinvenute numerose ossa di animali preistorici (è esposto uno scheletro dell'Ursus spelaesus) e molti altri fossili.
Un momento dello scavo della colonna vertebrale di un sirenide rinvenuto a Nizza Monferrato.
INTRODUZIONE AL MONDO DELLE BALENE
“E Dio creò le grandi balene.” Genesi
“Eccola preziosa vecchia balena, fra venti e tempeste ha per casa un oceano, un gigante di vera potenza a dominare le acque senza confini.” Canto di balena
“La balena è un mammifero senza piedi posteriori.” Barone Cuvier
“Le balene del mare obbediscono alla voce di Dio.” Sillabario del New England
“Improvvisamente una massa poderosa emergeva perpendicolarmente all'acqua, in aria. Era la belena.” Miriam Coffin (il Pescatore di Balene)
“Se tu dovessi scrivere una favola per piccoli pesci, li faresti parlare come grandi balene.” Goldsmith a Johson
4. LA BALENOTTERA DI VALMONTASCA I terreri pliocenici dei dintorni della città di Asti sono ben noti per importanti affioramenti fossiliferi, soprattutto molluschi (conchiglie) e resti di cetacei (vertebre, coste e denti). Uno dei più importanti ritrovamenti di vertebrati marini fu la Balenottera pliocenica di Valmontasca. In questa piccola frazione, presso Vigliano d'Asti, nel 1959 fu scoperto, casualmente, un grande scheletro di balenottera, in buone condizioni di completezza. Durante il mese di marzo di quell'anno, durante degli scavi per la posa di una conduttura di acqua in un terreno su di una collina vicino alla piazza della frazione di Valmontasca (a circa 188 m sul livello del mare) alcuni operai rinvennero frammenti ossei, a circa 70 cm dalla superficie. Erano ossa di notevoli proporzioni. Sospesi i lavori, iniziarono subito i primi sopralluoghi da parte della Soprintendenza alle Antichità di Torino, avvisata dal sindaco di Vigliano, G. Battista Conti. Valmontasca venne invasa da studiosi e giornalisti. I primi esami morfologici vennero compiuti dal prof. Camillo Richard di Torino, e dagli incaricati dell'Istituto di Geologia di Torino, prof. Costantino Socin, dott. Bortolo Franceschetti e dott. Giulio Elter.
Lo scheletro della Balenottera pliocenica di Valmontasca, visto durante le operazioni di scavo.
Scheletro della Balenottera pliocenica di Valmontasca (disegno di Alessandro Porta).
Fu subito stabilito dagli studiosi che i resti appartenevano ad un cetaceo del sottordine dei Misticeti, il Plesiocetus cortesii (Desmoulins). Lo scheletro misurava circa 8 metri, e il cranio, con le mandibole, circa 2 metri. Lo scheletro fu affidato al prof. Roberto Malaroda, direttore dell'Istituto di Geologia e Paleontologia dell'Università di Torino, il quale dispose un sollecito intervento per il disseppellimento completo del fossile ed al suo recupero. Iniziarono ad arrivare i primi aiuti finanziari necessari all'attività di recupero del fossile. Dopo 26 giorni lo scheletro fu disseppellito, e trasportato al museo di Palazzo Carignano, a Torino, dove iniziò la complessa e lunga opera di restaurazione delle varie parti scheletriche. Lo scheletro infatti presentava non poche incrostazioni. Intanto a Valmontasca vennero ritrovati altri resti fossili della balenottera. Venne innanzitutto preso in esame il terreno del ritrovamento, caratterizzato da sabbie plioceniche superiori (materiale sabbioso fine, spesso debolmente argilloso), e successivamente studiata la giacitura del fossile, quasi perfettamente orizzontale, il che ci conferma che lì il mare era poco profondo ed il fondo marino era assai regolare. Dalle molte analisi fatte sullo scheletro risulta che, dopo la morte, l'individuo non subì spostamenti notevoli ma si adagiò su un fondo marino di sabbia fine, che lo avvolse gradatamente, nel tempo. Inoltre il corpo dell'animale non fu attaccato fortunatamente da altri vertebrati marini, che l'avrebbero ulteriormente danneggiato. Gli studiosi pensano anche, riguardo alla posizione regolare del fossile, ad un probabile spiaggiamento in gruppo, supposizione giustificata dal fatto che intorno alla collina di Valmontasca furono ritrovati altri resti ossei di balenottere. Lo scheletro della Balenottera di Valmontasca fra i Misticeti pliocenici conservati nei musei paleontologici, è uno dei migliori sotto il profilo di conservazione e completezza, infatti si presenta completo in buona parte delle strutture, e non presenta grandi deformazioni, eccetto un leggero schiacciamento del cranio.
Cranio della Balenottera di Valmontasca visto dalla faccia dorsale, lato destro (disegno di Alessandro Porta).
Cranio della Balenottera di Valmontasca visto di profilo, lato destro (disegno di Alessandro Porta).
L'intero scheletro misurava circa cm 800. Si tratta di un esemplare adulto, come confermano le proporzioni relative agli elementi componenti lo scheletro, la completa saldatura di alcune ossa craniali, la conformazione delle vertebre cervicali e il completo sviluppo delle apofisi vertebrali. Lo scheletro comprende i seguenti componenti: il cranio (in buone condizioni), la colonna vertebrale (in buone condizioni; sono presenti 40 vertebre su 48), tutte le 24 coste (incompete) e l'arto anteriore destro (in buone condizioni). Accanto allo scheletro della Balenottera di Valmontasca vennero ritrovati, oltre a conciglie di Lamellibranchi, Gasteropidi, Scafopodi e impronte di carapaci di Crostacei, e resti di origine vegetale. Inoltre sulla collina di Valmontasca vennero ritrovati anche altri resti fossili di vertebrati, appartenenti all'ordine dei Cetacei, quali: resti di una grande Physeter (colonna vertebrale quasi completa), resti di balenottere, resti di Berardius (colonna vertebrale quasi completa), resti di delfinide (frammenti di ossa e denti). CURIOSITÀ CURIOSITÀ Nel gennaio 2008 è stata ritrovata l'undicesima vertebra caudale della Balenottera di Valmontasca, da parte del G.A.M.P.S. (Gruppo Avis Minerologia Paleontologicia Scandicci). E' stata messa a dispozione della Soprintendenza per i Beni Archeologici per il Piemonte.
Scheletro della Balenottera di Valmontasca.
5. TERSILLA, LA BALENA DI SAN MARZANOTTO
Particolare delle ossa della Balena Tersilla di San Marzanotto.
L'ultimo ritrovamento di cetacei fossili in Piemonte risale alla grande balena che fu scoperta, casualmente, nell'autunno del 1993 da uno smottamento del terreno ad opera di un contadino in una vigna nei pressi di San Marzanotto, frazione poco a sud di Asti. Il cetaceo fu chiamato “Tersilla” in onore della proprietaria del terreno nel quale fu scoperto (Tersilla Argenta). Lo stato di conservazione dello scheletro fossile ritrovato di Balaenoptera Acutorastrata Cuvieri (di circa 6-7 metri di lunghezza) è ottimo. L'esemplare conserva quasi tutto il cranio, una buona parte della regione cervico-bracica, e solo parte di quella lombo-caudale. I resti ossei risalgono all'età pliocenica (5-2 milioni di anni fa). Furono ritrovati, vicino alla balenottera, molti denti di squalo (probabilmente alcuni di questi squali banchettarono con la sua carcassa) e svariate conchiglie fossili. Piero Damarco, consulente scientifico per l'Ente Parchi e il Comune di Asti definì questo ritrovamento “uno dei più significativi degli ultimi 50 anni in Italia.” Da non perdere il Museo Civico Archeologico e Paleontologico di Asti, ospitato nel “Complesso di S. Pietro”, dove si possono ammirare alcuni splendidi ritrovamenti fossili: conchiglie (malacofauna fossile), denti di squalo, resti di balenottera (mandibola) e di elefante (molare).
6. LE BALENE PLIOCENICHE NEI MUSEI ITALIANI Lo scheletro di altre balene plioceniche, ritrovate in territorio italiano, sono conservate in importanti musei: al Museo di Milano (conserva lo scheletro di un esemplare di Plesiocetus Cortesii, proveniente dalle sabbie plioceniche di Monte Pulgnasco - Prato), al Museo di Bologna (possiede lo scheletro di una balenottera fossile ritrovata nei terreni pliocenici della collina di San Lorenzo), al Museo di Parma (oltre a disporre di una fra le migliori collezioni di Misticeti fossili esistenti in Italia, conserva lo scheletro di una balena, in buone condizioni), al Museo di Pisa (le sue collezioni comprendono diversi resti di Misticeti provenienti da terreni pliocenici, e un'interessante scheletro di Balaenula rinvenuta nell'Astigiano), e al Museo di Torino (conserva numerosi resti di Odontoceti e di Misticeti, quasi tutti provenienti dalle sabbie grigio-giallastre del Pliocene mediosuperiore della regione astigiana; conserva anche lo scheletro di una Balaenoptera Acutorostrata, rinvenuta nel 1862 presso Cortandone d'Asti, e quello di una Balaenoptera Cortesii rinvenuta nel 1874 presso Montafia d'Asti; il museo conserva inoltre i resti di un'altro esemplare pliocenico ritrovato a Bagnasco, appartenete allo stesso inquadramento della Balenottera di Valmontasca). Diversi resti di Misticeti sono conservati in altri musei italiani, fra i quali quello di Napoli. In particolare, presso l'Istituto di Geologia e Paleontologia dell'Università di Napoli, esistono alcune ossa (pochi frammenti) di Balenottera Heterocetus Guiscardii.
CURIOSITA' Daniele Pescarmona, storico dell’arte, ha raccontato che “Etienne Borson, celebre naturalista del secolo scorso, nel 1830 scrisse di essersi recato, in occasione del ritrovamento di ossa fossili di un cetaceo, a Bagnasco, dove aveva dovuto constatare che altre ossa erano state utilizzate in loco addirittura in qualità di materiale da costruzione edilizia con grave perdita per la scienza”.
«[...] Alcuni dicono che la balena non può aprire la bocca, ma ciò è solo una favola [...] ». Harris Coll, 'Un viaggio in Groenlandia, A.D. 1671'
INTRODUZIONE AI MASTODONTI
Mastodonte Anancus.
«[...] Un animale elefantino, i cui fossili combinavano i denti di un ippopotamo con le enormi zanne di un mammut, venne battezzato da Cuvier con nome di Mastodonte.» Mastodonte.» (Da: Cacciatori di dinosauri, di Deborah Cadbury, Sironi Editore)
7. I MASTODONTI DEL PIEMONTE
Il Mastodonte è un genere estinto di mammifero proboscidato primitivo, vissuto da 4 milioni a 10.000 anni fa, nel Pliocene e Pleistocene, e faceva parte della famiglia dei Mastodontidi. La sua classificazione scientifica è: genere Mastodon; ordine proboscidati; sottordine elefantoidei. Aveva la statura di un elefante indiano, ma più tozzo e robusto, un cranio basso e relativamente lungo, e le zanne erano lunghe fino a 2 m e 70 cm, a cui spesso se ne aggiungevano una coppia nella parte inferiore. Si nutriva di foglie ed era ampiamente diffuso nelle foreste. L'estinzione del mastodonte avvenne contemporaneamente a quella di molti altri appartenenti alla cosiddetta Megafauna del Pleistocene. Verso la metà dell'Ottocento, durante la costruzione della ferrovia Genova-Torino, in zona Solbrito, vennero alla luce preziosi reperti fossili di questo animale. Le zanne del mastodonte, appartenente alla specie Anancus Arvernensis, sono oggi conservate presso l 'Istituto di geologia e paleontologia dell' Università degli Studi di Torino. Sulla base di questa scoperta gli studiosi hanno coniato il nome di "Periodo Villafranchiano" per riferirsi all'età posta tra l'epoca pliocenica superiore e la pleistocenica. Resti di mastodonte sono stati rinvenuti anche a Valleandona, in località Ca' di Boschi (qui venne ritrovato uno scheletro completo di Mastodons Alvernensis), a Montafia (furono ritrovati resti di mastodonte proboscidato, il Mastodon Arvernensis, forse della fine del Pliocene), a Cantarana (in una cava, che negli anni settanta era uno dei siti geologici privilegiati per osservare le stratificazioni del Villafranchiano, furono ritrovate delle ossa di mastodonte, insieme a quelle di delfino), a Cinaglio d'Asti (resti fossili di Mastodon Arvernensis), e a Castelnuovo Don Bosco, località Becchi (resti di ossa fossili di mastodonte). Inoltre il Museo civico archeologico e di scienze naturali “Federico Eusebio” di Alba conserva i resti di un grande mastodonte, estintosi intorno ai due milioni di anni fa, accanto ai fossili di origine marina (che testimoniano che 30 milioni di anni fa una enorme distesa d'acqua da Montezemolo si allargava fino al Golfo Padano, incorniciato dagli allora modesti rilievi alpini ed appenninici).
I PROBOSCIDATI I proboscidati sono i più grandi animali viventi terrestri, risalgono all'Eocene superiore - circa 50 milioni di anni fa - e si sono originati da un gruppo di Ungulati primitivi, oggi estinti. Misuravano circa 3 metri di lunghezza e, probabilmente, si immergevano nelle paludi nutrendosi di radici e di vegetazione erbacea. In passato erano rappresentati dal gruppo dei mastodonti, oggi invece da due specie di elefanti: quelli indiani e quelli africani.
8. Il PASSATO CHE EMERGE DALLE ROCCE
BREVE GUIDA SUI FOSSILI E SULLA PALEONTOLOGIA
«Alla fine del Settecento, i resti fossili di mammuth e dinosauri affioravano dalle profondità della Terra. In regioni montagnose, furono rinvenuti i resti di organismi marini fossilizzati, indizi del fatto che l'acqua, in tempi lontani, aveva ricoperto ampie regioni dei continenti. Charles Darwin studiò i fossili, che affioravano in tutto il pianeta, e ne fece un punto di forza di una nuova idea della Vita: l'evoluzione. [...] Paleontologi, ecologi, embriologi, genetisti, microbiologi, biochimici stanno delineando le molteplici storie della Vita.[...] Sono emerse tracce di creazioni, di migrazioni, di metamorfosi, di catastrofi, di estinzioni di massa, di radiazioni evolutive, di colonizzazioni di nuovo habitat, di stasi e di accellerazioni che hanno segnato l'esistenza delle specie viventi. Archeologi, mitologi, linguisti, genetisti, antropologi, paleontologi stanno delineando le molteplici storie della specie umana». (Da: Origini di storie, di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti)
I FOSSILI: UN TESORO TRA LE ROCCE “Fossile” è una parola derivata dal latino “foedére” che significa “scavare”e indica appunto tutto ciò che si ottiene scavando (ad esempio, si parla di “combustibili fossili”, per indicare petrolio, gas e carbone estratti nelle viscere della terra). I fossili ci raccontano molte cose sul passato della Terra e della vita. Un resto fossile è una qualsiasi traccia che riveli l'esistenza di animali e di piante vissute nei periodi geologici passati ( i fossili più antichi, appartenenti ad alghe semplici unicellulari, risalgono a 4 miliardi di anni fa). Se i fossili sono ciò che resta di antichi organismi (quello che oggi ritroviamo sono resti inanimati, ma un tempo erano “vivi” e popolavano la Terra come oggi la popoliamo noi), la Paleontologia – la scienza che studia questi resti – diviene, in questo senso, una scienza della vita. I fossili ci permettono di ricostruire la vita del passato. Grazie a loro i paleontologi sono riusciti a seguire l'evoluzione degli organismi, stabilendo anche la disposizione delle terre e dei mari nelle diverse epoche geologiche. Un lavoro lungo e prezioso per ricostruire la storia del nostro pianeta. Per quanto riguarda la conservazione dei fossili si può dire, in generale, che ghiaia e sabbia non permettono una buona fossilizzazione. Ottimi invece sono i sedimenti argillosi impermeabili, o i calcari, che proteggono bene i reperti. Gli ambienti marini sono però i più adatti a conservare organismi fossili di quelli continentali (nel mare l'ambiente, infatti, è più tranquillo). Naturalmente vi sono delle eccezioni: i laghi e le paludi.
PROCESSI DI FOSSILIZZAZIONE Esistono numerosi processi attraverso i quali i resti di organismi, una volta seppelliti, sono lentamente modificati e trasformati in fossili. Tra i più indicativi di questi ricordiamo: la mineralizzazione (il più comune), la ricristallizzazione, l'incrostazione, la carbonificazione (caratteristico dei vegetali), la permineralizzazione, la cerificazione (per inglobamento in cera fossile), l'inglobamento in ambra, la conservazione in asfalti e bitumi fossili, il congelamento, la salificazione, e la distillazione (assai raro).
GEOMETRIA DELLA FOSSILIZZAZIONE Gli organismi possono fossilizzare in tre diversi modi: ● posizione autoctona o primaria (conserva perfettamente i fossili nella collocazione originaria di vita, senza che intervenga alcuno spostamento dopo la morte degli organismi); ● posizione alloctona (può essere di due tipi: posizione subprimaria o secondaria); ● posizione in serie condensate (si parla di condensazione stratigrafica o tafonomica).
I PIONIERI DELLA PALEONTOLOGIA I primi uomini che studiarono i fossili furono: Plinio il Vecchio (Naturalis Historia), S. Agostino, S. Tommaso d'Aquino, Girolamo Fracastoro, Leonardo da Vinci, Bernard de Palissy, il Gener, Fabio Colonna, Stenone, il Valisnieri, Antonio Luzzaro Moro, Georges Buffon (Historia Naturalist), e molti altri, fino ad arrivare a Georges Cuvier (il “padre” della paleontologia), a Jean-Baptiste de Lamarck (Philosophie zoologique), Gideon Mantell, e alle teorie del naturalista Charles Robert Darwin (The Origin of Species, e The Descent of Man). Darwin infatti, oltre a catturare moltissimi animali, raccolse molti fossili e pubblicò due volumi, tra il 1851 e il 1854, due volumi riguardanti i cirripeti fossili, frutto di un'accurata indagine tassonomica su questi crostacei – allora poco noti – durata ben otto anni.
LO STUDIO DEI FOSSILI Lo studio dei fossili è di grande importanza anche per la geologia e, in particolare, per la stratificazione, cioè la disciplina che studia le caratteristiche delle rocce per stabilirne l'età relativa, ossia per stabilire se una formazione rocciosa è più antica o più recente di un'altra a essa adiacente. Alcuni fossili sono molto utili nella datazione relativa alle rocce sedimentarie: sono i cosiddetti “fossili guida” (fossili di organismi marini, che si sono estinti dopo un breve periodo dalla loro comparsa e che, contemporaneamente, hanno avuto un'ampia distribuzione geografica). La disciplina che si occupa di determinare l'età delle rocce è la geocronologia, che cerca di stabilire l'epoca in cui sono avvenuti i fenomeni più importanti nell'evoluzione del pianeta). I fossili non si trovano in tutte le rocce. Salvo casi rarissimi, sono solo due i tipi di roccia che li possono contenere: le rocce sedimentarie ( che troviamo nei fiumi, nelle barriere coralline e nei fanghi marini), e le rocce piroclastiche (ceneri e lapilli vulcanici). La raccolta dei fossili è regolata dalla legge n. 1089 del 1 giugno 1939, e dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, del 22 gennaio 2004, che disciplina tutte le attività archeologiche e paleontologiche.
[...] Nel fossile è la certezza del tempo di aver fissato la falsa immutabilità di un ordine diseguale a sola esperienza della terra. [...] Franco Santamaria, Legato a un fossile, da “Parola e Immagine”.
“ [...] Nelle montagne di Verona la pietra rossa è tutta mischiata di conchiglie fossili .” LEONARDO DA VINCI
CURIOSITA' Già nell'antichità era piuttosto chiaro il significato dei fossili. I sacerdoti egizi, ad esempio, attribuivano alle conchiglie fossili dell'oasi di Ammone un'origine marina, e ne deducevano che il mare un tempo avesse ricoperto l'area e tutto l'Egitto. Altri studiosi antichi dei fossili furono: il filosofo greco Senofane da Colofone (576-480 a.C.) e Ovidio (43 a.C.-18 d.C.).
SCIENZE NATURALI Le classiche Scienze Naturali possono essere raggruppate in due grandi gruppi: Scienze della Terra: Geologia (storia della Terra) Paleontologia (storia della Vita – fossili) Mineralogia (minerali) Petrografia o Litologia (rocce) Scienze della Vita:
Botanica (piante) Zoologia (animali) Antropologia (uomo) – Etnologia (popoli) Microbiologia (microrganismi)
COSA SI INTENDE PER PALEONTOLOGIA? Il termine “Paleontologia” deriva dalle parole greche “palaios” (antico), “os” (ente), “logos” (discorso). La Paleontologia è lo studio di ciò che i fossili ci dicono, e permette di tracciare la storia dell'evoluzione di organismi estinti o tuttora viventi. E' la scienza che studia qualsiasi resto o impronta di organismo vegetale ed animale vissuto in epoca geologica anteriore all'Olocene (epoca di comparsa dell'Homo Sapiens). Studia quindi la vita del passato. La Paleontologia è divisa in quattro grandi settori: paleozoologia (o paleontologia animale), paleobotanica (o paleontologia vegetale), paleontropologia (o paleontologia umana) e micropaleontologia (studia i fossili al microscopio). Inoltre, la paleontologia moderna studia anche le tracce lasciate dagli antichi organismi viventi.
GEORGES LÉOPOLD CUVIER
«Verso la fine del Settecento, in Siberia e in America, furono rinvenuti i resti di giganteschi organismi terrestri: mammuth e mastodonti, che in qualche modo assomigliavano all'elefante. Il 21 gennaio 1796, in una famosa seduta dell'Institut National des Sciences et des Artes, Georges Cuvier sconcertò i suoi colleghi: il mammuth, le cui ossa erano state ritrovate in tutta Europa, non poteva appartenere nè alla specie dell'elefante indiano nè alla specie dell'elefante africano. Il mastodonte era ancora più differente. Era improbabile che animali del genere fossero ancora vivi in qualche regione del mondo inesplorata. Sia il mammuth che il mastodonte erano specie animali indipendenti ed estinte. I fossili divennero tracce di un passato mai immaginato. Affiorarono fossili di animali sempre più diversi da quelli attuali, celati in strati di roccia sempre più profondi. [...] Affiorarono ossa e denti di molti altri rettili mostruosamente grandi». (Da: Origini di storie, di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti)
Il naturalista francese Georges Léopold Cuvier (1769-1832) è considerato il fondatore della paleontologia dei vertebrati e dell'anatomia comparata, disciplina che insegnava all'Università di Parigi. Ricoprì importanti incarichi durante il periodo napoleonico e mantenne tali incarichi anche dopo la restaurazione. Convinto sostenitore dell'idea che i fossili fossero i resti di organismi del passato, oggi scomparsi, fu il primo a parlare di estinzioni, ma non fu un sostenitore dell'evoluzione. Egli era a pieno titolo un creazionista, e quindi propose una teoria alternativa, chiamata catastrofismo, secondo cui la Terra sarebbe soggetta a immani cataclismi che la spopolano parzialmente. Portò importanti innovazioni nello studio dell'anatomia animale: egli studiava infatti gli organismi come entità integrate, in base al principio che in ogni specie i diversi organi agiscono gli uni sugli altri e formano un insieme coordinato, operando in un'azione comune. Con questi criteri, e grazie alla sua abilità, studiò e classificò un gran numero di fossili. Cuvier elaborò un sistema di classificazione ramificata, suddividendo gli animali in quattro grandi gruppi: vertebrati (dotati di scheletro), articolati (privi di scheletro), radiati (a simmetria radiata, comprendenti echinodermi, vermi, polipi), e molluschi. Raccolse le sue osservazioni scientifiche nelle opere Tableau élémentaire de l'histoire naturelle des animaux (1798), e Recherches sur les ossements fossiles de quadrupédes (1812). Nel panorama degli studiosi del pensiero evoluzionista, Cuvier rappresenta la figura dello scienziato di grandissimo spessore ma ancorato al pensiero più conservatore.
“ E se voi dite che queste conchiglie furono create, e in modo continuo, in quei posti della natura stessa del luogo e dall'influenza che vi possono avere i cieli, una tale opinione non può essere in un cervello in cui vi sia qualche ragione; perchè qui non troviamo la crescita annuale registrata sulle conchiglie, perchè si vedono conchiglie grandi o piccole, che non possono essere cresciute senza nutrimento, e non avrebbero potuto nutrirsi senza muoversi, e qui esse non potevano muoversi. [...] E se voi dite che la natura ha formato le conchiglie nelle montagne per l'azione delle costellazioni, come spieghereste il fatto che queste ultime creano delle conchiglie di specie diverse e di diversa età negli stessi luoghi?”. LEONARDO DA VINCI
“ Dico che 'l diluvio no potè portare le cose nate del mare alli monti, se già il mare, gonfiando, non creassi inondazione tant'alta, che superassi tali altezze, insino alli lochi sopra detti, la quale gonfiazione accader non po, perchè si dare' vacuo”. LEONARDO DA VINCI
“ Nulla di nuovo a questo mondo, le cose non fanno che variare e cangiar forma, il mare fu convertito in terra e le conchiglie marine trovansi lontane dall'oceano, le paludi furon prosciugate e i luoghi asciutti convertiti in paludi, le valli furono scavate dalle acque correnti e le inondazioni hanno travolto le montagne”. OVIDIO, Metamorfosi.
“ Non c'è niente come la geologia. Il piacere del primo giorno di caccia alla pernice o dell'apertura della stagione della caccia non si può paragonare a ciò che si prova nel trovare un gruppo di ossa fossili in buono stato, che raccontano la loro antica storia in un linguaggio quasi vivo”. CHARLES DARWIN
“ Sono rimasto talmente colpito dalla distribuzione degli organismi alle Galápagos [...] e dal carattere dei mammiferi fossili americani [...] che ho deciso di raccogliere alla cieca ogni sorta di fatto che in qualche modo abbia a che fare con la specie”. CHARLES DARWIN
9. CONCLUSIONI E RINGRAZIAMENTI Il nostro viaggio, per il momento, si conclude qui. E' stato lungo e tortuoso, fatto di immersioni nelle profondità del passato, in spazi “prima del tempo”, e in luoghi misteriosi. Abbiamo ripercorso alcuni dei rami dell'albero della Vita. Ma, al di là, esistono territori, spazi e realtà che restano da scoprire e da esplorare.
Riferimenti iconografici Le fotografie della Balenottera di Valmontasca sono state eseguite da: C. Bartola, P. G. Caretto, A. Coeli, e G. Pelosio; i disegni sono stati eseguiti da Alessandro Porta; fotografie e disegni sono stati tratti dal Bollettino della Società paleontologica Italiana - Vol. 9, n.1. Per le fotografie della Balenottera di San Marzanotto si ringrazia il dott. Piero Damarco (responsabile dell'Ente Parchi e Riserve Naturali Astigiani). Per le foto dei molluschi fossili si ringrazia il Sito Ufficiale della Regione Piemonte - I Parchi del Piemonte. Per i disegni del sabbie di Asti all'epoca del Pliocene si ringrazia il sito web della Rete Museale Roero & Monferrato. Riferimenti bibliografici - CARETTO PIER GIUSEPPE, La balenottera delle sabbie plioceniche di Valmontasca (Vigliano d'Asti). Estratto dal Bollettino della Società paleontogica Italiana, Vol. 9, n.1 - S. T. E. M. Mucchi, 1971. - BOCCHI GIANLUCA, CERUTI MAURO, Origini di storie, Feltrinelli Editore, 2000. - CADBURY DEBORAH, Cacciatori di dinosauri. L'acerrima rivalità scientifica che portò alla scoperta
del mondo preistorico. Alpha Test, 2000. - ROSSI PAOLO, I segni del tempo. Storia della Terra e storia delle nazioni da Hookee a Vico. Feltrinelli Editore, 1979.
Un ringraziamento particolare va al poeta e pittore Franco Santamaria (www.modulazioni.it). Documentazione paleontologica La fonte principale per questa raccolta d'informazioni paleontologiche relative al Piemonte è costituita dai siti web di archeologia e di paleontologia. Un doveroso ringraziamento va a: il dott. Piero Damarco, il sig. Gualtiero Accornero, il Comune di Asti, La Provincia di Asti, la Riserva di Valleandona, l'Ente di gestione dei Parchi e delle Riserve Naturali Astigiani, il G.A.M.P.S, ed il Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Torino.
L'autrice Floriana Porta, nata a Torino nel 1975, lavora nel campo dell'arte, della poesia, della fotografia digitale e del design. Ha pubblicato diverse sillogi poetiche, ed ha esposto le sue opere artistiche nel Torinese e nell'Astigiano. Appassionata di paleontologia, ha dedicato molto tempo allo studio dei fossili astigiani. Inoltre collabora con vari artisti, poeti, studiosi, e scienziati. Per contattare l'autrice mandate una e-mail a: florianaporta@libero.it Per informazioni visitate il sito http://sites.google.com/site/florianaporta
http://untuffonellastigiano.over-blog.it